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Ratched, recensione della serie Netflix di Ryan Murphy

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Ratched, recensione della serie Netflix di Ryan Murphy

Dopo il grande successo di Hollywood, Ryan Murphy torna a proporre al suo pubblico, tramite Netflix, una nuova serie originale che va ad esplorare le origini di uno dei personaggi cinematografici più amati ed odiati di sempre, l’infermiera Mildred Ratched, protagonista di Qualcuno volò sul nido del cuculo. E se è vero che il personaggio originale nasce dalle pagine del romanzo omonimo di Ken Kesey, è altrettanto vero che l’infermiera Ratched è stata consegnata all’immortalità da Louise Flatcher, che per il ruolo vinse premio Oscar, Golden Globe e BAFTA.

Ad incarnare la protagonista della serie di Ryan Murphy è Sarah Paulson, alla quale ancora una volta l’autore chiede uno sforzo importante. L’attrice profonde in Mildred tutto il suo immenso talento e si fa seguire in questa origin story da consumare tutta d’uno fiato; gli otto episodi di Ratched richiedono di essere guardati in binge watching. Ma andiamo con ordine. Mentre il film di Milos Forman era ambientato in Oregon, nel 1963, la storia che racconta Murphy va indietro nel tempo fino al 1947.

Ratched Origin Story

Durante una notte di pioggia, un bel giovane trova riparo in una residenza per prelati, sembra un comune viandante sorpreso da un temporale, fino a che non comincia brutalmente ad uccidere tutti i residenti dell’abitazione. Ci spostiamo poi in California, presso l’istituto per malati di mente Santa Lucia, dove il Dott. Hannover è l’unico dottore che crede che chi soffre di patologie mentali possa effettivamente essere curato, e non solo internato come si era sempre fatto. In questo luogo immacolato e vagamente inquietante arriva Mildred, una donna elegantissima, affascinante e molto sicura, che farà di tutto per essere assunta e per consolidare la sua influenza sul dottor Hannover e il suo potere su tutto l’ospedale.

Pian piano scopriremo qual è il vero scopo di Mildred e impareremo a sondarne la mente e l’animo, pozzi neri ricchi di scintillii e insenature da scandagliare. L’idea di scrivere la storia di origine di un personaggio così affascinante è sicuramente allettante, e Ryan Murphy ha intercettato questa possibilità in mezzo a tanti altri autori che avrebbero potuto fare lo stesso. Certo, l’ideatore di AHS e di ACS sembra essere già sulla carta la persona adatta a raccontare una storia morbosa, violenta, intrigante e controversa e anche nella realtà il suo lavoro si rivela effettivamente vincente.

I due pilastri su cui poggia Ratched

Ratched è una serie che presenta tutti gli elementi di un prodotto che farà parlare di sé e che piacerà tanto ai fan, non solo a quelli di Murphy ma anche a quelli del thriller. La storia infatti si regge su due piedistalli granitici: da una parte un intreccio forte, solido, pieno di personaggi intriganti e di svolte narrative avvincenti; dall’altra una protagonista enorme. Ancora una volta Sarah Paulson dà conferma del suo talento incredibile. La sua Mildred è una donna affascinante, fiera ed elegante, è anche estremamente intelligente, è efferata e volitiva, riesce persino ad essere tenera e compassionevole, presenta in nuce tutte le caratteristiche che andranno poi a solidificarsi intorno alla spietata personalità della protagonista del film di Forman.

Il talento di Murphy, che non sempre riesce a trapelare dalle sue creazioni (chi scrive non aveva affatto gradito Hollywood, a suo tempo), questa volta si mette al servizio di una storia che è perfettamente adeguata al suo stile e così entrambi ne escono valorizzati. Oltre alle scelte di rappresentazione grafica della violenza, dell’utilizzo espressionistico e anti-naturalistico dei colori e della consueta accuratezza nel decor e nei costumi, l’autore torna a parlare di omosessualità (tra le altre cose), ma per la prima volta lo fa da un punto di vista medico, rievocando con vividi particolari, quel periodo di tempo purtroppo molto lungo, in cui l’omosessualità veniva considerata una patologia mentale, da curare con metodi che poco avevano a che fare con la medicina e tutto invece con la tortura vera e propria. E sarebbe bello dire che, ad oggi, le cose sono completamente cambiate!

Una sorellanza di “streghe”

Intorno a Paulson, Murphy costruisce una rete di personaggi davvero interessanti, sfaccettati e tutti validi, dalla ricca Lenore Osgood, interpretata da Sharon Stone, alla rigida infermiera Betsy Bucket, di Judy Davis, fino al bellissimo personaggio di Gwendolyn Briggs scritto per Cynthia Nixon e tutte le guest star, tra cui spiccano Corey Stoll e Vincent D’Onofrio. Quello che Murphy costruisce, dentro alla storia di Mildred, è anche un inno alla sorellanza, a donne che uniscono le loro forze e i loro intenti, donne risolute e agguerrite, anche di fronte a situazioni spinose, violente, delicate da gestire. Mildred, Betsy, Gwendolyn non perdono mai il controllo, per quanto possano essere difficili le circostanze in cui si trovano, riuscendo sempre a trovare una strada, soprattutto attraverso l’accordo reciproco e questo, più di ogni altro, sembra il vero colpo di scena che l’autore piazza sotto al naso di tutti.

Ratched è a tutti gli effetti figlia di Ryan Murphy, le atmosfere elegantissime che strabordano nel kitsch, la morbosità dei personaggi, la violenza grafica, la riflessione sull’omosessualità, la critica alla società, una trama avvincente, personaggi borderline e a tratti sgradevoli, eroi difficili da incasellare che attraggono e respingono allo stesso tempo. Nella serie originale Netflix, Murphy infonde tutto ciò che ha caratterizzato la sua produzione fino ad oggi, per lo fa con grande maturità ed equilibrio.

Nella conclusione aperta, che lascia ampio spazio alla possibilità di un secondo ciclo, Ratched svela il suo punto debole, ovvero l’incapacità di chiudere una storia che si sa essere buona per cedere piuttosto alla tentazione di annacquarla con altre eventuali stagioni, che potrebbero invece rivelarsi non all’altezza.

Ratatouille: recensione del film Disney Pixar

Ratatouille: recensione del film Disney Pixar

La recensione del film d’Animazione Ratatouille della Disney Pixar diretto da Brad Bird e Jan Pinkava. Voci originali di Patton Oswalt (Rémy), Lou Romano (Alfredo Linguini), Janeane Garofalo (Colette Tatou), Peter Sohn (Émile), Brad Garrett (Auguste Gusteau), Ian Holm (Skinner), Brian Dennehy (Django), Peter O’Toole (Anton Ego).

La trama

Il topino Rémy sembra non essere intenzionato ad accettare la propria natura di roditore, magari rovistando per tutta la vita nella spazzatura. Vuole sfruttare il suo straordinario olfatto per creare delle vere e proprie opere d’arte con il cibo, proprio come il suo idolo umano, lo chef Auguste Gusteau. Sullo sfondo di un’affascinate Parigi, Rèmy giungerà al ristorante appartenuto a Gusteau e verrà coinvolto nelle vicende di un goffo sguattero: Alfredo Linguini. Tra i due nascerà un’amicizia che affonderà le sue radici nell’arte della cucina e nella volontà di far rinascere il ristorante di Gesteau, contrastando il malizioso chef Skinner e conquistando le papille gustative del critico Anton Ego.

L’analisi del film

Dopo l’Oscar al miglior film d’animazione con Gli Incredibili, Brad Bird replica questo successo con Ratatouille. Solo dopo averlo visto abbiamo la certezza che Ratatouille riprende la definizione di film d’animazione per eccellenza, non solo per l’accuratezza degli effetti digitali, ma anche per un’avventura che si adatta alla visione degli adulti, oltre che dei bambini.

Ratatouille è il film d’animazione per eccellenza 

Il soggetto della storia era stato sviluppato da Jan Pinkava, successivamente sostituito da Bird che vi apportò modifiche insieme a Jim Capobianco (noto per Il gobbo di Notre Dame, Il re leone, Mosters & Co e Alla ricerca di Nemo), Emily Cook e Kathy Greenberg. Il risultato è una storia avvincente che non stanca mai lo spettatore, grazie ad una sceneggiatura che, oltre alla sua innocenza e semplicità, lascia spazio a interessanti tematiche: il difficile ingresso delle donne nel mondo dell’alta cucina, come lamenta il personaggio di Tony Colette; la separazione e l’emancipazione dalla famiglia; la fiducia nelle proprie capacità per realizzare un sogno.

A completare il quadro ci sono le particolarità dell’animazione. I personaggi umani, seppur lontani dal reale aspetto antropico, sono resi alla perfezione grazie a complesse espressioni facciali; i topi vengono realizzati nei dettagli più minuziosi pur mantenendo la caratterizzazione animata. Inoltre gli sviluppatori, primo fra tutti Brad Bird, hanno frequentato corsi di cucina (tra cui il ristorante di Thomas Keller, l’inventore della ratatouille), per riuscire a riprodurre una grande varietà di piatti. Il loro duro lavoro non si è fermato qui, basti pensare alla complessa scenografia che ha come soggetto Parigi: per realizzarla c’è stato bisogno di foto e riproduzioni di strade ed edifici riprese dalla città e rese all’altezza del protagonista Rémy.

Queste non sono altro che peculiarità aggiunte alla meraviglia che ci coglie con la visione di Ratatouille. La vicenda non è mai statica, ci lascia incollati alla poltrona per circa un’ora e un quarto, senza mai stancarci. Le peripezie del topolino e dello sbadato Linguini nascondono dietro la loro comicità una morale che dimentichiamo spesso durante la nostra vita: così come il mondo della cucina può risultare totalmente estraneo a chi in realtà è in grado di riuscire nel campo, così qualsiasi altro sogno può divenire raggiungibile grazie alla determinazione. È proprio con questa lezione che il finale del film ci lascia, mentre pensiamo di correre a casa per sperimentare ricette su ricette.

Ratatouille: il doppiatore di Remy rivela le sue condizioni per un sequel

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Il doppiatore di Remy, Patton Oswalt, rivela la condizione che deve essere soddisfatta affinché possa essere realizzato un sequel di Ratatouille (qui la nostra recensione). Diretto da Brad Bird e Jan Pinkava, il film della Pixar è uscito nel 2007, diventando rapidamente uno dei prodotti più amati della società. Il film segue Remy, un topo che sa cucinare, mentre collabora con il ragazzo degli scarichi Alfredo Linguini (Lou Romano) per fare colpo in un famoso ristorante di Parigi. Nonostante il successo di critica e commerciale del film, Ratatouille 2 non è mai stato realizzato.

Durante una recente intervista con Collider, Oswalt ha ora commentato la possibilità di un Ratatouille 2, rivelando che l’unico modo per realizzare un sequel è che Bird abbia un’idea forte. Evidentemente ciò non è ancora avvenuto, e la star dice che per lui va bene lasciare la storia così com’è. “Il mondo in cui questo esiste è quello in cui Brad pensa a un’idea fantastica, e finché non lo fa, non succederà. Quindi sono totalmente felice che non ci sia un sequel, a meno che lui non abbia un’idea straordinaria. E io ho fiducia in Brad”.

Ratatouille gode ancora oggi di un brillante punteggio del 96% da parte della critica su Rotten Tomatoes e di un ottimo punteggio dell’87% su Popcornmeter. Il film della Pixar ha anche incassato oltre 623 milioni di dollari al botteghino, rendendolo un grande successo finanziario, consacrato poi dall’Oscar al Miglior film d’animazione. Per non parlare dell’indubbio successo che il film ha avuto sulle piattaforme di home viewing nei quasi vent’anni dalla sua uscita.

Questo tipo di accoglienza ha sicuramente lasciato la porta aperta a un sequel, ma uno dei punti di forza storici della Pixar è che lo studio non persegue un progetto solo perché l’originale era popolare. I sequel della Pixar tendono ad essere ben accolti, con i film generalmente elogiati come continuazioni degne delle rispettive storie. Basti pensare all’acclamato Inside Out 2 della scorsa estate.

Tuttavia, solo perché Bird non ha ancora avuto un’idea per un sequel di Ratatouille, non significa che non ci sarà mai un seguito. Bird ha anche diretto Gli Incredibili del 2004, ad esempio, un classico moderno della Pixar, e alla fine ci sono voluti 14 anni per realizzare il ben accolto Gli Incredibili 2 (2018).

Sebbene Bird ritenesse evidentemente che ci fosse una storia che valeva la pena di essere raccontata con Gli Incredibili 2, nel 2019 ha espresso a io9 un generale disinteresse nel tornare su storie già raccontate quando gli è stato chiesto della possibilità di un Ratatouille 2. Ha spiegato: “A quanto pare nessuno vuole più nulla di nuovo. Su questo punto sono un po’ in disaccordo con la società. Mi piacerebbe fare qualcosa di nuovo”.

Ratatouille diretto da Brad Bird

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Ratatouille diretto da Brad Bird

ratatouilleSerata all’insegna dell’animazione quella in programma oggi, Venerdì 3 Gennaio 2014. Infatti, il film che vi segnaliamo oggi è Ratatouille, film d’animazione del 2007 diretto da Brad Bird, il regista che successivamente poi diresse il quarto capitolo del franchise di Mission Impossible con Tom Cruise. Il film è in programma su Rai 2 alle 21:05

Curiosità sul film:

  • Jan Pinkava fu il primo regista incaricato sin dal 2001 di dirigere il film che ne creò lo stile originale, i personaggi e la sceneggiatura di base. Avendo perso fiducia nello sviluppo della storia di Pinkava, la direzione della Pixar lo sostituì con Bird nel 2005. Bird riscrisse la storia con un netto cambio di enfasi, mettendo in secondo piano Gusteau e dando ruoli maggiori a Skinner e Colette, cambiando inoltre l’aspetto dei ratti in modo da essere meno antropomorfi. Per migliorare la loro conoscenza della cucina durante la produzione di Ratatouille, il regista Brad Bird e il produttore Brad Lewis hanno passato molte ore a frequentare corsi di cucina nel ristorante French Laundry di Thomas Keller, colui che ha inventato la ricetta della ratatouille presentata nel film. Gli animatori del film hanno realizzato al computer circa 270 piatti diversi, ciascuno dei quali è stato realmente preparato in una vera cucina.
  • Nel film, Linguini è alto più di 1 metro e 85 cm, mentre Remy misura meno di 20 cm.
  • A Parigi, i programmatori hanno scattato più di 4500 fotografie da utilizzare come riferimento per ricreare tutte le ambientazioni.
  • Colette, l’unica donna nella cucina di Gusteau’s, guida una motocicletta “Calahan”, che prende il nome da Sharon Calahan, direttrice della fotografia del film.
  • Il nome di Skinner è preso in prestito dallo psicologo che ideò la teoria del comportamentismo, Burrhus Skinner.
  • Più di 270 piatti gastronomici diversi sono stati creati al computer. Ognuno è stato preparato in una vera cucina, fotografato, e usato come riferimento.
  • Il film viene citato nell’episodio 5×04 “Un ambiente migliore” della serie televisiva americana Breaking Bad.

Ratatouille racconta di Rémy è un piccolo ratto con un grande sogno, cucinare, che vive poco lontano da Parigi, nella soffitta di una casa di campagna abitata da una signora anziana ma agguerrita. Il topino ha un fratello di nome Émile, e un padre, di nome Django, che è il capo della grande colonia di ratti che abita nella casa. Rémy, contrariamente ai suoi simili, possiede un olfatto ed un gusto molto raffinati, che lo portano a non voler mangiare spazzatura come fanno i suoi simili e a camminare su due zampe, senza poggiare quelle che usa per mangiare. A causa di questo, Rémy viene scelto come “esaminatore” olfattivo per tutta la colonia, ed ogni volta che un membro della colonia porta qualcosa da mangiare, Rémy lo annusa e dice se il cibo sia mangiabile o no. L’idolo di Rémy è il famoso ed eccentrico chef francese Auguste Gusteau, la cui filosofia è Chiunque può cucinare, titolo del suo libro che ha ispirato Rémy. Ma dopo una recensione negativa da parte del critico gastronomico Anton Ego, il ristorante di Gusteau ha perso una stella delle sue cinque. In seguito Gusteau è morto, e per questo motivo, secondo la legge, il ristorante ha perso un’altra stella ed è caduto in disgrazia. Ego è un raffinato e ipercritico gastronomico senz’anima, giornalista di fama internazionale, specialista nella valutazione della qualità dei ristoranti di alto livello, determinandone con il suo giudizio il successo o la rovina.

Rat Queens di Image diventa una serie animata

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Rat QueensIl mondo dei fumetti sta diventando una fonte inesauribile di materiale per i produttori di cinema e televisione, e così ogni giorno un nuovo fumetto si aggiunge alla lista di quelli che vedremo presto sul grande schermo. L’ultimo nome in ordine cronologico è Rat Queens, della Image, che diventerà una serie animata per la tv.

Variety riporta infatti che la Pukeko Pictures di Weta Workshop sta lavorando in coppia con Heavy Metal per adattare Rat Queens in un televisivo animato con episodi da 30 minuti.

Il fumetto, di genere dark comedy, è così descritto:

un gruppo di quattro avventuriere ha il compito di liberare la Hindman Cave dalla presenza di alcuni fastidiosissimi goblin, ma sia i nemici che la caverna in questione riserveranno alle protagoniste parecchie sorprese. Hannah the Rockabilly Elven Mage, Violet the Hipster Dwarven Fighter, Dee the Atheist Human Cleric e Betty the Hippy Hafling Thief sono le eroine che andranno qui a battagliare contro questi insidiosi nemici e, come avete facilmente intuito dai nomi scelti da Wiebe per le protagoniste, non stiamo parlando di eroine convenzionali, ma di un gruppo di avventuriere molto, molto particolari.

Il fumetto è stato creato da Kurtis Weibe e Roc Upchurch.

Fonte: BC

Rasputin – la verità supera la leggenda: recensione

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Rasputin – la verità supera la leggenda: recensione

Rasputin – la verità supera la leggenda – La sua storia è avvolta nella leggenda, nella diceria e soprattutto in quello che la Storia ha permesso si sapesse di lui fino a questo momento: stregone, diabolico monaco, lussurioso e abbietto, ma magico taumaturgo. Questo è Rasputin. Ma cosa succede se si va ad indagare la vera natura del personaggio storico, al di là della leggenda?

Rasputin – la verità supera la leggendaLo ha fatto Louis Nero, che con il suo ultimo film Rasputin – la verità supera la leggenda, ha raccontato in maniera personale e forse sperimentale una storia che nessuno prima aveva mai raccontato. Le origini contadine, il percorso personale legato all’esoterismo, la continuità nel mettersi alla prova davanti alla tentazione, la grande amicizia con i Romanoff e l’omicidio che l’ha visto annegare nel fiume Neva nel 1916.

Tutti i passaggi della sua vita sono rispettati, raccontati attraverso lo strumento narrativo del flashback e utilizzando un sistema visivo raffinato e pop allo stesso tempo, ovvero l’introduzione nel quadro di vere e proprie finestre temporali che ci aiutano ad intersecare i piani narrativi ed ha sentire tutti i punti di vista relativi a chi conobbe Rasputin in vita. L’estetica del film, che per certi versi ricorda il Greenaway di Rembrant J’accuse, si rifà ad una tradizione pittorica che dai russi arriva fino a Rembrant (appunto!) e Caravaggio, prediligendo il piano sequenza fisso e la suggestione che questa figura così complessa e misteriosa proietta ancora oggi sulla spettatore e sulla storia stessa.

Rasputin – la verità supera la leggenda

altFrancesco Cabras interpreta il monaco siberiano, prestando il suo viso emaciato e spigoloso al ruolo e provocando vera e propria inquietudine con il suo sguardo in macchina, ghiacciato ed incavato, ad indagare dentro lo spettatore e sempre rivolgendosi per primo a lui e poi agli interlocutori diegetici. Rasputin è un film spiegato al pubblico, raccontato dagli stessi personaggi che ci raccontano dalle loro finestre aperte sul passato, una vita misteriosa anche per coloro che l’hanno condivisa con il nostro protagonista, e che con il passare del tempo si è oscurata ancora di più fino a rasentare la leggenda. 

Voce narrante, che ipnotizza lo spettatore ancor più dello sguardo di ghiaccio del protagonista, è quella di Franco Nero, anche co-produttore, che ci permette di addentrarci nelle lande siberiane fotografate di blu dallo stesso Luois, e di accoccolarci negli angoli degli interni che invece si tingono del rosso della passione, del sangue, ma anche della misteriosa vita che viene raccontata.

Certo non si può parlare di un film tradizionale, come già accennato siamo ai limiti dello sperimentalismo, e sicuramente quindi il filma avrà vita difficile, ma questo Rasputin riesce comunque a farsi apprezzare se non altro per il tentativo da parte del regista di rimettere in discussione questo personaggio e per la straniante sensazione che il film lascia nello spettatore.

Rasputin secondo Louis Nero

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“Il mio Rasputin è diverso da quello che la storia ci ha tramandato” . Così difende il suo protagonista Louis Nero, oggi alla conferenza stampa di presentazione del suo ultimo film Rasputin – la verità supera la leggenda, “la sua vita è stata una ricerca della verità e della resistenza al peccato che lui si poneva sempre davanti agli occhi per potervi resistere. Con lui ho anche raccontato uno spaccato di quella Russia che di lì a poco si sarebbe trasformata completamente e avrebbe trasformato il mondo intero”.

Rashomon: recensione del film di Akira Kurosawa

Rashomon: recensione del film di Akira Kurosawa

Rashomon è il film culto del 1050 di Akira Kurosawa con protagonisti Toshirô Mifune, Machiko Kyô, Masayuki Mori, Takashi Shimura, Minoru Chiaki, Kichijiro Ueda, Fumiko Honma.

Anno: 1950

Regia: Akira Kurosawa

Cast: Toshirô Mifune, Machiko Kyô, Masayuki Mori, Takashi Shimura, Minoru Chiaki, Kichijiro Ueda, Fumiko Honma.

Negli anni ’50 un vento nuovo cominciò a soffiare da Oriente investendo la cinematografia mondiale: un regista sconosciuto come Akira Kurosawa riuscì a presentare al Festival del Cinema di Venezia, una delle rassegne cinematografiche più prestigiose al mondo, il suo ultimo film intitolato Rashomon. Un film rivoluzionario per quanto riguarda la scrittura narrativa che non segue un ordine cronologico predefinito né una rigida gerarchia: il film ha scardinato uno dei precetti chiave del cinema classico aprendo le porte alla disomogeneità temporale tipica del cinema moderno (la Nouvelle Vague ne è un esempio).

Rashomon trae spunto da un racconto dello studente ventitreenne Ryūnosuke Akutagawa che, dopo una delusione d’amore, pubblicò nel 1915 su una rivista un suo racconto breve intitolato proprio come il film: Rashomon. Solo nel 1922 scrisse invece un racconto completo intitolato “Nel bosco” che, fino ad oggi, è considerato il capolavoro della sua produzione. Kurosawa prese spunto da quest’ultimo ampliandolo però in alcune parti- perché altrimenti, secondo lui, il film risultava incompleto- e modificandone il finale, troppo nichilista nell’originale e più ottimista (forse troppo) nella versione cinematografica.

Rashomon riflette maestosamente sulla relatività e sulle innumerevoli facce che la verità mostra al mondo; e lo fa in chiave storica, calando i suoi personaggi nel Giappone medievale e feudale.

Durante una giornata uggiosa, tre uomini (un monaco, un boscaiolo e un comune passante) si fermano a commentare un cruento fatto di cronaca avvenuto qualche tempo prima: un samurai è stato ucciso da un brigante che ha persino abusato di sua moglie. La storia è raccontata da quattro testimoni che forniscono quattro versioni totalmente differenti dei fatti, e tra questi troviamo le voci del brigante stesso, la moglie del samurai e suo marito (che comunica solo attraverso un medium) e, infine, un narratore. Le versioni sembrano totalmente diverse l’una dall’altra e discostano vistosamente tra loro e sono raccontate attraverso l’uso di una serie di flashback man mano che i vari personaggi- il bandito, la moglie del samurai, la vittima e l’anonimo boscaiolo- procedono con la narrazione.

Le prime tre versioni sono fornite dal monaco che era stato l’ultimo testimone ad aver visto vivi i coniugi prima della tragica vicenda; è il boscaiolo che smentisce queste versioni e fornisce, infine, la sua che non è comunque completamente attendibile. Alla fine le quattro versioni sono raccontate da un comune cittadino mentre tutti insieme attendono la fine del temporale (ecco che la vicenda si ricollega con l’inizio) riparandosi sotto la porta Rashomon, che delimita a sud la città di Kyoto.

Rashomon filmLe influenze e i debiti di Kurosawa verso un altro modo di concepire e fare cinema sono notevoli, infatti il regista stesso dichiara che una delle sue fonti d’ispirazione primaria è stato proprio il cinema muto, che ha cercato di ricreare (almeno nelle dinamiche) grazie a delle scenografie minimaliste e a un continuo processo di semplificazione delle scene, visto che- sempre secondo la sua opinione- il sonoro tendeva a moltiplicare le difficoltà. Molto forte e determinante  è, allo stesso tempo, il ruolo della luce: Kurosawa avrebbe voluto utilizzare soltanto la luce naturale come fonte d’illuminazione ma, essendo troppo fioca, preferì sostituirla con degli specchi che “illuminavano” i volti degli attori inquadrati. Secondo alcuni critici (Tadao Sato, Nda) l’anomalo uso della luce nel film ripropone i temi del male e del peccato, mentre invece secondo altri (K.I.McDonald) l’illuminazione ripropone il tipico binomio manicheo bene/male: la luce indica la ragione, le tenebre il male e l’impulsività.

La struttura anti-narrativa del film, che procede per flashback e frammenti senza rispettare nessuna consecutio temporum, ha rivoluzionato il modo di concepire e fare cinema fino a oggi, influenzando non solo alcuni registi che ne hanno realizzato dei remake (più o meno pregevoli) come quello realizzato da Martin Ritt nel 1964, L’Oltraggio, un western con protagonisti Paul Newman ed Edward G. Robinson; oppure il nostrano Mario Bava – re dell’horror gore – che diresse nel 1969 una versione italiana in chiave comico erotica intitolata “Quante volte… quella notte”  fino ad arrivare a pellicole più contemporanee, come il bellissimo e poetico Hero (2002), distribuito nelle sale americane e poi mondiali grazie alle pressioni di Quentin Tarantino (appassionato dei film cinesi di genere wuxiapian). Ma nemmeno la televisione è rimasta immune al richiamo di Kurosawa: perfino un longevo serial tv come CSI-Crime Scene Investigation ha omaggiato il film del maestro giapponese attraverso un episodio della sesta stagione intitolato Rashomama e riprendendo la decostruzione cronologica e l’uso dei flashback per esprimere una propria versione, relativistica, della verità.

Rashida Jones: 10 cose che non sai sull’attrice

Rashida Jones: 10 cose che non sai sull’attrice

L’attrice Rashida Jones ha negli anni fortificato la sua carriera attraverso la partecipazione ad alcune serie di successo come Parks and Recreation, The Office e Angie Tribeca. Affermatasi anche al cinema grazie ad alcuni film dal piccolo budget ma dal buon successo commericiale, la Jones ha potuto dimostrare un telento e una versatilità da non sottovalutare, ricevendo in più occasioni le attenzioni della critica.

Ecco 10 cose che non sai di Rashida Jones.

Rashida Jones: i suoi film

1. Ha recitato in celebri film d’autore. L’attrice ottiene il primo ruolo di rilievo nel film Full Frontal (2002), per poi farsi notare ulteriormente con Tutte le ex del mio ragazzo (2004), Brief Interviews with Hideous Men (2009), I Love You, Man (2009), Poliziotti fuori – Due sbirri a piede libero (2010), The Social Network (2010), Amici di letto (2011), Un anno da leoni  (2011), I Muppet (2011), Separati innamorati (2012), Annie Parker (2013), Zoe (2018) e Prendimi! (2018). Nel 2019 è invece tra le doppiatrici dei film d’animazione Klaus: I segreti del Natale (2019) e Spie sotto copertura (2019).

2. È celebre per alcuni ruoli televisivi. L’attrice eordisce in televisione recitando in alcuni episodi di serie come Freak and Geeks (2000), e ottenendo un ruolo di rilievo in Boston Public (2000-2002), Wanted (2005) e The Office (2006-2009). Diventa poi celebre con il ruolo di Ann Perkins nella serie Parks and Recreation (2009-2015). Successivamente è invece protagonista della serie Angie Tribeca (2016-2018).

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3. Si è distinta come sceneggiatrice. Negli anni la Jones ha sfoggiato anche brillanti doti da sceneggiatrice, ricoprendo tale ruolo per il film Separati innamorati, per la serie documentario Hot Girls Wanted, per il documentario Quincy, ed ha inoltre scritto il soggetto del film d’animazione Toy Story 4 (2019).

4. È anche produttrice. La Jones sembra inoltre aver ereditato il talento produttivo del padre, ed ha infatti ricoperto tale ruolo in più di un’occasione, producendo il film Separati innamorati, le serie A to Z, Hot Girls Wanted, Angie Tribeca e Claws.

Rashida Jones è su Instagram

5. Ha un account personale. L’attrice è presente sul social network Instagram con un proprio profilo, seguito da 1,6 milioni di persone. All’interno di questo l’attrice è solita condividere fotografie scattate in occasioni di svago, con amici o colleghi. Non mancano tuttavia immagini promozionali dei suoi progetti cinematografici o televisivi, e foto tratte dalle premiere a cui ha preso parte.

Rashida Jones: i suoi genitori

6. È figlia d’arte. L’attrice è figlia di Quincy Jones, leggendario produttore discografico, tra i più celebrati di sempre, in particolare nell’ambito della black music. La madre della Jones è invece l’attrice Peggy Lipton, celebre per aver recitato nella serie TV Twin Peaks.

Rashida Jones e Ezra Koenig

7. Ha avuto un figlio dal musicista. Nell’agosto del 2018 l’attrice ha avuto un bambino dal compagno di lunga data, il musicista Ezra Koenig, celebre per essere il frontman del gruppo indie rock Vampire Weekend.

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Rashida Jones in The Office

8. Ha recitato nella serie con Steve Carell. Tra il 2006 e il 2009 l’attrice ha recitato in un totale di 25 episodi nella serie The Office, ricoprendo il ruolo di Karen Filippelli, direttore regionale della Dunder Mifflin Utica, nonché ex ragazza di Jim Halpert, il personaggio interpretato dall’attore John Krasinski.

Rashida Jones e Black Mirror

9. Ha sceneggiato un episodio della celebre serie antologica. L’attrice si è inoltre distinta per aver scritto l’episodio Nosedive, presente all’interno della terza stagione di Black Mirror e interpretato da Bryce Dallas Howard. La Jones ha affermato che l’idea è nata in seguito alla grande diffusione dei social network, una rivoluzione mediale che le ha causato stati di ansia in più occasioni.

Rashida Jones età e altezza

10. Rashida Jones è nata a Los Angeles, in California, Stati Uniti, il 25 febbraio 1976. L’altezza complessiva dell’attrice è di 163 centimetri.

Fonte: IMDb

Rapunzel: la Disney vorrebbe Baz Luhrmann come regista dell’adattamento live action

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Il lungometraggio d’animazione del 2010 Rapunzel – L’intreccio della torre, basato sulla fiaba tedesca Raperonzolo dei fratelli Grimm, è il 50° Classico Disney, nonché il 7º ad aver incassato di più nella storia, con un incasso totale di 591 milioni di dollari, ed è inoltre il film più costoso nella storia dei Classici Disney con un budget di 260 milioni. Si tratta dunque di uno dei più importanti film realizzati nello scorso decennio dalla Disney e non sorprende che lo studio voglia ora realizzarne un adattamento in live action, sulla base di quanto realizzato negli ultimi anni con molti altri dei propri Classici d’animazione.

Anche se non ci sono stati annunci ufficiali (e probabilmente non ci saranno finché gli scioperi non finiranno), nelle ultime settimane si è sentito parlare parecchio dei potenziali piani della Disney per tale remake e un nuovo rumor suggerisce ora il regista che lo studio vorrebbe alla guida del progetto. Secondo l’insider Daniel Richtman, niente meno che Baz Luhrmann (Elvis, Il grande Gatsby, Moulin Rouge) sarebbe il regista in cima alla lista delle preferenze. Richtman ha inoltre ribadito anche una recente voce secondo cui Florence Pugh sarebbe la favorita ad interpretare il ruolo principale di Rapunzel.

Sebbene Richtman sia solitamente una fonte abbastanza affidabile, è però bene notare che la sua dichiarazione è stata smentita da un altro noto insider del settore, Jeff Sneider, il quale sostiene che Luhrmann non sarà il regista del film. Vale però la pena notare che Richtman non ha mai detto che Luhrmann avesse effettivamente firmato per dirigere, ma solo che la Disney lo sta tenendo in considerazione per tale compito. Non è dunque da escludere che, con un colpo di scena, l’accordo possa effettivamente concretizzarsi, portando Luhrmann alla regia del film, che potrebbe nelle sue mani assumere un’aspetto inedito e ben distinto rispetto agli altri remake in live action della Disney.

Rapunzel: la Disney mette in cantiere il live action

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Rapunzel: la Disney mette in cantiere il live action

La Disney starebbe sviluppando una versione live action di Rapunzel – L’intreccio della torre, il 50° Classico d’Animazione basato sulla celebre fiaba tedesca “Raperonzolo” scritta dai Fratelli Grimm.

Il film d’animazione, uscito nel 2010, annovera tra i doppiatori originali Mandy Moore (This Is Us) e Zachary Levi (Shazam!) e divenne un grandissimo successo all’epoca della sua uscita, con 592 milioni di dollari incassati a livello mondiale. Attualmente, è il settimo classico Disney ad aver incassato di più nella storia.

Come riportato da The DisneyInsider, la Disney è attualmente al lavoro su una versione live action di Rapunzel che, in realtà, potrebbe anche non essere un remake del Classico d’Animazione, ma piuttosto un nuovo adattamento della favola originale. Sempre dalla fonte apprendiamo che la Casa di Topolino ha incaricato Ashleigh Powell (Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni) di scrivere la sceneggiatura del film.

Il personaggio di Rapunzel (chiaramente una versione slegata dal film animato) era già apparso “in carne ed ossa” nel musical Into the Woods di Rob Marshall, interpretato dall’attrice MacKenzie Mauzy.

Al momento non ci sono ulteriori dettagli. Ricordiamo che di recente la Disney ha annunciato anche i live action di altri due celebri classici: Bambi e Pinocchio (quest’ultimo sarà diretto da Robert Zemeckis, regista della trilogia di Ritorno al Futuro e di Forrest Gump).

A marzo arriverà finalmente nelle sale l’attesissimo live action di Mulan, mentre tra i film attualmente in produzione figura Cruella, il live action dedicato all’iconica Crudelia de Mon che vedrà il premio Oscar Emma Stone nei panni della protagonista.

Rapunzel sarà una serie animata con Zachary Levi e Mandy Moore

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Rapunzel sarà una serie animata con Zachary Levi e Mandy Moore

rapunzel serieDisney Channel ha annunciato che il film Rapunzel diventerà presto una serie animata con le voci di  Zachary Levi e Mandy Moore. A produrre saranno Chris Sonnenburg (Enchanted) e Shane Prigmore (Dragon Trainer).

La serie animata che dovrebbe debuttare negli USA nel 2017 racconterà gli eventi accaduti tra il primo film e il successivo cortometraggio. Rapunzel conoscerà meglio la sua famiglia, i suoi genitori e il regno della Corona dove la giovane deciderà di intraprendere nuove avventure insieme a Eugene, il suo amico camaleonte Pascal, il cavallo Maximus, i criminali del Snuggly Duckling Pub, e Cassandra, un nuovo personaggio che diventerà presto amica della protagonista.

 

 

Rapunzel Prima del Si al Giffoni Experience

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Rapunzel Prima del Si al Giffoni Experience

Ambientato subito dopo le vicende del classico Disney Rapunzel – L’Intreccio della Torre e  prima del corto di animazione Rapunzel – Le incredibili Nozze, l’attesissimo Disney Channel Original Movie Rapunzel Prima del Si sarà presentato in anteprima al Giffoni Experience, il festival dedicato ai ragazzi, domenica 16 luglio con sue proiezioni speciali alle 15:30 e alle 19:00 dedicate ai giurati della sezione Elements +6.

Il film anticiperà l’arrivo a ottobre su Disney Channel (canale 613 disponibile solo su Sky) diRapunzel: La Serie e vedrà la Principessa Perduta fare i conti con la nuova vita a Palazzo. Rapunzel, infatti, scopre che far parte della famiglia reale può essere soffocante e desiderosa di maggiore libertà, e nonostante l’amore che prova per lui, decide di rifiutare la proposta di matrimonio di Eugene. Il suo irrefrenabile spirito libero e la sua naturale curiosità la porteranno, con l’aiuto dell’ancella Cassandra, a lasciare il castello di nascosto nel cuore della notte e giungere nel luogo in cui fu trovato il fiore che le donò i magici capelli. Qui accadrà qualcosa di inaspettato: dal terreno spunteranno delle spine i lunghi capelli biondi della principessa riprenderanno a crescere. Mentre tutti nel regno si preparano all’incoronazione di Rapunzel, una figura misteriosa raggiungerà il luogo da cui proviene il magico fiore…

In queste nuove avventure, Il pubblico ritroverà i personaggi più amati del classico d’animazione, come Eugene/Flyn Rider, il tenero camaleonte Pascal, fino al simpatico cavallo Maximus a capo delle guardie reali, e gli strambi personaggi della Locanda del Brutto Anatroccolo, mentre farà il suo debutto Cassandra, la sua leale ancella di corte.

Azione e tanto divertimento attendono i giurati del 47° Giffoni Experience nell’attesa del debutto in tv a ottobre delle incredibili avventure di Rapunzel: Prima del Si e Rapunzel: La Serie a ottobre solo su Disney Channel (canale 613 disponibile solo su Sky).

Rapunzel della Disney diventa un musical

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Rapunzel della Disney diventa un musical

Rapunzel musicalRapunzel diventerà un musical per la Disney Cruise Line. La compagnia di navigazione statunitense di proprietà della The Walt Disney Company aggiunge al suo carnet per gli ospiti che scelgono un viaggio in mare a tema un nuovo spettaccolo, un rifacimento per teatro in muscia del film basato sul racconto di Raperonzolo. Nel musical ci saranno due brai inediti composti dal premioo Oscar Alan Menken.

Nella storia ritroveremo tutti i personaggi che hanno fatto la fortuna del film.

Fonte

Rapunzel – l’intreccio della Torre: recensione del film

Rapunzel – l’intreccio della Torre: recensione del film

La recensione del film d’animazione Rapunzel, la pellicola diretta da Nathan Greno e Byron Howard.

In un lontano regno delle fiabe tutti i sudditi sono preoccupati per la sorte della regina, incinta del sospirato erede ma malata e in fin di vita: grazie a un fiore magico giunto sulla terra con una goccia di Sole, la regina riesce a guarire e a far nascere la principessa Rapunzel che eredita i magici poteri curativi della pianta nei suoi biondi capelli; una vecchia ossessionata dal desiderio di rimanere giovane che aveva già scoperto i poteri del fiore magico rapisce la piccola e la rinchiude in una torre dove lei resterà con i suoi lunghi capelli magici crescendo con la speranza di poter un giorno uscire a vedere il mondo. Un giorno l’affascinante ladro Flynn Rider si rifugia nella torre per sfuggire ai suoi inseguitori…

Regia: Nathan Greno e Byron Howard

Anno: 2010

Con le voci di: Mandy Moore/Laura Chiatti: Rapunzel; Zachary Levi /Giampaolo Morelli –Massimiliano Alto: Flynn Rider; Donna Murphy /Giò Giò Rapattoni: Madre Gothel; Ron Perlman /Pino Insegno: Fratelli Stabbington.

Per un lavoro che aveva l’ingrato onere di rappresentare il cinquantesimo lungometraggio della canonica tradizione, la fiaba di Raperonzolo viene epurata di tutti i suoi elementi più inquietanti e incongruenti (raperonzoli compresi) per inserirsi perfettamente in più familiari contesti: dopo l’esperienza de La principessa e il ranocchio, affascinante ritorno alle vecchie tecniche di disegno purtroppo carente di ritmo ed emozione, il passaggio alla CGI era quasi inevitabile e molti potrebbero giudicarlo come la sconfitta definitiva, ma quando il risultato è così strabiliante e incantevole si può solo gioire e festeggiare per un ritorno di grazia tanto sperato e atteso: con la regia di Nathan Greno e Byron Howard (Bolt, Mulan, Koda fratello orso) grazie anche ai consigli e alle direttive di John Lasseter, storico nome della Pixar, la Disney impara la lezione senza però smarrire sé stessa: supportandosi di una sceneggiatura classica che riacquista fiducia nelle capacità di quelle principesse che da tanto tempo erano state dimenticate, Rapunzel condisce la ricetta con un po’ di sana ironia, prendendo in giro i suoi stessi meccanismi senza però ridicolizzarli (l’esperienza di Come D’Incanto, misto animazione e live action assolutamente riuscito, ha certamente insegnato a casa Disney a imparare a ridere di sé stessa  e delle sue divinità), regalandoci protagonisti svecchiati dal ruolo impostogli dai fratelli Grimm e nei quali diventa facile identificare sorrisi e paure di ieri e di oggi, citando allo stesso tempo le pellicole più indimenticabili del suo repertorio. Fra i tanti riferimenti velati alcuni si fanno più evidenti: la scena assolutamente spassosa nella locanda non può non ricordare quella de La Bella e La Bestia, nel regno del Sole hanno certamente usato il castello di Cenerentola per disegnare le proprie architetture, la curiosità di Rapunzel durante la visita al villaggio e la meravigliosa scena delle lanterne  nel cielo che i protagonisti ammirano in barca sul lago sono chiaramente ispirate alla Sirenetta e il protagonista maschile Flynn Rider, oltre a scherzare sulla galanteria e il fascino di Erroll Flynn (storico interprete di Robin Hood), prende da Aladdin alcuni atteggiamenti e sorrisi (oltre che per le parti cantate il doppiaggio di Massimiliano Alto), la spettacolare sequenza della diga pur non di Disneyana memoria non può non ricordare Indiana Jones.

Rapunzel – l’intreccio della Torre: recensione del film

In ogni caso, fra tutti i lavori omaggiati forse il più eclatante per ovvie ragioni di plot è Il Gobbo di Notre Dame, col quale sembra quasi correre su un binario parallelo: con lui la dolce Rapunzel condivide grande creatività e passione per vita che si esprimono attraverso arti pittoriche e non solo, cercando di sopravvivere alla prigionia in un gabbia dorata e dimenticata, col desiderio di andare fuori a vedere il mondo; non per realizzare chissà quali eroiche imprese ma semplicemente per essere parte di un evento straordinario che hanno osservato da lontano per tutta la vita e che nel loro cuore di adolescenti è diventato più importante di qualsiasi altra cosa (la festa dei folli per Quasimodo, la scia luminosa delle lanterne per la nostra protagonista)  per infrangersi contro le minacce di una figura loro vicina che li terrorizza con racconti di un’umanità malvagia e senza pietà. Distrutti da una cocente delusione, sia Quasimodo che Rapunzel ritornano di nuovo nel loro rifugio-prigione , riflettendo su quanto fossero stati in torto (“avevi ragione su tutto” è una battuta che viene ripetuta praticamente con le stesse parole da entrambi al cattivo di turno), per poi rendersi conto della verità e affrontare il male che tenterà di combatterli con un pugnale prima che il lieto fine possa finalmente trionfare.

Nonostante gli ovvi punti di contatto, la nuova pellicola della Disney prende comunque un’altra direzione che è di per sé ancora più inquietante: se per Quasimodo l’ostacolo da vincere non è soltanto la paura generata da Frollo ma quella della repulsione che gli altri possano provare per la sua diversità, nel caso di Rapunzel a impedirle di uscire è soprattutto il terrore di disobbedire a quella che lei crede essere sua madre. Madre Gothel, che ha cresciuto la bambina come una figlia solo per potersi mantenere eternamente giovane, è forse uno dei cattivi più perfidi mai concepiti dalla Disney; priva di qualsiasi potere magico, simile a Cher nella magnetica fisionomia e nella voluminosa permanente dei suoi ricci neri, si serve di un sortilegio molto più terribile di qualsiasi altro mai visto: una spudorata ipocrisia.

Nonostante sia ovvio per lo spettatore che sia lei il personaggio negativo della storia dato che come tale viene introdotto nel prologo, ella si presenta alla nostra eroina come una madre devota, fingendo il suo amore con una naturalezza e una spontaneità davvero spaventose; eppure, dietro dichiarazioni di affetto smisurato e baci e carezze materne si nasconde sempre, lì dietro l’angolo, una frase o un commento cattivo e denigratorio, una stoccata sottile come uno stiletto per sottolineare l’inadeguatezza, l’inconsistenza e l’inutilità della povera ragazza, mascherata da battuta scherzosa di pessimo gusto ma pur sempre detta dall’unica madre che lei abbia mai conosciuto. Ci può essere paura più grande che quella di non essere amati dai propri genitori?

Ciononostante, Rapunzel sembra nutrire per lei sincero affetto e dedizione, che consentono di far emergere quegli aspetti del suo carattere che la rendono un personaggio vivo e realistico per ogni spettatore: vivace, allegra e spensierata e ben lontana dall’essere la solita fanciulla in pericolo che attende un salvatore, la giovane è totalmente terrorizzata al pensiero di disubbidire, come ogni ragazzo che vorrebbe trovare il coraggio di buttarsi dal nido ma è intrappolato (o intrecciato secondo il titolo originale Tangled) da una famiglia iperprotettiva; la lotta interiore fra il rimorso per la fuga e la felicità per la grande avventura dà vita a uno dei momenti più divertenti dell’intera pellicola proprio per la freschezza e la spontaneità di quella continua volubilità di cui molte altre eroine, prese dai loro doveri e dai loro obiettivi, erano completamente prive.

RapunzelAssolutamente spassosi i personaggi che, armata di padella e lunghi capelli, incontra sul suo cammino, con animali non parlanti come da tradizione ma che nelle loro espressioni sono assolutamente irresistibili: il camaleonte Pascal, con le sue smorfie e le sue occhiate di ammonimento, Maximus, cavallo reale col fiuto di un segugio votato a combattere il crimine anche meglio di tutti soldati del regno che pendono dalle sue capacità investigative con un debole per le mele buone e saporite (a patto che siano state comprate e pagate secondo la legge), il brigante della taverna che invece di terrorizzare voleva soltanto realizzare il proprio sogno di essere un grande pianista, e i corpulenti Fratelli Stabbington che già nel nome nascono tutta la loro determinazione e caparbietà nell’inseguire il bottino perduto (richiama facile assonanza con l’inglese “stubborn” che significa testardo). Senza dimenticate naturalmente il bel Flynn Rider (all’anagrafe Eugene Fitzerbert) che con il suo omonimo di cinematografica memoria condivide una certa propensione ai furti anche se per donare unicamente a sé stesso, e che si innamora della protagonista dopo averne approfondito la conoscenza e conosciuto lo spirito; il “sorriso che conquista” che tanto era stato utile ai suoi predecessori, tutti quei principi di rango in calzamaglia che così avevano fatto scattare istantanei colpi di fulmine di pochi secondi senza nemmeno scambiare una parola con la loro pulzella, qui è sufficiente soltanto a fargli guadagnare una padellata sulla testa: era tempo di provare altre strade.

Come in ogni Cartoon Disney che voglia definirsi tale, i momenti musicali sono fondamentali e chiamare al timone lo storico Alan Menken (detentore del record di ben 8 premi Oscar) non poteva che rivelarsi una scommessa vinta: certo non siamo ai briosi livelli raggiunti in passato (ma quelli si erano già iniziati a smarrire nel 91′ dopo la morte dello storico collaboratore e paroliere Howard Ashman), ma le canzoni sono comunque orecchiabili e alcune sono davvero elettrizzanti (provate a stare fermi sulla poltrona durante la scena della danza del regno…); resta sempre l’ eterno problema della traduzione dei testi in italiano, che continua a essere piuttosto discutibile ma considerando che target di pubblico è costituito da bambini è effettivamente eccessivo nonché impossibile chiedere qualcosa di diverso a uno spettatore che non solo si stancherebbe subito di leggere i sottotitoli ma probabilmente nemmeno sarebbe capace di farlo data la sua giovanissima età. Unica solita pecca che condivide ormai con buona parte delle uscite di questi ultimi due anni è l’uso del 3D, che se non altro ha qui il merito di conferire profondità , ma sacrificando come al solito la luminosità dei colori che meritavano davvero di essere contemplati in tutta la loro brillantezza.

RapunzelNulla da dire dunque sulla qualità dell’animazione digitale se non per fare una lunga, lunghissima standing ovation: sfumature pastello di rosa verde e azzurro governano un mondo incantato dove ogni dettaglio, dal più piccolo fiore al più sottile riflesso dei biondi capelli, è curato alla perfezione, fino alla fantastica scena della diga dove vengono gettati sullo spettatore ben 87 milioni di litri di acqua virtuale. Il character design morbido e non troppo spigoloso facilmente potrebbe essere adattato all’animazione vecchio stile; non burattini freddi e inanimati in una realtà virtuale, ma personaggi palpabili dotati di sentimenti e profondità che si leggono facilmente nella luce dei loro occhi lucidi: ogni  sguardo di amore, odio e lacrime è assolutamente reale, quando proprio in una lacrima si nasconde il vero cuore di Rapunzel: quella che il re, dopo quasi 18 anni di separazione dalla figlia perduta, non riesce a trattenere per la disperazione davanti alla fiduciosa regina prima di accendere le lanterne della speranza: una sola, per consacrare Tangled come il meraviglioso e trionfale ritorno della Walt Disney Pictures.

Rapito: recensione del film di Marco Bellocchio – Cannes 76

Rapito: recensione del film di Marco Bellocchio – Cannes 76

Dopo la Palma d’oro alla carriera del 2021 e le tante partecipazioni (da Il traditore e Vincere, solo per citare gli ultimi in concorso, o Esterno notte e Marx può aspettare, in Cannes Première), Marco Bellocchio sceglie di nuovo il Festival di Cannes per presentare la sua ultima opera. E Thierry Frémaux sceglie di nuovo il nostro regista, questa volta nella sezione più importante con il Rapito che 01 Distribution porta al cinema a partire dal 25 maggio. Una storia vera, raccontata in maniera unica anche grazie alle interpretazioni magistrali di un cast perfetto nel quale spiccano il Papa Pio IX di Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Filippo Timi e il Miglior Attore dei David di Donatello 2023, Fabrizio Gifuni.

Rapito: la storia vera di tanti ebrei italiani

Il piccolo Enea Sala e Leonardo Maltese, una volta cresciuto, danno vita al bolognese Edgardo Mortara, bambino ebreo che nel 1858 fu strappato alla sua famiglia per essere allevato da cattolico sotto la custodia di Papa Pio IX. Un caso internazionale trattato ampiamente – come anche i tanti analoghi – da David I. Kertzer, Marina Caffiero o Vittorio Messori (in Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX – memoriale inedito del protagonista del “Caso Mortara”), oltre ovviamente che in “Il caso Mortara” di Daniele Scalise, al quale si sono liberamente ispirati il regista e Susanna Nicchiarelli per la sceneggiatura, stesa con la collaborazione di Edoardo Albinati, Daniela Ceselli e la consulenza storica di Pina Totaro.

Rapito film recensioneTutto inizia nel quartiere ebraico di Bologna, quando i soldati del Papa arrivano a casa della famiglia Mortara per portare via il piccolo Edgardo, di sette anni. Temendo per la sua vita, all’età di sei mesi, l’allora domestica l’aveva segretamente battezzato e a distanza di anni il diritto canonico dello Stato Pontificio esige che il ragazzino riceva un’educazione cattolica e venga cresciuto dal Vaticano. E’ l’inizio di una battaglia legale, e politica, che non si conclude nemmeno con il declino del potere temporale della Chiesa per la conquista di Roma del 20 settembre 1870.

Il racconto unico e potente di Marco Bellocchio

La componente tecnica è importante nel racconto che fa Marco Bellocchio della storia di Edgardo Mortara, ma ancora una volta è lo sguardo del regista di Bobbio a rendere unico il risultato finale che arriva sul grande schermo. Come sempre, la sua capacità di armonizzare dati oggettivi, narrativa e suggestioni oniriche regala un film personale e riconoscibile, capace di polarizzare lo sguardo del pubblico pur rappresentando l’umanità dei soggetti in causa. Unico e potente, grazie anche alla partecipazione determinante della fotografia di Francesco Di Giacomo, la scenografia di Andrea Castorina, i costumi di Sergio Ballo e Daria Calvelli o le musiche di Fabio Massimo Capogrosso, chiamate in molti casi a farsi carico di un sottotesto non secondario.

L’alternarsi delle ottiche rende ancor più maestosi e distorti gli ambienti vaticani nei quali si svolge il dramma di Edgardo e della famiglia Mortara, una grandiosità soffocante che i crescendo drammatici del commento musicale rendono ancora più opprimente. Costringendo il piccolo ebreo rapito a rifugiarsi nella fantasia e in un personalissimo rapporto con il Cristo al quale si trova costretto a rendere continuo omaggio. Confuso, affascinato, curioso, nell’uomo inchiodato alla croce il bambino vede quasi un compagno di sventura, da aiutare, come nessuno sembra volere – o potere – aiutare lui.

Qualcosa che lo accomuna al Pio IX di un incredibile Pierobon, altra figura non rassicurante né lineare. Un Papa minaccioso e violento (come sa la delegazione della comunità ebraica romana guidata da Paolo Calabresi, irrisa e ricattata), eppure costretto a combattere con il proprio essere Papa Re, pur malato e a suo modo visionario, per mantenere il controllo sulla propria gente, anche a costo di umilianti ‘lezioni’ (come quella impartita all’impacciato Edgardo, ormai cresciuto e fedelissimo).

Nell’opera Rapito di Bellocchio convivono l’empatia e l’orrore, la commozione e il sacro timore, componenti apparentemente inscindibili di una realtà complessa, non semplice nemmeno per i più faziosi, che un tema tanto divisivo sicuramente chiamerà in causa. Prova ulteriore ne sia la messa in scena – molto riuscita e d’effetto – in parallelo di riti e penitenze, tanto della famiglia ebrea riunita, quanto dell’algido funzionario di Fabrizio Gifuni, capace di rendere ancor più disumano il frate domenicano Pier Gaetano Feletti, inquisitore nell’esercizio delle sue funzioni. Ma soprattutto dell’alternarsi di volti e liturgie diverse del processo all’ecclesiastico e della cresima del ragazzo che sanciscono la definitiva sconfitta da parte della famiglia.

La scoperta delle reali motivazioni della servetta alla base del rapimento e la sorda presunzione dell’istituzione vaticana sono ‘dettagli’ che renderanno ancora più inaccettabile il tutto allo spettatore moderno, ma più dell’invito a contestualizzare ripetuto a più riprese da regista e attori è lo stesso finale a creare una anomala sospensione. La fervida immaginazione visiva di Bellocchio – come già in Buongiorno, notte e altrove – lascia aperta una porta tra sogno e cronaca. E il dubbio – anche se in una scena forse troppo confusa e contraddittoria – di un’anima più tormentata di quel che deve esser stata, viste le note finali sulla storia del Mortara adulto, morto in monastero a novanta anni dopo una vita da missionario.

Rapito, il trailer ufficiale del nuovo film di Marco Bellocchio

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Rapito, il trailer ufficiale del nuovo film di Marco Bellocchio

Distribuito da 01 Distribution e in sala dal 25 maggio, il nuovo film di Marco Bellocchio dal titolo Rapito si fa ora ammirare grazie al suo trailer ufficiale. Nel nuovo lungometraggio del regista, che sarà presentato in concorso al Festival di Cannes, si racconta del caso Edgardo Mortara. Siamo nel 1858, nel quartiere ebraico di Bologna, dove i soldati del Papa irrompono nella casa della famiglia Mortara. Per ordine del cardinale, sono andati a prendere Edgardo, il loro figlio di sette anni. Secondo le dichiarazioni di una domestica, ritenuto in punto di morte, a sei mesi, il bambino era stato segretamente battezzato.

La legge papale è inappellabile: deve ricevere un’educazione cattolica. I genitori di Edgardo, sconvolti, faranno di tutto per riavere il figlio. Sostenuta dall’opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la battaglia dei Mortara assume presto una dimensione politica. Ma il Papa non accetta di restituire il bambino. Mentre Edgardo cresce nella fede cattolica, il potere temporale della Chiesa volge al tramonto e le truppe sabaude conquistano Roma.

Liberamente ispirato al libro di Daniele Scalise Il caso Mortara. La vera storia del bambino ebreo rapito dal papa (1996), il film scritto da Bellocchio insieme a Susanna Nicchiarelli con la collaborazione di Edoardo Albinati e Daniela Ceselli e la consulenza storica di Pina Totaro, rappresenta dunque un nuovo capitolo nell’analisi della storia novecentesca d’Italia portata avanti da Bellocchio con il suo cinema, dopo i recenti casi di Il traditore ed Esterno notte. Nel film recitano gli attori Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Enea Sala, Barbara Ronchi, Filippo Timi, Fabrizio Gifuni, Andrea Gherpelli, Samuele Teneggi, Corrado Invernizzi, Paolo Calabresi.

Rapiniamo il Duce: trailer ufficiale del film Netflix con Pietro Castellitto

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Netflix ha diffuso il trailer ufficiale del film originale Netflix Rapiniamo il Duce, il nuovo film del regista Renato Di Maria che sarà presentato in anteprima alla diciassettesima edizione della  Festa del Cinema di Roma (Grand Public). Protagonisti del film Pietro Castellitto, Matilda De Angelis, Tommaso Ragno, Isabella Ferrari, Alberto Astorri, Maccio Capatonda, Luigi Fedele, Coco Rebecca Edogamhe, Maurizio Lombardi, Lorenzo de Moor, Luca Lo Destro, Filippo Timi Prodotto da Bibi Film, in arrivo solo su Netflix dal 26 ottobre

Rapiniamo il Duce, la trama

Milano, aprile 1945. Siamo agli sgoccioli della Seconda Guerra Mondiale. La città è in macerie. Nel caos della guerra Isola è diventato il re del mercato nero, guidato da un’unica legge morale: la sopravvivenza. Yvonne è la sua fidanzata clandestina, cantante del Cabiria, l’unico locale notturno rimasto aperto in città. Ma anche Borsalino, gerarca fascista, torturatore spietato, è innamorato perdutamente di Yvonne e disposto a tutto pur di averla. Isola e i suoi intercettano una comunicazione cifrata e scoprono che Mussolini ha nascosto il suo immenso tesoro proprio a Milano – nella “Zona Nera” – in attesa di fuggire per la Svizzera, scampando alla cattura e alla forca. Isola non può lasciarsi sfuggire l’occasione della vita – il colpo più ambizioso della Storia – e decide perciò di mettere in atto un’impresa folle: rapinare il Duce.
  • Regia: RENATO DE MARIA
  • Soggetto e sceneggiatura: RENATO DE MARIA, FEDERICO GNESINI, VALENTINA STRADA
  • Casting: FRANCESCO VEDOVATI, ANNAMARIA SAMBUCCO
  • Costumi: ANDREA CAVALLETTO
  • Scenografia: GIADA CALABRIA
  • Organizzatore generale: ANSELMO PARRINELLO
  • Musiche: DAVID HOLMES
  • Montaggio: CLELIO BENEVENTO
  • Direttore della fotografia: GIAN FILIPPO CORTICELLI
  • Prodotto da: MATILDE BARBAGALLO e ANGELO BARBAGALLO
  • Cast: PIETRO CASTELLITTO, MATILDA DE ANGELIS, TOMMASO RAGNO, ISABELLA FERRARI, ALBERTO ASTORRI e con la partecipazione di MACCIO CAPATONDA, LUIGI FEDELE, COCO REBECCA EDOGAMHE, MAURIZIO LOMBARDI, LORENZO DE MOOR, LUCA LO DESTRO e con FILIPPO TIMI

Rapiniamo il Duce, la recensione del film con Castellitto e De Angelis

È una bomba a orologeria il cui ticchettio si fa sempre più insistente, sempre più coinvolgente, sequenza dopo sequenza, dialogo dopo dialogo, Rapiniamo il Duce. Un ingranaggio pronto a esplodere; una detonazione improvvisa con la quale smuovere un cinema italiano fin troppo ancorato ai consueti stilemi, mescolando utopia e sogno, fantasia e una Storia (quella con la S maiuscola) adesso riscritta con il potere della macchina da presa. 

Rapiniamo il duce guarda al di là dell’oceano, verso quelle spiagge caotiche che si stagliano lungo i confini di universi immaginifici come quelli  di Quentin Tarantino e dei suoi Bastardi senza gloria; è uno sguardo lontano quello di Renato De Maria, lanciato non per copiare, ma per lasciarsi influenzare, nella compilazione personale di un heist-movie all’italiana, fratello e diretto discendente di classici come I soliti Ignoti, ma insignito di un gusto anarchico che lo lega per aspirazione e rivoluzione iconoclasta un altro titolo recente come Freaks Out di Gabriele Mainetti.

Proprio perché figlia di un gusto eroico, tipicamente americano, dove anche gli ultimi possono aspirare al ruolo di grandi eroi, l’opera di De Maria può rivelarsi al mondo nelle vesti di patchwork citazionistico composto da tanti, piccoli, deja-vu. Eppure, inserita nel contesto italiano, Rapiniamo il Duce vive di una sagacia innovativa e di  una spinta anarcoide attraverso le quali reinventare e rinnovare il nostro cinema, anche a costo di cadere e farsi male, proprio come Isola davanti alle forze fasciste. Ma è la corsa che conta ne Il Rapiniamo il duce, non l’ascesa, o la caduta finale.

È l’evoluzione di un discorso filmico che tenta di osare, parlare linguaggi conosciuti, e allo stesso tempo nuovi per un pubblico italiano ormai assuefatto alla riproposizione diretta di mille copie di universi cinematografici sempre uguali a se stessi. Un linguaggio che canta canzoni anni Sessanta in un contesto bellico di metà anni Quaranta; un linguaggio di fotografie ombrose e colori sgargianti; un linguaggio fatto di graphic novel che prendono vita, di heist-movie dal sapore hollywoodiano inseriti tra le strade nostrane. Un linguaggio in evoluzione, vernacolare nel parlato, e aulico nella resa visiva, che vede in Rapiniamo il duce, un nuovo, ambizioso, cantore.

Rapiniamo il duce, la trama

Milano. La Seconda Guerra Mondiale è ormai agli sgoccioli. Tra le vie bue del capoluogo lombardo si aggira Isola (Pietro Castellitto), ladro spiantato e romantico, innamorato di Yvonne (Matilda De Angelis), cantante da night e a sua volta amante di un gerarca fascista (Filippo Timi), che è sposato con Nora (Isabella Ferrari), attrice del muto che non ama più. Per puro caso Isola e la sua banda di anti-eroi improvvisati (Tommaso Ragno e Luigi Fedele) scopre che Mussolini e i suoi gerarchi fascisti stanno organizzando una via di fuga, così da mettere in salvo anche il proprio tesoro, fatto di gioielli e pezzi d’oro sottratti al popolo italiano. Co-adiuvato dalla propria banda – a cui si aggiungono anche Molotov e il pilota automobilistico Denis Fabbri (Maccio Captonda) Isola organizza un proprio contro-piano d’attacco per rapinare il Duce e impadronirsi dell’oro.

Rapiniamo il Duce castIn questo mondo di ladri

È un Robin Hood che ruba ai ricchi gerarchi per donare ai sopravvissuti dell’incubo fascista, Isola. Capobanda di un gruppo musicale che agli strumenti preferisce le bombe e l’artiglieria pesante, il personaggio di Castellitto si fa guida privilegiata di una Milano abbagliata dalla luce dei raid aerei, ricercando nella sottrazione dell’oro ai generali fascisti, un senso di rivalsa sociale da parte di una nazione in ginocchio. Memore della lezione impartita da Monicelli, e riscritta in termini anglosassoni da registi come Tarantino e non ultimo Edgar Wright (Baby Driver), Renato De Maria costruisce il proprio heist-movie tra azione e storicità, prendendo il testimone da un progetto altrettanto simile, e altrettanto ambizioso, come Freaks Out di Gabriele Mainetti.

In questo mondo di ladri improvvisati, dove ogni personaggio entra in campo con un ruolo prestabilito, nulla è paradossalmente lasciato al caso. Isola, Molotov, Amedeo, Yvonne, Denis e Marcello, si fanno portavoce di vizi e virtù (im)perfettamente umani, restituiscono in termini caratteriali quell’immagine che il loro nome di battaglia accende nella mente dello spettatore. Componenti di un meccanismo a orologeria, ogni personaggio viene tracciato in maniera individuale e distintivo, insignito di una singolarità che i propri interpreti non hanno paura di cogliere e tradurre in performance coinvolgenti e introspettivi.

Se è L’isola di Pietro Castellitto ad assumere il ruolo di leader, nonostante il suo fare di casinista buono, ma impacciato, la realizzazione totale della sua opera non avrebbe assunto la stessa carica impattante se a sostenerlo non ci fosse una galleria umana perfettamente incarnata da attori in piena parte. L’introspezione di Matilda De Angelis si fa fascino tangibile nel corpo e nello sguardo della femme fatale Yvonne; l’espressione luciferina, accompagnata da un tono di voce rauco, irresistibile – e per questo ancor più funesto – di Filippo Time è il corrispettivo perfetto per la realizzazione del generale Borsalino, mentre l’innocenza di Luigi Fedele si fa tessera imprescindibile di un puzzle di fattura antropologica composita, che va a riflettere i diversi aspetti di una società italiana pronta a ribellarsi. 

In questo vortice umano dai caratteri eterogenei, chi riesce a strapparsi un ruolo di prim’ordine tra eroi per caso, e cattivi sublimemente attraenti, è però un Maccio Capatonda dalla presenza irresistibile e tempi comici invidiabili; un ruolo, il suo, non cucitogli addosso, ma creato direttamente sulla forza del genio del comico abruzzese. Gemello omozigote di dieci e più personaggi generati dal grembo comico di Maccio ed entrati di diritto nell’immaginario collettivo, il pilota Denis Fabbri riesce nell’impresa di spingere una sceneggiatura alquanto fiacca, e dalla comicità forzata, là dove molti non riescono. Recidendo le fila che tengono i suoi colleghi legati alla forza dell’inchiostro delle pagine di sceneggiatura, Maccio si fa co-autore di un personaggio a se stante, che vive nel gruppo ma si anima con un’energia indipendente, alimentata dal fuoco della propria ironia e del proprio genio. 

Predomini visivi

Soffocata da una potenza visiva preponderante, la sceneggiatura a cura di Renato De Maria, Federico Gnesini e Valentina Strada, non riesce a trovare un varco abbastanza ampio per evolversi, e raggiungere lo stesso livello della sua controparte registica. Semplice e prevedibile, la sua forza risiede nella caratterizzazione dei personaggi, e nell’aver stilato una base di partenza abbastanza solida per costruirvi un impianto visivo ad alto tasso adrenalinico. Con Rapiniamo il Duce sono pertanto gli occhi a rivestirsi di bellezza e pura azione, mentre la mente giace in pausa tra i meandri di un limbo narrativo che non le richiede particolari sforzi di interpretazioni o elucubrazioni. 

Uno scarto netto, figlio degli insegnamenti di un gusto classico hollywoodiano dal sapore antico, dove a predominare è un mondo che deve far sognare, prendere lo spettatore e portarlo altrove, al di là della propria quotidianità, al di là di una storia ora ribaltata, modificata, rubata e insignita di nuovi eventi e di nuovi eroi.

Non è il film che sconvolgerà i cardini del cinema italiano, Rapiniamo il Duce, eppure, tra gli inframezzi di un montaggio dinamico e serratissimo, si intravede una voglia irrefrenabile di rivoluzionare un processo stantio di fare cinema, rapinando al di là dell’oceano per donare a nuovi sguardi ammaliati, sorpresi – proprio come quelli di Isola che guarda in camera – il piacere di sognare e vivere altre vite, sospesi tra le vie di una nuova avventura, mentre fuori brucia la città. 

Rapina a Stoccolma: recensione del film con Ethan Hawke

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Rapina a Stoccolma: recensione del film con Ethan Hawke

Arriva al cinema Rapina a Stoccolma, scritto e diretto da Robert Budreau. Il film, con protagonisti Ethan Hawke, Noomi Rapace e Mark Strong, racconta della storia di una rapina alla Sveriges Kredit Bank di Stoccolma, nel 1973. Proprio da questo fatto di cronaca deriva l’espressione “sindrome di Stoccolma” ovvero un particolare stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che spinge chi è maltrattato da un aggressore a provare sentimenti positivi per l’aggressore stesso.

In Rapina a Stoccolma Ed è quello che accade nel film a Bianca (Noomi Rapace) che comincia a provare simpatia, o forse qualcosa di più, nei confronti di Lars Nystrom (Ethan Hawke), criminale appena evaso dal carcere e che prende in ostaggio lei, una sua collega e un cliente nella Banca centrale di Stoccolma. A loro si unirà anche Gunnar Sorensson (Mark Strong), come parte dell’accordo che Lars fa con la polizia locale. Sorensson è infatti il migliore amico e compagno di disavventure di Lars e i due cercano così di ricongiungersi per poter scappare in Francia.

Tratto dall’articolo del New Yorker che racconta il fatto di cronaca, il film di Budreau è una commedia amara, sopra le righe, gridata e sfacciata, dove a farla da padrone è un Hawke in overacting per tutto il tempo, con un risultato davvero poco gradevole, soprattutto trattandosi di un attore che ha sempre scelto con attenzione e cura i suoi ruoli. Fanno una figura migliore la Rapace e Strong, in ruoli che forse consentivano loro di non esagerare troppo con toni e gesti, e mantengono una recitazione più contenuta.

Per quanto riguarda i toni e la scrittura, il film si mantiene sul filo della commedia, con diversi momenti realmente comici, soprattutto legati allo svolgersi assurdo della vicenda, scivolando, consapevolmente (e giustamente diremmo), in parentesi drammatiche che sottolineano i momenti di svolta della vicenda.

La volontà di raccontare nei toni della farsa la storia vera risulta goffo in più di un punto e nonostante l’idea a monte poteva essere interessante da sviluppare, lo svolgimento del compito è svogliato, sia nella regia senza nessun guizzo particolare, che soprattutto nella direzione degli attori.

Rapina a Stoccolma, in sala dal 20 giugno, è distribuito da M2 Pictures.

Rapimento e riscatto: trama, cast e location del film con Russell Crowe

Nella sua carriera l’attore Russell Crowe ha preso parte a film appartenenti a generi sempre diversi. In particolare, però, egli si è in più occasioni distinto grazie ad alcuni titoli thriller di grande popolarità. Titoli come Insider – Dietro la verità, Nessun verità o The Next Three Days hanno dimostrato la sua grande predisposizione al genere. Enigmatico e camaleontico, l’attore riesce a calarsi in ruoli spesso imprevedibili, che sfiorano in più occasioni il confine tra bene e male. All’inizio del nuovo millennio egli ha preso parte ad un altro film di questo filone, intitolato Rapimento e riscatto, dove interpreta un negoziatore professionista incaricato di risolvere una complessa situazione.

Il film è stato scritto da Tony Gilroy, celebre per thriller come The Bourne Identity e Michael Clayton, e diretto da Taylor Hackford, autore di film come L’avvocato del diavolo e Parker. Rapimento e riscatto è dunque formato da una squadra che conosce bene il genere e sa come renderlo avvincente e teso, elementi essenziali per un thriller. Questo, inoltre, come riportato dai titoli di coda, sembra essere stato vagamente ispirato dall’articolo Adventures in the Ransom Trade, di William Prochnau, e, in misura ancor maggiore, dal romanzo Long March to Freedom, di Thomas Hargrove. Questi, infatti, è stato un giornalista rapito dal gruppo armato colombiano noto come FARC, ed ha poi raccontato la propria storia nel libro qui citato.

Rapimento e riscatto presenta dunque una serie di eventi romanzati, ma ispirati a fatti reali che continuano ancora oggi ad essere realtà. Si tratta di zone del mondo particolarmente pericolose, che hanno richiesto la massima attenzione per poterle raccontare al cinema. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori ed alle sue location. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Rapimento e riscatto: la trama del film

La vicenda del film si apre sulle attività di Peter Bowman, ingegnere americano impegnato da anni in progetti umanitari nei Paesi del terzo mondo. Il suo nuovo incarico lo porta ora nello stato di Tecala, situato in Sud America, dove dovrà assistere i lavori di costruzione di una diga. L’uomo si reca dunque lì accompagnato dalla moglie Alice, la quale lo segue ovunque adattandosi alle complesse situazioni dei paesi visitati. Il loro matrimonio, però, sta ultimamente attraverso un delicato periodo, causato da un piccolo trauma personale. Il silenzioso conflitto tra i due coniugi dovrà però essere messo da parte nel momento in cui Peter viene rapito dall’Esercito di Liberazione di Tecala.

Questo è un gruppo di guerriglieri paramilitari, specializzato in rapimenti ed estorsioni al fine di garantirsi un sostegno che lo Stato sembra non fornire. Rapendo Peter, il gruppo intende richiedere un ricco riscatto. Ciò che non hanno previsto, però, è l’intervento di uno dei massimi esperti in negoziazione. Si tratta di Terry Thorne, veterano dello Special Air Service britannico, ora impegnato nel risolvere delicate situazioni come quelle. Collaborando a stretto contatto con Alice, questi inizia a provare qualcosa per la donna, che sembra ricambiarlo. Nel frattempo, la situazione di Peter si fa sempre più difficile, rischiando che ogni giorno sia per lui l’ultimo.

Rapimento e riscatto cast

Rapimento e riscatto: il cast del film

Ad interpretare il negoziatore Terry Thorne vi è, come anticipato, l’attore Russell Crowe. Originariamente, in realtà, per il ruolo era stato considerato l’attore Harrison Ford, il quale però preferì rifiutare. La parte venne allora assegnata a Crowe, all’epoca uno degli attori più popolari di Hollywood. Per calarsi nel ruolo, questi studiò approfonditamente l’attività del suo personaggio, cercando di comprendere le migliori tecniche da attuare durante una negoziazione. Durante la lavorazione del film, inoltre, Crowe ebbe modo di dare alcuni consigli di recitazione ad un aspirante attore lì presente come comparsa. Quel giovane era Henry Cavill, che nel 2013 arrivò ad ottenere il ruolo di Superman in L’uomo d’acciaio, film in cui Crowe recita nei panni di suo padre.

Accanto a Crowe, nei panni di Alice, vi è l’attrice Meg Ryan. Celebre per film come Harry, ti presento Sally… e Insonnia d’amore, questa ottenne un compenso di ben 15 milioni di dollari per partecipare al film. La Ryan era in quegli anni una delle attrici più popolari di Hollywood, estremamente richiesta e ben pagata. Nei panni di suo marito Peter Bowman vi è invece l’attore David Morse, noto per film come The Hurt Locker e per la serie Dr. House – Medical Division. Gottfried John è Eric Kessler, ex membro della Legione straniera e anche lui prigioniero del gruppo armato. Questi, insieme a Peter, progetterà una disperata fuga. Infine, Pamela Reed interpreta Janis Goodman, mentre David Caruso è il negoziatore Dino.

Rapimento e riscatto: le location, il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

L’intenzione originale dei produttori era quello di dar luogo alle riprese in Colombia, lì dove veri rapimenti di questo tipo avvengono. A causa dei pericoli dati dai gruppi armati in azione nel paese, tuttavia, le riprese si tennero in diverse zone dell’Ecuador. Il Paese rappresentato nel film, Tecala, è infatti soltanto uno stato fittizio, ma presentato con caratteristiche simili a quelle di alcuni paesi delle Ande, come Colombia, Venezuela, Perù e lo stesso Ecuador. In particolare, questo viene descritto come profondamente in crisi per via degli scontri tra lo Stato e un gruppo paramilitare noto come Esercito di Liberazione di Tecala, il quale di natura marxista è stato più volte sostenuto dall’Unione Sovietica.

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Rapimento e riscatto è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Infinity, Apple iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 5 novembre alle ore 21:00 sul canale 20 Mediaset.

Fonte: IMDb

Rap Battle, principesse Disney a confronto: Biancaneve vs Elsa

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Principesse DisneyWhitney Avalon ha realizzato una rap battle da manuale. Ricordate la ‘polemica’ che vedeva contrapposte da una parte le principesse Disney classiche e dall’altra la nuova generazione di principesse? Quelle indipendenti e alla ricerca dell’avventura e dell’affermazione professionale?

Ebbene la Avalon ha realizzato una battaglia a ritmo di rap tra i due gruppi di principesse; da una parte Biancaneve, Cenerentola e Giselle, e dall’altra Elsa, Tiana e Merida. Portavoci degli schieramenti sono ovviamente la prima principessa Disney della storia, Biancaneve, e l’ultima in ordine di tempo, Elsa, anzi una “motherfucking Queen”.

Raoul Bova: intervista al Presidente di Giuria del Monte-Carlo Film Festival

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Ecco la nostra intervista a Roul Bova che dal 31 maggio al 5 giugno ha presieduto la Giuria del Monte-Carlo Film Festival in qualità di Presidente.

Raoul Bova: 10 cose che non sai sull’attore

Raoul Bova: 10 cose che non sai sull’attore

Con una lunga carriera alle spalle, Raoul Bova è uno dei più noti attori italiani. Attivo tanto in televisione quanto al cinema, Bova ha negli anni dato vita ad una gran varietà di ruoli, affermandosi in particolare per il genere poliziesco. Ha inoltre avuto anche l’occasione di lavorare con importanti registi, che gli hanno permesso di maturare come interprete e affermarsi sia presso il grande pubblico che con la critica. Ecco 10 cose che non sai di Raol Bova.

Parte delle cose che non sai sull’attore

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Raoul Bova: i suoi film e le serie TV

10. Ha recitato in celebri lungometraggi italiani. La carriera cinematografica dell’attore ha inizio nel 1992 con Mutande pazze, ma la vera notorietà arriva grazie ai ruoli in Piccolo grande amore (1993) e Palermo Milano – Solo andata (1995). Negli anni successivi partecipa ad alcuni noti film come La lupa (1996), I cavalieri che fecero l’impresa (2001), La finestra di fronte (2003), Alien vs Predator (2004), Milano Palermo – Il ritorno (2007), Scusa ma ti chiamo amore (2008), Ti stramo (2008), Baarìa (2009), Sbirri (2009), Scusa ma ti voglio sposare (2010), La nostra vita (2010), The Tourist (2010), con Johnny Depp e Angelina Jolie, Immaturi (2011), Nessuno mi può giudicare (2011), con Paola Cortellesi, Immaturi – Il viaggio (2012), Viva l’Italia (2012), con Alessandro GassmannIndovina chi viene a Natale (2013) Fratelli unici (2014), e La scelta (2015).

9. Ha preso parte a note produzioni televisive. Negli anni Bova costruisce la propria popolarità grazie anche ad alcune celebri serie, che gli permettono di raggiungere un pubblico più ampio. Tra queste si annoverano La piovra 7 (1995), A proposito di Brian (2006), Intelligence – Servizi & Segreti (2009), Come un delfino – La serie (2013), Fuoco amico (2016) e I Medici (2018), dove recita accanto ad attori come Guido Caprino, Alessandro Preziosi, Sarah Felberbaum, Miriam Leone, Alessandra Mastronardi e Neri Marcorè. Nel 2019 è stato invece tra i protagonisti di La Reina del Sur.

8. È anche produttore, sceneggiatore e regista. Bova ha compiuto il passaggio dietro la macchina da presa per la serie Come un delfino, di cui ha scritto, diretto e prodotto tutti e quattro gli episodi, oltre ad averli anche interpretati. Ha inoltre partecipato alla produzione dei film Milano Palermo – Il ritorno e Sbirri.

7. Ha ricevuto importanti riconoscimenti. Nel corso della sua carriera l’attore ha ricevuto nomination ad importanti premi cinematografici. Tra questi si annoverano i David di Donatello, dove è stato nominato come miglior attore non protagonista nel 1996 per Palermo Milano solo andata, e nel 2011 per La nostra vita. Ha poi ricevuto due nomination ai Nastri d’argento come miglior attore protagonista nel 2011 per Nessuno mi può giudicare, e nel 2013 per Buongiorno papà.

Raoul Bova è su Instagram

6. Ha un account personale. L’attore è presente sul social network Instagram, dove possiede un totale di 645 mila follower. Qui è solito condividere fotografie scattate in momenti di svago quotidiano o curiosità varie. Non mancano poi anche immagini legate al suo lavoro, attraverso cui promuove i propri progetti da interprete, sia cinematografici che televisivi.

Parte delle cose che non sai sull’attore

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Raoul Bova: chi è sua moglie

5. È stato sposato. Nel 2000 l’attore ha sposato Chiara Giordano, con cui aveva intrapreso una relazione tempo addietro. La coppia mantiene negli anni privata la propria vita privata, evitando di dar materiale di cui parlare alle riviste di gossip. Tra i pochi annunci pubblici rilasciati vi sono quelli riguardanti la nascita dei loro due figli, rispettivamente nel 2000 e nel 2001. Nel 2013, tuttavia, la coppia annuncia la separazione.

Raoul Bova e Rocío Muñoz Morales

4. Ha una nuova compagna. Nel 2013 Bova intraprende una relazione con l’attrice e modella spagnola Rocío Muñoz Morales, conosciuta sul set del film Immaturi – Il viaggio. La coppia annuncia negli la nascita di due figlie, la prima nel 2015 e la seconda nel 2018.

Raoul Bova: il suo fisico

3. È noto per la sua prestanza fisica. Prima di diventare l’attore apprezzato che è oggi, Bova aveva intrapreso una carriera da nuotatore, arrivando anche a vincere all’età di 15 un campionato italiano giovanile. Tale sport ha permesso all’attore di maturare un ottimo fisico, mantenuto poi per poter ricoprire al meglio i suoi ruoli in film o serie d’azione.

2. Ha portato in televisione la propria passione. Bova non ha mai nascosto la sua passione per il nuoto, decidendo di portarla anche in televisione. Ha infatti personalmente ideato la serie Come un delfino, ispirata alla storia di Domenico Fioravanti, ex nuotatore affetto da ipertrofia cardiaca. Bova, nel ruolo del protagonista, ha personalmente eseguito le scene di nuoto previste, sfoggiando ancora un’ottima forma e un’ottima tecnica.

Raoul Bova: età e altezza

1. Raoul Bova è nato a Roma, in Italia, il 14 agosto 1971. L’attore è alto complessivamente 183 centimetri.

Fonte: IMDb

Raoul Bova e Michele Placido per un progetto Internazionale

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L’attore intervistato ha parlato di questa avventura, di respiro internazionale che lo vede coinvolto con Michele Placido.

Ransom Canyon: Netflix rinnova il western per una seconda stagione

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La serie drammatica western di Netflix Ransom Canyon tornerà ufficialmente con la seconda stagione. Dopo la pubblicazione della prima stagione di 10 episodi a metà aprile 2025, Ransom Canyon è diventata una delle nuove serie originali più viste su Netflix. Ransom Canyon è ambientato in una piccola città del Texas occidentale e racconta le vite intrecciate di un gruppo di personaggi locali leggendari. Ransom Canyon è stato sviluppato da April Blair sulla base di una serie di libri omonima scritta da Jodi Thomas. Josh Duhamel è il protagonista del cast di Ransom Canyon insieme a Minka Kelly, Eoin Macken, Lizzy Greene, Garrett Wareing, Andrew Liner, Marianly Tejada e Jack Schumacher.

Secondo Netflix Tudum, la seconda stagione di Ransom Canyon è stata rinnovata da Netflix dopo che la prima stagione è diventata un successo in streaming, generando 2,6 miliardi di visualizzazioni nell’episodio finale, nonostante le recensioni contrastanti. Ransom Canyon ha ottenuto solo il 45% di recensioni positive su Rotten Tomatoes, ma ha ottenuto un punteggio molto più positivo da parte del pubblico, pari al 73%. Inizialmente commercializzato come la risposta di Netflix a Yellowstone, Ransom Canyon vira verso il romanticismo e la soap opera, anche se si concentra su un gruppo di famiglie di allevatori che competono per la terra, lo status e la prosperità nella loro idilliaca cittadina. Ransom Canyon ha una colonna sonora fantastica e un cast corale molto forte.

Cosa significa per Netflix il rapido rinnovo della seconda stagione di Ransom Canyon

Il rinnovo di Ransom Canyon per una seconda stagione da parte di Netflix dimostra una grande fiducia nella sua nascente serie western. Da quando la prima stagione di Ransom Canyon si è conclusa con un finale mozzafiato, gli spettatori si aspettavano già l’annuncio di una seconda stagione. La parte interessante dell’espansione televisiva di Ransom Canyon sarà scoprire quale strada prenderanno Blair e gli sceneggiatori con il cast originale, dato che i libri sono più antologici. Alcuni personaggi chiave, come Staten Kirkland di Duhamel, Yancy Grey di Schumacher e Dan Brigman di Philip Winchester, compaiono nei libri successivi, ma non esiste un formato seriale consolidato.

Il rapido rinnovo della seconda stagione di Ransom Canyon da parte di Netflix suggerisce che l’espansione della serie fosse già prevista. Inoltre, rende palese che per Netflix gli ascolti sono fondamentali e l’accoglienza della critica non gioca un ruolo determinante nella scelta delle serie in cui investire e di quelle da cancellare dopo una sola stagione.

Il rinnovo di Ransom Canyon ha senso, ma presenta una sfida simile a quella dell’inaspettata espansione della seconda e terza stagione della serie drammatica storica Shōgun di FX/Hulu.

Il rinnovo di Ransom Canyon ha senso, ma presenta una sfida simile all’inaspettata espansione della seconda e terza stagione della serie drammatica storica FX/Hulu Shōgun. Simile a Shōgun, che ha vinto 18 Emmy lo scorso anno, Ransom Canyon dovrà probabilmente affidarsi maggiormente al suo staff di sceneggiatori per la seconda stagione, al fine di ideare trame originali e sviluppi dei personaggi.

Ransom Canyon, la spiegazione del finale e come ci prepara alla seconda stagione

Il finale dell’episodio 10 di Ransom Canyon di Netflix, “Maybe It’s Time Yancy Grey Dies Too” (Forse è ora che anche Yancy Grey muoia), lascia alcuni personaggi con un lieto fine e altri avvolti nel mistero. Dopo la morte del nonno di Yancy, Cap Fuller, alla fine dell’episodio 9, l’episodio 10 si apre con un montaggio di diversi personaggi del cast di Ransom Canyon che si trovano ad affrontare un bivio difficile. Mentre Ellie piange la morte di Cap e Lauren fatica ad accettare una ferita che le cambierà la vita, Yancy seppellisce Cap nel suo ranch e Lucas scopre che Kit ha firmato i documenti per la sua emancipazione. Quinn e Staten finalmente si mettono insieme dopo che lei ha ufficialmente lasciato Davis, solo per vedere la loro storia d’amore tanto attesa andare in pezzi nei momenti finali del finale della Ransom Canyon – stagione 1.

Lucas fa un grande gesto romantico nella sala da ballo, riconquistando il cuore di Lauren, mentre Ellie lascia Yancy all’altare dopo che una donna che sostiene di essere la moglie di Yancy appare dal nulla. La cosa più scioccante di tutte è che lo sceriffo Brigman è costretto ad arrestare sua moglie Margaret con l’accusa di omicidio colposo per la morte del figlio di Staten, Randall Kirkland.

I ruoli di Margaret e Kit nella morte di Randall

Dopo che Kit è stato arrestato per il suo coinvolgimento nella morte di Randall, lo sceriffo Brigman ha dovuto fare l’impensabile e arrestare sua moglie, poiché era lei, e non Kit, a guidare il camion Ford che ha causato l’incidente di Randall. Margaret non ha un ruolo importante nella serie, essendo la madre alcolizzata di Lauren. Si scopre che aveva una relazione con Kit, che era con lei nel camion la notte in cui Randall è morto.

Kit chiamò Reid per fargli prendere il furgone, cancellare il numero di telaio e scaricarlo in un lago vicino, dove Lucas scoprì il furgone sommerso mentre nuotava con Lauren. Reid doveva un favore a Kit, ed è così che lui e Nick sono stati coinvolti. Alla fine, Margaret probabilmente guidava ubriaca e ha sbandato, costringendo Randall a schiantarsi con l’auto che suo zio Davis gli aveva regalato.

Yancy Grey ha davvero una moglie?

Ransom Canyon serie netflix

Yancy taglia i ponti con Davis e decide di onorare Cap non vendendo la sua terra alla Austin Water & Power, cosa che aveva inizialmente accettato di fare per convincere Davis ad aiutarlo a uscire di prigione. La morte di Cap ispira Yancy a ricominciare da zero. Chiede a Ellie di sposarlo per capriccio e lei alla fine accetta, ma lo lascia all’altare dopo che una donna che sostiene di essere sua moglie entra nella sala da ballo.

Ovviamente, questa è una grande sorpresa, dato che Yancy non l’aveva mai menzionata prima. Potrebbe essere un’impostora, ma in ogni caso Yancy dovrà dare delle spiegazioni all’inizio della seconda stagione di Ransom Canyon.

Perché Staten ha lasciato il braccialetto di Quinn al bar

Proprio quando pensi che Staten abbia finalmente ritrovato il buon senso e deciso di perseguire una relazione con Quinn, lui se ne va. Ha lasciato al bar il braccialetto di tweed che Quinn gli aveva legato al polso quando era seduto lì, come segno che non voleva trattenerla. Staten è convinto di fare la cosa migliore per Quinn andandosene, soprattutto dopo aver tradito la sua fiducia e aver rivelato pubblicamente i debiti di Davis, che Quinn aveva chiesto di tenere segreti. Staten dimostra che Quinn aveva ragione quando diceva che lui “voleva solo il suo dolore”, perché si allontana da quella che sembra essere l’amore della sua vita.

La vera identità di Yancy Grey e la storia della famiglia Fuller spiegata

Uno dei vari misteri su Yancy Grey è chi sia e da dove venga. Inizialmente, Yancy voleva vendicarsi di Cap, suo nonno biologico, per aver allontanato sua madre, la figlia di Cap, quando aveva bisogno di aiuto dopo la morte di Lincoln, suo marito. Yancy scopre solo dopo la sua morte che Cap ha passato anni a cercarli, tormentato da ciò che aveva fatto. In quanto nipote di Cap, è un Fuller e il parente più prossimo. Non è chiaro se il suo vero nome sia Yancy e cosa abbia fatto per finire in prigione.

Perché Lauren ha cercato di rompere con Lucas

Lauren e Lucas sembravano avere la relazione più stabile di Ransom Canyon fino a quando Lauren non è caduta durante un’esibizione di cheerleading, rompendosi una spalla. Il suo sogno di andare alla UT Austin per fare cheerleading è ora ufficialmente finito, lasciandola devastata. Prima della caduta, lei vede Lucas tra la folla e capisce immediatamente che è turbato per qualcosa, che alla fine si rivela essere la volontà di Kit di firmare i documenti di emancipazione.

È stata questa distrazione a causare la caduta di Lauren, anche se in realtà non è stata colpa di Lucas. Lei non incolpa Lucas, quanto piuttosto si sente imbarazzata e sconfitta per aver rovinato la sua seconda possibilità di frequentare la scuola dei suoi sogni, mentre Lucas ha ricevuto diverse offerte da alcuni dei migliori college del paese.

La storia della relazione tra Kai ed Ellie

Per gran parte di Ransom Canyon, sembrava che Kai avesse una cotta per Ellie, ma fosse bloccato nella zona amici. Come si scopre nel finale della prima stagione di Ransom Canyon, la preoccupazione di Kai per il matrimonio di Ellie con Yancy non era solo frutto di un desiderio speranzoso di poterla ancora conquistare, ma era invece basata su una relazione passata.

Kai potrebbe avere ragione su Yancy, dopotutto, dato che sembra sempre nascondere uno o due segreti.

A quanto pare, Kai corrispondeva al profilo del “cattivo ragazzo” che piaceva a Ellie quando si sono incontrati anni fa. Kai si è rimesso in riga ed è diventato un poliziotto, mentre Yancy sembra seguire un percorso simile per redimersi. Kai, tuttavia, potrebbe avere ragione su Yancy, dato che sembra sempre nascondere qualche segreto.

Perché Davis ha ingannato Staten per farglielo colpire

Davis cerca incessantemente di sottrarre a Staten il suo ranch in modo che lui e la sua ex moglie Paula Jo, che fa parte del consiglio di amministrazione della Austin Water & Power, possano trarne vantaggio. Vogliono costruire un acquedotto che attraversi la terra di Staten, ma lui si rifiuta. Hanno prima cercato di far fallire l’ispezione dei suoi pozzi, anche se sarebbero stati a posto se Paula Jo non avesse corrotto e ricattato il personale dell’AW&P per far fallire falsamente i pozzi di Staten.

Staten avrebbe dovuto sborsare milioni per riparare i pozzi se Reid non avesse rivelato una registrazione in cui Paula Jo ammetteva il piano. Con il padre di Staten che cerca di usurpare il suo ruolo di amministratore del ranch per vendetta nei confronti del padre che lo ha ignorato, Davis provoca Staten affinché lo colpisca, fornendo così al padre di Staten la prova che Staten non è adatto a ricoprire il ruolo di amministratore.

Quinn lascerà Ransom Canyon per New York?

Dopo che Staten ha lasciato Quinn in asso ancora una volta, lei considera l’idea di tornare a New York per suonare il pianoforte nella famosa orchestra filarmonica. Senza Staten a trattenerla a Ransom e con la sala da ballo che rischia di chiudere, Quinn potrebbe benissimo accettare l’offerta e andarsene da Dodge. Sebbene il cuore di Quinn sia a Ransom Canyon, sa anche che il suo talento di musicista può portarla lontano. Dato che Staten continua a sprecare tempo con la loro relazione, Quinn potrebbe partire verso cose più grandi e migliori, anche se non è chiaro se sia davvero quello che vuole.

Il vero significato del finale di Ransom Canyon

Il finale della prima stagione di Ransom Canyon si conclude con diversi colpi di scena che terranno gli spettatori con il fiato sospeso fino a una potenziale seconda stagione, che non è ancora stata annunciata da Netflix. Mentre era abbastanza prevedibile che Staten avrebbe rovinato di nuovo tutto con Quinn, il passato di Yancy continua a riservare sviluppi sorprendenti, facendo chiedere agli spettatori se sia un uomo incompreso o semplicemente un truffatore dal cuore di ghiaccio.

Lauren ha avuto la caduta più dura di tutti i personaggi di Ransom Canyon e ora teme di rimanere bloccata nella sua città natale ancora più a lungo dopo l’arresto di sua madre. Almeno ha Lucas, che è perdutamente innamorato di lei.

L’alleanza tra il padre di Staten e Davis non è certo una buona cosa per lui, che dovrà difendersi brillantemente per mantenere il suo ranch.

Anche se Margaret viene arrestata per la morte di Randall, non abbiamo ancora visto come ha reagito Staten, a parte andare sulla scogliera, un luogo panoramico che amava frequentare con suo figlio. L’alleanza tra il padre di Staten e Davis non è certo una buona notizia per lui, che dovrà difendersi con tutte le sue forze per mantenere il ranch. La domanda più importante senza risposta, tuttavia, è chi sia la misteriosa moglie di Yancy, che gli spettatori moriranno dalla voglia di sapere fino all’uscita della seconda stagione di Ransom Canyon.

Ransom – Il riscatto: tutto quello che c’è da sapere sul film con Mel Gibson

Nel corso della sua carriera il premio Oscar Ron Howard si è cimentato nella regia di film di genere continuamente diverso. Dalla commedia fantasy Splash – Una sirena a Manhattan al dramma spaziale Apollo 13, dal biografico A Beautiful Mind al thriller Il codice Da Vinci. E proprio a proposito di thriller, un altro titolo da lui diretto, meno noto ricordato rispetto ai titoli qui citati, è Ransom – Il riscatto, del 1996. Si tratta di un cupo thriller dove non ci si fa scrupoli nel porre in pericolo anche i più indifesi. Un dettaglio che rese il film controverso sin dalla sua uscita in sala.

La sceneggiatura, scritta da Richard Price e Alexander Ignon, si ispira all’episodio Fearful Decision, della serie antologica degli anni Cinquanta The United States Steel Hour. A distanza di anni, è ancora un film capace di offrire grande tensione anche per i moderni standard del genere, dimostrandosi una visione quantomai valida. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La trama di Ransom – Il riscatto

Protagonista del film è Tom Mullen, un ricco imprenditore a capo di una compagnia aerea privata. L’uomo vive a New York con la sua bella moglie Kate e Sean, il figlio di nove anni. Un giorno, quest’ultimo viene rapito da un gruppo di delinquenti. Poco dopo, i due genitori ricevono un filmato nel quale viene richiesto un riscatto di due milioni di dollari, con l’avvertimento di non contattare la polizia per nessun motivo altrimenti il bambino sarebbe morto. Dopo un iniziale tentennamento, Tom e Kate decideranno di rivolgersi all’FBI, che invia una squadra capitanata dall’agente Lonnie Hawkins, il quale allestisce a casa loro un centro operativo per monitorare la situazione.

Hanno così inizio le operazioni per cercare di capire chi siano i rapitori e come poter salvare il bambino prima che sia troppo tardi. Le cose si complicano quando le prime trattative vanno male e per Sean la situazione si fa sempre più disperata. Con la stampa ormai a conoscenza del rapimento e le notizie cominciano a circolare su tutti i telegiornali, Tom capirà di dover agire senza l’aiuto dei federali: facendo un appello in diretta televisiva durante un telegiornale, trasforma il riscatto in una taglia sui rapitori. Da quel momento, gli equilibri si ribaltano e la situazione diventerà sempre più critica.

Il cast di Ransom – Il riscatto

Per il ruolo di Tom Mullen sono stati considerati attori del calibro di Kurt Russell, Harrison Ford, Kevin Costner e Dennis Quaid, ma ad ottenere il ruolo è poi stato Mel Gibson. Lui e Howard si erano già incontrati all’edizione dei premi Oscar del 1996, dove concorrevano con i film Apollo 13 Howard e Braveheart – Cuore impavido Gibson. Fu quest’ultimo infine a vincere il premio per il Miglior film. Nei panni della moglie Kate vi è invece l’attrice Rene Russo. Riguardo a lei Howard ha raccontato di aver frequentato la sua stessa scuola e di aver avuto una cotta per l’attrice, ma era stato troppo timido per chiederle di uscire. Russo, in seguito, ha ammesso a sua volta di aver avuto una cotta per Howard, senza mai rivelarlo.

Ad interpretare il figlio Sean vi è l’attore Brawley Nolte, figlio del noto attore Nick Nolte, mentre per il ruolo di Jimmy Shaker Howard aveva inizialmente pensato all’attore Alec Baldwin, il quale ha rifiutato a causa della natura sinistra del personaggio, nonché del tema del film dove si in pericolo un bambino. Per lo stesso motivo anche l’attore Ray Liotta ha rifiutato il ruolo. A interpretare il personaggio è infine stato Gary Sinise. Recitano poi nel film anche Delroy Lindo nei panni di Lonnie Hawkins, Lily Taylor in quelli di Maris Conner e Liev Schreiber e Donnie Wahlberg in quelli dei gemelli Clark e Cubby Barnes.

Il trailer di Ransom – Il riscatto e dove vedere il film in streaming e in TV

Sfortunatamente, al momento Ransom – Il riscatto non è presente su nessuna delle piattaforme streaming disponibili in Italia. Per poterlo vedere, è dunque possibile affidarsi unicamente al suo passaggio in televisione. Attualmente, il film è presente nel palinsesto televisivo di sabato 6 maggio alle ore 21:00 sul canale Iris.

Fonte: IMDb

Rango: recensione del film di Gore Verbinski

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Rango: recensione del film di Gore Verbinski

Johnny Depp dismessi i panni  del camaleontico Jack Sparrow (già pronto a tornare per il quarto episodio) ha trovato il suo nuovo alter ego nell’altrettanto istrionico Rango, il camaleonte, a cui presta la voce nella versione originale. Rango è il protagonista dell’omonimo film d’animazione diretto proprio da Gore Verbinski, il regista dei primi tre film della saga dei Pirati dei Caraibi.

Uscirà in Italia l’11 Marzo ed è uno tra i più riusciti film d’animazione degli ultimi tempi. Destinato anche ad un pubblico adulto che ha oramai grande confidenza con l’ironia di questi cartoons sul modello Shrek. Rango è un giovane camaleonte costretto a vivere nello spazio ristretto del suo terrario dove combatte la solitudine a cui è destinato con generici sogni di celebrità. Finirà sbalzato, dalla macchina che lo trasporta, nel mezzo del deserto. Goffo e ingenuo ,ma anche pieno di fantasia e capacità d’improvvisare, Rango saprà di volta in volta vincere tutte le sfide dell’ostile mondo con cui dovrà confrontarsi. Diventerà la sceriffo della cittadina Polvere afflitta dalla mancanza d’acqua. Saprà essere sempre più furbo e coraggioso, in un mondo in cui è più difficile di quel che sembra trovare i veri cattivi.

Rango

La trama, per chi se lo ricorda, ha molte similitudine con Fievel conquista il west, divertente film d’animazione prodotto nel 1991 da Steven Spielberg, ma al di là di questo ha anche uno stile molto personale: grande ritmo e avvincenti scene d’azioni unite a gag spesso originali e in alcuni casi indirizzate proprio ai più grandi, soprattutto a quei cinefili che non potranno non sorridere delle moltissime citazioni che spaziano dai più classici western (da Il buono il brutto e cattivo a I magnifici sette) ad una serie di cult, incluso l’autoironico omaggio al Johnny Depp  di Paura e Delirio a Las Vegas. Al di là di alcune scelte più classiche, ma comunque ben integrate nel contesto,  Rango è un film divertente, ironico e maturo, in grado anche di momenti di tensione e paura (soprattutto per i più piccoli): sceglie di presentare una serie di personaggi caratterizzate da forti deformazioni grottesche: rospi scontrosi, conigli con orecchie mozze, ratti dallo sguardo torvo. Ma le situazioni in Rango sono giocate sui veloci ribaltamenti che trovano la risata del pubblico (senza distinzioni d’età) nel capovolgere proprio i momenti di tensione.

Ottima la qualità delle animazioni e la definizione dei particolari (personaggi curati fin nei dettagli). Bellissimi i paesaggi e gli effetti di luce che li immergono nel sole o in esotiche notti. La regia sa sfruttare l’ottimo lavoro degli studi d’animazione ILM di George Lucas, soprattutto in alcune sequenze molto pregevoli. Le scelte di regia di Gore Verbinski, forti delle grandi prove offerte con la saga dei Pirati dei Caraibi, riescono a seguire le frenetiche vicende in cui Rango è coinvolto: spettacolari e spassosi inseguimenti da action movies accompagnati dall’altrettanto ironica e citazionistica colonna sonora di Hans Zimmer (che già ha saputo dare brio alle rocambolesche azioni di Jack Sparrow). Bellissimo l’ inseguimento tra una flotta di talpe che pilotano pipistrelli e la contraerea della carovana guidata da Rango e i suoi amici, con tanto di Cavalcata delle valchirie ad accompagnare le epiche sequenze. In una parola divertente!

Rango: personaggi, cast e curiosità sul film d’animazione

Rango: personaggi, cast e curiosità sul film d’animazione

Che il genere western sia da sempre uno dei più apprezzati e memorabili della storia del cinema è cosa ormai nota. Con i suoi paesaggi e personaggi caratteristici, questo influenza ancora oggi numerose opere più o meno esplicitamente ad esso appartenenti. Tra i maggiori casi a riguardo vi è il film d’animazione Rango, diretto nel 2011 da Gore Verbinski. Divenuto un vero e proprio caso cinematografico, questo ha permesso alle atmosfere del vecchio west di prendere nuovamente vita sul grande schermo con un’animazione che ne esalta tutte le principali caratteristiche, dalla polvere alla natura macabra di certi particolari.

Per il regista, reduce dalla complessa esperienza dei primi tre film dei Pirati dei CaraibiRango era l’occasione di dar vita ad un progetto più piccolo. Egli tuttavia sottovalutò la complessità della realizzazione grafica richiesta, per il quale fu necessario molto più lavoro del previsto. Il risultato è però particolarmente sorprendente, e ancora oggi il film vanta un caratteristiche estetiche che gli permettono di distinguersi tra i tanti film d’animazione ogni giorno sempre più curati al minimo dettaglio. Il successo fu tale che Rango arrivò ad ottenere alcuni dei maggiori riconoscimenti cinematografici dell’anno.

A fronte di un considerevole budget di circa 135 milioni di dollari, questo riuscì ad incassarne complessivamente 245 in tutto il mondo. In seguito, il titolo arrivò a vincere il premio Oscar come miglior film d’animazione. Questo fu il primo film non prodotto dalla Disney o dalla Pixar a vincere il premio dal 2006 a quel momento, e mantenne tale primato sino al 2018. Numerose altre sono però le curiosità legate al film, molte delle quali legate agli attori che prestarono la propria voce per i personaggi principali del film. Proseguendo nella lettura sarà qui possibile scoprire tutto ciò che c’è da sapere su Rango.

Rango: la trama del film

Protagonista del film è il camaleonte di nome Rango, il quale improvvisamente si ritrova strappato dal suo tranquillo terrario in seguito ad una brusca manovra dell’auto su cui stava viaggiando. Egli si ritrova così nel bel mezzo della strada che attraversa il Deserto del Mojave. Totalmente inadatto alla vita selvaggia, egli si trova sin da subito a doversi scontrare con una serie di pericoli mortali, che lo porteranno a comprendere la gravità della sua nuova situazione. Ad aiutarlo, per sua fortuna, troverà Borlotta, una giovane iguana con un involontario meccanismo di difesa che la porta a paralizzarsi ogni volta che si arrabbia. Questa, attratta dai modi di fare del camaleonte, decide di portarlo con sé nella cittadina di Polvere, la quale è attraversata da una grave siccità.

Qui per Rango ha inizio una nuova vita, e riuscito involontariamente ad uccidere il falco che terrorizzava il paese si ritrova nominato sceriffo. Colto da un eccesso di orgoglio, egli inizia così ad attribuirsi una serie di gesta eroiche mai realmente compiute. C’è però una minaccia di cui Rango non è a conoscenza, e che rischierà di far saltare i suoi sogni di gloria. L’aver ucciso il falco, infatti, ha aperto la strada ad un predatore ben più temibile e pericoloso, il quale è pronto ad abbattersi su Polvere. Allo stesso tempo, in qualità di sceriffo, Rango è chiamato a risolvere il problema della siccità, per il quale scoprirà esserci un motivo particolarmente inaspettato.

Rango cast

Rango: i personaggi e il cast di attori

Per dare vita alle voci dei personaggi protagonisti del film, il regista Verbinski decise di riunire tutti gli attori in un unico ambiente, permettendo loro di interagire concretamente nella loro attività di doppiaggio. Questo, come anche il dotare gli interpreti di veri costumi western, contribuì non solo ad una maggiore immedesimazione, ma anche a dar vita ai brillanti scambi di battute presenti nel film. Per la voce di Rango, il camaleonte protagonista, Verbinski scelse l’attore Johnny Depp, con cui aveva già collaborato per Pirati dei Caraibi. L’attore, noto per il non riguardare i propri film, ammise che Rango è la sua unica eccezione a riguardo. Accanto a lui, nel ruolo dell’iguana Borlotta, si ritrova invece l’attrice Isla Fisher, mentre il celebre Ned Beatty dà voce al sindaco John, una tartaruga del deserto.

Alfred Molina è invece la voce di Carcassa, un armadillo che fornirà a Rango una serie di lezioni utili sotto forma di metafore. L’attore Bill Nighy, già villain in Pirati dei Caraibi, dà qui voce al temibile Jake Sonagli, un serpente che al posto del caratteristico sonaglio al termine della coda vanta un fucile mitragliatore a canne girevoli. Egli sarà il principale problema di Rango all’interno del film. Sono poi presenti Abigail Breslin nei panni del roditore Priscilla, Harry Dean Stanton in quelli della talpa Balthazar, e Ray Winstone per il mostro di gila Bill. Vincent Kartheiser, noto per la serie Mad Men, è qui Ezechiele, figlio di Balthazar. L’attore Timothy Olyphant, infine, da voce al personaggio chiamato Spirito del West, il quale viene raffigurato con le sembianze di Clint Eastwood all’epoca dei suoi primi film western.

Rango: il sequel, il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Dato il grande successo del film, Rango divenne da subito un prodotto particolarmente gettonato, ampliandosi anche al mercato dei giocattoli e dei videogiochi. Era inoltre lecito aspettarsi la conferma di un sequel, che avrebbe così ampliato l’universo narrativo da molti apprezzato. Per anni, tuttavia, nessuna informazione concreta è stata rilasciata a riguardo, e le speranze di rivedere sul grande schermo il simpatico camaleonte sono così infine state messe a tacere. Nel 2017, tuttavia, in occasione della presentazione del suo nuovo film, La cura del benessere, Verbinski ha dichiarato di non aver mai pianificato un sequel, ma di essere aperto alla possibilità di realizzarlo qualora la giusta idea si presentasse sul tavolo.

In attesa di ulteriori notizie, per gli appassionati del film è possibile fruire di Rango grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Il film è infatti disponibile nel catalogo di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Netflix e Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si ha soltanto un determinato periodo di tempo entro cui vedere il titolo. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno martedì 1 dicembre alle ore 21:10 sul canale Paramount Channel.

Fonte: IMDb