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Killing: recensione del film di Shin’ya Tsukamoto

Killing: recensione del film di Shin’ya Tsukamoto

Come un beffardo déjà-vu, a ventiquattro ore esatte dalla proiezione del discusso The Nightingale di Jennifer Kent, lo schermo del concorso di Venezia 75 torna a tingersi di sangue e a mostrare stupri, mutilazioni e atrocità varie, con Zan (Killing) di Shin’ya Tsukamoto.

Killing, la trama

Ambientato nel Giappone feudale del diciannovesimo secolo, Killing narra la storia di Mokunoshin Tsuzuki, un Ronin, ovvero un samurai senza padrone, che lavora in una comunità di agricoltori di una povera risaia sperduta tra i monti.  Il ronin si allena quotidianamente con Ichisuke, sotto gli occhi di sua sorella Yu, che disapprova la loro dedizione al combattimento. Tra Mokunoshin e Yu c’è attrazione e una relazione velata, mai dichiarata.  Tutto sembra scorrere in modo tranquillo, ma un giorno arriva alla risaia Jirozaemon Sawamura, un abile ronin, tanto spietato quanto gentile, che cerca abili samurai da portare al servizio di un signore locale.

Shin’ya Tsukamoto, autore di culto, creatore di capolavori come i tre film della trilogia di Tetsuo, Tokyo fist, A snake of June, Vital e Kotoko, arriva a Venezia con una storia classica sul mondo dei samurai, da lui scritta, diretta, prodotta e montata, oltre ad apparire anche come attore. Realizza un film feroce, potente, raccontato con sguardo fulminante, come il riflesso sulla lama della katana, raccogliendo consensi e applausi in sala fin dalle prime inquadrature, che mostrano la forgiatura di una spada, sottolineata da una musica travolgente, che esalta e trascina i suoi tanti sostenitori.

Ma nonostante questo Killing rimane un’esibizione di stile e capacità tecniche, che poco aggiungono alle istanze espressive scaturite in passato dalla mente di Tsukamoto, come quel manifesto della nuova carne che teorizzava ibridazioni tra organico e tecnologico. Un corpo-macchina affine alle tematiche di Cronenberg, che il regista giapponese considera suo padre spirituale. Il film procede veloce e vivace, tra duelli, stupri, mutilazioni, masturbazioni, schermaglie amorose sado-masochistiche e sangue a fiumi, dipanando una trama esile e ormai abusata, dove l’unico elemento di riflessione è l’incapacità del protagonista nel riuscire a uccidere. Ed è paradossale che le situazioni similari viste nel film di Jennifer Kent, seppure con un’istanza narrativa completamente differente, vengano qui esaltate e fomentate, con sentito apprezzamento e scrosci di applausi.

Killing è una classica storia di samurai, con tanto sangue, arti mutilati, soprusi e vendette, ma nulla di più. È un’opera minore di un autore geniale che ha costruito una sua poetica originale, divenuta culto.

La profezia dell’armadillo: Simone Liberati, Pietro Castellitto e Valerio Aprea

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Oltre al regista abbiamo avuto modo di intervistare anche i protagonisti de La profezia dell’Armadillo: Simone Liberati, Pietro Castellitto e Valerio Aprea.

LEGGI ANCHE: La profezia dell’armadillo la recensione

Zero ha ventisette anni, vive nel quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente nella Tiburtina Valley. Terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori grandi. Dove manca tutto ma non serve niente. Zero è un disegnatore ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta dando ripetizioni di francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti. La sua vita scorre sempre uguale, tra giornate spese a bordo dei mezzi pubblici attraversando mezza Roma per raggiungere i vari posti di lavoro e le visite alla Madre.  Ma una volta tornato a casa, lo aspetta la sua coscienza critica: un Armadillo in carne e ossa, o meglio in placche e tessuti molli, che con conversazioni al limite del paradossale lo aggiorna costantemente su cosa succede nel mondo.

A tenergli compagnia nelle sue peripezie quotidiane, nella costante lotta per mantenersi a galla, è l’amico d’infanzia Secco. La notizia della morte di Camille, una compagna di scuola e suo amore adolescenziale mai dichiarato, lo costringe a fare i conti con la vita e ad affrontare, con il suo spirito dissacrante, l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di certezze della sua generazione di “tagliati fuori”.

La profezia dell’armadillo: intervista a Emanuele Scaringi

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La profezia dell’armadillo: intervista a Emanuele Scaringi

In occasione di Venezia 75 abbiamo intervistato Emanuele Scaringi, regista de La profezia dell’Armadillo, il film basato sull’omonimo fumetto di Zero Calcare.

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Zero ha ventisette anni, vive nel quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente nella Tiburtina Valley. Terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori grandi. Dove manca tutto ma non serve niente. Zero è un disegnatore ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta dando ripetizioni di francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti. La sua vita scorre sempre uguale, tra giornate spese a bordo dei mezzi pubblici attraversando mezza Roma per raggiungere i vari posti di lavoro e le visite alla Madre.  Ma una volta tornato a casa, lo aspetta la sua coscienza critica: un Armadillo in carne e ossa, o meglio in placche e tessuti molli, che con conversazioni al limite del paradossale lo aggiorna costantemente su cosa succede nel mondo.

A tenergli compagnia nelle sue peripezie quotidiane, nella costante lotta per mantenersi a galla, è l’amico d’infanzia Secco. La notizia della morte di Camille, una compagna di scuola e suo amore adolescenziale mai dichiarato, lo costringe a fare i conti con la vita e ad affrontare, con il suo spirito dissacrante, l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di certezze della sua generazione di “tagliati fuori”.

The Nightingale: recensione del film di Jennifer Kent

The Nightingale: recensione del film di Jennifer Kent

Il concorso di Venezia 75 si infiamma di vendetta e si tinge di sangue con The Nightingale, di Jennifer Kent, unica regista donna presente nella competizione ufficiale.

La trama di The Nightingale

The Nightingale racconta la tragica storia di Clare, una giovane deportata irlandese, costretta a sopravvivere dolorosamente in un modo degenerato, popolato da uomini ottusi, arroganti e violenti, senza alcun rispetto per le popolazioni aborigene autoctone, né per donne e bambini.

Dopo lo stupro e la brutale uccisione della figlioletta di pochi mesi e di suo marito, rimasta senza nulla e disperata, Clare si mette in viaggio attraverso le ostili foreste della Tasmania, per raggiungere un turpe ufficiale inglese, responsabile degli efferati crimini. È spinta da un incontenibile spirito di vendetta che non riesce a contenere e che aumenta di giorno in giorno, scoprendo la scia di violenza che il militare e i suoi subalterni lasciano lungo la strada. Per riuscire a non perdersi tra le foreste e soccombere nella maestosità selvaggia di quelle terre, Clare chiede aiuto a Willy, una guida aborigena, anche lui sconvolto dalla violenza folle e inaudita portata dai bianchi colonizzatori.

The Nightingale è un revenge-movie in piena regola, in stile western da terra di canguri, che riporta la mente a tante altre storie di vendetta passate sullo schermo, da Lady Vendetta a Kill Bill, o anche Uomini che odiano le donne, ma qui non è una mera ricerca di giustizia sommaria, bensì una crescita interiore dolorosa, che passa attraverso la distruzione spietata per trovare il barlume di un qualcosa che faccia ritrovare alla protagonista la forza per riuscire ad andare avanti.

Il film è pieno di momenti cruenti e di folli esplosioni di violenza. Su tutto appare insostenibile la lunga e dettagliata scena dello stupro, con la fredda uccisione della bambina. Ma è disseminato anche di tanti momenti di riflessione e di presa di coscienza, che aprono ragionamenti profondi su tematiche purtroppo estremamente attuali, come la violenza su donne e bambini, il razzismo, la sopraffazione di etnie più deboli.

Opera seconda di Jennifer Kent, dopo lo splendido e perturbante Babadook, The Nightingale conferma il talento della regista australiana, ma non convince del tutto, lasciando una sensazione di incompiutezza, di estrema prolissità e di non aver gestito al meglio l’enunciato fondamentale della narrazione. Non basta la naturalezza e la bravura della giovane protagonista Aisling Franciosi e di quella della guida aborigena Baykali Ganambarr, o anche alcuni accenni visionari, che rimandano a stilemi messi a punto nel film precedente, a elevare una vicenda, che rimane purtroppo ancorata agli stereotipi del film di genere.

Per una sicuramente motivata scelta stilistica il film è realizzato in formato 4:3, togliendo potenza alla maestosità dei paesaggi selvaggi della Tasmania e lascia intuire che un formato panoramico avrebbe sicuramente aiutato a giocare con le emozioni.

The Nightingale è un buon film western australiano, con molti sprazzi di violenza efferata, che non scontenterà certamente gli amanti del genere, ma che farà rimpiangere la visionarietà spiazzante di Babadook.

Venezia 75: tutti i vincitori della 33° Settimana Internazionale della Critica

VIDEO CORRELATI

La Settimana Internazionale della Critica (SIC), sezione autonoma e parallela organizzata dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) nell’ambito della 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia (29 agosto – 8 settembre 2018) ha assegnato oggi, venerdì 7 settembre, i premi della trentatreesima edizione.

Premio del pubblico Sun Film Group

LISSA AMMETSAJJEL (STILL RECORDING) di Saeed Al Batal e Ghiath Ayoub (Siria, Libano, Qatar, Francia, Germania)

Premio realizzato grazie al sostegno di Sun Film Group e consistente in un riconoscimento del valore di € 5.000.

Sono stati inoltre assegnati:

Premio Circolo del Cinema di Verona

BETES BLONDES (BLONDE ANIMALS) di Maxime Matray e Alexia Walther (Francia)

Premio assegnato da una giuria composta da soci del Circolo di Verona e destinato al film più innovativo della sezione.

Motivazione: La testa di Orfeo, separata dal corpo, chiude gli occhi al mondo e li apre alla visione. Non cessa però la sua pena, il suo canto non si interrompe. Per averci invitato ad accogliere questo richiamo, a guardare al dolore del vivere con sorriso assonnato, a viaggiare con vorace smemoratezza ingozzandoci di fiori e quintali di tartine al salmone, in compagnia di giovani feriti e bellissimi alla ricerca di un sapore che pare perduto. Per aver insinuato che la memoria è lo scandaglio del nostro presente, ma scordare è un atto rivoluzionario quanto cercare risposte da una sitcom camp o consigli da gatti risentiti. Per averci immersi in un ciclo di letargie e risvegli che riscrive i tratti del reale e affoga l’immagine nel sogno. Per averci obbligato a resettare i nostri sensi e le nostre costruzioni, dimostrando che un cinema radicale e svergognato è sempre possibile, anzi necessario.

Premio Mario Serandrei – Hotel Saturnia & International per il Miglior Contributo Tecnico

LISSA AMMETSAJJEL (STILL RECORDING) di Saeed Al Batal e Ghiath Ayoub (Siria, Libano, Qatar, Francia, Germania)

Premio sponsorizzato dall’Hotel Saturnia di Venezia e assegnato da un’apposita commissione di esperti.

Motivazione: Nell’inferno della guerra siriana, l’immagine cattura l’orrore della battaglia, l’intensità della condivisione, la verità di un popolo. Dalla teoria dell’azione hollywoodiana all’urgenza del documentario, la tecnica digitale coglie l’assoluto presente della storia, testimoniando la resistenza della vita nei campi di sterminio, con un palpitante montaggio che rende tangibile una tragedia in corso.

Il Delegato Generale Giona A. Nazzaro ha così commentato questa edizione: “Una selezione che porta nel proprio DNA il desiderio del futuro, il piacere della diversità e la ricerca di sguardi nuovi. Una selezione che, nel momento in cui la politica chiude le porte, rossellinianamente vuole aprire tutte le finestre, invitando a ragionare sulle contraddizioni del tempo presente e a lavorare per un cinema non conciliato”. 

Domani 8 settembre, alle ore 14 in Sala Perla si terrà la proiezione per pubblico e accreditati di Lissa Ammetsajjel (Still Recording), film vincitore del Premio del Pubblico Sun Film Group.

Inoltre, una giuria composta dai membri della Woche der Kritik (Settimana della Critica di Berlino), guidati da Michael Hack ha assegnato i premi ai cortometraggi in concorso alla terza edizione di SIC@SIC (Short Italian Cinema @ Settimana Internazionale della Critica).

Premio al Miglior Cortometraggio

MALO TEMPO di Tommaso Perfetti (Italia, 2018. Col., 19’)

Premio offerto da Frame by Frame e consistente in servizi di post-produzione per il prossimo cortometraggio del regista premiato.

Motivazione: Un giovane gangster confinato nel suo piccolo appartamento – un grande corpo, quasi troppo grande per l’inquadratura e la sua voce. Slegato dai vincoli della situazione Tommaso Perfetti sviluppa un ritratto vivido e sfaccettato di un uomo che cerca di affermarsi e perdersi nel contempo. Astenendosi da ogni giudizio libera sia il protagonista che gli spettatori, attraverso un maturo gesto di cinema documentario.

Premio alla Migliore Regia

GAGARIN, MI MANCHERAI di Domenico De Orsi (Italia, 2018. Col., 20’)

Premio offerto da Stadion Video e consistente nella realizzazione dell’edizione inglese sottotitolata per il prossimo cortometraggio del regista premiato.

Motivazione: Perdersi. Trovare luce e terra, e acqua. Il cielo è blu,ci si prende cura delle galline e forse, solo forse, significa avere qualcosa da fare, lavorare, progettare, costruire. La ricerca che questo film sviluppa è tutta esteriore, rivolta al mondo e alle fantasie che evoca. La sua curiosità non richiede risposte, sebbene ce ne siano alcune.

Premio al Miglior Contributo Tecnico

QUELLE BRUTTE COSE di Loris Giuseppe Nese (Italia, 2018. Col.,11’)

Premio offerto da Fondazione Fare Cinema e consistente nella partecipazione all’edizione 2019 del Corso di Alta Formazione Cinematografica in Regia “Fare Cinema”.

Motivazione: La realtà privata di una famiglia: frammenti del loro passato e presente, momenti condivisi, scorci di intimità. La voce di una figlia scomparsa si confonde con un ritmo della memoria, una densità dell’amore, un flusso di coscienza. Ininterrotto e vivido, come se le separazioni non fossero altro che un’illusione. 

Magic Lantern: recensione del film di Amir Naderi

Magic Lantern: recensione del film di Amir Naderi

Amir Naderi, celebre regista iraniano e autore di film come The Runner e Monte, sbarca al Lido per presentare il suo nuovo film, Magic Lantern, nella sezione Sconfini. Un ritorno molto atteso quello di Naderi, che covava questo nuovo progetto sin dai suoi esordi cinematografici.

Magic Lantern, la trama

In Magic Lantern Mitch (Monk Serrell-Freed) è un protezionista che sta caricando l’ultimo film per la proiezione finale di un piccolo cinema che sarà convertito in una multisala digitale. Ha paura nel caricare l’ultima bobina nel proiettore, perché sa che ciò lo porterà di nuovo alla ricerca di un amore ora perduto. Guarda attraverso la finestrella, verso la luce tremolante dello schermo e oltre, verso un altro mondo. Un mondo solo suo. Mitch inizia così un viaggio di amore e ossessione che lo porta attraverso sogno, realtà e cinema nel tentativo di ritrovare la ragazza misteriosa.

Magic Lantern è un puro atto d’amore verso il cinema, specialmente quello classico dell’età d’oro. Nel film si ritrovano così continui riferimenti a quell’epoca e al suo splendore cinematografico. Citazioni che altro non sono se un gioco tra il regista e lo spettatore, tra il regista e il cinema stesso. Naderi rende immagine concreta il suo profondo amore per il cinema, cercando di catturare quel momento prodigioso in cui realtà e fantasia si incrociano dando vita alla magia generata oltre un secolo fa dalla lanterna magica, dispositivo del precinema che da il nome al titolo del film.

Dove la storia viene mantenuta in forma estremamente essenziale, sono le immagini a raccontare più di ogni altra cosa. Lo spettatore deve infatti, come specificato anche dallo stesso autore, arrendersi ad esse e lasciare che infondano in lui l’atmosfera e le sensazioni ricercate, per ottenere così un maggior coinvolgimento emotivo.

Non è certamente un’opera di facile fruizione, e anzi è consigliata più di una visione per poter decifrare i suoi più criptici significati e metafore. Metafore che sono elemento principale di Magic Lantern, suo elemento di base e ricorrente per tutta la narrazione. Metafore che cristallizzano quella che per il regista è la vera essenza del cinema: la passione. Passione che Naderi riesce con delicatezza a infondere nel film e a far percepire a chi guarda.  Condividendo con il pubblico questo nuovo film, che Naderi definisce come il culmine della sua vita dedicata al cinema, all’amore e ai ricordi, ci svela un lato di sé inaspettato e sensibile ai piccoli eventi e gesti della vita.

Venezia 75: Shin’ya Tsukamoto presenta Killing

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Shin’ya Tsukamoto racconta che da tanto tempo, più o meno vent’anni, era intrigato dal raccontare la storia di un giovane samurai che si rifiuta di uccidere. Nel Giappone del periodo feudale denominato Edo era del tutto normale uccidere, ma oggi, che fortunatamente le cose sono cambiate, uccidere viene immediatamente avvertito come qualcosa di aberrante. Questo lo ha fatto riflettere su come si sarebbe comportato un ragazzo di oggi catapultato a quei tempi, trovandosi nella condizione di essere costretto a togliere la vita ad altre persone.

Nonostante la violenza eserciti sempre un enorme fascino, dice il regista, che il suo non vuole essere  un inno alla violenza, ma anzi dovrebbe far avvertire un senso di rigetto e far riflettere sull’eroismo e sulla figura dell’eroe, su cosa è da applaudire e cosa no.

Gli viene domandato il perché dell’inserimento di tanti momenti di ironia e di battute. Ma lui rimane stupito, affermando che non si è accorto di aver disseminato tali elementi nel suo film. Ironicamente dice che forse è colpa del suo spirito da persona non troppo giovane e che tutto dipende da come si guarda e come si interpreta. Sottolinea che anche in Tetsuo, nonostante fosse un film drammatico, potevano esserci situazioni interpretate come ironiche, ad esempio il pene biomeccanico che continuava a girare dopo la penetrazione. In Zan, forse potrebbe essere preso come ironico il fatto che il film parte con violenti combattimenti, che poi si diradano a partire dalla metà del film, lasciando straniato chi si aspettava altro.

Shin'ya TsukamotoIl protagonista Sousuke Ikematsu, dice che nonostante si tratti di una storia di guerra, in un film storico ambientato nel passato ai tempi feudali, il suo è un personaggio pieno di modernità e di creatività. Il suo ronin, samurai senza padrone, è costretto a vivere in un ambiente ristretto, non adeguato alla sua posizione, ma ci si rifugia sereno, gridando al mondo la sua percezione del dolore.

Confessa di essere stato sempre un grande estimatore del cinema di Tsukamoto e che mai avrebbe immaginato possibile lavorare con lui. Dice che ha un talento incredibile fuori dal comune, in grado di guidare con le parole, con i movimenti, e con le idee.

Anche Yu Aoi, la protagonista femminile, condivide questa opinione e afferma che per lei lavorare con Tsukamoto le ha fatto provare le stesse emozioni che avrebbe un musicista se potesse lavorare con Bach. Yu Aoi, sostiene di non essersi limitata a interpretare il suo personaggio, ma di averle donato tante sfaccettature del femminile, parlando a nome di tutte le donne. Il suo è un personaggio del passato interpretato nel presente e quindi estremamente attuale.

Shin’ya Tsukamoto confessa di aver evitato di incontrare Cronenberg a Venezia. Lo ha sempre ammirato e considerato un padre, tanto da chiamarlo papà, ma nel vederlo si sarebbe sentito in soggezione e sarebbe fuggito a gambe levate.

Venezia 75: Jennifer Kent presenta The Nightingale

Venezia 75: Jennifer Kent presenta The Nightingale

In apertura di conferenza stampa, viene domandato alle regista Jenifer Kent come e perché abbia scelto di raccontare la storia di The Nightingale, dopo il grande successo del suo film precedente Babadook.

Lei risponde che le sono stati proposti tanti progetti, ma che è fondamentale concentrarsi su storie che la interessano profondamente, altrimenti ci si annoia e si perde l’entusiasmo. Inoltre ci teneva a lavorare su un tema attuale, contemporaneo, nonostante la storia si svolga ai tempi del colonialismo.

È stata intrigata dall’entrare in un mondo completamente diverso, non volendo necessariamente creare un dramma sociale, bensì un mito con uno sguardo molto personale, con tanti riferimenti all’attualità.

Aisling Franciosi, la protagonista del film, di origini italiano-irlandesi e che parla la nostra lingua in maniera perfetta, ha detto che dopo aver letto poche pagine ha sentito che doveva essere parte di questo film assolutamente. Ritiene che sia onesto e commovente e che solamente un’artista del calibro di Jennifer Kent poteva scrivere un film così.

Per prepararsi bene a interpretare il ruolo ha studiato a lungo i traumi da stupro, confrontandosi e parlando con vittime reali, per capire bene cosa possa significare vivere con un trauma così terribile.

Sam Claflin, il perfido ufficiale inglese, assassino e stupratore, racconta che è stato difficile interpretare un personaggio così abbietto e di come si sia dovuto mettere completamente in gioco. Confessa di non conoscere cosa era realmente successo nelle colonie in Australia e della brutalità raggiunta. Si vergogna, ma trova necessario raccontarlo, per fornire una necessaria lezione di storia.

L’attore aborigeno Baykali Ganambarr si è sentito sorpreso di imbattersi in un progetto estremamente onesto e trasparente sul dramma vissuto dalla sua gente. Si sente felice di rappresentare il suo popolo. Nel lavoro è stato aiutato molto dagli altri attori del cast, facendolo sentire a suo agio e che gli hanno permesso di fornire un personaggio riuscito e realistico.

Si fa poi riferimento agli insulti sessisti e violenti esternati da uno spettatore durante la proiezione stampa. Jennifer Kent afferma di essere orgogliosa del suo lavoro e che, a tali reazioni fuori luogo, è fondamentale reagire con amore e compassione. E sono buia ignoranza.

Ying (Shadow): recensione del film di Zhang Yimou

Ying (Shadow): recensione del film di Zhang Yimou

In laguna, finalmente, tornano un po’ di magia e mistero. Artefice di questo piccolo miracolo di fine mostra è il regista cinese Zhang Yimou che ha presentato fuori concorso a Venezia 75, il suo ultimo film dal titolo Ying (Shadow).

La trama di Ying (Shadow)

In Ying (Shadow) Ci troviamo in Cina, durante il cosiddetto Periodo dei Tre Regni, quando il re del regno di Pei (Zheng Kai) decide di cessare la guerra per la riconquista della città di Jing, stringendo un accordo di pace con i suoi nemici e in particolare con il generale Yang. Intanto a palazzo il comandante delle guardie trama in segreto con sua moglie per riprendere il controllo su Jing. Ma con la comparsa di un uomo, il sosia del comandante (Deng Chao), il regno cadrà nello scompiglio e le vite di tutti i suoi sudditi saranno messe in pericolo.

Ying (Shadow) - Zhang Yimou

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Dopo aver vinto due Leoni d’Oro – per La storia di Qiu Ju (1992) e Non Uno di Meno (1999) – e un Leone d’Argento – per Lanterne Rosse (1991) –, il maestro Zhang Yimou torna a Venezia, seppur fuori concorso, con una nuova spettacolare opera, Ying (Shadow), che sembra mostrarci un’estetica del tutto inedita per il regista cinese. I cultori del genere e dei wuxia movie, ma anche semplicemente gli appassionati del cinema di Yimou, riconoscono nella cinematografica del regista alcuni tratti distintivi.

Il singolare cromatismo caratteristico di tutte le opere di Yimou subisce con Shadow un mutamento sostanziale. Le tinte calde come l’oro, il giallo e il rosso acceso, iconiche dei suoi film degli anni novanta, stavolta lasciano il posto a colori scuri e tetri come il nero, il grigio, l’argento associati ad un bianco quasi accecante; se non fosse per i volti dei protagonisti, Ying sembrerebbe quasi un film in bianco e nero. Proprio come il suo titolo – shadow, dall’inglese ‘ombra’ -, l’intera pellicola sembra immersa nell’oscurità, avvolta dalle ombre che infestato il regno.

La mancanza di colore tuttavia non intacca di certo la bellezza di Shadow. Questo nuovo stile, minimale dal punto di vista cromatico, rivela lo specifico desiderio del regista di sperimentare un nuovo stile, conciliando tradizione e modernità. Il bianco e nero caratteristico dell’opera, infatti, è caratteristico dall’antica arte cinese dei disegni con inchiostro di china. Per Yimou tramandare alle generazioni future la cultura millenaria del suo paese è stata sempre una priorità e con Ying, il regista fa un passo avanti proprio in quella direzione. Anche la scelta dell’argomento del film non è casuale per Yimou. In Shadow si parla, infatti, di ombre, personaggi leggendari e misteriosi quasi del tutto ignorati nella cinematografia cinese. Le ombre erano uomini comuni utilizzati come sosia di personaggi politici importanti; in questo modo re, principi e comandanti restavano al sicuro mentre le ‘ombre’ rischiavano la vita al posto loro.

Ying (Shadow) - Zhang Yimou - fuori concorso Venezia 75

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Siamo di fronte a un film wuxia dalla trama assai complessa e avvincente, seppur non particolarmente originale, piena di colpi di scena e dalla messa in scena a dir poco spettacolare. Come sempre accade nelle storie di Zhang Yimou, nulla in realtà è ciò che sembra e la distinzione tra giusto e sbagliato non è poi così netta; luce e ombra, bene e male, amore e odio, onore e codardia, continuano a confondersi e confondere. Ciò che però distingue l’opera di Zhang Yimou dagli altri film dello stesso genere è senza dubbio la sua resa visiva; combattimenti epici con ombrelli fatti di lame, duelli all’ultimo sangue, città prese d’assalto – la riconquista di Jing da parte dei ‘ribelli’ è una scena a dir poco eccezionale -, addestramenti a passi di danza, tutto è costruito per lasciare a bocca aperta lo spettatore.

Pur non essendo il migliore tra i film della cinematografia di Zhang Yimou, Ying (Shadow) riesce a catturare l’attenzione del pubblico e ad emozionare per la sua indescrivibile bellezza e potenza visive, un film da gustare fino all’ultima scena e che farà impazzire gli appassionati del genere wuxia.

Ying (Shadow) - Zhang Yimou - Venezia 75

Manuel, opera prima di Dario Albertini su TIMVISION

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Manuel, opera prima di Dario Albertini su TIMVISION

Dopo la presentazione lo scorso anno alla 74° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il grande successo di pubblico in sala a maggio, e dopo aver conquistato i critici dei Cahiers Du Cinema e la stampa francese come Le Figaro e L’Humanite, Manuel, opera prima di Dario Albertini, arriva in esclusiva su TIMVISION il 10 settembre. 

Prodotto da BiBi Film di Angelo e Matilde Barbagallo e TIMVISION Production, Manuel di Dario Albertini  –  secondo il portale Cinemaitaliano, il secondo film più premiato di quest’anno  –  è un racconto di formazione asciutto e pudico, attentissimo a scansare le trappole dell’emotività e dedicato ai “Manuel” di tutte le periferie, quelli che nella vita “devono fa’ er doppio della fatica”, se non “er triplo”.

Interpretato da Andrea Lattanzi che per questo suo esordio ha ricevuto il premio come migliore attore nella rassegna Bimbi Belli, curata da Nanni Moretti, e tra gli altri, il premio Jean Carmet al Festival Premier Plans D’Angers, dalla presidente di giuria Catherine Deneuve, e quello Guglielmo Biraghi ai Nastri d’Argento.

Manuel, la trama

Il protagonista è un diciottenne che esce da un istituto per minori privi di sostegno famigliare e, per la prima volta, assapora il gusto dolceamaro della libertà. Sua madre Veronica (Francesca Antonelli), chiusa in carcere, vorrebbe tornare indietro e ricominciare una nuova vita. Ma per ottenere gli arresti domiciliari Manuel deve dimostrare agli assistenti sociali che può prendersene carico.

Manuel distribuito da Tucker Film, vede nel cast oltre ad Andrea Lattanzi, Francesca Antonelli, Renato Scarpa, Giulia Elettra Gorietti, Raffaella Rea, Giulio Beranek.

Un esordio “sorprendente” per Le Figaro, “un ritratto sensibile di un grande ragazzo perduto” per i Cahiers Du Cinema, in cui “l’esperienza documentaristica di Dario Albertini contribuisce senza dubbio ad avere fiducia nella potenza della realtà̀” per L’Humanitè. 

Questo film conferma ancora una volta il costante impegno di TIMVISION ad investire sulla migliore creatività della produzione italiana in collaborazione con i principali player del mercato. Grazie alle nuove produzioni e coproduzioni, l’offerta di TIMVISION si arricchisce in modo distintivo, rivolgendosi a pubblici diversi con contenuti e linguaggi  sempre originali  e di grande qualità.

Grey’s Anatomy 15: Alex Landi nel cast

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Grey’s Anatomy 15: Alex Landi nel cast

Cresce il cast di nuovi volti di Grey’s Anatomy 15, l’annunciata quindicesima stagione dell’acclamata serie tv Grey’s Anatomy. Oggi grazie a TVLine apprendiamo che l’attore Alex Landi è entrato nel cast dei regular.

Alex Landi è stato scelto per interpretare il Dr. Nico Kim, il primo medico gay della ABC medical dramme. Al momento nessun altro dettaglio sul personaggio o sulla sua durata nello show è stato rivelato

Landi si unisce a Jeff Perryche tornerà a Grey-Sloan Memoria come padre di Meredith e Chris Carmackcome nuovo “Orto-Dio”.  La premiere della Stagione 15 di Grey’s Anatomy che vi ricordiamo durerà 2 ore inizierà giovedì 27 settembre sulla ABC.

Iscriviti a Disney+ per guardare Grey’s Anatomy e le più belle storie Disney, Pixar, Marvel, Star Wars, National Geographic e molto altro. Dove vuoi, quando vuoi.

Grey’s Anatomy 15

Grey’s Anatomy 15 è la quindicesima stagione della serie Grey’s Anatomy creata da creata da Shonda Rhimes per la ABC Studios. Gli episodi di Grey’s Anatomy debutteranno questo autunno.

Nella quindicesima stagione di Grey’s Anatomyritorneranno i personaggi Meredith Grey (stagioni 1-in corso), interpretata da Ellen Pompeo, Alexander “Alex” Michael Karev (stagioni 1-in corso), interpretato da Justin Chambers, Miranda Bailey (stagioni 1-in corso), interpretata da Chandra Wilson, Richard Webber (stagioni 1-in corso), interpretato da James Pickens, Jr., Owen Hunt (stagioni 5-in corso), interpretato da Kevin McKidd, Teddy Altman (stagioni 6-8, 15-in corso, ricorrente 14), interpretata da Kim Raver, Jackson Avery (stagione 7-in corso, ricorrente 6), interpretato da Jesse Williams, Josephine “Jo” Alice Wilson (stagione 10-in corso, ricorrente 9), interpretata da Camilla Luddington, Margaret “Maggie” Pierce (stagione 11-in corso, guest 10), interpretata da Kelly McCreary, Benjamin Warren (stagioni 12-14, ricorrente 6-in corso, guest 7), interpretato da Jason George e  Andrew DeLuca (stagione 12-in corso, guest 11), interpretato da Giacomo Gianniotti.

Captain Marvel: tutte le foto esclusive da EW

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Captain Marvel: tutte le foto esclusive da EW

VIDEO CORRELATO

Dopo mesi di segretezza riguardo a Captain Marvel, nuovo cinecomic con protagonista Brie Larson che segna il primo film con protagonista femminile dell’universo Marvel, la rivista EW ci ha permesso in questi giorni di dare un’occhiata più da vicino ai protagonisti. Dalla pilota d’aerei Carol Danvers prima che scoprisse il suo grande potenziale, al misterioso mentore interpretato da Jude Law, a Ronan, già conosciuto nella saga Guardiani della Galassia, potrete tutti trovarli negli scatti contenuti nella nostra gallery.

Ricordiamo che il film, diretto da Anna Boden e Ryan Fleck, segue le vicende di Carol Danvers, che diventa uno degli eroi più potenti dell’universo quando la Terra viene coinvolta in una guerra galattica tra due razze aliene.  Ambientato negli anni ‘90, il film si riporre di essere una proposta totalmente nuova nell’universo dei cinecomic. Il film farà il suo debutto internazionale il prossimo 8 marzo, in Italia dovrebbe arrivare due giorni prima, ovvero il 6 marzo 2019.

American Horror Story 8: Trailer ufficiale

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American Horror Story 8: Trailer ufficiale

Il network americano FX ha diffuso il trailer ufficiale di American Horror Story 8, l’ottava attesa stagione della serie horror American Horror Story firmata Ryan Murphy.

American Horror Story 8

American Horror Story 8: Apocalypse è l’ottava stagione della serie tv American Horror Story creata da Ryan Murphy e Brad Falchuk per la rete via cavo FX della FOX. La serie è ambientata l’8 novembre 2016: durante la notte delle elezioni presidenziali americane Ally Mayfair-Richards, sua moglie Ivy, loro figlio Oz e i coniugi Chang si ritrovano per assistere all’elezione del quarantacinquesimo presidente americano Donald Trump. Ally ne rimane sconvolta, teme per la sua famiglia omogenitoriale e per questo le sue fobie, coulrofobia (paura dei clown) e tripofobia (paura di buchi piccoli e ravvicinati), ritornano a galla, sebbene avesse imparato a controllarle.

American Horror Story 8: Apocalypse protagonisti sono i personaggi Cordelia Goode e Wilhemina Venable interpretate da Sarah Paulson, Mallory interpretata da Billie Lourd, Michael Langdon interpretato da Cody Fern, Madison Montgomery interpretata da Emma Roberts, Coco St. Pierre Vanderbilt interpretata da Leslie Grossman, Miriam Mead interpretata da Kathy Bates, Dinah Stevens interpretata da Adina Porter, Mr. Gallant e Jeff Pfister interpretati da Evan Peters e John Henry Moore, interpretato da Cheyenne Jackson. Nei ruoli ricorrenti troviamo Constance Langdon, interpretata da Jessica Lange, Myrtle Snow e Moira O’Hara, interpretate da Frances Conroy, Zoe Benson e Violet Harmon, interpretate da Taissa Farmiga, Queenie, interpretata da Gabourey Sidibe, Misty Day, interpretata da Lily Rabe e Timothy Campbell, interpretato da Kyle Allen.

Captain Marvel: Brie Larson aveva rifiutato il ruolo

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Captain Marvel: Brie Larson aveva rifiutato il ruolo

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Continuano ad arrivare nuovi dettagli intorno a Captain Marvel, il primo cinecomic della casa ad avere una protagonista femminile. Grazie a EW che ha dedicato la cover al film ed uno speciale all’interno dell’ultimo numero, si è venuti a conoscenza che la protagonista Brie Larson aveva inizialmente rifiutato il ruolo dell’eroina Carol.

Non mi ero mai immaginata nei panni di un supereroe, soprattutto perché mi piace restare nell’anonimato. Preferisco i piccoli ruoli perché mi permettono di scomparire all’interno dei personaggi e ho sempre pensato che se fossi diventata troppo famosa la cosa mi avrebbe in qualche modo limitata” ha detto l’attrice. Ovviamente poi le cose sono andate diversamente ed averla conquistata fu la scrittura del suo personaggio all’interno della sceneggiatura.”.

Ha poi continuato: “Mi appassiona molto di questo film il fatto che si tratti di un mix perfetto fra divertimento ed emotività. Non ci siamo limitati, quando c’è bisogno di divertirsi ci si diverte, ma quando si sente il bisogno di diventare emotivamente profondo lo diventa, e in maniera realistica. In questo modo sono stata in grado di portare in questo ruolo alcune di quelle stesse cose che ho portato nelle mie precedenti parti drammatiche. La cosa mi rende particolarmente orgogliosa perché penso davvero che questo sarà quello che farà la differenza, differenziando questo film da tutti gli altri film di supereroi che conosciamo.”

Si attende quindi ancora più curiosità questo nuovo debutto nel mondo dei supereroi che ovviamente non finirà qui. Non si è ancora parlato di un eventuale sequel di Captain Marvel ma sicuramente rivedremo Brie Larson in queste vesti anche in Avengers 4 dei fratelli Russo. Il primo appuntamento con Captain Marvel è fissato per l’8 marzo 2019.

FONTE: EW

Fast & Furious 9: tutto pronto per l’inizio delle riprese

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Fast & Furious 9: tutto pronto per l’inizio delle riprese

In queste ore sta circolando la notizia che le riprese di Fast & Furious 9 inizieranno già a partire da questa primavera (nel dettaglio il 20 aprile 2019), in modo da far debuttare il film nel corso del 2020. Un anno di ritardo dunque dall’uscita annunciata inizialmente per il 2019, ma questo slittamento è dovuto alla produzione dello spin-off dedicato ai personaggi interpretati da Dwayne Johnson e Jason Statham dal titolo Hobbs & Shaw.

Fast & Furious 9 ( Fast & Furious Presents: Hobbs & Shaw) vedrà il ritorno dietro la macchina da presa di Justin Lin che ha già diretto quattro film della saga fermandosi al numero sei. Nel frattempo ha lavorato alla produzione di programmi televisivi come SWAT e Magnum PI e a lungometraggi come Star Trek Beyond. Qualche tempo fa Vin Diesel aveva dichiarato che il regista sarebbe tornato anche per l’episodio 10, cosa che faceva pensare che i due episodi venissero girati in contemporanea. Ma la cosa al momento non è stata confermata e, visti i numerosi impegni degli attori, non sembra un’ipotesi facilmente realizzabile. Si aspettano invece aggiornamenti sul cast che, oltre ai soliti nomi, dovrebbe avere anche delle new entry ed un nuovo villan.

FONTE: GGW

Kevin Feige è pronto per una Marvel tutta in rosa

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Kevin Feige è pronto per una Marvel tutta in rosa

Come ormai noto, a Marzo arriverà sul grande schermo la prima eroina Marvel ad avere un unico film incentrato su di lei: la Captain Marvel di Brie Larson. Ma il magnate della grande casa di produzione Kevin Feige sembra essere disposto a non fermarsi qui con le protagoniste in rosa. In una recente dichiarazione, infatti, ha confermato che nei piani della Marvel ci sarebbe l’idea di sviluppare altri spin-off sui personaggi femminili.

Con Ant-Man and the Wasp ed adesso con Captain Marvel, e molti altri film ancora da annunciare nell’immediato futuro, sono fiducioso che sia arrivato il momento in cui non è una novità che ci sia un film su una supereroina donna in lavorazione ma la norma. E verrà meno da dire ‘oh, guardate, una supereroina donna’ e più ‘di cosa parla? Chi è questo personaggio? Sono eccitato a riguardo’. Credo che potremo arrivare a questo!” ha affermato Feige che ha continuato “Per molti anni abbiamo convissuto con l’idea che il pubblico non voleva vedere cinecomics con protagoniste delle donne. Questo perché moltissimi film di 15 anni fa non hanno fatto il loro dovere. E io ho sempre creduto che quei film non avevano funzionato non perché avevano per protagoniste delle donne, ma perché, semplicemente, non erano dei bei film già dall’inizio”.

Parole di stima sono arrivate anche per i prodotti della concorrenza: la Wonder Woman di casa DC che qualche anno fa ha fatto da apripista ai prodotti al femminile: “Sono sempre felice quando un film di questo genere va bene. Il successo di Wonder Woman mi ha reso molto contento perché, come dicevo prima, preferisco che mi chiedano ‘cosa ne pensi di quel film con protagonista quella supereroina donna?’, piuttosto che una domanda che mi facevano spesso ovvero ’pensi che il pubblico non voglia vedere un film su una supereroina?’.”.

Vedremo cosa starà progettando Feige per questa rivoluzione rosa in casa Marvel, per il momento in lavorazione dopo Captain Marvel c’è già uno spin-off interamente dedicato alla Vedova Nera, mentre la DC risponde con Birds of Prey, un cinecomic che dovrebbe riunire sotto la stessa bandiera tutte le eroine dell’universo espanso.

FONTE: EW

Ghostbusters: Paul Feig vuole il sequel del reboot

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Non si può certo dire che il reboot al femminile di Ghostbusters abbia avuto successo: il film è stato un flop sia al botteghino, sia nei commenti della critica. Ma il regista Paul Feig non sembra esserne abbattuto, anzi, in una recente intervista ha dichiarato che ha intenzione di scrivere il sequel ed avrebbe già qualche idea molto chiara.

Voglio che il film sia ambientato in un’altra nazione. Quando abbiamo fatto il tour promozionale, quello internazionale, mi sono reso conto che in ogni nazione i giornalisti arrivavano con questi disegni o rendering di artisti dei fantasmi di quel paese. E ogni nazione aveva queste storie fantastiche sui fantasmi e personaggi che spaventano i bambini. Mi piacerebbe per esempio vedere le Ghostbusters andare in Asia. C’è ancora molta roba divertente che potremmo fare” ha dichiarato il regista.

Per ora la produzione non si sbilancia su un possibile secondo capitolo, sebbene siano passati già due anni dal primo Ghostbusters al femminile che vedeva protagoniste Kristen Wiig, Melissa McCarthy, Leslie Jones e Kate McKinnon. Sicuramente non ci sono molti incentivi per mandare avanti il progetto, ma forse un cambio di prospettiva potrebbe fare solo che bene.

FONTE: ScreenRant

Captain Marvel: Jude Law non ha ancora rivelato il suo ruolo

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Captain Marvel: Jude Law non ha ancora rivelato il suo ruolo

Le foto e le interviste contenute nell’ultimo numero di Entertainment Weekly hanno chiarito molte cose su Captain Marvel ci hanno dato la possibilità di dare una prima occhiata ai protagonisti impegnati sul set. Ma un mistero ancora non è riuscita a svelare: quale ruolo interpreterà Jude Law nel film? L’attore, intervistato dalla testata, ammette di non poter dire il nome del suo personaggio ma si è limitato ad affermare che sarà un uomo di fede ed un grande guerriero. Ecco le sue parole:

Sarà guidato da una credenza divina del popolo Kree. E’ una sorta di guerriero devoto. Indiscusso, conservatore ma anche d’ispirazione. I poteri straordinari che possiede Carol (Brie Larson), sono visti da lui come un dono e qualcosa che lei deve imparare a controllare. E’ una cosa che si ripete nel corso del film, l’apprendimento nel controllare le proprie emozioni e usare i propri poteri con sapienza”.

E sul suo lavoro con la Marvel, prima collaborazione per l’attore, Jude Law spiega come sia stato in un certo senso guidato da un suo grande amico: “Quando ho lavorato per la prima volta con Robert Downey Jr. aveva appena girato il primo Iron Man. L’ho in un certo senso seguito nel suo viaggio e rapporto con la Marvel. Non ha voluto mai darmi consiglia ma mi ha sempre detto che si divertiva tantissimo a girare questi film”.

L’ipotesi più accreditata è che Law andrà ad interpretare Mar-Vell, il Captain Marvel originale, che si prenderà cura dell’inesperta Carol, ex pilota che si trova improvvisamente provvista di poteri straordinari. Lo scopriremo comunque forse già dal trailer in uscita tra circa due settimane. Mentre per il film bisognerà aspettare il prossimo 8 Marzo.

FONTE: EW

Burt Reynolds: muore a 82 anni l’iconico attore

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Si è spento a 82 anni nella serata di ieri Burt Reynolds, il leggendario attore di film cult come Un tranquillo weekend di paura e Quella sporca ultima meta. Aveva iniziato la sua carriera nel 1961 per poi lavorare per grandi registi quali Woody Allen, Mel Brooks e Paul Thomas Anderson. Proprio per Boogie Nights – L’altra Hollywood aveva ottenuto una nomination all’Oscar, sebbene in parecchie interviste dell’epoca aveva dichiarato che quello era il ruolo che meno lo aveva convinto.

In questi mesi il suo nome era tornato alla ribalta in quanto scelto da Quentin Tarantino nel cast del suo ultimo film Once Upon a Time in Hollywood. E’ stato accertato in queste ore che l’attore non aveva ancora girato nessuna scena del film nel quale doveva interpretare il proprietario del ranch che ospitava Charles Manson e la sua setta.

Si attendono a momenti dei comunicati ufficiali di Tarantino e della produzione riguardo alla sua improvvisa scomparsa ed alla gestione del set in cui si sarebbe dovuto trovare già a partire dalla prossima settimana.

FONTE: The Hollywood Reporter

Ruin: Margot Robbie protagonista del film di Justin Kurzel

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Sarà Margot Robbie l’interprete principale di Ruin, nuovo lavoro di Justin Kurzel (Macbeth, Assassin’s Creed). Il film sarà ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale e la Robbie avrà il ruolo di una sopravvissuta all’Olocausto che si trova a vivere in una Germania ancora distrutta dalla battaglia. Stringerà un legame con un ex-militare delle SS pentito che per placare la sua sete di vendetta proporrà alla ragazza di mettersi sulle tracce del componenti dello squadrone della morte.

Insieme alla Robbie nel ruolo di co-protagonista anche Matthias Schoenaerts. La sceneggiatura è stata invece affidata ai fratelli Ryan e Matthew Firpo che avevano completato lo script anni fa ma non avevano avuto modo di vendere l’intero manoscritto. Per questo il script diventò famoso come uno dei migliori ancora da realizzare a Hollywood.

Ricordiamo che la bella Margot Robbie arriverà nei prossimi anni al cinema con molteplici progetti tra cui Mary Queens of Scots, Once Upon a Time in Hollywood di Quentin Tarantino, attualmente in fase di lavorazione, e Birds of Prey, cinecomic tutto al femminile di cui l’attrice è anche produttrice.

FONTE: ScreenRant

Halloween: il final trailer annuncia il ritorno di Michael Myers

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Come già annunciato in questi giorni, è stato finalmente pubblicato il final trailer di Halloween, nuova trasposizione cinematografica del classico dell’horror. Per la saga questo è il film numero undici che rivede come protagonista il folle assassino Michael Myers. Nella linea cronologica si tratta del sequel del primo capitolo, Halloween – La notte delle streghe, uscito nel lontano 1978 e diretto da John Carpenter, che qui ritorna come produttore esecutivo e compositore delle musiche. Del primo film negli anni furono fatti altri seguiti, ma in questo film non verranno considerati nella costruzione della trama.

La vicenda sarà ambientata quarant’anni dopo dalla serie di violenti omicidi di Michael Meyers che si troverà ad affrontare di nuovo Laurie Strode, sfuggita all’epoca alla sua furia. La regia è stata affidata a David Gordon Green mentre nel cast ritornerà l’iconica Jamie Lee Curtis a cui si aggiungerà Judy Greer, Virginia Gardner, Will Patton, Nick Castle, Jefferson Hall, Andi Matichak, Miles Robbins e Omar Dorsey.

Halloween uscirà nelle sale italiane il prossimo 25 Ottobre.

Halloween, la recensione del film di David Gordon Green

Avengers 4: Pom Klementieff si lascia scappare uno spoiler

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Avengers 4: Pom Klementieff si lascia scappare uno spoiler

L’interprete di Mantis nell’universo Marvel, Pom Klementieff, durante un’intervista si è fatta involontariamente sfuggire uno spoiler su Avengers 4. A sua discolpa si può dire che l’argomento di cui si stava parlando era del tutto lontano al mondo dei cinecomic: l’intervistatore le aveva chiesto un suo parere sul movimento #metoo che, come è noto, sta creando gravi problemi al mondo di Guardiani della Galassia. L’attrice ha così risposto:

Si tratta di una cosa spaventosa quanto bella. Mi ricordo di Brie Larson e Danai Gurira sul set di Avengers, sono venute da me e mi hanno parlato della lettera Time’s Up e l’ho trovata magnifica. E’ splendido sapere che ci sono donne, ma anche uomini, che stanno combattendo per un futuro migliore”.

Leggendo tra le righe, quindi, lei si trovava sul set con i personaggi di Captain Marvel e Okoye, facendo intuire che le tre condivideranno una scena insieme. Che ci sia una sommossa tutta al femminile nel prossimo film della saga? Sta di fatto che alcune riprese di Avengers 4 sono datate a circa un anno fa quindi le dichiarazioni di Pom Klementieff potrebbero non essere del tutto attendibili. Ci sarà da aspettare il prossimo maggio quando il film arriverà nelle sale.

FONTE: PaperMag

Apostle, Dan Stevens nell’immagine ufficiale del film

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Apostle, Dan Stevens nell’immagine ufficiale del film

La rivista Empire ha appena diffuso una foto ufficiale di Apostle, nuovo film Netflix con Dan Stevens. Nell’immagine che potrete trovare di seguito si vede l’attore di Legion nei panni di Thomas Richardson in una Londra di inizio ‘900. La trama ruota attorno al suo ritorno a casa ed alla scoperta che la sorella è stata rapita da una setta religiosa. L’uomo si mette in viaggio per l’isola in cui la setta vive sotto la leadership del carismatico Profeta Malcolm, la trova e riesce ad infiltrarsi nel gruppo scoprendo così come la corruzione dell’alta società ha infestato i suoi membri della setta.

Il film sarà diretto da Gareth Evans che ha anche scritto la sceneggiatura. La produzione invece è stata affidata, oltre a Netflix, a Adam Tertzakian ed Ed Talfan. Nel ricco cast, oltre a Stevens, anche Michael Sheen, Lucy Boynton, Mark Lewis Jones, Bill Milner, Kristine Froseth e Paul Higgins.

C’è molta attesa per questo film descritto come un tormentato racconto di occultismo che nasconde più di qualche segreto da svelare. La distribuzione sulla piattaforma è prevista per il prossimo 12 Ottobre.

FONTE: Empire

Captain Marvel: una prima occhiata agli Skrulls

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Captain Marvel: una prima occhiata agli Skrulls

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Grazie all’esclusiva di Entertainment Weekly, che ha dedicato la cover alla Brie Larson di Captain Marvel, possiamo dare un’occhiata anche agli altri personaggi. In particolar modo c’era molta curiosità intorno agli Skrulls, creature dell’universo Marvel che daranno avvio all’intreccio di questo film. Infatti, come si apprende dalle pagine di EW, il nuovo cinecomic si aprirà con l’ex pilota Carol Danvers, già dotata di poteri, lontana dalla Terra. Un avviso che gli Skrulls sono sbarcati sul suo pianeta di origine la farà tornare a casa dove, tramite presumibilmente flashback, si ritornerà a ritroso a scoprire l’origine dei suoi poteri.

Nell’immagine che potrete trovare di seguito sono stati immortalati gli Skrulls che fanno il loro approdo sulla terra via mare, e tra questi si può riconoscere, sotto un accuratissimo make-up, il loro leader interpretato da Ben Mendelsohn.

Captain Marvel arriverà al cinema l’8 Marzo 2019 e avrà alla regia Anna Boden e Ryan Fleck. Nel cast anche Samuel L. Jackson, Lashana Lynch, Jude Law, Gemma Chan, Lee Pace e Djimon Hounsou. Il film ha già attirato l’attenzione di tutti gli appassionati in quanto si tratta della prima eroina donna a cui è stato dedicato un intero cinecomic all’interno dell’universo Marvel.

Captain Marvel: Brie Larson sulla cover di EW

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Captain Marvel: Brie Larson sulla cover di EW

Come era stato preannunciato, nella giornata di ieri si è potuta dare una prima occhiata alla Brie Larson di Captain Marvel (che potrete trovare in fondo). L’attrice nei panni dell’eroina è apparsa infatti sulla cover di Entertainment Weekly, dove ha rilasciato anche un’intervista spiegando la genesi del personaggio che arriverà nei cinema quest’anno.

Lei non può fare a meno di essere se stessa” ha dichiarato “Può essere aggressiva, può avere un temperamento forte. E’ veloce nel saltare le cose e questo la rende fantastica in battaglia perché è la prima che arriva e non aspetta gli ordini per agire. Essere in attesa di ordini per alcuni è difetto di carattere.”.

Non è un supereroe perfetto o ultraterreno perché ha qualche connessione divina” ha aggiunto la regista Anna Boden, prima regista donna dell’universo MarvelMa ciò che la rende speciale è quanto sia umana. E’ divertente, ma non fa sempre battute. E può essere testarda e spericolata, non sempre prende decisioni perfette per se stessa. Ma al suo interno, ha così tanto cuore e tanta umanità e tutta la sua confusione.”.

Captain Marvel arriverà al cinema l’8 Marzo 2019.

22 July: recensione del film di Paul Greengrass

22 July: recensione del film di Paul Greengrass

Il cinema è intrattenimento ma soprattutto arte che a volte si fa veicolo di informazione e verità. Quello che ci propone oggi Paul Greengrass, che presenta in concorso 22 July, è una ricostruzione fedele degli mostruosi attentati terroristi del 2011 in Norvegia.

Il giorno 22 luglio del 2011 un estremista di destra, un certo Anders Behring Breivik (Anders Danielsen Lie), ha compiuto due dei più insensati e orribili attentati terroristici degli ultimi anni. Dopo aver fatto detonare uno spaventoso ordigno alla sede del parlamento ad Oslo, Anders si è diretto sull’isola di Utoya, dove all’epoca centinaia di ragazzi erano impegnati in un campeggio di leadership giovanile. L’attentatore, vestito da poliziotto e munito di documenti falsi, arrivato sull’isola, ha aperto il fuoco sui ragazzi uccidendone sessantanove e ferendone più di cento. L’attacco è stato violento e repentino e quando la polizia è giunta sul luogo della strage era ormai troppo tardi. Anders è stato preso in custodia e arrestato.

Dopo gli acclamati United 93 e Bloody Sunday, Paul Greengrass torna a parlare di cronaca, stavolta raccontando del terribile attentato della Norvegia. Traendo ispirazione dal libro Uno di noi – La storia di Anders Breivik di Åsne Seierstad, il regista britannico fa un resoconto dettagliato e sufficientemente distaccato degli avvenimenti di quel terribile 22 luglio. Il film 22 July, partendo dalla preparazione di Breivik dell’attentato, ricostruisce ogni singolo momento di quelle ventiquattro ore di terrore e degli anni successivi. Il film quindi non è solo la cronaca degli attacchi di Oslo e Utoya ma anche di tutti quei momenti che precedono il processo di Breivik e il verdetto finale della corte norvegese.

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La conta dei feriti e dei deceduti, la disperazione delle famiglie, l’arresto e l’interrogatorio dell’attentatore e finalmente il processo; ognuno di questi momenti è descritto con incredibile accuratezza e sensibilità. Pur trattandosi di un film, però, Greengrass non dimentica la sua obiettività; il regista infatti, nonostante come molti non possa accettare né condividere gli ideali folli di Anders, non sale in cattedra, non fa propaganda ma semplicemente si limita a raccontare gli eventi e le due facce della stessa medaglia. Grazie ad un incredibile lavoro sulla sceneggiatura riusciamo ad entrare perfettamente nella mente dell’attentatore che, in preda ad un delirio di onnipotenza, oltre a non voler rinnegare le sue posizioni, sembra addirittura credere di essere il leader di una fantomatica e imminente rivoluzione socio politica.

Mentre i deliri di Anders sembrano essere assecondati dal suo avvocato – ognuno ha infatti il diritto di essere difeso in tribunale -, gli spettatori assistono anche a tutta la distruzione che l’attentatore si è lasciato alle spalle. Il film apre una porta sullo straziante dolore delle famiglie delle vittime e su quello dei sopravvissuti alla strage. Molti dei ragazzi scampati alle pallottole di Breivik, infatti, soffrono di un disturbo da stress post traumatico, hanno riportato danni seri e permanenti e vivono ogni giorno facendosi un’unica domanda: come mai sono ancora vivo? Con 22 July Greengrass punta i suoi riflettori anche sulle conseguenze meno ovvio di un attentato di tale portata come, per l’appunto, il senso di colpa dei sopravvissuti.

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22 July, a metà strada tra documentario e fiction, riesce ad equilibrare bene la sua parte didascalica a quella più emotiva. Il film segue infatti molto da vicino la storia di Viljar Hanssen (Jonas Strand Gravli) – sopravvissuto alla strage nonostante i cinque colpi d’arma da fuoco ricevuti – e della sua famiglia. Le operazioni subite, i danni permanenti, la lunga riabilitazione, gli incubi e la rabbia repressa, Greengrass racconta la lenta rinascita di questo adolescente, simbolo della forza di un’umanità che ancora non è pronta ad arrendersi. Come dice il Primo Ministro norvegese (Ola G. Furuseth) nel film, “dobbiamo combattere”.

Nell’ultima parte del film, affrontando anche il difficile processo a Breivik, Paul Greengrass invita lo spettatore a riflettere in maniera più ampia sui concetti di bene e male e soprattutto sull’importanza della giustizia in un paese democratico. Dopo un atto insensato come quello del 22 luglio 2011 in molti si farebbero travolgere dalla rabbia, chiedendo la testa dell’uomo autore di una tale strage: ma che senso avrebbe? La morte di un mostro come Anders potrebbe riportare in vita le vittime della strage o alleviare il dolore delle loro famiglie? L’unica cosa possibile è andare avanti perché, come dice lo stesso Greengrass, “la democrazia deve lottare per provare la sua esistenza”.

I villeggianti: trailer del film di Valeria Bruni Tedeschi

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I villeggianti: trailer del film di Valeria Bruni Tedeschi

Guarda il teaser trailer di I villeggianti, il nuovo film di e con Valeria Bruni Tedeschi, presentato oggi alla 75° Mostra del cinema di Venezia e in uscita nelle sale italiane il prossimo 20 dicembre.

Nel cast tra gli altri, anche Valeria Golino Riccardo Scamarcio.

Una grande e bella proprietà in Costa Azzurra. Un posto che sembra essere fuori dal tempo e protetto dal mondo. Anna arriva con sua figlia per qualche giorno di vacanza. In mezzo alla sua famiglia, ai loro amici e al personale di servizio, Anna deve gestire la sua recente separazione e la scrittura del suo prossimo film. Dietro le risate, la rabbia, i segreti, nascono rapporti di supremazia, paure e desideri. Ognuno si tappa le orecchie dai rumori del mondo e deve arrangiarsi con il mistero della propria esistenza.

La regista ha commentato: Da quando sono nata, ho sempre trascorso le vacanze in una grande e bella casa sulla Costa Azzurra. È un posto senza tempo e lontano dal resto del mondo. Con questo film, racconto la storia di un gruppo di persone in questa casa: la famiglia dei proprietari, gli amici e i dipendenti. Descrivo la solitudine di ognuno di essi, nonostante si trovino insieme, le dispotiche dinamiche nei rapporti, le paure, la vergogna, la rivolta, i desideri e gli amori. La mia intenzione è di raccontare come ogni persona scelga deliberatamente di ignorare il frastuono del mondo esterno, il tempo che passa, la morte in agguato; come ognuno sia solo di fronte al mistero della propria esistenza.

Sunset: recensione del film di László Nemes

Sunset: recensione del film di László Nemes

Presentato in concorso a Venezia 75, Napszállta (Sunset) di László Nemes, traducibile come “tramonto”, è il secondo lungometraggio del regista ungherese premio Oscar al miglior film straniero per Il figlio di Saul. Con la nuova opera Nemes segue i passi di una giovane donna, attraverso il cui sguardo osserviamo il tramonto di un epoca nell’appena sopraggiunto ventesimo secolo, in un’Europa alle soglie della prima guerra mondiale.

Nel 1913 la giovane Írisz Leiter (Juli Jakab) arriva a Budapest con il sogno di lavorare come modista nella cappelleria che apparteneva alla sua famiglia, ma viene cacciata dal nuovo proprietario. Írisz si mette allora alla ricerca del misterioso Kálmán Leiter, che sembra essere rimasto il suo ultimo legame con il passato.

Tra i film più attesi del Festival, quello di Nemes era un vero e proprio banco di prova per il giovane regista, chiamato a confermare la sua voce autoriale con l’opera seconda. Sunset si rivela invece essere un’opera al di sotto delle aspettative da un punto di vista prettamente narrativo, rivelando una sceneggiatura carente, labirintica, non in grado di portare a compimento l’intento del regista.

L’ambizione riposta in questo progetto si rivela essere una meta non pienamente raggiunta, e nella sua lunghezza (di 142 minuti), nonostante un ritmo ben sostenuto, la narrazione fatica a sciogliersi e risolversi, lasciando sospesi intrecci e risvolti criptici. Diviene così difficile anche immedesimarsi nella protagonista, nonostante la buona prova attoriale di Juli Jakab, e si costretti a rimanere al di fuori degli eventi narrati, senza riuscire a sentirsi davvero coinvolti da questi.

SunsetÈ guardando invece alla metafora che Nemes vuole mettere in scena, che si trovano gli spunti più interessanti. Írisz diviene così l’incarnazione dell’Europa, un’Europa smarrita tra strade e personaggi a lei ostili, che perde l’innocenza dinanzi ad una società sempre più corrotta e depravata. Una metafora che dovrebbe portare lo spettatore a riflettere sull’attuale situazione dell’Europa, costantemente minacciata e dilaniata internamente.

Punto di forza del film è invece certamente l’aspetto visivo del film, girato con grande classe e gusto per la messa in scena, con una ricercata attenzione per la composizione visiva, le scenografie e i costumi. Nemes concepisce e realizza splendidi long takes e piani sequenza, che pedinano ossessivamente la protagonista all’interno di una città specchio di un continente e una società al tramonto. Il prosperare di eventi drammatici viene altresì sottolineato da una fotografia che predilige via via toni più scuri, conferendo così al tutto un senso di claustrofobia adatto al tono del film.

Un mezzo passo falso, dunque, questa sua opera seconda, che rivela la sua debolezza principale in una narrazione che tenta di ricercare le cause di degrado morale e sociale che portarono ai grandi conflitti del ventesimo secolo. Il punto di vista che il regista sceglie di adottare per far ciò, si rivela tuttavia mal strutturato e non in grado di reggere l’ambizione del film. Sunset ridimensiona così le aspettative nei confronti del suo autore, che tuttavia mette a segno alcuni nuovi colpi da maestro che fanno ben sperare per il suo futuro.

Acusada: recensione del film di Gonzalo Tobal

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Acusada: recensione del film di Gonzalo Tobal

Tra il sontuoso horror di Guadagnino, il film artistico di Schnabel, il western di Audiard e dei Coen, con Acusada Gonzalo Tobal porta in Concorso a Venezia 75 un dramma processuale che sembra liberamente ispirato al caso di Amanda Knox e all’omicidio di Perugia. Protagonista è Dolores (Lali Esposito), una ragazza benestante, molto bella, ma con uno sguardo assorto, una severità nelle espressioni, ambigua. Proprio l’ambiguità è la cifra scelta da Tobal per proporre la sua versione del Caso Meredith: a poco a poco lo spettatore viene introdotto ai vari elementi della storia, non c’è nessun ricorso a spiegazioni o dialoghi che possano aiutare a orientarsi negli eventi. Un racconto minuzioso e uno svelarsi graduale degli aventi solletica l’attenzione dello spettatore che viene catapultato nel film alla vigilia del processo per un omicidio avvenuto due anni prima.

L’ambiguità del racconto, insieme a quella del volto della protagonista, permettono a Tobal di imbastire un giallo classico, fotografato in maniera patinata ma fredda, che conferisce al film un look molto definito che sembra indirizzato a non far simpatizzare lo spettatore con Dolores. Dopotutto fino alla fine non si riesce a capire se la ragazza sia effettivamente colpevole o innocente, e la giustizia del tribunale non soddisfa la curiosità e il desiderio di verità.

acusadaIl punto di forza di Acusada è però proprio la continua sensazione si svelamento, la tensione che permette al regista di accompagnare lo spettatore nella scoperta del crimine, dei suoi attori, delle dinamiche, tutto in bilico tra verità e menzogna, tra ciò che viene raccontato e ciò che invece è accaduto davvero.

Tobal riveste questa tensione narrativa con scelte formali ridondanti, a volte in netto contrasto con ciò che mostra, dalle aule del tribunale ai primi piani della misteriosa Dolores. Ma nonostante lo stridore che si genera tra forma e contenuto, Acusada riesce agganciare l’attenzione dello spettatore fino alla fine, che è poi tutto ciò che si chiede a un buon crime drama.

Slender Man, recensione dell’horror di Sylvain White

Slender Man, recensione dell’horror di Sylvain White

In uscita il 6 settembre, Slender Man non è certo il primo tentativo di portare il mitologico personaggio su grande (e piccolo) schermo.

Dopo una serie di corti, film indipendenti, documentari e due videogiochi di grande successo, anche Hollywood ha ceduto al fascino della creepypasta più famosa del web.

Per i non addetti ai lavori, una “creepypasta” è una leggenda metropolitana nata e sviluppatasi nel web, attraverso le menti degli utenti e la trasmissione orale. Nello specifico il personaggio di Slender Man (letteralmente “Uomo Esile”) fu ideato da Victor Surge (alias Erik Knudsen) durante un concorso fotografico online per il sito Something Awful, dove si incoraggiavano gli utenti a modificare talune fotografie immettendovi, con photoshop, dei particolari macabri.

La figura di questo inquietante personaggio altissimo, magro e senza volto che si accinge a rapire dei bambini innocenti, vinse il primo premio del contest e si diffuse in un baleno in tutto internet, incontrando un grande successo di pubblico.

Nella speranza di cavalcarne l’onda favorevole, Sony e Screen Gems ne hanno tratto un lungometraggio horror di stampo molto classico, e se vogliamo piuttosto démodé. Sì perché Slender Man– diretto dal regista televisivo Sylvain White – si caratterizza anzitutto per avere un’impostazione ormai vetusta. La struttura della trama guarda più agli horror anni ’90 che a quelli contemporanei. Il cinema dell’orrore attuale è stato decisamente rivoluzionato, a favore di nuove soluzioni stilistiche e visive. Basti pensare ai recentissimi capolavori come A Quiet Place, Hereditary e Get Out. Per non parlare dell’intero microcosmo del terrore creato da James Wan.

Invertendo questa positiva rotta, Slender Man sceglie la soluzione più banale, e mette in atto un film con quattro adolescenti (tutte neo promesse di Hollywood) che, presa visione di un filmato maledetto online, ne divengono ossessionate e quindi perseguitate (in quanto ignare, si vede, della stranota saga di The Ring). Se si escludono un paio di soluzioni stilistiche niente affatto banali (si veda il finale, nello specifico), la storia manca di cuore e originalità.

Il pubblico non gradisce (in America il film è già uscito da circa un mese) e la noia, dovuta al vuoto pneumatico di idee, è palpabile più della nebbia che avvolge le apparizioni dello Slenderman.

Peccato. Perché l’idea di partenza consentiva lo sviluppo di sottotrame molto interessanti, a partire dal fatto – nel film appena accennato – che il personaggio dell’incantatore e rapitore di bambini esiste fin da tempi lontani. Dal Großmann della mitologia tedesca fino al Pifferaio di Hamelin, il materiale da cui attingere non era poco.

Invece Slender Man di Sylvain White sceglie di concentrarsi sulle vicende delle quattro liceali e i relativi sconvolgimenti psicologici, ricordando troppo da vicino le pericolose ossessioni collettive come la ormai famosa Blue Whale Challenge, che hanno portato alla morte diversi ragazzi di tutto il mondo.

Forse per questo motivo, la produzione Sony e la Screen Gems si sono sentite in dovere di moderare la promozione e le pubblicità inerenti al film, memori delle azioni giudiziarie ancora in corso contro la creepypasta in questione. Nel solo 2014, negli Stati Uniti, sono avvenuti diversi casi di aggressioni e tentato omicidio nei quali gli adolescenti coinvolti erano ossessionati dal personaggio mitologico di Slenderman.

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