Che il progetto di un universo condiviso della DC Comics al cinema, detto DCEU, sia un po’ più debole e farraginoso rispetto a quello messo in piedi dai Marvel Studios, è fuor di dubbio, tuttavia non bisogna certo pensare che, a quei livelli produttivi, ci possa essere qualcosa che sfugge al controllo. Parliamo sempre della Warner Bros!
Parlando con Comicbook.com recentemente, Charles Roven, produttore del DCEU, ha confermato che il progetto ha radici profonde e che L’Uomo d’Acciaio è sempre stato il film da cui si intendeva partire per dare il LA a questo universo cinematografico espanso.
“Quando abbiamo cominciato con L’Uomo d’Acciaio, sapevamo che avremmo espanso l’Universo. Sapevamo che nel momento in cui portavamo sullo schermo Superman, non potevamo evitare di parlare anche degli alieni che esistono nel nostro universo. Sapevamo che avremo costruito dei film unici. E poi, appena la Warner ci ha dato spazio, siamo partiti con la pianificazione intensiva.
Il fatto è però che ogni film del DCEU sarà unico perché ogni film avrà un regista diverso, con l’eccezione di Zack Snyder che ha già diretto L’Uomo d’Acciaio, Batman v Superman Dawn of Justice e che dirigerà i due film sulla Justice League. Ognuno di questi registi, David Ayer o Patty Jenkins o James Wan, portano ai film le loro sensibilità e una visione diversa del film, a partire dalla scenografia e dai costumi. Il mondo che costruiremo sarà sempre los tesso, quello della Justice League, ma avrà questi diversi punti di vista.”
Che ne pensate?
Justice League è diretto ancora una volta da Zack Snyder ed è previsto per il 10 novembre 2017. Nel film vedremo protagonista Henry Cavill come Superman, Ben Affleck come Batman, Gal Gadot come Wonder Woman, Ezra Miller come Flash, Jason Momoa come Aquaman, e Ray Fisher come Cyborg. Nel cast confermati anche: Amber Heard, Amy Adams, Jesse Eisenberg, Willem Dafoe, J.K. Simmons e Jeremy Irons. I produttori esecutivi del film sono Wesley Coller, Goeff Johns e Ben Affleck stesso.
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Donne e per di più
afroamericane: in una società in cui i pregiudizi razziali erano
ancora radicati e il femminismo era ben al di là da venire,
Katherine Johnson e le sue colleghe riuscirono a
farsi largo e dare un contributo determinante alle missioni
spaziali, in un ambiente che, pur non esente dai medesimi
pregiudizi presenti nel resto della società, era uno dei pochi
‘porti franchi’ in cui le capacità di chiunque di contribuire alla
causa del programma spaziale andavano oltre qualsiasi
considerazione legata a sesso o colore della pelle.
