La Valigia dell’Attore
2019, sedicesima edizione, si chiude con un bilancio
estremamente positivo. Non solo per le proiezioni sempre gremite,
così come gli incontri con gli attori e registi, ma per quello che
ha raccontato. Il festival di La Maddalena celebra il lavoro
d’attore, nella memoria di Gian Maria Volonté, uno
dei più grandi interpreti di tutti i tempi. Nel venticinquennale
della morte è stato ricordato con tre film, Ogro,
Porte aperte e il restauro, magnifico, di
A ciascuno il suo. Gli hanno reso omaggio
Angela Molina, Alessandro Haber, Renato
Carpentieri. E addirittura da due libri, Gian Maria
Volonté di Mirko Capozzoli, e Gian Maria
Volonté: recito dunque sono di Giovanni
Savastano.
Ma mai come quest’anno, La Valigia
dell’Attore è stato un evento dedicato alla memoria, non solo di
Volonté, ma anche di tutto quello che ha trasmesso, culturalmente e
storicamente, alle generazioni future. Le menzioni speciali
assegnate quest’anno ad Alessandro Gazale e
Francesca Niedda, splendidi protagonisti di
Ovunque proteggimi di Bonfiacio Angius,
rappresentano il presente di questa eredità.
Il futuro è Lorenzo
Fantastichini, al quale è stato consegnato da Le isole
del cinema il Premio Volonté assegnato
postumo al padre Ennio. Il premio è stato consegnato da Gianfranco
Cabiddu, regista de La stoffa dei sogni, di cui era protagonista
Ennio. Da quel set, Cabiddu ha tratto dieci toccanti minuti di
ricordo, Ennio, attore tra cinema e teatro.
Anche Lorenzo farà l’attore, come
gli allievi del ValigiaLab, quest’anno tenuto da
Carlo Cecchi. Saranno loro il futuro del cinema,
del teatro, del festival stesso. Come Giovanni Battista
Origo, autore del cortometraggio Gong,
undici minuti di piano sequenza claustrofobico che mette alla
berlina l’intellettualismo e il politicamente corretto di una
generazione e di una classe sociale. Sette corti nel suo curriculum
e tanto talento. “Adesso, dopo tanti cortometraggi, sto
preparando due documentari e, finalmente, il mio primo
lungometraggio”. E speriamo arrivi presto.
Un festival che si è chiuso con gli
splendidi ricordi di Renato Carpentieri su Gian
Maria dal set di Porte Aperte, stimolato dalle
domande di Fabio Ferzetti, Boris Sollazzo e Fabrizio Deriu,
moderatori degli incontri del festival. “Avevo 46 anni ed
esordivo al cinema, e la prima scena della mia vita è stato un
piano a due con Gian Maria Volonté. Per concentrarmi e superare
l’ansia, mentre dicevo le mie battute ero concentrato sul suo viso.
Era perfetto, straordinario, con pochi sussulti dei muscoli del
viso mi stava trasmettendo l’essenza del suo personaggio. Quando
finimmo la scena disse a Gianni Amelio “Ma dove lo hai trovato?”,
in senso positivo. Fu una gran giornata sul set, quella”.
Vincitore del David di Donatello come migliore attore protagonista
per La tenerezza (“Dopo ho scoperto che
Valerio Mastandrea aveva scommesso su di me. Con la vincita è
andato a farsi una cena di pesce”), Carpentieri, una vita
dedicata al teatro, è stato scoperto tardi dal cinema, ma ha
recuperato in fretta. Nell’ultimo anno ha partecipato a film
importanti come La paranza dei bambini,
Momenti di trascurabile felicità e
Ride, l’opera prima proprio di Mastandrea. Ha
lavorato con registi come Mario Martone, i
fratelli Taviani, Gabriele
Salvatores, Emidio Greco e Nanni
Moretti.
La sedicesima Valigia dell’attore ha
raccontato anche tanto del nuovo cinema sardo, una realtà
importante, da Angius a Paolo Zucca che con
L’uomo che comprò la Luna si è reso protagonista
del più clamoroso caso cinematografico dell’anno. Ma anche
Enrico Pau, con il suo bellissimo corto
Gabriel, presentato in anteprima internazionale a
La Maddalena. E Francesco Piras, che ha aperto il
festival con Il nostro concerto, cortometraggio
poetico e musicale. Un cinema fatto anche di interpreti, come
quelli di Angius, come Jacopo Cullin per
Zucca.
Sedici edizioni de La Valigia
dell’attore hanno alimentato un data base di questo
mestiere che si arricchisce anno dopo anno, di aneddoti, ricordi,
consigli e riflessioni, contribuendo a svelare il mistero di un
lavoro dietro il quale c’è fatica, sudore, insicurezza, sofferenza,
gioia, e tutte quelle altre emozioni e sensazioni che fanno parte
della vita e che si cerca di portare sullo schermo o su un
palcoscenico per raccontare storie. Le prossime arriveranno a La
Valigia dell’attore 2020, diciassettesima edizione.
Premio Volonté 2019 a Ennio
Fantastichini – MOTIVAZIONE
Ennio. Basta il nome di
battesimo. Come Diego nel calcio, Michelangelo nell’arte, Gian
Maria al cinema. Quel cognome lungo, al massimo, lo pronunci tutto
attaccato, ma non serve. Basta quel nome per richiamare alla mente,
al cuore e un po’ anche allo stomaco quella vitalità esplosiva,
quel sorriso, quegli occhi che erano accoglienti ma sapevano essere
anche pugnali, quel corpo che era sorprendentemente agile
nonostante la stazza, perché Ennio Fantastichini era grande, nel
senso letterale del termine e in quello metaforico.
Sul set, ma anche fuori, davanti
alla macchina da presa come a un tavolo da pranzo, sapeva essere
dolcissimo, delicato, ma anche feroce; commovente e irritante,
selvaggio e disciplinatissimo, spudorato e timido. Spariva Ennio,
come quando ci ha lasciati tutti senza avvertire. Sapeva diventare
schivo, costruendo quei silenzi pieni di significato che la
macchina da presa sapeva catturare così bene anche quando il
regista non era poi così bravo, ma sapeva anche riempire ogni
spazio vuoto con battute, istrionismi, overacting che non era mai
gigioneria, ma al massimo generosità.
Forse per questo ha saputo
essere straordinario ovunque: tv, teatro, cinema. Ha saputo essere
Vanzetti dopo Volonté, uscendone alla grande, cattivo per i
Manetti, diventare un’icona sociale per Virzì, navigare tra
Shakespeare ed Eduardo con l’amico e sodale Rubini per Cabiddu. Di
Ennio, che era un gigante, ti rimangono impressi pure i ruoli meno
famosi e celebrati, perché lì forse sentivi di più la sua
pennellata unica, e c’è da giurare che Mastandrea in Perfetti
Sconosciuti abbia rubato un po’ al Fantastichini di Saturno Contro
sul disegnare l’omosessualità senza retorica.
È inutile andare a cercare nella
carriera, nei nomi, nei titoli, il motivo di un premio così ovvio.
Rimane solo la vertigine di quanto ancora avrebbe potuto darci, di
quanti ruoli avrebbe scolpito, sempre meglio, perché Ennio
invecchiando migliorava.
Pensaci tu, Lorenzo, a
continuare, fottendotene della sua eredità. Perché lui era così,
non dimenticava nulla e nessuno, ma era Ennio e basta. Ed è l’unica
lezione che conta.