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L’Amica Geniale: recensione della serie tratta dal romanzo di Elena Ferrante

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Sembra una storia figlia di questi mesi di fermento “femminista”, quella de L’Amica Geniale, eppure, Elena Ferrante aveva già da tempo acceso un bellissimo faro su una storia di donne, di amiche, di menti brillanti che trovano la loro strada verso la libertà e l’emancipazione, prima di tutto da loro stesse e dal loro bagaglio di nascita. Come ogni grande storia, anche questa di Lila e Lenu ha un inizio, trai banchi di scuola, dove le due bambine vengono aperte al mondo dalla maestra Oliviero.

La trama de L’Amica Geniale

Comincia così la prima puntata de L’Amica Geniale, la serie co-prodotta da Rai, HBO e Wildside e diretta da Saverio Costanzo, presentata, con la proiezione dei primi due episodi, alla Mostra del Cinema di Venezia, edizione 75. La serie è l’adattamento della tetralogia firmata da Elena Ferrante e racconta, appunto di un un’amicizia femminile, nata in un rione di Napoli negli anni ’50 e che si concluderà ai nostri giorni, nel 2016 per la precisione. Le protagonista sono Elena Greco e Raffaella Cerullo, Lenu e Lila, ma intorno a loro Costanzo ha riportato sullo schermo il brulicante mondo del rione: fratelli, genitori, vicini, compagni di classe. Un ritratto commovente di un mondo che non c’è più, una replica perfetta, nei più piccoli dettagli, di ciò che la Ferrante ha creato su carta.

Elisa Del Genio e Ludovica Nasti sono le piccole protagoniste assolute delle prime due puntate proiettate alla Mostra. Le interpretazioni genuine delle bambine restituiscono tutta l’energia dei personaggi del romanzo, in cui da una parte c’è la dolcezza di Elena e dall’altra la cattiveria di Lila, due estremi che si incontrano per caso e che non si lasceranno mai più. Intorno a loro una serie di interpreti relativamente poco noti, che si rivelano scelte perfette per le intenzioni del regista. Costanzo infatti non solo rende onore e fede all’originale, ma lo trasforma in una storia sua, conservando intatto lo spirito delle pagine, riportandone gli avvenimenti in maniera più o meno fedele, ma soprattutto avendo un profondo rispetto per il lavoro della Ferrante, con la quale ha avuto una fitta corrispondenza di email durante la lavorazione, e che ha sorvegliato la produzione e custodito i suoi personaggi.

Saverio Costanzo presenta L’Amica Geniale, la serie tratta da Elena Ferrante

Quello che Costanzo sceglie come fuoco del suo racconto, laddove nel romanzo i fili narrativi erano più ingarbugliati e numerosi, è l’educazione: la diligenza di Elena e l’intelligenza di Lila offrono a entrambe la possibilità di ambire a continuare gli studi, avvenimento insolito nella Napoli povera degli anni ’50. Così, comincia un’avventura quotidiana che nessuno aveva mai letto (né visto) prima.

Dopo The Young Pope, un altro autore italiano si cimenta con la grande serialità, in un progetto impegnativo e rischioso, che mette sul tavolo ambizioni e competenze e che, produttivamente parlando, testimonia l’apertura della RAI alle co-produzioni internazionali, presentando un biglietto da visita ragguardevole.

L’Amica Geniale è una storia epica, che attraversa la Storia e le storie e sembra che il lavoro di Costanzo e della sua squadra sia riuscito a creare qualcosa di davvero prezioso, in attesa di poter vedere, da ottobre, gli altri episodi della serie.

Venezia 75: Incontro con Francesco Zippel, regista di Friedkin Uncut

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Friedkin Uncut, documentario del giovane regista/documentarista Francesco Zippel, è stato presentato nella sezione Venezia Classici alla 75esima edizione della Mostra del Cinema.

William Friedkin come non lo avete mai visto, simpatico, allegro e goliardico, il papà de L’Esorcista si mette a nudo in un documentario colmo di interviste dei grandi nomi dei protagonisti del cinema, tutti vogliosi di lasciare una testimonianza di cosa rappresenti il lavoro del regista per loro. Testimonianze di Francis Ford Coppola, Quentin Tarantino, Wes Anderson, Matthew McConaughey e molti altri, impreziosiscono questo viaggio all’interno della carriera di Friedkin facendoci scoprire l’uomo dietro l’artista.

Abbiamo incontrato Francesco Zippel che firma la regia di questo lungometraggio e che ha passato con Friedkin circa un anno tra Stati Uniti e Italia.

Come è nata la vostra collaborazione?

“Ho conosciuto il regista due anni fa quando mi ha chiesto di collaborare con lui come producer per il suo ultimo film su Padre Amorth. Mentre eravamo insieme a Los Angeles, per finire il montaggio, ogni giorno, a pranzo o durante una pausa, raccontava episodi e aneddoti incredibili. Tutti hanno iniziato a dirgli che avrebbe dovuto fare un documentario, così mi sono subito proposto. Con mio grande stupore, ha accettato subito. I tempi sono stati lunghi, soprattutto per via di tutte le interviste che ho voluto realizzare e gran parte dei miei intervistati era su un set, ma nessuno mi ha dato un no come risposta. Matthew McConaughey mi ha addirittura chiesto di aspettarlo perché doveva molto della sua carriera al regista.”  

friedkin uncutC’è un altro aneddoto simpatico che ci puoi raccontare?

“Per esempio Quentin Tarantino vive nella casa di Los Angeles che fu di Friedkin negli anni ’70, l’intervista che vedete nel documentario, è stata girata nella sua sala cinema privata ricavata dal vecchio garage di casa. Oltretutto Tarantino è un grande fan e ha una collezione esclusivamente in pellicola, perché odia il digitale, di tutti i suoi film che custodisce gelosamente.”

Che cos’è il male per questo regista?

“Il male per lui è una curiosità. Qualsiasi scelta artistica possa aver fatto nella sua carriera è sempre stata generata da una curiosità specifica nei confronti di qualcosa. Il male per lui è il modo in cui ognuno di noi può decidere di comportarsi o di indirizzare la propria esistenza, è uno degli elementi ontologici che a lui interessano, al quale lega anche l’aspetto religioso. Spesso nelle sue opere lega il bene al male e a come ognuno di noi interpreti questi sentimenti, è un’analisi del male che nasce dalla sua sete di conoscenza e curiosità sugli innumerevoli aspetti della vita”.

L’Esorcista è ancora un evergreen?

Ellen Burstyn mi ha detto che di film dell’orrore che vogliono a tutti i costi spaventare ne vediamo tanti negli ultimi tempi, ma quello che differenzia le opere di Friedkin, come detto anche da Wes Anderson, è che nei suoi film non accade nulla di particolare, c’è un racconto veristico molto semplice, poi ad un certo punto la narrazione ha un twist degenerativo e tutto si evolve in maniera inaspettata. Questa caratteristica, unita all’idea che ognuno di noi ha del male e di quello che può innestarsi nell’animo e nella testa delle persone, credo sia un elemento stimolante. Per questo ancora oggi L’Esorcista è un evergreen.”

Il primo uomo: polemiche sulla mancanza della bandiera americana

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Il primo uomo: polemiche sulla mancanza della bandiera americana

Il primo uomo, ultima opera del premio Oscar Damien Chazelle, ha aperto la Mostra del Cinema di Venezia ancora in corso. Il film ha avuto un buon successo di critica ma ha scatenato qualche polemica oltreoceano dove non si sono fatti sfuggire qualche inesattezza storica sull’impresa di Neil Armstrong al centro della trama. Ad aver scatenato un vero e proprio putiferio sul web è stata la mancanza della bandiera americana portata dall’astronauta sulla Luna. Il regista ha giustificato questa scelta dicendo che ha girato il film facendo prevalere il lato umano di Armstrong e meno il suo status di eroe americano. Questo non vuol dire però che il film avesse delle venature anti-americane, come in molti hanno pensato.

La famiglia di Armstrong e l’autore della biografia James R. Hansen da cui è tratto il film hanno approvato tale approccio, appoggiando Chazelle in una recente intervista: “È un film molto personale sul viaggio di nostro padre, filtrato attraverso il suo sguardo. In poche parole, non riteniamo che questo film sia minimamente anti-americano. Magari il contrario. Diciamo a tutti di andare a vedere questo film straordinario”.

Della stessa opinione evidentemente non è stato Buzz Aldrin, il secondo uomo ad aver messo piede sulla Luna, che da giorni è molto attivo su Twitter per difendere il suo essere americano e qualche ora fa ha postato un foto evidentemente riferita alle polemiche sul film: Armstrong che punta la bandiera sulla Luna con l’hashtag “orgoglioso di essere americano”.

FONTE: Deadline

Dhaka: Chris Hemsworth si riunisce ai fratelli Russo per Netflix

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Dhaka: Chris Hemsworth si riunisce ai fratelli Russo per Netflix

Dopo il recente successo di Avengers: Infinity War, l’attore Chris Hemsworth si riunisce ai fratelli Russo, anche se i ruoli saranno leggermente diversi. Infatti il celebre duo che ha diretto i più grandi successi Marvel, da Avengers a Captain America, questa volta resterà fuori dal set nelle vesti di produttori insieme a Netflix di un nuovo action dal titolo Dhaka che vede proprio Hemsworth come protagonista. Joe Russo apparirà anche tra gli sceneggiatori, una novità per il regista che è sempre stato investito del ruolo di produttore. A dirigere invece il film sarà Sam Hargave, una vecchia conoscenza dei Russo che lo avevano già scelto come regista della seconda unità di Infinity War. Nel suo curriculum anche una lunga carriera come controfigura: fu Chris Evans nelle scene d’azione di Avengers e Captain America e diventò coordinatore degli stunt in Captain America: Civil War.

Sulla trama di Dhaka al momento non ci sono molte informazioni. Dalle prime indiscrezioni Chris Hemsworth dovrebbe interpretare un mercenario assunto da un ricco uomo d’affari per salvare suo figlio, fatto prigioniero proprio a Dhaka nel Bangladesh. Le riprese dovrebbero iniziare già a Novembre per concludersi a Marzo, quindi sarà altamente probabile che il film sarà disponibile sulla piattaforma già alla fine del 2019.

FONTE: Comicbook

Il Trono di Spade: ecco quando inizieranno le riprese del prequel

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Presumibilmente la prossima primavera dovremo dire addio a Il trono di Spade, che si appresta a concludersi con l’ottava stagione. Ma HBO sta già preparando il terreno per il futuro e, come già stato da tempo annunciato, è tempo di pensare al prequel. Da quello che è trapelato in queste ore, la nuova serie si svolgerà nel tempo di Westeros, durante l’era della Lunga Notte. La produzione dovrebbe iniziare già da Febbraio 2019, con i set collocati perlopiù a Belfast ed in altri territori dell’Irlanda del Nord. La showrunner designata a questa nuova saga è Jane Goldman che nel suo curriculum da produttrice vanta titoli come Kick-Ass, X-Men e Kingsman.

Nulla è stato invece rivelato sul cast e le poche informazioni sulla trama derivano ancora dal lancio pubblicitario della serie pubblicato mesi fa che recitava: “Ambientata migliaia di anni prima degli eventi di Il trono di Spade, la serie racconta la discesa del mondo dall’età dell’oro degli eroi all’ora più buia. E una sola cosa è certa: gli orribili segreti della storia di Westeros e la vera origine degli Estranei e i misteri dei leggendari Stark non è la storia che pensiamo di conoscere”. Su questo ampio periodo temporale gli spunti dati dai romanzi di George R. R. Martin di sicuro non mancano.

FONTE: Comicbook

Guardiani della Galassia: Glenn Close parla del suo rapporto con James Gunn

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L’esperienza nel mondo degli Avengers per Glenn Close sembra essersi conclusa già con Infinity War, ma non è ancora detta l’ultima parola per quel che riguarda il suo personaggio nel franchise di Guardiani della Galassia. Come tutti sanno però, la saga non sta godendo di un buon momento ed è molto probabile che il terzo capitolo verrà rimandato o del tutto cancellato. L’attrice non ha perso quindi l’occasione per parlare della sua esperienza sul set dei film di James Gunn, rivolgendo al regista recentemente licenziato dalla Disney parole di stima.

Stare sul set era come tornare all’infanzia. Prima di tutto, io ho sempre voluto far parte di un film come quello ed ero felicissima quando mi hanno scelto. Ero entusiasta di dover stare in una grande sala di controllo con la guerra che scoppiava fuori. Ma mentre giravamo non c’era niente, solo un ragazzo con una pallina da tennis che mi diceva ‘Guarda la palla e immagina’. E io ho pensato: ‘Posso farlo! Posso farlo! E’ facile.’ E’ stato molto divertente e devo dire che James Gunn è stato fantastico ed adorabile”.

L’attrice ha poi aggiunto “È difficile pensare al film senza di lui, è triste e fa emergere, credo, alcuni problemi molto spinosi intorno a questo movimento. Ne parlo con tutte le donne che conosco perché vogliono sapere cosa provano. E cosa dovremo fare? Specialmente in questo caso in cui qualcuno ha potuto rovinare la vita di una persona per qualcosa che ha scritto in un contesto completamente diverso dieci o dodici anni fa? Dovremo tornare tutti dietro nel tempo ed assicurarci che tutto quello che abbiamo detto sia politicamente corretto? Chi vorrebbe vivere così? C’è qualcosa di sbagliato in questo”.

Non esponendosi direttamente contro la Disney, Glenn Close ha fatto ugualmente intuire quale sia il suo pensiero in tutta questa situazione e dove propenda il suo appoggio. Si tratta dell’ennesimo membro del cast di Guardiani della Galassia a schierarsi con James Gunn, questo però non risolverà i problemi della serie che sicuramente per il terzo capitolo non riuscirà a mantenere la data d’uscita iniziale fissata per il 2020.

Star Trek: Tarantino punta a un film vietato ai minori

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Poco si sa dello Star Trek affidato a Quentin Tarantino. Anzi, alcune voci maligne vorrebbero che il progetto non sia più in lavorazione. C’è chi invece pensa positivo per il futuro. Si tratta dell’attore Karl Urban che ha dichiarato che non solo l’iconico regista è già al lavoro sul film, ma ha chiesto anche di avere piena libertà di rating. Non si può escludere infatti la violenza dai film di Tarantino e pare proprio che sia stato lo stesso regista a porre queste condizioni alla produzione del film. Urban ha infatti affermato: “Quentin Tarantino è andato nell’ufficio di JJ.Abrams e gli ha mostrato l’idea per un film di Star Trek. So solo qualche dettaglio al riguardo, ma non dovete preoccuparvi, sarà pieno di oscenità e cose del genere. Vuole un rating R per avere più libertà. Se non è PG e qualcuno viene risucchiato nello spazio potremmo vedere qualche sbudellamento prima, questo gli da più manovra d’azione per farlo.”.

Quelle di Karl Urban sembrano parole di un vero fan, ma non rispondono al quesito se il film sia o no veramente in produzione. L’impressione è che il franchise non stia passando un bel momento: Star Trek 4 è attualmente in fase di stop in quanto gli attori principali Chris Pine e Chris Hemsworth potrebbero non tornare a causa di un problema legato al loro compenso. Su i personaggi interpretati dai due (James T. Kirk e George Kirk) era stata costruita l’intera sceneggiatura, quindi sarà difficili allestire un set senza la loro partecipazione. Per quanto riguarda Tarantino, l’autore è al momento impegnato nelle riprese di Once Upon Time in Hollywood, ma c’è ancora la speranza che il prossimo anno riprendi in mano anche il progetto Star Trek.

FONTE: ScreenRant

Dave Bautista non ha paura di essere licenziato dalla Disney

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Sembra essere infinita la storia d’odio tra Dave Bautista e la Disney. Dopo l’intervista in cui l’attore ha continuato a difendere a spada tratta James Gunn anche dopo il licenziamento da Guardiani della Galassia 3 e le dichiarazioni in cui non si diceva sicuro di voler continuare il suo rapporto con la Disney, arriva ora un’ulteriore dichiarazione di intenti che pare lanciare una vera e propria sfida. “Ovviamente sono preoccupato che questo possa costarmi un lavoro al quale tengo ma allo stesso tempo è una questione di integrità, di lealtà. Non ho alcuna intenzione di stare qui a zittirmi, questo è come sono io come persona. Ho provato a selezionare il più possibile quello che dicevo e come lo dicevo. Non devo apparire irrispettoso a tutti i costi, ma devo comunque avere la possibilità di poter dire ciò che penso sia nella testa che nel cuore. Sono stato una persona onesta”.

E come se non bastasse poi ha aggiunto: “Sarà quel che sarà, se ci rimetterò il lavoro andrà bene comunque. Non si può minacciare con la povertà un uomo che è già povero. Sono cresciuto povero e so cosa significa. Non mi preoccupa perdere dei soldi, non valgono niente per me. Sono disposto a tornare a fare wrestler nei cortili davanti a 10 persone se costretto a fare qualcosa per vivere. Non ho intenzione di piagare la mia integrità“.

La Disney continua a rimanere in silenzio stampa su queste dichiarazioni anche se l’intero web sta empatizzando sempre di più con Bautista e si sta schierando dalla parte degli attori che già dai primi minuti della vicenda hanno offerto il loro appoggio pubblicamente a James Gunn. Le tempistiche per far uscire Guardiani della Galassia 3 nel 2020, come previsto, sono ormai scadute, ma con queste premesse è in pericolo l’intero futuro del franchise.

FONTE: Comicbookmovie

La Quietud: recensione del film di Pablo Trapero

La Quietud: recensione del film di Pablo Trapero

La selezione fuori concorso di Venezia 75 si arricchisce di un nuova opera diretta da Pablo Tapero che, con il suo La Quietud, si interroga sull’amore, sui legami affettivi e soprattutto sulla famiglia.

La vita tranquilla di una famiglia nella tenuta de La Quietud, in Argentina, vicino Buenos Aires, viene scossa da un evento tragico. A seguito del doppio ictus subito dal capofamiglia, Eugenia (Berenice Bejo), la figlia maggiore, decide di tornare a casa da Parigi per stare vicino a sua madre e a sua sorella minore Mia (Martina Gusman). La malattia del padre, ormai in uno stato comatoso irreversibile, e la convivenza forzata delle tre donne ripoteranno alla luce vecchi dissapori e la facciata di famiglia perfetta si sgretolerà piano piano rivelando alcune scomode verità.

La Quietud

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Vincitore tre anni fa del Leone d’Argento per la regia del suo El Clan, il regista Pablo Trapero torna a Venezia presentando stavolta un interessante melodramma familiare pieno di mistero e sensualità. Utilizzando l’improvvisa malattia del padre come espediente narrativo, Trapero si sbarazza di fatto dell’unica importante figura maschile di tutta la storia, lasciando che siano solo le donne a condurre il gioco.

Si parla di famiglia e di segreti nascosti per decenni che inevitabilmente hanno influenzato il rapporto delle figlie con i propri genitori. Mentre il padre sembra avere un legame speciale con la figlia minore Mia, la maggiore Eugenia, è di fatto la cocca di mamma. Ma a sorprendere e un tantino inquietare lo spettatore è il rapporto d’affetto morboso e quasi incestuoso delle due sorelle; la vicinanze delle due ragazze, incredibilmente somiglianti, sembra quasi voler sopperire alla mancanza di stabilità emotiva. Sin dalle prime scene, infatti, si avverte che l’immagine della famiglia felice, benestante e perfetta è in realtà solo un castello di carte pronto a volar via alla prima folata di vento. E il vento non tarda a arrivare!

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La quietud Berenice Bejo

Il regista Pablo Trapero è incredibilmente bravo a costruire, insieme a Alberto Rojas Apel, una sceneggiatura semplice ma dal ritmo sostenuto che svela i segreti della famiglia de La Quietud a piccole dosi. Lo spettatore, intrigato dall’alone di mistero che sembra avvolgere i personaggi, non può fare altro che continuare a seguire la storia. Nonostante si tratti di un ‘melodrammone’ familiare molto più adatto al piccolo che al grande schermo, il film di Trapero affascina e si lascia seguire dall’inizio alla fine.

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità: recensione del film di Julian Schnabel

È stato presentato in Concorso a Venezia un film che può rispecchiarsi pienamente nella dicitura “Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica”. È Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità (At Eternity’s Gate)di Julian Schnabel, un film sull’arte e su un artista, Van Gogh, realizzato da un artista contemporaneo e condotto con una freschezza e una necessità d’indagine espressiva rara da trovare oggi in un prodotto cinematografico.

Il film non è assolutamente una biografia, o una versione romanzata della vita di Vincent Van Gogh, è piuttosto una sorta di esposizione interattiva, che permette al protagonista di raccontare se stesso, le sue opere e quello che si cela dentro le sue corpose pennellate. L’opera di Julian Schnabel è un insieme di scene scaturite direttamente dai dipinti di Van Gogh, dagli eventi salienti della sua vita, storicamente accertati, ma messi a confronto con riflessioni intime, fluite dalla sua fitta corrispondenza con il fratello Theo e con Paul Gauguin. Non mancano situazioni completamente inventate, necessarie per un’analisi introspettiva, assieme a dicerie e pettegolezzi sugli aspetti più comuni della sua tormentata esistenza.

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, il film

Julian Schnabel sostiene che l’unico modo di descrivere un’opera d’arte è fare un’opera d’arte. Può apparire forse un affermazione sfrontata, ma dopo la visione struggente di At Eternity’s Gate si rimane storditi, colpiti nel profondo, intrigati, stimolati e perfino offesi; ci si rende immediatamente conto di trovarsi di fronte a un’opera che esce dai confini della sala cinematografica. Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità di Schnabel, ed è riduttivo chiamarlo film, è qualcosa di imperfetto, acerbo, plasmabile come la pittura a olio strizzata dal tubetto, ma proprio per questo risulta perfetto, giusto e necessario. Lo stesso Vincent Van Gogh disse: “Riuscire a creare qualcosa di imperfetto, di anomalo, qualcosa che alteri e ricrei la realtà in modo tale che ciò che ne risulta siano anche delle bugie, se si vuole, ma delle bugie più vere della verità letterale”. E Julian Schnabel sembra riflettere alla perfezione questa intuizione.

Van Gogh - Sulla soglia dell’eternità

Impersonato magnificamente dal volto spigoloso e dal corpo ossuto, martoriato, sudicio di Willem Dafoe, il Van Gogh di Schnabel, dipinge e disegna durante tutta la durata della storia, con dovizia di particolari e in maniera credibile, regalando allo spettatore una sensazione di intimità, di vicinanza estrema, che arriva a sfiorare il voyerismo. La macchina a mano, con ottiche sempre cortissime, è costantemente addosso al personaggio, rivelandone in maniera patologica la sporcizia e le ferite, la sensazione di freddo, la sofferenza, l’estrema povertà. In alcuni momenti sembra che lo sguardo del regista voglia andare oltre la pelle, entrare fin dentro le viscere, nel profondo delle pliche del suo cervello.

È una regia rude quella di Julian Schnabel, violenta, difficile da accettare senza capire, ma che permette di analizzare a fondo e di dare un’interpretazione personale di Vincent Van Gogh. L’utilizzo, in molte inquadrature in soggettiva, di una particolare lente con una sfocatura nella parte bassa, restituisce perfettamente la sensazione di visione-interpretazione. Il film contiene tanti altri inusuali espedienti, frutto di una complessa ricerca espressiva, che proviene altresì dall’attività di Schnabel come pittore e artista.

Anche l’idea di una macchina da presa sempre mossa, barcollante, quasi tenuta da una mano inesperta, attualizza l’osservazione, come se Van Gogh fosse li a dipingere nei nostri tempi, per finire ripreso con un cellulare per finire poi su un social network. È questa una negazione convinta della ricostruzione storica, a favore della visione sensoriale, da parte di un autore consapevole del vivere nel presente e che racconta il passato attraverso i suoi occhi.

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità è un ritratto affettuoso e violento di Vincent Van Gogh, che restituisce in maniera sincera tutta la sua genialità, circondata dall’incomprensione ottusa del tempo in cui viveva. Permette di sedersi al suo fianco, nelle campagne francesi e di intuire quel flusso espressivo che il mondo attorno a lui gli restituiva, rimanendo congelato per sempre nella corposità delle sue pennellate. Fa però provare anche tutto il dolore del sentirsi soli, incompresi, rifiutati, arrivando al punto di pensare di essere in errore, o peggio, pazzi.

Venezia 75: Julian Schnabel e Willem Dafoe presentano Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità

Venezia 75: Julian Schnabel e Willem Dafoe presentano At Eternity’s Gate

Julian Schnabel inizia dicendo che At Eternity’s Gate non è una biografia, ma un approccio sensoriale. per prepararsi ha letto le lettere, che sono state il punto di partenza del film. Ha visitato il museo d’Orsay a Parigi, per restituire la stessa sensazione di quando si osservano le opere. Voleva restituire la sensazione di accumulazione che si prova dopo essere stati in un museo.

Dice che non si può spiegare il film. Mentre si lavorava allo sviluppo della sceneggiatura si aggiungeva sempre qualcosa. Quando lui ha chiesto all’ attore che fa il pazzo di scegliere e ripetere una parola lui ha scelto “sergente”, ma di non essere sicuro di riuscire a ripeterla.  Schnabel pensa che gli attori sono come foglie al vento.

Il regista è convinto che Van Gogh sia lucido e lo dice dopo aver letto le lettere, osservando i suoi dipinti. Nel film, quando dipinge dice che smette di pensare e il dottore con cui parla gli chiede se è una forma di meditazione. È un misto tra la consapevolezza di non potere avere un rapporto con gli altri e la rassegnazione al fatto di vivere poco.

Willem Dafoe racconta di aver preso appunti per prepararsi al personaggio e di aver  letto le lettere. Anche per lui è lucido, non è in grado di conciliare le sue visioni con la realtà. La malattia è un insegnamento attraverso la quale si può guarire.

Dice di aver letto e poi ha dipinto. Il regista gli ha insegnato a dipingere e la pittura lo ha aiutato a spostare il punto di vista, capendo che è un rapporto con la natura.

Schnabel dice che ha pensato subito a Willem Dafoe, lo conosce da trent’anni, è un attore fisico che aiuta gli altri attori. Tutti gli attori presenti nel cast sono stati la prima scelta, senza ripensamenti.

Schnabel dice che in tutti i dialoghi Van Gogh è una persona diversa, si rapporta diversamente a seconda di chi è l’ interlocutore e questo succede a tutti, voleva fermamente rappresentare questa cosa. Dafoe conferma che è vero, è diverso in ogni situazione. E anche gli altri personaggi sono adattabili. Quando dipinge esce fuori l’interiorità.

Alla domanda sull’ipotesi dell’uccisione di Van Gogh o di suicidio, il regista e lo sceneggiatore rispondono che non ci sono testimonianze sulla sua morte. La pistola non è stata mai ritrovata, e risulta strano suicidarsi e poi nascondere l’arma. Ha dipinto fino all’ultimo ogni giorno, non era depresso, cupo. Nel film inoltre si dice che gli appunti potrebbero essere veri ma non è una certezza. La persona che ha aiutato nelle ricerche, di enorme esperienza e credibilità, non aveva certo bisogno di notizie sensazionalistiche. Schnabel sostiene che il punto non è se si è trattato di suicidio. Ma le sue ultime parole sono state: non dare la colpa a nessun altro.

È stato chiesto se la conversazione con il prete su Gesù sia reale e se Van Gogh si considerava Gesu.

Schnabel dice che era molto religioso e conosceva benissimo la bibbia, per lui Gesù era un grande lavoratore e in questo sicuramente si identificava con lui. Ma nessuno era presente durante quella conversazione. È bello che dica che anche di Gesù si è cominciato a parlare trent’anni dopo la morte.

Domingo: recensione del film di Clara Linhart

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Domingo: recensione del film di Clara Linhart

Presentato in Concorso alle Giornate degli Autori Domingo è il nuovo film di Clara Linhart che si incarica di raccontare la borghesia brasiliana, fotografandola in un momento storico-politico particolarmente importante e di grande cambiamento.

La trama di Domingo

Nel 2003, mentre il Brasile celebra l’elezione del nuovo presidente Lula, due famiglie della classe media si riuniscono nel giardino di una vecchia casa cadente per un churrasco (barbecue). Sembra una domenica come tante, ma i cambiamenti politici in corso preoccupano la matriarca Laura, che teme di veder scomparire i suoi averi.

I tanti personaggi, le dinamiche familiari, i piccoli intrighi, le gelosie, ma anche le diverse età della vita, gli amori, le paure, i rapporti di forza tra vecchio e nuovo. La regista mette tutto al centro di questo tavolo da barbecue, in questa casa di campagna, mentre si celebra l’anno nuovo, il nuovo presidente (non tutti ne sono felici, certo) e i 15 anni della pupilla di casa.

Domingo racconta momenti molto esilaranti, al limite della credibilità, tuttavia il tema politico che voleva essere centrale nelle intenzioni si riduce a un paio di momenti raffazzonati, come i confronti tra la padrona di casa, scettica per l’elezione del nuovo presidente, e la domestica che, appartenente a una classe meno abbiente, è contenta per l’aria di cambiamento che il paese sta per accogliere. Un tentativo in cui nemmeno la regista sembra credere più di tanto.

Box Office ITA: Hotel Transylvania 3 sempre in testa

Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa regge in testa al box office, seguito dalle new entry Mission: Impossible – Fallout e Resta con me.

box officeIl primo fine settimana di settembre vede il film d’animazione battere il nuovo Mission: Impossible.

Infatti Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa conferma la prima posizione della scorsa settimana incassando 2,3 milioni di euro e arrivando a ben 8,6 milioni.

Così Mission: Impossible – Fallout si accontenta di un debutto in seconda posizione con 1,9 milioni di euro (2,2 milioni nei cinque giorni) incassati in 615 sale disponibili, registrando un’ottima media per sala pari a 3100 euro.

Resta con me apre al terzo posto con 1 milione di euro in 318 sale a disposizione, totalizzando 1,3 milioni grazie alle anteprime estive.

La new entry Ritorno al bosco dei 100 acri esordisce incassando 649.000 euro, mentre Come ti divento bella perde due posizioni raccogliendo altri 522.000 euro con cui giunge a 1,6 milioni globali.

Seguono pellicole in calo, ossia Ant-Man and the Wasp (396.000 euro) e Shark – Il primo squalo (258.000 euro), giunti rispettivamente a 4,4 milioni totali e 4,7 milioni complessivi.

Mary Shelley esordisce in ottava posizione con 173.000 euro incassati in ben 183 sale, seguito dalla new entry Don’t Worry, che apre con 130.000 euro.

Chiude la top10 La Settima Musa, che con altri 83.000 euro totalizza 457.000 euro.

Guardiani della Galassia Vol. 3: Dave Bautista potrebbe non esserci

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Qualche giorno fa avevamo parlato dell’intervista in cui Dave Bautista dichiarava il suo profondo affetto per James Gunn e del suo sconcerto per quello che stava succedendo alla lavorazione di Guardiani della Galassia 3 dopo il licenziamento del regista da parte della Disney. Oggi fanno discutere le parole con cui ha risposto ad una domanda al The Jonathan Ross Show dove si sente dire chiaramente: “Ad essere onesto con te io non so se voglio ancora lavorare per la Disney.”. Kevin Hart, ospite della stessa puntata, ha provato a smorzare i toni della conversazione ma Bautista chiude il dibattito con un esemplare: “Io non sono il classico ragazzo di Hollywood.”.

Quello che è certo è che Dave Bautista per l’universo Marvel ha già girato Avengers 4 ma ancora si è detto incerto sul futuro di Guardiani della Galassia 3. Questo tentennamento nella gestione della lavorazione di quest’ultimo episodio sta diventando così grave che rischia di ostacolare l’intero futuro dell’universo e, stando sempre alle dichiarazioni dell’ex wrestler, in qualche modo lo avrebbe già fatto. Sul set delle riprese aggiuntive di Avengers, infatti, ci sarebbero stati dei cambiamenti di storyline proprio dovuti all’incertezza della prosecuzione o meno delle avventure dei guardiani.

Ricordiamo che oltre a Dave Bautista anche il resto del cast si è schierato con James Gunn, dichiarandosi disturbato del comportamento tenuto dalla Disney. Al momento nessuno di loro, però, ha minacciato di non prendere parte ad un eventuale terzo capitolo. Rimane tutto da capire come la casa di produzione deciderà di gestire la produzione, difficilmente comunque riuscirà a mantenere le tempiste programmate che vedevano l’uscita del film nel 2020.

FONTE: Deadline

Pretty Little Liars: 10 cose che non sai sulla serie e il cast

Pretty Little Liars: 10 cose che non sai sulla serie e il cast

Pretty Little Liars ha intrattenuto e appassionato per ben sette stagioni il pubblico di tutto il mondo. Una serie di mistero rivolta ad un pubblico di ragazze, la storia delle quattro amiche Emily, Hanna, Aria e Spencer è piena di mistero, segreti, intrighi e stile.

E intanto, cosa non sapete sulla serie tv? Ecco dieci curiosità sulla serie, e dove vederla in streaming in Italia, per un bel ripasso prima dell’arrivo dello spin-off Pretty Little Liars: The Perfectionists.

Pretty Little Liars: curiosità

pretty little liars

1. Nella serie ci sono A nascoste ovunque sul set. “L’intero set, a volte, aveva la forma di una A” ha raccontato Jakub Durkoth, uno dei production designer che ha lavorato alla serie dalla stagione tre alla stagione sette, “A volte, le planimetrie avevano la forma di una A, le travi avevano la forma di una A, a volte creavamo delle ombre con le travi a forma di A, per creare la forma di una A sul pavimento.

2. Alcuni set della serie sono quelli usati per Gilmore Girls. Come? Sia Gilmore Girls che Pretty Little Liars sono stati girati nel Warner Bros. Midwast Street Lot. Ovviamente, i set sono stati rifatti: il ristorante di Luke è diventato l’Apple Rose Grille, e il portico delle Gilmore è diventato quello di Emily.

3. Ashley Benson ha suggerito la canzone della sigla di Pretty Little Liars. È diventata una canzone oramai iconica, Secret delle The Pierce. Calza a pennello la serie, ma non fu scritta appositamente. Fu infatti Ashley a sentire la canzone per prima, e pensò immediatamente che fosse perfetta per la serie.

Da quale romanzo è tratta la serie tv?

4. L’autrice di Pretty Little Liars, Sara Shepard, si ispirò alla storia di una vicina che fu rapita. “Da piccola avevo una vicina, una donna dell’età di mia madre, che era stata rapida da ragazzina” ha raccontato a Cosmopolitan, “Credo che mia madre fosse affascinata [dalla cosa]. Veniva sempre da me e mi sussurrava ‘Lo sai che la vicina è stata rapita da giovane?’ In seguito, mi trasferii a Philadelphia e qui avevo un’altra amica che fu rapita, e non ne parlava mai. E quindi, ho sempre avuto paura di essere rapita. Mi ricordo che pensavo: ‘Cosa succede quando qualcuno ti prende? Cosa succede dopo?’”

5. Il fato di Toby è rimasto in sospeso per un bel po’. Come ha raccontato Troian Bellisario, che interpreta spencer, Toby si suicida nel secondo libro di Pretty Little Liars. “Abbiamo fatto entrare questo personaggio nel cast, e di parlava di cose come ‘Le cose andranno come previsto?’ Ma il pubblico lo amava così tanto, voleva che restasse.

Pretty Little Liars: cast

6. Sasha Pieterse, AKA Alison, aveva dodici anni quando divenne parte del cast di Pretty Little Liars. Nelle interviste, si allude al fatto che lei abbia un po’ mentito sulla propria identità per ottenere la parte. Quando, però, i pezzi grossi di PLL realizzarono quanto fosse giovane, era oramai troppo tardi: avevano già girato il pilot.

7. Originariamente, Ashley Tisdale doveva fare parte del cast del cast. Ebbene sì. Decise però di rinunciare allo show, per recitare in un’altra serie, Hellcats. Questa serie parlava di cheerleader e, purtroppo per Ashley, fu cancellata dopo una stagione.

8. Il cast avrebbe potuto essere molto diverso. Shay Mitchell, infatti, fece il provino per il ruolo di Spencer hasting, e Sasha Pieterse fu presa in considerazione per il ruolo di Hanna Marin. Lucy Hale, poi, era inizialmente interessata inizialmente alla parte di Hanna.

9. Per Pretty Little Liars, al cast fu richiesto di mantenere un certo aspetto. Nel suo libro autobiografico Odd Birds, Ian Harding, ovvero Ezra, ha rivelato di essere stato obbligato per contratto ad avere lo stesso taglio di capelli e a rasarsi il petto sin dalla stagione uno.

10. Ashley Benson ha avuto l’idea dei tatuaggi coordinati per il cast della serie. Nessuna (delle Liars) erano entusiaste dell’idea, all’inizio” ha raccontato Ashley, “Poi, quando stavamo per finire, io dissi tipo ‘Io mi faccio un tatuaggio, chiunque voglia unirsi…’. A quel punto, tutte decisero che erano d’accordo. Ma c’era tutta la questione del cosa farsi… Io ho pensato, facciamo semplicemente le prime lettere dei nostri nomi. (…) Loro volevano farselo sulla caviglia o in altri posti, e io amo i tatuaggi sulle dita, e ho pensato che sarebbe stato bello se avessimo fatto il dito che fa ‘shhh’”.

Pretty Little Liars: streaming Italia

Dove vedere Pretty Little Liars in Italia in streaming? La serie è stata trasmessa sui canali Mediaset, e ora è disponibile in streaming su Netflix Italia.

Fonti: Seventeen, Cosmopolitan

Venezia 75: presentato La profezia dell’Armadillo, dal fumetto di Zerocalcare

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La profezia dell’Armadillo, film diretto da Emanuele Scaringi e basato sull’omonimo fumetto di Zerocalcare, è stato presentato alla Mostra di Venezia 2018 nella sezione Orizzonti. A parlarne è intervenuto Domenico Procacci per Fandango, produttore, il regista Emanuele Scaringi, e il cast al completo guidato dall’armadillo Valerio Aprea, con Simone Liberati (Zero) e l’ottimo Pietro Castellitto (Secco).

“Un’elaborazione del lutto con il tono della commedia” così Emanuele Scaringi esordisce, parlando del fumetto e dell’adattamento a cui ha lavorato. Il progetto ha avuto una fase di organizzazione molto complessa: doveva essere l’esordio alla regia di Valerio Mastandrea, che compare tra gli sceneggiatori del film, insieme a Johnny Palomba, Oscar Glioti e allo stesso Zerocalcare, ma l’attore romano è poi stato risucchiato a un progetto che uscirà in autunno e che rispecchiava di più le sue intenzioni.

Per Simone Liberati, il protagonista, la responsabilità era quella di interpretare Zerocalcare: “Era questa la sfida, l’insidia maggiore, poi però mi sono sentito di svincolarmi da tutte le aspettative derivanti dal fumetto popolare e apprezzatissimo dal pubblico. Non volevamo banalizzare il racconto e alla sua complessità. Quando poi ho comicniato a sentirsi sempre più ansioso, come il personaggio, ho capito che sarebbe stata questa la direzione giusta.”

La profezia dell'ArmadilloValerio Aprea ha indossato l’armatura dell’armadillo, confessando di essersi sentito addosso una responsabilità enorme, facendo un esempio dalla sua esperienza personale: “Io sono grande amante di Asterix e Obelix, e quando vidi per la prima volta un cartone animato di quel fumetto, rimasi turbato anche solo dalla voce dei personaggi. Per cui capisco perfettamente la responsabilità di portare in vita un fumetto così famoso e amato. Spero di non fare la fine dell’attore che ha interpretato Jar-Jar Binks in Star Wars.”

Sulla struttura apparentemente frammentata del film, Emanuele Scaringi ha dichiarato che lo sforzo è andato nella direzione di provare a ottenere una storia più fluida in contrapposizione alle strisce a fumetti, la verità è che la storia è esile e che il film funziona “per associazione emotiva con quello che provano i personaggi, più che per lo svolgersi di azioni”.

La profezia dell’Armadillo uscirà distribuito da Fandango il 13 settembre in circa 150 copie.

Venezia 75: Saverio Costanzo presenta L’Amica Geniale, la serie tratta da Elena Ferrante

La collaborazione tra Hbo-Rai Fiction e Timvision, con a Lorenzo Mieli, produttore con Mario Gianani per Wildside (insieme a Domenico Procacci per Fandango) porta sullo schermo L’Amica Geniale, la serie basata sulla tetralogia di Elena Ferrante, che ha partecipato in prima persona al lavoro di adattamento e di costruzione della serie. Saverio Costanzo , regista della seria, ha parlato del lavoro di adattamento e di cosa ha reso L’Amica Geniale il successo mondiale che l’ha fatta girare in tutto il mondo.

Ma come si lavora con una persona che nasconde la sua identità? Quello di Elena Ferrante è infatti ancora un mistero, un genio della narrativa italiana di cui non si conosce nulla, soltanto un nome, forse fittizio, e la sua incredibile capacità di raccontare. La Ferrante ha portato avanti un fitto scambio di e-mail con Saverio Costanzo, regista che ha diretto la serie ed è “stata molto vicina al progetto e fin dall’inizio è stata una specie di sorvegliante dei libri e di questo tentativo di fare la migliore trasposizione possibile.”

La scrittrice ha quindi collaborato con mente aperta, per il bene dell’adattamento nel rispetto dei suoi romanzi, riponendo grande fiducia nel regista. Il lavoro è stato quello che si fa per un film e il risultato è un insieme di voci, quella dei libri e della grande autrice, ma anche quella dell’autore che era stato chiamato a dirigere.

In merito alle altissime aspettative che tutti ripongono nella serie, Saverio Costanzo ha commentato: “Il mio coinvolgimento in quest’avventura è merito di Elena Ferrante. Avevo letto la tetralogia e non avrei mai pensato di realizzare una serie, ma quando mi è stato proposto non ho avuto nessuna esitazione, perché un regista per riuscire a trovare l’orientamento e decidere se raccontare o meno una storia, deve prima decidere se il nucleo, il cuore di quel racconto somiglia a quello che lui può mettere in scena. Sin dai primi libri di Elena, ho sentito che tra di noi c’era una condivisione di idee e di rappresentazione, un’ostinazione alla ricerca pericolosa di una verità drammaturgica. Il fatto che fosse un progetto molto ampio non mi ha spaventato perché io avevo un nucleo piccolo da salvaguardare e quello non mi avrebbe fatto smarrire. Più che come una responsabilità, ho vissuto il mio lavoro a questo progetto come un privilegio.”

l'amica geniale“Il successo di un’opera è il risultato di tantissimi elementi – ha poi continuato Costanzo, in merito al successo planetario de L’Amica GenialeQuesta è la storia di un’amicizia epica, ma non basta, una storia che dal locale si spinge all’esterno, all’universale, ma nemmeno basta, una storia sull’educazione, ma nemmeno basta questo. Il romanzo di Elena Ferrante riesce a raccogliere una coerenza interna alla storia che le permette di potersi avvicinare al tutto, ovvero raccontare un universo-mondo, ma rimanere molto coerente a quel famoso nucleo. Questo è un miracolo letterario drammaturgico e un’occasione per noi che avevamo questo materiale di partenza. Si potrebbe dire che il successo viene dai sentimenti raccontati. In realtà è anche una storia che trova il suo innesco nel personaggio della maestra di scuola elementare, dunque si può dire che una maestra ti cambia la vita. E in questo concetto si trova la modernità dell’opera, perché L’amica geniale è un’opera profondamente politica e nel momento in cui incontri una maestra, la straordinaria Dora Romano, può cambiare la vita di due bambine ti accorgi sia del valore dell’educazione nella formazione dell’anima di una persona, il valore della conoscenza e ti accorgi attraverso i sentimenti che stai guardando un’opera contemporanea.”

In merito invece alla messa in scena della serie, vista nelle prime due puntate mostrate alla Mostra, Saverio Costanzo ha dichiarato: “Elena Ferrante è molto precisa nelle descrizioni e la soggettività del lettore riempie le facce con la sua storia personale. Ma avendo una matrice così coerente io sapevo esattamente cosa cercare. Cone le quattro attrici protagoniste è stato così, quando le ho viste sapevo che erano loro.”

Venezia 75: Dragged Across Concrete con Mel Gibson fuori concorso

Sarà presentato fuori concorso a Venezia 75 Dragged Across Concrete, il film di  S. Craig Zahler, e con Mel Gibson, Vince Vaughn, Tory Kittles, Michael Jai White.

Nel film due ispettori di polizia vengono sospesi dal servizio quando viene diffuso dai media un video che mette in luce i loro metodi violenti. Male in arnese economicamente e senza alternative, gli amareggiati poliziotti iniziano la loro discesa nel mondo della criminalità dove, ad attenderli nell’ombra, trovano più di quanto immaginassero.

Il regista ha commentato: Volevo fare un poliziesco carico di suspense interpretato da un cast corale, sull’esempio di Prince of the city (Il principe della città), Taxi driver, Dog day afternoon (Quel pomeriggio di un giorno da cani), Sweet smell of success (Piombo rovente). Mel Gibson è Ridgeman, il poliziotto istintivo e amareggiato. Vince Vaughn è il magistrale antagonista. L’acuto e carismatico Tory Kittles e il poliedrico Michael Jai White vestono i panni delle controparti malavitose. La bravissima Jennifer Carpenter è un altra importante tessera del mosaico. La fiducia riposta dal cast nella mia sceneggiatura e regia, insieme all’affidabilità del direttore della fotografia Benji Bakshi, mi hanno aiutato a dirigere questa articolata produzione e a realizzare un film che sono entusiasta di mostrare in anteprima a Venezia.

House of Cards: Robin Wright racconta come ha salvato la serie

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House of Cards: Robin Wright racconta come ha salvato la serie

Come molti sapranno, House of Cards si chiuderà con la sesta stagione composta da soli otto episodi e senza il suo protagonista: Kevin Spacey. Le accuse fatte contro di lui lo scorso anno dall’onda travolgente del #metoo hanno decretato il suo licenziamento e l’allontamento immediato da ogni set. L’ultimo atto della fortunata serie Netflix sarà quindi affidato completamente alla sola protagonista femminile Robin Wright, di cui una recente intervista a Porter rivela il ruolo fondamentale che ha assunto in questi mesi difficili.

La serie è stata molto, molto vicina alla cancellazione per la situazione che si è venuta a creare” ha dichiarato l’attrice “La gente molto spesso diceva: ‘Dobbiamo chiudere altrimenti daremo l’impressione di star esaltando o premiando un comportamento sbagliato!’. Ma io ero convinta che avremo dovuto darle un finale e portare a termine gli impegni presi in questi anni. Lo dovevamo anche alle persone che hanno amato la serie.”.

La Wright racconta quindi di aver incontrato in prima persona i dirigenti di Netflix alla fine del 2017 per trovare una soluzione al fine di non cancellare l’intero show. Oltre al dispiacere artistico di non portare a termine un progetto, l’attrice era seriamente preoccupata del lavoro dei suoi colleghi di set. Secondo alcune stime, riportate da lei stessa, con l’interruzione della lavorazione di House of Cards 600 persone avrebbero perso il posto, senza considerare tutti i collaboratori esterni che ogni giorno lavorano su un set cinematografico. Così, sebbene con un numero di puntate limitato, Claire Underwood cercherà di dare un finale dignitoso ad una delle produzioni televisive che ha cambiato la storia del piccolo schermo.

Il cavaliere oscuro: quale canzone Nolan non ha voluto per il trailer?

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Il cavaliere oscuro, secondo capitolo della trilogia su Batman di Christopher Nolan, sta per compiere dieci anni. E pensando oggi a quel film tra le cose che potrebbero venire in mente a molti c’è sicuramente la grande musica di Hans Zimmer che, come spesso accade, ha fatto un lavoro ineccepibile sulla colonna sonora. Le note del compositore furono usate anche per il trailer del film, ma uno degli sceneggiatori aveva proposto qualcosa di diverso. Si tratta di Jonathan Nolan, fratello del regista, che per la pubblicità al film aveva pensato ad una musica più popolare: Paint it Black dei Rolling Stones.

L’idea, racconta Jonathan in una recente intervista, fu del tutto bocciata dal fratello: “Sono anni che lavoro al cinema con mio fratello e lui non è stato mai entusiasta all’idea di usare musica popolare nei film. Il risultato della musica che produce con Hans era così bella e costruita appositamente per ogni sequenza che non aveva bisogno di altro aiuto, ma gli ho sempre suggerito qualche tipo di canzone che ascoltavo mentre scrivevo. Per esempio per anni ho provato a convincere Chris ad utilizzare Paint it Black per un trailer dei nostri Batman. È una canzone iconica ma è stata già utilizzata prima, capisco perché l’idea non lo ha interessato.”.

L’intera filmografia di Christopher Nolan, infatti, è fatta di musica completamente originale e utilizzare, anche solo per il trailer, una canzone così popolare avrebbe distolto l’attenzione sulle immagine e sulla bellezza della colonna sonora di Zimmer. Alla fine anche Jonathan l’avrà capito.

FONTE: Cinebook

Joker: ecco quale ruolo avrà l’attore Marc Maron

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Le riprese del tanto atteso Joker di Todd Phillips stanno per iniziare ed alcuni dettagli cominciano quindi a diventare più chiari. Come quello riguardante il ruolo di Marc Maron che poche settimane fa aveva annunciato il suo ingresso nel cast del film. Il sempre aggiornato ThatHashtagShow rivela che la star, conosciuta sul piccolo schermo per il suo ruolo in GLOW, interpreterà il produttore di un talk show presentato dal personaggio impersonato da Robert De Niro. L’attore, sempre secondo la fonte, avrà scene esclusivamente legate a questo programma televisivo e quindi non avrà una partecipazione così attiva nella storyline principale del Joker interpretato da Joaquin Phoenix.

Marc Maron aveva annunciato la sua entrata nel cast del film con queste parole entusiaste solo pochi giorni fa: “E’ vero gente, signori e signori è vero, sono stato aggiunto al cast del nuovo film sul Joker diretto da  Todd Phillips e con Joaquin Phoenix e Robert De Niro nel cast. Due dei migliori attori che abbiano mai abbellito uno schermo. Questo è il film di cui farò parte, spero venga apprezzato perché, onestamente, la sceneggiatura  è davvero grande. Ecco, ora lo sapete!”.

Nessun altra rivelazione invece per ciò che riguarda i ruoli ancora da assegnare. Come quello di Thomas Wayne, rimasto vagante dopo l’abbandono del progetto da parte di Alec Baldwin. Altri nomi confermati quello di Bryan Callen, Zazie Beetz, in trattative Frances Conroy per il ruolo della madre di Joker.

Il Trono di Spade: Nikolaj Coster-Waldau parla del finale

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Il Trono di Spade: Nikolaj Coster-Waldau parla del finale

Manca ancora molto alla messa in onda dell’ottava e ultima stagione di Il trono di Spade, che non apparirà sul piccolo schermo prima della primavera 2019. Gli attori però hanno ultimato le riprese e c’è chi parla già della serie in tono malinconico. Si tratta di Nikolaj Coster-Waldau, interprete di Jaime Lannister, che ancora non si riesce a capacitare come il suo personaggio e quello della sorella Cersei (Lena Headey) siano arrivati fino alla stagione conclusiva.

È stata una sorpresa” ha detto l’attore “Ogni volta che ricevevamo la sceneggiatura pensava ‘Ok, probabilmente sarà questa l’ultima’. Ma no. I ragazzi Lannister sono arrivati fino alla fine”. Sull’ultima stagione ha poi dichiarato: “Ho scritto agli autori quando ho finito di leggere la sceneggiatura e ho subito detto loro: ‘Non penso che avreste potuto fare di meglio per porre fine a questa storia’. Per me è stato molto soddisfacente e anche molto sorprendete, tutte cose che speravo. Ha tutto molto senso, non è come in quelle storie in cui l’assassino si rivela all’improvviso all’ultimo atto e tu pensi ‘Oh, non l’ho visto arrivare’. Qui hanno fatto davvero un ottimo lavoro!”.

Da queste parole si potrebbe forse leggere tra le righe che i Lannister sopravvivranno fino alla fine, arriveranno quindi all’episodio finale e magari fino alla conclusione dell’intera serie. Quello che è certo al momento è che l’attore è rimasto davvero soddisfatto del finale, speriamo che lo possano essere anche gli spettatori.

FONTE: Comicbook

Venezia 75: oggi At eternity’s Gate con Willem Dafoe

Venezia 75: oggi At eternity’s Gate con Willem Dafoe

Oggi sarà presentato in concorso a Venezia 75 At eternity’s Gate, il film diretto da Julian Schnabel con protagonisti Willem Dafoe, Rupert Friend, Oscar Isaac, Mads Mikkelsen, Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Niels Arestrup.
 

Questo film è un insieme di scene ispirate a dipinti di Vincent Van Gogh, eventi della sua vita comunemente accettati come fatti realmente accaduti, dicerie e scene completamente inventate. Il fare arte dà l’opportunità di realizzare qualcosa di concreto, che esprime una ragione di vivere, se esiste una cosa simile. Nonostante tutta la violenza e le tragedie sofferte da Van Gogh nella sua esistenza, non c’è dubbio che abbia vissuto una vita caratterizzata da una magica, profonda comunicazione con la natura e la meraviglia dell’essere. L’opera di Van Gogh è fondamentalmente ottimista. Le convinzioni e la visione alla base del suo singolare punto di vista rendono visibile e fisico ciò che è inesprimibile. Sembra essere andato oltre la morte, incoraggiando gli altri a fare altrettanto.

Questa non è una biografia del pittore realizzata con precisione scientifica. È un film sul significato dell’essere artista. È finzione, e nell’atto di perseguire il nostro obiettivo, se tendiamo verso la luce divina, potremmo addirittura incappare nella verità. L’unico modo di descrivere un’opera d’arte è fare un’opera d’arte. “Riuscire a creare qualcosa di imperfetto, di anomalo, qualcosa che alteri e ricrei la realtà in modo tale che ciò che ne risulta siano anche delle bugie, se si vuole, ma delle bugie più vere della verità letterale”.
(Vincent Van Gogh).

Aquaman: Zack Snyder nei crediti del film

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Aquaman: Zack Snyder nei crediti del film

Il rilascio dell’ultimo poster di Aquaman ha rivelato un dettaglio che potrebbe essere molto gradito dai fans: Zack Snyder compare tra i crediti del film. Il regista è stato infatti inserito nella lista dei produttori esecutivi insieme alla moglie Deborah Snyder. Questa presenza non dovrebbe essere del tutto una sorpresa, in quanto gli Snyder in questi ultimi anni sono stati fondamentali nella prosecuzione dell’universo espanso DC. Solo come regista Snyder ha firmato per la casa L’uomo di acciaio, Batman V Superman: Dawn of Justice e Justice League, mentre come produttore compare anche in Suicide Squad e Wonder Woman. Inoltre è stato proprio lui a scegliere Jason Mamoa come protagonista del film.

Zack è qualcuno che veramente mi ha salvato la vita. Questa opportunità è arrivata solo grazie a lui. Quindi se ti piace Aquaman puoi tranquillamente ringraziare Zack Snyder all’istante, perché niente sarebbe accaduto se non fosse stato per lui.” ha detto l’attore. Parole simili sono state pronunciate anche dalla controparte femminile Amber Heard che all’inizio di quest’anno diceva: “Zack mi ha portato ad essere una regina guerriera.”.

Aquaman sarà diretto da James Wan, al suo esordio nel mondo dei cinecomic, ed oltre ai due attori sopracitati vedrà nel cast anche Willem Dafoe, Yahya Abdul-Mateen II, Tamuera Morrison, Nicole Kidman e Patrick Wilson. Il film uscirà nelle sale USA il prossimo 21 Dicembre mentre in Italia bisognerà attendere il 1 Gennaio 2019.

FONTE: Comicbook

Wonder Woman 1984: Robin Wright ci sarà

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Wonder Woman 1984: Robin Wright ci sarà

Arriva in queste ore, grazie ad un’intervista rilasciata alla stessa attrice a Porter, una notizia davvero inaspettata per chi ha amato la Wonder Woman di Patty Jenkins. Nel prossimo capitolo, Wonder Woman 1984, ci sarà anche Robin Wright nei panni di Antiope. Il primo episodio non si era chiuso affatto bene per questo personaggio e la sua storyline sembrava proprio destinata a chiudersi con un solo film della saga all’attivo, ma la Wright non solo ci sarà, ma anche girato alcune sequenze sul set insieme a Connie Nielsen che interpreta Hippolyta. Questa informazione è già molto importante per i fans, sarebbe stato forse chiedere troppo all’attrice spiegare anche il come ed il perché di un suo ritorno. Forse sarà protagonista di alcuni flashback?

Quel che è certo è che in questo episodio la protagonista Gal Gadot si troverà catapultata negli anni ’80, al centro della Guerra Fredda a combattere Cheetah, una nuova avversaria a cui Kristen Wiig ha prestato il volto. Insieme a lei le new entry del cast sono Pedro Pascal, Natasha Rottwell, Gabriella Wilde e Ravi Patel. Ritornerà a vestire invece i panni di Steve Trevor Chris Pine. Wonder Woman 1984 uscirà nelle sale a fine 2019, una data provvisoria potrebbe essere quella del 1 Novembre.

Fratelli nemici – Close Enemies: recensione del film di David Oelhoffen

Altro giorno, altro film. Dopo aver visto commedie brillanti, biopic ‘spaziali’, remake horror e film western, la 75esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia ci propone un thriller, portando sul grande schermo l’ultimo film di David Oelhoffen, dal titolo Fratelli nemici – Close Enemies, presentato in concorso.

In Fratelli nemici – Close Enemies Nati e cresciuti nei sobborghi di Parigi, Manuel (Matthias Schoenaerts) e Driss (Reda Kateb), un tempo quasi fratelli più che semplici amici, hanno poi preso strade diverse, anzi, opposte. Mentre il primo per poter sopravvivere in quel quartiere malfamato ha scelto la strada della criminalità diventando un narcotrafficante, l’altro, al contrario, è diventato un poliziotto. Ma qualcosa di terribile farà incrociare di nuovo le loro vite. In attesa di un grande carico di droga proveniente dal Portogallo da consegnare ad un certo Reyes, il SUV di Manuel viene attaccato e la sua banda sterminata. Costretto a darsi alla macchia per sopravvivere, si troverà a dover chiedere aiuto proprio al suo peggior nemico.

Freres Ennemis

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C’è chi dice che thriller e action movie siano appannaggio esclusivo degli americani. Oelhoffen, invece, con il suo Fratelli nemici – Close Enemies, si diverte a dare del filo da torcere ai suoi colleghi a stelle e strisce. Utilizzando l’ormai collauda struttura di genere, il regista imbastisce un film classico nel senso più stretto del termine. Abbiamo infatti un cattivo ragazzo dal cuore tenero che di giorno gioca a pallone con il figlio e di notte spaccia e un cattivo ragazzo che invece ha cambiato vita; non mancano inoltre droga, poliziotti, inseguimenti e tante sparatorie.

Fratelli nemici - Close Enemies

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Quella di David Oelhoffen sembrerebbe la ricetta per il perfetto thriller/action movie ma in realtà anche Freres Ennemis presenta non pochi problemi. Nonostante il genere cinematografico di appartenenza, il film in alcuni momenti sembra soffrire a causa del suo ritmo altalenante; si alternando, infatti, momenti d’azione davvero avvincenti che tengono lo spettatore incollato allo schermo ad altri invece fin troppo lenti e quasi statici. Ma a risollevare le sorti di un film tutto sommato abbastanza banale, ci pensano i due meravigliosi protagonisti; Matthias Schoenaerts è perfettamente a suo agio nel ruolo nel ruolo del cattivo in cerca di vendetta laddove Reda Kateb invece è il suo perfetto antagonista.

Fratelli nemici – Close Enemies non brilla certo per originalità sia nel contenuto che nella forma ma è un film godibile proprio per la sua semplicità, pieno di interessanti spunti di riflessione e che metterà d’accordo gran parte del pubblico in sala.

The Sisters Brothers: recensione del film di Jacques Audiard #Venezia75

Arriva in concorso a Venezia il western poetico The Sisters Brothers del regista francese Jacques Audiard. Una nuova incursione, dopo The Ballad of Buster Scruggs dei fratelli Coen, nel cuore selvaggio della frontiera americana vista con uno sguardo inusuale, divertente e commovente.

I due fratelli Charlie ed Eli Sisters sono due killer al servizio di un potente chiamato Il Commodoro. Sono molto legati tra loro, soprattutto dopo la morte del padre violento e l’allontanamento da casa. Si proteggono l’uno con l’altro, volendosi un gran bene, ma manifestandolo in modo burbero, tra scherzi, litigi e zuffe. Il loro lavoro consiste nel ritrovare persone scomode o banditi. Non esitano a uccidere, senza porsi troppe domande. Charlie in particolare, il fratello più giovane, ha una vera dote naturale per le carneficine. Eli, invece, anche se altrettanto spietato ed esperto con le armi, ha un’indole tranquilla, sentimentale e anela a una vita normale. La loro nuova missione consiste nel rintracciare e riportare indietro un chimico, detentore di una prodigiosa formula per rivelare la presenza dell’oro nei fiumi. Comincia così una spietata e movimentata caccia all’uomo, attraverso il cuore del selvaggio west, ma soprattutto  attraverso il profondo di se stessi.

The Sisters Brothers è una fiaba tenerissima e struggente, che ruota attorno al legame e ai sentimenti più intimi di due fratelli, magnificamente interpretati da John C. Reilly e Joaquin Phoenix.

È un western, perché ambientato nel selvaggio cuore dell’America dei coloni e popolato di pistoleri, mandriani, cercatori d’oro e tutta la fauna tipica da saloon, ma non è un western classico, perché rifugge tutti i canoni del genere, evitando gli stereotipi e trasformando abilmente ogni elemento di questa tipologia di racconto, per contribuire a scandagliare l’emotività e il bisogno di amore che alberga sul fondo dell’animo di ognuno, anche della canaglia più spietata.

A Reilly e Phoenix si aggiungono anche gli ottimi Jake Gyllenhaal e Riz Ahmed, rispettivamente un collega cacciatore di taglie dei due fratelli e il povero indifeso chimico geniale. Anche loro due sono perfettamente calati nel ruolo e riescono a regalare sfumature indelebili, che rimangono scolpite nel cuore dello spettatore.

Il regista Jacques Audiard, reinventa boschi, praterie, villaggi e città del selvaggio west, nel bel mezzo dell’ Europa, lavorando sapientemente tra boschi e praterie, con colori e luci, assecondando ogni mutamento di stato d’animo dei personaggi e imbastendo un’irresistibile, sanguinaria combriccola di forsennati, bisognosi solo di un briciolo di affetto e tranquillità.

Il film è pieno di invenzioni e situazioni, a volte divertenti, altre volte malinconiche, altre ancora struggenti. Ma è imprevedibile, fuori da ogni schema, scorre veloce di sorpresa in sorpresa, senza mai subire rallentamenti o indurre intuizioni legate a dispositivi narrativi ormai consolidati e stantii. Tutto questo grazie a una magnifica sceneggiatura scritta dallo stesso Jacques Audiard insieme a Thomas Bidegain. Ma il merito è dovuto anche al romanzo omonimo di Patrick de Witt da cui è tratto il film.

I meravigliosi costumi sono dell’italiana Milena Canonero, le scenografie di Michel Barthélémy, che ricostruisce sapientemente anche le strade della vecchia San Francisco e un hotel di gran lusso, fornito dei primi bagni con toilette e vasca privata.  Le musiche sono invece di Alexandre Desplat, che si allontana dagli stereotipi, per regalare una partitura dal sapore fiabesco, perfetta per sottolineare i turbamenti dei quattro protagonisti. Questi sono solamente alcuni dei creatori di questa favola western, frutto di una co-produzione di tanti paesi europei tra cui Francia, Belgio, Romania e Spagna.

The Sisters Brothers potrebbe definirsi un emo-western, che conquisterà e commuoverà anche chi non è avvezzo a tale genere, ma che certamente mostrerà il lato più tenero e nascosto del selvaggio west, finora mai raccontato così delicatamente in un film. E per gli amanti di sparatorie, bordelli e saloon… nulla da temere: tutti accontentati!

Venezia 75: Jacques Audiard presenta The Sisters Brothers

Venezia 75: Jacques Audiard presenta The Sisters Brothers

Alla conferenza stampa di The Sisters Brothers era presente il regista Jacques Audiard, lo sceneggiatore Thomas Bidegain, il compositore Alexandre Desplat, e solamente uno degli attori, John C. Reilly.

Il regista racconta che la genesi dell’idea del film parte dal libro di Patrick deWitt, da lui letto in precedenza, ma che mai avrebbe pensato di portare sullo schermo, perché ambientato nel far west, cosa della quale non è mai stato un grande appassionato. Ma quando gli è stato proposto il progetto, ha accettato con entusiasmo, con l’idea di uscire dagli schemi e di lavorare in maniera del tutto personale.

È rimasto colpito soprattutto dall’emotività dei personaggi descritti nel libro, intuendo di poter costruire lo script dando risalto soprattutto a questo. Il romanzo conteneva poi invenzioni ed elementi irresistibili, che ha voluto tenere e portare nel film. Lo reputa un romanzo di formazione, incentrato su due fratelli rimasti bloccati all’età di dodici anni e di averlo voluto trasformare in un film basato sui rapporti e sulla continua ricerca della felicità.

Audiard ha escluso nel modo più categorico di non ispirarsi a Sergio Leone o altri maestri del genere western, di non aver cercato riferimenti precisi. Non voleva fare un film western, bensì una fiaba.

Forse l’unico lontano riferimento può essere stato per lui La notte del cacciatore di Charles Laughton, film del 1955 con Robert Mitchum.

Desplat racconta di come ha cercato in tutti modi di comporre una musica da western che non fosse troppo western, cercando una via di fuga senza rimanere in trappola. Mentre Bidegain ha confermato l’impostazione e le idee di Audriard, con il quale ha scritto il film.

John C. Reilly dice di aver letto il manoscritto del libro prima della pubblicazione, rimanendo entusiasta e sognando di portare sullo schermo quel personaggio creato su misura per lui.

Ci si riconosce pienamente e trova vincente la chiave inusuale su cui si costruisce tutta la storia. Spende grandi complimenti per il suo collega Joaquin Phoenix, reputandolo un grandissimo e scrupoloso attore, ossessionato dalla verità.

Reilly ha poi scherzato sui suoi rapporti con i vari animali sul set, lamentandosi del suo cavallo che petava in continuazione e raccomandando che con i ragni bisogna restare fermi e molto calmi, soprattutto quando ti camminano sulla faccia e stanno per entrarti in bocca, come succede al suo personaggio nel film.

Jason Clarke: intervista all’attore di Il Primo Uomo

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Jason Clarke: intervista all’attore di Il Primo Uomo

Dopo Claire Foy e Damien Chazelle, ecco la nostra esclusiva intervista a Jason Clarke, tra gli interpreti di Il primo Uomo (First Man) presentato in concorso a Venezia 75.

First Man narra l’avvincente storia della missione della NASA per portare un uomo sulla Luna. Il film si concentra sulla figura di Neil Armstrong e gli anni tra il 1961 e il 1969. Resoconto viscerale e in prima persona, basato sul libro di James R. Hansen, il film esplora i sacrifici e il costo, per Armstrong e per l’intera nazione, di una delle missioni più pericolose della storia.

[brid video=”383701″ player=”15690″ title=”Jason Clarke intervista all’ di Il Primo Uomo”]

 

Il regista ha così commentato il film First Man

Prima di iniziare a lavorare a First Man, conoscevo la storia della missione sulla Luna, la storia di successo di una conquista leggendaria… ma nulla di più. Dopo avere iniziato a esplorare il tema in profondità, sono rimasto sbalordito di fronte alla follia e al pericolo dell’impresa: il numero di volte in cui è stata sull’orlo del fallimento così come il pesante tributo costato a tutte le persone coinvolte. Volevo capire cosa potesse avere spinto quegli uomini a intraprendere un viaggio nella vastità infinita dello spazio, e quale sia stata l’esperienza vissuta, momento dopo momento, passo dopo passo. E per poter capire dovevo necessariamente addentrarmi nella vita privata di Neil. Questa è una storia che doveva essere articolata tra la Luna e il lavello della cucina, tra l’immensità dello spazio e il tessuto della vita quotidiana. Ho deciso di girare il film come un reportage, e di catturare sia la missione nello spazio che i momenti più intimi e privati della famiglia Armstrong come un testimone invisibile. Speravo che questo approccio potesse mettere in luce il tormento, la gioia, i momenti di vita vissuta e perduta in nome di uno dei traguardi più celebri della storia: lo sbarco sulla Luna.

Il ragazzo più felice del mondo: recensione del film di Gipi

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Il ragazzo più felice del mondo: recensione del film di Gipi

Il ragazzo più felice del mondo potrebbe essere Francesco, un ragazzo che a 14 anni mandò una lettera a Gianni Pacinotti, in arte Gipi, per esternargli la sua devozione di fan e chiedergli un disegno. Se non fosse che Francesco, forse, non esiste, è un’identità fittizia di un amante dei fumetti, probabilmente con disturbi mentali, che per oltre 20 anni ha mandato la stessa lettera da ammiratore a moltissimi fumettisti italiani.

L’incredibile storia vera in cui si è imbattuto l’autore de La mia vita disegnata male è diventata così il pretesto per il film che Gipi ha presentato alla Mostra di Venezia 75 nella sezione Sconfini. Il progetto era quello di un documentario, in cui Pacinotti raccoglieva le testimonianze dei suoi colleghi fumettisti, oltre 50, che avevano ricevuto la stessa lettera nel corso degli anni e con tutti loro andava da “Francesco” per renderlo, appunto, il ragazzo più felice del mondo. Da una parte un’idea geniale, dall’altra il problema di come raccontarla, senza ledere la privacy di questo misterioso fan, e allo stesso tempo senza tradire la storia.

E così l’intuizione è stata quella di trasformare il “problema di come raccontare” la vicenda nel film stesso. Per farlo, Gipi ha chiesto ai suoi amici di aiutarlo, letteralmente, sprofondando finalmente nel metacinema, che tante volte ha accarezzato; il pisano si circonda di persone che sono suoi amici nella vita vera, spingendoli davanti alla macchina da presa, sullo schermo, per metterlo al centro dell’attenzione e per demolire il suo narcisismo senza ferirlo troppo in profondità (sono pur sempre suoi amici).

Gipi: intervista al regista di Il ragazzo più felice del mondo

Con il solito acume auto-critico e analitico, Gipi realizza questa stramba commedia che non manca di diventare territorio di profonda riflessione su quello che è davvero il mestiere del cantastorie, di chi vuole sottoporre il proprio mondo interiore, le proprie fantasie, le proprie storie al giudizio del pubblico e a cosa vuol dire esporre se stessi a questo rischio. Riflessione particolarmente cara a lui che in tutto il suo lavoro ha messo una parte di sé e della sua vita privata. Fama, fan, disegno, storie: il film tocca tutte le sue ossessioni ma non dimentica il gioco, la leggerezza e la risata forte e genuina che esplode dal petto, per un’intuizione brillante, o una battuta politicamente scorretta.

Davide Barbafiera, Gero Arnone e Francesco Daniele sono i coprotagonisti e gli incaricati a demolire l’ego e ad accompagnare l’amico, in quello che, nel finale, diventa un road movie anomalo, che si risolve in un lieto fine inaspettato. Con i tre co-protagonisti, sullo schermo si avvicendano anche molti volti noti del fumetto italiano, qualcuno chiamato a testimone nel ruolo di se stesso, qualcun altro che ha accettato di trasformarsi in attore per un giorno: tutti amici di Pacinotti nella vita vera. Una scanzonata compagnia che mette in scena un film disordinato, che prende tante direzioni, ne segue altre ancora, in nome dell’intuizione, della storia da seguire, e nonostante questo mantiene intatto lo spirito del suo autore, uno spirito da bambino saggio che non ha mai smesso di disegnare.

Il ragazzo più felice del mondo è Gianni stesso, perché nonostante il pericolo di esporre il suo cuore e la sua vita al mondo intero, continua a farlo per amore delle storie. E non c’è forma di devozione più rischiosa e più grande.

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