Cresce il cast dei protagonisti
diThe
Crown 3,l’annunciata terza stagione di The
Crown, la serie tv targata Netflix. Ebbene oggi grazie a
apprendiamo che Emerald Fennell è entrata a
far parte del cast. L’attrice sarà Camilla
Shand divenuta poi Camilla Parker Bowles.
La notizia arriva dopo avervi
rivelato qualche settimana fa la
prima foto ufficiale di Olivia Colman nella terza stagione.
The Crown 3
The Crown 3 è la
terza stagione della serie televisiva anglo-americana The
Crown creata e scritta da Peter
Morgan per Netflix. La serie è incentrata sulla vita di
Elisabetta II del Regno Unito e sulla famiglia reale britannica.
Morgan ha pianificato sei stagioni da dieci episodi ciascuno per
coprire tutta la vita della regina Elisabetta, con l’intenzione di
cambiare il cast principale ogni due stagioni. Claire
Foy interpreta la protagonista nei primi anni del suo
regno, affiancata da Matt Smith nei panni del
principe Filippo e Vanessa Kirby nel ruolo della principessa
Margaret. Olivia Colman interpreterà la regina nella terza e nella
quarta stagione.
La serie è girata agli Elstree
Studios nell’Hertfordshire, oltre che in varie location nel Regno
Unito.
Uscirà il 31 ottobre 2018,
distribuito da Medusa, Ti presento
Sofia, la nuova commedia diretta da Guido
Chiesa con Fabio De Luigi e Micaela
Ramazzotti.
Cinefilos.it offre la possibilità a pochi
fortunati di vedere il film gratis, in anteprima, in
diverse città d’Italia, domenica mattina, 28 ottobre
2018! Ci sono a disposizione tanti inviti gratuiti
validi per l’ingresso di 2 persone, per ognuna delle città.
La trama del film: Gabriele, ex
rocker e ora negoziante di strumenti musicali, divorziato, è un
papà premuroso e concentrato esclusivamente su Sofia, la figlia di
10 anni. Quando gli amici gli presentano delle possibili nuove
compagne lui parla della figlia, azzerando ogni chance. Un giorno
però nella sua vita ricompare Mara, che vede da 10 anni e che è
diventata un’importante fotografa. Lui se ne innamora ma c’è un
grosso ostacolo da superare: lei non vuol sentire neanche parlare
di bambini. Gabriele decide quindi di nasconderle la presenza di
Sofia. L’impresa però non sarà per niente facile.
La pagina ufficiale della Marvel ha condiviso
un criptico video in cui compare Visione/Paul
Bettany, “seduto a pensare” con la didascalia
“Aspettando il trailer di Avengers 4”. Si tratta sicuramente di
un video teaser che ci promette in un modo sadico che il trailer
del nuovo attesissimo film Marvel è pronto e che potrebbe
arrivare tra pochissimo.
Avengers 4 arriverà al
cinema ad Aprile 2019, sarà diretto da Anthony e Joe
Russo e porterà a conclusione la Fase 3 del
Marvel Cinematic
Universe.
Nel cast del
film Robert Downey Jr., Chris Hemsworth, Mark Ruffalo,
Chris Evans, Scarlett Johansson, Benedict Cumberbatch,
Don Cheadle, Tom Holland, Chadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth
Olsen, Anthony Mackie, Sebastian Stan, Letitia Wright, Dave
Bautista, Zoe Saldana, Josh Brolin, Chris Pratt, Jeremy Renner,
Evangeline Lilly, Jon Favreau, Paul Rudd, Brie Larson.
Nel programma degli
Incontri Ravvicinati, la Festa del Cinema ospiterà
la grande attrice newyorkese Sigourney Weaver (ore
18.30 Sala Petrassi. Grazie a una miscela di talento e doti
attoriali che l’hanno resa una delle interpreti più versatili del
cinema contemporaneo, Weaver ha affrontato ruoli e generi
profondamente diversi, dalla fantascienza al thriller, dalla
commedia al cinema di impegno civile. Straordinaria la lista dei
registi che l’hanno scelta come protagonista dei loro film, da
Ridley Scott a Ivan Reitman, da Mike Nichols ad Ang Lee, da Roman
Polanski a David Fincher e James Cameron. Memorabili le sue
interpretazioni nella saghe di “Alien” e di “Ghostbusters”,
in Gorilla nella nebbia e Una donna in
carriera (che le sono valsi il Golden Globe),
ne La morte e la fanciulla fino
ad Avatar, film di maggior incasso della storia del
cinema.
Il programma della Selezione
Ufficiale della Festa del cinema di Roma, nella giornata di
mercoledì 24 ottobre, ospiterà altri tre film.
Steve Coogan e John C.
Reilly sono i protagonisti di Stan & Ollie, il
nuovo film di Jon S. Baird che verrà presentato in Sala Petrassi
alle ore 20.30. Stan Laurel e Oliver Hardy, alias Stanlio e Ollio,
i due comici più amati al mondo, partono per una tournée teatrale
nell’Inghilterra del 1953. Finita l’epoca d’oro che li ha visti re
della comicità, vanno incontro a un futuro incerto. Il pubblico
delle esibizioni è tristemente esiguo, ma i due sanno ancora
divertirsi insieme, l’incanto della loro arte continua a
risplendere nelle risate degli spettatori, e così rinasce il legame
con schiere di fan adoranti. Il tour si rivela un successo, ma
Laurel e Hardy non riescono a staccarsi dall’ombra dei loro
personaggi, e fantasmi da tempo sepolti, uniti alla delicata salute
di Oliver, minacciano il loro sodalizio. I due, vicini al loro
canto del cigno, riscopriranno l’importanza della loro
amicizia.
Green Book di Peter
Farrelly sarà invece proiettato in Sala Sinopoli alle ore 22. Sullo
sfondo della New York degli anni ’60, Tony Lip (Viggo Mortensen) è
un ex rinomato buttafuori che finisce a fare l’autista di Don
Shirley, giovane pianista afro-americano. Lip deve accompagnare il
pianista prodigio in un lungo tour nel profondo sud degli Stati
Uniti. Dopo alcune prime difficoltà, il viaggio nelle regioni
razziste degli Stati Uniti porta i due a stringere una forte e
straordinaria amicizia.
L’ultimo film della Selezione
Ufficiale presentato nella giornata sarà Hermanos di Pablo
Gonzaléz. La proiezione, che si terrà in Teatro Studio Gianni
Borgna Sala Siae alle ore 21.30, sarà preceduta da uno dei corti
finalisti di “Cuori al buio”. Il protagonista di Hermanos
è Federico Fierro che, dopo aver scontato una pena di sette anni
per complicità in una rapina finita male, torna nella sua città
natale in cerca di redenzione, dove il tempo sembra essersi
fermato: sua madre gli vuole ancora bene, suo padre continua a non
fidarsi di lui, il fratello Ramiro è sempre coinvolto in affari
loschi. Federico cerca di tornare a una vita normale trovando
lavoro in una miniera, ma presto resta invischiato in una questione
di debiti tra Ramiro e uno spietato criminale locale. Mentre
lottano contro il tempo per pagare i debiti a tutti i costi e
salvare se stessi e la loro famiglia dal destino crudele che li
perseguita, i due fratelli finiscono in una spirale di violenza e
caos.
La tredicesima edizione della
Festa del Cinema di Roma ospita il ritorno sul
grande schermo di Lisbeth Salander, figura di
culto e personaggio principale dell’acclamata serie di libri
“Millennium” creata da Stieg Larsson: domani,
mercoledì 24 ottobre alle ore 19.30 presso la Sala Sinopoli
dell’Auditorium Parco della Musica, si terrà l’anteprima mondiale
di The Girl in the Spider’s Web (Millennium: Quello
che non uccide) di Fede Álvarez, primo adattamento del recente
bestseller mondiale scritto da David Lagercrantz. La vincitrice del
Golden Globe, Claire Foy, protagonista della serie The
Crown, interpreterà l’iconica hacker sotto la direzione
del regista che ha firmato il thriller Man in the Dark:
nel cast, nel ruolo del giornalista Mikael Blomkvist, l’attore
svedese Sverrir Gudnason (Borg McEnroe), e nei panni di
Camilla, la sorella di Lisbeth scomparsa da tempo, l’attrice
olandese Sylvia Hoeks (Blade Runner 2049).
La versione di Justice League firmata da
Zack Snyder sarebbe stata molto diversa, se solo
il regista fosse riuscito a finire il film, tuttavia sembra che
almeno per ora non la vedremo mai. Snyder sembra non aver
rinunciato ancora a parlare del film che fu costretto ad abbandonare, e così
periodicamente condivide segreti e dettagli di quello che sarebbe
dovuto essere il film.
Su VERO, nelle
ultime ore, ha condiviso due artwork dal film, che raffigurano
Batman e Flash, personaggi che nel film portano avanti una linea
comica molto riuscita e che intrecciano un rapporto allievo/mentore
che, per la lettura dei personaggi in questo universo
cinematografico (nato morto) poteva anche avere un senso. Il Batman
“anziano” di Ben Affleck poteva essere una buona
ispirazione per il giovane Ezra Miller/Flash,
soprattutto data la sua completa solitudine e la sua ferma volontà
di farsi degli amici.
Inoltre la cupezza dell’uno in
contrapposizione con l’allegria e l’iperattività dell’altro
creavano un piacevole scambio di toni, nel film. Ecco cosa ha
pubblicato Snyder:
Con l’allontanamento di Zack
Snyder, il franchise ha perso l’identità che si stava
costruendo, una identità non molto gradita dalla maggioranza dei
fan ma che manteneva comunque una coerenza nella rappresentazione
cinematografica dei personaggi. Adesso gli eroi DC al cinema hanno
preso strade complicate e non sappiamo se mai si riuscirà a vederli
di nuovo insieme sul grande schermo, magari con un esito
migliore.
Gli Imagine
Dragons, non sono nuovi al cinema, infatti era loro la
canzone che ha accompagnato tutta la campagna marketing
di Mission: Impossible – Fallout. Invece per Ralph Spacca Internet
hanno composto un intero prezzo dedicato al nuovo film d’animazione
della Disney.
Il video clip è disponibile
all’ascolto ad un mese circa dal debutto dell’intera colonna
sonora.
Ralph
Spaccatutto è arrivato nelle sale americane il 2
novembre 2012, registrando l’incasso d’apertura più alto di sempre
per un film di Walt Disney Animation Studios,
all’epoca della sua uscita.
Diretto da Rich Moore e
Phil Johnston e prodotto da Clark
Spencer, il nuovo lungometraggio d’animazione
Disney Ralph Spacca Internet arriverà
nelle sale italiane il 1° gennaio 2019 e vedrà la partecipazione di
Fabio Rovazzi con uno speciale cameo nella versione italiana del
film. Grande fan della saga
di Star Wars, Rovazzi interpreterà
tre stormtrooper e la sua voce è già presente nel nuovo
trailer.
Ralph Spacca Internet, la trama
In Ralph Spacca
Internetil pubblico lascerà la sala giochi di
Litwak per avventurarsi nel grande, inesplorato ed elettrizzante
mondo di Internet, che potrebbe anche non resistere al tocco non
proprio leggero di Ralph. Insieme alla sua compagna di avventure
Vanellope von Schweetz, Ralph dovrà rischiare tutto viaggiando per
il World Wide Web alla ricerca di un pezzo di ricambio necessario a
salvare “Sugar Rush”, il videogioco di Vanellope. Finiti in una
situazione fuori dalla loro portata, Ralph e Vanellope dovranno
fare affidamento sui cittadini di Internet per trovare la giusta
direzione.
Instagram diventa la fonte
dell’ennesimo spoiler riguardante Avengers 4, e stavolta
la foto “incriminata” svelerebbe il nuovo look di un personaggio
noto del MCU e il suo costume. Come potete
vedere nell’immagine qui sotto, Gwyneth Paltrow
– interprete di Pepper Potts dal primo
Iron Man – indossa l’uniforme di
Rescue.
Questa versione del personaggio è
stata vista nella serie animata Iron Man Armored
Adventures, e i colori sembrerebbero corrispondere
perfettamente.
Vi ricordiamo che ad un certo punto
dei fumetti Pepper indossa l’armatura Mark 1616, molto diversa da quella di
Tony Stark, progettata specificatamente per le
abilità acquisite dalla donna dopo l’impianto del Reattore Arc.
MCU: il modo migliore
per prepararsi all’arrivo di Avengers 4
Avengers
4 arriverà al cinema ad Aprile 2019, sarà diretto
da Anthony e Joe Russo e porterà a
conclusione la Fase 3 del Marvel Cinematic
Universe.
Nel cast del
film Robert Downey Jr., Chris Hemsworth, Mark Ruffalo,
Chris Evans, Scarlett Johansson, Benedict Cumberbatch,
Don Cheadle, Tom Holland, Chadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth
Olsen, Anthony Mackie, Sebastian Stan, Letitia Wright, Dave
Bautista, Zoe Saldana, Josh Brolin, Chris Pratt, Jeremy Renner,
Evangeline Lilly, Jon Favreau, Paul Rudd, Brie Larson.
“Volevo attraversare le nebbie
del tempo e portare questi uomini da noi, così da fargli
riacquistare la loro umanità”. È questa la prima dichiarazione
ufficiale che Peter Jackson ha rilasciato,
commentando il suo ultimo film, They Shall Not Grow
Old, un documentario realizzato per la BBC.
Presentato in anteprima al London Film Festival
e portato anche alla Festa del Cinema
di Roma 2018, il film è stato realizzato utilizzando
materiale dall’archivio dell’Imperial War Museum,
video d’epoca restaurati, colorati, rimontati, addirittura
convertiti in 3D, insomma “rivitalizzati” secondo lo scopo
artistico dello stesso Jackson, che ha dato così vita a un film in
cui le immagini d’archivio si sovrappongono le voci fuori campo dei
veterani, interrogati su quella che fu la terribile esperienza
della guerra. Il risultato è un racconto realistico, ovviamente,
molto emozionante, viscerale, grazie soprattutto alla testimonianza
che i soldati ancora in vita hanno regalato al progetto, ma anche
alla capacità di Peter
Jackson di raccontare per immagini, scegliendo e
selezionando quelle più adatte a raccontare la sua storia, ma
soprattutto la Storia.
Sembra sicuramente insolito per un
regista con il curriculum di Peter
Jackson cimentarsi in un film documentario, genere che
dovrebbe essere l’opposto di quella epopea fantasy che, con
Il Signore degli anelli prima e con Lo Hobbit dopo, ha contribuito a far rinascere
sul grande schermo. They Shall Not Grow Old è
invece proprio il tipo di documentario che ci si potrebbe
aspettare da lui. Mettendo da parte per un attimo il contenitore,
il genere in senso stretto, il film è l’espressione massima di ciò
che Jackson ha raccontato nel cinema di finzione: il racconto
eroico dell’uomo di fronte all’orrore della guerra.
Inoltre, il materiale
scelto da Jackson è crudo, violento, non risparmia nessuna
bruttura, nessuna ferita, permettendo così al regista di attingere
anche alla sua prima produzione, più squisitamente splatter. La
violenza delle immagini reali sembra essere la bandiera
antimilitarista sotto la quale si protegge Peter
Jackson, un tentativo di (far) ricordare quello che è
stato e di allontanare ancora per un po’ il ripetersi di quello
stesso orrore. They Shall Not Grow Old è un
commosso ricordo, una precisa testimonianza, che conferma anche
come la perizia tecnologica, nel cinema, si possa mettere a
servizio dell’intenzione artistica: colorare e dare dimensione (con
il 3D) a immagini d’archivio in bianco e nero restituisce vita,
volto e identità a quelle persone che hanno fatto la Storia, ma il
cui nome non sarà mai scritto nei libri di scuola.
Trent’anni in un concerto.
La voce profonda di Manuel Agnelli accompagna
l’arrivo degli Afterhours sul palco del Forum di
Assago, filmati “in segreto” dal regista Giorgio
Testi durante lo storico live del 10 aprile 2018. Una
festa, oserebbe dire, per festeggiare i primi trent’anni di
carriera di una band che ha radicalmente scosso le radici della
musica alternativa italiana portando nel paese della canzone
popolare qualcosa di nuovo e mai sentito.
Le immagini riprese da Testi sono
confluite nel docu-film Noi siamo Afterhours,
presentato in anteprima assoluta alla Festa del Cinema di
Roma, e che alterna le fasi più emozionanti della serata
ai ricordi di Agnelli sugli esordi – quando il gruppo si esibiva
ancora in inglese – passando per le tournée internazionali in
America e i cambi di formazione fino alla line up attuale.
“Tutto nasce con un errore:
quello di Manuel all’inizio del concerto quando ha preso la nota
sbagliata“, confessa il regista, “Ed è stato un po’ la
nostra benedizione. Penso davvero che ciò che abbiamo fatto con
questo documentario sia assolutamente inedito nel panorama
italiano, soprattutto nella scena rock“. La struttura di
Noi siamo Afterhours è infatti stramba, per come è
stato pensato e realizzato, e a spiegarlo è lo stesso Agnelli:
“Di solito quando decidi di girare qualcosa del genere hai a
disposizione tre date da cui selezionare le scene migliori. Qui
invece si trattava di un solo concerto, e poteva andare tutto
storto. Ma è proprio questo che ha contraddistinto il film: la
magia di quella sera al Forum. Con più giorni forse sarebbe stato
impossibile riprodurre quell’effetto.“
“Abbiamo iniziato a parlare del progetto circa un anno
prima dell’evento, partendo dell’aspetto scenografico, quindi dalla
disposizione del palco all’uso degli effetti visivi, e poi siamo
entrati più dettagliatamente nel discorso registico“, spiega
Testi, “Sapevamo però di avere tra le mani un’occasione
irripetibile. Non era soltanto un concept film come quello
realizzato per Hai paura del buio? nel 2014, ma
anche un modo per raccontare trent’anni di storia della band
attraverso spezzoni e parentesi più poetiche. A questo ho aggiunto
un elemento che mi affascina da sempre, ovvero i momenti precedenti
allo spettacolo, quando gli artisti escono da se stessi e si
trasformano in altro; nel mentre però pensano e ripensano, c’è
della roba che gli frulla in testa, un’incertezza…a questo serviva
la voce di Manuel come narratore, in quanto leader degli
Afterhours“.
Tanta preparazione non ha impedito
al “caso” di intervenire sul concerto, come dichiarato da Agnelli
in conferenza stampa: “È stato casuale trovarsi ed è casuale ciò che ne è uscito,
nonostante il nostro estenuante lavoro di prove. Ma immaginate
quanto sarebbe stato inutile tutto questo se il caso non fosse
intervenuto positivamente. Non decidi tu, è il concerto a farlo, e
se rimani nella media non rischi. Se ti lasci andare però rischi il
disastro ma se hai abbastanza fortuna riesci a raggiungere un certo
livello emotivo. Ed è ciò che ci è successo quella sera grazie alla
magia, al suono, al pubblico“.
La cura
maniacale per i dettagli, dal missaggio sonoro alla valorizzazione
degli strumenti, in un solo giorno di riprese è risultata una sfida
non indifferente per la band, che un po’ corrisponde perfettamente
all’atteggiamento degli Afterhours nei confronti della musica: mai
statico e sempre sul limite del pericolo. Al video sono state poi
aggiunte delle battute in voiceover di Manuel Agnelli che si
manifestano in vari modi, in forma di pensiero rispetto al
concerto, alla storia degli Afterhours, ai vari volti del
gruppo.
“Il
film fotografa benissimo il nostro momento storico, perché è un
punto di arrivo e di ripartenza, ed esprime la pausa di riflessione
che ci siamo presi per non ripeterci e per capire che cosa vogliamo
diventare“, continua Agnelli. “Non abbiamo più nulla da
dimostrare a noi stessi, ma siamo coscienti e consapevoli di cosa
ci serve per andare avanti“. E su ciò che rende la band così
unica, il frontman dichiara che “Siamo persone molto diverse, e diversi sono i motivi per
cui facciamo ciò che facciamo. Io ho bisogno di esprimere ciò che
non riesco ad esprimere tutti i giorni, nella vita quotidiana, cose
scure o violente, e di certo non vado in giro a tirare testate alla
gente. Eppure lo vorrei.D’altronde è qualcosa che
appartiene a tutte noi come esseri umani, il non riuscire ad
esprimere le cose che ci teniamo dentro. Sul palco invece mi sento
libero di farlo, e questo lavoro mi ha aiutato a crescere e a
superare e capire certi momenti.“
Benedetti da una nuova popolarità, gli
Afterhours sono pronti per le prossime sfide.
“Siamo cambiati, come persone, ed è cambiato il significato del
nostro fare musica”, chiude Agnelli. “All’inizio volevamo solo
essere disturbanti e scatenare reazioni… finivano sempre con
l’essere negative. Poi abbiamo deciso, o meglio, è successo che
abbiamo cercato un nuovo modo di rapportarci con il pubblico. E
finalmente da qualche anno l’abbiamo trovato, modo più empatico,
accettando di essere diventati diversamente disturbanti. L’energia
ci arriva dai ragazzi giovani, e la soddisfazione più grande è
continuare ad avere un senso per qualcuno. Non siamo memoria ma
presente, che trasmette emozioni a persone che adesso sono la
realtà“.
Il regista GeorgeTillmanJr. è arrivato a Roma per
presentare alla FestadelCinema il film TheHateU Give, tratto dall’omonimo
romanzo di AngieThomas che narra
la storia di Starr, una ragazza Afro americana che assiste alla
morte del suo amico Khail per mano della polizia.
Quando ha scoperto questo
romanzo e cosa l’ha colpita di questa storia?
A gennaio 2016 stavo lavorando alla
serie tv Luke Cage per la Marvel e la Disney e fui molto
fortunato perché il libro non era stato ancora pubblicato e io l’ho
letto in anteprima. Appena l’ho iniziato a leggere ho capito che
ero realmente connesso alla storia e mi ci sono subito ritrovato.
Per prima cosa ho parlato al telefono con la scrittrice Angie
Thomas e una delle cose che più mi hanno colpito era questa idea di
identificazione che c’era alla base. Nella cultura afroamericana
cec questo modo di comportarsi che si chiama “code switching”, che
in poche parole significa che sei un afroamericano quando sei nella
tua comunità ma quando vai nel mondo dei bianchi cambi quello che
sei. Diventi qualcun altro solo per far sentire meglio le altre
persone e questa è una cosa che tutti gli afroamericani affrontano
ogni giorno anche se va bene essere se stessi. Ero molto legato
alla storia personale di Starr: sentivio che l’idea della police
brutality fosse una storia importante ma è la storia di Starr che
cerca la sua voce rimanendo se stessa e non compromettendosi, che
mi ha veramente colpito.
Non pensa che il problema
alla base sia che la popolazione americana detiene il 40% delle
armi nel mondo?
Certamente e infatti questa è un
altra parte della storia della Thomas che mi ha colpito molto: c’è
un enorme problema relativo al controllo delle armi. Ma perché la
razza è un problema così grande? Io penso che sia possibile
ricollegarlo al capitalismo e di conseguenza ai primi schiavi:
quando gli schiavi cercavano di scappare c’erano le pattuglie che
li prendevano e li riportavano nelle loro terre. Le forze di
polizia in America sono un evoluzione delle pattuglie degli schiavi
e una cosa dopo l’altra è normale che la razza sia così rilevante
in questo discorso. La frase più importante che viene detta nel
film secondo me è “Il colore della nostra pelle è la nostra arma”:
tutto è riconducibili alla schiavitú, alle proprietà, al commercio…
quindi riconducibile al controllo delle droghe nella comunità, dei
lavori, delle prigioni e infine di nuovo al capitalismo. È tutto un
enorme cerchio e chi è che ne paga le conseguenze? Il controllo
delle armi è sicuramente un grande problema ed è per questo che ho
voluto venisse rappresentato nel film.
All’inizio del film Starr
viene istruita e le vengono detti quali sono i suoi diritti: non
sarebbe giusto che ogni ragazzino, bianco o nero, ricevesse una
lista dei diritti di cittadino?
C’è una grande divisione al momento
nel paese di genitori che fanno discorsi ai propri figli. Il
“discorso” che viene fatto ai bambini bianchi o privilegiati
riguarda le api e i fiori, al fatto che vanno usati i preservativi
e che bisogna essere rispettosi e rispettare l’altro quando si
parla di sesso. Invece in altre comunità, che siano afroamericane o
di ceto sociale più basso, bisogna affrontare il problema della
violenza da parte della polizia, quindi il “discorso” è molto
importante perché concerne la loro vita di tutti i giorni e il loro
modo di sopravvivere. In alcune parti dell’America certe persone
non hanno mai sentito questo tipo di “discorso” ed è per questo che
il film inizia partendo dalla strada di questa comunità come tante
fino a che non si avvicina ed entra nella finestra di questa
famiglia. È una situazione di tutti i giorni. Quindi c’è una grande
divisione su gente totalmente ignara di questa realtà perché la
loro vita privilegiata gli ha permesso di mai doversi preoccupare
di come comportarsi di fronte alla polizia. Penso che tutti i
genitori però dovrebbero insegnare queste cose o almeno a
rispettare gli altri, ascoltare, aiutare e far notare che il
problema esiste.
Partendo dal libro, quale è
il messaggio che voleva comunicare da regista?
C’è una scena alla fine che è stata
una mia interpretazione rispetto a cosa c’è nel libro e il suo
significato è che queste cose non devono continuare ad accadere e
il saper usare la propria voce, sia da piccoli che da adulti, è
molto importante. Lottare per le cose in cui si crede anche se
bisogna superare grandi ostacoli è il messaggio che volevo far
trasparire come regista e anche che una sola voce può influenzarne
tante altre o far pensare a cose a cui ancora non si era
pensato.
Alla Festa del Cinema è
stato presentato il film di Barry Jenkins un film che affronta la
stessa tematica e lui aveva un idea abbastanza precisa che
nonostante tutto l’odio, abbiamo tanta bellezza, dignità e forza
per superarlo. Dal punto di vista del suo film, crede che queste
cose possano bastare a superare queste tragedie?
Si è questa è una cosa molto
importante per me parlando di Starr e la famiglia Carter. Ricordo
anche quando, negli anni 70, mio padre venne licenziato e circa
nello stesso momento un giovane uomo venne ucciso non lontano da
casa nostra. Lui ci disse che siccome era stato licenziato sarebbe
stato un Natale più duro e ricordo perfettamente che nonostante
questo è tutto quello che stava succedendo nella nostra comunità,
la mia famiglia restò concentrata, felice, unita, gioiosa: c’erano
risate e c’erano anche lacrime. La vita in famiglia era piena di
alti e bassi, non solo nella nostra ma anche la vita dei nostri
vicini, ma trovavamo sempre un motivo di gioia. Quello che volevo
fare con la famiglia Carter era proprio questo: mostrare
checnonostante fossero tempi duri, trovavano comunque il modo di
essere uniti, felici, ridere e pregare insieme. E penso che questo
sentimento sia universale: si trova sempre qualcosa di buono per
andare avanti e questo è di grande ispirazione per me.
C’è in progetto di mostrare
questo film nelle scuole, ai più giovani, visto che insegna quanto
la parola possa essere potente se usata in modo
corretto?
Si, quella è una lezione molto
importante. Voglio veramente che i ragazzi vedano questo film
perché per prima cosa i social media hanno un impatto molto grande
nella loro vita: ad esempio in una scena Starr mette su Tumblr
delle foto di altre persone uccise dalla polizia e la sua amica non
ne è felice perché non vuole effettivamente vedere queste cose e
questo le fa capire che è solo il primo passo nell’usare la propria
voce. Ma una delle cose che facciamo con i più giovani è dirgli di
dover usare la loro voce per poi censurare, magari dicendo “forse
non lo dovevi dire” o “non lo hai detto nel modo giusto”. Questa
era una cosa che volevo affrontare nel film: far capire che sei hai
qualcosa da dire bisogna dirla, senza avere paura. Non volevo fare
un film young adult, anche perché ho oltre quarant’anni: volevo
fare un film per tutti perché so che i ragazzi sono molto
sofisticati, sono svegli, si informano e sentono puzza di cavolate
non appena le vedono. Per questo volevo un film che avesse un vero
impatto su di loro.
Avere Trump a capo del
paese, cosa comporta per questo tipo di battaglia?
Riguardo a Trump, stanno per
arrivare le elezioni di mezzo mandato quindi spero che ci sarà un
cambiamento. Ho voluto fare questo film perché penso che gli USA
siano molto divisi in termini di razza e classi più che mai e penso
che Starr e gli altri giovani nel film possano raccontare bene cosa
sta succedendo nel paese in questo momento.
Parlando del titolo del
film, non c’è il rischio che le nuove generazioni siano già
compromesse? Lei è fiducioso?
Amo molto l’idea del titolo, The
Hate U Give, che proviene da “Thug Life” (The Hate U Give Little
Infants Fucks Everybody), una cosa che si inventò Tupac ad inizio
anni 90, dopo un confronto con un poliziotto ad Atlanta. Si tratta
della gerarchia di potere e del fatto che tutto l’odio che si
riceve da piccoli, dalla comunità, dalla mancanza di lavoro, dalla
violenza della polizia… tutto torna indietro, perché i giovani sono
svegli, stanno attenti e captano tutto. Quindi come si potrebbe
cambiare? Cosa succederebbe se la gerarchia di potere desse amore
invece che odio? Tornerebbe indietro amore. Per questo ho voluto
fare il film, per farci questa domanda: come ricominciamo tutto da
capo? Come facciamo a cambiare? Per prima cosa si deve fare una
cosa molto semplice: iniziare a a trattarci tra di noi in modo
migliore.
È stato presentato alla Festa del Cinema di
Roma, nella sezione Riflessi, il documentario
Treno di Parole, documentario diretto
da Silvio
Soldini e dedicato alla figura di
Raffaello Baldini,
poeta romagnolo apprezzato dalla critica ma sconosciuto ai più. Il
documentario si avvale del contributo dell’attore Ivano Marescotti, che per anni ha
recitato in teatro le poesie di Baldini.
“Abbiamo lavorato tantissimo a
questo progetto. – dichiara Martina Biondi,
che insieme al regista ha sviluppato l’idea del film – Volevo
esportare Baldini dalla sua zona d’origine, nel quale era confinato
per via dell’uso del dialetto. Nessuno lo conosceva, e lo scopo era
proprio quello di far entrare quanta più gente possibile in
contatto con le sue opere. Ho scelto di affidarlo a Silvio perché
anche lui è dotato di un linguaggio poetico.”
Il film attinge ad una grande
varietà di materiale lasciato dal poeta: le registrazioni delle
poesie lette dalla sua stessa voce, i filmini in 8mm da lui girati
negli anni ’60 e ’70, fotografie, appunti e interviste radiofoniche
e televisive. Attraverso questi elementi Soldini restituisce lo
sguardo del poeta, da cui emergono i grandi temi umani, dalla
solitudine all’amore, dalla morte al perdono.
“Baldini è un autore in grado di
avere ancora molta presa sui giovani. – esclama Soldini –
Mi sembra ci sia un vero e proprio seguito. La sua è una poesia
della realtà, dai temi profondi, universali e attuali.”
In questo film, gli autori cercano
di capire l’uomo Baldini anche attraverso i racconti di chi lo ha
conosciuto. Prende a tal proposito la parola Ivano
Marescotti, che fu amico stretto di Baldini e dal quale
riuscì a farsi comporre quattro testi teatrali. “La mia
identità di attore si divide tra il cinema e il teatro, ma in
entrambi la figura di Baldini è per me fondamentale. Dalla
lettura delle sue poesie e dei suoi monologhi teatrali ho appreso
molto per la mia formazione di attore.”
“Le sue poesie sono storie,
molto cinematografiche per di più. – continua Marescotti –
Aveva una grande capacità di comunicare non solo tramite l’uso
del dialetto, ma anche tramite delle immagini molto efficaci e
d’impatto. In ogni sua poesia c’è del tragico, ma per noi romagnoli
la tragedia è sempre accompagnata da un velata comicità.”
Soldini conclude con una propria
riflessione sul film, sottolineando l’importanza della diffusione
delle opere di Baldini. “Mi preoccupava l’idea di fare un film
su qualcuno che non c’è più. Per i miei precedenti documentari
ero abituato a seguire attivamente le persone su cui si basava il
film. La mia fortuna per questo progetto è stata quella di aver
trovato dell’ottimo materiale da cui poter partire. Questo film
vuol fare rivivere la realtà di un poeta attraverso il suo sguardo
sul mondo. Credo che la cosa più bella che questo film offre sia
proprio la possibilità di essere presi per mano dallo stesso
Baldini, che ci racconta del suo mondo, dei i suoi personaggi, e
delle sue storie.”
Uno degli eventi più attesi della
Festa del Cinema di
Roma ha avuto luogo nella giornata del 22 ottobre.
Dopo essere stato ospite durante la prima edizione della Festa, nel
2006, il regista premio Oscar Martin Scorsese è tornato per un
incontro ravvicinato con il pubblico e per ricevere il premio alla
carriera. Per questo speciale incontro, il regista newyorkese ha
selezionato nove film italiani, quelli che più lo hanno ispirato
prima di diventare regista. Attraverso la visione di ben precise
scene di questi, Scorsese ha come sempre dimostrato un profondo
amore per il cinema, ripercorrendo allo stesso tempo la sua lunga
carriera.
Al suo ingresso, Scorsese viene
accolto da una standing ovation dell’intera Sala Sinopoli, dove si
trovavano tra gli altri il regista Giuseppe
Tornatore, e i suoi collaboratori Dante
Ferretti e Francesca Lo Schiavo. A
riempire la sala anche numerosissimi ragazzi e studenti
universitari, a dimostrazione dell’influenza che questo gigante
della storia del cinema riesce ad avere anche sulle nuove
generazioni.
Dal momento in cui Scorsese prende
il microfono per dare inizio all’incontro, questo si trasforma ben
presto in una vera e propria lezione di cinema. I film italiani da
lui scelti sono compresi in un periodo di tempo che va dal 1952 al
1962, e sono i titoli che più di altri hanno avuto un impatto e
un’influenza nella sua formazione, prima che Scorsese iniziasse a
sua volta ad essere un regista. Dalla lista sono rimasti fuori la
maggior parte dei film del neorealismo, considerati dal regista
newyorkese non dei film ma realtà.
Il primo film che Scorsese presenta
è Accattone di Pier Paolo Pasolini. “Vidi
questo film per la prima volta durante il New York Film Festival,
nel 1963, e fu un’esperienza fortissima per me. – dichiara il
regista – Io sono cresciuto in quartiere difficile, e questo è
stato il primo film in cui sono riuscito ad identificarmi con i
protagonisti. All’epoca non avevo idea di chi fosse Pasolini, però
capivo quei personaggi, e più di tutto mi colpi la santità del
film. Trovo meraviglioso il finale, dove si accostano personaggi
popolari e infimi ad una spiritualità più alta. Accattone è un
pappone, ma Pasolini lo fa morire in mezzo a due ladri, con uno dei
due che si fa il segno della croce al contrario. Ho appreso
moltissimo dalla combinazione che Pasolini fa di questi elementi, e
anche dall’uso che fa della musica. Egli usa una composizioni
sacre, usa Bach, per descrivere i suoi personaggi, e questa è una
cosa che ho riportato in Casinò. Tutto
ciò per me implica che le persone di strada, attraverso la propria
sofferenza, sono più vicine a Cristo di quanto non lo siano coloro
che stanno più in alto.”
Si passa poi a parlare di un altro
dei grandi registi della storia del cinema italiano,
Roberto Rossellini, con il suo film per la
televisione dal titolo La presa del potere da parte di
Luigi XIV. “Arrivato ad un certo punto della sua
carriera Rossellini ha avuto la percezione che l’arte fosse troppo
rivolta verso sé stessa, verso l’interno.Egli voleva
farne altro, usando il valore del mezzo per realizzare film
didattici, per insegnare. Di questo film in particolare sono
stregato dalla composizione. C’è una grande ispirazione pittorica,
da Velázquez a Caravaggio. Egli riduceva tutto all’essenziale, come
aveva fatto in Paisà, e questo stile mi ha spinto
verso nuove riflessioni sulla natura del cinema, decidendo poi di
riutilizzarlo in film come Toro Scatenato, ma
anche nei miei più recenti.”
È poi la volta di
Umberto D. di Vittorio De
Sica. “Questo film è l’apice del neorealismo, dopo non
sarà più lo stesso. La cosa interessante di questo film è che non è
affatto sentimentale. Certo, la musica ha un crescendo emotivo, ma
il film parla sempre e solo di un uomo anziano che ha bisogno di
mangiare. È così sinceramente umano che è impossibile non
riconoscersi in questa umanità.”
“Il posto, di
Ermanno Olmi, è un film veramente speciale. –
continua Scorsese – Questo film, insieme a I
fidanzati, ha questo suo stile “sottomesso”, economico,
scarno, che è un po’ lo stile documentaristico alla John
Cassavetes, ed è per questo che lo sento così vicino a me.
Ammiro il modo in cui Olmi ci parla della progressione
dell’industrializzazione e della conseguente perdita di
umanità.”
“Il primo film di
Michelangelo Antonioni che vidi fu
L’avventura. – dichiara il regista –
Dovetti imparare come leggerlo. L’ho guardato ripetutamente,
studiando il suo ritmo e l’utilizzo dello spazio. Questa sua
narrazione ottenuta attraverso lo spazio, la composizione, la luce,
l’oscurità, sembra per certi aspetti analitica. Ma uno dei finali
più belli in assoluto è quello de L’eclisse. In
questo film c’è un passaggio dove prima vediamo Monica
Vitti camminare per strada, poi si allarga all’intero
paesaggio, e lì la composizione è utilizzata come narrazione,
facendoci capire l’alienazione, la mancanza di spirito, la mancanza
d’animo. Antonioni ha ridefinito il linguaggio cinematografico.
Egli prende i canoni della narrazione e dei personaggi e se ne
libera, proprio come avviene a Lea Massari in
L’avventura. Un po’ come fa Alfred Hitchcock in
Psycho con Janet Leigh, ma almeno
che fine fa lei lo sappiamo.”
Scorsese passa poi a presentare tre
film ambientati in Sicilia, che era la terra dei suoi nonni prima
che questi emigrassero a New York in cerca di fortuna. Il primo di
questi film è Divorzio all’italiana di
Pietro Germi. “Quando preparavo Quei
bravi ragazzi, ho studiato questo film per prepararmi.
Adoro come i movimenti della macchina da presa riescano a generare
un umorismo genuino. Ogni volta che lo guardo mi colpisce poi
particolarmente il bianco e il nero, e l’uso che si fa di
questo.”
Il secondo dei film ambientati in
Sicilia è invece Salvatore GiulianodiFrancesco Rosi, di cui viene
mostrata la scena della madre che piange il figlio
morto.“La madre che vediamo non è una madre,
è la madre. Quando vidi questo film per la prima volta, e
questa scena in particolare, mi cambiò la vita. Rosi ti mostra i
fatti, eppure i fatti non sono la verità, e le radici della
corruzione vanno sempre più in profondità. I miei nonni si
trasferirono a New York nel 1910, e mi sono sempre chiesto perché
non si fidassero delle istituzioni. Vedendo questo film ho
realmente capito tante cose della mia famiglia.”
Per il terzo film sulla Sicilia
Scorsese non poteva che aver scelto Il
Gattopardo, di Luchino Visconti.
“Le opere di Visconti hanno avuto una grande influenza sul mio
film L’età dell’innocenza. Quello che mi
interessa qui è l’aspetto antropologico, l’antropologia di quella
vita. Egli raccontava le cose dal minimo dettaglio al macrocosmo.
L’opera di Visconti sembra combinare l’impegno politico con il
melodramma più sfrenato. Ma ciò che più mi emoziona dei suoi film è
il passaggio del tempo, il modo in cui il principe Salina capisce
che i vecchi valori lasceranno il posto a qualcosa di nuovo che
però non porterà a nessun cambiamento, e che quindi è arrivato per
lui il momento di andarsene, fondamentalmente di morire.”
L’ultimo film italiano presentato
da Scorsese è Le notti di Cabiria, di
Federico Fellini. “Il finale di questo film è
sublime. Una vera e propria rinascita spirituale. Ho sempre
ammirato Fellini, con tutte le sue particolarità che lui sapeva far
funzionare. Ho avuto il piacere di incontrarlo più volte, e verso
gli anni novanta stavamo anche lavorando al progetto di un
documentario insieme, purtroppo però lui scomparse poco dopo e la
cosa non si fece più. Ad ogni modo, il suo modo di raccontare i
personaggi e di catturarne l’essenza è inarrivabile.”
L’incontro si chiude poi con il
conferimento a Martin Scorsese del premio alla carriera,
consegnatogli come da lui richiesto da Paolo
Taviani. Quest’ultimo ringrazia Scorsese per il suo
omaggio al cinema italiano, e per l’amore che ha saputo trasmettere
agli altri riguardo questi film. Scorsese appare visibilmente
commosso, e dopo aver tenuto tra le sue mani il premio, prende
un’ultima volta il microfono, per ringraziare l’Italia per i suoi
capolavori cinematografici, senza i quali lui oggi non sarebbe
quello che è. Dimostrando un’umiltà di cui solo i grandi sono
capaci, Martin Scorsese ottiene in cambio il calore di un pubblico
che da tempo vede in lui uno dei più grandi maestri della storia
del cinema mondiale.
Mentre la Fase
3 del MCU si
avvia alla sua conclusione con Avengers 4, è
lecito pensare al futuro del franchise e alle direzioni che
prenderà la linea editoriale dei Marvel Studios.
Come dichiarato
da Kevin Feige, i fan dovranno aspettarsi
qualche sorpresa e inediti cambi di rotta nella Fase 4, il che
non esclude che possano tornare volti noti dell’universo
cinematografico già apparsi sullo schermo.
Tuttavia ci sono alcuni personaggi
che meriterebbero senza dubbio più spazio, proprio per approfondire
la loro storia al cinema o in tv. Se volete scoprire quali sono,
leggete qui sotto:
Loki
Se
contiamo anche la breve apparizione nel prologo di Avengers: Infinity
War, finora Loki ha collezionato ben
cinque presenze nel MCU, tuttavia non sembra abbastanza
(almeno per i fan). Merito di Tom Hiddleston
e della sua interpretazione magistrale di uno dei villani più
complessi e intriganti che l’universo condiviso abbia mai
avuto.
A
quanto pare le preghiere saranno esaudite, dal momento che la Disney dovrebbe annunciare a
breve la produzione di una serie (da trasmettere sul proprio
servizio streaming) interamente dedicata al Dio dell’Inganno. Nel
caso venisse confermata sarà interessante capire come il
personaggio cambia se non associato a qualche supereroe…
Rocket Racoon
Rocket è uno
dei membri più amati dei Guardiani della
Galassia, e nonostante il carattere burbero è riuscito
a guadagnarsi un posto speciale nel cuore dei fan. Introdotto come
un cacciatore di taglie senza capacità di compassione, trova in
Groot un amico e si apre all’affetto dei suoi
compagni di squadra; nel secondo capitolo dei Guardiani lo vediamo
infatti crescere e svilupparsi, pur mantenendo questa maschera un
po’ aggressiva che lo contraddistingue.
La
speranza è che gli venga dedicato più spazio all’interno del
MCU (magari una serie presule
dove scoprire il suo passato e gli eventi precedenti al primo
film), accontentando così il desiderio degli
appassionati.
Scarlet Witch
Da
quando l’abbiamo incontrata in Avengers: Age of Ultron
(dove ha visto morire suo fratello gemello Pietro alla fine della
battaglia di Sokovia) Wanda Maximoff aka
Scarlet Witch è cresciuta esponenzialmente fino ad
Avengers: Infinity
War, tuttavia la sensazione è che il personaggio non
sia ancora sfruttato al massimo delle sue potenzialità.
Con
l’acquisizione dei diritti sugli
X-Men da parte della Disney i Marvel Studios potrebbero ampliare
la descrizione dell’eroina associandole le qualità che la rendono
una dei mutanti più pericolosi sulla Terra. Da qui si aprirebbe un
ventaglio di possibilità narrative riferite ai fumetti che
eleverebbero Scarlet Witch in una posizione di rilievo nel MCU.
L’ingresso di Adrian Toomes nel MCU tramite Spider-Man: Homecoming è
stato uno dei più riusciti della storia del franchise, e gran parte
del merito va riconosciuto all’interpretazione magistrale di
Michael Keaton. Non soltanto ci ha consegnato un
classico villan sfaccettato, ma l’attore è stato capace di rendere
umane e comprensibili le motivazioni del personaggio. Potevamo
persino provare empatia per lui, senza dimenticare i crimini che
aveva commesso.
Ovviamente Avvoltoio
rientra tra quegli antagonisti che vorremmo rivedere sullo schermo,
e quanto pare succederà prima del previsto grazie al sequel di
Homecoming, Spider-Man: Far From
Home.
Visione
Introdotto in Avengers: Age of Ultron,
Visione è un
personaggio dalle mille possibilità che dovrebbero essere sfruttate
al meglio nel MCU, tuttavia non è chiaro quale
sarà il suo destino nel futuro del franchise visto che risulta tra
gli eroi caduti alla fine di Infinity War.
Rimaniamo comunque fiduciosi e speriamo possa tornare al fianco dei
suoi colleghi Vendicatori.
Occhio di Falco
Membro
fondatore e imprenscindibile degli Avengers,
Occhio di Falco
ha combattuto fianco a fianco con Vedova Nera per
anni ma del suo passato non sappiamo granché. Che sia arrivato il
momento per dedicargli uno spazio nel MCU che non si limiti ad una
semplice e fugace apparizione?
I
Marvel Studios hanno deciso di
escluderlo (speriamo ragionevolmente) da Avengers: Infinity War, e la
sua mancanza si è fatta sentire, ma sappiamo che Clint si trova
agli arresti domiciliari proprio come Scott Lang in seguito alla
firma degli accordi di Sokovia. Atteso in Avengers 4,
Occhio di Falco otterrà l’attenzione che merita?
Valchiria
L’inedita Valchiria di Tessa
Thompson ha debuttato nel MCU soltanto di recente in Thor: Ragnarok
e sul personaggio gravitano ancora molti misteri. Da dove viene?
Qual è il suo passato? Cosa ha da offrire all’universo Marvel? Ogni possibile storyline è
stata accantonata da Infinity War, nel quale non
vi è stata traccia della guerriera asgardiana, ma se dovesse
tornare in azione già da Avengers 4
sarebbe cosa assai gradita…sicuramente per noi!
Nebula
Nebula è un
personaggio affascinante per svariati motivi, uno dei quali
riguarda la storia della sua infanzia e il rapporto complicato con
la sorella Gamora e il padre adottivo
Thanos. Aspetti del suo carattere sono stati
affrontati ed esplorati nel corso del franchise sui
Guardiani della Galassia e
brevemente anche in Avengers: Infinity War, dove
l’abbiamo vista unirsi ai Vendicatori nella lotta contro il Titano
Pazzo.
La
sensazione è che Nebula abbia ancora talmente tanta rabbia
irrisolta nei confronti di Thanos da meritare più spazio sullo
schermo, a partire da Avengers
4…
Peggy Carter
Peggy Carter ha
fatto il suo debutto ufficiale nel MCU in Captain America: Il
Primo Vendicatore, apparendo più tardi anche in
Captain America: The Winter
Soldier, Avengers: Age of Ultron e
Ant-Man e nelle serie televisive Agent
Carter e Agents of SHIELD. Praticamente
una veterana.
E il
bello è che nonostante tutte questi minuti sullo schermo, i fan
chiedono a gran voce altri momenti di Hayley Atwell
nei panni del co-fondatore dello S.H.I.E.L.D., pure se piccoli come
cameo e flashback in altri film dei Marvel Studios.
Lady Sif
Sopravvissuta alla strage di Thor: Ragnarok
per mano di Hela, Lady Sif è
dispersa in un luogo ignoto che non è Asgard, e i fan desiderano di
rivederla in azione nel prossimo futuro del MCU sempre interpretata da
Jaimie Alexander.
Il
personaggio è comparso per la prima volta in Thor
del 2011 e poi in Thor: Dark World del 2013,
sfoderando tutte le qualità di un’incredibile guerriera e
combattendo al fianco di Thor, Fandral, Hogun e
Volstagg.
Il cast de Il Grande
Lebowski si è riunito per una foto in occasione del 20°
anniversario del film. La pellicola è stata diretta dai
Fratelli Coen ed è uscita nel 1998. Il personaggio
più riconoscibile del film è Drugo, interpretato da Jeff
Bridges, mentre in ruoli altrettanto importanti
comparivano John Goodman, Julianne
Moore e Steve Buscemi.
Il Grande
Lebowski racconta di Jeffrey Lebowski, che viene aggredito
da due criminali che lo hanno scambiato, a causa di una scomoda
omonimia, per un milionario. Durante l’aggressione, i due urinano
anche su un tappeto di Jeffrey. Per ottenere un risarcimento per
questo tappeto, il Drugo accetta di aiutare il milionario,
consegnando un riscatto per liberare la Signore Lebowski, rapita
proprio dai malviventi. Per aiutarlo nel suo viaggio, Drugo recluta
i suoi due compagni di bowling, Walter Sobchak (Goodman) e Donny
Kerabatsos (Buscemi).
Sul suo account Twitter, Bridges ha
pubblicato una foto in cui compare al fianco dei suoi colleghi di
set, per il film dei Coen, Goodman e Buscemi, in occasione della
reunion e della celebrazione del 20° anniversario del film. Con
loro, in foto, anche Harry Smith della NBC.
Nel cast del film comparivano anche
Philip Seymour Hoffman e David
Huddleston, che purtroppo sono morti, negli anni a
seguire.
Mentre un sequel tanto richiesto de
Il Grande Lebowski non è mai stato realizzato, l’attore
John Turturro sta lavorando a uno spin-off
intitolato Going
Places, incentrato sul suo personaggio Jesus Quintana,
il pittoresco avversario di Lebowski e dei suoi amici a
bowling.
Anche se il film è uscito da 20
anni, Il Grande Lebowski ha ancora un grande
impatto sulla cultura pop. Il film è tornato nelle sale in più di
un’occasione ed è stato anche l’ispirazione per un bar in Arizona e
un ristorante in Iowa.
È Gal Gadot in
persona ad annunciare che l’uscita di Wonder Woman 1984 è stata posticipata fino al
2020. Warner Bros. e DC Films
hanno messo a segno un ottimo colpo al box office nel 2017, con
l’uscita primaverile di Wonder Woman. La stella di Gal
Gadot è esplosa grazie al film, e con lei anche la
reputazione, già buona, della regista Patty
Jenkins ha ricevuto una notevole spinta nel panorama
hollywoodiano.
L’annuncio del sequel è stato
quindi scontato, mentre la produzione del film è attualmente in
corso, visto che il film era previsto per la fine del 2019. Si
tratta di uno slot forte per affluenza di pubblico, ma circondato,
come c’è da aspettarsi, da tanti altri titoli, e quindi molta
concorrenza. Così, anche grazie all’ottima performance al box
office durante la stagione calda, la WB ha deciso di spostare il
film.
Gal Gadot ha
annunciato che Wonder Woman 1984 uscirà al cinema
il 5 giugno del 2020, invece che il 1° novembre 2019. Con questo
spostamento, il film DC evita la concorrenza al box office di
Sonic, Terminator 6, e di Frozen 2, con
una possibilità in più di arrivare a eguagliare quell’incasso di
820 milioni che ha sorpreso la stessa produzione.
Con la produzione ancora in corso,
questo ritardo garantirà a Patty Jenkins e alla
sua squadra tanto tempo in più per lavorare al film, con più spazio
per riprese aggiuntive e post-produzione. Per quanto riguarda le
prossime uscite
DC al cinema, sono in programma Shazam!,
già girato, e Birds of Prey con Margot
Robbie e Joker con Joaquin
Phoenix.
Il film vedrà ancora come
protagonista Gal Gadot opposta
a Kristen Wiig, scelta per interpretare la
villain Cheetah. L’ultimo acquisto del cast è Pedro
Pascal, di cui non è stato ancora confermato il
personaggio. Il film sarà ambientato durante la Guerra Fredda e la
sceneggiatura è stata curata da Goeff
Johns e Patty Jenkins.
Mark Hamill ha confermato che è stata la Forza
ha uccidere Luke Skywalker alla fine di Star Wars:
Gli Ultimi Jedi. Quando Rey incontra per la prima
volta il vecchio Maestro Jedi su Ahch-To, Luke era ormai lontano da
quella eroica leggenda di cui la ragazza aveva tanto sentito
parlare. Dopo aver fallito nell’educazione di Ben Solo, Luke
divenne un recluso, scegliendo di allontanarsi dal conflitto e di
vivere i suoi ultimi giorni in isolamento sull’isola. Tuttavia,
come abbiamo visto nel film di Rian Johnson,
l’ultima lezione di Yoda lo ha poi incoraggiato ad aprirsi nuovamente alla
Forza, preparando la strada per quello che è stato il suo epico e
sacrificale gesto contro Kylo Ren su Crait.
Gli Ultimi Jedi ha introdotto l’idea della
proiezione astrale attraverso la Forza nei film di Star
Wars, ed è così che Luke si è trasportato attraverso
la galassia, da Anch-To a Crait, per aiutare la Resistenza. Come
stabilito all’inizio del film, ci vuole una notevole quantità di
energia per farlo, e questo può potenzialmente uccidere la persona
che sta usando la Forza in quel momento. Quasi un anno dopo
l’uscita di Episodio VIII, Hamill
ha soppesato l’ironico destino di Luke. Su Twitter, Mark
Hamill ha condiviso delle tavel del fumetto che
raffigurano la morte di Luke, paragonando il Jedi a un
tossicodipendente.
La forza ha ucciso Luke. Dovete essere a conoscenza
dell’ironia del suo fato. Quasi come un drogato che ha preso a
calci la sua abitudine freddo-tacchino, è rimasto pulito per
decenni, solo per riutilizzare solo una volta e poi, tragicamente,
overdose.
Per la maggior parte degli
spettatori (specialmente dopo la prima conversazione “via
Forza/Skype” tra
Kylo Ren e Rey), è stato chiaro cosa stava accadendo nel
momento in cui Luke è morto, nel film. Secondo il parere di tutti,
Skywalker sapeva che la sua straordinaria impresa gli sarebbe
costata la vita, il che non ha fatto che aumentare la potente
emozione di quel momento. Ma mentre è vero che la Forza ha ucciso
Luke fisicamente, per il vecchio Jedi abbracciare di nuovo
quell’abitudine in realtà gli ha dato la vita eterna.
Diventare un tutt’uno con la Forza
permetterà a Luke di ritornare come un fantasma di Forza
nell’episodio IX, mentre se si fosse attenuto al suo piano
originale, avrebbe vissuto miseramente il resto dei suoi giorni su
Ahch-To, cessando semplicemente di esistere con una morte “comune”.
Ciò che ha ucciso Luke lo ha anche reso più forte, più potente di
quanto potesse immaginare Kylo Ren.
Nell’ambito
dell’iniziativa LA REGIONE LAZIO TI PORTA AL
CINEMA realizzata in collaborazione con ANEC Lazio, è
prevista una promozione speciale che consente a
tutti gli under 26 che acquisteranno un biglietto della Festa del Cinema di andare gratis al Cinema
!
Acquistando un biglietto
della Festa(18 – 28 ottobre 2018) i
ragazzi tra 18 e i 26 anni riceveranno direttamente in biglietteria
un coupon omaggio da utilizzare per l’ingresso
gratuito in uno dei cinema aderenti all’iniziativa
MERCOLEDÌ AL
CINEMA da utilizzare in un mercoledì a scelta dal 24
ottobre al 19 dicembre 2018 (esclusi i festivi, le proiezioni in
3D, le prime e gli eventi speciali).
Per usufruire del biglietto
gratuito gli under 26 dovranno presentare alla cassa del cinema il
coupon omaggio unitamente al biglietto d’ingresso della Festa.
Appuntamenti imperdibili della
sesta giornata di Festa del Cinema di Roma 2018 sono Noi siamo
Afterhours, docufilm sulla band italiana,
e Thierry Frémaux, il direttore
artistico del Festival
di Cannes, che sarà insolito ospite di un Incontro
ravvicinato con il pubblico.
Alle ore 22 si terrà Noi
siamo Afterhours, docufilm in cui il regista
Giorgio Testi, prendendo spunto dal concerto sold
out al Forum di Assago del 10 aprile scorso, racconta i trent’anni
di storia della band guidata da Manuel Agnelli, dagli esordi in
inglese alle tournée internazionali, dai cambi di formazione fino
alla line up attuale. Le immagini del concerto si alternano a
quelle del passato in un racconto affidato all’io narrante di
Manuel Agnelli che conduce lo spettatore in un viaggio intimo
attraverso la musica di una band entrata nella storia del rock
italiano. Alla proiezione per il pubblico sarà presente la band
che, a seguire, sarà protagonista di un breve showcase
elettroacustico.
Thierry Frémaux
Thierry Frémaux,
dal 1997 Direttore Generale dell’Istituto Lumière di Lione, dal
2001 ai vertici del Festival
di Cannes prima come Direttore Artistico e poi come Delegato
Generale, sarà protagonista di un Incontro Ravvicinato che si terrà
in Teatro Studio Gianni Borgna Sala Siae alle ore 17.30.
In qualità di organizzatore di una
delle più prestigiose rassegne cinematografiche, Frémaux ha saputo
coniugare le due anime del cinema, quella commerciale e quella
artistica. Una vita passata a visionare più di mille film all’anno,
a cercare e selezionare opere in giro per il mondo, a convincere
attori, registi e artisti a far parte delle giurie. Di questa vita
ha raccontato nell’autobiografia “Sélection officielle”, pubblicata
nel 2017 in Francia dall’editore Grasset: seicento pagine di
ricordi e aneddoti su imprevisti, conversazioni e soluzioni
diplomatiche per le situazioni più complicate.
Di recente, Frémaux ha fatto
parlare di sé per le scelte rigorose e, in alcuni casi
controcorrente, attuate in occasione dell’ultima edizione della
kermesse. L’incontro tra Frémaux e il pubblico della Festa del
Cinema sarà l’occasione per discutere l’attuale significato dei
festival cinematografici e la loro possibile evoluzione.
Il regista newyorkese
Martin Scorsese ha colmato di fan l’Auditorium.
Fiumi di fan si sono riversati ai lati del tappeto rosso che nella
serata del quinto giorno di rassegna ha visto sfilare il regista
premio Oscar, ospite d’onore e vincitore del Premio alla
Carriera.
Ecco le foto (di Aurora
Leone) in cui Scorsese posa al fianco di Monda e
Delli Colli.
Dopo un ottimo esordio
la scorsa settimana, A Star Is Born regge saldamente in
testa al box office italiano con 1,2 milioni di euro incassati in
un numero di sale quasi equivalente al debutto. Così il film di e
con Bradley Cooper arriva a quota 3,6 milioni di euro.
Seconda posizione invariata, con
Venom che raccoglie altri 728.000
euro con cui giunge a ben 7,5 milioni.
Il terzo gradino del podio è
occupato dalla new entry Pupazzi senza gloria, che apre con
612.000 euro incassati in 221 sale a disposizione.
Johnny English colpisce ancora
precipita al sesto posto con altri 543.000 euro per un totale di
1,6 milioni alla sua seconda settimana di programmazione.
Il Verdetto – The
Children Act debutta con 482.000 euro incassati in
143 sale disponibili, mentre Zanna
Bianca totalizza 1 milione con altri 417.000
euro.
L’italiano Nessuno come noi esordisce con soli
276.000 euro incassati in 255 sale, mentre Gli Incredibili 2 chiude la top10 con
altri 264.000 euro con cui giunge a 11,4 milioni complessivi.
Guillermo del Toro
debutta alla regia del suo primo lungometraggio di animazione con
Pinocchio, un film originale Netflix, un progetto che ha cuore da tutta
la vita. Sarà un musical realizzato in stop motion, di cui il
regista Premio Oscar firmerà anche la sceneggiatura e la
produzione.
La personale versione di Guillermo
del Toro della celebre favola di “Pinocchio” sarà il suo
primo film dopo il successo di “La forma dell’acqua”,
vincitore di quattro premi Oscar agli ultimi Academy Awards, tra
cui Miglior Regia e Miglior Film.
Del Toro inaugura un nuovo modo di
raccontare la fiaba classica di “Pinocchio”, ambientata in
Italia negli anni Trenta. Il progetto segna un momento chiave nella
già consolidata relazione tra Netflix e il celebre regista, che
proprio per Netflix aveva creato la trilogia di DreamWorks
“Tales of Arcadia”, con il primo capitolo
“Trollhunters”, vincitore di diversi premi Emmy, il
secondo “3Below”, che debutterà il 21 dicembre 2018, e il
terzo capitolo “Wizards” previsto nel 2019. Del Toro è
anche il creatore della prossima serie Netflix “Guillermo del
Toro Presents 10 After Midnight”, che arriverà prossimamente
sulla piattaforma.
“Pinocchio” è una
produzione di Guillermo del Toro, The Jim Henson Company (“The
Dark Crystal: Age of Resistance”) e ShadowMachine (“Bojack
Horseman”, “The Shivering Truth”), che ospiterà la
produzione animata in stop motion. Insieme a del Toro, il film
verrà prodotto da Lisa Henson, Alex Bulkley di ShadowMachine, Corey
Campodonico e Gary Ungar di Exile Entertainment. Blanca Lista sarà
co-produttrice. Patrick McHale (“Over The Garden Wall”,
“Adventure Time”) ne scriverà la sceneggiatura insieme a
del Toro. Mark Gustafson (“Fantastic Mr. Fox”) si occuperà
della regia insieme a del Toro, mentre Guy Davis sarà co-production
designer, partendo dall’originale concezione dell’illustratore Gris
Grimly del personaggio di Pinocchio. I pupazzi del film saranno
realizzati da Mackinnon e Saunders (“La sposa cadavere”).
L’inizio della produzione “Pinocchio” è previsto questo
autunno.
Guillermo del Toro ha così
commentato: «Nessuna forma d’arte ha influenzato la mia vita e
il mio lavoro quanto l’animazione e nessun personaggio ha avuto un
legame profondo con me quanto Pinocchio. Nella nostra storia,
Pinocchio è un’anima innocente con un padre indifferente che si
perde in un mondo che non può comprendere. Il nostro protagonista
si imbarca in un viaggio straordinario che lo condurrà ad una
profonda comprensione di suo padre e del mondo reale. Ho da sempre
voluto realizzare questo film. Sono estremamente grato a Netflix e
al suo eccezionale team per questa opportunità unica nel suo
genere, che mi permetterà di presentare la mia personale versione
di questo strano burattino al pubblico di tutto il mondo».
Melissa Cobb, Netflix Kids and
Family Vice President, ha aggiunto: «Durante tutta la sua
illustre carriera, Guillermo ha dimostrato la sua maestria
nell’inspirare le persone attraverso i suoi magici mondi pieni di
personaggi indimenticabili, dai mostri di Pan’s Labyrinth alla
bestia acquatica di “La forma dell’acqua”. Siamo incredibilmente
entusiasti di approfondire ulteriormente la nostra relazione con
Guillermo e siamo certi che la sua personale visione artistica
profondamente toccante porterà in vita una nuova versione di
Pinocchio, che sarà accolta dal pubblico di tutto il
mondo».
The Shape of Water:
il film di Guillermo del Toro immaginato da sette illustratori
italiani
Boy Erased è l’altra faccia di The Miseducation
of Cameron Post, più composta ma soprattutto meno
rassicurante del film di Desiree Akhavan che
racconta con sentimento nostalgico e partecipazione la storia di un
non-tanto-tradizionale coming of age di una ragazza gay spedita in
un centro di “riconversione”. Quello di Joel Edgerton (qui alla sua seconda regia)
invece prende in esame lo stesso tema ma da una prospettiva
diversa, denunciando senza appello il sistema che partorisce lo
scenario di cui si parla: ad oggi, negli Stati Uniti, 700.000
adulti hanno subito un trattamento terapeutico che dovrebbe
guarirli dalla loro omosessualità, e circa la metà di questi sono
adolescenti; i metodi descritti dai testimoni sono crudeli e spesso
violenti, e vanno da sedute di elettroshock a giochi di controllo
mentale volti a convincere i “pazienti” LGBT che i loro
orientamenti sono scelte dettate da relazioni disfunzionali con le
famiglie.
Boy Erased, il film
Edgerton tiene le statistiche in una mano, e il memoir di
Garrard Conley (Boy Erased: A Memoir,
pubblicato negli Stati Uniti nel 2016 e tradotto in italiano con
Boy Erased. Vite cancellate) nell’altra, realizzando un film
che per linguaggio, messa in scena e toni sembra destinato ad un
pubblico adulto (diversamente dai teenagers di Cameron
Post). O almeno vorrebbe fornirli gli strumenti per debellare
questo pericolosissimo “virus” di ignoranza e incomunicabilità che
esiste ancora fra genitori e figli, fra società e individui, fra
istituzioni religiose e comunità civile.
Lo fa
partendo dal’assunto che certe terapie forzate siano solo un’altra
forma di persecuzione, non molto distante da quello che il regime
nazista eseguì nei campi di concentramento, e in controtendenza
rispetto ai tempi. Anni di progresso non hanno affatto scalfito la
definizione stessa del termine, con cui si intende l’insieme
delle azioni di forza e di atti ostili dirette a eliminare un
gruppo etnico o sociale inferiore. È proprio ciò che accade al
protagonista di Boy Erased e alla
protagonista di The Miseducation of Cameron Post;
a cambiare, nel film di Edgerton rispetto a quello della Akhavan,
sono la natura distaccata della messa in scena (suggerendo così un
insopportabile senso di oppressione), la palette di colori fredda
scelta dal direttore della fotografia Eduard Grau
(che conferisce alle immagini un’idea di memoria che si vuole
dimenticare), infine le prove degli attori sempre misurate entro
certi livelli di livore, che in fondo testimoniano la stessa voglia
di ribellione “educata” e mai rabbiosa dell’autore del romanzo da
cui il film è tratto.
Il regista sudcoreano Park Chan-Wook firma la
regia della sua prima serie tv, The Little Drummer
Girl, ispirata all’omonimo romanzo di John Le Carré. I
primi due episodi sono stati presentati alla Festa del Cinema di
Roma, gettando le basi per quella che potrebbe presto
diventare una delle serie più in voga del momento.
The Little Drummer
Girl è ambientata verso la fine degli anni ’70. Charlie
(Florence
Pugh) è una giovane attrice inglese intenta a
trascorrere le vacanze in Grecia. Qui viene turbata dall’incontro
con un misterioso sconosciuto, Becker (Alexander
Skarsgard). Questi coinvolge la ragazza in un
complicato intrigo internazionale orchestrato dalla spia Kurtz
(Michael
Shannon).
Risulta complesso inquadrare una
spy-story come questa solamente dai primi due episodi. Si può però
certamente individuare in questi delle ottime premesse che non
fanno che aumentare le aspettative nei confronti della serie. Il
regista di Old Boy sfoggia qui tutto il
suo gusto estetico, regalando allo spettatore un incipit che
contiene in sé spettacolarità visiva e gli elementi fondamentali
per permettere un rapido inquadramento del contesto in cui ci
troviamo. Curando minuziosamente l’aspetto formale, e facendolo
intrecciare con la complessa trama a base di spionaggio, inganni e
retroscena.
A convincere prima di tutto è
infatti la messa in scena del regista, che riesce perfettamente a
ricostruire la classica atmosfera da anni ’70 attraverso l’uso di
giochi cromatici sia per le scenografie che per i costumi. Il tutto
è sottolineato da una calda fotografia che sembra richiamare la
qualità dell’immagine data dalla pellicola cinematografica.
Successivamente quando con il procedere dell’episodio si fanno
sempre più protagonisti i personaggi e la storia, sono questi a
rubare l’attenzione dello spettatore.
Il primo episodio di The
Little Drummer Girl ci presenta i tre personaggi
principali, tra cui spicca un sempre impeccabile Michael Shannon. Ognuno di loro è dotato di
buona caratterizzazione, che li differenzia l’uno dall’altro e che
proprio per questo potrebbe in futuro dar vita ad interessanti
conflitti. All’interno del primo episodio viene quindi costruita
l’intera premessa della serie, e a partire dal secondo si mettono
in moto la serie di eventi che porteranno i personaggi sempre più
nel profondo di una pericolosa ricerca.
Per mestiere le spie mentono e sono
il più riservate possibile, e altrettanto sembra promettere questa
serie. Risulta infatti difficile prevedere l’evoluzione della
storia proposta, a meno che non si sia letto il romanzo di Le
Carré. Si ha spesso la sensazione che qualcosa ci venga nascosto,
che gli autori della serie si divertano a privarci di alcuni
elementi fondamentali, oppure insinuando il dubbio che ciò che ci è
stato presentato non sia esattamente come sembra essere. Anche in
questo gioco con lo spettatore sta il pregio di una serie che
promette grandi risvolti.
Presentato nella Selezione
Ufficiale della Festa del Cinema di
Roma, Back Home è il nuovo
film della regista polacca Magdalena Łazarkiewicz. Il
film segue la storia di Ula, giovane ragazza di una piccola città
polacca. Riuscita a fuggire dalla casa di tolleranza nella quale
era stata segregata, Ula torna a casa dalla sua famiglia. Tuttavia,
al suo rientro, riceve un’accoglienza tutt’altro che tenera, ed è
costretta a subire l’ostracismo di una comunità chiusa e
oscurantista.
Percorrendo l’accidentato
itinerario che conduce all’indipendenza, la giovane troverà la
propria definizione dei termini cruciali per l’esistenza e basilari
per instaurare legami con altre persone: affinità, amore,
dedizione, fratellanza, autonomia. Prima di riuscire ad arrivare a
ciò, dovrà affrontare i propri demoni, ricostruendo da zero sé
stessa.
Back Home è un
film che ha inizio quando il principale evento riguardante la
protagonista è già avvenuto. Noi non vedremo mai, se non attraverso
rapidi e frammentati flashback, il periodo della sua prigionia. La
regista decide invece di farci entrare nella sua storia in quello
che altrove potrebbe essere un lieto fine. Ma in Back Home
il ritorno a casa è tutt’altro che un finale, men che meno lieto.
Lentamente entriamo nella vita e nelle problematiche di Ula,
cercando di indagare insieme alla regista i suoi tentativi di
rivalsa. Un ingresso forse troppo lento in realtà, che ha l’effetto
di ritardare lo sviluppo della storia.
L’effetto che automaticamente si
genera è quello di un notevole appesantimento di una storia già di
suo tutt’altro che leggera. Ben presto si inizia ad avvertire un
senso di stanchezza, amplificato dalla difficoltosa comprensione di
alcuni eventi e comportamenti dei personaggi. Regista e
sceneggiatrice sembrano infatti consegnarci troppi pochi elementi
di analisi, finendo così con il rendere tutto troppo criptico per
essere apprezzato.
Nonostante ciò, il film riesce a
regalare una serie di belle immagini, capaci di comunicare elementi
importanti della storia. Fortunatamente arrivando verso il finale
il film si fa sempre più limpido, favorendo così non solo una
maggior comprensione ma anche un maggior coinvolgimento.
Ciò che senza dubbio è interessante
del film è l’analisi che viene fatta della giovane protagonista.
Questa, vista dalla comunità come una peccatrice, è costantemente
messa a confronto con l’elemento religioso. Questo rapporto tra
fede e personaggio sembra conferire a quest’ultimo una natura quasi
cristologica, di una martire in cerca di redenzione e perdono. Ed è
in questa ricerca, intima e dolorosa, che si intravede un po’ di
umanità in un personaggio presentatoci inizialmente in maniera
troppo distaccata e piatta.
Nonostante rimanga un film
difficile da seguire e apprezzare realmente, Back Home
lascia intravedere in alcuni momenti una propria voce riguardo il
percorso di redenzione del personaggio. Purtroppo è una voce troppo
debole, frenata da una scrittura carente e un ritmo più pesante del
dovuto.
The Old Man & The
Gun si basa sulla storia abbastanza vera, come scritto sui
titoli di testa, di Forrest Tucker (Robert
Redford), dalla coraggiosa fuga dal carcere di San
Quintino all’età di 70 anni fino a una serie di colpi senza
precedenti che incantarono il pubblico e lasciarono le forze
dell’ordine a brancolare nel buio. A dare la caccia a Tucker sono
il detective John Hunt (Casey
Affleck), sempre più affascinato dalla dedizione di
Forrest all’arte del furto, e una donna (Sissy
Spacek) che lo ama nonostante la professione che si è
scelto.
Uscire dalle scene con stile.
The Old Man & The Gun, presentato all’ultimo
festival di Toronto, è introdotto come l’ultimo film di
Robert Redford. L’attore, in attività da circa 40
anni e ora ultraottantenne, ha infatti deciso di ritirarsi dalle
scene, forse per dedicarsi solamente alla sua altra attività di
successo: il Sundance Festival.
I ruoli che Robert Redford ha
ricoperto nella sua lunga carriera sono numerosi: da Sundance Kid
in Butch Cassidy alla romantica controparte di
Jane Fonda in A piedi nudi nel parco, dal campione
di baseball ne Il migliore al boss supercattivo in
Captain America: Winter Soldier. Come capita
ultimamente a molti attori della sua generazione, ora affronta
ruoli che hanno più a che fare con la sua età, come abbiamo visto
l’anno scorso nel film prodotto da Netflix e presentato alla Mostra del cinema
di Venezia Our souls at
night, in cui ritrovava Jane Fonda in una storia d’amore che sfidava i
limiti dell’età.
In The Old Man &
The Gun, diretto da David Lowery, di cui al Sundance si è
visto A ghost story, Redford ha più di un elemento
in comune con il protagonista: come Tucker infatti, si diverte a
fare ciò che gli piace di più, nel caso del primo recitare, nel
caso del secondo fare rapine in banca. Il tutto è reso chiaro in
una battuta del film: “Se penso che questo sia un buon modo di
vivere? Per me questo è la vita”: Tucker sente di vivere solo
nel momento in cui, con garbo e calma, rapina le banche, mostrando,
senza mai estrarre, la pistola che dà il titolo alla pellicola e
soprattutto, senza mai sparare un colpo.
Tucker è un ladro gentiluomo, che
affascina persino chi gli sta alle calcagna, l’ispettore
interpretato da Casey Affleck. A condividere vita e rapine ci
sono poi altri due compari, coetanei e con caratteri complementari
a quello di Tucker: Teddy e Waller, interpretati rispettivamente da
Danny Glover e da Tom Waits,
perfetto nel ruolo di un ladro con passione per la poesia e gli
audiolibri. A completare il quadro, e a cercare di dare un
equilibrio alla vita di Tucker, è il personaggio di Sissy
Spacek, donna indipendente e comprensiva, che sa
esattamente da che parte stare.
Costruito, a partire dai titoli di
testa, nello stile dei polizieschi anni ’70 e girato in 35mm, dando
quindi al film una grana che rimanda alle pellicole di quell’epoca,
The Old Man & the Gunè un omaggio alla carriera di
Robert Redford, di cui il regista riesce a
inserire in maniera intelligente alcuni contributi e anche
un’affermazione di resistenza da parte dello stesso attore,
che lascia le scene ma non certo perché le forze lo abbiano
lasciato. Il film è in selezione ufficiale alla Festa del
cinema di Roma 2018 e uscirà in sala con Bim a partire dal
20 dicembre.
Avengers: Infinity War ha
mostrato a tutto il pubblico che la ferita tra Cap e Iron Man, che
abbiamo visto aprirsi e sanguinare in Captain America: Civil
War, è ancora fresca e brucia, e tutti i fan si
aspettano che i due eroe, pilastri del MCU, si riconcilino in
Avengers 4, ma questo, secondo una
teoria diffusasi in rete, sembra molto lontano dalla verità.
Il conflitto è ancora vivo
Civil War ha trasformato per sempre
il panorama del MCU. Gli accordi di
Sokovia hanno messo alla prova il legame tra Steve e Tony, e alla
fine del film, il gruppo era diviso in due schieramenti.
Addirittura Cap e Iron Man sono arrivati allo scontro quasi letale
a causa di Bucky e della sua responsabilità nella morte dei
genitori di Tony. I due eroi sono riusciti a stento a non uccidersi
a vicenda. Le conseguenze di ciò che è accaduto in quel film si
sono ripercosse su tutto il resto del MCU. Steve si è dato alla
clandestinità con Vedova Nera, Falcon e, ovviamente, Winter
Soldier. Iron Man invece, dopo un breve tentativo di rifondare gli
Avengers, rinuncia all’idea. Tuttavia custodisce gelosamente il
telefono cellulare che Steve gli ha fatto avere alla fine di Civil
War. Non importa quanto tra loro possano essere in disaccordo, di
fronte a minacce più grandi saranno sempre schierati dalla stessa
parte.
Originariamente la Marvel voleva risolvere il
conflitto in Infinity War. I piani prevedevano un incontro tra Cap
e Iron Man a metà film, e in quella occasione i due dovevano far
pace e lavorare di squadra. Tuttavia lo sceneggiatore del
film, Stephen McFeely, ha spiegato: “Significava rallentare il
nodi narrativo di Thanos e le Gemme per affrontare dei conflitti
provenienti da altre storie. E così, tutte le volte che abbiamo
scritto quelle scene, è diventato chiaro che questo film doveva
riguardare Thanos e ciò che lui rappresentava per i
Vendicatori.”
Indubbiamente è stata la scelta
giusta in termini di coesione narrativa per Infinity
War, ma non ha certamente risolto questo conflitto così
importante.
I viaggi nel tempo sembrano
plausibili
Poco dopo l’uscita di
Avengers: Infinity War, è
stato suggerito che dovrebbe essere previsto una specie di salto
temporale così che lo spettatore, in Avengers 4,
possa rendersi conto di ciò che è conseguito allo schiocco di
Thanos. Nel film, infatti, il Titano Pazzo insisteva che “il fine
giustifica i mezzi” di fronte alle proteste di Gamora, e che il suo
progetto di spazzare via metà delle forme di vita dell’universo era
necessario per creare il paradiso.
Un salto nel tempo permetterebbe ai
fratelli Russo di mostrare come l’atto di genocidio galattico di
Thanos abbia cambiato il mondo. La natura di questi cambiamenti –
crisi nel governo, tensioni politiche ed etniche, criminalità,
qualsiasi cosa – aumenterebbe considerevolmente la posta in gioco.
I Vendicatori dovrebbero quindi combattere per annullare lo
schiocco (o, più probabilmente, per evitarlo grazie al viaggio nel
tempo).
La portata e le conseguenze di
Infinity War sono così importanti che è impossibile arrivare
direttamente agli eventi di Avengers 4 senza una
panoramica o una spiegazione preventiva. Il film non può
semplicemente parlare solo dei Vendicatori che reagiscono allo
schiocco e che vogliono salvare il mondo, ideando un piano per
sconfiggere Thanos e annullare gli effetti del suo gesto.
Si intensificano i sostenitori della
teoria che Avengers 4 comincerà cinque anni dopo
la fine di Infinity War. Anche se non sono mai state confermate
ufficialmente, queste voci si basano su ciò che abbiamo visto dal
set: le foto scattate hanno mostrato a Robert Downey Jr. nei panni
di un Tony Stark più anziano. Emma Fuhrmann è stata scritturata nei
panni di una Cassie Lang più grande. Un commento da parte di
Gwyneth Paltrow sembrava implicare che, in Avengers 4, Tony e
Pepper avranno un figlio.
Secondo una teoria popolare, Scott
Lang scapperà dal Regno Quantico attraverso uno dei misteriosi
“vortici del tempo” e emergerà cinque anni nel futuro. Disturbato
dal mondo distopico che scopre, si precipiterà a vedere sua figlia,
solo per scoprire che ha cinque anni in più. Quando Scott raggiunge
i Vendicatori, Tony Stark si rende conto che è la prova che il
viaggio nel tempo è possibile. Così gli Avengers si lanciano in una
missione per riscrivere la storia e annullare lo schiocco.
Che significa un salto nel tempo
per Cap e Iron Man?
Tornando però al nocciolo della
questione: se la Marvel adotterà davvero questo
approccio, vorrà dire che ci verrà tolta l’emozione di assistere al
momento in cui Steve e Tony si riappacificano.
Non c’è un modo ragionevole per
sostenere che Tony Stark avrebbe impiegato cinque anni per tornare
sulla Terra dopo essere stato bloccato su Titano con Nebula, che è
abituata ai viaggi intergalattici. Probabilmente Tony riesce a
tornare sulla Terra pochi giorni dopo lo schiocco e plausibilmente
è lui a dare una mano ad arginare il caos scatenatosi a seguito
della vittoria di Thanos.
Quindi cosa potrebbe accadere tra
Tony Stark e Steve Rogers? Considerato il bagaglio emotivo trai
due, si tratta comunque di eroi. Steve ha chiarito quanto rispetto
abbia per Stark quando, in Avengers: Infinity War,
si riferiva ancora a Tony come “il più grande difensore del
pianeta“.
Se ci dovesse essere davvero un
salto temporale di cinque anni, è inevitabile che Tony Stark e
Steve Rogers abbiano risolto i loro conflitti in quell’arco
temporale – e non lo vedremo mai sul grande schermo. Il payoff
emotivo di Captain America: Civil War dovrà essere sacrificato per
continuare la storia. Inoltre, non è la prima volta che questa
domanda viene fatta ai Russo; quando gli spettatori hanno notato
che la riunione tra Steve Rogers e Bucky in Avengers:
Infinity War non è stata travolgente, i Russo
essenzialmente si sono limitati a scrollare le spalle e dicendo che
presumevano si fossero incontrati prima nel periodo di due anni che
intercorre tra Captain America: Civil War e Infinity War.
Non c’è dubbio che non passerà molto
tempo prima che i dettagli della trama di Avengers
4 vengano resi noti, e scopriremo se ci sarà davvero un
salto temporale di cinque anni. Se ci sarà, per quanto possa essere
eccitante nei termini della storia, questo potrebbe significare
anche che non vedremo mai il momento della riconciliazione tra
Steve e Tony.
Continuano a New
York le riprese di Joker, diretto da
Todd Phillips e con Joaquin
Phoenix. Oggi, grazie a Just Jared,
possiamo vedere nuovi scatti dal set di Park Avenue in cui, in
particolar modo, vediamo per la prima volta sul set Brett
Cullen, che nel film interpreta Thomas
Wayne, papà del giovane Bruce.
Il personaggio, negli anni, è stato
interpretato da diversi, attori e la sua ultima incarnazione
cinematografica, in Batman v Superman: Dawn of
Justice, è stata Jeffrey Dean Morgan, che si è anche detto
disponibile a tornare a interpretare il ruolo e Batman in
Flashpoint. La foto ci mostra Cullen pettinato e
vestito perfettamente à la Thomas Wayne.
Joker arriverà
nelle sale il 4 ottobre 2019, come
ufficializzato nelle ultime ore dalla Warner
Bros e sarà diretto da Todd
Phillips (Una notte da leoni).
Il film sarà ambientato nel
1980, e racconterà l’evoluzione di un uomo ordinario e la sua
trasformazione nel criminale che tutti conosciamo.
Ufficiali nel cast del
film Joaquin Phoenix, Zazie Beetz, Robert De
Niro, Frances Conroy, Marc Maron.
Sembra che, come spesso accade, i set LEGO di Avengers 4 siano fonte di
informazioni preziose in merito a ciò che accadrà nel film del
Fratelli Russo atteso per maggio 2019. Secondo un
video trapelato su Instagram, in cui si descrive
il set di mattoncini dedicato, in Avengers 4 ci
sarà spazio per un viaggio nello spazio per Hulk, Iron Man e
Thanos, ma c’è anche al conferma che Tony Stark viaggerà verso il
Regno Quantico in compagnia di Ant-Man.
La possibile descrizione non è
ufficiale e il video è trapelato illegalmente, tuttavia sappiamo
che lo stesso utente di Instagram aveva già
precedentemente fornito informazioni corrette in merito ai film non
ancora usciti. Inoltre sappiamo che il video in questione è stato
rimosso, cosa che potrebbe essere stata causata da un interesse
della produzione, evento che sembra quindi avvalorare la
credibilità del video stesso.
Oltre al video che purtroppo non
possiamo mostrarvi, c’è anhce una foto che mostra Thor,
Cap, Thanos in armatura, Captain Marvel nella divisa
Kree e quello che sembra essere davvero Ronin,
ovvero la nuova evoluzione di Occhio di Falco.
MCU: il modo migliore
per prepararsi all’arrivo di Avengers 4
Avengers 4 arriverà al
cinema ad Aprile 2019, sarà diretto da Anthony e Joe
Russo e porterà a conclusione la Fase 3 del
Marvel Cinematic
Universe.
Nel cast del
film Robert Downey Jr., Chris Hemsworth, Mark Ruffalo,
Chris Evans, Scarlett Johansson, Benedict Cumberbatch,
Don Cheadle, Tom Holland, Chadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth
Olsen, Anthony Mackie, Sebastian Stan, Letitia Wright, Dave
Bautista, Zoe Saldana, Josh Brolin, Chris Pratt, Jeremy Renner,
Evangeline Lilly, Jon Favreau, Paul Rudd, Brie Larson.