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L’amica geniale – Storia della bambina perduta: recensione episodi 3 e 4

Dopo un ritorno e un aggiustamento a causa del nuovo casting, siamo pronti a buttarci nuovamente, con familiarità e passione, nella vita di Lenù e Lila, con gli episodi 3 e 4 de L’amica geniale – Storia della bambina perduta, ultima stagione della serie che adatta la tetralogia di Elena Ferrante, famosa in tutto il mondo e già conclusa nella messa in onda per gli Usa su HBO.

L’amica geniale torna in un rione completamente cambiato

Le stagioni più felici della serie hanno visto il rione come luogo di violenza e ignoranza, ma anche posto sicuro, dove si aveva un’identità, una certezza, la possibilità di esistere in un microcosmo piccolo ma confortante. Il ritorno di Elena ai luoghi natii, nel capitolo 27, I Compromessi, la riporta in un luogo che ormai è sconosciuto. La donna ritrova la madre, la famiglia, soprattutto Lila e tutti vivono in un mondo notevolmente cambiato e reso pericoloso da una modernità, che in lì ha attecchito con il suo volto peggiore. Elena si trova catapultata, di nuovo, in un nuova vita, a fronteggiare delle circostanze impreviste, ma si ritrova anche nuovamente in compagnia (e all’ombra di) Lila. L’amica d’infanzia ha dato una svolta importante alla sua vita, diventando una donna d’affari e trovando, non capiamo ancora bene come, il modo di sovrastare il potere dei Solara, i boss di quartiere che hanno tormentato le ragazze sin da ragazzine.

Lila è ora una specie di padrona buona dei rione, una vera e propria “Madrina”, potente e ricca, spietata, ma anche buona, generosa e compassionevole, l’unica a cui rivolgersi per cercare aiuto. Una posizione che sembra sposarsi alla perfezione con le due anime della donna, che vive da sempre di contrasti, di nobiltà d’animo e cattiveria. E mentre Lila sale in considerazione agli occhi dello spettatore, Elena si confronta con la povertà delle sue scelte di vita, continua a vivere come l’amante ufficiale di Nino, lo accompagna anche alle visite domenicali in famiglia, nelle quali (orrore supremo!) Incontro di nuovo il laido Donato Sarratore, padre di Nino e, a tutti gli effetti, suo stupratore.

Il corpo come dispositivo narrativo

In queste circostanze ambivalenti, le due donne dovranno affrontare un felice imprevisto: entrambe restano incinta (di Nino e di Enzo, rispettivamente), e cominciano a condividere questo percorso trasformativo che le avvicina di nuovo, tanto che Lila diventa “la zia preferita” di Dede e Elsa.

La serie si sposta quindi di nuovo sull’importanza del corpo abitato non solo dalle donne, ma anche da quello che loro stesse generano e, di nuovo, le due amiche/nemiche non potrebbero essere più diverse nell’affrontare questo percorso (che entrambe conoscono bene, essendo già madri). Elena è contenta della sua rotondità, paziente, serena, stanca. Lila è irrequieta, senza questo nascituro come un corpo estraneo, da espellere, che “le tocca i nervi”, ovvero la infastidisce, arrivando a pensare che in lei ci sia qualcosa che non va…

Un terremoto che scopre le crepe di Lila e la solidità di Elena

La chiave di lettura di questo disagio, e dell’intera personalità di Lila, ce la offre in un momento di enorme generosità della sceneggiatura, l’episodio successivo, il capitolo 28, Terremoto. Se l’episodio precedente aveva citato la Strage di Bologna dell’estate del 1980, confermando, anche in maniera marginale, quanto L’Amica Geniale sia radicato nel suo tessuto sociale, questa seconda puntata settimanale ci porta avanti nel tempo, fino a novembre, quando ci fu il terribile Terremoto dell’Irpinia e tutta la provincia napoletane venne scossa, letteralmente, con grande violenza. Lenù e Lila sono da sole, è domenica, e le due amiche in stato avanzato di gravidanza decidono di passare un pomeriggio pigro in compagnia, a casa di Lila, al rione, fino a che la terra non comincia a tremare (un tocco di enfasi ha fatto coincidere l’inizio della prima scossa con la domanda di Elena a Lila: “Cosa sai di Nino?”).

La due donne si aiutano e si fanno forza, riescono a farsi strada fino alla strada e alla macchina, dove rimangono in cerca di riparo. E qui, Lila ha un’altra delle sue crisi, fa di nuovo esperienza di quella “smarginatura” a cui avevamo assistito nella prima stagione, quando ai suoi occhi la realtà si sfrangia, i confini delle cose si aprono e lasciano uscire la loro parte viscerare e irrazionale, e nulla ha più senso. Irene Maiorino abbraccia quindi la responsabilità di spiegare, finalmente, la natura di Lila al pubblico e anche a Elena, riportando a parole il celebre passo dei romanzi: L’unico problema è sempre stato l’agitazione della testa. Non la posso fermare, devo sempre fare, rifare, coprire, scoprire, rinforzare e poi all’improvviso disfare, spaccare.

Ma la sceneggiatura non si ferma a riportare la citazione dall’originale, va più a fondo e per molti versi spiega meglio (cosa che il libro non farà mai fino all’ultima pagina) quello che è il “mistero Lila”, in un impeto di purezza e onestà, la donna confessa all’amica: “In me il male score insieme al bene”, dimostrando così a se stessa a Elena e allo spettatore tutta la sua specialità, ma anche la sua debolezza. È un momento intimo e epifanico, in cui capiamo finalmente qual è il rapporto di forze tra le due e quanto siano indispensabili l’una all’altra per camminare dritte in un mondo continuamente spazzato dalle onde della tragedia, della violenza e della prepotenza maschile. Una prepotenza che nella sua violenza esteriore viene contrastata con fierezza da Lila, ma che nella sua violenza psicologica e subdola, rappresentata dalla stessa esistenza di Nino Sarratore (Fabrizio Gifuni), costringe ancora Lenù a soccombere.

L’Amica Geniale – Storia della bambina perduta perde anche l’ispirazione

Il guizzo di generosità nello svelamento della personalità di Lila si perde però in un mare piatto. La serie sembra faticare a trovare quell’animo ruvido e dolente, ma anche romantico e favolistico, che l’aveva caratterizzata sin dall’inizio. Ormai siamo affezionati a Lila e Lenù e vogliamo sapere come va a finire la loro storia e cosa il futuro ha in serbo per loro. Siamo persino disposti a sopportare il miscasting di Alba Rohrwacher perché comunque la sua voce rappresenta un legame lungo e affettivo con lo show (lei non ne ha nessuna colpa, si capisce), ma la regia e le idee, in questa stagione, sembrano davvero distribuite a risparmio e ci sembra di avviarci verso la fine di questa storia con stanchezza e rassegnazione.

La coda del diavolo: recensione del film con Luca Argentero

Luca Argentero, con una carriera alle spalle di vent’anni, mancava – come lui stesso ammette – un progetto con Groenlandia. È stato questo uno dei motivi che lo ha spinto ad accettare di ricoprire il ruolo del protagonista Sante Moras in La coda del diavolo, nuovo film Sky Exclusive in arrivo sulla piattaforma dal 25 novembre. Una collaborazione partita dalla lettura del romanzo omonimo di Maurizio Maggi, nel quale è ritratto un uomo che ben si allontana dai personaggi che hanno costellato l’esperienza cinematografica dell’attore torinese, diventando così una sfida e un’occasione da cogliere. Argentero, in questo viaggio fra la ricerca di sé e la salvezza, è stato accompagnato da due ottimi comprimari, Cristiana dell’Anna e Francesco Acquaroli.

Insieme al suo Sante, sono personaggi che tessono le fila di un thriller dalle tinte noir, e definiti dal regista Domenico De Feudis come tre solitudini che cercano la propria strada, affrontando le loro più intime paure. Tre ritratti che però non emergono mai come dovrebbero nella storia, e il cui background rimane per lo più sconosciuto, faticando a dargli delle vere sfaccettature. La coda del diavolo si basa su una sceneggiatura di Nicola Ravera Rafele e Gabriele Scarfone, ed è prodotto da Matteo Rovere e Andrea Paris.

La coda del diavolo, la trama

Sante Moras è un ex poliziotto ora guardia carceraria in un carcere della Sardegna. È un uomo solo, che trascorre il suo tempo libero ad aggiustare una barca a cui è estremamente legato. Un giorno viene arrestato un uomo colpevole di aver ucciso a sangue freddo una giovane davanti a due poliziotti, e dietro questo delitto sembra celarsi una verità atroce, legata in principal modo a una sorta di tatuaggio che la ragazza porta dietro il collo e che assomiglia alla coda di un diavolo. Sante viene incaricato di sorvergliarlo, ma quando all’improvviso si addormenta, al suo ritorno il detenuto nella cella è stato ucciso. In preda alla paura di essere dichiarato colpevole, l’ex poliziotto scappa, autocondannandosi. A inseguirlo è il commissario Tommaso Lago, determinato a trovarlo e portarlo davanti alla giustizia. Sante, però, capisce che l’unico modo per tornare alla normalità è scavare fino in fondo nella verità: ad aiutarlo sarà la giornalista Fabiana Lai, che non si fermerà all’apparenza delle cose ma guarderà oltre, per stanare i veri assassini, scoprendo una realtà ancora più oscura.

Caccia all’uomo in una fredda Sardegna

Inabissarsi in un film di genere non è mai semplice. Ogni tassello deve incastrarsi bene nel puzzle finale. L’equilibrio è sempre precario, e bisogna che la tensione abbia un costante crescendo se si indossano gli abiti di un thriller-noir come La coda del diavolo. Per quanto sia esemplare la performance di Luca Argentero, il cui impegno è percepibile, a questa pellicola manca il giusto coinvolgimento per convincere a pieno. L’incipit è fuor di dubbio buono: un uomo solido ma con diversi fantasmi viene incolpato di un crimine che non ha mai commesso. Mentre cerca di fuggire da un immeritato destino deve fare i conti con se stesso e il suo passato, due elementi che lo hanno ingrigito. Una trama classica, in cui si intrecciano mafia, redenzione, riscatto, e dove la dicotomia fra bene e male impregna ogni angolo della narrazione. Peccato, però, che a livello di esecuzione non tutto ingrani come dovrebbe: a volte si è inondati dalla sensazione che manchi qualcosa nel racconto, o che ci siano dinamiche messe al margine. L’aspetto criminoso non si approfondisce, è un contorno offuscato, trasformandosi solo in un pretesto per il progresso delle azioni dei personaggi.

L’action non è mai pienamente intrattenitivo, facendo calare l’attenzione sulla scena che si sta guardando (e che dovrebbe essere adrenalinica). Anche sulla caratterizzazione dei personaggi la sceneggiatura ha faticato a metterli a fuoco come ci si aspetterebbe da un film di genere, specie se sono le colonne portanti attraverso cui si esplicano le tematiche che si vogliono affrontare. Per affezionarsi ai protagonisti sullo schermo non basta calarli in un contesto minaccioso, ma serve sapere quali sono i loro demoni nell’armadio, quali le loro preoccupazioni, cosa li soffoca e le ragioni concrete che li spingono a reagire in un determinato modo. Incontrando gli attori, Cristiana dell’Anna ha dichiarato che la sua Fabiana è una di quelle giornaliste che guardano al di là del pregiudizio, che scavano nella verità con le unghi e con i denti senza preoccuparsi della loro incolumità. Tuttavia il personaggio non respira mai totalmente, soffocato forse da tempi troppo stretti. Lo stesso si può dire di Sante e e il commissario Lago, la cui storia oltre quel che si vede è nascosta nell’ombra. Il risultato è un prodotto che funziona a metà. Spesso zoppicante, che avrebbe meritato un minutaggio differente per farlo apprezzare meglio.

Dune: Prophecy, recensione delle prime quattro puntate della serie HBO

Con Dune: Prophecy, HBO ci riporta nel vasto e affascinante universo creato da Frank Herbert, e di recente esplorato al cinema da Denis Villeneuve con i suoi film (in fase di scrittura dovrebbe esserci anche il terzo capitolo). La serie, disponibile su Sky e NOW dal 18 novembre 2024 con il primo episodio, ci invita a un viaggio che precede di 10.000 anni la nascita di Paul Atreides, concentrandosi sulle origini della potente sorellanza delle Bene Gesserit. Basata sul romanzo Sisterhood of Dune di Brian Herbert e Kevin J. Anderson, la serie segue le vicende legate alle sorelle Valya e Tula Harkonnen, accomunate dal sangue e da un innegabile affetto, ma divise da ambizioni e strategie su come ottenere i propri risultati.

Dune: Prophecy racconta un mondo tra potere e introspezione

Nonostante la serie si proponga l’importante ambizione di raccontare l’origine di uno degli aspetti più affascinanti dell’universo di Dune, la nascita delle Bene Gesserit, la serie non ha l’aria solenne che invece Villeneuve ha adottato per il suo sguardo al franchise. I primi quattro episodi visti in anteprima rivelano una storia ricca di intrighi politici e dinamiche personali, una dicotomia che rievoca più Il trono di Spade che l’estetica filosofeggiante dei romanzi di Herbert. HBO ha costruito su questo tipo di intrecci una delle serie di maggiore successo degli ultimi anni, e quindi non sorprende che l’approccio adottato sia tale. La spettacolarità visiva è messa da parte in favore di aspetti soapoperistici, alcune trovate ingenue ma un risultato dignitoso soprattutto per quello che riguarda il modo in cui vengono tratteggiate le protagonisti, a cavallo tra passato e presente.

La serie si focalizza sull’ambiziosa Valya Harkonnen (una magistrale Emily Watson), figura centrale nella nascita della Sorellanza, e su sua sorella Tula (Olivia Williams), con la quale ha un rapporto conflittuale eppure di grande lealtà e affetto. Le due interpreti chiamate a dare vita a questi due personaggi si distinguono per la grande capacità di mettere in scena forti contrasti ed emozioni con una recitazione composta e misurata, che si fonda molto sulla forza dello sguardo e dei micro gesti. Sullo sfondo, un’umanità segnata da ambizioni imperiali, patriarcato opprimente e l’immancabile influenza della spezia di Arrakis, il vero motore dell’universo di Dune, l’elemento che dà poteri sovrumani e permea di desiderio di potere tutti i cuori più deboli.

Intrighi di palazzo e produzione di alto livello

Quello che colpisce in negativo di Dune: Prophecy è senza dubbio la sceneggiatura che per necessità di impostare un nuovo livello di un universo conosciuto finisce per essere verbosa rallentando l’azione. Seppure solida, viene appesantita da dialoghi/spiegazioni che non rendono dinamico il racconto. Questo aspetto ostico e contrario all’azione offre però la possibilità di dare molta voce e struttura ai personaggi, mostrandone le complessità e le ragioni in maniera esaustiva e dettagliata. Da un punto di vista visivo invece la serie si impegna a offrire una continuità con quanto visto al cinema.

L’estetica è quindi essenziale ed elegante, e indugia sui costumi con particolare ricercatezza e ricchezza di dettagli che però risentono di quando realizzato da Villeneuve: il risultato è un mondo in cui l’unica cosa stravagante è il guardaroba di alcuni personaggi, ma in cui non c’è nessuna differenza di etnia e provenienza, nonostante le origini letterarie richiedano diversamente. Come visto in Dune di Villeneuve e in Dune di Lynch prima di lui, le Bene Gesserit sono caratterizzate da abiti monacali, lunghi e neri, che simboleggiano il loro stile di vita austero ma anche il loro modus operandi nella storia dell’umanità: operano nell’ombra dei loro segreti, manovrando gli imperi.

Uno sguardo alla contemporaneità

Il richiamo a Il Trono di Spade si fa sentire anche negli elementi più controversi: sesso, violenza e intrighi sono centrali nella narrazione, anche se sembra meno cruento della serie basata sui romanzi di Martin in ognuno di questi aspetti. Dune: Prophecy riesce a trovare una sua identità esplorando temi che parlano in maniera molto chiara alla contemporaneità, con riflessioni molto specifiche sull’oppressione patriarcale e l’ambigua moralità del potere. Questa scelta contribuisce a rendere la serie affascinante per chi cerca una narrazione complessa e ingaggiante, ma risulterà certamente una delusione per chi sperava in un approccio più epico e meno dialogico.

Uno sguardo al futuro

I primi quattro episodi di Dune: Prophecy lasciano intravedere il potenziale di una narrazione più ampia e profonda. Il personaggio di Valya Harkonnen emerge come il fulcro del racconto, incarnando il fascino e le contraddizioni della Sorellanza nascente. Tuttavia, sembra che per il momento la serie si sia concentrata sul posizionamento del pezzi su una complessa e accidentata scacchiera. Resta da vedere se le pedine, una volta disposta, riusciranno a dare vita a una partita avvincente.

Grey’s Anatomy: l’attore che interpreta Levi reagisce al suo addio alla stagione 21: “È davvero poetico”

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La star di Grey’s Anatomy Jake Borelli ha reagito all’addio di Levi Schmitt nella stagione 21, spiegando quali aspetti della vita del suo personaggio sono stati collegati ai suoi episodi finali. Levi è stato introdotto per la prima volta nella stagione 14 della serie televisiva medica, facendo lentamente carriera da tirocinante chirurgico fino a diventare capo degli specializzandi nella stagione 19. Nel Grey’s Anatomy – stagione 21, episodio 7, Levi ha lasciato il Grey Sloan Memorial per intraprendere una nuova carriera di ricercatore in Texas, accompagnato dal suo fidanzato James (Michael Thomas Grant).

Parlando con Deadline, Borelli ha commentato l’episodio finale di Levi nella stagione 21 di Grey’s Anatomy, spiegando l’importanza del ruolo fondamentale che la sua relazione con James ha avuto nella sua uscita di scena.

Riflettendo sul suo periodo nella serie, l’attore ha ricordato come l’ex showrunner Krista Vernoff abbia insistito per inserire la sua trama LGBTQ+, cosa che alla star è piaciuta molto e che ha fatto parte del suo episodio finale. Ha anche trovato “davvero poetico” avere sia il lavoro che desiderava sia la persona che ama al suo fianco mentre parte per inseguire i suoi sogni. Leggi qui sotto cosa ha detto Borelli:

Per me era sicuramente importante vedere la sua crescita legata alla sua omosessualità, perché so che nella stagione 15, quando Krista Vernoff era la showrunner e mi ha proposto l’idea del coming out di Levi, la sua idea fin dall’inizio era sempre stata che il coming out sarebbe stato il catalizzatore per fargli trovare se stesso e la sua identità.

Quindi, durante tutta la mia partecipazione alla serie, abbiamo cercato di seguire la sua crescita e la sua sicurezza derivante dal fatto di essere finalmente entrato in contatto con il suo vero io. E mentre sta concludendo la sua esperienza al Grey Sloan, volevo davvero che anche questo fosse legato alla sua omosessualità. Finalmente lo vediamo in una relazione in cui la comunicazione è buona, in cui entrambi vogliono davvero stare insieme, anche se devono affrontare ostacoli in termini di lavoro, religione e in molti altri modi. Quindi penso che sia perfetto che lui insegua il lavoro dei suoi sogni e allo stesso tempo l’uomo dei suoi sogni, penso che sia davvero poetico, soprattutto considerando da dove abbiamo iniziato con Krista.

Cosa dice la dichiarazione di Jake Borelli sull’uscita di Levi da Grey’s Anatomy

È riuscito a ottenere tutto ciò che ha sempre desiderato

All’interno del cast di Grey’s Anatomy, Levi è sempre stato un medico dedicato, facendo sempre tutto il possibile per salvare i pazienti mentre faceva carriera nell’ospedale. Questo include uno dei suoi primi contributi, donare il suo sangue affinché Meredith (Ellen Pompeo) potesse eseguire una splenectomia d’urgenza. È anche il primo uomo gay a diventare un personaggio fisso della serie, con il suo coraggio nel fare coming out che diventa una trama importante che poi si sviluppa nella sua relazione con James. Queste complessità lo rendono una parte memorabile della famiglia medica dello show.

La dichiarazione di Borelli sottolinea l’importanza del finale della storia di Levi, che non solo ha una relazione con il ragazzo perfetto, ma vede anche la sua carriera migliorare grazie alla sua nuova posizione in Texas. Sebbene questo significhi che sarà assente dalla Grey’s Anatomy – stagione 22, la sua trama si conclude in modo simile a come Vernoff l’aveva iniziata. Ciò sottolinea l’importanza degli elementi LGBTQ+ della sua storia, insieme a tutti gli sviluppi che hanno caratterizzato la sua vita nel corso della serie.

Chi è Marco Acacio in Il Gladiatore II: il ruolo di Pedro Pascal spiegato

Il generale Acacius è un personaggio fondamentale nel film Il gladiatore II, di Ridley Scott, e la performance di Pedro Pascal conferisce realismo a questa spettacolare pellicola. Data la sua importanza, molti spettatori sono naturalmente curiosi di sapere se sia realmente esistito. Sebbene il regista abbia spesso tratto ispirazione da eventi e personaggi storici reali, il generale Acacius è un personaggio di fantasia.

Oltre ad essere una copia oscura di Maximus in Il gladiatore, Acacio è un veicolo interessante per guidare la difficile situazione di Lucio e mettere in discussione le strutture di potere nella storia. Essendo un personaggio di fantasia, funge anche da sostituto del contesto storico in cui i generali erano effettivamente considerati delle celebrità nell’antica Roma. Gladiator II ha già battuto i record al botteghino di Ridley Scott, e l’equilibrio tra influenza storica e spettacolo cinematografico è parte di ciò che rende la sua narrazione così di successo.

Il generale Acacius di Il Gladiatore 2 non è basato su una persona reale

Il Gladiatore II – Paul Mescal e Pedro Pascal

Il personaggio di Pascal è romanzato ma scritto con la stessa gravitas

Il generale Acacius, il suo matrimonio con Lucilla e la sua ribellione sono interamente frutto di fantasia. Non esiste alcun generale Acacius nella storia romana. Il suo scopo nel cast di Il Gladiatore 2 è quello di fornire a Lucio qualcuno su cui vendicare la morte della moglie, il che riecheggia la vendetta di Massimo in Il Gladiatore. Il suo ruolo di generale è anche un modo per rappresentare il desiderio di dominio fine a se stesso degli imperatori Geta e Caracalla. Il personaggio, interpretato da Pedro Pascal, è ben scritto ed è un ottimo esempio del perché non tutto in Il gladiatore deve essere storicamente accurato.

[Ridley Scott] fonde la storia con la grandiosità cinematografica e studi approfonditi dei personaggi per creare storie commoventi…

Un altro motivo per cui il generale Acacius deve essere un personaggio di fantasia è che anche la storia di Lucio è romanzata. Lucio Vero II, figlio del co-imperatore Lucio Vero e di Lucilla, morì giovane insieme alla sorella Aurelia Lucilla. Nel film sopravvive e diventa un gladiatore come il padre immaginario, Massimo. I personaggi storici influenzano Ridley Scott, ma i suoi film non sono legati all’accuratezza storica. Piuttosto, fonde la storia con la grandiosità cinematografica e studi approfonditi dei personaggi per creare storie commoventi. Per il primo film ha avuto dei consulenti storici, ma a quanto pare non per Il gladiatore II (The Guardian), dando invece la priorità allo spettacolo e alla continuità narrativa.

Il generale Acacio potrebbe essere ispirato ad altri generali romani

Gli antichi romani avevano una cultura delle celebrità che idolatrava le figure militari

La priorità nel sequel è la visione di Ridley Scott e come si è sviluppata dopo Il gladiatore. Tuttavia, alcuni generali erano effettivamente considerati delle celebrità nell’antica Roma. Ad esempio, Gaio Giulio Cesare era in origine un generale. L’ascesa al potere di Cesare fu notevolmente favorita dal suo status di celebrità, derivante principalmente dalle sue conquiste militari. La cultura delle celebrità nell’antica Roma era l’opposto della nostra. Coloro che avevano un rango militare o politico erano celebrati; coloro che oggi considereremmo celebrità, come attori, musicisti o qualsiasi altro artista, erano afflitti dall’“infamia” per scoraggiare l’adorazione di queste figure (secondo la Princeton University Press).

Ciò è particolarmente rilevante per la rappresentazione dello spettacolo pubblico di Scott. I gladiatori erano popolari tra il pubblico e l’élite reagiva di conseguenza per preservare la propria presunta superiorità morale. Usavano il concetto di “infamia” per scoraggiare i cittadini romani liberi dall’entrare nell’arena per il proprio tornaconto. L’infamia li privava dei loro diritti ed era una sorta di morte sociale. Il modo in cui l’élite dirige la moralizzazione del pubblico è evidente in Gladiator II, quando il generale Acacius viene messo nell’arena a combattere per la propria vita. In precedenza era adorato come una celebrità militare, poi ridotto a un semplice intrattenitore.

Silo: cast e guida ai personaggi della serie Apple Tv+

Da star del cinema a attori televisivi amati dai fan, il cast di Silo è pieno di grandi interpreti riconoscibili da altri progetti. Basata sui libri Silo di Hugh Howey, la serie Apple TV+ è ambientata in un lontano futuro distopico e ruota attorno a una comunità che vive nelle profondità del sottosuolo sotto l’imposizione di regole severe che, secondo quanto viene loro detto, sono state messe in atto per proteggerli. Man mano che la storia si svolge, un ingegnere e uno sceriffo cercano di scoprire la verità oscura sulla loro esistenza sotterranea. La serie è stata sviluppata per la televisione da Graham Yost, famoso per Justified.

Come promesso dal trailer di Silo, il cast stellare dello show include attori famosi di altre serie televisive e film di grande successo.

I membri del cast principale possono essere visti nei film Dune, The Social Network e The Shawshank Redemption, mentre i comprimenti recitano nelle serie Game of Thrones, Succession e The Walking Dead. Con una star di Parks and Recreation, un attore importante della serie Mission: Impossible e l’attore che ha interpretato Martin Luther King Jr. sul grande schermo, Silo è pieno di volti noti.

Rebecca Ferguson nel ruolo di Juliette

Rebecca Ferguson Silo

Data di nascita: 19 ottobre 1983

  • Attiva dal: 1999

Attrice: Rebecca Ferguson ha esordito nel ruolo di Anna Gripenhielm nella soap opera svedese Nya Tider. Ha poi ottenuto l’attenzione internazionale con la sua interpretazione di Elizabeth Woodville nella miniserie The White Queen, per la quale è stata nominata ai Golden Globe. Da allora Ferguson ha interpretato l’agente dell’MI6 Ilsa Faust nei film Mission: Impossible, Jenny Lind in The Greatest Showman, Rose the Hat in Doctor Sleep e Lady Jessica in entrambe le parti di Dune di Denis Villeneuve.

Personaggio: Rebecca Ferguson è la protagonista del cast di Silo nel ruolo di Juliette, un’ingegnere che si ribella all’autorità. Sebbene inizialmente viva nei livelli inferiori del silo, riesce a raggiungere i piani superiori dopo essere stata nominata nuovo sceriffo. Sfrutta la sua nuova posizione di autorità per scoprire la verità sull’omicidio del suo ex amante.

David Oyelowo nel ruolo di Holston

David Oyelowo

Data di nascita: 1 aprile 1976

  • Attivo dal: 1998

Attore: L’attore è noto soprattutto per aver interpretato Martin Luther King Jr. nel film biografico Selma, fedele alla storia. Ha anche interpretato Louis Gaines in The Butler, Seretse Khama in A United Kingdom e Steven Jacobs in L’alba del pianeta delle scimmie. Tra gli altri ruoli televisivi ricordiamo Javert nella miniserie della BBC tratta da Les Misérables e l’agente dell’MI5 Danny Hunter nella serie di spionaggio Spooks. Nella sua lunga carriera di attore, Oyelowo ha ricevuto un Critics Choice Award e due NAACP Image Awards.

Personaggio: Holston è uno sceriffo di Silo che lotta per mantenere l’ordine nella comunità sotterranea. Tuttavia, il suo scopo nel bunker sotterraneo cambia completamente quando sua moglie decide volontariamente di uscire nel mondo reale. Un anno dopo la partenza della moglie, Holston decide di seguire il suo esempio.

Common nel ruolo di Sims

Common in Silo (2023)
© Apple TV+

Data di nascita: 13 marzo 1972

  • Attivo dal: 1991

Attore: Common ha debuttato con l’album Can I Borrow a Dollar? e ha ottenuto ulteriore riconoscimento con il suo seguito, Resurrection. Ha fatto il suo debutto sul grande schermo nel ruolo del mafioso Sir Ivy in Smokin’ Aces. Common ha continuato a interpretare ruoli come quello del sottovalutato cattivo Cassian in John Wick: Chapter 2, Turner Lucas in American Gangster e il luogotenente di John Connor, Barnes, in Terminator Salvation. Ha anche interpretato Elam Ferguson nella serie western della AMC Hell on Wheels e ha interpretato James Bevel in Selma al fianco di David Oyelowo, vincendo un Oscar per aver co-scritto la canzone “Glory” per il film.Film e serie TV di rilievo:Film/Serie TVRuoloJohn Wick: Capitolo 2CassianSuicide SquadMonster TWantedThe GunsmithSmokin’ AcesSir Ivy

Personaggio: Sims è il braccio destro di Bernard in Silo, che supera persino molti limiti morali per garantire l’ordine nel bunker sotterraneo. Da quando Juliette sfida gli ordini di Bernard e cerca di scoprire la verità, Sims fa del suo meglio per catturarla prima che sia troppo tardi. Tuttavia, verso la fine della prima stagione di Silo, inizia a chiedersi se la sua lealtà verso Bernard valga davvero la pena.

Tim Robbins nel ruolo di Bernard

Tim Robbins in Silo (2023)
© Apple TV+

Data di nascita: 16 ottobre 1958

  • Attivo dal: 1982

Attore: Robbins è noto soprattutto per aver interpretato Andy Dufresne nel film drammatico Le ali della libertà. Ha vinto l’Oscar e il Golden Globe come miglior attore non protagonista per la sua interpretazione di Dave Boyle in Mystic River. Robbins ha anche interpretato Griffin Mill in The Player e Nuke LaLoosh in Bull Durham, oltre al tenente Samuel “Merlin” Wells in Top Gun. Sul piccolo schermo, ha precedentemente interpretato il segretario di Stato Walter Larson nella serie satirica politica di breve durata della HBO The Brink.

Personaggio: In Silo stagione 1, Bernard, interpretato da Tim Robbins, è l’antagonista principale, inizialmente descritto come il capo dell’IT. Tuttavia, con il progredire della serie e l’ascesa di Bernard a nuovo sindaco del silo, diventa evidente che il reparto IT ha molto più potere di quanto sembri. Sebbene Bernard sembri inizialmente amichevole e si presenti come alleato di Juliette, mostra il suo vero volto nell’arco finale della serie.

Avi Nash nel ruolo di Lukas Kyle

Data di nascita: 16 ottobre 1958

  • Attivo dal: 2013

Attore: L’informatico Lukas Kyle è interpretato da Avi Nash. Nash è famoso soprattutto per il ruolo ricorrente di Siddiq in The Walking Dead. La sua carriera di attore è stata piuttosto breve e ha ottenuto la maggior parte del successo sul piccolo schermo. Prima di interpretare Siddiq in The Walking Dead, ha anche interpretato Wajeed in Silicon Valley e ha fatto un’apparizione in Black Mirror nel 2023 (“Joan is Awful”). Per quanto riguarda i film, è apparso in Amateur Night, The Braid e nel film biografico di Netflix del 2016 su Barack Obama, Barry.

Personaggio: Lukas Kyle lavorava per il reparto IT nel silo come analista di sistemi. Nella prima stagione di SIlo, Lukas stringe amicizia con Juliette e le rivela molti segreti sul silo mentre trascorrono insieme le serate nella caffetteria. Tuttavia, quando Juliette gli chiede aiuto, lui la respinge perché è l’unico che può prendersi cura di sua madre. Nella seconda stagione rimane nel silo principale, mentre Juliette è fuggita.

Chinaza Uche nel ruolo di Paul Billings

Data di nascita: 20 settembre 1987

  • Attivo dal: 2012

Attore: Chinaza Uche appare nel cast di Silo nel ruolo di Paul Billings, che lavora nel dipartimento giudiziario del silo. Nato a Edimburgo, in Scozia, Uche è noto soprattutto per aver interpretato Henry, il bracciante della famiglia, in Dickinson. Ha anche interpretato Derek in Fear the Walking Dead, Shawn in The Devil Below e Nathan nel film drammatico di Zach Braff A Good Person. È apparso anche in serie TV come Law & Order, The Blacklist, Deception e Blue Bloods.

Personaggio: Paul Billings era un ex vice che lavorava nei Mids prima di passare al dipartimento giudiziario. Paul voleva tornare al dipartimento dello sceriffo, ma è stato scavalcato da Juliette. È anche un personaggio tragico, poiché soffre della Sindrome, ma lo nasconde perché se qualcuno lo scoprisse non gli sarebbe più permesso ricoprire una carica ufficiale. Questo ha causato un dramma tra loro quando lei ha scoperto che era infetto e lo nascondeva.

Harriet Walter nel ruolo di Martha Walker

Data di nascita: 24 settembre 1950

  • Attiva dal: 1974

Attrice: Personaggio veterano ingegnere in Silo. Altri ruoli televisivi di Harriet Walter includono Lady Caroline Collingwood, la fredda madre di Kendall, Roman e Siobhan, un membro piuttosto estraniato della famiglia Roy in Succession. Ha anche interpretato Dasha in Killing Eve e Deborah in Ted Lasso. Tra i suoi ruoli cinematografici figurano Emily Tallis in Atonement, Nicole de Buchard in The Last Duel e la dottoressa Kalonia in Star Wars: The Force Awakens.

Personaggio: Martha Walker è un ingegnere elettrico nel Down Deep ed era lì per aiutare Juliette a imparare come funzionava il Silo quando lei si è unita a loro da bambina. È stata praticamente una madre per Juliette durante la sua crescita e si è isolata dal mondo per 25 anni dopo la fine del suo matrimonio con Carla (Claire Perkins). Alla fine della prima stagione, Martha è rimasta scioccata dalla decisione di Juliette di uscire all’aperto.

Rick Gomez nel ruolo di Patrick Kennedy

Data di nascita: 1 giugno 1972

  • Attivo dal: 1990

Attore: Il trafficante Patrick Kennedy è interpretato da Rick Gomez. L’attore ha precedentemente interpretato il tecnico radiofonico di quarto grado George Luz nel cast della serie HBO Band of Brothers e “Endless Mike” Hellstrom nella serie Nickelodeon The Adventures of Pete and Pete. Ha anche interpretato Tom Dowd in Ray e Klump in Sin City, e ha doppiato Loki nel film d’animazione Marvel Thor: Tales of Asgard, distribuito direttamente in home video.

Personaggio: Patrick Kennedy lavorava nella manutenzione e dipingeva muri. Era anche un criminale che trafficava in reliquie proibite. All’inizio di Silo, nutriva rancore nei confronti del vice sceriffo Sam Marnes, che riteneva responsabile della morte di sua moglie. L’agente giudiziario Douglas Trumbull ha cercato di incastrare Patrick per l’omicidio di Sam, ma il piano è fallito e Juliette ha finito per proteggere Patrick e smascherare le azioni di Trumbull.

Steve Zahn nel ruolo di Solo

Steve Zahn in Silo (2023)

Data di nascita: 13 novembre 1967

  • Attivo dal: 1990

Attore: Steve Zahn interpreta l’unico personaggio nuovo annunciato per la seconda stagione di Silo, Solo. Zahn recita dal 1990, quando ha esordito nel mondo del cinema indipendente insieme ai suoi amici di teatro Ethan Hawke e Robert Sean Leonard. Dopo essersi fatto notare in film come Reality Bites e Happy, Texas, Zahn si è costruito una reputazione interpretando personaggi fannulloni, che gli ha permesso di godere di una carriera di grande successo. Il suo ruolo in Silo sembra riprendere sia il suo personaggio prototipico, sia un lato più oscuro.

Personaggio: Si sapeva molto poco della seconda stagione di Silo prima della sua uscita nel novembre 2024, ma l’unico nuovo personaggio rivelato era Solo, interpretato da Steve Zahn. L’intera premiere della seconda stagione ha visto Juliette trovare un secondo silo. Le persone in questo silo si sono ribellate e sono uscite con la forza, dove sono morte tutte. Dopo aver superato i corpi ed essere entrata nel silo ormai abbandonato, incontra l’unico sopravvissuto, Solo, che non la vuole assolutamente lì.

Cast secondario e personaggi di Silo

Rashida Jones nel ruolo di Allison: Rashida Jones appare nel cast di Silo nel ruolo di Allison, la moglie di Holston. Jones ha recitato in precedenza in serie TV come Louisa Fenn in Boston Public, Karen Filippelli in The Office, Ann Perkins in Parks and Recreation e nel ruolo della protagonista in Angie Tribeca. Ha anche recitato in film come The Social Network nel ruolo di Marylin Delpy, I Love You, Man nel ruolo di Zooey Rice e Celeste and Jesse Forever nel ruolo di Celeste Martin, che ha anche co-sceneggiato con Will McCormack.

Iain Glen nel ruolo del dottor Pete Nichols – Ian Glen ha precedentemente interpretato Ser Jorah Mormont in Game of Thrones, Sir Richard Carlisle in Downton Abbey e Bruce Wayne nella serie di supereroi della HBO Max Titans. Sul grande schermo, Glen ha interpretato Manfred Powell in Lara Croft: Tomb Raider e il dottor Alexander Isaacs nella serie di film Resident Evil.

Ferdinand Kingsley nel ruolo di George Wilkins – Kingsley è riconoscibile per i suoi ruoli cinematografici di Hamza Bey in Dracula Untold e Irving Thalberg in Mank, nonché per i ruoli televisivi di Mr. Francatelli in Victoria e Hob Gadling in The Sandman.

Shane McRae nel ruolo di Knox – Un personaggio meccanico in Silo. McRae è meglio conosciuto per aver interpretato il ruolo principale di Taylor Bowman in Sneaky Pete, così come i ruoli ricorrenti di Robert in The Following e Patrick in Nashville. Al cinema, McRae ha interpretato Raleigh Leefolt in The Help, Charlie Howland-Jones in Still Alice e Adrian Troussant in The Adjustment Bureau.

Matt Gomez Hidaka nel ruolo di Cooper – Matt Gomez Hidaka appare nel cast di Silo nel ruolo di Cooper. Hidaka ha anche interpretato Miguel Reyes nella serie poliziesca Chicago P.D. e Mario Hernandez nella commedia familiare Carlos Through the Tall Grass.

Lee Drage nel ruolo di Franky Brown – Franky Brown è interpretato da Lee Drage, che ha recitato in precedenza nel ruolo di Freddie nella serie TV Missing Something e in quello di Jake nel cortometraggio 833.

Henry Garrett nel ruolo di Douglas Trumbull – Henry Garrett interpreta Douglas Trumbull nel cast di Silo. Garrett ha anche interpretato Hart in Red Tails, George Catlin in Testament of Youth e i ruoli ricorrenti di Pete McCullough in The Son e del capitano Malcolm McNeil in Poldark.

Will Merrick nel ruolo di Danny – Merrick è noto soprattutto per la sua interpretazione di Alo Creevey nella terza generazione della serie televisiva britannica Skins. Ha anche interpretato Jay nella commedia romantica sui viaggi nel tempo About Time e Mark nel film horror di Netflix A Classic Horror Story.

Paul Herzberg nel ruolo di Kilroy – Paul Herzberg appare nel cast di Silo nel ruolo di Kilroy. Herzberg ha anche interpretato Jacob Tanios nell’episodio “Dumb Witness” di Agatha Christie’s Poirot, Villem Craven nella miniserie della BBC tratta da Smiley’s People e il soldato Reynolds nel sequel per la TV di Dirty Dozen, The Dirty Dozen: Next Mission.

Snot & Splash – Il mistero dei buchi scomparsi: recensione del film

Snot & Splash – Il mistero dei buchi scomparsi di Teemu Nikki è una commedia con per protagonisti due fratelli, uguali fisicamente ma opposti nel carattere, che durante le vacanze invernali in uno sperduto paese immerso nella neve si ritrovano a vivere una fantastica avventura. Prodotto da it’s alive Films questo lungometraggio va ad arricchire il “Teemu Nikki Universe”, un insieme di storie capaci di incantare un pubblico variegato e distribuite da noi in Italia da I Wonder Pictures sempre attenta e alla ricerca di novità cinematografiche.

La trama di Snot & Splash – Il mistero dei buchi scomparsi

Questo lungometraggio è basato sull’omonimo libro di Juice Leskinen, in originale Räkä ja Roiskis, su una sceneggiatura di Ilja Rautsi e segue i giovani eroi Snot e Splash ( Hugo Komaro e Urho Kuokkanen ) che devono prendersi una pausa dalle loro ferie per salvare il mondo. Il film infatti si apre con una scena in cui i due fratelli in treno, direzione di Acquainbocca e dove abita la nonna, notano guardando fuori dal finestrino che dal cielo cadono oggetti: un frigorifero e sacchi dell’immondizia. Appena incontrano l’anziana parente fanno notare questi strani fenomeni e la donna gli dice che è colpa del cambiamento climatico che ha colpito anche la Finlandia.

I giovani protagonisti però non sono convinti della spiegazione, iniziano anche a notare che gli abitanti del posto sorridono, tutti in modo molto inquietante, mostrando i denti che sono bianchissimi e innaturali. Arrivati a casa poi scoprono un altro mistero, cioè non ci sono più buchi, pure quelli delle ciambelle, ma non finisce qui perché quando Snot e Splash vanno sul ghiaccio, per pescare, il buco sparisce appena viene creato. All’improvviso appare uno strano uomo con una pistola e finalmente capiscono che è proprio lui, con quello strano oggetto, che risucchia tutte le buche dalle più piccole alle più grandi.

I due bambini quindi decidono che devo scoprire di più e inseguono di nascosto il signore che si ripara dentro una fattoria. All’interno invece troveranno una macchina, precisamente un sistema di smaltimento dei rifiuti molto fatiscente, che invece si rivelerà essere un buco nero pronto a risucchiare la cittadina. Ovviamente Snot e Splash, grazie al loro coraggio, ma anche alla genialità che si possiede solo quando si è bambini, salveranno tutti dall’imminente catastrofe.

Snot & Splash tra Roald Dahl e Doctor Who

Questo film è decisamente una storia che potrebbe benissimo uscire dalla penna di Roald Dahl, uno degli autori più famosi della letteratura per ragazzi. I due protagonisti durante la loro avventura e in missione per salvare Acquainbocca, incontrano e conoscono personaggi fantastici ma anche un pochino paurosi. L’antagonista Migren Junior, che vuole cancellare ogni forma di caos dal mondo, compresa anche la più preziosa di tutte come la fantasia, di lavoro fa proprio il dentista decisamente nell’immaginario dei piccoli, e non solo, non uno dei lavori più amati.

Uno dei tratti che il pubblico più giovane non noterà è quanto Teemu Nikki nella realizzazione di questo film sia stato molto influenzato dalla storica serie Doctor Who. Qua non c’è nessuno Dottore che appare con la sua cabina blu, Il Tardis, ma i colori, le vicende potrebbero benissimo essere estratte da uno dei numerosi episodi della serie britannica più longeva di sempre. I due gemelli protagonisti invece nei loro continui litigi e discorsi senza senso ricordano tanto i celebri gemelli Zack e Cody, interpretati da Dylan e Cole Sprouse della sit-com Zack e Cody al Grand Hotel di Disney Channel.

Un film per tutti e pieno di genialità

Il film è visivamente bello ed esplora il mistero attraverso gli occhi dei bambini e forse per gli adulti, i genitori che accompagneranno i figli, qualche battuta risulterà stupida ma non per il pubblico più giovane che riderà molto. Per concludere Snot & Splash – Il mistero dei buchi scomparsi è un ottimo esempio per far conoscere agli spettatori più piccoli che esiste anche un cinema per loro, al di fuori di Hollywood o di quello targato Disney.

Il Gladiatore II: recensione del film di Ridley Scott con Paul Mescal

Più instancabile che mai, Ridley Scott – esattamente un anno dopo aver portato al cinema il colossal Napoleon – torna sul grande schermo con Il Gladiatore II, sequel di una delle opere per cui è maggiormente ricordato. Se nel 2000 Il Gladiatore aveva risvegliato l’interesse per i film epici e consacrato la carriera di Russell Crowe con il ruolo di Massimo Decimo eridio, questo inaspettato seguito (scritto da David Scarpa, già autore di Napoleon) si fa ora promotore non solo di quella stessa epica ma anche di un forte messaggio politico che richiama alla decadenza – politica e morale – degli attuali “imperi”.

Ed è proprio in questo sguardo fortemente politico che si ritrova il meglio del film, che usa sapientemente il passato per parlare dell’oggi, attraverso la decadenza del più importante impero di tutti i tempi. L’epica di Il Gladiatore II si ritrova allora qui, non tanto negli scontri all’interno del Colosseo quanto negli intrighi di palazzo, nelle vicende politiche che inquinano l’anima di Roma e la condannano ad una fine apparentemente inevitabile. Scott trova dunque occasione qui di unire le sue due anime: la spettacolarità esagerata ed esagitata e l’esplorazione delle oscurità dell’animo umano.

La trama di Il Gladiatore II

Il Gladiatore II – Paul Mescal

Anni dopo aver assistito alla tragica morte del venerato eroe nonché padre Massimo Decimo Meridio per mano del suo perfido zio, Lucio (Paul Mescal) si trova costretto a combattere nel Colosseo dopo che la sua patria viene conquistata da parte delle centurie di Marco Acacio (Pedro Pascal) per ordine dei due tirannici imperatoriGeta (Joseph Quinn) e Caracalla (Fred Hechinger), che ora governano Roma. Con il cuore ardente di rabbia e il destino dell’Impero appeso a un filo, Lucio deve affrontare pericoli e nemici, riscoprendo nel suo passato la forza e l’onore necessari per riportare la gloria di Roma al suo popolo.

Bentornati nell’arena

Il Gladiatore II – Paul Mescal e Pedro Pascal

Ci si è chiesti a lungo se fosse o meno necessario un sequel di Il Gladiatore II e con grandi probabilità c’è chi – comprensibilmente – se lo chiede anche ora che questo seguito è realtà. Partiamo subito con il dire che questo nuovo film non si discosta poi molto da quanto mostrato e compiuto dal primo. Anzi, ne segue attentamente le orme con un fare celebrativo. Non a caso, sono innumerevoli i riferimenti al titolo del 2000, che come un’ombra si aggira su questo sequel quasi a guidarne ogni passo.

Ciò significa che questo sequel propone di nuovo tutta l’epica già evocata dal primo, seppur con tutte le prodezze tecnologiche e di effetti speciali che un quarto di secolo in più ha portato a disposizione. Questo non necessariamente comporta che questo sequel sia più spettacolare, ma certamente riesce ad essere al di sopra della media degli odierni blockbuster di questo tipo. Merito della capacità di Scott – ad 87 anni – di immaginare scenari e situazioni dotati di un senso della grandiosità e della meraviglia da far invidia.

Poco – anzi nulla – importa quindi se la verosimiglianza storica non è di casa neanche stavolta, perché per quanto la rappresentazione di battaglie navali e i combattimenti con babbuini o rinoceronti possa essere forzata, possiede quel certo fascino che soddisfa la voglia di un intrattenimento, certamente folle, ma capace di far parlare di sé. Gli stessi scontri tra gladiatori o le battaglie di più ampia portata sono sempre poste in scena con una brutalità che, tra sangue, sudore e muscoli che si flettono, trasmette proprio quell’eccitazione e quella tensione che gli spettatori sugli spalti del Colosseo devono aver provato.

Il Gladiatore II tra Shakespeare e monito sul presente

Il Gladiatore II – Denzel Washington

Di certo, come si diceva in apertura, l’aspetto più interessante del film è la vicenda politica che porta avanti. Leader assoluto in ciò è il Macrino di Denzel Washington, perfetto Riccardo III shakespeariano che machiavellicamente trama per ribaltare completamente il proprio status. Un personaggio magnifico il suo, con cui Washington dimostra di essere un fuoriclasse. Per quanto il cast sia composto di ottimi attori, è lui a fagocitare tutte le attenzioni, rubando facilmente la scena ai suoi colleghi.

Con lui, Scarpa e Scott propongono un ritratto di quei subdoli uomini di potere che oggigiorno riescono, facendo leva sulla pancia del popolo, a raggiungere i propri loschi obiettivi, ponendo sempre più in crisi la democrazia. In questo il film diventa dunque un monito che si unisce all’intrattenimento offerto. Certo, il racconto di Lucio – l’effettivo protagonista – si muove su diverse soluzioni narrative piuttosto facili e poco convincenti ma, come valeva per Napoleon, anche con Il Gladiatore II si può chiudere un occhio quando nel complesso Scott si dimostra ancora una volta un tale maestro nello spettacolo cinematografico.

Outer Banks 4 – Parte 2: tutto quello che c’è da sapere sulla stagione 4, parte 2

Suonate il campanello d’allarme: Outer Banks è tornato per un’ultima visita nella quarta stagione. Dopo il viaggio sulle montagne russe della Parte 1, conclusosi con un enorme cliffhanger, la Parte 2 è pronta a partire con i Pogues sull’orlo della loro uscita più esplosiva. Uno degli spettacoli più visti su Netflix, la prima metà della Stagione 4 ha raggiunto la vetta delle classifiche dello streamer, guadagnando oltre 15 milioni di visualizzazioni e volando in cima alla lista. Con la seconda parte che dovrebbe fare lo stesso, è lecito pensare che l’attesa sia alta. Quindi, senza ulteriori indugi, ecco tutto quello che c’è da sapere su Outer Banks 4 – Parte 2.

Outer Banks 4 – Parte 2 è ufficialmente disponibile dal 7 novembre 2024. 

Dove si può vedere in streaming Outer Banks 4 – Parte 2

Come sempre, è possibile vedere in streaming Outer Banks 4 – Parte 2 su Netflix. Al momento, tutte le altre stagioni dello show di successo sono disponibili sullo streamer.

C’è un trailer per Outer Banks 4 – Parte 2

La posta in gioco è più alta che mai quando Outer Banks entra nella parte finale della sua quarta stagione, e potete vedere il trailer ufficiale qui sotto. Dopo che la prima parte si è conclusa con più domande che risposte, questo trailer promette già una risposta al desiderio del fandom. Aspettatevi una seconda parte esplosiva e ricca di azione, con la messa in discussione della leadership di John B., la crisi d’identità di JJ e la caccia alla vendetta di Cleo; come dice John B. nel trailer, “Tutti noi abbiamo creato una casa. Ora è tutto in gioco. La domanda è: cosa rischieremmo per proteggerla?”. Oltre al trailer, Netflix ha rilasciato anche i titoli di ogni episodio: l’episodio 6 si intitola “Il consiglio comunale”, l’episodio 7 “Madri e padri”, l’episodio 8 “Il giorno della decisione”, l’episodio 9 “La tempesta” e il finale “La corona blu”. Netflix ha anche rilasciato i primi 8 minuti della Outer Banks 4 – Parte 2, come perfetto assaggio del dramma che verrà.

Di cosa parla Outer Banks 4 – Parte 2?

La fine della quarta stagione di Outer Banks , parte 1, ha lasciato le mascelle a terra quando è stata rivelata la rivelazione bomba che JJ è nato come Kook. Da quando la prima parte, a ritmo lento, è entrata in azione nell’episodio finale, era chiaro che la seconda parte della stagione 4 sarebbe stata esplosiva. Nella recensione della Parte 1 per ColliderTherese Lacson ha subito elogiato la traiettoria che la Stagione 4 sta percorrendo, affermando che

“Anche se ci vuole un po’ di tempo per prendere slancio, quando la caccia inizia ad andare avanti, lo show torna a sparare a tutto spiano. Ci sono esperienze di pre-morte ,situazioni altamente improponibili, adulti che vengono sventati dalla Scooby Gang e altri misteri da svelare per i ragazzi. Sebbene abbia criticato i primi episodi per la mancanza di elementi che legassero la caccia ai Pogues, alla fine dell’episodio 5, “Albatross”, viene finalmente svelato un importante colpo di scena che bolle in pentola da un po’ di tempo e che coinvolge JJ. Se John B. è senza dubbio il cuore dei Pogues, JJ ne è l’impulsivo Id, e sarà interessante vedere come gestirà questa rivelazione che gli cambierà la vita. Inoltre, lo show introduce il tradimento dei personaggi e una morte scioccante che mi ha reso ansioso per la seconda parte della stagione. Proprio quando sembra che stia decollando, la prima parte si conclude. Con lo show che promette più drammi nei prossimi episodi, i Pogues e la quarta stagione di Outer Banks sono su una buona traiettoria. Ora vediamo se rimarrà così”.

Per coloro che sono alla ricerca di un riassunto di tutto ciò che ci si può aspettare dall’intera stagione, ecco un’occhiata alla sinossi della stagione 4 di Outer Banks:

“Dopo il flashforward di 18 mesi della scorsa stagione che mostrava la proposta di Wes Genrette ai Pogues di trovare il tesoro di Barbanera, la quarta stagione ci riporta indietro nel tempo fino a quel momento. Dopo aver trovato l’oro a El Dorado, i Pogues tornano a OBX e si impegnano ad avere una vita “normale”. Si sono costruiti un nuovo rifugio sicuro, ufficialmente soprannominato “Poguelandia 2.0”, dove vivono insieme e gestiscono un negozio di esche, attrezzature e tour charter di discreto successo. Ma dopo alcuni problemi finanziari, John B, Sarah, Kiara, JJ, Pope e Cleo accettano l’offerta di Wes e tornano nel gioco “G” per una nuova avventura. Ma prima che se ne accorgano, si ritrovano in una situazione di pericolo, con nuovi nemici alle calcagna che li spingono verso il tesoro. Nel frattempo, i loro problemi non fanno che aumentare e sono costretti a mettere in discussione il loro passato, presente e futuro: chi sono veramente, ne è valsa la pena e quanto sono disposti a rischiare?”.

Chi fa parte del cast di Outer Banks 4 – Parte 2?

Il cast della quarta stagione, parte 2, dovrebbe rimanere esattamente lo stesso, e includerà attori del calibro di Chase Stokes nel ruolo di John B, Madelyn Cline nel ruolo di Sarah Cameron, Madison Bailey nel ruolo di Kiara Carrera, Jonathan Daviss nel ruolo di Pope Heyward, Rudy Pankow nel ruolo di JJ Maybank, Austin North nel ruolo di Topper Thorton, Carlacia Grant nel ruolo di Cleo, Drew Starkey nel ruolo di Rafe CameronJ. Anthony Crane nel ruolo di Chandler Grotte . Anthony Crane nel ruolo di Chandler Groff, Brianna Brown nel ruolo di Hollis Robinson, Pollyanna McIntosh nel ruolo di Dalia, Mia Challis nel ruolo di Ruthie e Rigo Sanchez nel ruolo di Lightner.

Chi c’è dietro la quarta stagione di Outer Banks?

Ancora una volta, i creatori dello show Shannon Burke, Jonas Pate e Josh Pate saranno al timone. Ognuno degli episodi finali è stato scritto da loro e Jonas ha diretto il primo di essi. Il trio ha prodotto esecutivamente la stagione insieme ai produttori Sunny HodgeAaron Miller e Carole Peterman.

Outer Banks 4 – Parte 2 sarà l’ultima?

Rallegratevi! Netflix ha confermato ufficialmente che i Pogues torneranno per una quinta stagione, con il finale dell’imminente Parte 2 che sarà un lungometraggio, pronto a dare il via a un’accattivante quinta uscita. Tuttavia, hanno anche confermato che la quinta stagione sarà l’ultima, affermando in una dichiarazione ai fan:

“Ora, con un po’ di tristezza, ma anche di eccitazione, ci lasciamo alle spalle la quarta stagione e ci dedichiamo alla quinta, in cui speriamo di riportare a casa i nostri amati Pogues nel modo che abbiamo immaginato e pianificato anni fa. La quinta stagione sarà la nostra ultima e pensiamo che sarà la migliore. Speriamo che vi unirete a noi per un’altra remata verso il surf break”.

Grotesquerie, la spiegazione del finale: come l’assassino prepara la seconda stagione

Sebbene il finale della serie Grotesquerie abbia offerto alcune risposte agli spettatori, la conclusione dello show ha lasciato ancora molti misteri irrisolti. A giudicare dall’episodio 9 di Grotesquerie, il finale della prima stagione di Grotesquerie non aveva alcuna possibilità di concludere la trama in modo soddisfacente. I raccapriccianti omicidi multipli alla fine dell’episodio hanno fatto sembrare che i sogni di Lois potessero essere premonizioni distorte. Il finale della prima stagione di Grotesquerie sembrava dare ragione a Lois, poiché i sogni inquietanti dell’eroina hanno iniziato a diventare realtà nel penultimo episodio. Questo sembrava rendere irrilevante l’enorme colpo di scena dell’episodio 7 di Grotesquerie, secondo cui l’intera serie era solo un sogno di Lois in coma.

Tuttavia, il finale della prima stagione di Grotesquerie non ha né confermato né smentito questa ipotesi. Il medico di Lois non era colpevole degli omicidi di Grotesquerie, ma gli spettatori non hanno mai potuto conoscere la sua vera identità (al di fuori del sogno in coma), poiché è stato vittima dell’assassino. Questo finale piatto e privo di colpi di scena ha lasciato gli spettatori con più domande che risposte. Il creatore della serie, Ryan Murphy di American Horror Story, è noto per i finali che non riescono a dare seguito alle idee interessanti sviluppate in precedenza nella serie, e Grotesquerie ha indubbiamente ripetuto questa tendenza con un finale che ha sollevato molte nuove domande, ma non ha dato alcuna risposta.

Chi era l’assassino in Grotesquerie?

Il finale della prima stagione di Grotesquerie non ha rivelato l’assassino

Dopo aver stuzzicato la curiosità degli spettatori per nove episodi, il finale della prima stagione di Grotesquerie non ha mai spiegato chi fosse l’omonimo killer biblico. Nel sogno di Lois in coma, il colpevole si è rivelato essere padre Charlie e la sua complice era l’apparentemente innocente e eccentrica amica di Lois, suor Megan. Tuttavia, in realtà, padre Charlie era il medico di Lois e Megan era l’agente di polizia che aveva sostituito Lois come capo della polizia.

Nessuno dei due sembrava essere colpevole degli omicidi, dato che Megan stava indagando su di loro e il medico è diventato una delle ultime vittime di Grotesquerie nelle scene finali dell’episodio. Molte cose sono successe prima di questo colpo di scena sconcertante.

Perché Marshall ha cercato di togliersi la vita nel finale di Grotesquerie

Grotesquerie
Cortesia di © Disney+

Il marito di Lois è stato accusato di violenza sessuale da una studentessa

Marshall e Redd prepararono la cena per Lois, tentandola con un martini e l’offerta di vivere insieme come una strana coppia non omogenea. Lois rifiutò la proposta e Redd rivelò di sapere che Marshall la tradiva. Disse che aveva accettato il piano di Marshall solo per vedere Lois rifiutarlo.

Dopo che uno studente lo ha accusato di violenza sessuale, Marshall ha tentato il suicidio con un’overdose. Ha protestato la sua innocenza e ha affermato che la loro relazione era consensuale, ma ha rapidamente perso ogni speranza dopo essere stato arrestato e incriminato. L’overdose di Marshall non ha avuto successo e Redd ha ribadito che non voleva più avere nulla a che fare con Marshall quando si è svegliato.

Il Mexicali Men’s Club dal finale della serie Grotesquerie spiegato

Fast Eddie ha portato Marshall al Mexicali Men’s Club, che si è presto rivelato essere un’organizzazione politica clandestina. La difesa di Marshall della mascolinità tradizionale ha suscitato applausi, rivelando i valori reazionari del gruppo. Il gruppo era anche ampiamente contrario al fenomeno della cultura della cancellazione, ma sorprendentemente favorevole ad approcci progressisti nei confronti dei pronomi.

Apparentemente, il gruppo rappresentava un bizzarro mélange di ideologie che abbracciavano i valori tradizionali e l’individualismo gerarchico, sostenendo allo stesso tempo alcune cause liberali. Tutti i personaggi maschili principali della serie, dal medico di Lois allo specialista dei sogni di Santino Fontana, si sono rivelati membri di questo club oscuro.

Perché Lois ha tentato di togliersi la vita nel finale di Grotesquerie

Nel frattempo, Lois si chiedeva se si fosse mai svegliata dal coma. Questo la portò anche a tentare di togliersi la vita, con conseguente appuntamento con lo specialista di Fontana. Lo specialista di Lois le spiegò che soffriva della sindrome di Cotard, una condizione in cui i pazienti credono di essere morti.

Lois ha ammesso allo specialista di Fontana di aver accusato il medico che le ha salvato la vita di aver organizzato orge nella sua stanza d’ospedale mentre era in coma. Inorridito, il medico di Grotesquerie ha detto di essere d’accordo con Marshall sul fatto che Lois non avrebbe dovuto sopravvivere al coma quando lei ha insinuato che lui avesse messo incinta un’altra paziente.

La morte di Justin era reale?

La goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha reso l’eroina di Grotesquerie, Lois, incapace di distinguere la realtà, è stata la morte di Justin. Lois ha sparato e ucciso Justin, l’amante violento di Megan, alla fine dell’episodio 9, e il suo corpo sembrava essere scomparso. Lois ha visto Megan incontrare Glorious McCall e ha supposto che fosse stato il boss del crimine a sbarazzarsi del corpo. Megan non solo ha respinto questa teoria, ma ha anche affermato di non vedere Justin da settimane. Infuriata e confusa, Lois ha accusato lo specialista di Fontana di aver commesso diversi omicidi dall’episodio 9, mentre lui l’ha accusata di aver immaginato gli omicidi.

Lo specialista ha detto che Lois ha inventato gli omicidi per giustificare la sua visione di sé stessa come una figura santa che avrebbe salvato l’umanità dalla sua peggiore depravazione. Tuttavia, Megan ha fatto dimettere Lois da un istituto psichiatrico poco dopo che lei si era ricoverata. Megan, in lacrime, ha ammesso di aver insabbiato la morte di Justin e di aver assunto Glorious McCall per aiutarla a disfarsi del corpo.

Ha manipolato Lois al riguardo, ma ha ammesso la verità alla sua ex collega quando ha avuto bisogno del suo aiuto. Megan ha poi condotto Lois all’ultima macabra creazione di Grotesquerie nei minuti finali del finale della prima stagione.

Tutte le morti nel finale della prima stagione di Grotesquerie spiegate

Grotesquerie ha ucciso l’accusatrice di Marshall e il medico di Lois nel finale della prima stagione di Grotesquerie, disponendoli in un tableau che ricordava l’Ultima Cena. Una ricostruzione dell’Ultima Cena con cadaveri umani al centro e i discepoli è apparsa nell’episodio 2 come parte dell’elaborato sogno di Lois in coma, il che significa che questa scena sembrava dimostrare che i suoi sogni erano davvero solo premonizioni. Tuttavia, Lois aveva chiaramente sbagliato l’identità del cattivo. Il medico che lei era convinta fosse Grotesquerie doveva essere innocente, a giudicare dalla sua morte brutale.

Cosa significa davvero il finale della prima stagione di Grotesquerie

Fino all’episodio 6 di Grotesquerie, la serie sembrava un giallo abbastanza lineare, anche se campy e melodrammatico. Tuttavia, il finale della stagione 1 ha dimostrato che si trattava più di una storia satirica e sovversiva. Il vero assassino non è mai stato rivelato, il rapporto tra i sogni di Lois e la realtà non è mai stato svelato e i collegamenti della setta con gli omicidi (se ce ne sono) non sono mai stati spiegati. Tutti questi filoni narrativi potrebbero essere risolti in un secondo momento, ma la prima stagione non ha offerto alcuna soluzione definitiva.

Come il finale della prima stagione di Grotesquerie prepara la seconda

Il finale della prima stagione di Grotesquerieprepara la seconda lasciando misteriosa l’identità dell’assassino, il che significa che gli spettatori dovranno sintonizzarsi sulla prossima stagione per scoprire la verità sull’identità di Grotesquerie. L’assassino potrebbe essere lo specialista di Lois, chiunque altro abbia accesso ai registri dei suoi sogni in coma, o forse Lois stessa. Potrebbe essere Megan, che ha scoperto entrambe le scene del crimine, ma non può più essere il medico tanto denigrato di Lois. Il finale della prima stagione di Grotesquerie non ha avvicinato la sua eroina alla scoperta della verità, ma ha lasciato molti misteri aperti da esplorare nella seconda stagione.

Come è stato accolto il finale di Grotesquerie

Mentre molti critici hanno elogiato i primi episodi di Grotesquerie, gli spettatori della serie indicano il settimo episodio come il punto in cui la serie ha iniziato a peggiorare. La decisione di rendere gli eventi della serie un sogno da coma non è stata ben accolta da molti spettatori.

“Era tutto un sogno” è un tropo molto usato in televisione, e non sempre ha successo. I fan sono diventati sempre più cinici nei confronti di questa particolare scelta sceneggiata perché li fa sentire come se avessero investito senza motivo nei personaggi e nella trama. Un utente di Reddit ha sottolineato che il primo episodio era molto promettente per una serie horror che si sarebbe mantenuta al limite del disagio, ma gli episodi finali della stagione hanno abbandonato questa linea:

Il primo episodio in particolare era girato molto bene e aveva un tema “disgustoso” mentre preparava una trama fantastica… se avessero mantenuto quel tema per tutta la serie e non avessero rovinato tutto nell’episodio 7, rivelando che era tutto frutto dell’immaginazione dei personaggi principali, avrebbe potuto avere successo e bastare una sola stagione. Ma la seconda metà era come un dramma, che non spingeva oltre i limiti del disagio, ma comunque non riusciva a distogliere lo sguardo dallo schermo.

I fan volevano davvero vedere la serie fare qualcosa di nuovo nel campo dell’horror, ma alla fine non è stato così. Molti fan hanno attribuito il fatto di non aver apprezzato il finale della stagione semplicemente al fatto di aver guardato una serie diretta da Ryan Murphy. Molti utenti di Reddit hanno concordato che “Solo Ryan Murphy può rovinare qualcosa che avrebbe potuto essere oro colato”.

Questo sentimento lascia dubbi sul fatto che i fan seguiranno la seconda stagione di Grotesquerie e sulla risoluzione del finale sospeso.

Giurato numero 2: recensione del film di Clint Eastwood

A tre anni di distanza da Cry MachoClint Eastwood torna in sala con Giurato numero 2, nuovo lungometraggio del leggendario regista che arriva al cinema il 14 novembre. Il film, che vede come protagonista Nicholas Hoult nei panni di un giurato alle prese con un caso controverso, riunisce un cast che include Toni ColletteZoey DeutchKiefer SutherlandChris Messina e J. K. Simmons. Scritto dall’esordiente Jonathan AbramsGiurato numero 2 è poi musicato da Mark Mancina e distribuito in sala da Warner Bros.

La trama di Giurato numero 2

La vita di Justin Kemp (Nicholas Hoult) un giurato in un caso di omicidio, viene sconvolta da una rivelazione scioccante: potrebbe essere stato lui l’autore del crimine. Diviso tra il senso del dovere e la paura del giudizio, l’uomo si trova di fronte a un dilemma morale che metterà alla prova la sua integrità.

Giurato numero 2: rielaborare gli immaginari

Hollywood conosce da sempre due soli modi di regolare i conti: a suon di pistolettate o all’interno di un’aula di tribunale. Vecchi cowboy e brillanti avvocati sono i due volti, le due più consuete manifestazioni, di una giustizia per lo più polverosa, ma efficace. Anime complementari della medesima astrazione che, forse inevitabilmente, convivono anche in quest’ultima creatura di Clint Eastwood. Segno di un cinema che, vissuto davanti e dietro la macchina da presa, prosegue fin dagli albori a fagocitare e rielaborare immaginari. A incarnare valori e significati alti, puntualmente offerti alla rigorosa rilettura poetica del suo autore. Implacabile, eppure immancabilmente lucida.

In quest’ottica, Giurato numero 2 non fa eccezione. Lo capiamo subito, a partire dalla didascalia – ai limiti della western-punch line – che campeggia appena sotto al titolo: “la giustizia è cieca, la colpa vede tutto”. Lo percepiamo nell’atmosfera da saloon che aleggia sul pub di periferia al centro della vicenda. E ancora nel ripetuto gioco di sguardi con cui i protagonisti sembrano a più riprese duellare nel corso della storia – o nel bicchiere di whisky (?) che, silenzioso, sfida il protagonista in uno dei frangenti di maggior tensione del racconto.

Eppure, Justin Kemp non è certo un georgiano dagli occhi di ghiaccio. Né tantomeno uno straniero senza nome – o un cavaliere solitario. Semmai un uomo dal passato torbido, anche se giovane marito e futuro padre. Tormentato da spettri e demoni interiori che bussano alla sua porta come le maschere della notte di Halloween – che guarda caso cade il primo weekend che contribuisce a ritardare il verdetto della giuria.

Giustizia e verità

Fin da subito, dall’establishing shot tematico sulla dea Themis e i suoi attributi (la bilancia e la benda sugli occhi), Clint Eastwood cede la parola al giurato. E attorno alla sua figura, attorno ai dilemmi, agli squarci etici e morali dello script di Jonathan Abrams, il cineasta edifica una complessa architettura di sguardi che si fa frontiera di riferimenti e suggestioni. A imperversare, prevedibilmente, sono innanzitutto gli spazi e le intuizioni del primo Lumet, che Eastwood si diverte a citare e insieme ad aggiornare secondo le coordinate dell’America di oggi – ragion per cui l’ostinata fermezza di Cedric Yarbrough, erede ideale del vecchio Lee J. Cobb, diviene la pur momentanea cassa di risonanza di un divario socio-economico che il regista non manca di mettere a fuoco.

Ma nel grande affresco eastwoodiano, calibrato al millimetro e al contempo quasi bulimico nelle sue vertigini citazioniste, confluiscono anche le principali istanze di molto del legal-thriller (e legal-drama) che ha costituito l’ossatura del genere fin dalle origini. Opportunamente imbevuto della filosofia del suo autore e di un’ironia che, di recente, abbiamo ritrovato solo nell’ultimo Friedkin – presentato postumo nel 2023 in occasione dell’80esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

“Io voglio la verità!” gridava del resto un giovane Tom Cruise nell’epilogo di Codice d’onore di Rob Reiner. Eppure, alimentando il parallelismo, il personaggio di Nicholas Hoult sembra piuttosto concretizzare l’”arringa” pronunciata dal colonnello Jessep di Jack Nicholson – lui giurato e insieme colpevole che “non può reggere” una verità che lo dilania. Epicentro non tanto dell’inevitabile e inflazionata dialettica tra verità processuale e verità storica. Quanto di una ricerca della “realtà dei fatti” che, come avveniva già in Richard Jewell, è più che altro frutto di ricostruzioni, narrazioni ad hoc e scampoli di sguardo catturati da uno smartphone – quando l’unico dispositivo in grado di fare ancora la differenza, sembra suggerirci Eastwood, rimane invece il mezzo cinematografico stesso.

Così, sebbene alla sbarra dei testimoni compaiano forse anche il Ridley Scott di The Last Duel e l’ultimo esperimento seriale di Alfonso Cuaròn – delle cui opere Clint Eastwood ripropone l’acuta frammentarietà audio-visiva – l’atteggiamento del regista classe 1930 non si impronta a un aprioristico rifiuto del valore delle immagini, ma piuttosto si colora dell’invito, premuroso, a maneggiarle con cura. Per un’opera dal respiro classico, ma perfettamente inserita nel presente, che muovendosi come di consueto tra dimensione pubblica e privata, crede ancora fermamente nell’impegno sociale – quindi umano – del singolo. Senza il quale l’intero sistema è destinato a collassare.

Spiazzante, vero, spietato. Buono, brutto e cattivo. A 94 anni inoltrati Clint Eastwood non sbaglia un colpo.

Outer Banks – Stagione 5: cast, trama e tutto quello che sappiamo sul finale di stagione

Outer Banks, serie drammatica adolescenziale di Netflix, ha avuto un successo costante nel corso delle sue quattro stagioni ed è stata rinnovata per Outer Banks 5,  la quinta stagione. Creata per la TV da Josh Pate, Jonas Pate e Shannon Burke nel 2020, la serie è incentrata su un gruppo di amici (che si fanno chiamare Pogues), che cercano un tesoro perduto e si scontrano con il gruppo di adolescenti rivale, The Kooks, nella regione di Outer Banks, in North Carolina. Mescolando tutti gli elementi della classica storia d’amore adolescenziale con l’avventura di una spada, Outer Banks offre un’esperienza di visione unica che ha contribuito a renderla uno degli originali più popolari di Netflix.

La quarta stagione si apre con un bagaglio emotivo non indifferente: i Pogues devono affrontare non solo la loro complicata vita familiare, ma anche la nuova avventura che si sta delineando davanti a loro. Le relazioni in Outer Banks diventano sempre più complicate a ogni stagione, così come l’intrigo. Forse l’aspetto più sottovalutato della narrazione dello show, Outer Banks è una storia di crescita che diventa sempre più ricca man mano che il pubblico impara insieme ai Pogues. Tutto ciò rende la quinta stagione una necessità, e Netflix ha prontamente rinnovato il contratto per la quinta e ultima stagione.

Netflix ordina Outer Banks 5, la quinta e ultima stagione

Prima ancora che arrivasse la seconda metà della quarta stagione, le ultime notizie hanno confermato che Netflix ha rinnovato Outer Banks per la quinta stagione. L’eccitante notizia è arrivata anche con una certa tristezza, poiché è stato anche rivelato che l’imminente quinta stagione sarà l’ultima dello show. A riprova dell’intelligente decisione di Netflix di rinnovare, è stato rivelato che la prima parte della quarta stagione ha debuttato al primo posto nella classifica mondiale dello streaming in lingua inglese, un’impresa non facile nell’affollato campo dello streaming.

Sebbene non sia stata fornita alcuna ragione esplicita per la cancellazione, i creatori della serie Josh Pate, Jonas Pate e Shannon Burke hanno rivelato che il piano è sempre stato quello di raccontare una storia di cinque stagioni. Il trio ha rilasciato una dichiarazione congiunta insieme al rinnovo della quinta stagione, in cui si legge: “La quinta stagione sarà la nostra ultima e pensiamo che sarà la migliore. Speriamo che vi unirete a noi per un’altra remata verso il surf”. Con una trama già pianificata, è chiaro che Outer Banks avrà una conclusione adeguata.

Leggete la dichiarazione congiunta dei Pates e di Shannon Burke qui sotto:

Sette anni fa, nell’estate del 2017, ci siamo imbattuti in una foto di adolescenti su una spiaggia al crepuscolo durante un’interruzione di corrente. Da quella foto è scaturita l’idea di una storia di quattro migliori amici che vogliono solo divertirsi sempre. Da questo inizio, abbiamo immaginato un mistero che avrebbe portato a un viaggio di cinque stagioni all’insegna dell’avventura, della caccia al tesoro e dell’amicizia.

All’epoca, sette anni fa, sembrava impossibile che saremmo riusciti a raccontare l’intera storia di cinque stagioni, ma eccoci qui, alla fine della quarta stagione, ancora in fase di lavorazione.

La quarta stagione è stata la più lunga e la più difficile, ma la più gratificante, da produrre. La stagione si conclude con un episodio di lunghezza notevole, che riteniamo essere il nostro episodio migliore e più potente. Ci auguriamo che la pensiate allo stesso modo.

Ora, con un po’ di tristezza, ma anche di eccitazione, ci lasciamo alle spalle la quarta stagione e ci dedichiamo alla quinta, in cui speriamo di riportare a casa i nostri amati Pogues nel modo che avevamo immaginato e pianificato anni fa. La quinta stagione sarà la nostra ultima e pensiamo che sarà la migliore. Ci auguriamo che vi unirete a noi per un’altra remata verso il surf. P4L,Josh, Jonas e Shannon

La quinta stagione di Outer Banks è confermata

Secondo i co-creatori della serie Josh Pate, Jonas Pate e Shannon Burke, l’arco di cinque stagioni era sempre stato previsto.

Non ci è voluto molto perché Netflix decidesse il destino di Poguelandia, e lo streamer ha rinnovato preventivamente Outer Banks per una quinta stagione pochi giorni prima della première della quarta parte della seconda stagione. La decisione è stata chiaramente intelligente, e la quarta stagione ha trascorso un periodo significativo in cima alle classifiche di streaming in lingua inglese. Sebbene l’annuncio del rinnovo sia una notizia entusiasmante, è anche un po’ agrodolce perché la quinta stagione sarà l’ultima uscita dei Pogues. Secondo i co-creatori della serie Josh Pate, Jonas Pate e Shannon Burke, un arco di cinque stagioni era sempre stato previsto.

I dettagli sul cast di Outer Banks5

Ritorneranno i Pogues e i Kooks

Sebbene sia sempre possibile un colpo di scena scioccante nel corso delle due metà della quarta stagione, non è difficile fare ipotesi sul cast della quinta stagione di Outer Banks . Il nucleo centrale di adolescenti ha sostenuto lo show fin dall’inizio, e non c’è motivo di pensare che tutta Poguelandia tornerà per le stagioni successive. Allo stesso modo, anche gli antagonisti Kooks dovrebbero essere presenti, dato che la netta divisione di classe tra i due è uno dei temi più forti della serie.

Detto questo, il cast sarà probabilmente guidato da attori del calibro di Chase Stokes nei panni di John B. insieme a regular come Madison Bailey nei panni di Kiara, Johnathan Daviss nei panni di Pope, Rudy Pankow nei panni di JJ, Carlacia Grant nei panni di Cleo, Austin North nei panni di Topper e Drew Starkey nei panni di Rafe. La quarta stagione ha anche aggiunto una serie di nuovi personaggi, ma al momento non è chiaro se torneranno nelle stagioni successive.

Dettagli sulla trama della stagione 5 di Outer Banks

Poiché la quarta stagione di Outer Banks non è ancora finita, non è possibile prevedere con esattezza cosa accadrà nei prossimi episodi. Tuttavia, alcuni eventi importanti hanno già cambiato la fisionomia delle vite dei personaggi e questo getta le basi per la quinta stagione.JJ che scopre il segreto della sua vera discendenza non è solo un bel colpo di scena, ma introduce anche un elemento di pericolo perché la sua identità è stata probabilmente nascosta per un motivo. Cambiamenti più grandi potrebbero verificarsi nella quarta parte della seconda stagione, ma gli spettatori dovranno aspettare e vedere cosa succederà nella quinta stagione di Outer Banks.

Outer Banks 4, la spiegazione della storia vera di Edward Teach e la leggenda del tesoro di Barbanera

Outer Banks 4 vede i Pogues – John B, Sarah, Kiara, Pope, JJ e Cleo – alla ricerca del tesoro di Edward Teach, alias il famigerato pirata Barbanera. La serie teen drama d’azione e avventura di Netflix, creata da Josh Pate, Jonas Pate e Shannon Burke, segue un gruppo di Pogue nelle Outer Banks, ovvero appartenenti alla classe operaia (i genitori di Kiara sono Kooks (residenti benestanti) ma lei si identifica come Pogue, e Cleo è una Pogue onoraria dopo la terza stagione di Outer Banks). I personaggi si ritrovano a fare delle cacce al tesoro e la loro avventura nella quarta stagione coinvolge Barbanera.

Il finale della terza stagione di Outer Banks fa un salto in avanti di 18 mesi dopo che i Pogue hanno trovato El Dorado, e un uomo di nome Wes Genrette si avvicina a John B., Sarah, Kiara, Pope, JJ e Cleo durante la cerimonia in onore della loro scoperta. Ha una proposta per loro: collaborare con lui per trovare il tesoro di Barbanera. Genrette ha il diario di bordo del capitano di Barbanera del 1718 e, come si è visto nella quarta stagione, i Pogue accettano di aiutarlo. Di conseguenza, la quarta stagione è incentrata sui personaggi delle Outer Banks alla ricerca del tesoro del pirata. Più precisamente, sono alla ricerca dell’amuleto mancante della moglie di Barbanera, Elizabeth.

La vera storia di Edward Teach nei panni del pirata Barbanera spiegata

Secondo il Royal Museums Greenwich, Edward Teach, meglio conosciuto come Barbanera, è nato nel 1680, presumibilmente in Gran Bretagna. L’eredità di Barbanera è quella di uno dei pirati più temibili della storia, che lo rende una delle ispirazioni più popolari per i pirati immaginari in libri, film e programmi televisivi. Tuttavia, Barbanera è stato anche ritratto da attori sullo schermo: Taika Waititi ha interpretato il pirata in Our Flag Means Death e Ray Stevenson in Black Sails sono alcune delle rappresentazioni più recenti.

Sfortunatamente, non si sa molto della vita di Barbanera prima che diventasse un pirata, il che permette alla serie TV di Netflix di avere una certa libertà creativa durante la creazione della storia della quarta stagione di Outer Banks. Durante la Guerra di Successione Spagnola, all’inizio del 1700, Teach era un corsaro, ovvero saccheggiava le navi spagnole per conto degli inglesi nelle Indie Occidentali. Dopo la fine della guerra, Teach non era pronto ad abbandonare la vita da pirata, così lavorò per il capitano Benjamin Hornigold fino a raggiungere il grado di capitano.

Intorno al 1717, Teach catturò una nave e la chiamò Queen Anne’s Revenge. Con il suo nuovo vascello, il capitano salpò per i Caraibi, dove continuò a saccheggiare, a terrorizzare i cittadini e ad abbracciare la vita del pirata con il suo equipaggio di 300 uomini. Teach divenne una figura rinomata nella comunità dei pirati e si guadagnò presto il soprannome di Barbanera per la sua inconfondibile barba nera e il suo aspetto minaccioso. Si dice anche che accendesse delle micce nei capelli per rendere il suo aspetto ancora più spaventoso. Tuttavia, le avventure di Barbanera sui mari non erano destinate a durare per sempre.

Come morì Barbanera e cosa si dice ci sia nel suo tesoro nascosto

Barbanera spostò le sue operazioni sulle coste della Carolina del Nord e del Sud, dove catturò l’attenzione del governatore della Virginia, Alexander Spotswood. Il governatore si impegnò a catturare il pirata e, con la sua squadra di cacciatori, Spotswood riuscì a trovare Barbanera e i suoi uomini vicino all’isola di Ocracoke, nella Carolina del Nord. Barbanera si oppose, ma quando lui e la sua ciurma salirono a bordo della nave del tenente Robert Maynard, caddero in un’imboscata delle truppe di Maynard. Il famigerato pirata fu ucciso durante lo scontro il 22 novembre 1718 e Maynard avrebbe appeso la testa di Barbanera all’albero della sua nave.

Dopo la morte di Barbanera, iniziarono a diffondersi voci sul suo presunto tesoro nascosto. I resoconti sostenevano che il tesoro comprendeva un’ingente fortuna sotto forma di oro. Naturalmente molti cercarono di trovarlo, ma a tutt’oggi nessuno ha scoperto il tesoro di Barbanera. Ma se c’è qualcuno che può trovarlo (almeno nel mondo fittizio della TV), sono John B., Sarah, Kiara, Pope, JJ e Cleo nella quarta stagione di Outer Banks.

Barbanera potrebbe aver seppellito il suo tesoro sull’isola di Ocracoke, nelle Outer Banks

Molti credono che Barbanera abbia sepolto il suo tesoro sull’isola di Ocracoke, nella Carolina del Nord, vicino agli Outer Banks. Secondo lo Smithsonian Magazine, nel giugno del 1718 Barbanera fece scontrare la Queen Anne’s Revenge con un banco di sabbia al largo della costa di Beaufort, nella Carolina del Nord, costringendoli ad abbandonarla mentre affondava in fondo al mare. Il pirata e il suo equipaggio si ritirarono a Ocracoke Island a bordo dell’Adventure, dove il tenente Robert Maynard e le sue truppe trovarono e uccisero Barbanera. Di conseguenza, alcuni ritengono che Barbanera abbia seppellito il suo tesoro a Ocracoke durante il suo soggiorno. Tuttavia, nessuno ha mai dimostrato la veridicità di questa teoria.

Quello che si ritiene essere il relitto della Queen Anne’s Revenge è stato scoperto vicino alla costa di Atlantic Beach, nella Carolina del Nord, nel novembre 1996. Naturalmente, negli anni successivi il relitto è stato parzialmente scavato e perlustrato, ma non è stato trovato alcun tesoro a bordo (anche se l’uscita della stagione 4, parte 1, di Outer Banks suggerisce il contrario). Sono stati rinvenuti manufatti, tra cui un cannone da segnalazione, vetri di finestre, una spada e cannoni, molti dei quali hanno portato gli archeologi a credere che il relitto sia effettivamente quello della Queen Anne’s Revenge (anche se nulla può essere completamente confermato).

La storia di Edward Teach nelle Outer Banks spiegata

Tenendo conto della storia di Barbanera e del tempo trascorso vicino alle Outer Banks dopo l’affondamento della Queen Anne’s Revenge, non sorprende che gli sceneggiatori di Outer Banks stiano preparando la quarta stagione intorno al famigerato pirata e al suo presunto tesoro sepolto. Ogni stagione della serie teen drama di Netflix si è concentrata su misteri diversi. È logico che i Pogues vadano a caccia di tesori nella loro città natale in Outer Banks 4. La ricerca del tesoro di Barbanera permette inoltre agli sceneggiatori di stabilire ulteriori collegamenti tra i personaggi e le figure storiche.

Barbanera ha trascorso diversi mesi al largo della costa della Carolina del Nord, il che significa che le possibilità relative alle sue imprese (e a quelle dei suoi uomini) durante quel periodo sono infinite per la storia di Outer Banks. Anche il coinvolgimento di Barbanera nel blocco di Charles Town (alias Charleston, South Carolina) viene menzionato e utilizzato per approfondire il mistero. Nel complesso, la prima parte di Outer Banks 4 di Netflix sfrutta gli spostamenti dei pirati nella Carolina del Nord e del Sud per sviluppare la storia della caccia al tesoro. Tuttavia, la rappresentazione della storia di Barbanera è basata più sulla finzione che sulla realtà.

Quello che Outer Banks 4 sbaglia sulla vera storia di Barbanera

Forse, quando si parla della storia di Barbanera, non si dovrebbe fare riferimento a Outer Banks 4. Purtroppo, gli sceneggiatori hanno inventato gran parte della storia del pirata per portare avanti la narrazione, compreso il suo stato civile. Secondo quanto riportato, Barbanera non era sposato con una donna di nome Elizabeth al momento della sua morte e non fu giustiziato insieme a lui. La sua ultima moglie sarebbe stata Mary Ormond, ma non è chiaro che fine abbia fatto. Di conseguenza, l‘amuleto di Elizabeth che Wes Genrette chiede ai Pogues di recuperare nella stagione 4, episodio 2, di Outer Banks è fittizio.

Anche la Corona Blu che Lightner e Dalia stanno cercando è falsa. Dal momento che il tesoro di Barbanera è per lo più oggetto di dicerie, gli sceneggiatori del teen drama d’azione e avventura di Netflix hanno dovuto inventarsi gli oggetti di grande valore che il pirata nascondeva nella Carolina del Nord e nei dintorni. Quindi, l’amuleto della moglie di Barbanera e la Corona Blu in Outer Banks 4 non sono reali. Inoltre, anche la storia della morte di Barbanera a Outer Banks è falsa.

Chi ha veramente ucciso Barbanera e dove è naufragata la sua nave vicino alle Outer Banks

Wes Genrette spiega ai Pogues in Outer Banks 4 di essere un discendente diretto di Francis Genrette, l’ufficiale britannico che catturò e uccise Barbanera. Tuttavia, nella vita reale, questo non è vero. Francis è un personaggio fittizio creato per lo show. Tuttavia, Francis è apparentemente basato sul reale esecutore di Barbanera, il tenente della Royal Navy Robert Maynard. Wes rivela anche che, dopo aver decapitato Barbanera (il che è in qualche modo vero, perché Maynard tagliò la testa del pirata), Francis uccise anche la moglie di Barbanera, Elizabeth. Come già detto, Elizabeth non è una persona reale, quindi anche questa parte della storia è falsa.

Per quanto riguarda il luogo in cui Barbanera fece naufragare l’Adventure, non è chiaro cosa sia successo alla nave fino ad oggi. La Guardia Costiera ha localizzato e scavato la Queen Anne’s Revenge vicino ad Atlantic Beach, nella Carolina del Nord, a circa 94 miglia dalle Outer Banks. Tuttavia, la posizione dell’Adventure, la nave affondata che JJ e Kiara cercano per trovare l’amuleto di Elizabeth nella quarta stagione di Outer Banks, è apparentemente sconosciuta.

Barbanera non è l’unica storia vera usata da Outer Banks

All’inizio della serie, Outer Banks non era necessariamente basato su una storia vera. Tuttavia, per quanto riguarda l’atmosfera, lo slang e il rapporto tra chi ha e chi non ha, si è basato sull’esperienza dei creatori Josh e Jonas Pate, cresciuti a OBX. “Èsicuramente uno show di evasione”, ha dichiarato Cline (via WWD). “Rappresenta quello che tutti vorrebbero fare in questo momento, ovvero stare sull’acqua, su una barca, senza dover stare in casa. Vivere in stile Pogue, insomma”.

Tuttavia, ci sono anche delle differenze. Non c’è nessuna faida tra Kooks e Pogues nel vero OTX, poiché è stato creato appositamente per la serie in streaming. Tuttavia, sebbene questi gruppi non esistano in queste forme, sull’isola esiste un forte senso di separazione di classe. Detto questo, non ci sono lotte tra le classi sociali.

Denmark Terry non è una persona reale, ma è basato su Denmark Vesey.

Il personaggio di Denmark Tanny di Outer Banks è invece più in linea con l’utilizzo di Barbanera nella storia. La serie si è concentrata molto sul suo omonimo e sulla sua eredità riguardo ai tesori nascosti. Denmark Terry non è una persona reale, ma è basato su Denmark Vesey. Vinse una lotteria nel 1799, acquistò la libertà e avviò un’attività di successo. Tentò di guidare una rivoluzione contro i proprietari di schiavi, ma fu catturato e giustiziato.

Un’altra ispirazione reale per Outer Banks è il Mercante Reale. Nella prima stagione, i Pogues cercano il Royal Merchant, che si credeva fosse andato perduto al largo degli Outer Banks nel 1829, con Denmark Tanny come unico superstite. Una vera Royal Merchant è stata persa in mare mentre salpava dalla Spagna nel 1641. Alcuni ritengono che il Royal Merchant fosse pieno di oro e tesori e che nessuno abbia mai ritrovato la nave. Il vero capitano di quella nave era John Limbrey, e Carla Limbrey di Outer Banks è la sua discendente nello show.

My Old Ass: recensione del film con Maisy Stella e Aubrey Plaza

Cosa chiederesti al tuo te del futuro? E se invece potessi parlare con il te del passato, che consigli gli daresti? Nel primo caso, probabilmente, vorresti sapere come sta andando la tua vita, cosa si è concretizzato e cosa no, se sei diventato ricco, se hai una bella famiglia o se hai viaggiato tanto quanto ti eri ripromesso. Nel secondo, invece, potresti voler dare alcuni consigli, offrire una prospettiva diversa sulla vita data l’esperienza in più, come ad esempio godersi di più il tempo con le persone care. È esattamente ciò che avviene in My Old Ass, il nuovo film della regista Megan Park (meglio nota come attrice ma fattasi notare nel 2021 con la sua prima regia, La vita dopo – The Fallout). 

Da lei anche scritto (e prodotto da Margot Robbie), il film ci pone dinanzi ad entrambe queste possibilità, configurandosi come un coming of age tanto semplice e delciato quanto capace di parlare dritto al cuore. My Old Ass non è infatti interessato a fornire particolari dettagli su come le due Elliott riescano a comunicare, né ambisce ad altri possibili risvolti fantasy. Piuttosto, si muove a partire da questo incontro per poi spostarsi subito oltre, verso un racconto “piccolo” ma nel quale si racchiudono tutta una serie di emozioni, stati d’animo e atmosfere che ci portano a ricordare quelle lezioni imparate troppo tardi o quei momenti del passato che avremmo voluto stringere di più a noi, se solo ne avessimo avuto una consapevolezza diversa.

La trama di My Old Ass

Il “vecchio culo” del titolo è quello della trentanovenne Elliott (Aubrey Plaza), che appare davanti ad un’incredula Elliott diciottenne (Maisy Stella) mentre è in preda alle allucinazioni causate da alcuni funghi ingeriti insieme alle sue due migliori amiche. La giovane Elliott è infatti in procinto di partire per Toronto, lasciandosi alle spalle la famiglia per intraprendere una vita nuova e diversa da quella fino a quel momento conosciuta. La serata di svago organizzata con le sue amiche prende però una piega inaspettata quando appunto incontra la sé stessa del futuro. Ciò che questa le dirà la spingerà a riconsiderare il tempo che trascorre con i suoi cari, ma la metterà anche in guardia da un misteriso Chad (Percy Hynes White).

Come scorre veloce il tempo

Chi ricorda l’ultima volta che si è usciti a giocare con i propri amici? Viene chiesto anche nel film. Nessuno pare ricordarlo e nell’accorgersene il cuore sembra stringersi un po’ dalla malinconia. È questo il sentimento che My Old Ass evoca mentre il suo racconto progredisce, con la sua protagonista sull’orlo di un grande cambiamento di vita. Un cambiamento che, come spesso accade, oscura tutto ciò che di contorno ad esso c’è, portandoci a perdere di vista quei piccoli dettagli in cui invece andrebbe riposto il nostro cuore. Perché lì dove c’è una figlia che si affaccia alla vita adulta, ci sono anche una madre e un padre che la guardano dirigersi nel mondo e allontanarsi da loro.

Ed è dunque il tempo il principale antagonista del film, più volte menzionato, maledetto e pregatodi fermarsi o anche solo rallentare un po’. Di quanto sia crudele Elliott ne è consapevole da subito, senza che occorra nessuna sé del futuro a dirglielo, anche se la cosa le verrà ribadita ugualmente. Ma per quanto lo si supplichi il tempo continua ad ignorarci e procede dritto nella sua corsa. Ciò che si può fare, dunque, è cercare di vivere al meglio possibile ogni attimo che si ha a disposizione. Motivo per cui se prima Elliott tiene un conto alla rovescia dei giorni che la separano dalla partenza, ben presto inizierà a vivere quella scadenza con tutt’altro stato d’animo.

In particolare, su consiglio della sé del futuro, inizia a spendere del tempo con la propria famiglia, riscoprendo la gioia di quei legami che troppo spesso si riscoprono e rimpiangono quando ormai hanno “cessato” di esistere. My Old Ass si compone così dei timidi avvicinamenti di Elliott ai fratelli, al padre e in particolar modo a quella madre definita “seccante”, ma grazie alla quale si avrà quella che è senza dubbio la scena più emotivamente forte del film, nella quale si ritrova uno dei frammenti del cuore di questo racconto. Una scena che contribuisce a far emergere tutta la prorompente vitalità del film, sprigionando emozioni che investono lo spettatore rimasto nel mentre senza alcuna difesa.

Maisy Stella è un autentico dono

È dunque l’assoluto presente il campo di indagine del film, che non a caso del futuro da cui proviene l’adulta Elliott non ci dice o mostra nulla (tranne alcune allarmanti sirene e l’invito a ripararsi nel seminterrato che sentiamo durante una telefonata tra le due, nulla di buono dunque). Elliott ha l’incredibile opportunità di dare più valore al suo presente, di imparare a cogliere quell’attimo fuggente che può rendere straordinaria la sua vita. La regista, dunque, si lascia alle spalle i toni cupi e drammatici del suo precedente film per dar vita ad un’opera seconda che è tra le cose più belle successe al genere coming of age negli ultimi anni.

Un’opera semplicissima la sua, con pochi essenziali personaggi, una manciata di ambienti e nessun distraente virtuosismo, dove si lascia che siano i personaggi a portare avanti il racconto con le loro parole, le loro speranze e le inevitabili paure. Ecco perché, al termine della visione, sanno rimanere nel cuore e nella mente dello spettatore. Personaggi con i quali si sviluppa subito un’amicizia per la spontaneità con cui sono raccontati, con grande attenzione a quelle “imperfezioni” che li rendono umani. Il merito, però, sta anche nella bravura degli interpreti, dal primo all’ultimo.

Se Aubrey Plaza prosegue nel suo anno d’oro dopo Megalopolis e Agatha All Along, la vera scoperta è Maisy Stella, cantante e attrice divenuta celebre per la serie Nashville e qui al suo primo ruolo da protagonista di un film. La sua generosità nei confronti del suo personaggio è commovente, per la grazia con cui affronta i momenti più leggeri e quelli più drammatici del racconto, giungendo sempre al cuore dello spettatore con questo suo ritratto di una ragazza in cui è facilissimo potersi riconoscere. Non per nulla, è stata candidata come Miglior esordiente ai Gotham Awards 2024.

La meraviglia di essere giovani e stupidi

Si è parlato di “momenti drammatici”, perché ce ne sono e arrivano in modo così naturale e imprevisto da far rimanere spiazzati. Ma questa è la vita e il segreto per affrontarla anche nei suoi lati peggiori è quella magica combinazione di giovinezza e stupidità, che Elliott rivendica fino all’ultimo. E allora via alla frenesia, tra lo spensierato cazzeggio, una vivace colonna sonora e il susseguirsi di una serie di splendidi ambienti che si fanno specchio della libertà della protagonista. Libertà che, sappiamo, potrebbe perdersi nel momento in cui si trasferirà in città. Una frenesia che si ritrova ovviamente anche nell’amore che lentamente nasce tra Elliott e Chad e che ben rievoca la meraviglia degli amori giovanili.

Perché l’altra grande linea narrativa del film è quella che lega Elliott a Chad, che ha dunque a che fare con l’amore e ciò che questo sentimento può farci scoprire di noi. My Old Ass è, in via definitiva, un viaggio di scoperta, durante il quale si può anche incappare nel dolore, che Elliott capirà però di non voler evitare. Perché se è vero che un giorno questo dolore ti sarà utile (come recita il titolo di un bel romanzo di formazione), allora proteggersene non sarà di alcun aiuto, come si comprende in un finale rapido ma di grande impatto. Meglio aprirsi alla vita, e nel dirci ciò My Old Ass è un puro dono, una carezza allo spettatore e un grintoso, divertente e commovente invito a dare più valore al proprio tempo.

Don’t move: recensione del nuovo film con Finn Wittrock

Il tema del rapimento sembra essere stato estremamente sviluppato nel corso degli anni nel panorama cinematografico. Si tratta talvolta di pellicole molto avvincenti, dense di suspense e successivamente vincitrici anche di diversi riconoscimenti, quali Il silenzio degli innocenti.

Don’t move presenta un pattern simile a molti altri film dello stesso genere: il rapimento di una giovane donna da parte di un sociopatico. Diretto da Brian Netto e Adam Schindler e prodotto da Sam Raimi (Spider man), Don’t move presenta un cast formato da attori ben noti nel panorama cinematografico internazionale: Finn Wittrock (La grande scommessa, acque profonde) interpreta qui il protagonista Richard, mentre Kelsey Asbille (FargoYellowstone) è nel ruolo di Iris.

Don’t move: il rapimento

E’ mattina presto: Iris lascia il suo letto quando ancora tutti dormono con il solo scopo di dire addio a questo mondo. L’improvvisa morte de figlio Mateo ha fatto si che lei non riuscisse ad avere più alcuna gioia nel continuare a vivere. E proprio nel momento in cui sta per buttarsi giù dallo stesso dirupo da cui era caduto il suo bambino un giovane la convince a continuare a vivere.

Una volta scesi dalla  montagna però, lui la addormenta con un taser e la rapisce: qui ha inizio l’incubo di Iris. Per quanto la donna riesca a liberarsi e a scappare dal proprio aguzzino, la potente droga che lui le aveva iniettato le avrebbe bloccato le funzioni motorie in meno di venti minuti. Inizia così una terribile corsa per salvarsi la vita.

Le occasioni per scappare, salvarsi o essere salvata sembrano essere diverse per Iris, ma Richard sembra sempre avere la meglio.

Don’t move: una nuova voglia di vivere

Primo elemento interessante che si riscontra in Don’t move è come, mentre all’inizio del film Iris è sul punto di togliersi la vita, nel momento in cui Richard la rapisce per essere lui a ucciderla lei scappa. Certo, è da considerare che, trattandosi di un killer psicopatico, l’assassinio di Iris sarebbe stato solo l’atto finale. Ciononostante, la donna ha diverse occasioni per raggiungere il suo intento iniziale, ma non si suicida.

Da quando Richard la rapisce è come se Iris avesse recuperato la voglia di vivere, e proprio per questo lotta con ogni sua forza per cercare di sfuggire al terribile destino che l’assassino gli vuole riservare.

Questo diventa quindi un punto di riflessione sulla stessa psiche umana: nel vedere mettere a rischio seriamente la propria vita, lo spirito di sopravvivenza prende il sopravvento. Don’t move non si differenzia in molto da altre pellicole più o meno famose sullo stesso genere, se non per questo elemento.

Giocare a fare Dio

Don’t move si focalizza totalmente su Iris e Richard, delineando gli stati d’essere di entrambi. Di conseguenza, permette allo spettatore di comprendere meglio anche il modo di pensare di Richard. L’assassino sembra essere un chiaro esempio di psicopatia: ha un deficit della mentalizzazione altrui, ovvero non riesce a provare empatia, non è un soggetto delirante, agisce senza alcun senso di colpa, vedendo gli altri esseri umani come meri oggetti da usare a proprio piacimento.

Richard sembra agire sistematicamente, avendo un modus operandi ben chiaro: sappiamo che il suo target sono solo donne, lui stesso afferma di non aver mai ucciso un uomo. Sceglie i fine settimana per divertirsi nelle sue sevizie perché passa il resto della settimana con sua moglie e sua figlia: ciò indica che solitamente vive una vita normale, all’insaputa di tutti.

Il motivo per cui lo fa ci viene spiegato direttamente dalle sue parole. Dopo la morte di Chloe, lui si finalmente sentito “ricollegato”: vederla morire ha sbloccato qualcosa in lui, qualcosa che aveva sentito rimanere latente fino a quel momento. Poter vedere una persona morire lo aveva emozionato a tal punto da voler rivivere quello stato d’animo. Il punto focale della sua perversione è proprio “giocare a fare Dio”, ovvero avere la vita di una persona tra le proprie mani, per poi vederla morire.

Don’t move è in definitiva un thriller molto forte, caratterizzato da un clima di crescente suspense e tensione. Partendo da un silenzio quasi inquietante nei primi minuti del film, già con l’inizio dei titoli di testa il cuore degli spettatori fa un sobbalzo. Così le prime scene in cui Richard riesce a convincere Iris a non suicidarsi e i due scendono insieme come due amici giù dalla montagna restano solo un ricordo lontano.

Outer Banks 4 – Parte 2, la spiegazione del finale: quel personaggio importante è davvero morto?

Outer Banks 4 – Parte 2 conclude la penultima puntata dello show, portando i Pogues in Marocco alla ricerca della Corona Blu, incontrando diversi nemici e facendo i conti con perdite scioccanti. Il finale della stagione 4, parte 1 di Outer Banks ha lanciato la notizia bomba della vera identità di JJ, rivelando che è il figlio di Chandler Groff e Larissa Genrette. Questa rivelazione ha portato a molti momenti importanti nella quarta stagione di Outer Banks 4 – parte 2, con JJ e Groff che hanno scoperto la loro tumultuosa relazione mentre il resto del cast di Outer Banks cerca di salvare la loro casa dai Kooks.

Mentre JJ si deteriora in un comportamento antisociale, la sua relazione con Groff porta Outer Banks alla sua ultima stagione, mentre Pope fa i conti con il suo futuro prima di impegnarsi nella vita dei Pogue. Mentre John B. e Sarah ricevono una grande notizia, i Pogue si riuniscono in una missione in Marocco per recuperare la Corona Blu, un artefatto che potrebbe salvare la loro casa e scagionare i loro presunti crimini nel caso in cui il perfido Groff venisse catturato. Quest’avventura comprende diversi momenti importanti, che definiscono la storia della quinta stagione di Outer Banks attraverso un tesoro perduto, mercenari letali e la morte di un personaggio importante che porta alla promessa di vendetta.

JJ è davvero morto in Outer Banks 4 – Parte 2?

Nella scena finale della quarta stagione di Outer Banks 4 – Parte 2 Chandler Groff ritorna dopo essere stato intrappolato in un pozzo da Rafe Cameron. Groff prende in ostaggio Kiara, puntandole un coltello al collo. Nel tentativo di salvare la sua ragazza, JJ convince Groff a liberarla. Tuttavia, Groff accoltella JJ allo stomaco per vendicarsi del fatto che quest’ultimo e i suoi amici lo hanno lasciato nel pozzo. Alla fine di Outer Banks 4 – Parte 2, JJ muore e i Pogues organizzano un funerale in onore del loro amico.

Sebbene Outer Banks abbia avuto la tendenza a riportare in vita personaggi precedentemente creduti morti, sembra che questa sia la fine per JJ. Diversi momenti del finale della stagione 4, parte 2, di Outer Banks fanno pensare a questo, dalla triste rappresentazione dei Pogues che piangono JJ al funerale che è stato organizzato per lui. Per un po’ di tempo sono circolate voci che l’attore Rudy Pankow si stesse preparando a lasciare la serie, e la morte di JJ significa sicuramente che non seguirà le orme di Ward Cameron e Big John Routledge tornando dalla morte nella quinta stagione di Outer Banks.

Caccia al tesoro della stagione 4 di Outer Banks: Chi riceverà la corona blu e l’assetto della stagione 5: ecco come si spiega

L’obiettivo principale della quarta stagione di Outer Banks è stata la caccia alla Corona Blu, un manufatto presumibilmente magico legato alla storia del pirata Barbanera e dei suoi numerosi amici e nemici. Outer Banks 4 – Parte 2 porta l’equipaggio lontano dall’OBX, in Nord Africa. Lì, i Pogues sperano di trovare la Corona Blu, di venderla al giusto acquirente e di utilizzare il denaro per salvare la loro nuova casa, soprannominata Poguelandia 2.0. Per farlo, però, dovranno fare i conti con il gruppo di mercenari chiamato Lupine Corsairs e con Chandler Groff.

Dopo una serie di ostacoli, John B. e Sarah scoprono che la Corona Blu deve trovarsi all’interno di una statua situata in cima a una collina attorno alla quale è costruita la fittizia città marocchina di Agapenta. Prendendo l’iniziativa, JJ si arrampica fino alla cima della statua, recuperando la Corona Blu e preparando apparentemente i Pogues a una vita di lusso e pace. Purtroppo, la ricomparsa di Groff porta JJ alla difficile decisione di salvare la vita di Kiara. Per farlo, JJ consegna a Groff la Corona Blu, poco prima che quest’ultimo accoltelli il primo.

Groff dice a Rafe che il suo acquirente della Corona Blu si trova a Lisbona, in Portogallo.

Nel finale di Outer Banks 4 – Parte 2 Groff ha la Corona Blu e JJ è morto. Ciò dà il via alla storia della quinta stagione diOuter Banks: i Pogues seguiranno Groff a Lisbona, sia per recuperare – e successivamente vendere – la Corona Blu, sia per ottenere giustizia per la morte di JJ. Con la quinta stagione di Outer Banks destinata a essere l’ultima dello show, il confronto con Groff e il destino della Corona Blu saranno senza dubbio l’epilogo della serie di successo di Netflix.

Il cambiamento del personaggio di Rafe e le sue conseguenze per la quinta stagione di Outer Banks

In Outer Banks 4 – Parte 2 i Pogues trovano aiuto da una fonte improbabile: Rafe. La storia di Rafe fino a questo momento lo ha visto opporsi regolarmente ai Pogue, maOuter Banks 4 – Parte 2, vede i loro interessi allinearsi. L’accordo che Rafe ha stretto con Hollis Robinson nella quarta stagione di Outer Banks, parte 1, fa parte del piano di Groff per assicurarsi Goat Island. Rafe lo scopre presto e giura di rintracciare Groff per recuperare il suo denaro. Questo avviene mentre i Pogues vengono mostrati in fuga dai poliziotti di OBX.

Rafe e i Pogues collaborano per convincere lo sceriffo Shoupe a lasciarli andare in Marocco a condizione che riportino Groff, scagionando i Pogues, salvando il lavoro di Shoupe e permettendo a Rafe di riavere i suoi soldi. Per questo motivo, Rafe si unisce con riluttanza ai Pogues, riconciliandosi infine con Sarah. Questo trasforma Rafe in un antieroe nel finale della quarta stagione di Outer Banks, parte 2, quando aiuta i Pogue a combattere i Corsari di Lupine nella ricerca della Corona Blu.

Dato che Groff fugge con la Corona Blu nella quarta stagione di Outer Banks, sembra che il cambiamento di Rafe continuerà nella quinta stagione. È Rafe il primo a proporre l’idea che i Pogues diano la caccia a Groff per vendicarsi. Sebbene ciò sia probabilmente radicato nel desiderio di Rafe di riavere i suoi soldi da Groff, egli è stato certamente utile a John B. e alla sua banda nel finale della stagione 4, parte 2, diOuter Banks, preparandolo a un altro ruolo eroico nella stagione finale dello show.

Il grande colpo di scena di John B. e Sarah in Outer Banks 4 – Parte 2

Una delle più grandi rivelazioni di Outer Banks 4 – Parte 2 è che Sarah è incinta. Questo porta Sarah a essere protetta un po’ di più dai Pogues durante il loro viaggio in Marocco, il che significa un grande cambiamento per la quinta stagione. La quinta stagione di Outer Banks chiarirà che la sicurezza di Sarah è della massima importanza ora che è incinta, e darà anche a John B. un motivo in più per riprendersi la Blue Crown da Groff nel tentativo di dare alla sua famiglia in crescita la casa che merita.

Cosa è successo a Dalia, Lightner e ai Lupine Corsair in Outer Banks 4 – Parte 2?

Gli antagonisti secondari di Outer Banks 4 – Parte 2 erano i Corsari di Lupine, i mercenari incaricati di trovare la Corona Blu. Nel finale della quarta stagione di Outer Banks, parte 2, il loro destino non è ancora chiaro. Lightner, il principale soldato del gruppo, sembra essere stato ucciso da Pope e Cleo per vendicare la morte di Terrence. Per quanto riguarda Dalia e gli altri uomini, invece, non sono stati visti dopo la morte di JJ, il che probabilmente significa che torneranno nella quinta stagione di Outer Banks, quando la caccia alla Corona Blu si intensificherà.

Il vero significato del finale di Outer Banks 4 – Parte 2

Il monologo finale di Outer Banks 4 – Parte 2 riassume il vero significato del suo finale. Mentre JJ muore, si sente John B. che gli fa l’elogio funebre, affermando che il suo amico ha racchiuso così tanto in soli 20 anni di vita. John B. afferma che JJ è il miglior amico che i Pogues potessero avere, e da questo si può dedurre il vero significato del finale di Outer Banks 4 – Parte 2. In generale, lo show parla di amicizia ma, soprattutto, di vivere la vita al massimo, come John B. ricorda JJ.

Inoltre, un altro elemento che il finale di Outer Banks 4 – Parte 2 esplora riguarda il divario di classe che è stato prevalente in tutto lo show. I Pogues vengono mostrati letteralmente costretti a morire per mantenere una cosa semplice come la loro casa, mentre i Kooks dell’OBX mostrano scarsa considerazione per chiunque sia considerato al di sotto di loro. La loro ricchezza e il potere che ne deriva garantiscono loro qualsiasi cosa, mentre i Pogues sono costretti a mettersi in pericolo per vivere liberamente. Questo aspetto sarà ulteriormente approfondito nella quinta stagione di Outer Banks, quando inizierà la ricerca finale della Corona Blu.

Uno Rosso: recensione del film con Dwayne Johnson e Chris Evans

Oggi, 7 dicembre 2024, arriva in sala un’esplosiva commedia d’azione natalizia che promette di scaldare le feste: Uno Rossofilm diretto e co-prodotto da Jake Kasdan, ci trasporta infatti in una elettrizzante avventura ai confini del Polo Nord. Un nuovo capitolo all’interno del personale universo d’avventura del regista, noto per aver diretto Jumanji – Benvenuti nella giungla e il suo sequel Jumanji: The Next Level.

La sceneggiatura, firmata da Chris Morgan, ci presenta un cast stellare guidato da Dwayne ‘The Rock’ Johnson e Chris Evans. Per la prima volta sullo stesso schermo, i due attori danno vita a un improbabile duo incaricato di salvare il Natale. Al loro fianco, un ricco ensemble di attori tra cui Lucy LiuKiernan ShipkaBonnie Hunt e Wesley Kimmel. A interpretare il mitico Babbo Natale è invece J. K. Simmons, che dopo aver prestato la voce a Santa Clause nel film d’animazione Klaus, torna a vestire oggi gli stessi panni.

Prodotto da Amazon MGM StudiosUno Rosso è distribuito da Prime Video.

La trama di Uno Rosso

Polo Nord. Vigilia di Natale. L’atmosfera festosa viene improvvisamente turbata da un evento sconvolgente: Babbo Natale è stato rapito. Conosciuto con il codename “Rosso”, il vecchio è sparito nel nulla a poche ore dalla notte della consegna dei doni. E per far fronte all’emergenza, viene attivata la Task Force dell’ELF, un’unità d’élite incaricata di proteggere il Polo Nord.

A guidare la missione di salvataggio è Callum Drift (Dwayne Johnson), un agente speciale dalla tempra d’acciaio e dalla grande esperienza in operazioni clandestine. Al suo fianco, con l’obiettivo di fornire aiuto esterno alla complicata operazione segreta, viene invece selezionato Jack O’Malley (Chris Evans), famigerato ladro, dotato di straordinarie abilità da segugio che gli consentono di rintracciare chiunque, ovunque si nasconda.

Insieme, Drift e O’Malley si imbarcheranno in un lungo viaggio in giro per il mondo e a contatto con l’ignoto. In una corsa contro il tempo che, tra indizi da scovare, ostacoli da superare e nemici da sconfiggere, li porterà a svelare l’oscuro complotto che minaccia di rovinare per sempre la festa più amata dai bambini. Riusciranno i due “eroi” a salvare Babbo Natale e a ripristinare la gioia nel mondo?

Jake Kasdan e la poetica dello sgraffignare

Era chiaro fin dai tempi di Jumanji – Benvenuti nella giunglaJake Kasdan è sempre stato un abile borseggiatore. Quasi come il Jack O’Malley di questo suo nuovo Uno Rosso, ingaggiato con urgenza per salvaguardare il Natale. O forse addirittura più scaltro, quasi chirurgico nelle sue scelte. E se nel caso del reboot/sequel del 2017 le principali reference erano da ricercarsi all’interno del filone videoludico/avventura modellato da Tron ed eredi fin dagli anni ’80 (passando per eXistenZ e similari, ma senza dimenticare l’influenza dell’allora neonato Jurassic World), per quest’ultimo progetto il regista rivolge invece lo sguardo altrove.

Indiscutibilmente conscio del materiale a disposizione e ben consapevole del target di un’opera di questo genere – inevitabilmente destinata a un pubblico per lo più composto da famiglie e giovani o giovanissimi – Kasdan decide infatti di pescare da buona parte dell’immaginario mainstream degli ultimi trent’anni. A partire dalla celebre serie di Santa Clause a cavallo tra anni ’90 e 2000 (da cui Uno Rosso trafuga soprattutto le atmosfere del Santa Clause è nei guai di Michael Lembeck) e arrivando a mescolare con discreta naturalezza diverse componenti dello spy e del buddy movie. Per quanto l’epicentro del terremoto narrativo del film rimanga innanzitutto il solito e insostituibile The Rock – ormai quasi feticcio di Kasdan.

Uno Rosso è The Rock

A fronte di un Chris Evans che, abbandonata la purezza del Captain America del MCU, torna qui a vestire i panni del “cattivo” ed affascinante cazzone (già sondati in occasione del primo Knives Out di Rian Johnson, nel 2019), l’ipertrofia muscolare di The Rock, estesa in questo caso anche al Babbo Natale dell’ottimo J. K. Simmons, rappresenta il restante 50% della coppia. La metà che tuttavia, forse inevitabilmente, finisce per catalizzare ogni attenzione.

Ti sembro umano?” domanda del resto il personaggio di Dwayne Johnson in uno dei rari momenti di respiro della missione. E nel quesito risiede probabilmente l’essenza di una delle icone più significative del cinema muscolare degli ultimi vent’anni. Quasi che, più che di organi, sangue e tessuti, l’indistruttibile corazza dell’attore sia più che altro frutto della fusione delle tensioni superomistiche dei tanti personaggi a cui ha prestato il corpo (dal Re Scorpione, a Luke Hobbs e Black Adam). E che dunque, memore del monologo del tarantiniano Bill – nel film che dal suo villain prende il nomeDwayne Johnson sia il vero alter ego di The Rock, e non il contrario.

Di certo per Kasdan il Natale è questione seria, anzi serissima. E merita di essere difeso dai migliori. Sebbene il film, per lo più commedia godibile e dalle buone trovate, si perda qua e là in un discorso fin troppo prolisso ed esteticamente traballante.

The Day Of The Jackal dall’8 novembre su SKY e NOW

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Un uomo dai mille volti, un assassino insospettabile e altamente qualificato infallibile nel suo lavoro: è lo Sciacallo, spietato cacciatore che diventa preda quando, portato a termine l’ennesimo incarico di alto profilo, si ritrova nel mirino dei servizi segreti inglesi. Il racconto della sua leggendaria fuga e della caccia all’uomo in giro per l’Europa che ne seguirà è al centro della nuova serie Sky Original The Day Of The Jackal, dall’8 novembre in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW.

Rivisitazione contemporanea in 10 episodi dell’influente romanzo di Frederick Forsyth “Il giorno dello sciacallo” e del successivo pluripremiato film del 1973 della Universal Pictures, la serie vede protagonisti il vincitore del premio Oscar®, del Tony e del BAFTA Award Eddie Redmayne (The Good Nurse, La Teoria del Tutto), la vincitrice del BAFTA Rising Star Award Lashana Lynch (Bob Marley: One Love, The Woman King, No Time To Die) e la star internazionale Úrsula Corbero (La Casa di Carta).

Assassino solitario, sfuggente e implacabile, lo Sciacallo (Eddie Redmayne) si guadagna da vivere uccidendo su commissione. Ma mentre è al lavoro per il suo prossimo incarico, si trova ad affrontare un avversario inaspettato, Bianca (Lashana Lynch), una tenace agente dell’MI6, l’intelligence britannica, che si impegnerà in una implacabile caccia all’uomo in giro per l’Europa per riuscire a catturarlo.

Nel cast anche Charles Dance (Il Trono di Spade, The King’s Man) nel ruolo di Timothy Winthrop,Richard Dormer (Blue Lights, Fortitude, Il Trono di Spade) in quello di Norman, Chukwudi Iwuji (Guardiani della Galassia Vol.3, The Split) nei panni di Osita Halcrow, Lia Williams (The Capture, The Crown) in quelli di Isabel Kirby, Khalid Abdalla (The Crown, Il Cacciatore di Aquiloni) che nella serie è Ulle Dag Charles, Eleanor Matsuura (The Walking Dead, I Used To Be Famous) nel ruolo di Zina Jansone, Jonjo O’Neill (Andor, Bad Sisters) in quello di Edward Carver, Nick Blood (Slow Horses) che interpreta Vince e Sule Rimi (Classified, Andor) e  Florisa Kamara (Eastenders) nei ruoli di, rispettivamente, Paul e Jasmin Pullman.

Prodotta da Carnival Films, parte di Universal International Studios, una divisione di Universal Studio Group, The Day Of The Jackal è stata commissionata da Sky Studios e Peacock. La serie è scritta e adattata dallo showrunner Ronan Bennett, creatore e sceneggiatore dell’acclamata Top Boy. Lead director della serie è Brian Kirk, regista pluripremiato a livello internazionale (Il Trono di Spade, Luther, Boardwalk Empire).

Gareth Neame e Nigel Marchant sono produttori esecutivi per Carnival Films. Redmayne e Lynch sono anche, rispettivamente, produttore esecutivo e co-produttrice esecutiva. Sam Hoyle è produttrice esecutiva per Sky Studios. Sue Naegle è produttrice esecutiva e Marianne Buckland è co-produttrice esecutiva. Christopher Hall è produttore, Emily Shapland è co-produttrice. Frederick Forsyth è consulting producer.

La serie arriverà su Sky e NOW nel Regno Unito, in Irlanda, in Italia, in Germania, in Svizzera e in Austria e su Peacock negli Stati Uniti. NBCUniversal Global TV Distribution si occupa delle vendite internazionali.

Lavennder, il film: parlano i produttori e l’autore Giacomo Bevilacqua

Nei giorni di Lucca Comics & Games, durante il primo panel ufficiale di Bonelli Entertainment – la divisione multimediale della Sergio Bonelli Editore – è stato annunciato l’adattamento cinematografico di Lavennder, graphic novel dalle tinte mistery realizzata da Giacomo Bevilacqua nel 2017 e prima collaborazione dell’autore di A Panda Piace con la storica casa editrice milanese.

Abbiamo incontrato Michele Masiero e Vincenzo Sarno, rispettivamente Direttore Editoriale e Responsabile Multimedia dell’azienda, per farci raccontare qual è lo stato dei lavori di Bonelli Entertainment, a partire dal lancio del nuovo lungometraggio.

Dragonero: i Paladini, Legs Weaver e I misteri di Mystère

Legs Weaver serie animata

Nel corso dei mesi passati era già stata resa nota l’entrata in produzione della seconda stagione di Dragonero: i Paladini, che, a giudicare dal materiale proiettato nel corso del panel, appare già in uno stato decisamente  avanzato delle lavorazioni. C’è poi la serie animata di Legs Weaver, di cui è stato svelato il tesser poster dall’ironico titolo “Legs Weaver odia i cartoni animati”, e il podcast I misteri di Mystère in collaborazione con OnePodcast e per il quale è già disponibile il primo episodio.

Ma la fucina di Via Buonarroti appare in piena attività e Michele Masiero ci tiene specificare: “Tra i vari progetti che stiamo realizzando, questi sono quelli che possiamo rivelare, ma abbiamo diversi titoli in lavorazione.”

Il cinema continua però a dimostrarsi il gioiello della corona dell’industria dell’intrattenimento e il nuovo film Bonelli Entertainment è il progetto che ha destato maggiore interesse da parte del pubblico partecipante. Come mai è stato deciso di adattare proprio Lavennder?

Vincenzo Sarno“Come Casa Editrice siamo specializzati in racconti di generi ben distinti dalle storie sorprendenti ma iscritte all’interno di cornici ben definite. E Lavennder, l’isola che dà il titolo all’opera di Bevilacqua ci ha offerto l’arena perfetta per i personaggi che vogliamo mettere in scena, soprattutto per la protagonista, che non esito a definire la Final Girl definitiva.  Ma soprattutto eravamo affascinati dalla narrazione di Giacomo che in ogni suo tratto, ogni sua inquadratura, ha già un notevole sapore cinematografico. E poi, lasciami dire che il grande twist che accompagna il finale della storia, dando un senso straordinario a tutto, per noi è stato fin dal primo momento un high concept irresistibile.”

Giacomo Bevilacqua, autore di Lavennder, partecipa alla writers room

Qual è il coinvolgimento attuale di Giacomo al momento?

Michele Masiero“Bonelli Entertainment nasce per portare i fumetti Bonelli nella multimedialità, che sia la serialità televisiva, l’animazione, i film, i videogiochi. Tutto nasce dalla creatività del fumetto e poi diventa altro. Ci siamo posti come obbiettivo fondativo di essere co-produttori di ognuna di queste operazioni, affinché il lavoro dei nostri autori e del nostro linguaggio venga rispettato, ovviamente con le modifiche che l’adattamento richiede.

Partiamo da opere di autori con cui abbiamo a che fare ogni giorno, come Giacomo e Lavennder appunto, sarebbe assurdo esautorarli da questa collaborazione. Partiamo da un confronto interno per capire quali possono essere produttivamente e creativamente le cose da salvare, da cambiare, da tagliare, da adattare e lo facciamo con un dialogo costante con gli autori.”

“Certo, non è detto che l’autore del fumetto venga per forza coinvolto anche in tutte le fasi di scrittura del film – continua Masiero – Nel caso di Dampyr, però, Mauro Boselli, co-creatore del personaggio di Harlan Draka insieme a Maurizio Colombo, ha realizzato il soggetto dell’opera cinematografica e ha collaborato con gli sceneggiatori del film, che pure sono autori Bonelli. Per Lavennder, Giacomo Bevilacqua fin dal primo momento ha partecipato alla writers room in cui, insieme al regista, abbiamo posto le basi del progetto.”

L’arco di vita di Dampyr – il film

Dampyr scena finaleAvete nominato Dampyr. Nel 2018 il film è stato annunciato al Lucca Comics, nel 2022 è stato proiettato, pronto per la sala. Ne parliamo ora come di un film che ha compiuto un arco vitale completo, passando dal mondo delle idee e dei propositi, alla sala cinematografica, fino ad arrivare sulle piattaforme di tutto il mondo e ottenendo un notevole successo internazionale decisamente sorprendente dopo i primi tiepidi risultati al botteghino. Qual è il vostro percepito del film alla luce di questo percorso?

Masiero“Non ci nascondiamo dietro a un dito, ci aspettavamo un percorso diverso soprattutto nel lancio in Italia. Il film è nato in era pre-COVID e ha dovuto fare i conti con un mondo completamente diverso, con la crisi delle sale cinematografiche, con l’avvento massiccio delle piattaforme. Era stato pensato per il cinema e noi siamo super orgogliosi di averlo presentato lì perché era quella la sua dimensione. Ha avuto una falsa partenza, ma poi ci è esploso tra le mani in una maniera per noi molto incoraggiante e inaspettata. Abbiamo una fan base in giro per il mondo molto al di là delle nostre aspettative.

A questo punto, non so se possiamo definire il percorso di Dampyr finito, spero di no – continua – Nasceva come un film che avrebbe dovuto dire anche altre cose, lo stesso finale dimostra che dovrebbe essere così e stiamo cercando di dargli una vita ulteriore… non tanto al film quanto al progetto Dampyr, tenendo presente, per l’appunto, come dicevo prima, che che rispetto a come eravamo partiti nelle intenzioni creative, produttive e distributive del 2019, adesso il mondo è completamente cambiato e siamo ripatiti con condizioni diverse.”

Sembra quindi che sentiremo ancora parlare di Dampyr, se non al cinema quindi, magari in altre forme, forse più vicine alla serialità delle piattaforme? Su Netflix USA, d’altronde, il film ha spopolato, raggiungendo il podio della Top 10 nella settimana del Ringraziamento, negli Stati Uniti.

Le nuove regole post-COVID

Nessuno dei due si sbottona, in merito, ma Vincenzo Sarno precisa: “Il COVID ha segnato un prima e un dopo nella storia recente, e per quanto ci sembri distante adesso, ha cambiato per sempre regole che credevamo inscalfibili. Su quelle regole avevamo costruito il ciclo di vita di Dampyr, ma ora ne abbiamo altre e le stiamo percorrendo. Abbiamo imparato sulla nostra pelle che ogni film vive un suo proprio personale percorso proprio su quelle piattaforme che all’inizio venivano tacciate di ‘bruciare’ i contenuti, ma che oggi si rivelano vere e proprie teche che custodiscono cataloghi preziosissimi. In quel mare di offerta, Dampyr ha imparato a nuotare da solo e ora come un figlio che è andato via di casa e in ogni posto dove viene accolto sta costruendo il suo essere ‘cult’”.

Insomma, una palestra per quello che sarà il lavoro su Lavennder… Come navigate in queste regole? Com’è lavorare nel mondo produttivo italiano?

Sarno“Viviamo un momento di ricerca verso nuove strade, nella misura in cui le disposizioni di legge in materia di sostegno ai Produttori e la pluralità del mercato dello streaming, offrono vie ed opportunità che prima non esistevano. Fino a poco tempo fa le serie televisive erano prodotte da Rai, poi si è unita Mediaset, adesso i player in campo sono tantissimi. Le leggi sul Tax Credit danno la possibilità al Produttore di scegliere quali storie seguire. Prima era necessario andare a fare grandi pitch a grandi studios, ora siamo noi lo studio, e per questo dobbiamo ringraziare l’infrastruttura culturale in cui viviamo. Così ci viene dato lo strumento per coccolare i nostri personaggi.”

dragonero i paladini serie tvBonelli è l’unica media company in Italia che produce a 360 gradi per il mondo dell’intrattenimento: film, serie, fumetti, videogiochi, podcast e tanto altro. Com’è far parte di questa realtà così grande e multiforme? Sentite una responsabilità verso il vostro pubblico?

Masiero“Non so se responsabilità sia al parola giusta. Ci sentiamo responsabili nel dare a ogni progetto la vita migliore, secondo noi. Potremmo anche peccare di presunzione, ma lavoriamo di concerto con gli autori e siamo prima di tutto innamorati della creatività che loro ci propongono. Da appassionati cerchiamo di dare una vita ulteriore alla loro creatività. Siamo responsabili perché siamo consapevoli di quello che vogliamo realizzare. I fumetti possono essere fatti anche da tre persone chiuse in una stanza, in questo mondo invece per costruire qualcosa si devono mettere insieme realtà che sono estranee a noi, ma con le quali vogliamo lavorare. Certo, ci piacerebbe che la velocità editoriale, alla quale siamo abituati, si rispecchiasse anche in queste produzioni. Ma qui le regole sono altre.”

Oltre al film di Lavennder, a Lucca 2024 è stato annunciato anche il podcast I misteri di Mystère, un ulteriore mezzo di intrattenimento, un altro modo per raccontare i vostri personaggi. C’è un linguaggio che non avete ancora affrontato e vi piacerebbe sfruttare come autori e produttori?

“Tutti quelli ancora da inventare!” Risponde sorridendo Masiero.
“Un reality… Oppure qualcosa di un po’ più antico, che si fa da tanti anni…” allude Sarno. “Beh sì, non esistono solo gli schermi, ma anche le esperienze dal vivo – fa eco Masiero – Magari stiamo già pensando a qualcosa e l’annuncio ufficiale non è poi così lontano”.

L’impressione è che il film di Lavennder sia davvero solo uno dei tanti progetti in ballo, che ci sia già qualcosa di molto caldo in pentola, volendo azzardare un’ipotesi, l’”esperienza da vivo” e “qualcosa di un po’ più antico, che si fa da tanti anni” sono due indizi che puntano dritti dritti alla nobile arte del teatro, ma se questa supposizione sia giusta e quale sarà la property coinvolta in questo nuovo progetto non possiamo ancora saperlo.

Speriamo solo che l’annuncio non si faccia troppo aspettare.

Intervista a Giacomo Bevilacqua, autore di Lavennder

Citadel: Honey Bunny, recensione della serie Prime Video

Diretta dall’acclamato duo Raj e DK, Citadel: Honey Bunny segna l’inizio di una nuova fase per il franchise di Citadel, estendendone la narrazione in un contesto indiano. L’attesissimo spin-off della creazione dei Fratelli Russo, disponibile su Prime Video il 7 novembre, portando sullo schermo Varun Dhawan e Samantha Ruth Prabhu nei panni dei protagonisti. I due divi sono gli eredi di Matilda De Angelis e Lorenzo Cervasio che in Citadel: Diana ci hanno intrattenuti e divertiti, ma anche lasciati con il fiato sospeso. E le premesse di Honey Bunny non lasciano dubbi: anche questa nuova incarnazione del franchise promette scintille.

Citadel: Honey Bunny è un’intrigante storia di spionaggio con un tocco unico

Raj e DK si sono conquistati un ampio seguito con serie di successo come The Family Man e Farzi, grazie alla loro capacità di fondere umorismo, tensione e azione in storie complesse e realistiche. Con Citadel: Honey Bunny, i registi continuano a dimostrare la loro maestria, intrecciando la trama principale in un universo di spionaggio che unisce mistero, tradimenti e legami familiari. La storia segue i personaggi di Bunny, uno stuntman dalla personalità tormentata interpretato da Varun Dhawan, e Honey, una ex attrice dal passato complicato, con il volto di Samantha Ruth Prabhu. I due, dopo anni di separazione, si ritrovano per proteggere la loro figlia Nadia, una missione che risveglia antiche rivalità e mette in pericolo chiunque sia loro vicino.

Il segreto in una chimica palpabile

La serie si avvale di un cast talentuoso, con Dhawan e Ruth Prabhu che danno vita a personaggi complessi e profondamente emotivi. Varun Dhawan, noto per la sua versatilità e l’abilità di passare da ruoli drammatici a quelli comici, esplora qui una dimensione più oscura del suo repertorio, risultando credibile e intenso. Samantha Ruth Prabhu, già apprezzata per la sua performance in The Family Man, si conferma una delle attrici più talentuose della sua generazione, donando al personaggio di Honey una fragilità intensa e uno spirito indomabile, oltre alla prorompente presenza scenica. Il loro legame, costruito sulla resilienza che alberga nelle loro vite difficili, aggiunge profondità alla narrazione, coinvolgendo gli spettatori che non avranno problemi a confrontarsi con un occhio e un punto di vista distanti dal modus Occidentale.

Una regia avvincente e scene d’azione mozzafiato

Grazie alla loro abilità nel bilanciare scene d’azione intense con momenti di introspezione, Raj e DK riescono a rendere Citadel: Honey Bunny un’esperienza avvincente, senza mai rinunciare al loro linguaggio regionale che si sposa alla perfezione con l’ambizione internazionale del progetto Citadel, proprio come era stato per Diana. La serie si distingue per l’uso intelligente delle inquadrature e per una fotografia espressionista, che accentua l’atmosfera tesa e ricca di suspense. Le sequenze d’azione risultano tanto spettacolari quanto realistiche, nella migliore tradizione indiana contemporanea, abbracciando gli eccessi e le forzature e rendendoli canone irrinunciabile.

Una sfida di scrittura e una visione globale

Dietro le quinte, la scrittura di Sita Menon e Sumit Arora aggiunge un tocco di freschezza e profondità alla trama, con dialoghi incisivi e momenti che danno rilievo ai conflitti interiori dei protagonisti. E se le specificità linguistiche sono fondamentali per il progetto dei Fratelli Russo, la serie conferma la grande attenzione ai temi globali intercettati anche negli altri progetti paralleli: il controllo, il potere e la lealtà, riflettendo il tema universale del franchise di Citadel. Tuttavia, Honey Bunny riesce a proiettare queste tematiche nel posto, vicine al pubblico indiano, offrendo una prospettiva unica che arricchisce il contesto della narrazione principale.

Un’aggiunta di valore al franchise di Citadel

Citadel: Honey Bunny rappresenta una novità elettrizzante e potente nel panorama delle serie d’azione, mantenendo il livello qualitativo che i fan si aspettano dai lavori di Raj e DK. La serie non solo esplora un lato più oscuro e drammatico dell’universo di Citadel, intimo quasi, ma lo fa attraverso una narrazione viscerale e coinvolgente. La chimica tra Varun Dhawan e Samantha Ruth Prabhu, unita alla regia innovativa e a una scrittura densa, garantiscono una storia capace di coinvolgere anche un pubblico più occidentalizzato.

DanDaDan: recensione dell’irriverente anime di Netflix

Storie di alieni strambi, fantasmi invadenti, medium affascinanti e adolescenti pasticcioni abbondano ormai nel catalogo di Netflix. Tuttavia, sono decisamente più rare le narrazioni che uniscono elementi soprannaturali e fantascientifici con tematiche sociali più cupe e complesse, come il bullismo, l’abbandono e la vulnerabilità dei più giovani. È proprio questo mix inusuale di giovani piantagrane e creature ultraterrene, a volte in veste di inquietanti predatori sessuali, a caratterizzare l’irriverente e disturbante anime DanDaDan.

Prodotta dallo studio Science SARU, DanDaDan è una serie paranormale e soprannaturale basata sul celebre manga omonimo scritto e illustrato da Yukinobu Tatsu, pubblicato anche in Italia dall’etichetta J-Pop. La serie, che ha debuttato ufficialmente su Netflix e Crunchyroll lo scorso 3 ottobre, è diventata rapidamente uno dei battle shonen più discussi degli ultimi anni. Probabilmente composta da una prima stagione di 12 episodi, l’anime è attualmente in corso con la pubblicazione di un episodio a settimana, conquistando il pubblico grazie alla sua capacità di mescolare azione, humor irriverente e tematiche adulte che vanno oltre i confini del genere shonen tradizionale.

Cosa racconta Dandadan?

DanDaDan è una tenera e adrenalinica storia d’amore tra due adolescenti agli antipodi: la bella, forte e intraprendente Momo Ayase e l’insicuro nerd Ken Takakura, che lei ribattezza affettuosamente “Okarun”. Dopo essersi conosciuti per caso, e spinti dalla curiosità e da un pizzico di sfida, i due giovani decidono di mettere alla prova le proprie opposte convinzioni sull’esistenza di alieni e spiriti maligni: Momo, scettica verso l’idea di creature extraterrestri, crede fermamente nei fantasmi, mentre Okarun è affascinato dagli alieni ma dubita dell’esistenza del sovrannaturale.

Quella che inizia come una scommessa innocente li trascina presto in un mondo oscuro e pericoloso, in cui alieni e fantasmi non solo esistono, ma sono minacce sinistre, spietate e viscide: da un lato, la razza aliena di Serpo, con intenti brutali, rapiscono giovani donne per sottoporle a crudeli esperimenti di riproduzione, tentando di perpetuare la propria specie. Dall’altro lato, spettri spaventosi (come l’insistente vecchia “turbo-nonna”) cacciano giovani uomini per rubare loro ciò che più rappresenta l’essenza della virilità… ovvero i cosiddetti “gioielli di famiglia”.

È così che questo bizzarro e improbabile duo si ritrova coinvolto in un’avventura soprannaturale che, tra un combattimento e l’altro, li avvicinerà sempre di più, portandoli a scoprire cosa significhi davvero amare qualcuno e acquisendo una nuova consapevolezza di se stessi e dei propri sentimenti.

Oltre il soprannaturale: tra horror e critica sociale

Fin dai primi minuti di visione, DanDaDan si presenta al pubblico come un anime provocatorio e iperbolico, capace di fondere umorismo, romanticismo e critica sociale con una buona dose di horror angosciante. L’opera sfrutta appieno la fantasia, costruendo una trama assurda e paradossale che non ha paura di esagerare, alternando con abilità momenti leggeri e spiritosi ad altri più intensi e drammatici. Questa alternanza di toni contribuisce a mantenere alta l’attenzione dello spettatore, rendendo l’esperienza visiva imprevedibile, coinvolgente e mai noiosa.

Nel corso della narrazione, DanDaDan esplora anche temi ben più complessi e delicati, come la violenza di genere e lo stupro, trattato con un approccio non superficiale e decisamente controverso. Mentre i protagonisti, Momo e Okarun, affrontano le sfide che il destino e le misteriose forze sovrannaturali pongono sul loro cammino, l’anime non si limita semplicemente a raccontare le loro avventure, ma scava in profondità, trattando con grande sensibilità e, talvolta, un tocco di crudezza, il tema della violenza sessuale e delle dinamiche di potere che la accompagnano. Un esempio di questo approccio si vede fin dall’inizio della serie, quando Momo affronta la volgare sfacciataggine del ragazzo di cui era infatuata, o poco dopo, quando la vediamo combattere contro alieni predatori sessuali (che non sono scelti a caso con le sembianze di grossi e inquietanti uomini) per difendere la propria verginità.

Un altro momento particolarmente toccante si svolge intorno alla figura della “turbo-nonna”, che si rivela essere uno spirito maligno nato dalle anime tormentate di ragazze violentate, uccise e abbandonate in quello stesso tunnel in cui Okarun ha il suo primo incontro paranormale. Questa inaspettata rivelazione aggiunge un ulteriore strato di complessità alla serie, mostrando come DanDaDan non solo esplori tematiche particolarmente dolorose e attuali, ma lo faccia con un’intensità emotiva che rende la storia ancora più profonda e significativa di quanto appare.

Un anime che merita una possibilità

Nonostante sia attualmente disponibile solo la prima metà della stagione, DanDaDan è già riuscito a conquistare sia gli appassionati di anime sia il pubblico meno avvezzo al genere, grazie a un perfetto mix di azione, elementi fantastici e crudo realismo. La produzione ha investito notevoli sforzi per rendere omaggio al manga di Yukinobu Tatsu, cercando di rimanere il più fedele possibile all’opera originale, con animazioni dinamiche e curate nei minimi dettagli che danno vita a un’esperienza visiva assolutamente degna dell’attenzione del pubblico di Netflix.

Particolarmente interessanti sono anche i dettagli grotteschi ed esagerati con cui sono stati realizzati i mostri di DanDaDan, che ricordano le assurde e iconiche creature horror di Junji Ito, maestro del genere per il suo stile unico. Questi tocchi rendono la serie inconfondibile, offrendo una visione originale e provocatoria dell’horror.

In definitiva, DanDaDan è un anime bizzarro e fantasioso che, con un’estetica distintiva e una scrittura schietta e ironica, racconta una toccante storia di crescita, amore e forze oscure… molto più tangibili e reali di alieni e fantasmi.

Outer Banks 5 si farà, rinnovata per la quinta e ultima stagione su Netflix

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Outer Banks è stata rinnovata per la quinta stagione da Netflix, che sarà anche l’ultima dello show. La notizia precede di poco il debutto della seconda parte della quarta stagione della serie il 7 novembre. I creatori e produttori esecutivi della serie, Jonas Pate, Josh Pate e Shannon Burke, hanno condiviso la notizia della stagione finale in un “Dispaccio a tutti i Pogues”, che può essere letto integralmente qui sotto. 

I tre co-creatori hanno dichiarato nel comunicato di aver avuto l’ispirazione per scrivere la serie nel 2017, quando si sono imbattuti in una fotografia di un gruppo di adolescenti al tramonto su una spiaggia.

All’epoca, sette anni fa, sembrava impossibile che saremmo riusciti a raccontare l’intera storia di cinque stagioni, ma eccoci qui, alla fine della quarta stagione, ancora in fase di lavorazione”, hanno scritto. “La quarta stagione è stata la più lunga e la più difficile, ma la più gratificante, da produrre. La stagione si conclude con un episodio di lunghezza notevole, che riteniamo essere il nostro episodio migliore e più potente. Speriamo che anche voi la pensiate così”.

“Ora, con un po’ di tristezza, ma anche di eccitazione, ci lasciamo alle spalle la quarta stagione e ci dedichiamo alla quinta, in cui speriamo di riportare a casa i nostri amati Pogues nel modo in cui abbiamo immaginato e pianificato anni fa”, hanno continuato. “La quinta stagione sarà la nostra ultima e pensiamo che sarà la migliore. Speriamo che vi unirete a noi per un’altra remata verso il surf break”.

Cosa c’è da sapere su Outer Banks

Il cast della quarta stagione della popolare serie YA comprende: Chase Stokes, Madelyn Cline, Madison Bailey, Jonathan Daviss, Rudy Pankow, Carlacia Grant, Drew Starkey, Austin North, Fiona Palomo, J. Anthony Crane, Pollyanna McIntosh, Brianna Brown, Rigo Sanchez, Mia Challism e Cullen Moss.

Outer Banks ha dimostrato di essere un grande successo per Netflix. La prima parte della stagione 4 è stata nella classifica Top 10 di Netflix in lingua inglese nelle ultime tre settimane, mentre la serie stessa ha trascorso 27 settimane in totale nella Top 10 dal suo rilascio originale nel 2020.

Netflix ha anche iniziato a espandere il mondo intorno allo show con eventi dal vivo. Di recente lo streamer ha ospitato il secondo evento “Poguelandia” a Los Angeles, con la partecipazione di 2500 fan. L’evento ha visto l’esibizione di artisti come GloRilla e Remi Wolf, oltre a merchandise, foto e altro ancora. Netflix ha anche lanciato il gioco mobile “Netflix Stories: Outer Banks”.

Outer Banks 4 – parte 2: trailer della seconda parte di quarta stagione

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Outer Banks 4 – parte 2 ha debuttato un nuovo trailer che si concentra sui Pogues e sul loro viaggio a Morroco alla ricerca di un tesoro. Divisa in due metà, ciascuna composta da cinque episodi, la quarta puntata del popolare teen drama ha visto i Pogues alla ricerca del tesoro di Barbanera. Questa ricerca ha anche portato a delle importanti rivelazioni, con JJ che ha appreso una rivelazione scioccante nel finale di Outer Banks, stagione 4, parte 1.

Netflix ha ora rilasciato il trailer della quarta stagione di Outer Banks, parte 2, mentre i restanti cinque episodi verranno rilasciati il 7 novembre. L’anteprima di due minuti mostra JJ, John B (Chase Stokes), Sarah (Madelyn Cline), Kiara (Madison Bailey), JJ (Rudy Pankow), Pope (Jonathan Daviss), Cleo (Carlacia Grant) e Rafe (Drew Starkey) in partenza per una nuova avventura. Ma come spesso accade ai Pogues, tensioni e pericoli complicano la loro ricerca del tesoro in Morroco. Guardate il trailer qui sotto:

Cosa rivela il trailer della quarta stagione di The Outer Banks

Gli sviluppi della storia sembravano promettenti nella prima metà della quarta stagione di Outer Banks. I Pogues avevano avviato una nuova attività, Poguelandia, ma la faida con i Kooks metteva a rischio questo senso di tranquillità. L’ultimo trailer conferma che le cose non stanno migliorando, con una riunione cittadina che si conclude con finestre distrutte. A causare il caos è JJ, che probabilmente è stato colpito dalla rivelazione della vera identità del suo padre biologico.

Mentre le loro fortune cambiano ancora una volta, i Pogues non hanno soldi e si ritrovano nel mirino dei killer. Cercano la Corona Blu, che si trova in Morroco, e il trailer presenta diverse scene in cui i personaggi sfidano il caldo per raggiungere il proverbiale oro. Anche Rafe è coinvolto, offrendosi di portare i Pogues in Nord Africa in cambio di un compenso. Ma nonostante alcuni scontri e pugni tra Rafe e JJ, la caccia al tesoro continua e i personaggi di Outer Banks si dirigono verso una nuova località.

Il verdetto sul nuovo trailer della quarta stagione di Outer Banks

La quinta stagione di Outer Banks non è stata confermata. Tuttavia, in un’intervista con Tudum di Netflix, il co-creatore Josh Pate ha confermato i piani per altre stagioni. Pate ha detto in parte: “Pensiamo alle prime tre [stagioni] come a una trilogia e poi stiamo ricominciando ora con [un’altra sorta di] trilogia”. Questo indicherebbe la speranza non solo di una quinta stagione, ma anche potenzialmente di una sesta. Il trailer è un segnale incoraggiante, che mostra un’acuta comprensione di ciò che rende il dramma della caccia al tesoro così popolare tra il suo pubblico.

Le linci selvagge: recensione del docufilm di Laurent Geslin

Laurent Geslin è un fotografo naturalista di fama mondiale che per nove anni ha monitorato immergendosi nella natura, le linci euroasiatiche. La lince, per chi non lo sa, è un predatore fondamentale per l’ecosistema forestale, poiché la sua presenza aiuta a mantenere l’equilibrio naturale, minacciata sempre di più da fattori come i cambiamenti climatici e l’attività umana. Il documentarista alla fine ha realizzato un film intitolato Le linci selvagge che è stato presentato in anteprima durante il Locarno Film Festival 2021.

Cosa racconta Le linci selvagge

Nel corso del 19° secolo, la lince euroasiatica è stata sterminata ed è scomparsa dall’Europa occidentale. Cinquant’anni fa, il predatore però è stato reintrodotto nelle montagne della Svizzera. La lince è un animale fiero, bellissimo, con indole schiva, solitario, ma nonostante la protezione garantita a livello nazionale ed europeo, la specie resta comunque a rischio. Le sue peculiarità fisiche sono i ciuffi di peli sulle punte delle orecchie e il manto che assume varie gradazioni di colore a seconda del territorio di appartenenza. Il pelo delle linci per esempio è più chiaro nei paesi del nord e diventa più scuro man mano che si procede verso sud. Anche se è un felino usa il mimetismo per difendersi dai pericoli dell’ambiente circostante, ma anche per ingannare le sue prede, come caprioli o camosci.

Questo fiero predatore, conosciuto anche con il nome di gattopardo o lupo del Cerviere, ha un comportamento che ricorda un po’ quello di altri animali notturni delle foreste europee, preferendo prevalentemente uscire nelle ore serali e dedicarsi alla vita sociale solo durante il periodo degli accoppiamenti. Il fotografo francese ha seguito, per un lungo periodo, il ciclo della vita di una famiglia di linci euroasiatiche, documentando gli eventi cruciali come la nascita dei cuccioli, l’apprendimento della caccia e la difesa del territorio ma anche quella dagli uomini. Questo documentario, girato tra le montagne della Giura e commentato da Geslin stesso, si apre a fine Inverno dove due linci che si incontrano per riprodursi.

Il film inizia durante la stagione degli amori, quando il maschio della specie “canta” per attirare la femmina, che risponde ad essa. Proseguendo passano alcuni mesi e arriva la Primavera con il risveglio degli animali dal letargo, la rinascita con i suoi primi germogli sulle piante e l’apparizione della lince femmina in dolce attesa alla ricerca di una tana per partorire. Passa un’altra stagione e si rivede la lince madre con ben tre piccoli gattini,  ovviamente questo è un docufilm con animali selvaggi in cui è facile trovare la morte quando sei un cucciolo. Purtroppo durante il racconto due membri della famiglia delle linci vanno incontro a un triste destino. Uno dei tre cuccioli viene ucciso da un bracconiere e l’altro a sette mesi muore investito da una macchina. Il documentario si conclude con la femmina piccola cresciuta, l’unica sopravvissuta, pronta per trovare un compagno e continuare la specie.

Un film che contribuisce alla ricerca

Guardando quest’opera prima di Laurent Geslin si nota fin da subito che chi c’è dietro la telecamera è una persona esperta e appassionata di questo straordinario animale. Uno degli aspetti che meglio lo mostra è quando c’è proprio l’impressione, che la lince stia guardando dritto nell’obiettivo e questo è merito del regista che ormai li conosce bene questi straordinari predatori europei. Il regista comunque non si concentra solo sulla lince ma mostra anche tutti gli altri animali che in qualche modo diventeranno, forse, possibili prede o semplicemente abitano nello stesso habitat naturale.

Le linci selvagge si racchiude benissimo nel genere dei documentari dedicati alla natura incontaminata e alla difficile convivenza tra esseri umani e animali selvaggi. Per concludere questo docufilm è tutt’ora il primo dedicato interamente alle linci, ci sono quelli sui leoni, ghepardi, giaguari e altri grandi felini, ma niente sui gattopardi.

Il ragazzo dai pantaloni rosa: la storia vera dietro al film

Dopo la presentazione al Giffoni Film Festival e alla Festa di Roma, nell’ambito di Alice nella Città, Il ragazzo dai pantaloni rosa è pronto per arrivare in sala, dal 7 novembre con Eagle Pictures, preceduto da una serie di proiezioni per le scuole che mirano a diffondere nella maniera più accurata e “educativa” possibile il messaggio del film.

Ma di cosa parla Il ragazzo dai pantaloni rosa e come mai viene proiettato per le scuole?

Il film racconta la drammatica storia vera di Andrea Spezzacatena, l’adolescente che decise di togliersi la vita perché vittima di bullismo a scuola. Fu il primo caso del genere in Italia che portò al suicidio di un minorenne: per questo è importante che il film arrivi a quante più persone possibile, giovani ma non solo, poiché la testimonianza e la rappresentazione di una storia così ingiusta possano diventare strumenti di sensibilizzazione, affinché non ci siano più ragazzi che vengano trattati come è stato trattato Andrea. Soprattutto affinché chi si trova nella situazione di Andrea non si senta più così tanto solo da non avere intorno persone a cui chiedere aiuto.

La storia vera

Il film, diretto da Margherita Ferri, racconta di Andrea, l’adolescente vittima di bullismo. Basato sul libro Andrea, Oltre il Pantalone Rosa, edito da Graus e scritto dalla mamma del ragazzo, Teresa, il film ci accompagna nella vita di un ragazzino sensibile, con una madre e un padre presenti e attenti, che tuttavia non sono riusciti a proteggere il figlio dal dolore e dalla paura. Per questo, adesso Teresa ha dedicato la sua vita a raccontare la storia del figlio, per aiutare altri ragazzi e i loro genitori a non sentirsi soli.

Cosa significano i “pantaloni rosa”?

Secondo le storia raccontata prima nel libro e poi nel film, un giorno Andrea si presentò a scuola con dei pantaloni stinti, erano rossi, ma un lavaggio sbagliato li aveva fatti diventare rosa. Questa scelta di indossare comunque i pantaloni per andare a scuola aveva generato grande ilarità e commenti pungenti da parte dei compagni che arrivarono addirittura a creare una pagina Facebook con quello che è ora il titolo del film. Solo dopo la tragica fine del figlio, che aveva condiviso con lei la password del suo account, Teresa scoprì l’esistenza della pagina diffamatoria, identificata poi come il primo scalino di una parabola discendente di dolore e solitudine che Andrea cominciò a percorrere in solitudine, fino a quel tragico 20 novembre 2012, quando si tolse la vita, poco dopo il suo quindicesimo compleanno.

Chi era Andrea Spezzacatena?

Un ragazzo apparentemente solare, Andrea aveva ottimi voti a scuola e un bel rapporto coi genitori. Quando fu trovato senza vita, la famiglia e la comunità rimasero doppiamente sconvolti, non solo per l’irrimediabilità del gesto, ma anche perché arrivava da un ragazzo che apparentemente sembrava molto sereno. Un mistero, insomma, che trovò una spiegazione solo quando sua madre, dopo la sua morte, entrò nel suo profilo Facebook e ricostruì linferno che suo figlio stava passando tra atti di bullismo e cyberbullismo, a scuola.

Il film Il ragazzo dai pantaloni rosa

Il film, narrato in prima persona dalla voce di Andrea dallaldilà, ci racconta come il ragazzo sia arrivato a pensare di non avere altra via duscita e rappresenta un potente monito sulla pericolosità di parole e di gesti che possono sembrare scherzi innocui, addirittura simpatici, da parte di chi li perpetra con leggerezza.

Nel cast del film troviamo Claudia Pandolfi nei panni di Teresa Manes, la mamma di Andrea, e Corrado Fortuna che invece interpreta il papà del ragazzo. Il protagonista che dà il volto ad Andrea è il giovane Samuele Carrino, mentre Andrea Arru, volto amatissimo dal pubblico giovane, è Christian, il bullo della scuola. Reduce dal successo di Inside Out 2, in cui presta la voce alla protagonista, Sara Ciocca completa il cast nei panni di Sara, la migliore amica di Andrea.

Arisa per la colonna sonora

A impreziosire di emozione e significato Il ragazzo dai pantaloni rosa c’è Canta Ancora”canzone inedita che Arisa scrisse per sua madre e che nel film diventa una lettera che Andrea dedica a Teresa. Il brano, che si può ascoltare già nel trailer e accompagna l’uscita del film, fa parte della colonna sonora ufficiale. Diretto dalla regista Margherita Ferri (Zen – Sul ghiaccio sottile prodotto da Biennale College, Bang Bang Baby) e prodotto da Eagle Pictures e Weekend Films con la sceneggiatura di Roberto ProiaIl ragazzo dai pantaloni rosa uscirà il 7 novembre distribuito da Eagle Pictures.

The Diplomat: la serie Netflix è basata su una storia vera?

La serie Netflix The Diplomat sembra realistica poiché segue alcune trame politiche familiari, sollevando interrogativi su quanto della serie sia basato su fatti reali. The Diplomat vede Keri Russell nei panni di Kate Wyler, la nuova ambasciatrice nel Regno Unito che sta affrontando un matrimonio infelice con suo marito, Hal Wyler, interpretato da Rufus Sewell. La serie esplora le difficoltà di mantenere le relazioni, sia romantiche, come il matrimonio di Kate, sia quelle tra due paesi. Mette in luce alcuni temi molto reali tra i paesi nel mondo reale, rendendola autentica.

Durante le prime due stagioni di The Diplomat, Kate si adatta alla sua nuova posizione e all’attenzione dei riflettori, mentre viene trascinata in una cospirazione internazionale. In quanto donna in una posizione di potere, Kate deve sopportare molto sessismo, che è una delle parti più realistiche della serie, dato che è molto diffuso nella società. Con gli elementi molto realistici che The Diplomat presenta e le sue trame che sembrano fin troppo familiari, ha sollevato molte domande sulla sua veridicità.

The Diplomat di Netflix non è basato su una storia vera

Keri Russell in The Diplomat - Stagione 2

La storia immaginaria è nata da conversazioni con diplomatici reali

Sebbene The Diplomat possa sembrare reale, soprattutto grazie alla recitazione convincente di Russell, non è basato su una storia vera. La serie Netflix è invece il racconto romanzato di una donna in politica e di come affronta il suo nuovo potere. Tuttavia, la serie prende molta ispirazione da eventi reali. La creatrice di The Diplomat, Debora Cahn, ha tratto ispirazione per la serie Netflix dopo aver incontrato alcuni ambasciatori statunitensi mentre scriveva per la serie Homeland.

Sebbene Cahn si sia ispirata a persone reali per creare la serie, i personaggi principali di The Diplomat, Kate e Hal, non sono basati su persone reali. Cahn voleva creare una coppia che lavorasse insieme per mostrare come un lavoro così intenso possa influenzare una relazione. Anche se Russell e Sewell rendono i loro personaggi e la loro relazione così credibili, è facile capire perché ci siano state domande sulla loro natura fittizia.

The Diplomat include comunque riferimenti a eventi politici reali

The Diplomat

La serie mantiene il realismo attraverso riferimenti di attualità

Sebbene la serie sia di fantasia, include molti riferimenti alla vita reale. Uno in particolare si verifica durante la stagione 1, episodio 2 di The Diplomat, quando la serie fa riferimento all’uccisione di Qasem Soleimani. Soleimani era un ufficiale militare iraniano assassinato nel 2020 da un attacco con droni degli Stati Uniti, poiché si riteneva che avesse intenzione di attaccare gli Stati Uniti. La serie ha anche fatto riferimento a eventi più recenti come la guerra tra Russia e Ucraina.

Questi riferimenti sono legati a The Diplomat per rendere la serie più reale e credibile. L’inclusione di riferimenti alla vita reale confonde i confini tra realtà e finzione, coinvolgendo ulteriormente il pubblico nella storia.

Quanto è accurato The Diplomat rispetto al mondo reale?

The Diplomat - stagione 2

I veri ambasciatori hanno sottolineato l’approccio esagerato di The Diplomat

Dato che The Diplomat esplora un mondo unico che non si vede spesso in altre serie, sorgono domande su quanto la serie sia fedele alla realtà. Come spesso accade con le serie di finzione, The Diplomat sembra distorcere la verità su come sono realmente le cose per rendere più drammatica la storia. The Guardian ha intervistato diversi ambasciatori e diplomatici reali per conoscere la loro opinione sulla serie e sulla sua accuratezza.

In molti casi, coloro che sono stati interrogati sulla rappresentazione del loro mondo in The Diplomat hanno ammesso che la serie thriller politico non è molto accurata. Un diplomatico britannico anonimo ha ammesso di aver trovato la rappresentazione della serie dell’interazione di Kate con i leader britannici in gran parte fittizia, condividendo:

Non direi che sia stato fatto un grande sforzo per comprendere o riflettere il protocollo: il modo in cui il ministero degli Esteri interagisce con il numero 10 e il modo in cui interagisce con le ambasciate. Hanno giocato in modo piuttosto veloce e approssimativo con queste relazioni”.

Altre persone hanno sottolineato alcuni aspetti divertenti di The Diplomat rispetto al mondo reale, come la diplomatica americana Jenna Ben-Yehuda, che ha suggerito che i personaggi della serie sono molto più attraenti delle persone reali che svolgono questa professione. Tuttavia, alcuni hanno affrontato le inesattezze della serie in modo più serio. Brett Bruen, direttore del coinvolgimento globale per la Casa Bianca di Obama, era costernato nel vedere che la serie abbracciava l’angolo dello spionaggio invece di ritrarre il mondo reale dei diplomatici:

Ciò che è stato particolarmente deludente è che questo continua una lunga tradizione di serie che mettono l’accento sulla politica estera nel titolo, per poi deviare completamente verso qualcosa che non ha nulla o poco a che fare con la diplomazia reale”.

Tuttavia, ci sono ancora dettagli in The Diplomat che hanno impressionato altri. In molti dei set della serie, i mobili sono realizzati dal marchio americano Drexel, noto per arredare le case dei diplomatici americani all’estero. Nel complesso, chi è alla ricerca di un’esplorazione dettagliata di cosa significhi realmente essere un diplomatico dovrebbe cercare altri media, poiché The Diplomat si limita a basarsi su un’ambientazione reale per raccontare la propria storia.

The Walking Dead: Daryl Dixon – Stagione 2, la spiegazione del finale

The Walking Dead: Daryl Dixon – stagione 2 è stata ricca di momenti emozionanti e di colpi di scena, con la conclusione della storia che ha coronato alla perfezione il viaggio di Daryl e Carol. Mentre Daryl ha cercato di tornare a casa dalla Francia sin dal primo episodio dello spin-off, il finale della prima stagione di Daryl Dixon ha fatto sorgere dei dubbi nella mente del protagonista sul suo vero posto nel mondo. Nonostante ciò, nella seconda stagione era ancora intenzionato a tornare negli Stati Uniti e l’arrivo di Carol non ha fatto altro che rafforzare questo obiettivo. Con la coppia riunita, gli ultimi episodi si sono concentrati sulla protezione di Laurent e sulla ricerca di un modo per tornare al Commonwealth.

Fortunatamente, l’aereo di Ash è rimasto intatto fino al finale della seconda stagione di Daryl Dixon, ma dato che poteva ospitare solo tre persone, qualcuno doveva restare indietro. Sebbene il gruppo alla fine abbia deciso che Daryl sarebbe rimasto in Francia, Carol ha deciso di unirsi a lui, permettendo ad Ash e Laurent di fuggire incolumi. Di conseguenza, Daryl e Carol hanno iniziato a pianificare insieme il loro viaggio di ritorno a casa, con l’aiuto di alcuni dei loro alleati francesi. Con un piano in atto, i protagonisti hanno concluso la stagione intraprendendo il loro viaggio fuori dalla Francia, ma sorprendentemente la loro destinazione era diversa da quella che il pubblico si sarebbe potuto aspettare.

Daryl e Carol stanno andando in Inghilterra durante i momenti finali della seconda stagione, non in Spagna

I protagonisti hanno scoperto che il Regno Unito è la loro migliore possibilità per tornare in America

Senza l’aereo di Ash, Daryl e Carol non avevano una rotta diretta per l’America, il che significava che dovevano attraversare un altro paese. Tuttavia, nonostante la location confermata della terza stagione, i protagonisti si sono diretti in Inghilterra, non in Spagna. Dopo aver combattuto con successo contro la coalizione di L’Union e Pouvoir, Daryl e Carol guardano Laurent e Ash volare verso gli Stati Uniti, ponendo fine al conflitto in Francia. I personaggi principali procedono quindi verso l’Inghilterra durante il finale della seconda stagione nel tentativo di tornare a casa, nonostante la terza stagione di Daryl Dixon si svolga in Spagna.

Il loro viaggio inizia recandosi in una località rurale con Fallou, Codron e Akila dopo aver sconfitto i cattivi principali, dove si preparano per il viaggio. Con l’aiuto di una coppia scozzese amica di Fallou, raggiungono un tunnel che collega l’Inghilterra e la Francia, poiché la coppia rivela che il Regno Unito ha affrontato l’apocalisse relativamente bene. Akila aveva già confermato che sarebbe rimasta indietro, ma Fallou decide di unirsi a lei dopo aver sviluppato dei sentimenti romantici, costringendo il resto del gruppo a salutarsi e a iniziare la loro camminata di nove ore sotto la Manica.

Sapendo che l’Inghilterra è la loro migliore possibilità di tornare in America, il gruppo si addentra nel tunnel prima di scoprire un posto di blocco pieno di cadaveri. Nonostante i sospetti su ciò che è successo, continuano ad avanzare, ma iniziano ad avere allucinazioni, causando il caos all’interno del tunnel. Carol si allontana da sola dopo aver visto la figlia defunta, che insegue. Nel frattempo, Codron viene attaccato da uno zombie che crede essere suo fratello, il che spinge Daryl a intervenire e uccidere il vagante, provocando l’ex antagonista a rivoltarglisi contro.

Durante il combattimento, Codron riesce a sopraffare Daryl e lo pugnala, ma ha di nuovo un’allucinazione in cui vede suo fratello, che lo spinge a correre via per cercarlo. Mentre Daryl torna al posto di blocco per prendere le maschere antigas, Daryl Dixon stagione 2 continua il suo strano colpo di scena con la coppia scozzese che tende un’imboscata al protagonista per prendere l’equipaggiamento per sé. Con Daryl ferito a terra, ha un’allucinazione di Isabelle e di un soldato, che gli danno la motivazione sufficiente per alzarsi e uccidere i traditori prima di recuperare le due maschere rimanenti.

Carol riesce a superare il dolore lasciando andare sua figlia e torna presto per incontrare Daryl, dove entrambi indossano le maschere antigas e iniziano a dirigersi verso l’Inghilterra. Mentre la coppia scozzese viene uccisa, Codron rimane vivo alla fine della seconda stagione, ma i momenti finali mostrano solo Carol e Daryl da soli mentre continuano il loro viaggio attraverso il tunnel.

Perché il gruppo di Daryl ha perso il controllo alla fine della seconda stagione

Considerando che l’intero gruppo inizia a comportarsi in modo strano, è chiaro che il tunnel ha causato loro allucinazioni e perdita di controllo, ma il motivo esatto è intrigante. Quando il gruppo si imbatte nei cadaveri, presume che le guardie siano impazzite e si siano rivoltate l’una contro l’altra a causa del guano all’interno del tunnel. Secondo Fiona, il guano può causare allucinazioni e paranoia, ma questo non è stato sufficiente per impedire al gruppo di proseguire il viaggio. Sfortunatamente, senza maschere antigas, la stessa cosa accade a loro, con ognuno che ha le proprie visioni che alla fine scatenano la violenza.

Sebbene la scienza non confermi che il guano abbia questo effetto, è possibile che siano entrati in gioco anche altri fattori. Le nuove varianti luminose di Daryl Dixon compaiono anche durante la scena, ma a parte il fatto di essere bioluminescenti, i loro veri poteri sono sconosciuti. Pertanto, è possibile che la luce che emanano possa causare allucinazioni, o che gli zombie combinati con il guano abbiano qualche tipo di effetto che gli scienziati ovviamente non hanno ancora scoperto nell’universo di The Walking Dead.

The Walking Dead: Daryl Dixon stagioni 1 e 2 sono disponibili su AMC+.

Indipendentemente dal fatto che si trattasse solo di guano, delle nuove varianti o di qualcos’altro, il tunnel ha chiaramente avuto un qualche tipo di impatto sulla psiche dei personaggi, che li ha portati a vedere cose che non erano reali. Mentre Daryl e Carol riescono a riprendersi e hanno la protezione delle maschere antigas, Codron rimane vulnerabile agli effetti nel finale della seconda stagione, rendendo il suo destino ancora più interessante.

Cosa è successo a Codron alla fine della seconda stagione di Daryl Dixon?

Codron è andato alla ricerca del fratello defunto mentre era in preda alle allucinazioni

Dopo aver vissuto un incredibile percorso di redenzione durante la seconda stagione di Daryl Dixon, lo status di Codron alla fine del finale rimane poco chiaro. Dopo aver svolto un ruolo fondamentale nel portare Laurent in salvo nell’episodio 5 e averlo aiutato a fuggire durante l’episodio 6, Codron decide di unirsi al viaggio verso l’Inghilterra, rimanendo un alleato prezioso fino alle allucinazioni. La sua conversazione con Daryl a metà del finale riapre il dolore per la perdita del fratello, quando scopre che Daryl non era responsabile della morte di Michel. Di conseguenza, Codron continua a piangere la morte del fratello, motivo per cui ha delle allucinazioni su di lui durante i momenti finali dell’episodio.

Nonostante abbia pugnalato Daryl, Codron non sembra essere tornato alle sue vie malvagie, ma sta invece agendo in modo insolito a causa delle visioni che gli causano allucinazioni.

Nonostante abbia pugnalato Daryl, Codron non sembra essere tornato alle sue vie malvagie, ma sta invece agendo in modo insolito a causa delle visioni che gli causano allucinazioni. L’ultima volta che lo vediamo è quando lascia Daryl per andare a cercare suo fratello, lasciandolo incredibilmente vulnerabile e con un destino sconosciuto. Anche se la sua attuale situazione potrebbe renderlo una facile preda per gli zombie rimasti nel tunnel, Codron apparirà, si spera, nella terza stagione di Daryl Dixon, dato che è ancora vivo e potrebbe essere salvato dai protagonisti.

Perché Fallou ha deciso di rimanere in Francia

Sylvie e Isabelle’s Walking Dead deaths significano che Fallou è senza dubbio l’alleato francese più fidato rimasto a Daryl, ma sfortunatamente decide di non unirsi al gruppo nel loro viaggio verso l’Inghilterra. Nonostante inizialmente avesse intenzione di andare con loro, Fallou esita quando i sopravvissuti si avvicinano al tunnel e cambia idea, scegliendo invece di rimanere in Francia.

Il motivo di questa decisione dell’ultimo minuto è che durante il breve periodo trascorso insieme ha sviluppato dei sentimenti per Akila e finalmente ha trovato qualcosa per cui vale la pena restare, sapendo anche che Daryl è abbastanza forte da raggiungere l’Inghilterra senza di lui.

Emigrato dal Camerun, Fallou non aveva famiglia in Francia quando è scoppiata l’epidemia e il tradimento dell’Unione ha distrutto anni di fiducia.

Sebbene avesse ancora alcuni alleati nel paese, unirsi a Daryl nella sua avventura in Inghilterra sembrava una buona idea, e forse aveva anche pensato di seguire i protagonisti in America, a seconda del mezzo di trasporto che avrebbero usato. Tuttavia, il suo legame immediato con Akila si è rapidamente trasformato in amore e, con la sua amata rimasta in Francia per cercare sua sorella, Fallou ha trovato ancora una volta un motivo per cercare di costruirsi una vita in Francia.

Purtroppo, la sua decisione significa che è incredibilmente improbabile che appaia nella terza stagione di Daryl Dixon, ma almeno gli garantisce un lieto fine. Avendo fatto parte del viaggio francese di Daryl sin dal primo episodio, Fallou merita senza dubbio una conclusione soddisfacente per la sua storia, e stabilirsi con qualcuno che ama sembra il finale perfetto.

Cosa è successo ai cattivi di Daryl Dixon?

Daryl Dixon ha sconfitto i suoi principali antagonisti prima del finale, ma Pouvoir e L’Union erano ancora determinati a impedire a Laurent di lasciare la Francia. La morte di Genet in Walking Dead nell’episodio 4 ha fatto sì che Sabine prendesse il controllo di Pouvoir e accettasse di formare un’alleanza con L’Union. Tuttavia, anche Losang è stato ucciso nell’episodio 5, lasciando Jacinta a capo del gruppo religioso, con entrambe le fazioni ormai indebolite. Nonostante ciò, hanno continuato la loro missione per catturare Laurent durante la conclusione della seconda stagione e hanno reclutato l’aiuto di Anna Valery per trovare il ragazzo.

Valery conduce il gruppo malvagio all’ippodromo, ma li tradisce attirando gli antagonisti in un’imboscata di zombie, causando molte vittime tra i gruppi malvagi.

Durante la confusione, Jacinta viene morsa da un vagante, ma rimane in vita abbastanza a lungo da guidare i suoi soldati verso la posizione dell’aereo. Arrivano in tempo per iniziare una sparatoria con i protagonisti, ma la distrazione di Valery e il fatto che Carol e Daryl siano rimasti indietro sono sufficienti per permettere a Laurent e Ash di fuggire, distruggendo così i sogni dell’Unione.

Dopo essere stata morsa e sapendo che la sua unica possibilità di guarigione è ormai perduta, Jacinta punta una pistola contro se stessa, prima che la telecamera passi a Daryl e Carol mentre parte un colpo. Il suicidio di Jacinta rappresenta anche la fine della missione dell’Unione, ma il Pouvoir rimane intatto. La fazione ha ancora il controllo della Francia e, sebbene possa essere significativamente più debole senza l’Unione al suo fianco, ha anche pochissima opposizione, con Daryl, Carol e Codron che hanno lasciato il paese, suggerendo che siano stati segretamente i grandi vincitori del finale della seconda stagione.

Perché Valery decide di non tradire Daryl e Laurent

Forse una delle sorprese più grandi della conclusione della seconda stagione è stata la decisione di Valery di non tradire Daryl e Laurent. Il tempo trascorso da Valery nello spin-off ha reso difficile capire quanto fosse affidabile, ma alla fine ha aiutato Daryl più volte e il finale non ha fatto eccezione. Nonostante abbia portato i cattivi all’ippodromo, Valery li conduce in una trappola pur sapendo che questo mette a rischio la sua vita. Dopo aver ridotto il numero degli antagonisti, Valery cerca di fuggire dal garage pieno di vaganti, ma viene chiusa dentro da Jacinta e uccisa.

Il motivo per cui ha tradito i cattivi diventa chiaro quando un flashback la mostra mentre dice a Laurent che spera che lui riesca a tornare a casa. La loro conversazione della prima stagione viene riprodotta poco prima che Valery porti i cattivi nella direzione sbagliata, in cui Valery mostra simpatia per Laurent riguardo alla sua situazione attuale.

Valery ha sempre avuto un debole per il ragazzo, il che di solito l’ha portata a fare la cosa giusta, e anche se inizialmente aveva intenzione di vendere i protagonisti in cambio dell’aereo e del suo pilota, credeva che Laurent meritasse una possibilità di libertà, da qui il suo sacrificio.

Perché Daryl vede un soldato e cosa significa davvero

Durante la sequenza dell’allucinazione, Daryl vede un soldato che a prima vista può sembrare fuori luogo e quasi casuale. Tuttavia, la misteriosa figura del finale è in realtà collegata alla prima stagione e dovrebbe rappresentare il nonno di Daryl. Gran parte della storia dello spin-off di Daryl Dixon ha rispecchiato quella di suo nonno e della Seconda Guerra Mondiale, poiché il protagonista, che lentamente accetta il suo ruolo nella lotta contro Pouvoir, sembra assomigliare al suo parente che si unì alla lotta in Francia durante la guerra. Tuttavia, la sua visione del soldato è un monito a non ripetere la storia, poiché suo nonno è morto combattendo in Francia.

Prima di avere l’allucinazione della figura dell’esercito, Daryl ha delle visioni di Isabelle, che lo incoraggia a continuare. Lei gli dice “Non morirai qui” e quando appare il soldato, continua dicendo “Non come lui”, dimostrando che questa scena ha lo scopo di motivare Daryl a continuare il suo viaggio. Il coinvolgimento di Isabelle è ovviamente un modo per Daryl di vedere qualcuno che ama in modo da poter continuare a combattere, ma la visione di suo nonno è un promemoria di quale potrebbe essere il destino di Daryl se si arrendesse, il che significa che era il simbolo perfetto per il protagonista per continuare a spingersi verso l’Inghilterra, a qualsiasi costo.

La visione di Sophia da parte di Carol e cosa rappresenta per la sua storia in The Walking Dead

Le allucinazioni di Carol sembrano ancora più personali per il suo percorso, dato che la sua storia nella seconda stagione è stata tutta incentrata sul superamento della perdita di Sophia. Dopo aver mentito sulla morte di Sophia durante la premiere della seconda stagione di Daryl Dixon, il trauma per il destino di sua figlia ha continuato a perseguitare Carol per tutta la stagione. Ha avuto visioni di Sophia negli episodi precedenti, rendendo le allucinazioni ancora più intense e costringendola finalmente ad affrontare il suo dolore. Nonostante volesse andare con sua figlia, Carol alla fine l’ha lasciata andare, suggerendo che la sua storia nella seconda stagione era giunta a una conclusione naturale.

The Walking Dead: Daryl Dixon stagione 3 è attualmente in fase di riprese, ma non è stata rivelata alcuna data di uscita.

Sebbene il suo obiettivo principale fosse quello di riportare Daryl a casa, la sua battaglia personale consisteva nel lasciar andare Sophia, cosa che il finale le ha finalmente aiutato a realizzare. Anche se non c’è alcuna garanzia che non continuerà a pensare a sua figlia durante la terza stagione e oltre, il finale di Daryl Dixon è stato il culmine di questa affascinante trama. Affrontare la visione di sua figlia, abbracciarla e guardarla allontanarsi dimostra che Carol ha finalmente superato oltre un decennio di traumi repressi e può concentrarsi sul viaggio di ritorno a casa nella terza stagione.

Inspira, espira, uccidi: recensione del thriller tedesco di Netflix

L’ossessione per un lavoro frustrante e insoddisfacente, la pressione familiare, il desiderio di trascorrere più tempo con la figlia senza riuscirci davvero, l’incomprensione della moglie: sono difficoltà in cui chiunque potrebbe riconoscersi. Ma quando la già frenetica quotidianità dell’avvocato Diemel si scontra con le richieste assurde di clienti mafiosi dal temperamento esplosivo, cosa si può fare per ritrovare un po’ di pace interiore? Creata e scritta da Doron WisotzkyInspira, espira, uccidi (titolo internazionale Murder MindfullyAchtsam Morden in originale tedesco) è una serie thriller tedesca, ironica e ricca di humor nero, tratta dall’omonimo romanzo del 2018 di Karsten Dusse.

Composta da 8 episodi di circa 30 minuti ciascuno, la serie segue l’inatteso percorso interiore di Björn Diemel, interpretato dall’ironico Tom Schilling, che scopre nella mindfulness gli strumenti per rimettere ordine nella sua vita… anche se questo comporta eliminare qualche ostacolo di troppo.

Inspira, espira, uccidi è disponibile dal 31 ottobre su Netflix.

La trama di Inspira, espira, uccidi

Quando è sul punto di perdere la sua famiglia, l’affermato e amorale avvocato Björn Diemel decide di accontentare la moglie e partecipare a un seminario sulla mindfulness. Grazie alle tecniche apprese, Diemel inizia a ritrovare un equilibrio tra vita privata e lavoro, creando piccole “isole temporali” da dedicare alla figlia Emily e affrontando ogni ostacolo stressante con un respiro profondo. Tutto sembra finalmente ritrovare il suo posto, finché non decide di applicare la mindfulness anche con il suo cliente più problematico: il folle e violento boss mafioso Dragan Sergowicz (interpretato da Sascha Geršak).

Così, l’avvocato si ritrova invischiato in un guaio ben più grande, con la polizia e un’intera banda criminale alle calcagna. Eppure, nonostante l’assurda e pericolosa situazione, Björn riesce a mantenere il sangue freddo, trasformando la sua vita in modo radicale. Se ora eliminare qualche “ostacolo” è diventato necessario per risolvere i suoi problemi, lui sa che è solo una naturale conseguenza della sua nuova e sana consapevolezza.

La terapia può salvarti… fino a prova contraria

Omicidi a sangue freddo, malviventi maldestri e poliziotti corrotti. Inspira, espira, uccidi è una dark comedy che, pur vestendo i toni leggeri di una farsa, riesce a toccare corde profonde dello stato emotivo degli adulti di oggi. L’estrema frustrazione, l’ansia soffocante e la rabbia latente del protagonista, l’avvocato Björn Diemel, sono sentimenti che rispecchiano le inquietudini di un’intera generazione, stanca e insoddisfatta. Di fronte a un mondo caotico e terribilmente immutabile, ciò che rimane da fare è modificare il nostro atteggiamento verso i problemi, tentando di adattarci anziché combattere.

E così cerchiamo soluzioni: paghiamo uno psicoterapeuta nella speranza che ci indichi la via, ci iscriviamo a corsi di yoga, proviamo la terapia occupazionale o ci rivolgiamo a chi può ipnotizzarci per liberarci dai pensieri ossessivi. Oppure, come fa Diemel, ci affidiamo alla mindfulness. Ed è proprio questo approccio, per quanto singolare, a cambiare la sua vita: tra un’inspirazione e un’espirazione, Diemel si ritrova a commettere un omicidio e a scatenare una guerra tra bande. Eppure, grazie alla sua nuova filosofia, la sua esistenza sembra davvero migliorare… o, almeno, così crede.

Trovare pace nel proprio caos

Non sono solo le emozioni comuni a rendere coinvolgente la surreale avventura criminale del protagonista. Oltre ai sentimenti condivisibili, Inspira, espira, uccidi cattura il pubblico grazie a un’intelligente regia, che riesce a sopperire a una sceneggiatura a tratti ripetitiva e prevedibile. Inoltre, uno dei punti di forza della serie è il modo in cui Björn Diemel rompe la quarta parete, rivolgendosi direttamente in camera e creando un rapporto intimo e quasi complice con lo spettatore.

In questi intermezzi, il tempo sembra sospendersi: il mondo intorno a Diemel si ferma per qualche secondo, dandogli modo di raccontare o spiegare ciò che lo spettatore ha bisogno di sapere per comprendere — o addirittura giustificare — i suoi inganni, le sue manipolazioni e il sangue che si ritrova inevitabilmente sulle mani. Questi momenti non solo svelano i ragionamenti contorti del protagonista, ma anche il tentativo di razionalizzare il caos e gli eccessi della sua vita, trascinando lo spettatore in un vortice emotivo in cui persino le azioni più spietate appaiono, per un attimo, stranamente comprensibili.

Tutto è bene quel che… non finisce bene

Non è comune vedere produzioni tedesche comparire nell’iconica Top 10 di Netflix. Eppure, Inspira, espira, uccidi è riuscita in un’impresa sorprendente: in soli due giorni ha scalato rapidamente la classifica, avvicinandosi alla vetta e puntando a raggiungere il podio, attualmente dominato da La legge di Lidia Poet. La serie ideata da Doron Wisotzky si distingue per il suo sarcasmo pungente, il tono semplice e diretto, una leggera irriverenza e una spiazzante sincerità. Nonostante le situazioni paradossali e la narrazione a tratti prevedibile, l’atipico e goffo avvocato Björn Diemel riesce a intrattenere e a coinvolgere il pubblico con la sua comicità disarmante.

La serie miscela perfettamente dark comedy e momenti di introspezione, che spingono lo spettatore a riflettere sulle follie quotidiane dell’era moderna, in cui ci si sente sempre più soli e incompresi. Tom Schilling nei panni di Diemel diverte e convince, anche quando le sue decisioni sfociano nell’assurdo, lasciandoci sospesi tra il sorriso e la perplessità. Ora, però, resta l’immancabile interrogativo: Netflix saprà resistere alla tentazione di sfornare una seconda stagione, rischiando di trasformare una storia già completa e autoironica in un brodo troppo allungato per risultare appetibile?

Massimo Decimo Meridio de Il Gladiatore era una persona reale? la spiegazione delle influenze storiche

Uscito nel 2000, Il gladiatore di Ridley Scott è un film epico sulla vendetta, la perdita e la giustizia dal punto di vista di Maximus Decimus Meridius, interpretato da Russell Crowe. Sia il personaggio che la storia hanno una profondità tale da far chiedere a molti se Massimo Decimo Meridio fosse una persona reale e quali figure dell’antica Roma lo abbiano ispirato. Il film racconta la storia di Massimo, un generale romano diventato gladiatore che cerca di vendicare la morte della sua famiglia, uccisa dal malvagio figlio dell’imperatore Commodo (interpretato da Joaquin Phoenix). Sebbene Il Gladiatore presenti personaggi storici reali, Massimo Decimo Meridio non era una persona reale.

Ambientato nel 180 d.C., Il gladiatore mette in mostra una grande profondità storica. Il film mostra il mondo dei gladiatori, i giochi politici e le campagne militari che erano comuni a quel tempo. I personaggi storici chiave di Il gladiatore includono l’imperatore romano Marco Aurelio, suo figlio Commodo e sua figlia Lucilla. Il personaggio principale, Massimo, non è reale. La creazione di questo personaggio è invece influenzata da diversi personaggi dell’antica Roma. Il personaggio di Massimo in Gladiator è basato principalmente sui generali romani, sui gladiatori stessi e sulla vita che conducevano.

Il gladiatore è disponibile in streaming su Paramount+.

Massimo Decimo Meridio non è reale, ma è frutto di molte influenze

Russell Crowe e Connie Nielsen in Il gladiatore (2000)

Diversi personaggi reali hanno influenzato Maximus, così come le storie dei gladiatori dell’antica Roma

Una delle maggiori influenze per Maximus Decimus Meridius è stato il generale romano Marco Nonio Macrino. Marco era un generale, statista e consigliere durante il regno di Marco Aurelio, proprio come Massimo era generale e consigliere di Marco Aurelio nel film. Inoltre, sia Massimo che Marco erano ammirati e benvoluti dall’imperatore. Un’altra influenza è Avidio Cassio, un generale romano che acquisì importanza sotto Marco Aurelio e che a un certo punto si autoproclamò imperatore dopo aver ricevuto notizie, sebbene false, della morte di Aurelio.

Russell Crowe ha vinto l’Oscar come miglior attore per la sua interpretazione di Massimo Decimo Meridio in Il gladiatore.

Una terza influenza, anche se minore, è il lottatore Narciso, che fu il vero assassino di Commodo dopo che questi divenne imperatore. Per inciso, nella prima bozza de Il gladiatore, Massimo doveva originariamente chiamarsi Narciso. Naturalmente, Massimo è stato ispirato anche dal grande guerriero Spartaco. Sia Massimo che Spartaco erano schiavi che divennero famosi gladiatori ed entrambi pianificarono una rivolta contro lo Stato romano, cercando di rovesciare la corruzione. Il personaggio di Massimo è influenzato anche dalla vita dei gladiatori. Come Massimo, la maggior parte dei gladiatori erano schiavi e prigionieri di guerra o avevano un passato criminale.

I gladiatori erano classificati in vari gruppi a seconda del tipo di arma che usavano e dell’armatura che indossavano. Tra i più noti vi sono i Sanniti (singolare: Sannita), che erano i più pesantemente corazzati e impugnavano le classiche spade corte gladius, i Murmillones (singolare: Myrmillo), o “uomini pesce”, che avevano armature e stili simili, i traci (singolare: traex), che brandivano pugnali ricurvi simili a scimitarre chiamati sica, e i retiarii (singolare: retiarius), che usavano una grande rete e un tridente come armi (tratto da The Colosseum).

Le caratteristiche che hanno dato vita a Maximus in Il gladiatore sono anche un simbolo di giustizia e rettitudine…

Dal design dell’armatura di Massimo al piccolo scudo rotondo e alla spada corta che portava, si può dedurre che Massimo fosse un gladiatore hoplomaco. Era anche comune vedere diversi tipi di gladiatori accoppiati o messi uno contro l’altro, come si vede quando Massimo combatte contro gli essedarius, gladiatori che cavalcavano carri. Come mostrato nel primo combattimento di Massimo Decimus Meridius come gladiatore, alcuni scontri servivano a rievocare battaglie famose in cui l’esercito romano era uscito vittorioso. Altri combattenti nell’arena erano i Bestiarii, che combattevano contro animali selvatici, ad esempio leoni e tigri.

Sebbene sia un personaggio di fantasia, è chiaro che Maximus Decimus Meridius in Il gladiatore è fortemente ispirato a diversi personaggi storici romani e a fatti storici sulla vita dei gladiatori nell’antichità. Grazie a queste influenze, gli spettatori possono farsi un’idea di come fosse la vita di una persona nell’antica Roma. Inoltre, le caratteristiche che hanno dato vita a Maximus in Il gladiatore fungono anche da simbolo di giustizia e rettitudine in un contesto di corruzione.

Il protagonista de Il Gladiatore 2 è reale?

Paul Mescal interpreta Lucius nel tanto atteso sequel del Gladiatore

A oltre vent’anni dall’uscita nelle sale e dal successo agli Oscar de Il Gladiatore, sta per arrivare il sequel dell’epico film storico. Anche se può sembrare strano vedere un film che è il sequel di una storia in cui sia l’eroe che il cattivo muoiono, il film sta prendendo una direzione interessante. L’eroe di questo film è il nipote di Commodo, che ha visto suo zio ucciso da Massimo nel primo film. Tuttavia, nel film, suo nipote Lucio (Paul Mescal) ha preso ispirazione da Massimo Decimo Meridio piuttosto che da suo padre. Sapeva che ciò che Massimo aveva fatto come gladiatore era giusto.

Infatti, Lucius Verus II in Il Gladiator 2 è basato su un personaggio storico reale, ma la sua storia cambierà drasticamente nel film. Lucius morì giovane nella vita reale e morì prima ancora che Commodo diventasse imperatore. Se Lucius fosse vissuto, avrebbe potuto diventare imperatore, ma invece fu Septimus Severus a diventare imperatore. Tuttavia, non è ancora chiaro se Severus sia imperatore in Il Gladiatore 2. Proprio come Il Gladiatore ha cambiato i fatti storici, come Massimo Decimus Meridius e le sue ispirazioni, anche il secondo film probabilmente farà lo stesso.

The Diplomat – Stagione 2, la spiegazione del finale: cosa succede al presidente e a Katherine Wyler

Il finale della seconda stagione di The Diplomat rivela chi c’era dietro l’attacco alla HMS Courageous. Keri Russell è la protagonista del cast della seconda stagione di The Diplomat insieme a Rufus Sewell nel ruolo di suo marito Hal, David Gyasi nel ruolo del ministro degli Esteri Austin Dennison, Ali Ahn nel ruolo dell’agente della CIA Eidra Park e Rory Kinnear nel ruolo del primo ministro Nicol Trowbridge. La seconda stagione di The Diplomat riprende dopo gli eventi del finale della prima stagione di The Diplomat, rivelando che Hal e Stuart, interpretato da Ato Essandoh, sono sopravvissuti, ma che Ronnie, interpretato da Jess Chanliau, è rimasto ucciso nell’esplosione insieme al membro del Parlamento Merritt Grove. Nel corso della seconda stagione di The Diplomat, sia Kate che Hal si avvicinano alla verità su Roman Lenkov e sui funzionari governativi dietro l’operazione sotto falsa bandiera.

Il colpo di scena più scioccante nel finale della seconda stagione di The Diplomat è che dietro l’attacco alla HMS Courageous c’era il vicepresidente degli Stati Uniti Grace Penn. Hal scopre inizialmente questa informazione da Margaret Roylin, anch’essa coinvolta nell’elaborata operazione sotto falsa bandiera. È stata Roylin, insieme ai membri del Parlamento britannico Merritt Grove e Lenny Stendig, ad assumere il mercenario russo Roman Lenkov per attaccare la HMS Courageous. L’attacco aveva lo scopo di infliggere danni minori e non avrebbe dovuto causare vittime britanniche. A causa di problemi di approvvigionamento, il Lenkov Group ha utilizzato esplosivi più potenti sotto forma di missili sottomarini.

Netflix ha già confermato la terza stagione di The Diplomat.

Il presidente Rayburn è morto, Grace Penn è ora presidente

Il presidente è morto dopo aver saputo la verità sul vicepresidente.

Kate scopre il piano del vicepresidente alla fine della seconda stagione di The Diplomat. Lei e Hal non riescono a tacere sapendo che Penn ha aggirato il presidente per autorizzare l’attacco alla HMS Courageous. Hal dice che parlerà con il Segretario di Stato Miguel Ganon, con cui ha un rapporto difficile e che occupa la posizione di Gabinetto che Hal desidera segretamente. Invece, Hal parla direttamente con il presidente Rayburn tramite una linea sicura all’Ambasciata di Londra, raccontandogli la verità sul vicepresidente, Margaret Roylin e Roman Lenkov. Questo sconvolge il presidente Rayburn, che era noto per avere problemi cardiaci, al punto da ucciderlo.CorrelatiChi ha fatto esplodere l’autobomba e ucciso Merritt Grove in The DiplomatI nuovissimi episodi della seconda stagione di The Diplomat rispondono finalmente alla domanda su chi abbia piazzato l’autobomba che ha ucciso Merritt Grove nell’esplosivo finale della prima stagione.Di Greg MacArthur31 ottobre 2024

Kate decide finalmente che vuole diventare vicepresidente entro la fine della seconda stagione di The Diplomat, solo per rendersi conto che il posto che pensava sarebbe rimasto vacante potrebbe non essere più disponibile. A causa della morte improvvisa del presidente Rayburn, il vicepresidente Penn è diventato il presidente Penn, motivo per cui alla fine dell’episodio si vedono decine di membri dei servizi segreti correre verso di lei. Le ultime parole di Penn a Kate come vicepresidente sono di tenere nascosta la verità per il bene di entrambi. Penn usa un tono molto severo con Kate, rivelando un lato di sé che non avevamo ancora visto.

Katherine Wyler diventerà vicepresidente?

Keri Russell in The Diplomat - Stagione 2

Il posto è ora vacante dopo la morte del presidente Rayburn

Secondo la sezione 2 del 25° emendamento, il presidente deve nominare qualcuno come vicepresidente se la carica è vacante, cosa che ora si verifica a causa della morte del presidente Rayburn. C’è una reale possibilità che la neoeletta presidente Penn nomini Wyler sua vice, poiché sarebbe meglio avere la nemica vicina, soprattutto quando è incline a diventare una whistleblower. Oltre al vantaggio strategico di nominare Kate sua vice, Penn stava iniziando ad apprezzare Kate prima di sospettare che avrebbe svelato la sua copertura sull’HMS Courageous. Con la notizia della morte del presidente, tuttavia, la questione dell’HMS Courageous può essere facilmente insabbiata.

Chi è stato responsabile dell’attacco all’HMS Courageous

Il vicepresidente Grace Penn ha ordinato l’attacco per ostacolare l’indipendenza della Scozia

È stato un membro del Parlamento di estrema destra di nome Lenny Stendig a piazzare la bomba nell’auto di Merritt Grove. Stendig aveva intenzione di eliminare solo il suo collega parlamentare Grove, e non Ronnie o qualsiasi altro membro del personale diplomatico americano, al fine di zittire Grove una volta per tutte. Margaret Roylin e Stendig temevano che Grove avrebbe raccontato a Hal e agli americani tutto del loro complotto contro Roman Lenkov, che prevedeva principalmente che Roylin tirasse le fila alle spalle del primo ministro Trowbridge. Alla fine, è stata la vicepresidente Grace Penn a orchestrare l’operazione sotto falsa bandiera per ostacolare l’indipendenza della Scozia.

Nicol Trowbridge è innocente, non ha assunto Roman Lenkov

Il primo ministro Trowbridge è stato il principale sospettato dietro Lenkov e l’attacco alla HMS Copuragoues per gran parte della seconda stagione di The Diplomat. Kate e il ministro degli Esteri Austin Dennison sospettavano che Trowbirdge avesse segretamente assunto Lenkov per ottenere vantaggi politici. In realtà, Roylin ha chiesto a Grove e Stendig di assumere Lenkov su richiesta di Grace Penn. Roylin vedeva il vantaggio per la reputazione politica del primo ministro Trowbirdge, mentre Penn era preoccupata di garantire la longevità della base nucleare di Creagan, in Scozia.

L’attacco alla HMS Courageous era finalizzato a impedire l’indipendenza della Scozia

Sia Roylin che Penn avevano interessi nazionalistici nell’operazione sotto falsa bandiera

Come Roylin ha osservato nella prima stagione di The Diplomat e Penn ha descritto a Kate nella seconda stagione, l’attacco alla HMS Courageous era finalizzato a unificare il Regno Unito e impedire alla Scozia di approvare un referendum per l’indipendenza. Roylin e Penn avevano motivi diversi per orchestrare l’operazione sotto falsa bandiera, ma entrambi erano di fondamentale importanza per le rispettive nazioni e governi. Per Roylin, l’unificazione della Scozia con l’Inghilterra contro un nemico comune come la Russia o l’Iran avrebbe riparato la reputazione del Primo Ministro. Per Penn, contrastare l’indipendenza della Scozia era un passo fondamentale per garantire la protezione dagli attacchi dei sottomarini nucleari russi alla costa orientale degli Stati Uniti.

Grace Penn, Creagan e i sottomarini nucleari russi spiegati

Grace Penn, Creagan e i sottomarini nucleari russi spiegati

Il vicepresidente Penn voleva assicurarsi che la base nucleare di Creagan in Scozia non potesse essere chiusa a causa della minaccia dell’indipendenza scozzese. La base nucleare di Creagan è l’ultimo punto geografico che gli Stati Uniti potrebbero utilizzare per rilevare una minaccia nucleare in arrivo da un sottomarino russo nella regione artica. Senza la base nucleare di Creagon, gli Stati Uniti diventerebbero molto più vulnerabili a una minaccia nucleare proveniente dai sottomarini russi. Di conseguenza, il vicepresidente Peen ha organizzato un evento che avrebbe unificato la Scozia e l’Inghilterra per eliminare la minaccia che la Scozia diventasse una nazione indipendente e chiudesse la base.

The Diplomat Stagione 3 Trama: cosa sappiamo finora

Il presidente Penn presterà giuramento alla Casa Bianca

Ora che Penn sarà il presidente degli Stati Uniti all’inizio della terza stagione di The Diplomat, potrebbe puntare a porre fine alla carriera di Kate e a zittirla, come lei e Roylin hanno fatto con Merritt Grove. Sarebbe sicuramente pericoloso per Kate continuare a rivelare la verità sull’HMS Courageous, soprattutto perché la morte del presidente Rayburn sarà una notizia molto più importante delle informazioni geopolitiche trapelate. Kate finirebbe per tradire il proprio Paese rivelando la verità, cosa che Hal probabilmente le sconsiglierebbe di fare.

Kate lavorerà probabilmente a stretto contatto con il presidente Penn nella terza stagione di The Diplomat in qualità di vicepresidente. Dovrà imparare a convivere con la dura realtà del suo nuovo ruolo, che nella seconda stagione è stato per lei un brusco risveglio, e comprendere la difficile decisione che Penn ha dovuto prendere, una decisione che Kate ha confermato che avrebbe preso lei stessa.

Il rapporto di Kate con Dennison sarà probabilmente teso, soprattutto se la verità dovesse venire alla luce per lui o per il primo ministro Trowbridge, il che sarebbe disastroso. La creatrice di The Diplomat, Debora Cahn, ha dichiarato a Netflix’s Tudum: “La terza stagione ribalta la situazione. Nella terza stagione, Kate vive l’incubo particolare di ottenere ciò che desidera”. Ciò implica che Kate finisce per diventare vicepresidente nella terza stagione.