Scarlett
Johansson ha detto che lasciarsi alle spalle il ruolo
di Natasha Romanoff dopo aver recitato in Black Widow è stata una
sensazione “dolceamara”. La Johansson è stata ospite dello
show Good Morning America della ABC (via CBR)
per promuovere il film di Cate Shortland e ha
parlato dell’addio al personaggio che ha interpretato nel MCU per oltre un decennio.
“Penso che sia dolceamaro. Ho
trascorso un decennio incredibile lavorando con la mia famiglia
Marvel. Mi mancherà non vederli
ogni 18 mesi o due anni, come quel tipo di milestone che attendi
sempre con impazienza”, ha detto l’attrice. “Ma sono
davvero orgogliosa di questo film e penso che sia fantastico
concludere in bellezza. Questo film è molto diverso da qualsiasi
altro film Marvel che abbiamo fatto finora,
quindi sì… come ho già detto, è una sensazione
dolceamara.”
Black Widow, che arriverà
nelle sale il 7 luglio e su Disney+, con Accesso Vip, il 9 luglio,
arriva dopo una serie di innumerevoli rinvii a causa della pandemia
di Coronavirus. Il film può considerarsi a tutti gli effetti come
il capitolo finale della storia di Natasha Romanoff, ambientato
dopo gli eventi di Captain
America: Civil War.
La regia di Black Widow è stata
affidata a Cate Shortland, seconda donna
(dopo Anna Boden di Captain
Marvel) a dirigere un titolo dell’universo
cinematografico Marvel, mentre la sceneggiatura è
stata riscritta nei mesi scorsi da Ned
Benson(The Disappearance of Eleanor
Rigby). Insieme a Scarlett
Johansson ci saranno anche David
Harbour, Florence
Pugh e Rachel
Weisz. Il film arriverà nelle sale il 7 luglio e
su Disney+ con
Accesso Vip il 9 luglio.
In Black Widow, quando sorgerà
una pericolosa cospirazione collegata al suo passato, Natasha
Romanoff dovrà fare i conti con il lato più oscuro delle sue
origini. Inseguita da una forza che non si fermerà davanti a nulla
pur di sconfiggerla, Natasha dovrà affrontare la sua storia in
qualità di spia e le relazioni interrotte lasciate in sospeso anni
prima che diventasse un membro degli Avengers.
L’attore Doug Jones, noto soprattutto per le sue
partecipazioni a film fantasy, horror e sci-fi, ha interpretato
Silver Surfer ne I
Fantastici 4 e Silver Surfer del 2007. Di recente,
l’attore ha condiviso via
Twitter uno scatto inedito dal backstage del film, attraverso
cui ha confermato che il personaggio non prese vita esclusivamente
grazie alla CGI.
Nella didascalia che ha accompagnato
lo scatto, Jones ha scritto: “Se pensavate che il mio Silver
Surfer da I Fantastici 4 e Silver Surfer fosse solo CGI,
questa foto dal backstage delle riprese, scattata 15 anni fa,
dimostra il contrario. I miglioramenti in CGI furono aggiunti in
post-produzione.”
Lo scorso aprile, il regista
Adam McKay – noto per aver
diretto La grande
scommessa, Vice –
L’uomo nell’ombra e l’attesissimo Don’t Look
Up – aveva rivelato di essere ancora interessato a
realizzare un film interamente dedicato a Silver Surfer. A tal
proposito, aveva spiegato: “Silver Surfer è stato
complicato.C’era qualcosa al riguardo, perché l’abbiamo
approfondito un paio di anni fa. Poi qualcosa si è intromesso nel
processo. Potrei ricordare male, ma c’era un motivo per cui alla
fine non se n’è fatto nulla… forse qualcun altro ci stava già
lavorando. Sarebbe molto facile, adesso, usare la sua storia per
creare una sorta di allegoria ambientale. Penso che potrebbe essere
un film incredibile. Visivamente parlando, potrebbe essere il film
Marvel più sbalorditivo che sia mai
stato realizzato. Non ho perso interesse nel progetto. In effetti,
ora che me lo dici, forse farò una telefonata e cercherò di capire
cosa sta succedendo…”
Il futuro de I Fantastici 4 sul
grande schermo
A proposito de I
Fantastici 4, dopo il due film usciti rispettivamente
nel 2005 e 2007 (entrambi
diretti da Tim Story) e dopo il disastroso reboot del
2005 di Josh Trank, ricordiamo che i Marvel Studios, dopo l’acquisizione di Fox da
parte di Disney, hanno ufficialmente messo in cantiere un nuovo
film dedicato alla prima grande famiglia Marvel, che sarà diretto
da Jon
Watts, regista della saga
di Spider-Man con Tom
Holland.
L’attore danese, visto di recente
in Un altro giro di
Thomas Vinterberg (premiato con l’Oscar al miglior film
straniero), ha raccontato che il processo di casting è stato
abbastanza frettoloso, poiché la Warner Bros. aveva bisogno
nell’immediato di un sostituto di Depp. Mikkelsen ha spiegato che
non era a conoscenza dei motivi per cui il collega fosse stato
allontanato dal film e, soprattutto, se questi potessero ritenersi
“validi”. Ha poi ammesso che gli sarebbe piaciuto discutere con lui
del personaggio, ma semplicemente non lo conosceva abbastanza bene
per poterlo fare.
“Non so cosa sia successo nella
sua vita privata e non so se sia stato giusto che abbia perso il
lavoro. Sapevo soltanto che dovevano andare avanti”, ha
spiegato Mads Mikkelsen. “Mi sarebbe piaciuto
parlare con lui del ruolo se ne avessi avuto la possibilità, ma
semplicemente non lo conosco così bene. Mi hanno chiamato e avevano
una certa fretta… ho amato la sceneggiatura e così ho accettato. So
che la vicenda è stata controversa per molte persone, ma spesso le
cose vanno in questo modo.”
Poi ha aggiunto: “Non ho mai
voluto copiare quello che ha fatto Johnny. Lui è un attore
magistrale, quindi copiarlo sarebbe stato un suicidio creativo.
Dovevo pensare a come fare mio il personaggio e al tempo stesso
creare una sorta di ponte tra le nostre due interpretazioni. Il mio
approccio è stato diverso e anche il look è un tantino diverso.
Tuttavia, dovrete aspettare l’uscita del film il prossimo anno per
scoprirlo.”
Lionsgate svela la
prima foto dal set di John Wick 4, nei cinema il
prossimo maggio. Keanu Reeves torna a vestire i panni del
killer in abito scuro più ricercato di sempre, assetato di vendetta
per il tradimento dell’amico Winston e con l’obbiettivo di
smantellare la Gran Tavola.
L’uscita del quarto capitolo era
già stata confermata durante le riprese di John Wick 3, ma sfortunatamente per via della
pandemia di COVID-19 e degli impegni di Stahelski nel lavorare con
Lana Wachowski su The Matrix
4 ha costretto i produttori a far slittare di un’anno il
rilascio nelle sale cinematografiche. Le riprese partiranno a
giugno e attraverseranno il mondo da Berlino a Parigi fino in
Giappone. Non molto possiamo ipotizzare da questa foto, ma è
interessante notare che il logo sulla sedia manca la parola
“Capitolo”, cosa che invece nei film precedenti c’era.
John Wick un successo
inaspettato
L’universo “John
Wick” è destinato a espandersi dopo il grande successo riscosso
con la prima apparizione nel 2014, arriva così la conferma di un
quinto film e uno spin-off intitolato
Ballerina. Pensate che con il primo film
ha totalizzato a livello mondiale 89 milioni di dollari, con il
secondo capitolo è riuscito a raddoppiare le cifre al botteghino
arrivando a 170 milioni e ha concluso con John Wick 3 Parabellum con 76 milioni di dollari in solo
una settimana. Ora si pensa già a una serie televisiva di tre
episodi incentrata sul The Continental ambientata negli anni
’70.
John
Wick 4, il film
John Wick
4 uscirà al cinema giovedì il 27 maggio 2022.
Distribuito da Warner Bros. Pictures.
Le riprese di Aquaman 2: The Lost Kingdom sono iniziate, e a
confermarcelo è una foto postata dallo stesso regista James
Wan sul suo profilo instagram. Il secondo capitolo del
cinecomic targato Dc comics proseguirà la storia di Arthur re di
Atlantide interpretato da Jason Momoa assieme all’intero cast originale:
Amber Heard, che tornerà nei i panni di Mera,
Dolph Lundgren che sarà il padre di
Mera, e poi ci sarà ancora Yahya Abdul-Mateen II nei panni di
Black Manta che abbiamo visto riapparire nella
scena post-credit del primo film su Aquaman.
Le riprese del film che dovevano
partire a luglio nel Regno Unito, sembrano essere state anticipate
ed è apparso questo emblematico titolo: Necrus. E’
evidente il collegamento alla città sottomarina dei fumetti DC
Comics, che secondo la mitologia, esiste solo per brevi
intervalli di tempo e non rimane mai nello stesso luogo. Che sia
questo il regno perduto?
Aquaman 2 uscirà al
cinema il 15 dicembre 2022 distribuito da
Warner Bros Italia. Vi ricordiamo
che Jason
Momoa è atteso di nuovo nei panni dell’eroe nel
sequel di Aquaman,
film che ha rilanciato in positivo le sorti dell’universo
cinematografico DC. Diverse fonti fanno sapere che gli studios
vorrebbero riportare James Wan dietro la macchina da presa
per Aquaman 2 ad una
condizione: che sia lui a scegliere il gruppo di sceneggiatori e a
seguire da vicino il processo di sviluppo.
Ormai affermatosi come uno dei nomi
più importanti e originali del nuovo cinema canadese e
internazionale, il regista Xavier Dolan ha diretto
nel 2013 il suo primo film non nato da una sua idea originale. Se
J’ai tué ma mère,
Les Amours Imaginaires
e Laurence Anyways erano
frutto di suoi soggetti, per Tom à la ferme (qui la recensione) egli ha
invece tratto spunto dall’omonima opera teatrale scritta da
Michel Marc Bouchard. Nonostante ciò, egli ha
comunque dato vita a tutti i suo interessi come autore, dalla
ricerca della propria identità alla fuga dagli opprimenti dettami
borghesi. Tutto ciò contenuto all’interno di un’opera che nel suo
indagare l’animo umano si fa racconto universale.
Scritto insieme allo stesso
Bouchard, il film ha visto, rispetto al testo teatrale,
l’introduzione di più personaggi e ambientazioni. Ciò ha permesso
di ampliare la portata del racconto e il passato dei protagonisti.
La volontà di dar vita a questo racconto nasce anche dal desiderio
di Dolan di distaccarsi da quanto fino a quel momento prodotto. Se
i tre precedenti film narravano di amori impossibili, con Tom à
la ferme egli vira su un thriller psicologico intriso di
violenza e brutalità, le quali nascondono ovviamente sentimenti e
motivazioni particolarmente profondi. Attraverso la composizione
delle inquadrature, i colori e le scelte di fotografia, egli dà
così vita ad un nuovo racconto che scava in tutto ciò.
Presentato, a differenza dei suoi
precedenti film, non al Festival
di Cannes ma a quello di Venezia, il nuovo film di Dolan è
stato accolto da grandi apprezzamenti di critica e pubblico. Ad
oggi, si tratta di uno dei film più complessi e conturbanti del
giovane regista, sempre più riconosciuto per il suo talento. Prima
di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama e al
cast di attori. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Tom à la ferme: la trama del film
Protagonista del film è Tom, un
giovane editor pubblicitario di Montréal. La sua vita viene
improvvisamente scossa dalla morte per un tragico incidente del suo
amante Guillaume. Deciso a dare un estremo
saluto al ragazzo, Tom intraprende un viaggio per recarsi nella
campagna dove egli viveva, partecipando così al funerale di quello
che era stato il suo grande amore. Una volta sul luogo, però, si
imbatte in una comunità particolarmente chiusa, tanto
geograficamente quanto mentalmente. In particolare, Tom rimane
scioccato nello scoprire che nessuno sappia di lui e
dell’omosessualità di Guillaume.
Nessuno ad eccezione del fratello
di quest’ultimo, Francis, che avvicinatosi a Tom
gli impone violentemente il silenzio. Tom è così costretto a
presentarsi come un semplice amico, ignaro che la sua presenza lì
sarà ben più che breve. La madre di Guillaume e Francis,
Agathe, lo invita infatti a rimanere da loro per
qualche giorno. Un invito che invece Francis applica con la forza.
Tom si ritrova ben presto intrappolato in un contesto dal quale
sembra impossibile scappare. Più il difficile rapporto con Francis
si fa intenso, più Tom inizia però a provare dei sentimenti per il
ragazzo, cosa che lo metterà in serio pericolo.
Tom à la ferme: il cast del film
Ad interpretare il protagonista,
Tom, vi è lo stesso Xavier Dolan, che torna a
recitare per sé stesso dopo il non averlo fatto per il suo
precedente film. Per assumere i panni del personaggio, egli decise
inoltre di assegnare a questo una serie di colori dominanti, che
potessero farlo confondere con quelli degli ambienti in cui si
svolge la storia. Per questo, motivo, Dolan si tinse i capelli di
un biondo dorato simile a quello che si ritrova nei campi di grano
visibili nel film. Il personaggio di Guillaume, invece, non compare
nel testo teatrale. Per il film, invece, questo è stato introdotto
brevemente grazie ad alcuni flashback. Ad interpretarlo vi è
l’attore statunitense Caleb Landry Jones, visto
anche in Get Out e Tre manifesti a Ebbing,
Missouri.
Per il ruolo di Agathe, la madre di
Guillaume e Francis, egli ha poi scelto l’attrice Lise
Roy, la quale aveva già interpretato il personaggio per la
rappresentazione teatrale della storia. Dolan era infatti rimasto
impressionato dall’interpretazione di lei dopo averla vista sul
palcoscenico. L’attore Pierre-Yves Cardinal è
invece il violento Francis. Questi si era già reso celebre grazie
al film di Denis VilleneuvePolytechnique, ed ha poi recitato anche in Mommy,
successivo film di Dolan. Per la sua interpretazione in Tom à
la ferme è stato anche cadidato come miglior attore in un
ruolo secondario ai Canadian Screen Awards. Infine, l’attrice
Évelyne Brochu compare nei panni di Sarah, la
ragazza che Guillaume spacciava per sua fidanzata.
Tom à la ferme: il trailer e dove
vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Tom à la
ferme è infatti disponibile nel catalogo di
Chilie Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà
noleggiare il singolo film, avendo così modo di guardarlo in totale
comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso
di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui
guardare il titolo. Il film è inoltre presente,
in prima TV assoluta, nel palinsesto
televisivo di lunedì 28 giugno alle
ore 21:15 sul canale Cielo.
A lungo nota principalmente per i
suoi ruoli televisivi, l’attrice Regina King si è
negli ultimi anni riaffermata come una delle interpreti più
talentuose della sua generazione. Grazie ad una serie di ruoli
importanti, si è così non solo consacrata a livello internazionale,
ma è anche uno dei nomi di punta di cui con molta probabilità si
parlerà di più nei prossimi anni. Capace di spaziare tra generi
diversi e dare vita a personaggi sempre inediti, la King ha poi
dimostrato abilità di ogni tipo, non limitandosi alla sola
recitazione.
Ecco 10 cose che non sai di Regina King.
Regina King: i suoi film e le serie TV
1. È nota per i suoi tanti
film. La King inizia a recitare per il cinema nel 1991 per
Boyz n the Hood. Successivamente compare in celebri film
come Jerry Maguire (1996), Nemico pubblico
(1998), L’asilo dei papà (2003), Una bionda in
carriera (2003), Ray (2004), con JamieFoxx, Miss F.B.I. – Infiltrata
speciale (2005), Year of the Dog (2007) e
Matrimonio in famiglia (2010). Dopo un’assenza dal grande
schermo di otto anni, vi torna recitando in Se la strada potesse
parlare (2018), grazie al quale ottiene popolarità
internazionale. Prossimamente l’attrice sarà protagonista del film
wester The Harder They Fall, atteso per il 2021 e dove
recita accanto a Zazie Beetz e
Idris Elba.
2. Ha recitato in diverse
celebri serie. L’attrice inizia la propria carriera grazie
alla serie 227, dove recita dal 1985 al 1990.
Successivamente, ottiene nuovi ruoli in televisione grazie a titoli
come 24 (2007), Southland (2009-2013), The
Big Bang Theory (2013-2019), con JimParsons, Shameless (2014), The Strain (2014) e
nella serie antologica American Crime (2015-2017)
recitando nelle prime tre stagioni nei ruoli di Terri LaCroix,
Aliyah Shadeed e Kimara Walters. Successivamente compare anche in
alcuni episodi di The Leftovers – Svaniti nel nulla
(2015-2017), con Justin Theroux,
e Seven Seconds. Nel 2019 è invece protagonista di
Watchmen, serie sequel dell’omonima graphic novel.
3. Ha diretto un film molto
apprezzato. Dopo aver ricoperto già in passato il ruolo di
regista per alcuni episodi di varie serie televisive, l’attrice ha
infine esordito alla regia del suo primo lungometraggio. Presentato
in anteprima fuori concorso a Venezia, questo è Quella notte a Miami…,
adattamento dell’omonima pièce teatrale del 2013, che narra le
vicende prima reali e poi immaginarie di un incontro tra il pugile
Cassius Clay, l’attivista Malcolm X, il cantante Sam Cooke e il
giocatore di football Jim Brown. Il film ha poi ottenuto tre
nomination all’Oscar.
Regina King agli Oscar
4. Ha vinto l’ambita
statuetta. Nel 2019 l’attrice si è consacrata a livello
internazionale grazie alla sua vittoria del premio Oscar come
miglior attrice non protagonista. Ad averle fatto ottenere il
prestigioso riconoscimento è stata la sua struggente
interpretazione nel film Se la strada potesse parlare,
dove interpreta Sharon Rivers, la madre della protagonista
Clementine. Nel ritirare il premio, l’attrice ha dedicato la sua
vittoria allo scrittore e filantropo afroamericano e apertamente
omosessuale James Baldwin, autore del testo su cui
si basa il film.
Regina King in The Big Bang Theory
5. Ha avuto un ruolo
ricorrente nella sit-com. Tra il 2013 e il 2019 l’attrice
è comparsa in sei episodi della popolare sit-com The Big Bang
Theory nei panni di Janine Davis. Questa è la responsabile del
dipartimento risorse umane dell’Università, nonché oggetto di
particolari lusinghe da parte dei quattro ragazzi protagonisti. La
King ha interpretato il ruolo per la prima volta nell’episodio
The Egg Salad Equivalency, il dodicesimo della sesta
stagione. Compare poi per l’ultima volta in The Inspiration
Deprivation, diciannovesimo episodio della dodicesima
stagione.
Regina King in Watchmen
6. Si è preparata al
personaggio in modo particolare. Per dar vita alla
protagonista della serie, Angela Abar alias Sorella Notte,
l’attrice ha seguito una serie di rigide richiesta da parte
dell’ideatore Damon Lindelof. Questi le ha chiesto
di non guardare il film del 2007 né di leggere la graphic novel su
cui si basa la storia. Poiché il suo personaggio è totalmente
inedito e non presente in queste opere, l’attrice avrebbe dovuto
sapere tutto quello che le occorreva soltanto leggendo la
sceneggiatura della serie. Nessuna altra fonte esterna è stata
dunque da lei consultata, cosa che le ha anche dato buona
possibilità di improvvisazione.
7. Ha vinto un importante
premio per il suo ruolo. Grazie al personaggio di Angela
Abar, la King ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Il più
prestigioso di tutti è stato l’Emmy vinto nel 2020 come miglior
attrice protagonista in una miniserie o film per la televisione.
Per lei non si è trattato del primo premio di questo tipo, avendo
già precedentemente vinto ben tre Emmy. Quest’ultimo, però, è il
secondo come attrice protagonista.
Regina King è su Instagram
8. Ha un account
personale. L’attrice è presente sul sociale network
Instagram con un profilo verificato attualmente seguito da 2,1
milioni di follower. Qui, con oltre 300 post, l’attrice è solita
condividere momenti della sua vita privata, che la ritraggono in
momenti di svago o durante viaggi in compagnia di amici o della
propria famiglia. Si possono però ritrovare anche numerose immagini
o video relativi alla sua attività come attrice, permettendo così
ai suoi fan di rimanere aggiornati sui suoi progetti. Infine, molti
sono i suoi post relativi a cause sociali di cui lei è forte
sostenitrice.
Regina King e Ian Alexander
9. È stata sposata con un
attore. Della vita privata e sentimentale della King si sa
molto poco. L’attrice è infatti solita non rivelare molto di tali
aspetti della sua vita, preferendo tenere lontani i riflettori da
tutto cio. È però noto il suo matrimonio dal 1997 al 2007 con
l’attore Ian Alexander Sr.. La coppia, oggi
divorziata senza aver fornito motivazioni in merito, ha anche avuto
un figlio, oggi venticinquenne. Questo, chiamato Ian
Alexander Jr., è anche stato visto in diverse occasioni
come accompagnatore della madre sui red carpet a cui quest’ultima
partecipava.
Regina King: età e altezza dell’attrice
10. Regina King è nata a Los
Angeles, in California, il 15 gennaio del 1971. L’attrice
è alta complessivamente 160 centimetri.
Disney+ ha diffuso un nuovissimo ed
emozionante sneak peek di metà stagione della serie Marvel StudiosLOKI,
in streaming in esclusiva sulla piattaforma. LOKI è
la nuova serie originale targata Marvel Studios che ha debuttato lo
scorso 9 giugno, con i nuovi episodi disponibili ogni mercoledì
fino al finale di stagione che arriverà su Disney+ il 14 luglio.
LOKI
segue le vicende del dio dell’Inganno quando esce dall’ombra di suo
fratello, in una nuova serie che si svolge dopo gli eventi di
Avengers: Endgame. Tom Hiddleston torna nei panni del
protagonista, insieme a Owen Wilson, Gugu Mbatha-Raw,
Sophia Di Martino, Wunmi Mosaku e Richard E.
Grant. Kate Herron è la regista, mentre
Michael Waldron è il capo sceneggiatore.
Con Songbird di
Adam Mason, protagonisti KJ Apa e Sofia Carson,
siamo alle prese con la produzione cinematografica dell’era Covid.
Si tratta infatti di un film girato a Los Angeles durante la
pandemia di Covid-19. Il regista e sceneggiatore Adam Mason
promette di tuffarsi nel lato più inquietante della pandemia,
proiettando lo spettatore in un futuro prossimo orwelliano di
controllo e confinamento polizieschi, dove la speranza di un mondo
diverso è nelle mani di due giovani innamorati.
La trama di Songbird
Los Angeles, 2024. Dopo quattro anni
di lockdown, un virus mortale continua a mutare e ora la viariante
Covid-23 fa il cinquanta per cento dei morti. Gli infetti vengono
confinati in appositi dipartimenti senza contatto con l’esterno. Da
qui difficilmente si esce vivi. Per tutti gli altri c’è il
confinamento nelle proprie case, dalle quali non uscire per nessun
motivo, in uno stato di polizia che non lascia scampo. Gli unici
liberi di circolare sono gli immuni al Covid-23, muniti di
braccialetti gialli di riconoscimento. Nico, KJ Apa, è uno di loro. Fa consegne in tutta la
città in sella alla sua bicicletta ed è innamorato di Sara, Sofia
Carson, che vive con la nonna, Elpidia Carrillo. I ragazzi sognano
di poter fuggire lontano. Mentre Nico cerca un modo per pocurare i
laciapassare per immuni alle due donne, la situazione precipita.
Sara rischia di essere portata nella zona di quarantena e di non
fare più ritorno. In una corsa contro il tempo, Nico cerca di
impedirlo, chiedendo aiuto a Piper e William Griffin, Demi Moore e
Bradley Whitford. Ci riuscirà?
Adam Mason e il suo cast
Adam AJ Mason,
inglese di Cambridge, classe 1975, frequenta da un po’ i territori
del thriller. Nel 2015 ha diretto
Hangman, mentre è stato sceneggiatore di
lavori come Conspiracy – La cospirazione
di Shintaro Shimosawa con Al Pacino e Anthony Hopkins. È però anche un videomaker
musicale. Ha lavorato con band come Alice in Chains e Korn. Per
questo suo ritorno dietro la macchina da presa si avvale della
produzione di Michael Bay – già regista a sua
volta di film come
Armageddon e Pearl Harbor
– che lo affianca con la sua Platinum
Dunes.
Per interpretare i due protagonisti,
Mason sceglie KJ Apa – l’Archie Andrews della serie tv
Riverdale
– e Sofia Carson – attrice e cantante che ha
interpretato il ruolo di Evie nel film Disney per
la tv Descendants ed è stata protagonista
del musical Cinderella story: Se la scarpetta
calza di Michelle Johnstone. Accanto a loro
Bradley Whitford, Alexandra Daddario, Demi Moore e Peter
Stormare.
Un film sul Covid oggi
Oggi si capisce fin troppo, dopo
aver vissuto un anno e mezzo di pandemia, lo scenario dipinto da
Mason. Esasperato e distopico sì, ma che adesso potrebbe apparire
perfino realistico. Songbird ben descrive
le paure, prima tra tutte quella del contatto umano, che porta
l’uomo lontano dalla propria natura; il senso di costrizione e
privazione cui conduce una pandemia. Questi sono poi accentuati dal
tipo di gestione militare che viene messa in atto nel film. La
legge marziale è in vigore e l’esercito spara a chi viola il
coprifuoco. Uno scenario senz’altro per nulla rassicurante. C’era
da aspettarsi che molti registi avrebbero attinto all’esperienza
della pandemia per fare cinema. Un’esperienza globale e una sorta
di “esperimento di massa” che non si poteva pensare sarebbe rimasto
fuori dalla settima arte. Stigmatizzarli per questo o giudicare il
loro lavoro perciò inopportuno, appare inutile. Semmai, quello che
c’è da chiedere a un regista che si avvicina a una tale delicata
materia, è cercare di non volare troppo basso. In questo periodo,
infatti, con un tema così, Mason ha gioco facile
ad accaparrarsi l’attenzione dello spettatore, che in parte si
immedesima nella vicenda per forza di cose. Come ha gioco facile a
immortalare una metropoli scenograficamente deserta. Sarebbe un
vero peccato disperdere questo potenziale.
La strada più facile, meno
originale e poco stimolante
Quello che il film non fa è
proprio approfittare di questo clima e dell’attenzione dello
spettatore per raccontare una storia davvero interessante, o
ripagare chi guarda con spunti di riflessione stimolanti. Inserisce
dei cenni che potrebbe sviluppare meglio e che avrebbero meritato
più attenzione: sulla gestione della pandemia, sugli oscuri
traffici di chi vi lucra, ad esempio, ma poi banalizza. Il
personaggio del capo dipartimento interpretato da Peter Stormare
appare solo come un pazzo esaltato, un caso isolato, più che parte
di un sistema. Così come la diabolica coppia Moore – Whitford gode
almeno in parte di una inopinata quanto poco credibile conversione.
Tutti e tre sono personaggi dal buon potenziale, interessanti da
approfondire, interpretati dalla parte più succulenta e abile del
cast, e avrebbero meritato uno sviluppo maggiore, insieme anche
alla figura di Alexandra Daddario.
Un teen drama romantico con
contorno di pandemia
Tutta questa parte, che poteva
essere sostanziosa, è invece sacrificata in favore di una trama
action e romantica prevedibile, che scorre senza guizzi,
infilandosi a pieno nel cliché del cavaliere senza macchia che
sfida mille pericoli per salvare la sua bella rinchiusa nella
casa-fortezza. Un romanticismo smielato e retorico condisce il
tutto, mentre KJ Apa e Sofia
Carson fanno ciò che possono, anche loro senza guizzi.
Infine, da notare la pretesa di infilare nel discorso narrativo
anche il tema dell’Afghanistan e dei suoi reduci. La sceneggiatura
di Mason assieme a Simon Boyes poteva essere pensata e gestita
meglio. Il montaggio di Geoffrey O’Brien dà il giusto ritmo.
Mentre le musiche di Lorne Balfe
sono adatte alla chiave romantico-adolescenziale scelta dal
regista, ma tradiscono le aspettative di quanti speravano in
qualcosa di più incisivo da chi frequenta Alice in Chains e
Korn.
Dove e quando vederlo
L’uscita in sala di Songbird,
prodotto da Platinum Dunes e STX Films, distribuito da
Notorious Pictures, è prevista per il prossimo 30
giugno.
Dopo 7 anni lontano dal grande
schermo, Tobey Maguire torna a far parlare di se
entrando a far parte del cast dell’ ultimo film del regista di
LaLaLand: Damien
Chazelle. Babylon
sarà una ode alla vecchia Hollywood degli anni ’20
con un cast stellare composto da
Brad Pitt,
Margot Robbie,
Olivia Wilde e Phoebe Tonkin. L’attore è stato al
centro di un intenso dibattito dei fan Marvel sulla veridicità
della sua presenza nel Spiderman No Way home, dove si ipotizzava
l’esistenza di un multiverso alternativo che comprendesse tutti gli
Spiderman dal 2002 a oggi. Questa notizia è poi stata smentita
dall’attore stesso in una recente intervista. In tutti questi anni
comunque Maguire ha prodotto alcuni progetti come
Brittany non si ferma più, film di Paul
Downs Colaizzo, Migliori nemici e
Io sono nessuno.
Babylon, il film
Babylon
uscirà al cinema il 25 dicembre 2022, in un numero limitato di sale
(al fine di renderlo eleggibile per gli Oscar del 2023) per poi a
partire dal 6 gennaio 2023 essere distribuito su scala nazionale da
Eagle Pictures / Paramount Pictures Italia. Babylon in
streaming arriverà circa sei mesi dopo l’uscita in
sala.
Sono iniziate oggi le riprese di Dante, il
nuovo film di Pupi Avati che torna dietro la
macchina da presa dopo il successo ottenuto con Lei mi
parla ancora. Il film narra la vita del sommo poeta Dante
Alighieri raccontato da Giovanni Boccaccio, primo biografo del
padre della lingua italiana. Nel suo “Trattatello in Laude di
Dante” Boccaccio ripercorre gli eventi della sua vicenda umana, una
storia molto complessa in un succedersi di luci e ombre destinati
in gran parte a rimanere tali.
Il soggetto e la sceneggiatura sono di Pupi
Avati. Tra gli interpreti principali:
Sergio Castellitto (Giovanni Boccaccio), Alessandro
Sperduti (Dante giovane), Enrico Lo Verso (Donato degli Albanzani),
Alessandro Haber (Abate di Vallombrosa), Gianni Cavina (Piero
Giardina), Leopoldo Mastelloni (Bonifacio VIII), Ludovica Pedetta
(Gemma Donati), Romano Reggiani (Guido Cavalcanti), Carlotta Gamba
(Beatrice), Paolo Graziosi (Alighiero di Bellincione), Mariano
Rigillo (Meneghino Mezzani), Valeria D’Obici (Suor Beatrice),
Giulio Pizzirani (Dante anziano), Erica Blanc(Gemma Donati
anziana), Morena Gentile (Donna gozzuta), Milena Vukotic
(Rigattiera).
Le riprese di Dante
dureranno undici settimane tra Umbria, Marche, Toscana, Emilia
Romagna e Roma. Il film, prodotto da Antonio
Avati, è una produzione Duea Film con
Rai Cinema e sarà distribuito nelle sale italiane
da 01 Distribution.
Dante muore in esilio a Ravenna
nel 1321. Settembre 1350. Giovanni Boccaccio viene incaricato di
portare dieci fiorini d’oro come risarcimento simbolico a Suor
Beatrice, figlia di Dante Alighieri, monaca a Ravenna nel monastero
di Santo Stefano degli Ulivi. Nel suo lungo viaggio Boccaccio oltre
alla figlia incontrerà chi, negli ultimi anni dell’esilio
ravennate, diede riparo e offrì accoglienza al sommo poeta e chi,
al contrario, lo respinse e lo mise in fuga. Ripercorrendo da
Firenze a Ravenna una parte di quello che fu il tragitto di Dante,
sostando negli stessi conventi, negli stessi borghi, negli stessi
castelli, nello spalancarsi delle stesse biblioteche, nelle domande
che pone e nelle risposte che ottiene, Boccaccio ricostruisce la
vicenda umana di Dante, fino a poterci narrare la sua intera
storia.
DICHIARAZIONE DEL
REGISTA:
“Attendi tanto. Diciotto anni
prima che ti sia concesso di realizzare un film. Lo avevi nitido
nel 2003 quando hai scritto la prima versione del soggetto. Nel
frattempo hai fatto altro, molto altro, ma quell’impegno con Dante
ti è rimasto dentro, tampellante, facendoti avvertire come una
colpa il trascorrere del tempo. Poi, finalmente, incontri chi ti
ascolta e non rimanda, chi apprezza l’idea e ti trovi “impreparato”
a quell’assenso, a quell’accoglienza. Questo il mio stato d’animo
di oggi, a poche ore dall’inizio delle riprese.Che si realizzi
nell’Italia di oggi in cui le gerarchie di cosa e di chi conti è
dettato da ben altro, un film sulla vita di Dante Alighieri, ha
dell’inverosimile. Non oso ancora crederci”.
Capitan sciabola
e il diamante magico di Marit Moum Aune e Rasmus A.
Sivertsen arriverà nelle sale cinematografiche dal 5 agosto grazie
a Vision Distribution. Il film sarà inoltre presentato in anteprima
ai juror +6 di #Giffoni50Plus, la cinquantunesima edizione del
festival di cinema per ragazzi in programma dal 21 al 31
luglio.
Un diamante dai poteri
misteriosi, il pirata più temuto dei sette mari, tre ragazzini
coraggiosi, il tutto in un’ambientazione che ricorda L’isola del
tesoro di Stevenson ma con un tocco di magia: questi gli elementi
che rendono “Capitan sciabola e il diamante magico” un’avventura
indimenticabile e ricca di divertimento per tutta la famiglia.
Il perfido principe della
jungla Mago Kahn è riuscito a impossessarsi di un diamante magico
che, secondo la leggenda, riesce a esaudire ogni desiderio. Ma il
prezioso gioiello gli viene rubato da Marco, un ragazzino sveglio,
orfano e senzatetto. Intanto, Pinky, il più giovane pirata mai
esistito, si gode giorni tranquilli sulla terraferma insieme alla
sua amica Veronica che, al contrario, sogna di vivere grandi
avventure alla volta di lidi sconosciuti. L’occasione arriva
inaspettatamente quando Capitan Sciabola, uno dei più grandi pirati
dei Sette Mari, irrompe nella vita dei ragazzi per portarli con sé
alla ricerca del diamante. Al fianco del celebre pirata i
simpaticissimi gemelli Wally e Wimp e il fedelissimo Ditolungo,
luogotenente di Capitan Sciabola e suo prezioso consigliere. Per
l’allegra ciurma avrà così inizio una corsa ricca di colpi di
scena, in cui tutti vogliono mettere le mani sul prezioso diamante
magico.
Ispirato all’amatissimo
personaggio ideato dallo scrittore, cantante, compositore e attore
norvegese Terje Formoe, “Capitan sciabola e il diamante magico” è
stato realizzato dalla QVisten Animation, uno degli studi di
animazione più importanti del Nord Europa. Grande successo
nei cinema della Norvegia, il film è stato insignito del Public
Choice Award agli Amanda Awards 2020, gli Oscar norvegesi, dove ha
ricevuto anche due nomination come Miglior Film per ragazzi e
Migliori Effetti Speciali.
La trama
l perfido principe della
jungla ha finalmente ottenuto il diamante magico che, secondo la
leggenda, è in grado di esaudire ogni desiderio quando viene
esposto alla luce della luna piena. La gioia però dura poco: Marco,
un ragazzino sveglio, orfano e senzatetto, riesce a rubare il
diamante allo scopo di concedersi finalmente un buon pasto caldo.
Intanto, Pinky, il più giovane pirata mai esistito, si gode giorni
tranquilli insieme alla sua amica Veronica che, al contrario, sogna
di vivere avventurose esperienze. L’occasione arriva
inaspettatamente quando Capitan Sciabola, uno dei più grandi pirati
dei Sette Mari, irrompe nella vita dei ragazzi per portarli con sé
alla ricerca del diamante tanto bramato. Ognuno di loro ha una
ragione diversa per volersene impossessare. Comincia così una corsa
ricca di colpi di scena per mettere le mani sul prezioso diamante
magico.
Apple
TV+ ha annunciato oggi la data d’uscita di
Fondazione
e ha svelato un nuovo teaser dell’epica saga del visionario
showrunner e produttore esecutivo, David S. Goyer
(“Batman
Begins“, “L’Uomo
d’Acciaio“). Il teaser anticipa la portata dell’attesissima
nuova serie Apple Original, che segna il primo adattamento
cinematografico in assoluto dell’iconica e pluripremiata serie di
romanzi omonimi di Isaac Asimov. La prima
stagione, composta da 10 episodi, debutterà a livello mondiale su
Apple
TV+ il 24 settembre con i primi tre episodi, seguiti da un
episodio a settimana, ogni venerdì.
“Nei decenni trascorsi dalla
prima stampa della serie “Fondazione“,
il lavoro profetico di fantascienza di Asimov non è mai stato più
attuale di quanto lo sia ora”, ha affermato Goyer.
“Crescendo, ho divorato ‘Fondazione‘
e ho sognato di vederlo un giorno sullo schermo, ma un
lungometraggio non sembrava sufficiente per abbracciare un progetto
così ambizioso. Grazie alle prospettive più ampie offerte dallo
streaming e ad una preziosa partnership con Apple e Skydance, siamo
in grado di portare la serie sullo schermo in un modo che le rende
davvero giustizia. “Fondazione”
è sempre stata in cima alla mia lista dei desideri e sono onorato
di aver contribuito dargli finalmente vita. Che tu sia un fan dei
romanzi o hai semplicemente voglia vedereun’epopea
strabiliante, sono entusiasta di condividere con te ciò che abbiamo
creato”.
Quando il rivoluzionario Dr. Hari
Seldon predice l’imminente caduta dell’Impero, lui e una banda di
fedeli seguaci si avventurano ai confini della galassia per
stabilire la Fondazione,
nel tentativo di ricostruire e preservare il futuro della civiltà.
Infuriati per le affermazioni di Hari, i Cleon – lunga stirpe di
imperatori al potere – temono che il loro controllo sulla galassia
possa indebolirsi, minato dal pericolo di perdere per sempre la
propria eredità.
Con protagonisti i candidati
all’Emmy Award
Jared Harrise Lee
Pace, insieme alle stelle nascenti Lou Llobell e Leah
Harvey, questo viaggio monumentale racconta le storie di quattro
personaggi-chiave che trascendono lo spazio e il tempo, superando
crisi mortali, lealtà mutevoli e relazioni complicate da cui
dipende il destino dell’umanità. Nel cast del dramma Apple
Original troviamo anche Laura Birn, Terrence Mann,
Cassian Bilton e Alfred Enoch. Dallo showrunner e
produttore esecutivo David S. Goyer, Fondazione
è prodotto per Apple da Skydance Television con Robyn
Asimov, Josh Friedman, Cameron Welsh, David Ellison, Dana Goldberg
e Bill Bost sono produttori esecutivi.
Karen Gillan svela attraverso i social che il
lavoro per la sua trasformazione in Nebula per Guardiani
della Galassia Vol. 3 è iniziato. Attraverso
alcune foto possiamo vedere l’attrice scozzese posare per i calchi
del viso e della testa che serviranno a creare le protesi per il
suo personaggio.
I fan della saga dei
Guardiani della Galassia
dovranno aspettare ancora fino al 23 maggio 2023,
quando finalmente potremo vedere il terzo e ultimo capitolo delle
avventure spaziali di questi fantastici e strampalati eroi. Ancora
non si sa nulla sulla trama, ma questi scatti aumentano sempre più
l’hype nei fan
Marvel che non vedono l’ora di scoprire che fine ha
fatto Gamora dopo gli eventi di Avengers Endgame e se i rumor sulla morte di
uno dei personaggi principali verranno confermati. Guardiani della Galassia 3 sarà diretto dal
regista James Gunn che tornerà a lavorare per la casa
produttrice californiana dopo aver portato sul grande schermo
The Suicide
Squad – Missione suicida con la DCEU. Questa banda di
fuorilegge galattici, però avrà prima una parte nel terzo capitolo
di
Thor (Thor Love and
Thunder) in uscita al cinema la prossima estate, di cui
abbiamo già potuto ammirare parte del merchandising per l’evento
nei post pubblicati su twitter.
Quante ore di trucco per diventare
Nebula in Guardiani della Galassia Vol. 3
Non tutti sanno che la Gillan è uno dei membri del cast
dei Guardiani
della galassia che si sottopone a pesanti ore di trucco
per rendere tutto più reale possibile. Per interpretare il
personaggio di Nebula, che appare nel primo capitolo, ha deciso di compiere un atto estremo e di
rasarsi la testa. Un gesto che pare averla aiutata molto, tanto da
non riconoscersi una volta completato il make up e messo il
costume.
Mario Monicelli
nasce da una famiglia di origine mantovana il 16 maggio del 1915,
cresce a Viareggio, secondo figlio del critico teatrale e
giornalista Tomaso, fratello minore di Giorgio, vive nella
Viareggio degli anni trenta, assorbendo appieno l’atmosfera magica
ed il fermento culturale della città dell’epoca. Frequenta a Milano
il liceo classico Giosuè Carducci e si laurea in storia e
filosofia, accostandosi al cinema grazie all’amicizia con Giacomo
Forzano, figlio del commediografo Giovacchino Forzano, fondatore a
Tirrenia di moderni studios cinematografici sotto il nome di
Pisorno, curiosa fusione dei nomi delle due città, eterne rivali,
Pisa e Livorno, che Mussolini progettava di compiere.
In questi anni, in Mario
Monicelli si va delineando quel particolare spirito
toscano che sarà determinante per la poetica cinematografica delle
commedia del regista (molti scherzi della trilogia di Amici miei
sono episodi che fanno realmente parte della sua giovinezza). Il
critico cinematografico Stefano Della Casa, nel suo volume dedicato
al restauro di uno dei capolavori del regista toscano (L’armata
Brancaleone – Quando la commedia riscrive la storia, edito da
Lindau nel 2006), mette in dubbio le origini viareggine del
regista, arrivando a sostenere che in realtà Mario Monicelli sia
nato a Roma, nel quartiere Prati. Ovviamente supposizione falsa,
anche se Roma è diventata sua città d’adozione e luogo in cui ha
fatto vivere la maggior parte della sua umanità turbolenta. Assieme
a Alberto Mondadori, amico (oltre che cugino, figlio della zia
Andreina Monicelli e dell’editore Arnoldo) e collaboratore, dirige
nel 1934 il cortometraggio Cuore rivelatore, a cui fa seguito,
sempre nello stesso anno, un mediometraggio muto, I ragazzi della
via Paal, presentato e premiato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
di Venezia. Sotto uno pseudonimo, Michele Badiek, dirige nel
1937 il suo primo lungometraggio, insieme ad alcuni amici, Pioggia
d’estate, con Ermete Zacconi ripreso nella sua villa di
Viareggio.
Ritratto d’artista: Mario
Monicelli
Critico
cinematografico dal 1932, negli anni tra il 1939 ed il 1949 fu
attivissimo come aiuto-regista e come sceneggiatore, collaborando a
circa una quarantina di titoli. L’esordio registico ufficiale
avviene in coppia con Steno, con una serie di film che i due
registi realizzano su misura per Totò, tra i quali spicca il
celebre Guardie e ladri (1951). Ma c’è da ricordare che con Totò
cerca casa, Monicelli sigla il fruttuoso e magico incontro tra Totò
e il neorealismo. Dopo i numerosi film girati in coppia con Steno,
dal 1953 inizia a lavorare da solo, continuando la feconda attività
di sceneggiatore, che lo porta a contatto con molti altri famosi
cineasti dell’epoca. Monicelli ha firmato alcuni capolavori del
dopoguerra italiano, contribuendo ad uno dei periodi più floridi
del cinema del nostro paese, entrando di diritto nella storia.
Nella sua lunga carriera ha
collaborato con tutti i più importanti attori italiani:
Alberto Sordi, Totò, Aldo Fabrizi, Vittorio De Sica,
Sophia Loren, Amedeo Nazzari, Marcello Mastroianni, Vittorio
Gassman, Ugo Tognazzi, Adolfo Celi, Walter Chiari, Elsa Martinelli,
Anna Magnani, Nino Manfredi, Paolo Villaggio, Monica Vitti, Enrico
Montesano,
Gigi Proietti, Gastone Moschin, Giancarlo Giannini, Philippe
Noiret, Giuliano Gemma,
Stefania Sandrelli, Ornella Muti, Ivo Garrani e Gian Maria
Volonté. I soliti ignoti del 1958 vanta un cast
eccezionale, composto da Vittorio Gassman, Marcello
Mastroianni, Totò e Claudia Cardinale, ed è considerato
quasi unanimemente il primo vero film del florido filone della
commedia all’italiana, nel quale non a caso si verifica una morte,
per la prima volta in una commedia italiana. I soliti ignoti
inaugura anche la carriera del grande Vittorio
Gassman come attore comico. L’anno successivo, Monicelli
gira quello che molti considerano il suo capolavoro, il film che lo
rende famoso oltre i confini italiani, La grande
guerra, Leone d’Oro alla Mostra del cinema
di Venezia del 1959 e sua prima nomination all’Oscar.
Il film, lontano dagli stereotipi classici della commedia, ha un
tono tragicomico, in pieno stile ‘italiano’, che tocca in maniera
delicata un argomento molto difficile come la tragedia della Prima
guerra mondiale è molto arricchito dalle interpretazioni di
Alberto Sordi e Vittorio Gassman.
La seconda nomination all’Oscar arriva nel 1963 con I compagni.
Nel dittico burlesco
L’armata Brancaleone (1966) e Brancaleone
alle crociate (1970), Mario Monicelli
inventa un “nuovo” e personalissimo Medioevo, comico e condito da
una assolutamente inverosimile lingua maccheronica che ha fatto
epoca, insieme all’ennesima interpretazione di uno straordinario
Vittorio Gassman. Tra gli altri film di rilievo vanno menzionati La
ragazza con la pistola, che vede la grande Monica Vitti in
un’interpretazione davvero notevole oltre che la terza nomination
all’Oscar (1968), Romanzo popolare (1974)
e i primi due capitoli della trilogia di Amici
miei (1975, 1982) che hanno fatto epoca, vitatissimi
da giovani e vecchi, punto di congiuntura tra diverse generazioni,
e che testimonia l’universalità del suo linguaggio cinematografico.
Il terzo capitolo conclusivo verrà diretto da Nanni Loy nel 1985.
Assolutamente da ricordare anche Un borghese piccolo
piccolo (1977) e Il marchese del
Grillo (1981) entrambi con grandi interpretazioni di
Alberto Sordi, che nel primo caso offre un saggio di recitazione
drammatica che somiglia alla trasformazione che precedentemente
Monicelli aveva realizzato per Gassman, ovviamente di senso
inverso. Per il suo cinema degli ultimi anni spiccano
Speriamo che sia femmina (1986) e
Parenti serpenti (1992) e I Picari del
1988, che vede riuniti due dei grandi mattatori del nostro cinema
passato: Gassman e Manfredi accanto alla bravissima
Giuliana De Sio, a Giancarlo Giannini e ad Enrico
Montesano. Occasionalmente si è prestato a qualche cammeo
attoriale (L’allegro marciapiede dei
delitti, 1979; Sotto il sole della
Toscana, 2003; SoloMetro,
2007), dando anche la voce al nonno di Leonardo
Pieraccioni nel Ciclone (1996):
negli ultimi anni ha inoltre cercato nuove strade espressive,
passando al documentario (Un amico magico: il maestro Nino
Rota, 1999) e alla fiction televisiva (Come quando fuori
piove, 2000).
È da considerarsi senza dubbio il
regista che meglio di tutti ha interpretato lo stile e i contenuti
del genere della Commedia all’italiana. Il suo attore di
riferimento è stato Alberto Sordi, da lui trasformato in attore
drammatico in La grande guerra e Un borghese piccolo
piccolo, ma ha anche avuto il merito di scoprire le
grandi capacità comiche di due attori nati artisticamente come
drammatici: Vittorio Gassman nei Soliti
ignoti e Monica Vitti nella
Ragazza con la pistola. Il sorriso amaro
che accompagna sempre le vicende narrate, l’ironia con cui ama
tratteggiare le storie di simpatici perdenti, ne caratterizzano da
sempre la sua opera. Forse non è un caso che molti critici
considerino I soliti ignoti il primo vero film della commedia
all’italiana, e Un borghese piccolo piccolo l’opera che, con la sua
drammaticità, chiude idealmente questo genere cinematografico. Con
l’avanzare dell’età la sua attività è gradualmente diminuita ma non
si è mai fermata, grazie ad una forma fisica e mentale sempre
buona. A dimostrazione di questo, a 91 anni è tornato al cinema con
un nuovo film, Le rose del deserto
(2006). In occasione della sua uscita ha confidato, in
un’intervista a Gigi Marzullo, di non aver alcuna
paura della morte, ma di temere moltissimo il momento in cui
smetterà di lavorare, perché si annoierebbe moltissimo. In
un’intervista del 2008 ha dichiarato di aver abbandonato
definitivamente l’attività registica con il cortometraggio
documentaristico Vicino al Colosseo… c’è
Monti: nonostante ciò nel 2010 realizza un altro
cortometraggio, La nuova armata
Brancaleone, scritto con Mimmo
Calopresti.
Tra gli avvenimenti che hanno
segnato di più la sua vita c’è senz’altro il suicidio del padre,
Tomaso Monicelli noto giornalista e scrittore antifascista,
avvenuto nel 1946. A tal riguardo ha detto: «Ho capito il suo
gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche
a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La
vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera
e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre l’ho
trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di
rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra
l’altro un bagno molto modesto. »
La sua ultima compagna è stata
Chiara Rapaccini. Quando si sono conosciuti lui aveva 59 anni e lei
19. Hanno avuto una figlia, Rosa, quando lei ne aveva 34 e lui 74.
Nel 2007, infatti, ha dichiarato di vivere da solo, di non sentire
la lontananza di figli e nipoti (pur avendoli), di essere un
elettore di Rifondazione Comunista e di avere pianto l’ultima volta
alla morte del padre; mentre in un’intervista svela in particolare
il motivo per cui a 92 anni vive da solo:
« Per rimanere vivo il più a
lungo possibile. L’amore delle donne, parenti, figlie, mogli,
amanti, è molto pericoloso. La donna è infermiera nell’animo, e, se
ha vicino un vecchio, è sempre pronta ad interpretare ogni suo
desiderio, a correre a portargli quello di cui ha bisogno. Così
piano piano questo vecchio non fa più niente, rimane in poltrona,
non si muove più e diventa un vecchio rincoglionito. Se invece il
vecchio è costretto a farsi le cose da solo, rifarsi il letto,
uscire, accendere dei fornelli, qualche volta bruciarsi, va avanti
dieci anni di più. »
Il 25 marzo 2010 partecipa
all’evento Raiperunanotte, dove si esprime in modo molto critico
nei confronti della società odierna. Il 29 novembre dello stesso
anno Monicelli si suicida gettandosi da una finestra del reparto di
urologia dell’Ospedale San Giovanni in Roma, dove era ricoverato.
Un atto di estrema e lucida coerenza, che lascia nel mondo della
cultura e dello spettacolo, oltre che nei cuori di chi l’aveva
conosciuto grande e profonda tristezza. Chi invece ha visto e amato
i suoi film piange la scomparsa dell’ultimo grande regista
dell’epoca d’oro italiana, quando si aveva il coraggio di
raccontare al cinema la società.
Era infatti il 7 marzo del 1975
quando nei cinema approdò Profondo Rosso,
quinto lungometraggio dell’allora trentacinquenne Dario Argento, regista italiano dalla rapida e
folgorante carriera che nel giro di appena cinque anni dal suo
esordio era di fatto riuscito ad affermarsi come una delle più
originali e talentuose figure nel panorama della settima arte, in
patria quanto all’estero.
Profondo Rosso, la trama
All’interno di un sontuoso teatro
nel quale si sta svolgendo un convegno di parapsicologia, una
medium avverte la presenza inquietante di un assassino celato fra
il pubblico. Tornata nel suo appartamento la donna viene
brutalmente uccisa a colpi di mannaia da un misterioso killer
vestito di nero, finendo trafitta dalle schegge di una finestra
rotta, mentre tutto si tinge del rosso livido del suo sangue. Tutti
coloro che si interessano un minimo di cinema di genere, ma
sicuramente anche coloro che non sono cinefili incalliti non
potranno non avvertire un gelido e familiare campanello d’allarme
nel leggere di sfuggita questa sintetica descrizione delle scene
d’apertura di una delle pellicole che, alla metà degli anni ’70 del
secolo scorso, contribuì a cambiare definitivamente i connotati del
cinema horror, aprendo nuovi orizzonti all’arte di provocare la
pelle d’oca attraverso le immagini.
Prima del mito
Figlio del produttore
cinematografico Salvatore Argento e già precoce e scapestrato
critico cinematografico, Dario Argento diviene presto co-autore di
numerosi soggetti e sceneggiature tra cui Cimitero
senza croci (1968) di Robert
Hossein, Scusi, lei è favorevole o
contrario? (1966) di Alberto Sordi e
del celeberrimo C’era una volta il West (1968)
diretto da Sergio Leone e scritto assieme a
Bernardo Bertolucci, prima di approdare alla
regia nel 1970 con lo sconvolgente L’uccello dalle
piume di cristallo, prima pellicola di una ideale
“trilogia degli animali” proseguita con Il
gatto a nove code (1971) e terminata con
Quattro mosche di velluto grigio (1971).
Con questi primi tre film Argento riuscì nell’intento di
traghettare i generi del mystery e del giallo
all’italiana, già sapientemente ammaestrati da autori come
Mario Bava e Sergio Martino,
verso una dimensione del tutto nuova, caratterizzata da trame
sempre più complesse e ricche di implicazioni psicologiche e
pulsionali, virando prepotentemente verso un gusto incentrato su
inquadrature ricche di quei contenuti morbosi e splatter
che saranno poi ripresi ed elaborati dal cinema gore di
Lucio Fulci e Umberto
Lenzi.
Sono ancora però le atmosfere
urbane e psicologiche ad interessare il regista, atmosfere cariche
di suggestioni del tutto lontane dal gotico letterario e molto più
vicine ai psycho-triller. Una tradizione dai connotati
tutt’altro che realistici e dal sapore di leggenda metropolitana
vuole infatti che Hitchcock in persona, dopo aver visto il primo
film del regista romano, abbia esclamato – Questo italiano mi
preoccupa! – . In realtà questa trilogia d’esordio appare
ancora del tutto ancorata ad un gusto di matrice appunto
hitchcockiana nel quale permangono le linee guida del genere
thrilling e poliziesco, come ad esempio la plausibilità delle
azioni dell’assassino (che deve essere deducibile dallo spettatore)
e la consueta indagine per scoprire il colpevole, anche se Argento
ebbe modo di introdurre alcune importanti novità sia a livello
narrativo che di tipo estetico, come l’ormai celeberrima soggettiva
del killer (già sperimentata in realtà da Bava) provvista però di
protesi corporee (mani guatate, oggetti contundenti, ecc…) oltre al
marchio di fabbrica costituito dalle sequenze oniriche e
psicologiche che permettono allo spettatore di inserirsi per brevi
ma intesi attimi nella mente e nel corpo dell’assassino in una
sorta di identificazione totale.
Siamo ancora nelle rigide maglie
del thriller classico ma dove la plausibilità degli eventi non fa
più da padrona e cede spesso al gusto per l’invenzione visiva e
alla paura indotta, senza dimenticare poi che fu proprio Argento
assieme ai colleghi sopra citati ad affermare la tradizione tutta
italiana del killer di sesso femminile, una prerogativa in seguito
ampiamente imitata a livello internazionale. Perciò, dopo
l’inconsueta e stramba parentesi storica in costume della commedia
Le cinque giornate (1973) con Adriano
Celentano, Argento decise di concentrarsi su un nuovo soggetto che
potesse finalmente costituire un passaggio fra le narrazioni
thrilling del passato verso il genere dell’horror puro,
che sarà successivamente concretizzato con l’esoterico
Suspiria (1977) e lo psichedelico
Inferno (1980). Dunque elaborò una prima
stesura dal titolo “La tigre dai denti a
sciabola”, pensata per l’appunto come un ulteriore
capitolo dell’animalesca trilogia, ma alquanto insoddisfatto del
suo lavoro decise di affidarsi alla collaborazione di
Bernado Zapponi, riuscendo alla fine a sviluppare
una sceneggiatura dal titolo provvisorio di Chipsiomega
nella quale ci fosse un perfetto equilibrio fra dimensione concreta
della vicenda e sguazzi visionari e vagamente soprannaturali.
Perturbante e allucinante
Furono proprio queste componenti
che resero Profondo Rosso una pellicola nella quale
un’atmosfera perturbante e allucinata viene incastonata in un
contesto del tutto realistico in grado di aumentare
esponenzialmente l’inquietudine e il terrore latente. Nacque così
un vero e proprio cult della storia del cinema di genere, un film
nel quale si narra di tremendi ed ingegnosi delitti dal sapore
crudelmente realistico commessi da un inafferrabile uomo nero
(erede dei killer in lattice nero di Bava) sullo sfondo di una
Torino cupa ed esoterica nella quale si intrecciano inquietanti
nenie infantili e oscure ville dal sapore gotico, ingredienti
urbani e visivi che saranno ripersi in altri film futuri, come il
disturbante Trauma (1993) e il poliziesco
Non ho sonno (2001).
Il compito non ufficiale di
investigare su questi atroci eventi viene assunto dal pianista Marc
Daly (David Hemmings) che assieme all’irriverente
giornalista Gianna Brezzi (Daria Nicolodi)
riuscirà a risalire a una sconvolgente verità che si cela dietro
terribili avvenimenti sepolti nella torbida tela dell’infanzia.
Come già accennato, il film è ricco di sequenze e trovate
straordinarie entrare a merito nella storia del cinema, fra qui la
scioccante sequenza di apertura a suon di accoltellamento in
silhouette; il ghignate pupazzo meccanico (progenitore del
fantoccio della saga di Saw); l’omicidio di Giuliana Calandra
affogata in una vasca di acqua bollente e ovviamente la sadica
bambinetta Olga (Nicoletta Elmi) che si diverte a
trafiggere le lucertole con spilli acuminati. Complice del culto
nato attorno al film è sicuramente l’uso iperealistico della
violenza brutale e l’impiego di creative tecniche di uccisione che
saranno alla base anche del futuro thriller “alla luce del
sole” Tenebre (1982) e del
pretenzioso Opera (1987), veri e propri
segni di riconoscimento di uno stile che diventerà col tempo
inconfondibile e a suo malgrado ricco di plagi indegni. Dopo
essersi separato dalla prima moglie Maria Casale e aver rotto la
convivenza con Marilù Tolo, Argento decise di prendere in
considerazione una giovane attrice fiorentina, già primadonna nelle
commedie teatrali di Garinei e Giovannini e reduce da alcuni
successi televisivi, e fu così che nacque un proficuo sodalizio
professionale (e in seguito matrimoniale) con Daria
Nicolodi, capacissima di dare il giusto tono nevrotico e
suadente al personaggio di Gianna così come a futuri personaggi
iconici dell’universo argentiano, primo fra tutti la terribile
vicedirettrice Frau Brückner di Phenomena
(1985). La Nicolodi si trova ad agire accanto al già noto
David Hammings, attore scafato e reduce da grandi
successi cinematografici del calibro di
Blow-Up (1966) di
Antonioni e Barbarella
(1968) di Roger Vadim, anch’egli ottimo interprete
del novello investigatore e musicista Marc. Per la parte della
stramba madre dell’amico Carlo, interpretato da Gabriele
Lavia, Argento volle un’attrice anziana ed un tempo molto
nota, quasi sconosciuta alle nuove generazioni, e perciò optò con
sicurezza verso Clara Calamai, eccellente
interprete cinematografica italiana degli anni ’30 e ’40 divenuta
celebre nel 1943 con Ossessione di
Luchino Visconti accanto a Massimo Girotti.
La colonna sonora, dai Goblin ai Pink Floyd e
i Deep Purple
Il culto del film viene inoltre
accresciuto dalla tormentata genesi della sua celeberrima colonna
sonora, in un primo momento affidata a Giorgio
Gaslini (di cui rimangono le partiture jazz) ma che non
convinse per nulla Argento, il quale, dopo aver ricevuto risposta
negativa da alcune famose band del calibro dei Pink
Floyd e i Deep Purple, consigliato dal
suo editore musicale Carlo Bixio decise di affidarsi ad un giovane
e sconosciuto complesso rock romano chiamato I
Goblin, ragazzi diplomati al conservatorio che con
sorpresa dello stesso regista riuscirono a creare una delle
partiture musicali più incisive ed inquietanti di sempre,
elaborando il famoso e ansiogeno tema principale nel corso di una
sola notte nella cantina dove erano soliti provare. Iniziò così un
sodalizio che sarebbe durato per anni e che avrebbe segnato il
successo di altre intramontabili pellicole.
Profondo
Rosso viene però anche ricordato dai suoi fans per le
affascinati ed evocative ambientazioni, tutte concentrate fra Roma,
Perugia e la già citata Torino, città cara al regista per le sue
implicazioni magiche ed esotiche e teatro di alcuni luoghi simbolo
del film, come ad esempio la gotica ed inquietante Villa del
Bambino Urlante (in realtà chiamata Villa Scott e all’epoca
convitto delle Suore della Redenzione); il famoso Teatro Carignano
dove venne girata la sequenza di apertura del convegno di
parapsicologia e la crepuscolare Piazza C.L.N nella quale venne
allestito ex-novo il Blue Bar in cui si incontrano Carlo e
Marc, plasmato sul famoso quadro
Nighthawks di Edward
Hopper. Prodotto dalla Rizzoli Film e
girato in lingua inglese per aumentare la sua appetibilità di
mercato, dopo una campagna pubblicitaria efficace e fortemente
critica, Profondo Rosso venne finalmente rilasciato nei
cinema nella primavera del 1975, riscontrando un clamoroso successo
sia in patria che all’estero e dando vita ad un acceso dibattito
critico.
In Italia ad esempio, dove il film
incassò oltre 2 miliardi di lire e si posizionò al 10° posto nella
classifica dei titoli della stagione, i critici si trovarono ancora
una volta impreparati a recensire un’opera tanto destabilizzante e
particolare, e come era accaduto per i film precedenti del regista
vi furono molte riserve riguardo alla poca plausibilità della
narrazione e per l’eccesso di violenza. Nel resto dell’Europa
invece, soprattutto in Francia ed Inghilterra, il film venne
accolto come una vera rivelazione, forse perché di fatto il
pubblico era già abituato a digerire opere di genere particolari
come i gialli anglosassoni o i
film horror della Hammer. In Giappone, dove il film uscì solo
nel 1978 dopo Suspiria, il suo successo fu clamoroso,
tanto che venne rilasciato col titolo Suspiria – Parte
2. Quarant’anni sono passati dalla sua realizzazione
e Profondo Rosso mantiene intatta la sua aura di
inquietante opera di culto, tanto da essere stata ed essere ancora
tuttora oggetto di numerose citazioni, parodie e riferimenti più o
meno espliciti, oltre ad aver ispirato nel 2007 un musical omonimo
per la regia di Marco Calindri con le musiche
originali di Claudio Simonetti, interpretate
dall’attore e cantante Michel Altieri nel ruolo di
Marc.
Nel 2000, in occasione dei
venticinque anni dall’uscita della pellicola, Dario Argento in persona con la collaborazione
del gruppo dei Demonia realizzò un
cortometraggio nel quale il regista stesso uccideva i singoli
membri della band usando le ingegnose tecniche impiegate
dall’assassino del film, una piccola auto-parodia oggi reperibile
solo nella versione Bluray americana. Tutti noi grandi fans del
maestro dell’horror attendiamo dunque con grande trepidazione, dopo
la grande proiezione pubblica del film avvenuta nel corso del
Fantafestival di Roma 2015, una qualche
celebrazione in concomitanza con un nuovo decennio passato
all’insegna del rosso sgorgare del sangue copioso della paura e
della creatività emanata da una pellicola e da un regista che hanno
saputo, tra alti e (scivolosi) bassi, attraversare il tempo
continuando a tenerci svegli la notte, sempre col timore che
qualche uomo nero possa piombare dall’oscurità e farci a pezzi in
maniere stravaganti e brutali.
Profondo Rosso in streaming?
E’ possibile acquistare in streaming Profondo Rosso su Amazon Prime
Video e su Infinity Tv
Titanus S.p.a.
annuncia la nomina di Stefano Bethlen come nuovo
Direttore Generale a partire dal prossimo 1°
luglio. Fondata a Napoli nel 1904 da Gustavo Lombardo, poi
condotta all’apice del successo dal figlio Goffredo fino
agli anni duemila, ed ora nelle mani del nipote Guido Lombardo,
Titanusè la più antica casa
cinematografica italiana. Con sede a Roma, dove sono
presenti anche gli studi di produzione cine-televisiva
Titanus-Elios, la Titanus è la più celebre
fabbrica italiana di “immagini in movimento” che continua a
produrre emozioni per tutti gli appassionati.
Caratterizzata fin dagli inizi da una politica produttiva
all’avanguardia, basata sulla ricerca e la sperimentazione, la
Titanus è diventata in breve tempo il marchio di
riferimento di centinaia di film. La sua library, che conta oltre
370 titoli, racchiude opere che hanno fatto la storia del cinema e
rappresentano un vero e proprio patrimonio culturale: dal
neorealismo italiano (“Rocco e i suoi fratelli”, “La
Ciociara”), alla trasposizione cinematografica di romanzi
letterari di incalcolabile successo (“Il
Gattopardo”), fino ai lungometraggi cult-horror di
Dario Argento e alle pellicole nazionalpopolari come “Poveri ma
belli” o, ancora, il filone comedy-poliziesco che ha consacrato Bud
Spencer tra le star italiane più apprezzate all’estero. Ai successi
italiani si aggiunge la distribuzione di importanti film stranieri
come “Apocalypse
Now” e “C’era
una volta in America” che hanno contribuito a rendere la
Titanus un’icona anche a livello
internazionale.
Stefano Bethlen approda alla
Titanus come Direttore Generale dopo una luminosa
carriera in The Walt Disney Company Italia iniziata nel 2003. Nel
corso degli anni Bethlen ha assunto ruoli di
sempre maggiore rilievo passando da Theatrical Business Manager per
Italia, Turchia, Russia e Grecia, fino a diventare Head of
Theatrical Distribution and Marketing e quindi Chief Marketing
Officer. Dal 2016 al 2019, nel ruolo di CMO, Stefano
Bethlen ha gestito a 360° il business di tutte le
franchise Disney, determinandone la crescita e l’aumento del
fatturato, così come i piani di marketing e comunicazione integrata
di tutte le linee di business dell’azienda, fino al
riposizionamento e rilancio in Italia dei brand Marvel e Star
Wars. Un bagaglio di esperienza forte anche delle strategie di
distribuzione di centinaia di titoli Disney, Pixar, Marvel e Star Wars che lo hanno
portato a collezionare grandi risultati anche al box office.
Dopo aver lasciato The Walt Disney Company Italia, negli ultimi
due anni Stefano Bethlen si è dedicato
all’attività di consulente e produttore indipendente di film
italiani, realizzando prodotti per il mercato europeo che
arriveranno a breve sul grande schermo.
“La scelta di Stefano Bethlen, quale
Direttore Generale della Titanus rappresenta un
passo fondamentale per il futuro della nostra realtà”, ha
detto Guido Lombardo Presidente della Titanus.
“Abbiamo scelto Stefano in quanto manager con rapporti
internazionali consolidati e in grado di interpretare in modo
innovativo questo periodo di grande cambiamento per lo scenario
dell’audiovisivo. Ci troviamo infatti in un’epoca in cui il mercato
richiede un numero sempre crescente di contenuti e vogliamo
rispondere in modo veloce e concreto”.
Emozionato per il nuovo incarico Stefano
Bethlen ha dichiarato: “Da professionista, ma
soprattutto da italiano, sono davvero orgoglioso di entrare a far
parte di questa società italiana così ricca di storia e fascino.
Già molto apprezzata anche all’estero la
Titanusdovrà essere sempre più riconosciuta nel
mondo come una realtà italiana di grande successo nella produzione
e distribuzione di film e serie televisive. Non vedo l’ora di
mettermi al lavoro per definire la nuova strategia del gruppo e di
cogliere tutte le opportunità all’orizzonte”.
La Titanus è pronta per un nuovo capitolo della
sua storia leggendaria.
Discorrere di
Dario Argento è difficile se non si applica un
parallelismo diretto con la sua vita e le sue influenze giovanili.
Figlio d’arte, Dario nasce a Roma nel 1940 da Salvatore Argento,
famoso produttore cinematografico, e Elda Luxardo, fotografa
brasiliana. La propensione artistica cinematografica gli fu
involontariamente imposta da due genitori che di pellicole e shot
ne masticavano e se ne intendevano.
Questa base artistica fu
implementata da una dedizione passionale verso l’arte fantastica e
surrealista i cui rappresentanti principali sono da individuare in
Alfred Hitchcock, Walt Disney, F.W. Murnau, Fritz
Lang, le opere letterarie di Edgar Alla
Poe, e gli scritti alienanti di Thomas De
Quincy. Successivamente, nelle sue opere cominciarono ad
apparire le chiare impronte dello stile del padre e del fratello
Claudio, che produsse alcune delle sue opere. Il successo per
Dario Argento non si fece attendere e subito la
critica riconobbe in lui un talento particolare, tale da definire
le sue opere un cult. Fama e successo lo avvolsero, ma
anche critiche spietate e taglienti. Il suo tocco si caratterizza
per una forte enfasi dedicata alla visualità, in cui stili diversi
si mescolano, alterando gli schemi tradizionali imposti dal gusto
del cinema. Egli utilizza la macchina da presa in maniera diversa
ed elaborata, associandola ad effetti di luce e musicali che
rappresentano la vera quintessenza del suo lavoro e il background
perfetto per le scene di violenza sessuale.
Non è un caso se lo si considera il
maestro europeo del concetto di macabro, in cui le immagini di
violenza raggiungono il limite estremo della loro capacità
espressiva. La sua carriera cinematografica inizia come osservatore
e critico cinematografico per la testata romana Paese Sera e fu
solo dopo, intorno agli anni ‘60, che si dedicò alla scrittura di
sceneggiature di film western: Une Corde un
colt (1969) e Commandos
(1968), ma contribuì anche alla sceneggiatura di Sergio
Leone di C’era una volta il West (1968) che
gli permise di conoscere Goffredo Lombardo e
produrre, quindi, il suo primo film L’Uccello dalle
Piume di Cristallo (1970).
Nonostante l’etichetta horror che
solitamente si attribuisce a quest’opera, essa nasce come un giallo
in cui Argento narra le vicissitudini di un uomo, che
inaspettatamente assiste ad una violenza e gli viene attribuita la
colpa. Dalmas, il personaggio principale, per dimostrare la sua
innocenza deve andare contro le leggi, e trovare da sé la strada
verso la verità. Una verità inaspettata in cui la vittima si
tramuta in carnefice. Lo stile adoperato dal regista sorprende gli
spettatori, i quali applicando il metodo tradizionale di
ricostruzione dei fatti, si trovano spiazzati nel ricondurre tutti
gli indizi (solitamente associati ad una perversità e instabilità
mentale maschile) nella figura di una donna. La confusione logica
di ricostruzione degli eventi dei crimini sessuali generata negli
spettatori sarà una caratteristica pregnante di molte sue opere, in
cui la fine e la risoluzione di un dramma sconvolgerà la
tradizionale analisi effettiva delle situazioni.
Il suo secondo film è
Il Gatto a Nove Code (1971), considerato
anche la sua seconda opera della trilogia degli “animali”, a causa
della presenza nel titolo o nello svolgersi dei fatti di un
animale. A differenza della prima opera, le due successive Il Gatto
a Nove Code e Quattro Mosche di Velluto
Grigio ricevettero critiche negative riguardo lo
stile detective di cui fa uso il regista. Secondo la critica,
Argento mise da parte il metodo razionale e deduttivo per dedicarsi
interamente ad una visione eccessivamente libera e fantasiosa dei
fatti.
Lo stile di Dario
Argento risente a pieno dell’influenza dell’industria
italiana, in cui l’enfasi costante sul genere si mescola ad
un’attitudine più cerebrale, dominata da una visione critica e
intellettuale dell’opera. La combinazione di elementi intellettuali
con slanci istintivi è una caratteristica tipica dello stile
italiano del dopoguerra, in cui si cerca di soddisfare le richieste
di un audience sofisticato e le pretese di una popolazione più
semplice e pragmatica e quindi ottenere, anche, un buon ritorno
economico. Le tecniche che permisero di ampliare il suo range di
pubblico, riuscendo a soddisfare le richieste più disparate, sono
da ricondurre alla presenza di una descrizione politica o
psicoanalitica unite a scoppi irrazionali di risa, suspence,
eccitazione e violenza.
Se Profondo Rosso (1975) si caratterizza
per la presenza di elementi sovrannaturali, questi aspetti
troveranno la loro massima espressione con
Suspiria (1977). Film di grande successo,
Suspiria esprime in pieno l’evoluzione di Argento,
passando dal filone del Giallo a quello di
Horror, pur trattenendo nella sua essenza alcune
caratteristiche di base. Un chiaro esempio ci viene fornito dalla
contrapposizione tra uomini e donne, i primi con caratteri deboli e
inutili le seconde aggressive e dominanti. Ciò che fa di questo
film la pietra miliare dello stile di Argento è la tecnica
impiegata per la narrazione delle scene. E’ proprio qui che il
regista esprime in pieno il suo stile surreale con riprese che,
disorientando lo spettatore, spostano l’osservazione su giochi di
luce e di suoni che saranno in seguito il suo tratto
caratteristico, nonché il valore aggiunto all’opera. Emblematica è
la scena degli omicidi iniziali in cui il progredire drammatico dei
fatti è in maniera crescente accompagnato da un carico di colori e
da una colonna sonora incalzante e nevrotica.
Le sue opere successive non
smentiranno la sua propensione verso l’esaltazione assoluta dei
sensi, tramite l’utilizzo di luci- colori- suoni anche se
conserveranno sempre quei tratti caratteristici della sua fase
iniziale del periodo “giallo”.
La serie Loki sta generando molto dibattito online,
soprattutto dopo l’introduzione del misterioso personaggio
interpretato dall’attrice Sophia Di Martino. Sappiamo che si tratta di
una versione alternativa di Loki, ma la sua “reale” identità è
ancora sconosciuta.
Nel terzo episodio il personaggio si
identifica come “Sylvie”, cosa ha portato i fan a credere che si
tratta di un sorta di ibrido tra Lady Loki e Incantatrice. Sebbene
sia chiaro che la storia legata a questo personaggio riserverà
ancora molte sorprese, la regista della serie, Kate
Herron, è voluta intervenire sulla “scottante” questione
in una recente intervista con
Entertainment Tonight.
Herron ha confermato che c’è ancora
molto altro da approfondire, prima di rivelare che la serie ha
attinto da più fonti per costruire la sua storia. “Una cosa che
posso dire è che lei è diversa dai fumetti. È un personaggio unico,
ma ovviamente ci sono tante cose a cui ci siamo ispirati. È un
personaggio in fuga: si chiama Sylvie e si è tinta i capelli. La
bionda che associamo a Sylvie è stata portata nella serie in questo
senso, ma si ricollega anche al suo personaggio all’interno della
nostra storia. Ad un livello più profondo, direi che sì… c’è ancora
molto altro da rivelare in merito al personaggio.”
Herron ha poi confermato che Sylvie
è una variante di Loki, il che significa che non ci sarà una sorta
di svolta in cui apprendiamo che sta solo agendo in qualità di
versione femminile del cattivo. “La cosa più importante da dire
è questa: Lady Loki nei fumetti è un personaggio molto diverso dal
nostro personaggio. Adoro quel personaggio, ma penso che abbia
fatto un viaggio molto diverso. La nostra Sylvie è una versione
femminile di Loki. Nei primi due episodi sanno che si tratta di una
variante. Ad ogni modo, penso che tutto questo faccia parte della
discussione.”
La regista ha poi aggiunto che i
prossimi episodi affronteranno domande come: “Perché non le
piace essere chiamata Loki? Qual è il suo passato? Da dove
viene?”. È chiaro che ci sia molto altro da rivelare…
Tuttavia, sembra ormai chiaro che non dobbiamo aspettarci di vedere
la classica Lady Loki dei fumetti nella serie.
Suicide Squad del 2016 ha trascorso molto
tempo ad approfondire la relazione violenta di Harley Quinn con il
Joker, ma quel film si è di fatto è concluso con la Mattacchiona
che è rimasta dalla parte del Clown Principe del Crimine (forse
avrebbe rifiutato il cattivo nella Ayer Cut? Ad oggi, è difficile
dirlo!).
Quando Birds of Prey è arrivato nelle sale, Harley
aveva rotto con il suo ex, ma ora la domanda sorge spontanea: come
farà The Suicide
Squad a gestire questo lato della storia di Harley?
Non è un segreto che James Gunn non sia un fan dell’iterazione
diJared
Leto, con il regista e sceneggiatore che ha già
confermato che il suo Joker non apparirà nel film.
Durante una recente intervista con
il
Toronto Sun, l’attrice Margot Robbie ha spiegato come The Suicide
Squad gestirà la questione relativa alla relazione tra
Harley e il Joker. “Penso che nel primo film di Suicide Squad avesse una certa sicurezza e
arroganza, sapendo di avere la protezione del Joker. Magari
pensava: ‘Prenderò parte a questa missione, tanto lui mi tirerà
fuori da qui in un secondo’. Era una specie di sua prerogativa in
quel film”, ha spiegato Robbie. “Poi in Birds of Prey
siamo passati a: ‘Oh m***a, è un mondo freddo e spaventoso. Forse
non posso farcela da sola’.”
“In questo film, invece, il
tempo è passato, non si collega direttamente a nessuno di quei due
film, ma non è più qualcosa con cui Harley sta lottando”, ha
detto l’attrice. “Non sta aspettando che Mr. J si presenti e la
salvi. Non si chiede più se può farcela da sola o no. Lo sa e
basta.”
“Benvenuti all’inferno, ossia a
Belle Reve, la prigione con il più alto tasso di mortalità negli
Stati Uniti d’America. Qui sono confinati i peggiori
supercriminali, disposti a tutto pur di evadere, anche unirsi
all’oscura e super segreta missione della Task Force X. L’incarico
del giorno? Metti insieme una serie di truffatori (tra cui
Bloodsport, Peacemaker, Captain Boomerang, Ratcatcher 2,
Savant, King Shark, Blackguard, Javelin e la psicopatica preferita
di tutti, Harley Quinn). Armali pesantemente e abbandonali sulla
remota isola di Corto Maltese infusa dal nemico. Mettili alla prova
grazie ad una giungla brulicante di avversari militanti e forze di
guerriglia ad ogni angolo. La squadra è impegnata in una ‘search
and destroy’ guidata dal colonnello Rick Flag, mentre i tecnici del
governo di Amanda Waller seguono ogni loro movimento grazie a dei
sistemi impiantati nelle loro orecchie. Come sempre… una sola mossa
falsa e chiunque può morire (per mano degli avversari, di un
compagno di squadra o della stessa Waller).”
Nonostante il sequel esplorerà il
concetto di Multiverso e includerà anche il personaggio di Scarlet
Witch, l’attenzione è comunque destinata a rimanere sullo Stregone
Supremo interpretato da Benedict Cumberbatch. Dopo aver assunto quel
ruolo nel primo Doctor
Strange, Stephen ne ha passate davvero tante, incluso il
fatto di essere responsabile (almeno in parte) della decisione di
Iron Man di usare le Gemme dell’Infinito per porre fine alla furia
di Thanos in Avengers:
Endgame.
Durante una recente intervista con
SYFY Wire, lo sceneggiatore del film, Michael Waldron, ha anticipato che Doctor Strange
in the Multiverse of Madness esplorerà tutto ciò che
l’eroe ha passato durante gli ultimi anni. “Come puoi
approfondire il personaggio di Stephen Strange? Si tratta di un
ragazzo che ne ha passate tante negli ultimi anni. Che effetto ha
tutto questo su qualcuno così potente? È una prospettiva assai
eccitante. Al di là di tutto questo, però, è sempre e comunque un
grande avventuriero… un grande eroe dell’avventura che ci piace
vedere in azione e prendere a calci la gente.”
Waldron ha anche descritto il sequel
come un “viaggio da brivido” e ha elogiato il regista
Sam Raimi. “È un viaggio da brivido con un
suo cuore, come ti aspetteresti da un film di supereroi di Sam
Raimi. Sam è un genio e il modo in cui usa la macchina da presa è
davvero emozionante. Non ha paura di correre rischi. Penso che sarà
un’esperienza davvero fantastica per tutti.”
La sceneggiatura del film porterà la
firma di Jade
Bartlett e Michael Waldron.
Oltre a Cumberbatch e Olsen, nel sequel ci saranno
anche Benedict
Wong (Wong), Rachel
McAdams(Christine
Palmer), Chiwetel
Ejiofor (Karl Mordo) e Xochitl
Gomez (che interpreterà la new entry America
Chavez).
Doctor Strange in the Multiverse
of Madness arriverà al cinema il 25 marzo 2022.
Le riprese sono partite a Londra a novembre 2020 e avranno luogo
anche a New York, Los Angeles e Vancouver. Nel sequel dovrebbe
apparire in un cameo anche Bruce
Campbell, attore feticcio di Sam
Raimi. Al momento, però, non esiste alcuna conferma in
merito.
Quella di Spiral –
L’eredità di Saw, fin dagli albori, quando debuttò nei
cinema nel 2004 con ben otto capitoli, è sempre stata una saga basata principalmente sulle torture
sanguinanti e dalle immagini forti e attorno a queste veniva creata
una storia. Oggi con Spiral – L’eredità di
Saw diretto da Darren Lynn Bousman si cambia registro e ci si
avvia verso un nuovo genere di Saw più virato al thriller
poliziesco e meno splatter, con più giochi di inganno da svelare e
meno macchine mortali.
Spiral – L’eredità di Saw, la trama
Questa volta ci troviamo a South
Metro e un poliziotto insegue un borseggiatore lungo la
metropolitana, ma a un certo punto viene cloroformizzato.
Svegliatosi, si accorge di essere stato collegato a uno strano
macchinario e di avere la lingua bloccata da una morsa. Su un
televisore ai suoi piedi appare un pupazzo con le sembianze di un
maiale (notiamo già il distacco dalla saga originale e vediamo che
non viene più utilizzato il fantoccio Billy) che gli spiega che
l’unico modo che ha per liberarsi è strapparsi la lingua, la stessa
lingua che in tribunale ha usato per mentire. È solo l’inizio di
una serie di avvenimenti che il detective Zeke
Banks dovrà risolvere, perché sembra proprio che
JigSaw sia tornato.
Zecke, figlio del capo della
polizia dal passato glorioso, è l’unico poliziotto a essere sempre
stato fedele al corpo, ma in un mondo corrotto è difficile essere
onesti. Gli viene assegnato il caso del poliziotto trovato morto in
metropolitana e presto scopre che l’uomo che credeva conoscere da
una vita, in realtà era un uomo corrotto che mentiva regolarmente,
motivo per cui Saw ha deciso di punirlo. Ma come è possibile
che sia tornato realmente l’enigmista a mietere vittime in città
dopo tutto questo tempo? Non era morto? Troppe cose non lo
convincono e assieme al suo nuovo collega decide di proseguire le
indagini ma sta per scoprire che quella è solo la prima di una
moltitudine di attacchi mirati alla polizia.
Il nuovo volto di Saw in
Spiral – L’eredità di Saw
Darren Lynn
Bousman, regista già di Saw 2 e
Saw 3, decide di rilanciare definitivamente il
franchise rinnovandolo, ma tenendo alcuni aspetti che lo hanno
caratterizzato in passato e che tutt’ora lo contraddistinguono.
Troviamo infatti tanti elementi vecchi ma con una veste nuova, la
stessa colonna sonora che accompagnava ogni momento del film, come
l’apparizione della macchina della tortura non è più così forte e
ripetitiva, rimane di sottofondo giusto nel finale come per farci
capire che sì è Saw ma un nuovo Saw.
Nuove sono le dinamiche delle uccisioni, se prima
JigSaw dava sempre una chance ai suoi prigionieri,
questo nuovo Saw li intrappola per punirli delle cattive azioni
fatte senza regalare loro la possibilità di redimersi. La stessa
spirale simbolo del film è un segno del cambiamento, di nuovo
inizio che si vuole dare nel creare una nuova saga puntando più sul
genere poliziesco che sull’horror, dando più importanza alla
trama.
Questo nuovo capitolo ha come
protagonista un Chris Rock che riesce perfettamente a centrare
l’obiettivo; attore dalla carriera prevalentemente votata al genere
comico, Rock si cimenta ora in un genere per lui assolutamente
nuovo, incuriosendo il pubblico. Pochi sanno infatti che l’attore è
un grandissimo fan della saga e che questo lo ha aiutato nel
calarsi meglio nel personaggio, mescolando la comicità che lo
contraddistingue all’horror della saga. Altra
figura importantissima nel film è Samuel
L. Jackson, nei panni del padre di
Zecke, ex-capo della polizia in congedo che man
mano che la storia prosegue, assumerà sempre maggior peso nella
trama.
Spiral – L’eredità di
Saw sposta il suo occhio dalla degenerazione della società
e si concentra sulla problematica della corruzione nella polizia e
sulla vendetta per torti subiti da una giustizia marcia, sul
cattivo funzionamento della giustizia, accompagnandoci lentamente
per poi accelerare con un finale adrenalinico e mozzafiato aperto a
un probabile sequel.
Da Captain America e Black Panther,
il MCU comprende esseri sovrumani proveniente da
vari background culturali, dimensioni e linee temporali. Anche se
alcuni di loro possiedono nomi generici, altri potrebbero avere
nomi di un’etimologia più varia. Per quanto riguarda i loro alias
da supereroi, la maggior parte degli Avengers ha titoli semplici,
presi in prestito direttamente dai fumetti originali. Tuttavia,
siete davvero sicuri di conoscere l’origine dei nomi di alcuni
degli eroi più famosi della Marvel?
Iron Man/Tony Stark
Dato il modo in cui Tony
Stark indossa l’armatura per combattere, il titolo Iron Man sembra
la scelta più ovvia. Per quanto riguarda il suo vero nome, Tony è
l’abbreviazione di Anthony, mentre il suo nome completo è Anthony
Edward Stark. Questo nome potrebbe essere basato su una scelta
consapevole, dato che anche il secondo nome di suo padre Howard
Stark era Anthony.
In termini puramente linguistici,
Anthony deriva dal nome romano Antonius, che potrebbe tradursi
approssimativamente in “inestimabile” in latino. Il nome Stark,
invece, evidenzia tracce scozzesi e inglesi ed era spesso usato
come nome per una persona potente e valorosa.
Captain America/Steve Rogers
I toni patriottici nel nome
di Captain America hanno senso, dato il modo in cui è stato
presentato come eroe americano al culmine della Seconda Guerra
Mondiale. Indossando un costume a stelle e strisce, Cap è emerso da
subito come un simbolo per lo sforzo bellico alleato.
Steve è l’abbreviazione di Steven,
che di per sé è una variante del nome Stephen. Quest’ultimo deriva
dal nome greco Stephanos, che si traduce approssimativamente in
“ghirlanda”. Nell’antica Grecia, le ghirlande erano viste come un
simbolo di vittoria in eventi sportivi come le Olimpiadi. Quanto a
Rogers, il nome è stato probabilmente introdotto in Inghilterra e
fu una scelta molto popolare tra i Normanni.
Thor Odinson
Considerando che il
personaggio di Thor è direttamente ispirato al dio scandinavo del
tuono, il nome conserva le sue antiche radici norrene. Infatti, il
giorno della settimana Thursday (corrispondente al nostro giovedì)
è chiamato così in suo onore (Thor’s Day). Nei dialetti dell’antico
inglese, era soliti riferirsi al dio usando anche Thunar.
Odinson è un cognome aggiuntivo nei
fumetti Marvel che sottolinea le sue radici
paterne, poiché il re asgardiano Odino era suo padre. Altri
personaggi asgardiani portano cognomi simili, poiché anche il
fratellastro antagonista di Thor, Loki, porta il cognome Laufeyson
(il gigante di ghiaccio Laufey è il suo padre naturale).
Hulk/Bruce Banner
Oggi la bestia dalla pelle
verde della Marvel Comics è sinonimo della parola “hulk”.
La parola ha avuto curiosamente diversi significati negli ultimi
secoli. In tempi antichi, hulk si riferiva a una delle prime navi
costiere europee. La parola è usata anche per le navi moderne che
sono a galla ma non possono essere mandate in mare; per lo più,
riguarda navi che sono diventate obsolete con il tempo.
Al
giorno d’oggi, hulk descriverebbe anche una persona fisicamente
grande e un po’ goffa. Il nome Bruce è di origine scozzese e uno
dei primi portatori ne fu il monarca scozzese Robert the Bruce. Il
cognome di Hulk, Banner, è equivalente alla parola francese
banere che si traduce con bandiera o
insegna.
Vedova Nera/Natasha Romanoff
Scelta come nome in codice
per le sue operazioni segrete, Vedova Nera è un riferimento diretto
al ragno con lo stesso nome. L’aracnide si trova in Nord America,
principalmente negli Stati Uniti meridionali e occidentali. Questi
ragni trasportano un veleno molto potente che può essere altamente
velenoso per l’uomo. Secondo “The Web of Black Widow #1” di Jody Houser, Natasha ha
acquisito il nome in codice a causa delle sue dimensioni e delle
sue letali abilità di combattimento.
Il vero nome dell’ex agente del KGB
e membro dello SHIELD è Natalia Alianovna Romanoff, con Natasha
Romanoff come alias principale. Natasha è una parola di origine
slava che si traduce come “compleanno del Signore”, mentre Romanoff
è una versione russa del nome cristiano arcaico Romanus (un titolo
probabilmente usato gli abitanti di Roma).
Occhio di Falco/Clint Barton
Occhio di Falco è un nome attribuito all’esperto tiratore
scelto Clint Barton principalmente per la sua vista acuta e mirata.
E poiché la sua visione è migliore rispetto alla media (secondo i
fumetti Marvel), l’allusione al falco trova
la sua ragion d’essere. I rapaci come falchi e aquile hanno una
vista avanzata, che consente loro di individuare le loro prede da
lunghe distanze.
L’origine di Clint potrebbe probabilmente risiedere
nell’inglese antico, poiché la parola era usata come mezzo arcaico
per riferirsi a una “scogliera”. Anche il cognome Barton ha più
radici. In alcuni casi, è visto come una forma più breve di
Bartolomeo, il nome di uno degli apostoli di Gesù.
Spider-Man/Peter Parker
Con abilità da ragno e un
fascino senza tempo, Spider-Man ha divertito il pubblico per molti
decenni. A causa della sua impareggiabile popolarità, il suo alter
ego Peter Parker è popolare quanto il suo nome da supereroe.
Il nome Peter è influenzato dal nome
greco Petros e dal suo derivato inglese antico Piers, che di solito
significa “pietra” o “roccia”. Allo stesso modo, Parker deriva da
un termine francese antico che significa “custode del parco”. Per
questo motivo, Parker era principalmente usato per indicare i
guardacaccia nell’Inghilterra medievale. In effetti, nel caso di
Spider-Man, il “parco” può riferirsi a New York City, in quanto
spesso funge da guardiano della città.
Scarlet Witch/Wanda Maximoff
Mentre Wanda Maximoff in
WandaVision ha combattuto contro la strega
Agatha, l’antagonista della serie ha rivelato che la dimostrazione
della Magia del Caos di Wanda non è inferiore a quella di una
strega simile a lei. Questo è ciò che spinge Agatha a battezzare
Wanda come Scarlet Witch nel penultimo episodio.
Wanda come nome proviene dalla
Polonia ed era spesso associato a un’eroina polacca molto popolare
di nome Principessa Wanda. Considerando le sue radici nell’Europa
orientale, le origini di Maximoff non sono chiare, ma suona simile
al nome slavo Maxim (che potrebbe tradursi con “il più
grande”).
Black Panther/T’Challa
Molti potrebbero pensare
che il supereroe di Wakanda Black Panther sia stato chiamato così
sulla scia del rivoluzionario gruppo socialista Black Panthers
Party. Tuttavia, questo non sembra probabile dal momento che il
personaggio è stato introdotto in un fumetto dei Fantastici Quattro
del luglio 1966, che è stato pubblicato mesi prima del Black
Panthers Party. Ad oggi, né Stan Lee né Jack Kirby hanno mai
discusso da dove hanno preso il nome del supereroe.
Per quanto riguarda il suo vero
nome, T’Challa, “Black Panther #3” (2018) rivela che si traduce in
“colui che ha messo il coltello al suo posto”, nella lingua
immaginaria di Wakanda. Negli stessi numeri, T’Challa pugnala Namor
al cuore per proteggere il suo regno dalla vendetta di
quest’ultimo.
Soldato d’Inverno/Bucky Barnes
Mentre James “Bucky” Barnes
potrebbe essere un nome americano comune, il suo alter ego potrebbe
derivare dal fatto che è stato usato come assassino nelle zone
invernali dell’Unione Sovietica ed è stato spesso conservato nel
ghiaccio. Tuttavia, il nome Soldato d’Inverno fa riferimento a
molti contesti storici.
Durante la guerra del Vietnam, molti
soldati americani restavano sconvolti dai crimini di guerra
sponsorizzati dai militari e dalla perdita di vite americane. Sulla
base di questo, molti veterani di guerra annunciarono un evento
mediatico chiamato “Winter Solder Investigation”, sottolineando la
necessità di rinunciare allo sforzo bellico di fronte a realtà così
inquietanti. Secondo
Vulture, è implicito che Bucky potrebbe “alludere alla
relazione tesa che gli Stati Uniti hanno con i suoi veterani”.
I Wonder Pictures e
Unipol Biografilm Collection sono liete di annunciare che
porteranno per la prima volta in Italia la saga francese di
grandissimo successo, divenuta ormai un cult, Agente
Speciale 117, creata da Jean Bruce e precedente i noti
romanzi di Ian Fleming sull’agente 007.
Una clip esclusiva dal film:
https://www.youtube.com/watch?v=r-ScdZAwy_E
Agente Speciale 117
al Servizio della Repubblica – Missione Cairo è il primo
capitolo in arrivo nei cinema italiani a partire dall’1
luglio e ci introduce alla divertentissima trilogia dei Premi
Oscar® – entrambi con lo straordinario successo di
The Artist – Michel Hazanavicius, alla regia,
e Jean Dujardin nei panni dell’Agente Speciale 117, la
migliore spia francese in servizio e l’unica capace di
intraprendere una missione di spionaggio senza precedenti.
Egitto, 1955. Il Cairo è
un vero nido di spie. Tutti diffidano di tutti, tutti complottano
contro tutti: gli inglesi, i francesi, i sovietici, la famiglia del
deposto Re Farouk che lotta per riconquistare il suo trono e le
Aquile di Cheope, una setta religiosa assetata di potere. Il
Presidente francese, René Coty, ricorre al suo uomo migliore per
mettere ordine in questa bolgia prima che si scateni l’inferno. Il
suo nome: Hubert Bonisseur de la Bath, alias Agente Speciale 117…
al servizio della Repubblica.
AGENTE SPECIALE 117
AL SERVIZIO DELLA REPUBBLICA – Missione Cairo sarà nelle sale
italiane dal primo luglio con I Wonder Pictures e Unipol
Biografilm Collection e dal 29 luglio le avventure
dell’Agente Speciale 117 proseguiranno con il secondo capitolo
della saga intitolato AGENTE SPECIALE 117 AL
SERVIZIO DELLA REPUBBLICA – Missione Rio ancora per la
regia di Michel Hazanavicius. La trilogia vedrà la sua
conclusione con l’ultimo capitolo diretto da Nicolas Bedos (La Belle Époque) dal titolo AGENTE
SPECIALE 117 AL SERVIZIO DELLA REPUBBLICA – Allarme rosso in Africa
nera, una sontuosa produzione da 19 milioni di budget che
arriverà in Italia a settembre sempre distribuita da I
Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.
La
trama: Agente Speciale 117 al Servizio della Repubblica –
Missione Cairo
Egitto, 1955. Siamo in
piena guerra fredda e Il Cairo è il crocevia internazionale delle
spie. Tutti complottano contro tutti, e non solo le grandi potenze
mondiali. La famiglia del deposto Re Farouk vuole riprendersi il
trono, ma deve fare i conti con le Aquile di Cheope, una setta
religiosa assetata di potere. Il presidente della Repubblica
francese, preoccupato per la situazione, decide di mandare sul
posto la (peggior) miglior spia di Francia. Il suo nome: Hubert
Bonisseur de la Bath, alias Agente Speciale 117… al servizio della
Repubblica. Riuscirà a sventare una crisi mondiale dalle
inimmaginabili conseguenze? O forse, il pericolo più grande sarà
proprio lui? Primo capitolo della saga dell’Agente Speciale 117,
Missione Cairo vede riuniti sul set Michel Hazanavicius,
Jean Dujardin e Berenice Bejo, tutti protagonisti dello
straordinario successo di The Artist.
È da molto tempo ormai che si parla
del possibile ritiro di Quentin Tarantino dalle scene. Lo stesso
regista, in più di un’occasione, ha affermato di voler chiudere la
sua carriera con il decimo film, un progetto totalmente avvolto nel
mistero sul quale non si conosce alcun dettaglio.
Il regista è attualmente impegnato
con la promozione del romanzo basato su
C’era una volta a Hollywood, il suo nono film uscito
nel 2019, e in una recente ospitata all’interno del talk show
Real Time with Bill Maher, Tarantino ha parlato proprio del suo
futuro nell’industria cinematografica e del suo attesissimo decimo
progetto. Maher ha elogiato l’ultima fatica di Tarantino, dicendo
al regista che
C’era una volta a Hollywood rappresenta la punta di
diamante della sua carriera e che, proprio per questo motivo, non
dovrebbe smettere di fare film.
Il regista, dal suo punto di vista,
ha detto che è proprio quello il motivo per cui ha preso questa
decisione, sottolineando che il momento giusto per decidere di
fermarsi è quando si è ancora all’apice della proprio creatività. A
quel punto il conduttore lo ha stuzzicato lanciando l’idea di un
potenziale reboot de Le iene, il suo primo film, a chiusura della
sua carriera. Questa la replica di Tarantino:
“Conosco la storia del cinema e
so che, arrivati ad un certo punto, i registi non migliorano.
Lavorare da 30 anni facendo i film che ho fatto io, anche se non
sono quanti quelli fatti dai miei colleghi, è comunque una carriera
lunga. Sento di aver dato già tutto. Prendiamo, ad esempio, Don
Siegel… se avesse chiuso la sua carriera dopo Fuga da Alcatraz nel
1979, sarebbe stato splendido. Invece ha realizzato altri due film
dopo che non sono proprio riuscitissimi. Ho pensato di chiudere la
mia carriera con un reboot de Le iene. Sarebbe una di quelle cose
tipo: ‘Catturare il tempo in un attimo’. Ovviamente, prima che
internet esploda, lo chiarisco: non lo farò! Però l’ho considerato,
davvero.”
Per quanto riguarda il romanzo
basato su
C’era una volta a Hollywood, il libro sarà disponibile
in Italia, in libreria e online, dal 1 luglio, edito da La
nave di Teseo. Il romanzo espanderà la storia dei protagonisti
Cliff Booth e Rick Dalton e includerà anche diverse scene e
personaggi che non abbiamo visto al cinema.
Arriva da Reddit la segnalazione
che la scena post credits di WandaVision sia
stata alterata. Stiamo parlando di quel momento in cui vediamo
Wanda ritirata nella baita in montagna, mentre sembra studiare il
libro che le ha “lasciato” Agatha Harkness e mentre in sottofondo
si sentono le voci dei figli che chiedono aiuto.
Nella carrellata di avvicinamento
alla baita, sulle montagne e attraverso i boschi è stata aggiunta
una sagoma trasparente, una specie di fantasma o… proiezione
astrale che potrebbe essere quella di Doctor Strange!
A coloro che diranno che è un
effetto ottico e non una modifica deliberata, risponde
Murphy’s Multiverse
che conferma non solo l’aggiunta della sagoma, ma anche dei
ritocchi alla scena, con altri alberi dietro alla baita e un
leggero viraggio dei colori della scena, un po’ più caldi adesso.
Inoltre, nei titoli di coda è stato aggiunto ufficialmente Michael
Giacchino, autore della colonna sonora di Doctor Strange e
già intercettato nella scena finale nel momento della sua
uscita.
La fama di Chris Hemsworth è indissolubilmente legata al
ruolo di Thor nel MCU, eppure l’attore australiano
stava per perdere l’opportunità di interpretare l’iconico Dio del
Tuono a causa di… Dancing with the Stars (il
format statunitense basato sul britannico Strictly Come
Dancing, su cui è basato a sua volta il nostro Ballando con
le stelle).
In una recente intervista con
PopCulture, infatti, il coreografo delle celebrità
Derek Hough, che ha partecipato a diverse edizioni
di Dancing with the Stars, ha rivelato che il
coinvolgimento di Hemsworth nell’edizione australiana del reality
(era il 2006), gli è quasi costato il ruolo di
Thor. L’attore era stato da poco scelto per il ruolo quando i
dirigenti dello studio incapparono in un video del futuro
interprete del Dio del Tuono che ballava la samba nel celebre
programma. All’epoca Hemsworth si stava già facendo un nome in
Australia (anche grazie alla soap opera Home and Away), ma
era ancora relativamente sconosciuto a Hollywood.
“Chris Hemsworth faceva parte
del cast di Dancing with the Stars in Australia. Stava ballando la
samba e loro lo avevano scelto… o lo stavano per scegliere. Penso
che la gente abbia chiamato e abbia detto: ‘Lo hai visto ballare la
samba? Questo non può essere il nostro Thor’.”
Chris Hemsworth potrebbe anche essersi
lasciato l’esperienza di Dancing with the Stars alle
spalle, ma le sue abilità nel ballo, alla fine, gli sono tornate
utili per il ruolo di Thor: probabilmente, gli avranno permesso di
essere molto più agile durante le innumerevoli sequenze acrobatiche
dei vari film. Ad oggi, l’attore 37enne ha dimostrato ampiamente di
essere stato la scelta perfetta per il ruolo, che ricoprirà
nuovamente nell’attesissimo Thor: Love and
Thunder.
Thor: Love and
Thunder è il titolo ufficiale del quarto capitolo
sulle avventure del Dio del Tuono nel MCU, ma ad impugnare
il Mjolnir stavolta sarà Jane Foster, interpretata di nuovo
daNatalie
Portman, come confermato sabato durante il
panel dei Marvel Studios al Comic-Con. L’uscita nelle
sale è fissata invece al 6 maggio 2022.
Taika Waitititornerà alla regia di un film dei
Marvel Studios
dopo Thor:
Ragnarok, così come Chris
HemswortheTessa
Thompson riprenderanno i rispettivi ruoli di Thor
e Valchiria dopo l’ultima apparizione in Avengers:
Endgame. Nel cast anche Christian
Bale nei panni del villain Gorr il Macellatore di
Dei, e Russell
Crowe in quelli di Zeus. L’ispirazione del
progetto arriva dal fumetto “The Mighty Thor”, descritto da Waititi
come “la perfetta combinazione di emozioni, amore, tuono e storie
appassionanti con la prima Thor femmina dell’universo“.
Molto tempo fa, un film dedicato a
Nightwing sembrava fosse una priorità per la
Warner Bros. Tuttavia, come molti altri progetti prima di lui, è
caduto presto nel dimenticatoio. Ciò ha lasciato il regista
Chris McKay (LEGO
Batman – Il film) in una sorta di limbo: alla fine, lo
stesso ha deciso di prendere le redini de La guerra di domani, in arrivo su Prime Video dal prossimo 2 luglio.
Proprio in occasione della
promozione del film, parlando con
The Bear Cave il regista ha svelato quali erano i suoi piani
per l’ingresso di Dick Grayson nel DCEU: “Sarebbe stato uno
studio sul personaggio… su questo ragazzo che è cresciuto con una
specie di padre cattivo”, ha spiegato McKay, riferendosi a
Batman. “Avremmo analizzato come quest’episodio lo ha spinto,
in quanto giovane adulto, a cercare di combattere e allontanarsi il
più umanamente possibile da quel mondo, per poi caderci di nuovo
dentro.”
“Sarebbe diventato, quindi, un
film sulla vendetta e sarebbe servito a introdurre Nightwing e il
mondo di Blüdhaven”, ha continuato. “Ci sarebbero stati un
sacco di cattivi”. McKay ha poi spiegato che il budget
del film sarebbe stato inferiore ai 100 milioni di dollari. Il
regista ha anche spiegato che la Warner Bros. non gli ha mai detto
esplicitamente che il film non vedrà la luce: proprio per questo,
il regista rimane ottimista sul fatto che possa ancora diventare
una realtà.
Parlando invece di un possibile
legame tra il suo film e il Batman mai realizzato di Ben Affleck, McKay ha spiegato: “C’erano
ancora alcune cose che dovevano essere determinate su come sarebbe
stato. Era un film su Nightwing che doveva prendere ispirazione da
un fumetto di Nightwing. Non eravamo sicuri che Batman sarebbe
apparso, ma poteva apparire, così come altri personaggi. Ma
comunque era un film su Nightwing, ed era questo l’aspetto che mi
piaceva di più.”
Quando, all’epoca dell’uscita de
L’uomo d’acciaio di Zack Snyder, venne rivelato che Christopher Nolan sarebbe stato produttore
esecutivo del film, la notizia generò un certo entusiasmo tra i
fan, soprattutto perché il regista britannico era reduce dal
successo della trilogia de Il cavaliere oscuro.
In effetti, il film di Snyder
ricevette la medesima attenzione (anche in termini di marketing) di
uno dei film di Nolan dedicati a Batman, nonostante gli esiti siano
poi stati totalmente differenti (soprattutto in termini di
accoglienza). In seguito, Nolan sarebbe apparso come produttore
esecutivo anche di Batman v Superman: Dawn of Justice e di entrambe le
versioni di Justice
League (quella cinematografica e la Director’s Cut di
Snyder).
Durante una recente intervista
all’interno del podcast Straight Up (via
Screen Rant), Snyder ha rivelato di aver mostrato a Nolan la
versione IMAX della Snyder
Cut, prima che gli venisse chiesto se i due registi si fossero
mai scambiati dei consigli. “No, ma c’è una cosa molto
interessante che facciamo insieme. Fondamentalmente, quando gli
mostro un mio film, gli dico: ‘Ok, questo è il film finito.
Divertiti’. Anche lui me lo dice sempre, davvero, ogni volta. Che
si tratti di Tenet
o di un altro dei suoi film. E la verità è che io voglio solo
vedere i suoi film e godermeli.”
Poi ha aggiunto: “Chris
ovviamente è un genio e l’ultima cosa che voglio è dovergli dire
cosa avrebbe o non avrebbe dovuto fare. La verità è che è davvero
liberatorio poter andare da lui e dirgli: ‘Ok, fammi vedere il tuo
film perché voglio che mi stupisca”. Dopo che il taglio di
Justice
League di
Joss Whedon venne rilasciato nel 2017, è stato riferito che
Christopher Nolan ha consigliato a Zack Snyder di non guardare il film,
credendo che gli avrebbe “spezzato il cuore”.
Zack
Snyder’s Justice Leagueè uscito in streaming il
18 marzo 2021 su HBO Max in America e, in contemporanea, su Sky
e TV in Italia. Il film ha una durata 242 minuti (quattro ore
circa) ed è diviso in sei capitoli e un epilogo.
Ezio Greggio, Ivana
Lotito e Vinicio Marchioni sono tra gli
ospiti del BCT Festival di Benevento, che si è
svolto nel capoluogo di provincia campano dal 21 al 27 giugno. Ecco
le nostre interviste: