Nel 1933 Agatha Christie
pubblicò Assassinio sull’Orient
Express (Murder on the Orient
Express), il suo romanzo più famoso; nel 1974 Sidney Lumet porta al
cinema quel romanzo, realizzando un’opera che si affidava a un
iconico Hercules Poirot/Albert Finney, e a un
catalogo di star guidate da
Sean Connery, Lauren Bacall e Ingrid
Bergman, esasperando la tensione e la claustrofobia
dell’originale.
Il nuovo adattamento di
Assassinio sull’Orient Express
Nel 2017, a partire dal 30
novembre, arriva in sala il nuovo adattamento del romanzo, che
porta gli spettatori in una forsennata traversata a bordo
dell’Orient Express, su cui viaggiano passeggeri misteriosi e di
classe. Tra questi, c’è anche un uomo bizzarro, con un forte
accento e due voluminosi e morbidi baffi: Hercules
Poirot, il più grande investigatore di tutti i tempi.
Kenneth Branagh, che negli ultimi anni ha
operato scelte registiche variegate e con esiti differenti
(Thor, Jack Ryan, Cenerentola), si cimenta nella
regia di un adattamento letterario con grande seguito e un grande
precedente. Quasi un “giocare in casa”, visto che il regista e
interprete è famoso al grande pubblico prevalentemente per la sua
attività di drammaturgo shakespeariano. Questa volta il testo non è
troppo congeniale alle sue corde, e Branagh si rivela furbo a
gestirsi negli spazi, interni ed esterni, del treno.
La lettura teatrale di
Kenneth Branagh
Basandosi sui suoi strumenti e
portando il gioco nel suo campo, il regista realizza una
rappresentazione teatrale del romanzo, formula che gli è congeniale
più di altre, soprattutto perché ogni momento, ogni dialogo (con
l’eccezione del confuso ma buffo prologo) è costruito su un
impianto da palcoscenico che si fonda su due elementi: le relazioni
tra personaggi e cose; la posizione e i movimenti della camera
rispetto a persone e oggetti.
In questo modo,
Kenneth Branagh racconta il suo
Assassinio sull’Orient Express sfruttando i
70 mm del suo formato
così come aveva fatto Tarantino con The Hateful
Eight. Lo spazio sullo schermo viene diviso equamente
tra personaggi, carrozze, vagoni, tutto proteso in attesa della
prossima mossa di Poirot. Uno spazio che diventa tela da riempire
in ogni punto della prospettiva con i tanti personaggi a
disposizione.
Branagh segue i suoi protagonisti
mettendosi al servizio dei loro movimenti sul treno e fuori; un
cast di superstar, da
Johnny Depp a
Judi Dench, con
Michelle Pfeiffer,
Daisy Ridley, Dereck Jacobi,
Penelope Cruz,
Willem Dafoe, Leslie Odom Jr., Josh Gad. Lunghi piani
sequenza che dall’interno dei vagoni ci portano all’esterno e
viceversa, panoramiche innevate e dipinte da una massiccia computer
grafica, fino alla ricostruzione di una “incorniciata” Ultima Cena,
una disposizione scenica, trionfo della regia di Branagh.
La trasformazione di
Poirot
Il Poirot di Branagh è eccentrico e
all’inizio molto deciso, in più circostanze buffo, ma si lascia
decostruire nel suo progressivo scontro con i sospettati. Il suo
mestiere di scovare le crepe della realtà, di trovare ciò che non
funziona nel perfetto disegno del mondo, si infrange contro la
molteplice forma della verità.
Hercules Poirot impara
che “il mondo come dovrebbe essere” non esiste e nel farlo assume
una debolezza, una tenerezza che passa dallo schermo allo
spettatore, attraverso i suoi occhi azzurri. Nella sua anima così
tenera, ma per niente rassicurante, si cela il cuore di questa
versione di Assassinio sull’Orient Express, il suo
punto più alto.
L’indulgenza verso le crepe
dell’anima rendono Poirot più umano, distante da quello
consegnatoci dalla Christie, ma forse un pizzico più moderno,
tollerabile per la fallace umanità che, oggi, lo ascolta.