Questo potrebbe essere il
suo anno. Il regista norvegese Joachim Trier è un habituè di
Cannes e, ricordiamo, con
La persona peggiore del mondo (2021, sua ultima
partecipazione al Festival) è riuscito a guadagnarsi due premi di
rilievo, Miglior sceneggiatura e Miglior Attrice per Renate
Reinsve, risultati poi in due effettive candidature agli Oscar
2022. Ora, torna in concorso sulla Croisette con Sentimental
Value, tra i titoli favoriti per la Palma d’oro di
quest’anno, sostenuto dall’etichetta NEON, ovvero la casa di
distribuzione che ha portato al pubblico – e fino agli Academy
Awards – gli ultimi 5 vincitori della Palma d’oro.
La famiglia peggiore del
mondo?
Nora Borg (Renate
Reinsve) è un’attrice affermata, mentre suo padre Gustav
(Stellan
Skarsgård), regista di culto ormai inattivo da quindici anni, è
rimasto ai margini della vita familiare della donna dopo la
separazione dalla madre. I due hanno rapporti sporadici: Gustav è
distante tanto da Nora quanto dalla sua seconda figlia,
Agnes (Inga Ibsdotter Lilleaas), e dal nipotino. Ma quando
muore l’ex moglie e madre delle due sorelle, l’uomo ricompare per
il funerale e chiede a Nora un incontro privato. Lei, reduce dal
debutto di uno spettacolo teatrale e da un esaurimento nervoso poco
prima di salire sul palco, accetta con riluttanza, certa che non si
tratterà di buone notizie.
Con sua sorpresa, Gustav
le propone di interpretare il ruolo principale nel suo nuovo film:
una storia fortemente autobiografica incentrata sulla figura della
madre, la nonna di Nora, morta suicida in giovane età. Nora però
rifiuta: la relazione con il padre è da sempre tesa, lui non ha mai
mostrato interesse per il suo lavoro (detesta il teatro e snobba le
serie e i film in cui lei recita) e sospetta che ora la stia
coinvolgendo solo per approfittare del successo della sua ultima
serie, utile ad attirare finanziatori.
Poco dopo, durante una
retrospettiva al Festival di Deauville dedicata a Gustav, l’uomo si
imbatte in Rachel Kemp (Elle
Fanning), diva hollywoodiana rimasta incantata dalla proiezione
di un suo vecchio film. Dopo una serata di confidenze e alcol in
spiaggia, Gustav offre a Rachel lo stesso ruolo precedentemente
rifiutato da Nora. L’attrice americana accetta con entusiasmo e
inizia a prepararsi in modo ossessivo, immergendosi nella storia e
nel passato della famiglia Borg con una curiosità sempre più
invasiva.
Il valore affettivo di
Joachim Trier
Fin dal punto di vista
produttivo, sembra che questa nuova opera di Trier abbia con sé un
forte “sentimental value”: si configura infatti come un gioco
continuo tra realtà e finzione che è diventato sempre più caro alla
filmografia di Trier. Riporta in scena i suoi attori feticcio
Anders Danielsen Lie – che ha lavorato con lui fin da
Reprise – e Renate Reinsve, che a loro volta interpretano
attori nella pellicola. Ma amplia anche il parterre di
protagonisti, addirittura c’è un volto hollywoodiano (Elle Fanning)
e un volto-ponte (Stellan), star tanto dell’industria
cinematografica nordica quanto di quella oltreoceano.
Un’operazione, più di qualsiasi altra sua precedente, volta a
rafforzare l’immagine internazionale di un regista europeo sempre
più lanciato dopo l’ottima accoglienza riservata a The Worst Person
in the World.
Come dicevamo, ritroviamo
Renate Reinsve nel ruolo di una Julie 2.0, questa volta più risolta
a livello professionale ma ugualmente spezzata per quanto riguarda
la sfera privata. Qui interpreta un’attrice di teatro che si
rifugia in ruoli altisonanti e tragici (dettaglio che dice già
molto del personaggio) perché ha paura di essere se stessa. Nora è
molto pungente, in quanto sorella maggiore si vede che si è
caricata sulla schiena il dolore della separazione dei genitori per
risparmiare in qualche modo la più piccola. Agnes, secondo Nora,
non si degna di confrontarsi con il padre. D’altra parte, la
maggiore viene etichettata come troppo aggressiva dal padre:
“Non si può amare qualcuno di così arrabbiato”, le dice.
Storia di una casa
nordica
Sentimental Value
è un film molto più “nordico” de La persona peggiore del
mondo, nella costruzione narrativa e dei personaggi, che
sprigiona in maniera completamente personale l’idea del “valore
affettivo” del titolo, non come un concetto univoco e aggiunta
positiva alla vita di una persona. Piuttosto, come valore proprio
di ogni casa e famiglia, magari accidentato e straniante, per cui
però vale sempre la pena continuare a lottare. Per arrivare a
questa consapevolezza, Trier elabora una riflessione che parte
dall’oggetto concreto (la casa), e l’immedesimazione con questo che
Nora attua fin da bambina. Lei ha sempre voluto una “home”,
termine che in lingua inglese si differenzia da “house”
proprio in virtù del legame che abita la casa, e porta con sé in
età adulta la rabbia non solo di questo sogno infranto, ma anche
del non riuscire a costruirsi una “home” nel presente
proprio per i traumi che ha.
Curiosamente, c’è un
forte legame con un’altra opera in concorso a Cannes
quest’anno,
Sound of Falling di Mascha Schilinski, che indaga sempre
l’idea della casa che assorbe i colori di chi l’ha abitata e come
questi poi riecheggiano nel tempo. Ci sono i traumi familiari,
l’eredità che ci portiamo dietro da chi ci ha preceduto,
l’impossibilità di confrontarci con questi e quindi chiuderci in
noi stessi, una tristezza magmatica che aleggia sulle generazioni.
Chiaramente, come abbiamo visto nella nostra recensione del primo
film del concorso, si tratta di due riflessioni nutrite da due
linguaggi molto diversi, il che le rende ancora di più
affascinanti.
L’oggetto che racconta
una vita
Il nuovo film di Joachim
Trier “parla” per stacchi su nero, quasi a voler restituire
l’impressione di frammenti di vita, scatti fotografici, che
concedono allo spettatore il tempo per riflettere su questi non
detti. Come nel caso di Alpha, abbiamo anche qui la messa in scena
e analisi di un rapporto fraterno (in questo caso sorellanza),
fondamentale per capire davvero il personaggio di Nora. Oltre la
costruzione così nordica della casa – e dei rapporti – emerge però
una tenerezza assoluta incapsulata, appunto, a partire da un
oggetto, a cui la giovane donna potrà paradossalmente associare il
sentimental value che tanto ha rincorso per tutta la vita.
Uno script, un copione che forse parla di lei, come se il padre
nonostante la lontananza e la mancanza di contatto fosse sempre
rimasto in diretta connessione con la figlia e avesse capito
qualcosa di molto intimo e inconfessabile che Nora porta
dentro.
L’aspetto più riuscito di
Sentimental Value è proprio il riuscire a oltrepassare
questa formula di racconto prettamente nordica e forse meno
accessibile de La persona peggiore del mondo per restituire
un senso di tenerezza assoluto. Si tratta, probabilmente,
dell’opera più poetica e sentimentale di Trier, che indaga
le crepe di una famiglia come tante altre letteralmente tramite il
mezzo cinematografico, sfruttandolo come testamento: basti pensare
che, come svelato in conferenza stampa, lui e il suo storico
sceneggiatore Eskil Vogt sono diventati padri, svolta che ha
cambiato completamente il loro modo di fare cinema: “Prima
volevamo fare cinema punk, ora abbiamo capito che l’emotività è il
nuovo punk”, per citare direttamente le loro parole. Insomma,
Sentimental Value è un metagioco che si tramuta in emozione,
e che potrebbe davvero portare a Trier la sua prima Palma
d’oro.