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Martin Scorsese e i film Marvel, ecco la risposta degli sceneggiatori di Endgame

Martin Scorsese 2019
Foto di Aurora Leone © Cinefilos.it

Le recenti dichiarazioni di Martin Scorsese sui film Marvel hanno scatenato una serie di reazioni polemiche (molte delle quali animate dalla totale mancanza di comprensione del vero significato di quelle parole) e spinto diverse personalità legate al mondo dei cinecomic a rispondere con toni molto più pacati (vedi Bob Iger o James Gunn).  Gli ultimi a commentare sono stati gli sceneggiatori di Avengers: Endgame sul red carpet dei Governors Awards ieri sera, difendendo i progetti a cui hanno lavorato per quasi dieci anni.

Tutti hanno diritto alla loro opinione” hanno spiegato Christopher Markus e Stephen McFeely a Variety, “Chiaramente questo film – Endgame – ha raggiunto un gran numero di persone e ne ha soddisfatte altrettante, e questo in un modo che non si vedeva da tempo. Se questo non è cinema…È un’esperienza collettiva, emotiva, che abbraccia tutto il mondo. Inoltre Hollywood è una realtà inclusiva per varie persone e c’è spazio per ogni genere di film o pubblico.

Martin Scorsese e i cinecomic: ecco la verità

Questi blockbuster, i cinecomic, sono parchi a tema, anche se molti sono realizzati davvero bene“, aveva dichiarato il regista in una recente intervista con Entertainment Weekly, chiarendo una volta per tutte la sua posizione per nulla “ostile” contro questa tipologia di prodotto. “È una forma differente di cinema o una nuova forma. Speriamo ci siano cinema che mostrino anche film che non siano di quel genere“.

Interessante anche il pensiero di Olivier Assayas, espresso pochi giorni fa durante la Festa del cinema di Roma, che ha posto l’accento sulle differenze tra fonte originale e film e offerto un punto di vista alternativo a quello di Martin Scorsese: Penso che i film Marvel, e lo dico da lettore e appassionato di fumetti, abbiano smarrito tutto quello che mi piaceva di quelle storie, dalla violenza al sesso, dalla vita all’originalità, che non vedo mai in queste produzioni. Non mi piacciono perché artisticamente e visivamente mi sembrano molto poveri, si assomigliano tutti e ho difficoltà a identificarmi con personaggi come Captain America o Thor”.

Leggi anche:

Fonte: Variety

 
 

Avengers: Endgame, una morte alternativa per Iron Man

iron man avengers: engame

La morte di Iron Man in Avengers: Endgame è il coronamento di un’esperienza cinematografica lunga dieci anni, il sigillo sulla vita di un eroe che ha faticato a diventarlo e che poi ha dato tutto per il bene del mondo. Insomma, con il sacrificio di Tony Stark per battere Thanos, siamo dalle parte del momento iconico.

Secondo Jeff Ford, il montatore del film, la scena finale è passata attraverso numerose versioni, prima di diventare quella definitiva che abbiamo visto in sala. Parlando con Collider ha detto: “Quando stavamo mettendo insieme la fine del film, quando abbiamo girato l’ultimo momento di Tony, abbiamo girato un sacco di opzioni alternative. Robert aveva idee diverse … Gli abbiamo dato spazio per farlo. Joe e Anthony sono molto bravi ad improvvisare e così abbiamo girato diverse volte la scena con alternative, alcune delle quali davvero folli. Alcune non le vedremo mai.” Ha spiegato.

Ha continuato dicendo che la sua versione preferita prevedeva che Thanos e Iron Man non dicessero nulla e si scambiassero invece solo uno sguardo, prima della fine. Tuttavia, è stato deciso che il Titano Pazzo aveva bisogno che il tema dell’ineluttabilità, che si era portato dietro per tutto Avengers: Infinity War, trovasse un posto anche nella sua ultima scena.

Per fortuna questa decisione ci ha dato modo di assistere a quel “Io sono Iron Man” che tanto ci ha fatti piangere ed emozionare.

Un anno dopo la folle corsa agli Oscar di Black Panther (il primo cinecomic della storia ad essere candidato nella categoria Miglior Film capace di conquistare ben tre statuette) Disney e Marvel Studios lanciano ufficialmente la campagna a sostegno di Avengers: Endgame.

Film evento del decennio, Avengers: Endgame è riuscito in un’impresa che sembrava impossibile: ricapitolare un discorso narrativo iniziato nel 2008 da Iron Man riunendo sul grande schermo tutti i personaggi del Marvel Universe. Gli incassi hanno premiato lo studio di Kevin Feige, raggiungendo e superando in cima alla classifica Avatar di James Cameron.

Nel cast del film Robert Downey Jr.Chris HemsworthMark RuffaloChris EvansScarlett JohanssonBenedict Cumberbatch, Don Cheadle, Tom HollandChadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth Olsen, Anthony MackieSebastian Stan, Letitia Wright, Dave Bautista, Zoe Saldana, Josh Brolin, Chris Pratt, Jeremy Renner, Evangeline Lilly, Jon Favreau, Paul Rudd, Brie Larson.

 
 

Light of My Life: recensione del film di Casey Affleck #RomaFF14

Light of My Life

Si apre con una favola della buonanotte il film Light of My Light, scritto, diretto e interpretato dal premio Oscar Casey Affleck. Una favola raccontata ancor prima che venga svelato il contesto in cui ci troviamo e chi siano i due protagonisti che vediamo sullo schermo. All’interno di questo racconto, apparentemente banale, che un padre fa al figlio, si racchiude il senso del film. E ben presto scopriamo che quel figlio è in realtà una figlia, forse l’ultima femmina rimasta sulla terra.

Presentato nella sezione “Panorama Internazionale” di Alice nella Città, durante la Festa del Cinema di Roma, il film è l’esordio alla regia di un film di fiction dell’attore. Già autore del mockumentary Joaquin Phoenix – Io sono qui!, Affleck stavolta si confronta con una storia dal sapore intimo, ambientata nella cupa atmosfera di un mondo post-pandemico, dove una pestilenza ha sterminato in maniera quasi totale il genere femminile. Un padre (Casey Affleck) e una figlia di nome Rag (Anna Pniowsky) cercano allora di sopravvivere nascondendosi nei boschi, lontano dagli uomini divenuti ormai esseri pericolosi. Proteggere sua figlia da questo contesto è l’unico obiettivo dell’amorevole papà.

Light of My Life, un film sul delicato rapporto tra padre e figlia

Le prime inquadrature, fisse, del film si protraggono per diversi minuti, dilatando un tempo che viene completamente riempito dalla parola e dalla presenza dei due attori protagonisti. Attraverso questa scelta stilistica Affleck sembra anticipare la sua intenzione di non realizzare un classico survival movie, bensì un film che sfrutta la sua ambientazione come un pretesto per raccontare una storia intima come quella del rapporto tra un padre e sua figlia. Ognuna delle peripezie vissute dai due appaiono infatti come dei processi di crescita, che portano a maturare il loro rapporto all’interno della narrazione.

Non ci si imbatte dunque in sequenze d’azione o in momenti particolarmente incisivi, bensì nel solidificarsi di un rapporto in un suo delicato momento di passaggio. Dai tentativi del padre di intrattenere la figlia fino ai primi discorsi sul sesso e sulle mestruazioni, si esplora in modo spontaneo, e di conseguenza impacciato, la natura di questo legame, che all’occorrenza può tingersi anche di sangue. Nei momenti di maggior crisi, infatti, il padre protagonista non esiterà a passare dalla tenerezza alla violenza, dimostrando un innato istinto di protezione nei confronti della propria bambina.

Ed è proprio nel momento in cui entra in gioco la lotta per la sopravvivenza che Affleck rivolta il punto di vista adottato fino ad ora dal film. Richiamando la favola raccontata ad inizio film, dove originariamente il protagonista era un personaggio femminile poi posto in secondo piano da uno maschile, ci si rende conto che Light of My Life non è la storia di un padre che protegge la figlia, bensì della figlia che diventa grande a tal punto da diventare in grado di prendersi cura del proprio padre. Un risvolto emozionante, che trova nello sguardo duro e amorevole della giovane Anna Pniowsky la sua miglior conclusione.

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 Una metafora sul ruolo della donna

La sceneggiatura scritta da Affleck si dimostra più elaborata di quello che potrebbe apparire. La messa in scena fatta di tempi distesi e riflessivi non deve infatti ingannare. Se da una parte si tende a costruire il già citato rapporto tra padre e figlia, dall’altro emerge inaspettatamente una riflessione sul ruolo della donna. Sempre racchiusa nella favola raccontata ad inizio film, vi è infatti l’usurpazione da parte dell’uomo di una storia originariamente pensata per una donna. Affleck sembra sottolineare, attraverso questa metafora, di come la predominanza dell’uomo sia ormai divenuta pericolosamente tossica. Non è dunque un caso il contesto del film, dove il genere femminile è completamente scomparso o esistente solo nel fuori campo dell’inquadratura.

Potrebbe sembrare un discorso buonista, ma la bravura di Affleck sta nel non ostentarlo. Questo raggiunge lo spettatore in modo indiretto, sulla base di riflessioni riguardanti la natura del film e la sua costruzione. Un film non privo delle classiche tappe del genere, che rischiano di rendere ripetitiva e appesantita la narrazione, ma che riesce a dar vita ad una propria originalità. Come già evidenziato, non è ciò che accade in torno ai personaggi ciò che realmente conta, quanto ciò che accade dentro di loro e tra di loro.

 
 

Festa del Cinema di Roma 2019, red carpet: Viola Davis

Viola Davis
Foto di Aurora Leone © Cinefilos.it

È stata Viola Davis il super ospite che ha chiuso, nella serata di sabato, la Festa del Cinema di Roma 2019, l’edizione numero 14 della kermesse capitolina dedicata al cinema e agli spettatori.

Ecco le immagini dal red carpet su cui la Davis ha sfilato per ritirare il suo premio alla carriera e incontrare il pubblico dell’Auditorium:

 
 

“Il silenzio è una lingua universale”, Jia Zhang-Ke e Zhao Tao per al pubblico #RomaFF14

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Figura portante della sesta generazione del cinema cinese, il regista Jia Zhang-Ke è stato protagonista, insieme alla moglie e attrice Zhao Tao, di un incontro ravvicinato con il pubblico all’interno della Festa del Cinema di Roma. Per questa occasione, la coppia è stata intervistata riguardo gli esordi nell’industria cinematografica, arrivando poi a parlare nel dettaglio dei film che li hanno resi celebri.

“Dall’inizio degli anni novanta mi sono avvicinato al mondo del cinema. – esordisce Jia Zhang-KeA quel tempo c’era un grande fervore all’interno dell’industria cinematografica cinese. In quel periodo, attraverso le opere della quinta generazione di registi, mi resi conto di come il cinema poteva essere un strumento di incredibile valore. Decisi così di dedicarmi a quest’arte, ma c’era solo un modo per farlo, ovvero entrare all’accademia del cinema di Pechino.”

“Sono nato alla fine della rivoluzione culturale che si diffuse in Cina tra gli anni sessanta e settanta. – continua il regista – Questo ha permesso l’arrivo nel Paese di alcuni film stranieri che mi segnarono profondamente. Il primo fu senz’altro Ladri di Biciclette, di Vittorio De Sica. Non mi era mai capitato di vedere protagonisti di un film dei ladruncoli, come quelli che potevo incontrare abitualmente per le strade della mia città. Erano personaggi di vita quotidiana, e pur appartenenti ad una cultura diversa li sentivo a me particolarmente vicini.”

Il regista passa poi a raccontare delle prime difficoltà incontrate nel realizzare i suoi primi film. Più di una volta infatti si è trovato ostacolato dalla censura ancora vigente negli anni novanta. “All’epoca in Cina c’erano soltanto sedici studi cinematografici, ed erano tutti a gestione pubblica. Pertanto era difficile che questi permettessero di raccontare storie di ladri, di gente ai margini, insomma storie di vita quotidiana. Mi resi conto che fare i film che volevo era più difficile del previsto. Perciò intrapresi la strada dei film indipendenti, trovando i mezzi e i metodi per esprimere le mie idee.”

Jia Zhang-Ke passa poi a raccontare dell’incontro con Zhao Tao, divenuta attrice dei suoi film, musa ispiratrice e sua moglie. “Il mio secondo film si intitolava Platform. Per poter girare questo film mi occorreva un’attrice protagonista che corrispondesse ai miei criteri. Occorreva infatti che sapesse parlare il dialetto della provincia di cui sono originario, perché desideravo girare lì il film. Dopo alcune ricerche, incontrai proprio Zhao Tao.”

“Capii che era perfetta per i miei film quando durante il set decisi di non seguire più il copione, che non trovavo più soddisfacente, e di proseguire sulla base di un improvvisazione il più spontanea possibile. La spontaneità per me è tutto. Tao seppe adattarsi senza problemi a tutto ciò, anzi in più di un’occasione mi aiutò a gestire e indirizzare il film sulla strada giusta.”

È poi proprio l’attrice a raccontare dal proprio punto di vista l’incontro che le cambiò la vita: “Ero terrorizzata quando Jia mi scelse per il suo film. Non avevo mai recitato prima, non sapevo cosa mi aspettasse. Però decisi di provare, ed evidentemente il mio non essere professionista si sposò a meraviglia con la sua ricerca di spontaneità. La collaborazione si rivelò così un successo.”

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Il regista spiega poi la sua attrazione per gli attori non professionisti, particolarmente ricorrenti all’interno dei suoi film. “Ci sono diversi motivi per cui preferisco lavorare con attori non professionisti. Il primo è che voglio che recitino in dialetto. La Cina è un paese grandissimo, con numerosissimi dialetti. Si tendeva però a recitare esclusivamente in cinese mandarino così da poter essere compresi in ogni angolo del Paese.”

“Questo però non faceva per me, io volevo che si usassero i dialetti e le loro sottili sfumature. Ciò poteva essere ottenuto solo con attori non professionisti. Un altro motivo è che questi sanno essere spontanei, sono dotati di una naturalezza tipica della vita quotidiana. Con loro posso poi sapere se la sceneggiatura è sufficientemente realistica o se ha bisogno di essere modificata. Anche i movimenti di macchina sono dipendenti dai loro movimenti naturali, non il contrario. Tutto deve mirare ad una sincera fedeltà della vita a cui si assiste ogni giorno per strada.”

A prendere la parola è poi nuovamente Zhao Tao, che racconta dell’esperienza avuta sul set italiano del film Io sono lì, girato nel 2011 dal regista Andrea Segre. Per la sua interpretazione nel film l’attrice ha vinto un David di Donatello come miglior attrice protagonista. “Fino a quel momento le mie esperienze cinematografiche si limitavano ai film di Jia, e lui raramente lavora con una sceneggiatura. Per cui ero spaventata dal dovermi confrontare con un metodo diverso di regia.”

“Con Andrea facemmo prove per un mese intero. Era un lavoro completamente diverso da quello a cui ero abituata, ma mi permise di entrare in stretto contatto con gli altri attori, finendo con il sentirmi sempre meno una straniera. Alla fine quel mese di prove, unito alla recitazione spontanea a cui ero abituata, si combinarono particolarmente bene e riuscì a dar vita ad un mio metodo, fatto di preparazione ma allo stesso tempo di naturalezza.”

Per concludere l’incontro, l’autore cinese parla di uno dei temi più ricorrenti nel suo cinema: quello del silenzio. “Il silenzio per me è la lingua che contiene il maggior numero di informazioni. Questo è legato anche ad una caratteristica tipica del popolo cinese e di come esprimono o meno i propri sentimenti. L’abitudine, nel parlare di questi, è quella di rimanere in silenzio, e fare in modo che siano gli altri a cercare di comprenderne il contenuto. Quello che tento di fare è portare sullo schermo questo particolare modo di esprimersi. Il non detto è fondamentale, permette agli altri, agli spettatori, di cercare una spiegazione tramite le proprie emozioni. Solo così può crearsi un’interazione attiva con il film.”

 
 

Festa del Cinema di Roma 2019: Santa subito vince il “Premio del Pubblico BNL”

Santa subito

Santa subito di Alessandro Piva si aggiudica il “Premio del Pubblico BNL” alla quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma.

Il “Premio del Pubblico BNL”, in collaborazione con il Main Partner della Festa del Cinema, BNL Gruppo BNP Paribas, è stato assegnato dagli spettatori che hanno espresso il proprio voto sui film in programma nella Selezione Ufficiale utilizzando myCicero (attraverso l’app ufficiale della Festa del Cinema, Rome Film Fest, realizzata da Pluservice), e sul sito della Festa.

SINOSSI

Bari, fine anni ‘80. Santa ha poco meno di vent’anni e come ogni ragazza custodisce sogni e apprensioni, che affida al suo diario. Nel suo cuore ardono fede cristiana e fame di vita: è ferma nel voler assecondare la sua vocazione spirituale, non prima però di aver conseguito la laurea, come ha concordato con i suoi. Qualcuno però si intromette tra Santa e le sue aspirazioni. Un uomo incrociato per caso negli ambienti parrocchiali prende a farle appostamenti, a inviarle lettere deliranti, a pedinarla ovunque per tre lunghi anni, proseguendo di fatto indisturbato nonostante le ripetute denunce. Il 15 marzo del 1991 tredici coltellate mettono fine alla vita di Santa. Si sarebbe potuto evitare un epilogo come questo?

NOTE DI REGIA

Sono venuto a conoscenza della vicenda di Santa Scorese nel corso di un evento pubblico al quale era intervenuta Rosa Maria, sua sorella, della quale mi aveva colpito soprattutto la riflessione conclusiva: Santa non è stata l’unica vittima di quella tragedia. In un’ammirevole presa d’atto, Rosa Maria notava come il persecutore di sua sorella poteva essere messo per tempo in condizione di non nuocere agli altri e a se stesso. Le istituzioni dell’epoca si fecero però trovare impreparate ad affrontare temi quali la violenza di genere e lo stalking, lasciando di fatto spazio a un finale già scritto. Ho deciso così di raccontare questa storia attraverso le voci di amici e parenti di Santa, chiedendo loro di parlarne come fosse ancora in vita, tornando agli anni in cui progettava il suo futuro. Il racconto vira di tono nel momento in cui irrompe la figura del persecutore e il racconto dei protagonisti si fa dolente e partecipe. Questa storia è dedicata proprio a chi rimane solo con il suo dolore, dopo lo sgomento di un lutto subitaneo e assurdo. Tra femminicidio e martirio, Santa subito racconta la storia di un destino annunciato. Paradigma di troppe altre storie dallo stesso finale: il mio piccolo, personale appello affinché le donne siano lasciate meno sole, quando si ritrovano in balìa di una psicosi travestita da amore.

BIOGRAFIA

Alessandro Piva arriva alla regia attraverso un percorso da fotografo, montatore e sceneggiatore. Per i suoi lavori come documentarista gli sono stati riconosciuti il Premio Libero Bizzarri e una Menzione Speciale Premio Fedic a Venezia, insieme a una nomination ai David di Donatello. Come regista di cinema ha all’attivo quattro lungometraggi: LaCapaGira, presentato al Festival di Berlino, vincitore di numerosi premi tra i quali il David di Donatello e il Ciak d’Oro 2000; Mio cognato, presentato al Festival di Locarno, tre candidature ai Nastri d’Argento 2004; Henry, presentato al Festival di Torino 2010, Premio del Pubblico; Milionari, presentato alla Festa del Cinema di Roma, una candidatura ai Nastri d’Argento 2016.

 
 

Star Wars: L’ascesa di Skywalker, le previsioni per il destino dei personaggi

star wars the rise of skywalker

Manca ormai poco più di un mese all’uscita di Star Wars: L’Ascesa di Skywalker e i tempi sono maturi per fare qualche previsione sul film che chiuderà la saga familiare e sui protagonisti. Quale sarà il loro destino al termine di Episodio IX? Cosa possiamo aspettarci?

Ecco le teorie:

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Rey Skywalker

Da quando l’abbiamo incontrata in Il Risveglio della Forza, Rey ha subito una notevole trasformazione: la ragazza figlia di nessuno, abitante vagabonda del pianeta Jakku, è ora la figura più importante della Resistenza e ultimo e unico Jedi della galassia, per quanto ne sappiamo. Nel trailer di Episodio IX la vediamo lottare con tutta se stessa…forse il lato oscuro riuscirà a corteggiarla, o forse questa eroina è davvero destinata alla luce…non lo sapremo fino a dicembre!

Leggi anche – Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, tutti i segreti del trailer finale

Fonte: Screenrant

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Share: recensione del film di Pippa Bianco #RomaFF14

Share

Esiste una legge invisibile tra gli adolescenti di oggi ritratti in Share di Pippa Bianco, che se da una parte giustifica ogni azione, soprattutto le più disdicevoli, dall’altra stipula in loro una sorta di tacito accordo per cui chi parla è un traditore. Mandy (Rhianne Barreto) ha sedici anni e si risveglia sul vialetto di casa senza ricordare nulla della sera precedente, ma le abrasioni che trova sul suo corpo e un video inviatole dai compagni di scuola sono la testimonianza di un abuso incosciente; decide così di confessare l’accaduto ai genitori, e avendo “tradito” quel patto si trasforma nella colpevole da perseguitare. Questo vuol dire che nel momento in cui diventi l’eccezione, sei fregata. Non è forse la più grande contraddizione del nostro tempo, l’omologazione nel senso più malato e negativo?

Nel 2019 il cinema documenta la vita che a sua volta viene già documentata da telefoni cellulari in nome di una condivisione ossessiva, svuotata di significato, come lo erano le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza dei giovani ladri di Bling Ring di Sofia Coppola: la verità è ormai un’idea da plasmare a seconda del momento e delle necessità, e sta all’arte – attraverso lo sguardo degli autori – trovare una guida nel buio. E’ ciò che riesce abbastanza bene alla giovane regista ampliando il tema dell’omonimo cortometraggio con un ritmo riflessivo, per niente martellante, dove la tensione drammatica non viene mai suggerita da esplosioni verbali o scene madri quanto invece dal dialogo tra personaggi e lunghi silenzi. Il tono sembra volutamente dimesso nel film della Bianco, che fin dalla prima scena induce lo spettatore a perdere l’orientamento: chi ha lasciato la ragazza in quello stato, cosa è successo, chi guida la macchina, chi è l’autore dei video virali?

Share: il potere dello sguardo e il vuoto della generazione Z

Ma questa è anche un’opera in grado di contemplare, evitando il giudizio, il vuoto pneumatico della generazione z poco consapevole delle proprie scelte, che spesso non prende sul serio alcune decisioni (giuste o sbagliate), riflettendo al tempo stesso sull’idea di voyeurismo e sul consumo che ne deriva, accessibile a tutti tramite dispositivi di uso quotidiano e incontrollato. E in contrasto con la normale programmazione di HBO – che produce insieme a A24 e che di recente ha lanciato Euphoria, il suo teen drama formalmente provocatorio e artisticamente rilevante per un’infinità di ragioni (la Bianco ha diretto un episodio), Share è un oggetto di studio contenuto, quasi minimale per le scelte fotografiche e scenografiche. Niente viene esplicitato (la violenza ripresa dagli smartphone, il sesso fuori campo) ma reso espressivo attraverso l’agonia interiore della sua protagonista.

Interessante il modo in cui vengono mostrati i genitori, che non sono archetipi dell’universo teen, o peggio, dei conservatori eredi di un cinema d’altri tempi: il padre non riesce a comprendere pienamente il comportamento di sua figlia, come quando le dice “Non credi di essere uscita abbastanza?” mentre più tardi si riscatterà con grande tatto; la madre invece riassume in poche frasi il peso del trauma alludendo ad abusi subiti e denunciando come in passato le donne non avessero tutti i mezzi necessari per ribellarsi e denunciare il sistema. L’ultima inquadratura, a detta della Bianco, è aperta a interpretazioni: forse è vero che la maggior parte delle aggressioni a quell’età sono compiute con le migliori intenzioni, o almeno non consapevolmente, ma di certo gesta del genere non devono restare impunite. Ognuno ha le sue colpe e le sue responsabilità, e c’è un mondo intorno che potrebbe testimoniare il vero (cellulari, persone, memoria), eppure Share sceglie di mostrare solo quello “interno” alla mente di Mandy, di cui otteniamo la sua verità, i suoi pensieri, la sua anima. Share andrà in onda in prima tv su Sky Cinema Due il prossimo 6 novembre alle 21.15.

 
 

Avengers: Endgame, la storyline cancellata del Vice Presidente

Avengers: Endgame

Nonostante siano passati diversi mesi dall’uscita in sala di Avengers: Endgame, il film evento per i Marvel Studios e per milioni di fan in tutti il mondo non ha ancora svelato tutti i suoi segreti.

In un’intervista con ComicBook.com, uno dei due sceneggiatori del film, Christopher Markus ha rivelato il potenziale cambio di ruolo di Rhodey / War Machine nei progetti iniziali del film:

“L’abbiamo eliminato perché non aveva peso per la storia, ma credo che durante una bozza, nel salto di cinque anni, Rhodey sia diventato vicepresidente.” Ha anche spiegato che nessuna delle decisioni prese in Infinity War o Endgame è stata presa in modo da rendere un servizio alle storie future dell’MCU, spiegando quindi che per loro Endgame è stato davvero un punto di arrivo, e che il futuro è tutto da scrivere.

Un anno dopo la folle corsa agli Oscar di Black Panther (il primo cinecomic della storia ad essere candidato nella categoria Miglior Film capace di conquistare ben tre statuette) Disney e Marvel Studios lanciano ufficialmente la campagna a sostegno di Avengers: Endgame.

Film evento del decennio, Avengers: Endgame è riuscito in un’impresa che sembrava impossibile: ricapitolare un discorso narrativo iniziato nel 2008 da Iron Man riunendo sul grande schermo tutti i personaggi del Marvel Universe. Gli incassi hanno premiato lo studio di Kevin Feige, raggiungendo e superando in cima alla classifica Avatar di James Cameron.

Nel cast del film Robert Downey Jr.Chris HemsworthMark RuffaloChris EvansScarlett JohanssonBenedict Cumberbatch, Don Cheadle, Tom HollandChadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth Olsen, Anthony MackieSebastian Stan, Letitia Wright, Dave Bautista, Zoe Saldana, Josh Brolin, Chris Pratt, Jeremy Renner, Evangeline Lilly, Jon Favreau, Paul Rudd, Brie Larson.

 
 

Alice nella città 2019: Lorenzo Mattotti vince per la migliore regia, tutti i premiati

Lorenzo Mattotti La famosa invasione degli Orsi in Sicilia

Sono stati consegnati oggi i premi di Alice nella città 2019 che quest’anno ha registrato una crescita esponenziale dei numeri: + 26 % di biglietti emessi a fronte dell’aumento della capienza delle sale che dai 199 posti del 2018 ha raggiunto i 456 posti del 2019 (380 posti per la Sala Alice TIMVISION e 126 posti per la Sala Raffaella Fioretta). Un aumento sostanziale dell’affluenza del pubblico di Alice che ha registrato il tutto esaurito a quasi tutti gli eventi in programma.

La giuria di Alice ha decretato i vincitori di questa edizione annunciando oggi il Premio al Miglior Film, alla Miglior Regia e il Premio Speciale della giuria.

Il premio per il MIGLIOR FILM è andato a “THE DAZZLED” di Sarah Suco con la seguente motivazione: “per la capacità di raccontare una storia cruda e coinvolgente, attenta ai dettagli di una realtà tragica, cogliendo al tempo stesso in modo intelligente le sfumature comiche di una vita imprigionata. Un film travolgente che emoziona e fa riflettere su un contesto lasciato spesso in ombra, qui descritto dalla luce accecante di una lotta interiore verso la salvezza”.

Vince il PREMIO ALLA MIGLIOR REGIA a Lorenzo Mattotti per “LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA “con la seguente motivazione: “una favola senza tempo destinata ad adulti e bambini raccontata con efficacia, delicatezza e maturità. Una regia che eredita lo straordinario talento compositivo delle illustrazioni di Lorenzo Mattotti ed immerge lo spettatore nella magica Sicilia di Buzzati”.

Il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA è andato a “SON-MOTHER” di Mahnaz Mohammadi “per la messa in scena lucida e partecipe di emozioni profonde e coinvolgenti, calate in una dimensione di denuncia culturale, sociale e politica. Un film in cui l’assenza di parole è un urlo alla libertà d’espressione”.

Il PREMIO TIMVISION è andato a “CLEO” di Eva Cools che sarà possibile vedere in esclusiva sulla piattaforma. Questa la motivazione: “Cleo è un film drammatico e autentico che sceglie la strada più difficile per raccontare l’elaborazione del lutto e il senso di colpa incrociando sullo stesso piano la vittima e il carnefice. Le atmosfere malinconiche di Bruxelles scandite dalla musica di Segej Rachmaninov contribuiscono a rendere il tutto ancora più sospeso e introspettivo”.

TUTTI I PREMI DI ALICE NELLA CITTA’:

MIGLIOR FILM
The Dazzled di Sarah Suco

MIGLIOR REGIA
Lorenzo Mattotti per La Famosa Invasione degli Orsi in Sicilia

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
Son-Mother di Mahnaz Mohammadi

PREMIO RAFFAELLA FIORETTA PER IL CINEMA ITALIANO – ROMA LAZIO FILM COMMISSION
Buio di Emanuela Rossi

PREMIO TIMVISION
Cleo di Eva Cools

PREMIO RBCASTING
Beatrice Grannò per Mi chiedo quando ti mancherò di Francesco Fei

PREMIO DO RISING STAR AWARD
Anna Franziska Jaeger per Cleo

MENZIONE SPECIALE PER L’INTERPRETAZIONE
Nora Stassi per L’Agnello

PREMIO PIETRO COCCIA PER LA FOTOGRAFIA
Tullio Trotta

PREMIO INSTANT STORIES CINEMOTORE ALLA SCENEGGIATURA
Marcello Giovani per Bang Bang

PREMIO LOTUS AL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
3 sleeps di Christopher Holt

PREMIO MYMOVIES OPERA PRIMA
Cleo di Eva Cools

 
 

Carrie Fisher: una biografia non autorizzata crea polemiche

Carrie fisher

C’è una biografia non autorizzata di Carrie Fisher che il padre di Billie Lourd, Bryan Lourd, non approva. Fisher è morta il 27 dicembre 2016, quattro giorni dopo essere stata colpita da un infarto mentre viaggiava da Londra a Los Angeles.

Carrie Fisher ha lottato tutta la sua vita adulta con le dipendenze da sostanze, e questa sua lotta privata la formata anche caratterialmente, tanto che era nota ed è ricordata anche per il suo carattere pungente e il suo modo di fare molto schietto.

Onestà e gentilezza l’hanno resa una delle persone più amate di Hollywood e l’hanno consolidata come una sorta di modello per le persone alle prese con problemi simili. La biografia non autorizzata di Bryan Lourd ha ora acceso i riflettori sulla vita privata di Carrie Fisher, di nuovo, in un modo che secondo Billie, sua figlia, la madre non avrebbe approvato.

Bryan Lourd ha affermato di non dell’esistenza di Carrie Fisher: Life on the Edge di Sheila Weller fino a quando non ne ha letto in un articolo del Los Angeles Magazine. Ha rilasciato una dichiarazione a Deadline con la quale disconosce il contenuto del libro:

Una persona di nome Sheila Weller si è impegnata a vendere e scrivere una biografia non autorizzata basata sulla madre di mia figlia, Carrie Fisher. Non conosco la signora Weller. Billie non conosce la signora Weller. E, per quanto ne so, Carrie non la conosceva. La signora Weller ha venduto questo libro da sola senza il nostro coinvolgimento.

Per tutti i fan e gli amici di Carrie, ho pensato che fosse necessario che si conoscessero queste informazioni prima di decidere di acquistare questo libro o di considerare ciò che verrà detto nelle prossime interviste con la stampa che Weller farà mentre cerca di venderlo. Per essere chiari, non ho letto il libro. Gli unici libri su Carrie Fisher che vale la pena leggere sono quelli scritti da Carrie. Ci ha detto perfettamente tutto ciò che dovevamo sapere.

Da parte sua, Weller ha risposto alla dichiarazione di Lourd dicendo al Los Angeles Times che aveva contattato il rappresentante della famiglia Fisher per informarli del libro e ottenerne l’approvazione, e che “era stata respinta – ma in un email gentile – la prima volta, e poi re-inviata più tardi. I miei due tentativi non hanno avuto risposta.”

La prossima e ultima apparizione di Carrie Fisher al cinema sarà con Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, in cui la principessa/generale Leia tornerà con del materiale d’archivio girato da J.J. Abrams in occasione delle riprese di Episodio VII. Nessuno ha mai avuto il desiderio di ricostruire in digitale il volto e le espressioni di Carrie Fisher, per cui sarà interessante vedere in che modo il materiale d’archivio sia stato modellato per la storia.

 
 

Thor: Love and Thunder sarà “più rumoroso ed esplosivo” di Ragnarok

In molti ancora non si capacitano che i Marvel Studios abbiano accettato di affidare a Taika Waititi il terzo capitolo della storia cinematografica del Dio del Tuono, ma sembra che Thor: Love and Thunder rappresenterà uno step successivo, ancora più selvaggio e irriverente.

A dichiararlo è Taika Waititi in persona, alle prese con la promozione del suo ultimo film, la satira anti-nazista Jojo Rabbit. Il regista ha parlato con Wired del suo coinvolgimento nel progetto Marvel Studios, dopo il successo delle precedenti collaborazioni, e ha dichiarato:

“Sarà più grande, più rumoroso e più esplosivo. Per me è interessante solo se la posta in gioco è raddoppiata, rispetto a quanto fosse già pazzo Ragnarok.” Sappiamo quindi che dovremo aspettarci grandi cose.

Per quanto riguarda invece chi ha timore che Waititi possa snaturare troppo la storia dei fumetti che vede invece Jane Foster alle prese con un tumore al seno, possiamo mettere sul tavolo il fatto che le recensioni di Jojo Rabbit parlano di un film irriverente e folle, ma anche molto dolce e commovente, elementi che quindi il regista si dimostra capace di maneggiare.

Thor: Love And Thunder, spiegati i motivi del ritorno di Natalie Portman

Thor: Love and Thunder è il titolo ufficiale del quarto capitolo sulle avventure del Dio del Tuono nel MCU, ma ad impugnare il Mjolnir stavolta sarà Jane Foster, interpretata di nuovo da Natalie Portman, come confermato sabato durante il panel dei Marvel Studios al Comic-Con.

Taika Waititi tornerà alla regia di un film dei Marvel Studios dopo Thor: Ragnarok, così come Chris Hemsworth e Tessa Thompson riprenderanno i rispettivi ruoli di Thor e Valchiria dopo l’ultima apparizione in Avengers: EndgameL’ispirazione del progetto arriva dal fumetto The Mighty Thor, descritto da Waititi come “la perfetta combinazione di emozioni, amore, tuono e storie appassionanti con la prima Thor femmina dell’universo“.

L’uscita nelle sale è fissata invece al 5 novembre 2021.

Thor: Love and Thunder, le domande sul MCU a cui il film potrebbe rispondere

 
 

No Time to Die: concluse le riprese di Bond 25

No Time to Die

Si sono ufficialmente concluse le riprese di No Time to Die, il Bond 25 che segna l’ultima volta di Daniel Craig nei panni di James Bond.

A comunicare ufficialmente la notizia è stato l’account Twitter ufficiale del film che ha pubblicato una foto che ritrae il protagonista Craig, accanto al regista, Cary Fukunaga, che ha assunto la regia del film dopo l’abandono di Danny Boyle. Fukunaga è, ad oggi, l’unico regista non britannico ad aver diretto un film della serie.

Il film, atteso nelle sale l’8 aprile 2020, vede nel cast anche Ralph Fiennes (M), Naomie Harris (Eve Moneypenny), Ben Whishaw (Q), Rory Kinnear (Bill Tanner) e Jeffrey Wright (Felix Leiter). Le new entry del cast sono invece Rami Malek, Billy Magnussen, Lashana Lynch e Ana de Armas.

Vi ricordiamo che la produzione ha assunto Phoebe Waller-Bridge per “ravvivare” lo script di Bond 25 sotto speciale richiesta di Craig, grande fan di Fleabag e Killing Eve, le due serie prodotte e scritte dall’attrice. Era dal 1963 (l’ultima fu Johanna Hardwood con Dr. NoFrom Russia With Love) che la casa di produzione non assumeva una donna per dare voce ai personaggi del franchise, una scelta oggi più che mai “rilevante”.

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Martin Scorsese e i cinecomic: ecco la verità

Martin Scorsese The Irishman
Foto di Aurora Leone © Cinefilos.it

Ci è voluta un’intervista di Entertainment Weekly e parecchi giorni di sterile polemica per permettere a Martin Scorsese di trovare “giustizia” e di far sì che tutti capissimo qual è il cuore della questione intorno alle sue dichiarazioni relative al cinecomic Marvel.

Il regista ha infatti rilasciato una lunga intervista al magazine in cui spiega chiaramente la sua posizione, che era manifesta sin dall’inizio ma che il “gioco del telefono” che spesso si fa on-line ha fatto passare per battute e parole differenti, naturalmente estrapolate dal contesto.

Ecco cosa ha detto Martin Scorsese sui cinecomic Marvel a EW:

“Questi blockbuster, i cinecomic, sono parco giochi, anche se molti di questi sono fatti molto bene. È una forma differente di cinema o una nuova forma. Speriamo ci siano cinema che mostrino anche film che non siano di quel genere.E se non lo fanno, i registi devono rivolgersi allo streaming: cambia sicuramente l’esperienza, ma l’alternativa è che tra due-tre anni non si facciano più film come il mio. Un bravo regista che viene dall’Italia o dalla Francia che va all’estero non può fare nessun film all’infuori di un franchise”.

La posizione è chiara: non si tratta di un moto contro quei film, ma un monito all’industria e alla sala, alla distribuzione, affinché il cinema possa essere preservato anche nella sua forma tradizionale, ovvero quella legata allo storytelling.

Il regista era stato molto chiaro già alla Festa del Cinema di Roma 2019, dove aveva parlato effettivamente di un problema di distribuzione e di spazio, giustificando così il suo stesso rivolgersi a Netflix per la produzione di The Irishman (qui il resoconto dell’incontro).

The Irishman recensione – leggi tutto

La diatriba “grandi registi contro cinecomic Marvel” dunque non sussiste in questi termini ma è senz’altro un discorso interessante da affrontare da un punto di vista industriale e distributivo, senza che l’esistenza dei blockbuster Marvel minacci quella dei film di narrazione e d’autore e senza che le due categorie di cinema (diversissime tra loro) si ostacolino e si annullino a vicenda.

 
 

Very Ralph: il doc HBO su Ralph Lauren in onda il 16 novembre

Very Ralph

Presentato in anteprima alla quattordicesima edizione Festa del Cinema di Roma, sabato 16 novembre alle 21.15 arriva in prima visione assoluta su Sky Arte Very Ralph, il documentario HBO realizzato sullo stilista Ralph Lauren, inventore di un marchio che ha definito lo stile americano.

Prodotto e diretto da Susan Lacy, vincitrice di Emmy e produttrice di titoli come Jane Fonda in Five Acts e Spielberg, Very Ralph cerca di raccontare l’uomo che si cela dietro l’icona della moda e uno dei più grandi brand di successo nella storia della fashion industry. Con un’innata abilità di convertire i suoi sogni in realtà, Ralph Lauren ha trasformato le sue aspirazioni in un impero mondiale e multimilionario, diventando la prova vivente dell’ottimismo americano e dell’American Dream. Per più di cinquant’anni egli ha celebrato l’iconografia dell’America ridefinendone lo stile, traducendo la sua visione e la sua ispirazione in uno dei brand più conosciuti al mondo.

Very Ralph: il documentario

Nel documentario Very Ralph, alla vigilia del suo sessantesimo anno di attività, Lauren riflette sul suo viaggio da quando era un giovane ragazzo del Bronx che non sapeva cosa fosse uno stilista, fino a diventare l’emblema dello stile americano in tutto il mondo. Nel corso del film condivide alcuni aspetti inediti della sua vita e del suo lavoro e racconta, durante diverse interviste, la sua infanzia, i suoi cinquant’anni di matrimonio, gli albori della sua società di moda, le sue reazioni alle critiche, le sue creative campagne pubblicitarie e la sua visione pioneristica della moda. Lauren è stato infatti il primo stilista a creare una linea completa dedicata alla vita di tutti i giorni e a portarla nelle case; uno dei primi a sapersi contraddistinguere nel mondo della moda e in quello della pubblicità e infine il primo stilista ad aver creato delle catene di abbigliamento all’avanguardia capaci di trasformare l’esperienza stessa dello shopping.

Il documentario offre inoltre una vera e propria full immersion nell’archivio del marchio, con interviste alla sua famiglia, ai colleghi di vecchia data e agli esponenti più influenti del fashion biz come Anna Wintour, Karl Lagerfeld, André Leon Talley, Hillary Clinton, Jason Wu, Naomi Campbell, Martha Stewart, Calvin Klein, Diane von Furstenberg, Tyson Beckford, Tina Brown, Jessica Chastain, Vanessa Friedman e Paul Goldberger.

Very Ralph è un documentario prodotto e diretto da Susan Lacy; trasmesso da HBO arriva in Italia in esclusiva su Sky Arte (canale 120 e 400 di Sky) sabato 16 novembre alle 21.15 ed è disponibile on demand su Sky e NOW TV.

 

 
 

Joker: Ryan Reynolds si congratula a nome Deadpool, Gesù e Pennywise

Ryan Reynolds

Joker è ufficialmente il film con un rating R che ha incassato di più nella storia del cinema. Il film con Joaquin Phoenix ha stabilito un nuovo record mondiale, battendo sia Deadpool, che deteneva quel record, sia Deadpool 2, che seguiva.

Il film di Todd Phillips è arrivato a circa 771 milioni in tutto il mondo, una cifra davvero incredibile per un film vietato alla fascia di pubblico più giovane, che costituisce a tutti gli effetti la linfa vitale del film in sala.

In risposta a questo successo economico del film, che molto probabilmente corrisponderà a un successo anche nella prossima stagione dei premi, Ryan Reynolds, protagonista dei due film su Deadpool e noto a tutti per il suo spirito provocatorio e irriverente, ha “ringraziato” il film Joker da parte di tutti i protagonisti di film campioni di incassi e con un Rating R.

Ecco di seguito il tweet di Reynolds che scomoda, oltre al “suo” Deadpool, anche Neo di Matrix, Pennywise il Clown di ITHugh Jackman per Logan, il Branco in riferimento a Una notte da Leoni Parte II, persino il Gesù de La passione di Cristo, ma anche Mr. Grey di Cinquanta sfumature e l’orsacchiotto Ted, dell’omonimo film.

Ecco l’immagine:

Leggi la recensione di Joker

Joker diretto da Todd Phillips vede nel cast Joaquin PhoenixZazie BeetzFrances ConroyBrett CullenDante Pereira-OlsonDouglas Hodge e Josh Pais ed è arrivato nelle sale il 4 ottobre 2019. Contrariamente alle altre apparizioni del personaggio nei Batman di Tim Burton, nella trilogia del Cavaliero Oscuro di Christopher Nolan e in Suicide Squad, il film è ambientato negli anni Ottanta e racconta l’evoluzione di un uomo ordinario e la sua trasformazione nel criminale che tutti conosciamo.

Da sempre solo in mezzo alla folla, Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) desidera ardentemente che la luce risplenda su di lui. Cercando di cimentarsi come comico di cabaret, scopre che lo zimbello sembra invece essere proprio lui. Intrappolato in un’esistenza ciclica sempre in bilico tra apatia, crudeltà e, in definitiva, tradimento, Arthur prenderà una decisione sbagliata dopo l’altra, provocando una reazione a catena di eventi.

Ho amato il Joker di The Dark Knight, e anche quello di Jared Leto di Sucide Squad che è venuto dopo, così come il ritratto di Jack Nicholson“, ha dichiarato Phillips parlando dei possibili riferimenti alle vecchie versioni del clown principe del crimine e dell’eredità che il suo Joker si porta dietro. “Negli Stati Uniti, i fumetti sono il nostro Shakespeare, e come esistono varie versioni dell’Amleto, così noi potremmo offrire varie versioni di Joker in futuro.” “Onestamente non riusciamo ancora a credere alla vittoria di Venezia. Ci vorrà del tempo per realizzare“, ha commentato il regista nell’intervista con Variety.

Joker: tutti gli indizi per un possibile sequel

 
 

Pirati dei Caraibi: il creatore di Chernobyl scriverà il reboot

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La notizia viene riportata in esclusiva dall’Hollywood Reporter: il riavvio del franchise di Pirati dei Caraibi è ufficiale e a scrivere il nuovo capitolo saranno il “veterano” Ted Elliott e il creatore della pluripremiata serie Chernobyl Craig Mazin. Lo scorso febbraio era stato confermato l’addio al progetto, che vi ricordiamo sarà orfano di Jack Sparrow, dei due sceneggiatori Rhett Reese Paul Wernick.

Mesi fa era stato lo stesso Bailey a dichiarare sempre all’Hollywood Reporter che l’idea dello studio era quella di “Portare nuova energia e vitalità al pubblico”. Del reboot sappiamo che è stata esclusa la presenza di Johnny Depp, e che quindi il personaggio di Sparrow potrebbe essere sostituito in cabina di comando da una piratessa che ne possa ricalcare lo stile e la fama. Il suo nome, secondo alcune voci, corrisponderebbe a Reed, l’ultimo arrivo nel parco a tema di Disneyworld.

Jerry Bruckheimer dovrebbe tornare al timone come produttore. Elliott ha già firmato la storia di La maledizione della prima luna e delle tre successive pellicole Dead Man’s Chest, At World’s End e On Stranger Tides con l’allora partner Terry Rossio.

Pirati dei Caraibi: 10 curiosità sul franchise con Johnny Depp

Fonte: THR

 
 

Where’s My Roy Cohn?, recensione del doc di Matt Tyrnaure #RomaFF14

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Criptico, scaltro e manipolatore, Roy Cohn è stato una delle figure di spicco del mondo della politica americana dagli anni cinquanta agli anni ottanta. Con il documentario Where’s My Roy Cohn?, diretto dal giornalista e documentarista Matt Tyrnaure, e presentato alla Festa del Cinema di Roma, si riporta alla luce una figura ancora oggi di difficile comprensione nelle sue numerose sfaccettature. Una figura forse poco conosciuta al di fuori dei confini statunitensi, ma che ha contribuito a ridefinire il modo di fare politica a livello mondiale.

Il film ripercorre in ordine cronologico i principali casi a cui si lega il nome di Cohn, dalla condanna a morte per spionaggio contro i Rosenberg alla battaglia anticomunista della commissione McCarthy e sino agli anni in cui divenne avvocato di Donald Trump. Costruito sulla base di interviste a conoscenti, parenti e studiosi, ma anche e soprattutto con materiali d’archivio come vecchi filmati, interviste televisive, immagini e registrazioni, si arriva a delineare un profilo della controversa figura in questione. Il ritratto di Cohn diventa inoltre l’occasione per ricostruire le origini della destra reazionaria contemporanea.

Where’s My Roy Cohn?, attaccare per non essere attaccato

È affascinante ritrovare nel modo di comunicare di Cohn molto dell’attuale linguaggio politico. Un linguaggio aggressivo, intimidatorio, costruito sull’utilizzo spietato del proprio potere. Da ciò che il documentario permette di apprendere, infatti, Cohn ha sempre aspirato ad ottenere il controllo di quanto lo circondava, ponendosi sempre in una situazione di superiorità rispetto all’altro.

Il suo motto era “attaccare per non essere attaccato, non chiedere mai scusa, negare sempre anche davanti alle prove evidenti”. Durante la sua intera vita ha infatti portato avanti con convinzione queste leggi morali, che sa da una parte gli hanno permesso di diventare uno dei più temuti avvocati e strateghi politici, dall’altra lo hanno reso spesso vulnerabile, vittima delle sue stesse menzogne.

Quello di Tyrnauer è un ritratto tutt’altro che neutrale, che mira a mostrare i numerosi aspetti malvagi del personaggio attraverso una sorta di processo postumo. Per quanto classico nella forma e nella struttura, il documentario pone l’accento su precisi dettagli della vita di Cohn, assumendo toni particolarmente incisivi. Per la negatività suscitata dal personaggio, sembrerebbe quasi di star guardando un thriller, alla ricerca dell’indizio che possa smascherare una personalità tanto corrotta come quella dell’avvocato in questione. Nei suoi occhi, in quello sguardo vitreo, in molti affermano infatti sia possibile rintracciare pura malvagità.

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Where’s My Roy Cohn?, ritratto avvincente della vita pubblica e privata

Nel suo ritrarre sotto più punti di vista Cohn, il regista si concentra soprattutto nella scelta di materiali volti a svelarne tanto la vita pubblica quanto quella privata. Oltre ai numerosi casi di cui si è reso protagonista, preponderante è l’aspetto legato all’omosessualità sempre negata di Cohn. Anche attraverso il suo rapporto con questa è possibile conoscere meglio il suo modo di pensare.

Anche sotto il profilo della vita privata si ottengono notevoli sorprese. Se in pubblico Cohn amava dare un’idea composta di sé, nel privato viveva in modo dissoluto. Una dissoluzione che tuttavia gli si è ritorta contro in modo definitivo nel momento in cui contrae l’AIDS, da lui negato fino alla morte.

Per svelare poi l’ombra ancora oggi presente di Cohn sull’attualità, il documentario mostra i suoi rapporti con Donald Trump, e di quanto questi abbia appreso dall’avvocato la spregiudicatezza con cui oggi è celebre. Pur se il coinvolgimento emotivo dello spettatore appare limitato, la condanna portata avanti nel film risulta chiara. Nuovamente viene ribadito quanto il potere nelle mani sbagliate possa essere pericoloso, e Roy Cohn ne è un esempio perfetto.

 
 

Waves, recensione del film di Trey Edward Shults #RomaFF14

Waves don’t die, le onde non muoiono, canta Kanye West nella decima traccia di The Life of Pablo, un album che parla di fede, famiglia e del ruolo dell’uomo nero nel mondo occidentale, oscillando tra spavalderia e frammentarietà fino a sconfinare nella paranoia. La copertina, guarda caso, spicca su una delle pareti della camera da letto di Tyler, il protagonista del terzo lungometraggio di Trey Edward Shults: una rappresentazione chiara dell’idea di successo e onnipotenza perpetuata dal rapper di Atlanta e di un nuovo modello di giovane afroamericano che avanza sotto il segno del privilegio e della ricchezza conquistate grazie al sudore dei genitori.

Tyler vive in una grande villa, è la stella della squadra di wrestling della scuola, ha una bellissima ragazza e i capelli tinti di biondo (tanto per ribadire il bisogno di paragonarsi ai bianchi e il fatto che non esiste più differenza), ma per qualche motivo deve continuamente dimostrare e provare agli altri che quel successo è meritato. Una vita apparentemente perfetta può essere distrutta per sempre? Proprio come le onde, quando pensi che si siano ritirate, ne arrivano altre più violente che cancellano ogni cosa.

Waves, tra teen drama e tragedia familiare

Dopo l’intimo ritratto familiare di Krisha (2015) e l’horror postapocalittico di It comes at night (2027), Shults alza la posta in gioco e punta all’impresa, girando un film lunghissimo, con cambi di formato e punti di vista che vuole essere un commento sull’empatia e sull’ interconnessione della natura umana. Siamo davvero tutti parte di un disegno e le decisioni che prendiamo, giuste o sbagliate, influenzano l’esperienza delle persone intorno a noi?

Waves è racconto universale e cronaca privata, che inizia nei classici – ma anche distorti – schemi del teen drama, girato come una puntata di Euphoria, per poi diventare tragedia familiare, e similmente alla serie di Sam Levinson, la forma, la musica e l’estetica riflettono uno stato d’animo e sono un mezzo per restituire le gioie e i dolori dei personaggi. I paesaggi sensuali della Florida, la gioventù, l’entusiasmo, un infortunio, la fidanzata incinta, il futuro che va a rotoli: c’è un film su Tyler e un film su coloro che proveranno ad andare avanti.

Waves “verso” la meraviglia

La sicurezza con cui il regista gira e, attraverso il montaggio e le note di Trent Raznor e Atticus Ross (più brani del già citato Kanye West, Kendrick Lamar, Radiohead e Frank Ocean), introduce la sequenza d’apertura è da brividi. Un disagio misto a eccitazione di movimenti senza tregua che cresce preannunciando guai; come se volesse riprodurre il rumore dell’onda che va a infrangersi sullo scoglio, o farci sentire in bilico a bordo di uno strapiombo con la voglia di spiccare il volo.

Shults fa girare vorticosamente la macchina da presa, ci investe della rovina del protagonista che è causa del suo male e di quello che arreca al padre, alla matrigna, alla sorella, e fino a quando mantiene l’attenzione su di lui, Waves viaggia sui binari della meraviglia (e “verso” la meraviglia, citando il titolo dell’opera del maestro che l’ha tenuto a battesimo sul set, Terrence Malick). Lentamente, quando si apre ad altre prospettive giocando con i formati, perde il focus e sfalda la tensione costruita fino a quel punto, tra strascichi del cinema di Barry Jenkins e la volontà di osare senza avere ancora la maturità per toccare la cima.

 
 

The Vast of Night, recensione del film di Andrew Patterson #RomaFF14

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La camera da presa esce con eleganza dalla centralina telefonica dove lavora la giovane Fay e si muove indipendente e minacciosa tra le strade della silenziosa città. La sua corsa appare inarrestabile, animata di vita propria, accompagnata da una cupa e incalzante colonna sonora. Con grande virtuosismo entra all’interno di una palestra dove si svolge un importante partita di pallacanestro.

Si sofferma per qualche istante su questa. Poi, oltrepassando una finestra, è di nuovo è sulla strada. Presenza inquieta ed inquietante, si dirige senza sosta alla stazione radio dove incontriamo Everett, l’altro protagonista di The Vast of Night. Basterebbe questo straordinario piano-sequenza a raccontare tutto del film dell’esordiente Andrew Patterson.

Presentanto al Festival di Toronto, e successivamente nella sezione “Tutti ne parlano” della Festa del Cinema di Roma, il film porta un chiaro omaggio alla serie televisiva di culto Ai confini della realtà e ai racconti fantascientifici dello scrittore H. G. Wells, costruendo da queste basi propria originalità e forte attrattiva. Protagonisti del film sono Fay (Sierra McCormick) e Everett (Jake Horowitz), i quali durante una sera d’estate, mentre gli abitanti di Cayuga sono radunati per una partita di pallacanestro, scoprono sulle onde radio della cittadina una misteriosa e agghiacciante frequenza. I due inizieranno così ad investigare sulla sua origine, cambiando per sempre le loro esistenze.

The Vast of Night: si ha più paura di ciò che si sente ma non si vede

Il film diretto da Patterson dimostra profonda devozione verso quell’immaginario fantascientifico edificato nel corso degli anni cinquanta tramite il cinema, la letteratura e la televisione. Lo dimostra a tal punto da introdurre la macchina da presa, e con lei lo spettatore, proprio all’interno di un televisore d’epoca, il quale trasmette un programma fantascientifico la cui puntata del giorno porta lo stesso titolo della pellicola.

Da qui ha inizio il film, costruito attraverso una messa in scena che mira a tenere lo sguardo dello spettatore costantemente stregato dallo schermo, stordito dai rapidi scambi di battute e i dispersivi spostamenti nello spazio. Il regista utilizza la camera per pedinare i suoi personaggi, con una costruzione dell’inquadratura che suggerisce davvero la presenza di un occhio esterno che osserva gli eventi da lontano. Qualcosa di invisibile, percepibile soltanto attraverso l’udito.

Si entra nel vivo nel momento in cui la giovane Fay, al lavoro nella sua postazione di centralinista, scopre la misteriosa frequenza, ricevendo inoltre numerose chiamate di persone allarmate da qualcosa avvistato nel cielo. Con un unico, lungo, primo piano della ragazza in ascolto, e senza mostrare altro che questo, il regista riesce a costruire un crescente senso di inquietudine ed oppressione. Non si vede nulla, ma è ciò che sentiamo a rendere il tutto più vivo e minaccioso.

Un trucco particolarmente vincente, accentuato dal contrasto tra l’ambiente cupo e ristretto nel quale si trovano i protagonisti, e noi con loro, in confronto alla vastità degli spazi aperti e dell’intero universo. Una costruzione della messa in scena che il regista ripropone più volte in modi sempre nuovi. Passando la palla da Fay ad Everett, è ormai indubbio il ruolo privileggiato riservato all’atto dell’ascoltare, a cui si affiancano idee di regia in grado di aggiungervi valore.

Dall’interno della stazione radio si concretizza il terrore che sempre più si fa spazio nella storia, rivisitato attraverso il media della radio e del suo potenziale, ben noto già ad Orson Welles quando nel 1938 terrorizzò gli USA con la sua realistica lettura del romanzo La guerra dei mondi.

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The Vast of Night, l’esordio di un talento da tenere d’occhio

È indicativo come proprio nel momento in cui la minaccia acquisisce un nome, “le persone dal cielo”, essa diventi progressivamente meno inquietante. Nell’avvicinarsi al finale, diventando sempre più concreta, questa sembra perdere quell’aura di mistero che l’aveva caratterizzata fino a quel momento. Una risoluzione inevitabile forse, che mantiene ad ogni modo il suo fascino pur sgonfiando in parte quanto fino a quel momento costruito.

Ciò tuttavia non intacca il valore del film. Impreziosito anche dalle ottime prove attoriali dei due protagonisti, nella sua interezza The Vast of Night dimostra le capacità narrative e di costruzione dell’immagine di Patterson. Un talento capace di prendere una storia tutt’altro che originale e di renderla tale, tanto da un punto di vista visivo quanto uditivo.

 
 

Ron Howard: intervista al regista del documentario su Pavarotti

In occasione della presentazione alla Festa del Cinema di Roma 2019, ecco la nostra intervista a Ron Howard, regista di Pavarotti, il documentario sulla leggenda della lirica mondiale.

Pavarotti è il secondo documentario che il regista premio Oscar Ron Howard dedica a grandi miti della musica. Nel 2016 era toccato ai Beatles, con The Beatles: Eight Days a Week – The Touring Years, mentre viene ora presentato alla quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma il film sulla vita del celebre tenore italiano.

Tra i temi centrali del film vi è quello della famiglia, grande e insostituibile valore nella vita di Pavarotti, che nel film appare ricorrente attraverso interviste alle due mogli e alle tre figlie. “La storia della famiglia è la chiave del film, quella con cui è possibile identificarsi di più. Questa gli ha dato tutto, e lui si è sempre speso molto per i suoi cari. Era un uomo generoso, ma portava negli occhi anche il dolore per la convinzione di non essere stato il padre che avrebbe voluto essere. Credo che da simili sofferenze possa nascere la vera arte, e Pavarotti ne è un esempio perfetto.”

Pavarotti, il documentario evento sulla superstar internazionale che ha trasformato il mondo dell’Opera, arriverà nei multisala The Space Cinema solo per tre giorni il 28, 29 e 30 ottobre. Lo speciale contenuto racconta la storia, la voce, i segreti che hanno reso Luciano Pavarotti una leggenda, ripercorrendo il suo incredibile percorso, da figlio di un fornaio a stella dei palcoscenici mondiali capace di trasformare per sempre l’universo operistico.

Il documentario firmato dal regista premio Oscar Ron Howard, è realizzato con filmati inediti e immagini delle performance più iconiche del tenore che offrono un ritratto intimo ed emozionante dell’artista e dell’uomo, diventato il più amato cantante d’opera di tutti i tempi con oltre 100 milioni di dischi venduti nel corso della sua carriera. Ron Howard ha scelto un approccio intimo per raccontare la storia del tenore andando oltre l’iconica figura pubblica per svelare l’uomo. Grazie all’accesso esclusivo agli archivi di famiglia e al vasto materiale musicale ripreso dal vivo, il documentario evento fa emergere la storia personale dell’artista e attraverso le immagini e la musica di Pavarotti, gli spettatori viaggeranno in tutto il mondo in compagnia del tenore conoscendo l’artista sensibile e l’uomo.

 
 

Suicide Squad: David Ayer rivela i look inediti di Margot Robbie

margot robbie

Arrivano direttamente da David Ayer alcuni scatti inediti di Margot Robbie nei panni di Harley Quinn e scartati dalla versione finale di Suicide Squad, il cinecomic del 2016 che ha definitivamente consacrato l’attrice australiana. Il regista ha infatti diffuso tramite il suo profilo Instagram alcune foto che la ritraggono con i costumi del personaggio poco prima dell’inizio della lavorazione del film.

Secondo Ayer, i look “fanno parte di un vasto processo di trucco e guardaroba che ha visto Margot sopportare tentativi ed errori infiniti per arrivare al perfetto aspetto finale di Harley.

Margot Robbie tornerà nei panni di Harley Quinn in Birds of Prey, spinoff diretto da Cathy Yan in arrivo nelle sale il 7 febbraio 2020. Nel cast anche Mary Elizabeth Winstead, Jurnee Smollett-Bell (rispettivamente Cacciatrice e Black Canary), Rosie Perez (Renee Montoya) e Ella Jay Basco (Cassandra Cain). Ewan McGregor interpreta invece uno dei due principali villain del film, Maschera Nera, alter ego di Roman Sionis. Chi conosce i fumetti lo ricorderà come uno dei più grandi nemici di Batman (negli anni Ottanta esplose proprio come nemesi del Cavaliere Oscuro) nonché temibile boss mafioso di Gotham City.

Leggi anche – Birds Of Prey: tutti gli easter egg presenti nel trailer

La prima sinossi del film riporta: Dopo essersi separata da Joker, Harley Quinn e altre tre eroine – Black Canary, Cacciatrice e Renee Montoya – si uniscono per salvare la vita della giovane Cassandra Cain da un malvagio signore del crimine.

Prossimamente sarà invece sul set di The Suicide Squad, riavvio della celebre Task Force della DC Comics affidato a James Gunn con alcuni membri del cast originale e moltissimi volti nuovi. Della trama sappiamo pochissimo, così come sono ancora da definire i personaggi che figureranno in questa elettrizzante avventura.

Vi ricordiamo che il cast ufficiale di The Suicide Squad comprende i veterani Margot Robbie (Harley Quinn), Viola Davis (Amanda Waller), Joel Kinnaman (Rick Flag) e Jai Courtney (Captain Boomerang) insieme alle new entry Idris Elba, Michael Rooker, Peter Capaldi, Nathan Fillion, Sean Gunn, David Dastmalchian, Storm Reid, Taika Waititi and John Cena. Other cast additions include Pete Davidson, Juan Diego Botto, Joaquin Cosio, Flula Borg, Tinashe Kajese, Jennifer Holland, Julio Ruiz, Alice Braga, Steve Agee e Daniela Melchior.

 
 

Nova poteva essere in Infinity War e Endgame

Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame hanno visto riuniti sul grande schermo quasi tutti i personaggi dell’universo cinematografico Marvel introdotti da Iron Man del 2008 fino a oggi. Tra questi, uno molto atteso dai fan avrebbe potuto debuttare proprio nel corso di questi due film, come rivelato di recente dagli sceneggiatori Christopher Markus e Stephen McFeely, ovvero Richard Rider aka Nova.

Nel grande manifesto che avevamo realizzato per Infinity War e Endgame c’era ogni possibile trama che avrebbe offerto uno sguardo su tutto ciò che ruotava intorno all’universo, il che includeva Nova e il supercomputer senziente di Xandar Worldmind” raccontano Markus e McFeely. “Eravamo diretti in quella concezione, con Nova che sarebbe stato l’araldo, non diversamente da Hulk, sostituendo Silver Surfer, come unico membro dei Nova Corps che sopravviveva all’attacco di Thanos. La Worldmind sarebbe stata doppiata da Glenn Close e Richard Rider sarebbe poi arrivato sulla terra.

Negli ultimi mesi si è parlato spesso del possibile arrivo di Nova nel MCU, suggerito anche dalle parole del presidente dei Marvel Studios Kevin Feige a proposito dei piani sul personaggio, e da quanto riportato dal sito MCU Cosmic in via non ufficiale, sembrerebbe tutto pronto per accogliere il razzo umano nella Fase 5 insieme a Blade, Fantastici Quattro e X-Men.

Leggi anche – Nova: il personaggio debutterà nella Fase 5 del MCU?

A quanto pare un adattamento interamente dedicato a Richard Rider è in sviluppo da diversi anni, ma le fonti non specificano se si tratterà di un film o di un’altra serie televisiva destinata a Disney +. Per ora sappiamo che l’unico titolo confermato per la prossima Fase dell’universo cinematografico è Black Panther 2, che uscirà nelle sale il 6 maggio 2022.

Vi ricordiamo che un dettaglio presente in una scena di Spider-Man: Far From Home aveva in qualche modo anticipato il discorso su Nova e sulla sua “esistenza” nel MCU, perché sull’aereo che porta Peter Parker e i compagni a Venezia uno dei documentari selezionabili riportava il nome del personaggio con una locandina che presentava la foto del fisico Erik Selvig (interpretato da Stellan Skarsgård).

Che si trattasse di un semplice easter egg o di un’anticipazione dell’arrivo del film resta un mistero, tuttavia è evidente che i Marvel Studios amano seminare nel corso dei loro cinecomic piccoli indizi su storie e personaggi dei fumetti, alcuni dei quali nemmeno sfruttati in futuro. Tempo fa era stato lo stesso Feige a rivelare che Richard Rider figurava tra i supereroi con il “potenziale più immediato” per via della sua connessione con l’universo dei Guardiani della Galassia e per gli spunti interessanti provenienti dai fumetti originali.

Fonte: Comicbook

 
 

MCU: 10 crossover che vorremmo vedere al cinema

Spider-Man Daredevil

La Fase 4 del MCU è alle porte, come l’arrivo delle serie di Disney + che connetteranno ancora di più i vari personaggi e rispettivi universi. E se questa fosse l’occasione giusta per avviare i tanto amati crossover, facendo incontrare supereroi del piccolo schermo come Daredevil e del grande schermo come Spider-Man?

Ecco quelli che vorremmo vedere sviluppati in futuro:

1Phil Coulson e gli Avengers

captain marvel

L’agente Phil Coulson è morto davanti ai Vendicatori nel film del 2012, e nessuno di loro sa come ha fatto il personaggio a sopravvivere e a tornare al lavoro con lo S.H.I.E.L.D. Questo universo si merita una degna risposta e una conclusione che dia a Coulson i riflettori che gli spettano.

Leggi anche – Marvel: 10 personaggi delle serie Netflix che vorremmo nel MCU

Fonte: Screenrant

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Avengers: Infinity War, ecco la scena con Cap che non vedremo mai

chris evans captain america

La versione homevideo di Avengers: Infinity War presentava, nella sua ricca selezione di extra, anche diverse scene eliminate, tuttavia grazie ai commenti degli sceneggiatori del film Christopher Markus e Stephen McFeely, abbiamo scoperto che per per l’epica anticamera di Endgame erano state scritte altre sequenze mai girate dai fratelli Russo perché giudicate poco in linea con il tono generale. Tra queste una contemplava addirittura l’apparizione del Tribunale Vivente, l’entità onnipotente che nei fumetti viene incaricata dal Supremo di controllare e mantenere l’equilibro tra le diverse realtà che costituiscono il multiverso Marvel.

Quella di cui hanno parlato di recente Markus e McFelly con David Griffin di IGN riguarda invece Captain America e i Secret Avengers, comparsi all’inizio del film:

L’abbiamo scritta, ma non l’abbiamo girata. Era parte integrante di tutto ciò che ritenevamo sbagliato, in termini di tempo, sul riprendere le sorti dei personaggi prima dell’arrivo di Thanos. Fondamentalmente era una scena con Vedova Nera, Falcon e Cap che si nascondevano dopo la guerra civile e avevano appena combattuto contro dei criminali, con Steve che mangiava purè di patate e Sam che gli diceva ‘Stai perdendo sangue nel tuo purè’. Ricordo che Kevin Feige ci disse che quella frase era troppo…

Avengers: Infinity War, l’omaggio ai fumetti dei Guardiani che non avete notato

CORRELATI:

Un anno dopo la folle corsa agli Oscar di Black Panther (il primo cinecomic della storia ad essere candidato nella categoria Miglior Film capace di conquistare ben tre statuette) Disney e Marvel Studios lanciano ufficialmente la campagna a sostegno di Avengers: Endgame.

Film evento del decennio, Avengers: Endgame è riuscito in un’impresa che sembrava impossibile: ricapitolare un discorso narrativo iniziato nel 2008 da Iron Man riunendo sul grande schermo tutti i personaggi del Marvel Universe. Gli incassi hanno premiato lo studio di Kevin Feige, raggiungendo e superando in cima alla classifica Avatar di James Cameron.

Nel cast del film Robert Downey Jr.Chris HemsworthMark RuffaloChris EvansScarlett JohanssonBenedict Cumberbatch, Don Cheadle, Tom HollandChadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth Olsen, Anthony MackieSebastian Stan, Letitia Wright, Dave Bautista, Zoe Saldana, Josh Brolin, Chris Pratt, Jeremy Renner, Evangeline Lilly, Jon Favreau, Paul Rudd, Brie Larson.

Fonte: IGN

 
 

Zombieland: Doppio Colpo, il regista ha un’idea per lo spinoff

Dieci anni dopo l’uscita del primo film, Ruben Fleischer è tornato dietro la macchina da presa di Zombieland – Doppio Colpo, il sequel che vede di nuovo protagonisti Emma Stone, Woody Harrelson, Jesse Eisenberg e Abigail Breslin più la new entry Zoey Deutch. E proprio riguardo l’ultima arrivata nel cast, il regista sembrerebbe aver sviluppato già un’idea per un potenziale spinoff del franchise dedicato al suo personaggio, la svampita e divertente Madison.

Questo è ciò che ha raccontato Fleischer in un’intervista con l’Hollywood Reporter:

Mi piacerebbe realizzare un film indipendente su Madison. Quindi credo non ci resti che scrivere la storia. Sarebbe una cosa interessante da scoprire, anzi, penso che in realtà sarebbe stata ottima per la scena post-credits in cui Madison e Berkeley si trovano a Babilonia e si comportano in modo piuttosto stupido insieme.

Come svelato dalle recensioni della stampa americana, il film prevede già una scena dopo i titoli di coda, di cui ovviamente non vi sveleremo il contenuto. Nel sequel faremo la conoscenza di Madison, nuova fidanzata di Columbus dopo la rottura con Wichita.

Zombieland: Doppio Colpo, ecco le prime reazioni della stampa

Diretto ancora una volta da Ruben Fleischer (Venom), Zombieland – Doppio Colpo è atteso nelle nostre sale il 14 Novembre. Nel cast torneranno i veterani Jesse EisenbergWoody HarrelsonEmma Stone e Abigail Breslin riprendendo i rispettivi ruoli del film originale, insieme a Zoey Deutch e Dan Aykroyd.

La sceneggiatura è stata firmata da Dave Callaham (Godzilla, Wonder Woman 1984) con Paul Wernick e Rhett Reese (Deadpool, Deadpool 2), mentre le riprese si sono svolte nei mesi scorsi a Los Angeles. Per quanto riguarda la trama – ancora avvolta nel mistero – sappiamo che dovrebbe riprendere le sorti dei quattro protagonisti (Columbus, Tallhassee, Witchita e Little Rock) immersi in un mondo dove l’apocalisse zombie si è evoluta.

Fonte: THR

 
 

Benedict Cumberbatch e la critica ai cinecomic: “Spero che non abbiano il monopolio”

La polemica scatenata dai commenti di Martin Scorsese e Francis Ford Coppola sui film Marvel ha provocato le risposte di tante personalità legate all’universo dei cinecomic, da James Gunn a Sebastian Stan passando per Edward Norton, con punti di vista diversi sulla questione e un ragionamento che va oltre il semplice scontro tra gusti artistici. Di recente anche Benedict Cumberbatch – Doctor Strange nel MCU – ha espresso la sua opinione in merito durante il programma radio di Jenny McCarthy:

So che ultimamente ci sono stati molti dibattiti in seguito alle dichiarazioni di grandi registi secondo i quali questi franchise cinematografici stanno prendendo il controllo di tutto. Ma fortunati noi attori che arriviamo a entrambi i tipi di varietà di produzioni con budget differenti. E sono d’accordo col dire che non è giusto che ci sia un re che monopolizzi tutto e abbia il controllo. Spero che non sia così, e da parte nostra dovremmo davvero continuare a supportare i cineasti d’autore ad ogni livello.

Cumberbatch è sembrato molto più neutrale dei colleghi, forse perché nella sua carriera è riuscito ad alternare ruoli in celebri blockbuster con altri in produzioni a basso budget e con ambizioni artistiche sicuramente lontane da quelle dei cinecomic dello studio.

L’ultimo a esporre la propria idea sulla querelle tra gli autori della New Hollywood e i titoli dei Marvel Studios è stato Olivier Assayas, ospite ieri alla Festa del Cinema di Roma, spiegando che per lui Non è tanto una questione ideologica quanto invece artistica e di gusto. Ho sempre amato il cinema popolare americano e, per semplificare il mio discorso, direi che quel cinema non è mai stato così stupido come è diventato oggi. Penso che i film Marvel, e lo dico da lettore e appassionato di fumetti, abbiano smarrito tutto quello che mi piaceva di quelle storie, dalla violenza al sesso, dalla vita all’originalità, che non vedo mai in queste produzioni. Non mi piacciono perché artisticamente e visivamente mi sembrano molto poveri, si assomigliano tutti e ho difficoltà a identificarmi con personaggi come Captain America o Thor“.

Leggi anche – Olivier Assayas sui film Marvel: “Hanno smarrito la ricchezza dei fumetti”

Fonte: Jenny McCarthy tv

 
 

Il RE: trailer italiano del film Netflix con Timothée Chalamet

Netflix ha diffuso il trailer ufficiale di Il Re, il nuovo film originale con protagonisti Timothée Chalamet, Joel Edgerton, Sean Harris, Tom Glynn-Carney, Lily-Rose Depp, Thomasin McKenzie con Robert Pattinson e Ben Mendelsohn.

Il film debutterà su Netflix dal 01 Novembre 2019.

 

Il Re, la trama

Il principe ribelle Hal (Timothée Chalamet) volta le spalle alla casa reale e vive tra la gente comune, ma alla morte del tirannico padre viene incoronato re Enrico V e non riesce più a sfuggire al suo destino. Ora il giovane re deve confrontarsi con gli intrighi di palazzo, il caos e la guerra che il padre gli ha lasciato in eredità e il passato che ritorna, in particolare nei panni del cavaliere alcolizzato John Falstaff (Joel Edgerton), suo grande amico e mentore. Diretto da David Michôd e cosceneggiato da Egerton e Michôd, IL RE ha tra i suoi interpreti Sean Harris, Ben Mendelsohn, Robert Pattinson e Lily-Rose Depp.

Diretto da: David Michôd
Scritto da: David Michôd e Joel Edgerton
Prodotto da:
Brad Pitt, Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Liz Watts, David Michôd e Joel Edgerton
Direttore della Fotografia:
Adam Arkapaw
Scenografie: Fiona Crombie
Montaggio: Peter Sciberras 

Costumi: Jane Petrie
Musiche: Nicholas Britell

Netflix è il più grande servizio di intrattenimento via Internet del mondo, con oltre 151 milioni di abbonati paganti in oltre 190 paesi che guardano serie televisive, documentari e film in un’ampia varietà di generi e lingue. Gli abbonati possono guardare tutto ciò che vogliono in qualsiasi momento, ovunque e su ogni schermo connesso a Internet. Possono mettere in pausa e riprendere la visione a piacimento, senza interruzioni pubblicitarie e senza impegno.

 
 

Olivier Assayas alla Festa di Roma: critica, serialità e Nouvelle Vague #RomaFF14

La storia del cinema francese definita da scrittori che sono poi diventati registi mi ha sicuramente influenzato, ma penso che l’esempio della Nouvelle Vague si stia perdendo: non c’è più voglia di scrivere, né di fare film“. Sarà questo il tema dell’incontro di oggi pomeriggio tra il pubblico e Olivier Assayas, arrivato nella capitale per la quattordicesima edizione della Festa di Roma; critico per i Cahiers du cinéma dal 1980 al 1985, poi autore di pellicole acclamate come Qualcosa nell’aria (Après Mai), Sils Maria e Personal Shopper (in entrambi ha diretto Kristen Stewart), Assayas parte dall’esperienza di scrittore analizzando la sua crescita personale:

Scrivevo perché volevo avvicinarmi al mezzo cinema, e per me la scrittura è stato un modo di apprendere nella miglior scuola possibile insieme alle penne meravigliose dei Cahiers. Tra loro ero il più giovane, ascoltavo e volevo capire come si faceva il cinema. Fino ad allora avevo una conoscenza molto più tecnica e pratica e poco teorica…se inizio a guardare un film in veste di regista, è un fallimento completo [ride], quando invece lo guardo con gli occhi del critico è ancora peggio. Vorrei poter essere semplicemente uno spettatore che ha il piacere di capire di cosa si sta parlando.

Ma che rapporto ha adesso con la critica? “Purtroppo la leggo raramente, perché so che influenzerebbe il mio lavoro, Credo che il cinema si debba imparare grazie alla critica e alla teoria, ma che poi bisogna liberarsene. Se realizzi un film pensando a cosa scriverà la critica sei perso… Devi sempre seguire il tuo intuito di regista, perché è ciò che ti farà andare avanti. Anche prendendo una decisione opposta a quella che i critici di aspettano da te.”

Olivier Assayas ospite della Festa del Cinema di Roma

Obbligatoria la domanda sull’eredità della Nouvelle Vague e su cosa sia rimasto del movimento. La risposta del regista è esaustiva e appassionata: “La Nouvelle Vague non ha inventato ma teorizzato la questione della libertà, definendo il fatto che un regista poteva avere la stessa libertà di uno scrittore che non bada alle regole dell’industria. Nel cinema questo concetto corrisponde alla possibilità di produrre film con meno soldi e più libertà, inventando l’arte cinematografica. E quando si parla dell’eredità del movimento, penso che abbia investito non soltanto il panorama francese, ma anche quello internazionale, nel modo in cui generazioni di registi di tutto il mondo hanno abbracciato questa idea di cinema diverso. Cosa rimane? Tutto, perché oggi io non farei film, o forse li farei in modo diverso se non ci fosse stata la Nouvelle Vague, quel sogno di cinema artistico e non industriale, e quella protezione del cinema libero.

E a chi gli chiede se abbia la critica abbia ancora un’importanza sociale e culturale per il grande pubblico, Assayas commenta che ci sono tanti modi per riflettere sull’argomento:Il primo parte dalla definizione stessa di critico, che per me differisce molto dall’opinione che ha il grande pubblico, ovvero quella figura che mette stelline e punteggi al film. La scrittura sul cinema è una cosa diversa, e in questo senso penso di essere stato maggiormente influenzato da quella tipologia di testo, cioè i saggi sul cinema, che definisco come il mezzo perfetto per far dialogare persone e arte. Oggi più che mai c’è bisogno di quel dialogo con il proprio tempo, quindi le riflessioni dei critici potrebbero aiutare i registi, perché sono letture utili e importanti.”

Assayas e il ruolo della critica ai tempi del web

Faccio una divisione netta tra la critica delle stelle alla trip advisor e quella forma di scrittura che riflette sul senso del fare cinema oggi. L’altro modo è pensare alla dimensione dell’internet, perché rispetto al passato la riflessione è migrata dalla stampa al virtuale. Si scrive molto più di cinema oggi di quanto se ne scriveva anni fa. Quando ero giovane c’era la stampa cinefila francese e la critica influente dei quotidiani come Le Monde, tutte testate culturali che dedicavano uno spazio al cinema. L’opinione generale veniva definita da riviste cinefile dove scrivevano decine di redattori, e oggi purtroppo hanno perso la loro importanza perché la scrittura è diventata accessibile, oltre che gratuita, grazie a internet, e la cultura cinematografica non è più unificata ma sempre più ampliata […]

[…] Adesso ogni individuo può costruire un rapporto specifico con il cinema ed esprimere il suo giudizio cercando sul web ciò che gli piace, i ragazzi inventano il loro rapporto con l’arte e non sono d’accordo con chi sostiene che stiamo vivendo un disastro perché gli studenti non hanno visto i film di Murnau. Sicuramente però hanno visto tante altre cose, molte di più di quante ne vedevo io alla loro età.

Non manca nemmeno l’opinione su uno dei dibattiti più accesi degli ultimi anni: è vero che la sala sta morendo e che la serialità è la forma migliore di narrazione? “Per me il concetto di sala si collega a qualcosa di primordiale, nel senso che si è sempre detto che il cinema è in crisi per colpa della televisione, mentre è evidente che non è stato così. Oggi, almeno in Francia, stanno costruendo tanti multiplex per una ragione semplice: gli spettatori sono giovani e i giovani amano l’esperienza collettiva del cinema, uscire di casa con gli amici e la forma di divertimento più accessibile e meno costosa è il cinema. Sfortunatamente questi spettatori si stanno interessando ad una forma limitata del cinema, ovvero i blockbuster e i film Marvel, le commedie o i film d’animazione, definiti come un cinema meno ambizioso artisticamente e intellettualmente.

Per quanto riguarda la serialità, la questione è più complessa. Non sono un fanatico delle serie, anzi non le guardo affatto, dunque tutto quello che dirò è limitato dalla mia ignoranza. Penso che offra la possibilità di lavorare su un formato più lungo, e la tv mi ha dato la libertà di realizzare Carlos che era un film di cinque ore e mezzo, sebbene non l’abbia mai considerato come una serie. Nello stesso modello credo rientri Fanny e Alexander di Ingmar Bergman…Però un’altra riflessione che bisogna fare è sulla dipendenza che la serialità crea negli spettatori. La ragione per cui non mi interessa e per cui non guardo molta tv. E non capisco gli amici che ne guardano tante…quando trovi il tempo per dormire, per vivere, per leggere un libro o andare ad un museo“.

Assayas sui film Marvel: “Hanno smarrito tutto quello che mi piaceva dei fumetti”

Assayas conclude esprimendo il suo personale parere sulla polemica degli esponenti della New Hollywood (Scorse e Coppola) contro i cinecomic: Per me non è tanto una questione ideologica quanto invece artistica e di gusto. Ho sempre amato il cinema popolare americano e, per semplificare il mio discorso, direi che quel cinema non è mai stato così stupido come è diventato oggi” spiega il regista francese. Penso che i film Marvel, e lo dico da lettore e appassionato di fumetti, abbiano smarrito tutto quello che mi piaceva di quelle storie, dalla violenza al sesso, dalla vita all’originalità, che non vedo mai in queste produzioni. Non mi piacciono perché artisticamente e visivamente mi sembrano molto poveri, si assomigliano tutti e ho difficoltà a identificarmi con personaggi come Captain America o Thor.

“Non riesco davvero a prenderli sul serio o a interessarmi, cosa che non succedeva quando andavo a vedere film di fantascienza da ragazzo. All’epoca mi sembravano molto più originali e complessi“, conclude Assayas. “Oggi non trovo un singolo regista che riesca a far emergere la sua voce attraverso queste pellicole. In questo senso, l’invasione nei cinema di prodotti sostenuti da una potenza economica incredibile e questo rapporto industriale di marketing sta promuovendo l’idea di un cinema che è solo prequel, sequel, spin off e universi indipendenti…Qualcosa insomma di industriale che ha anche a che vedere con la manipolazione di massa. E a parlare è un amante dei fumetti cresciuto con queste storie e appassionato del cinema popolare americano. Credo che qualcosa si sia perso lungo la strada.

 
 

Olivier Assayas sui film Marvel: “Hanno smarrito la ricchezza dei fumetti”

Ospite della Festa del cinema di Roma 2019, dove oggi pomeriggio sarà protagonista di un incontro con il pubblico, Olivier Assayas ha espresso la sua opinione in merito alla querelle scatenata dai commenti di Martin Scorsese e Francis Ford Coppola sui film Marvel, giudicati duramente dai due autori.

Per me non è tanto una questione ideologica quanto invece artistica e di gusto. Ho sempre amato il cinema popolare americano e, per semplificare il mio discorso, direi che quel cinema non è mai stato così stupido come è diventato oggi” spiega il regista francese.

Penso che i film Marvel, e lo dico da lettore e appassionato di fumetti, abbiano smarrito tutto quello che mi piaceva di quelle storie, dalla violenza al sesso, dalla vita all’originalità, che non vedo mai in queste produzioni. Non mi piacciono perché artisticamente e visivamente mi sembrano molto poveri, si assomigliano tutti e ho difficoltà a identificarmi con personaggi come Captain America o Thor“.

Non riesco davvero a prenderli sul serio o a interessarmi, cosa che non succedeva quando andavo a vedere film di fantascienza da ragazzo. All’epoca mi sembravano molto più originali e complessi“, conclude Assayas. “Oggi non trovo un singolo regista che riesca a far emergere la sua voce attraverso queste pellicole. In questo senso, l’invasione nei cinema di prodotti sostenuti da una potenza economica incredibile e questo rapporto industriale di marketing sta promuovendo l’idea di un cinema che è solo prequel, sequel, spin off e universi indipendenti…Qualcosa insomma di industriale che ha anche a che vedere con la manipolazione di massa. E a parlare è un amante dei fumetti cresciuto con queste storie e appassionato del cinema popolare americano. Credo che qualcosa si sia perso lungo la strada.