Al suo esordio dietro la macchina
da presa Giorgia Cecere, già assistente alla regia di Gianni Amelio
(Porte aperte, Il ladro di
bambini) e sceneggiatrice per Edoardo Winspeare
(Sangue vivo, Il miracolo) ha
scelto di raccontare ciò che conosce meglio: la sua terra d’origine
e una storia d’ispirazione familiare. Il primo
incarico, infatti, è ambientato in Puglia negli anni ’50:
una Puglia cittadina, ma anche e soprattutto rurale, aspetto
dominante della regione almeno fino a qualche decennio fa, e ancora
vivo soprattutto in certe zone.
Al centro della vicenda, una
giovane maestra di modeste origini, Nena/Isabella
Ragonese, che dalla cittadina del sud in cui vive,
deve trasferirsi nella campagna pugliese per il suo primo incarico.
Si trova così di fronte a una realtà per lei nuova: una vita
semplice, una casa spoglia, una scuola con una sola aula – una
stanza col soffitto crepato – e dei contadini ospitali, ma
taciturni e fieri. Una vita in mezzo alla natura, con tutti i pro e
i contro che questo comporta. In più, il nuovo incarico affidatole
la porta a separarsi dal suo amato: un giovane di famiglia
altolocata, con il quale stava costruendo il suo sogno d’amore.
Il primo incarico è il racconto di una crescita,
di molteplici mutamenti, che Nena attraversa, ritrovandosi, alla
fine, una persona nuova.
Il primo incarico, il film
Il suo amore “da favola” non
reggerà la lontananza, rivelandosi inconsistente. Mentre nella sua
nuova vita troverà posto una relazione molto meno “perfetta” ma più
reale. È un percorso di crescita e un viaggio interiore – un
western dei sentimenti l’ha definito la stessa regista – alla
ricerca di ciò che veramente si vuole. Questo è ciò che fa Nena,
prima costretta dagli eventi, poi scegliendo consapevolmente per il
suo futuro. All’inizio, il trasferimento, il matrimonio con un uomo
che non vuole, la conseguente vita nel ruolo di moglie e casalinga,
che non sente suo, sono vissute da lei come costrizioni, come una
specie di incubo in cui s’è ritrovata senza volerlo e che le fa
letteralmente “sbattere la testa al muro”. Le nuove condizioni e il
nuovo ambiente le permettono però, col tempo, di capire meglio sé
stessa e di comprendere che lì c’è proprio ciò che vuole e di
cui ha bisogno. Alla fine sarà lei a scegliere di tornarci non
perché costretta, ma perché lo vuole.
Dallo scontro tra due mondi
apparentemente inconciliabili, si passa, quindi, a una relazione a
volte conflittuale, ma viva e non priva di momenti felici: così con
i bambini cui Nena insegna, così col marito Giovanni, giovane
muratore sposato sull’onda della delusione per l’abbandono del suo
precedente amore e per ottemperare alle vigenti convenzioni
sociali. Così con tutto quel mondo arcaico e maschilista. Un mondo
che lascia però spazi di libertà inaspettati. Emblema ne è la
relazione tra i due protagonisti: non un rapporto di subalternità,
di costrizione, come forse ci si sarebbe aspettati, ma
davvero libero. Ciascuno infatti fa quello che vuole e il
matrimonio resta per lungo tempo un sigillo formale, che ciascuno
dei due ha posto non per convinzione, ma per convenienze di tipo
diverso. Altrettanto libera e forte la scelta finale della
protagonista.
Isabella Ragonese – unica attrice
professionista – sa ben interpretare l’evoluzione del complesso
personaggio di Nena, dalle illusioni dell’adolescenza alla pienezza
della vita adulta, passando per un ampio ventaglio di emozioni:
dall’ingenuità sognante dell’inizio, allo straniamento,
all’autentica disperazione, alla rabbia, alla frustrazione, fino
alla lenta scoperta della felicità, che può dare una vita del tutto
diversa da quella che aveva immaginato. La rigidità e l’impaccio
dell’esordiente Francesco Chiarello a tratti si
notano, ma sono adatti a rendere l’atmosfera tesa del rapporto con
Nena e caratterizzano bene il personaggio: il tipico
contadino del sud, dal carattere chiuso, rude, fiero. Ben costruiti
i dialoghi, asciutti e incisivi.
Nel seguire il viaggio esistenziale
di Nena riviviamo – elemento fondamentale del film – la
realtà di quegli anni e di quei luoghi (la pellicola è stata girata
in vari comuni del Salento, tra cui Cisternino e Castrignano del
Capo). La ricostruzione è assai convincente, accurata nei
particolari e riesce davvero a trasportare indietro nel tempo e
altrove nello spazio, per farci conoscere uno spaccato di storia
italiana del nostro recente passato, o farcelo ricordare se, come
chi scrive, condividiamo con la regista le origini e abbiamo visto
o sentito raccontare quella realtà, non così lontana.
Quello che regista e sceneggiatori
sono riusciti ad ottenere (accanto alla Cecere collaborano alla
sceneggiatura Pierpaolo Pirone e Li
Xiang-Yang), però, non è, almeno non soltanto, un affresco
nostalgico – una nostalgia che potremmo dire pasoliniana per un
mondo contadino (quasi) scomparso. Sono vividamente presenti,
infatti, anche gli aspetti duri e aspri della vita di campagna, la
semplicità si muove accanto alla rudezza, alla fissità quasi
granitica di tradizioni e abitudini che paiono invariate da secoli,
e asfitticamente invariabili. E lo straniamento iniziale di Nena è
simile a quello dello spettatore odierno, posto di fronte a quella
realtà, così diversa dall’attuale.
In Il primo
incarico Molto bella la fotografia di Gianni
Troilo. Grande attenzione è riservata ai colori, alle
inquadrature, alla luce, in generale alla cura dell’immagine, in
special modo laddove Nena è immersa nella natura. Le inquadrature
hanno un gusto “pittorico” – il che dipende certo dalla sensibilità
particolare del cinese Li Xiang-Yang, appunto pittore, e qui al suo
esordio come sceneggiatore, che si fonde abilmente con quella
della regista.