Quando il primo trailer di
28 Anni Dopo di Danny Boyle è
stato pubblicato lo scorso dicembre, i fan si sono subito
concentrati su uno zombie che assomigliava in modo impressionante a
Cillian Murphy (che ha interpretato Jim,
il personaggio principale di 28 Giorni Dopo, nel
2002).
L’attore non è apparso in 28
Settimane Dopo, e la prospettiva che fosse morto per il
Virus della Rabbia era triste, così come la decisione di rivelare
un momento così importante nel trailer. Ciononostante, è stato un
episodio virale che ha fatto parlare di un ritorno del franchise,
anche se ci sono voluti solo un giorno o due per smentirlo. In
seguito abbiamo appreso che Angus Neill, un
mercante d’arte specializzato in dipinti antichi, era stato notato
da Boyle e gli era stato offerto un ruolo nel film come
“Infetto Emaciato”.
Boyle ha poi confermato che Murphy
tornerà nei panni di Jim in 28 anni dopo – Il Tempio delle Ossa di
Nia DaCosta, con un lungo cameo che dovrebbe
conferirgli il ruolo principale nel terzo capitolo, pianificato e
ancora in fase di sviluppo.
Parlando con The Observer
(tramite FearHQ.com), al premio Oscar è stato chiesto il suo
parere sulle speculazioni online sul suo apparente ritorno come
zombie. Rivelando che suo figlio gliel’aveva fatto notare, Murphy
ha risposto impassibile: “Fantastico, la gente pensa che io
assomigli a un cadavere zombie. È molto lusinghiero”.
Parlando del suo effettivo ritorno
in Il Tempio delle Ossa, ha confermato di esserci
“solo per un breve periodo” e che “tutti devono andare
a vedere il secondo”, per assicurarsi che Boyle arrivi al
finale della sua trilogia. “Sono sicuro che lo faranno”,
ha osservato, “è davvero, davvero bello”. Riflettendo su
28 giorni dopo, Murphy ha aggiunto: “La gente
ama ancora quel film. È lo stesso con Peaky Blinders, non ci rendevamo conto che
sarebbe diventato così amato”.
Parlando del tanto atteso ritorno di
Murphy nel franchise, Boyle aveva precedentemente anticipato:
“Alla fine, si sente un po’ Cillian. Tutto quello che posso
dire è che bisogna aspettare Cillian, ma spero che ci aiuti a
ottenere i finanziamenti per il terzo film”.“Prometti
[allo studio] Cillian Murphy, che è un bel modo per evitare
qualsiasi preoccupazione tecnica, se ne dimenticano presto”,
ha continuato. “Sì, l’abbiamo usato apertamente per ottenere
ciò che volevamo. Quale promessa migliore avresti potuto
fare?”
Cosa sappiamo di 28
anni dopo – Il Tempio delle Ossa
Girato subito dopo il suo
predecessore, 28 anni dopo – Il Tempio delle
Ossa riprenderà gli eventi del film precedente, che
ha incassato 150,4 milioni di dollari in tutto il mondo e ha visto
protagonisti nomi come Alfie Williams, Aaron Taylor-Johnson, Jodie Comer e Ralph Fiennes. Tuttavia, è stato anche
annunciato in precedenza che Bone Temple vedrà il ritorno
– nel finale – di Cillian Murphy, che riprende il ruolo di Jim
da 28 giorni dopo.
Descrivendo come 28 anni
dopo – Il Tempio delle Ossa sia il seguito del film
horror di successo del 2025, DaCosta rivela che il giovane Spike è
il filo conduttore tra i due film, costretto a unirsi alla setta di
Jimmy, pronta a scontrarsi con il dottor Kelson. Inoltre, secondo
DaCosta, la storia del dottor Kelson e la dinamica generale con
Samson saranno ulteriormente approfondite, poiché costituiscono
“una parte importante del film”.
28 anni dopo – Il Tempio
delle Ossa sembra dunque voler espandere il franchise in
modo significativo, non solo in termini di dimensioni, ma anche di
tono e filosofia. Con Nia DaCosta che ha preso il
posto di Danny Boyle alla regia e Alex
Garland che continua a guidare la storia, la serie si sta
evolvendo in qualcosa di più ambizioso e ricco dal punto di vista
tematico, approfondendo le strutture formatesi all’indomani del
virus.
L’attenzione a personaggi come il
dottor Kelson e Sir Jimmy Crystal introduce due visioni molto
diverse della sopravvivenza: una clinica e ossessionata dal
controllo, l’altra caotica e settaria. Nel frattempo, Spike funge
da ponte emotivo e narrativo tra i film, radicando la storia man
mano che diventa più strana, più oscura e più imprevedibile.
Tuttavia, è interessante notare che non si fa ancora menzione di
Cillian Murphy.
28 anni dopo – Il Tempio delle Ossa uscirà al
cinema il 16 gennaio 2026.
I film di The
Conjuring sono sempre stati molto popolari tra il grande
pubblico, ma non siamo sicuri che qualcuno avrebbe potuto prevedere
quello che è successo. Dopo un weekend di apertura molto migliore
del previsto al botteghino mondiale, l’ultimo (ne sapremo di più)
capitolo della saga horror soprannaturale, The
Conjuring – Il Rito Finale, ha ottenuto il più grande
incasso globale nella storia del cinema horror.
Il nono capitolo della saga di
Warner Bros. e New Line (il quarto della serie principale) ha
incassato 194 milioni di dollari in tutto il mondo
nel suo primo weekend di uscita, posizionandosi significativamente
al di sopra della stima di domenica di 187 milioni di dollari in
tutto il mondo. Questo supera It del 2017, che era
stato il precedente incasso horror più alto con 190 milioni di
dollari. Il
Rito Finale ha anche stabilito un nuovo record a
livello internazionale con un debutto da 110 milioni di dollari,
superando It: Capitolo due del 2019 (92 milioni di
dollari).
Si è rivelato un anno molto positivo
per la Warner Bros., dopo che lo studio ha attraversato un periodo
difficile con titoli come Joker:
Folie à Deux, Mickey
17 e The Alto Knights. La WB ha ora
fatto la storia del botteghino diventando il primo studio ad avere
sette film consecutivi con incassi superiori ai 40 milioni di
dollari.
Daisy Ridley tornerà nella Galassia Molto,
Molto Lontano nei panni di Rey “Skywalker” in
almeno un prossimo film di Star
Wars, ma sembra che l’attrice britannica potrebbe
anche essere in lizza per un ruolo da protagonista nel suo primo
franchise tratto da un fumetto.
In precedenza era stata collegata al
film di Spider-Woman della Sony Pictures, firmato
dalla regista Olivia Wilde, ma il progetto è ormai defunto,
poi è stato detto che era nel mirino dei Marvel Studios per un ruolo non
ancora reso noto. Tuttavia, non si tratta di uno dei grandi
franchise di supereroi a cui si dice che Ridley sia legata.
Secondo Daniel Richtman, Daisy Ridley è in trattative per recitare in
un adattamento della graphic novel del 2013 di Tony Cliff,
Delilah Dirk and the Turkish Lieutenant. La Disney
detiene i diritti su questa proprietà dal 2016, ma da allora non ci
sono stati sviluppi sul progetto. Si dice che il personaggio di
Ridley, Delilah, sia “addestrato in 47 tecniche di
combattimento con la spada” e venga descritto come
“un’Indiana Jones al femminile“. Roy Lee, Mark
Mower e Justin Giritlian erano stati
scelti come produttori nel 2016, ma non siamo sicuri che siano
ancora coinvolti.
Secondo una sinossi ufficiale:
“L’adorabile Delilah Dirk è un’avventuriera del XIX secolo. Ha
viaggiato in Giappone, Indonesia, Francia e persino nel Nuovo
Mondo. Utilizzando le abilità acquisite lungo il cammino, le
avventure di Delilah continuano mentre trama per derubare un ricco
e corrotto sultano di Costantinopoli. Con l’aiuto del suo
idrovolante e del suo nuovo amico, Selim, elude le guardie del
sultano, fa mangiare la polvere ai pirati inferociti e si fa strada
combattendo attraverso la campagna. Per Delilah, un’avventura porta
all’altra in questa emozionante e divertente puntata della sua vita
emozionante.”
Che il ruolo di Delilah Dirk vada in
porto o meno, c’è sempre la possibilità che Ridley possa fare il
salto nell’MCU o nel DCU in futuro. Parlando con ComicBook.com del suo
recente film d’azione, The Cleaner, Ridley ha ammesso di essere
“aperta a tutto” quando si tratta di interpretare un ruolo basato
sui fumetti.
“Lavoro con questo fantastico
secondo assistente alla regia di nome Matthew Sharp, e mi scrive
perché sta lavorando ad Avengers, e mi dice: ‘Se mi chiamano’.
Quindi ho risposto: ‘Se mi chiamano, assolutamente’. Poi,
ovviamente, adoro Batman, adoro Il Pinguino. Sono una fan di
tantissimi film. Sì, sono aperta a tutto.”
Cate Blanchett
sarà la protagonista di Sweetsick, il nuovo film scritto e diretto da
Alice Birch, al
suo debutto alla regia di un lungometraggio. La storia seguirà una
donna dotata di uno strano potere: la capacità di vedere ciò di cui
le persone hanno più bisogno nella vita.
Alice Birch al debutto dietro la macchina da presa
Alice Birch, nota per la sceneggiatura di Lady Macbeth e per gli adattamenti televisivi
dei romanzi di Sally
Rooney (Normal People e Conversations with Friends), firmerà con
Sweetsick il suo primo
film da regista.
Il
progetto, sostenuto da Searchlight Pictures, sarà girato questo autunno tra
Regno Unito e Grecia. Birch ha dichiarato:
“Non potrei essere più entusiasta di debuttare come regista con
un team di cineasti e collaboratori così straordinario. Avere
l’impareggiabile Cate Blanchett al centro del progetto è
emozionante”.
La trama e la produzione di Sweetsick
La pellicola seguirà una donna volubile (Blanchett) con un “dono
strano e penetrante” che intraprende un viaggio verso casa. Il
resto del cast sarà annunciato prossimamente.
La produzione è affidata a Tessa Ross, Juliette Howell e Theo Barrowclough di
House Productions, insieme a Blanchett e alla sua
Dirty Films.
Lee Groombridge
sarà produttore, mentre Film4 partecipa come co-finanziatore e produttore
esecutivo.
Tessa Ross ha sottolineato la fiducia nel talento di Birch:
“Crediamo tutti molto in Alice Birch ed è stato meraviglioso vedere
il fantastico team che ha riunito intorno a sé. Non da ultimo, la
straordinaria Cate, attratta dalla sua visione audace e
bellissima”.
Blanchett e Birch: due carriere di successo
Cate Blanchett, due volte vincitrice dell’Oscar per Blue Jasmine e
The Aviator, ha firmato
interpretazioni memorabili in film come Diario di uno scandalo, I’m Not There, Carol e Tár.
Alice Birch, oltre a Lady
Macbeth, ha scritto sceneggiature per The Wonder e Mothering Sunday. Per la serie Succession ha vinto un
WGA Award.
Il progetto sarà supervisionato per Searchlight da Pete Spencer e Cameron Chidsey, mentre per
Film4 da
Farhana Bhula e
Alice
Whittemore.
Dopo anni di attesa, Leonardo DiCaprio ha finalmente
coronato il sogno di lavorare con Paul Thomas Anderson. Alla premiere di
Una
battaglia dopo l’altra (One Battle After Another) al TCL
Chinese Theatre di Hollywood, l’attore ha raccontato la sua
emozione e il nervosismo del primo giorno sul set.
“Il primo giorno sono sempre nervoso,
davvero”, ha dichiarato a Variety. “Ma all’ora di pranzo mi ero già ambientato,
perché quando sei sul set non hai tempo per esserlo”.
Un
ruolo inedito ispirato a Il
grande Lebowski
In
Una
battaglia dopo l’altra (One Battle After Another),
DiCaprio interpreta Bob
Ferguson, un ex rivoluzionario ormai in declino costretto
a riunirsi con i suoi vecchi complici per salvare la figlia. Al suo
fianco, un cast corale che include Sean
Penn, Benicio Del Toro,
Regina Hall e
Teyana
Taylor.
DiCaprio ha descritto il personaggio come “uno che sta a casa e
fuma erba tutto il tempo”, spiegando di essersi ispirato a
Jeff Bridges e
al suo iconico The Dude
ne Il grande Lebowski
(1998).
“Abbiamo fatto un sacco di cose folli in
questo film”, ha raccontato l’attore. “Ma questa è la differenza
con Paul: vuole vedere il tizio cadere”.
Pur avendo tratto ispirazione dal consumo di marijuana, DiCaprio ha
chiarito di non aver mai fatto uso sul set: “Non posso farlo.
Non riesco a recitare”.
Per DiCaprio, lavorare con Anderson era un obiettivo da oltre
vent’anni, da quando aveva
rifiutato il ruolo da protagonista in Boogie Nights. L’attore ha ammesso che
avrebbe accettato qualunque progetto pur di collaborare con
lui:
“Avrei fatto qualsiasi film mi avesse
proposto, perché è un regista unico, interessante e bravo. Ma sono
felice che sia stato proprio questo, un film che ha sviluppato
negli ultimi vent’anni. Quando incontri qualcuno che vuole
realizzare un’odissea spettacolare, non puoi lasciarti sfuggire
l’occasione”.
Con One Battle After
Another, DiCaprio mostra un lato inedito di sé, lontano dal
fascino che il pubblico è abituato a vedere, e conferma ancora una
volta la sua volontà di mettersi alla prova con ruoli complessi e
registi di culto.
Sulla scia della première al Toronto
International Film Festival di
Frankenstein, con Oscar Isaac e Jacob Elordi, Guillermo del
Toro ha annunciato un nuovo progetto in fase di sviluppo
intitolato Fury, che vedrà protagonista Isaac e
viene descritto come un film “violento” sulla falsariga
del feroce My Dinner with
André (1981).
“Sto scrivendo un progetto che
ha a che fare con Oscar”, ha detto il regista al pubblico del
TIFF. “Lo sto scrivendo proprio ora, si intitola Fury e, in
sostanza, riprende gli aspetti thriller di Nightmare Alley: molto
crudeli, molto violenti. Come My Dinner with Andre, ma con
l’uccisione di persone dopo ogni portata.”
Ha continuato, citando il motivo per
cui è stato attratto dal progetto: “Perché sono molto
interessato alla violenza che ci facciamo a vicenda, e la facciamo
con la mente, la facciamo con l’anima e la facciamo fisicamente. E
penso che siano nuove domande [che mi pongo]; ora ho 60 anni,
quindi sono passato dal chiedermi dove sto andando e dall’essere
padre e figlio al provare rimpianti. Sono nel decennio dei
rimpianti, quindi aspettatevi molti rimpianti”.
Guillermo del Toro annuncia il suo
nuovo progetto
Inoltre, il tre volte vincitore
dell’Oscar ha confermato che adatterà un romanzo fantasy scritto
dal premio Nobel Kazuo Ishiguro, annunciato in
esclusiva da Deadline due anni
prima: “Sto preparando un adattamento in stop-motion di Il
gigante sepolto, il romanzo di Kazuo Ishiguro. E sarà uno
stop-motion epico che non sarà per bambini. Esplorerà davvero la
capacità di recitare di un progetto in stop-motion e di fondere un
mondo come si farebbe se fosse un live-action”.
Naturalmente, questo non è un
territorio nuovo per il regista di Pinocchio, con la storia del burattino di
legno che si trasforma in un adattamento decisamente non per
bambini, per il quale lo studio di stop-motion di ShadowMachine è
stato anche la base di produzione.
Con riferimenti a Nightmare Alley del 1947, un film noir pieno
di inganni e tragedie, e a My Dinner With Andre,
che racconta la biforcazione tra due vecchi amici che si ritrovano
a cena per discutere di filosofie di vita e rimpianti, è chiaro che
il prossimo progetto di del Toro non sarà per i deboli di
cuore.
Frankenstein, presentato in anteprima mondiale a
Venezia il mese scorso, debutterà in sale selezionate il 17 ottobre
e su Netflix il 7 novembre.
Dopo una carriera di successo in televisione con serie come
Pushing Daisies e Hannibal,
Bryan Fuller è
pronto a fare il suo debutto alla regia cinematografica. Il suo
primo film, Dust Bunny, avrà l’anteprima mondiale
al Toronto International
Film Festival 2025, nella sezione Midnight Madness.
Con alle spalle una carriera da sceneggiatore e showrunner iniziata
con Star Trek: Deep Space
Nine nel 1997, Fuller non aveva mai avuto il tempo di
dedicarsi alla regia. Ma questa volta ha deciso di affrontare la
sfida, trovando grande soddisfazione soprattutto nel lavoro con la
giovane protagonista Sophie Sloan:
“Con Sophie abbiamo scoperto insieme il
film, trovando personaggio e ritmo dei dialoghi in modo giocoso. È
stato come un appuntamento di gioco creativo, un ambiente sano e
sicuro in cui esplorare”.
Il regista ha portato nel film il suo tipico approccio visivo e
cromatico, collaborando con la direttrice della fotografia
Nicole Hirsch
Whitaker. Per descrivere l’estetica di Dust Bunny, Fuller ha usato un paragone
culinario:
“Se Pushing Daisies è dolce e Hannibal è
saporito, Dust Bunny è pollo al mango: dolce e speziato allo stesso
tempo, con un profilo dinamico e ricco”.
La
trama di Dust Bunny
Il
film segue Aurora
(Sophie Sloan), una ragazzina che scopre sotto il suo letto la
gigantesca creatura magica e sanguinaria del titolo. Per
affrontarla, decide di ingaggiare un killer, interpretato da
Mads Mikkelsen
(già protagonista di Hannibal). C’è solo un problema: convincerlo che la
minaccia sia reale.
Fuller ha rivelato che la storia era nata come un episodio di
Amazing Stories (Apple
TV+, 2020), ma il progetto venne accantonato. Da lì la
decisione di trasformarlo in un lungometraggio, con un omaggio ai
“traumatici film per bambini” degli anni ’80 come Poltergeist e Gremlins.
Un horror per tutta la
famiglia
Nonostante le atmosfere cupe e
alcune scene spaventose, Fuller considera Dust Bunny un film pensato anche per i più
giovani, nello spirito dei cult anni ’80 che hanno fatto avvicinare
i bambini all’horror.
“Penso che sia il film horror perfetto da
guardare insieme in famiglia, proprio come è stato per tanti con
Gremlins”.
Con la sua miscela di humour,
immaginazione e brividi, Dust
Bunny segna un nuovo capitolo nella carriera di Bryan Fuller,
pronto a portare la sua poetica televisiva sul grande schermo.
Dopo la prima mondiale di The Smashing Machine a Venezia, lo
sceneggiatore/regista Benny Safdie e Dwayne Johnson stanno pianificando
di tornare a lavorare insieme in un altro film, Lizard
Music. Safdie adatterà il romanzo di Daniel
Pinkwater e dirigerà Johnson nel ruolo di
Chicken Man.
Safdie ha vinto il
Leone d’Argento a Venezia, e Johnson e la co-protagonista
Emily Blunt
hanno ottenuto consensi e una lunga standing ovation per il loro
lavoro. I produttori saranno Safdie per Down For The Count
Productions, Johnson per Seven Bucks Productions e
David Koplan, che ha prodotto The Smashing Machine.
La trama di Lizard Music
Quando un ragazzo abbandonato a se
stesso si imbatte in una trasmissione segreta a tarda notte di
lucertole che suonano musica ultraterrena, una porta nascosta verso
questo straordinario evento si apre. La sua ricerca di risposte lo
conduce all’eccentrico e bizzarro Chicken Man e alla sua amata
compagna, una gallina settantenne di nome Claudia: due anime
gemelle che hanno intravisto l’impossibile. Uniti da questa visione
condivisa, partono per un’avventura che inizia come una caccia a
una società nascosta, ma si trasforma in qualcosa di molto più
grande: un viaggio attraverso mondi invisibili, armonie inaspettate
e il legame indissolubile tra anime perse che scoprono la magia non
solo in ciò che trovano, ma anche l’una nell’altra.
Le prime reazioni a Una
battaglia dopo l’altra (One Battle After
Another), il nuovo film di Paul Thomas Anderson con protagonista
Leonardo DiCaprio, sono
decisamente entusiastiche. A guidare i commenti è stato
Steven Spielberg, che ha moderato
una sessione di Q&A con Anderson alla Director’s Guild of
America di Los Angeles, sorprendendo con un elogio
appassionato.
“Che film
pazzesco, oh mio Dio. C’è più azione nella prima ora di questo film
che in tutti gli altri che hai diretto messi insieme. Tutto è
davvero incredibile”, ha dichiarato Spielberg (via
The Film Stage). “È un
miscuglio di elementi bizzarri ma allo stesso tempo profondamente
rilevanti, che risuonano ancora di più oggi rispetto a quando hai
iniziato a scrivere la sceneggiatura e a girare il film”.
La
storia e il cast di Una battaglia dopo l’altra (One
Battle After Another)
Liberamente ispirato al romanzo di Thomas Pynchon del 1990 Vineland, il film segue DiCaprio nei
panni di un rivoluzionario fallito che deve affrontare il proprio
passato per salvare la figlia adolescente. Il cast di supporto
include Sean
Penn, Benicio del Toro,
Regina Hall,
Teyana Taylor e
Chase Infiniti
al suo debutto sul grande schermo.
Spielberg: “Una commedia assurda e attuale”
Spielberg ha paragonato il tono del film a Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick:
“È una commedia assurda, presa molto sul
serio, perché riflette quello che accade oggi ogni giorno in
America. Ma arriva al punto in cui vuoi ridere, perché se non lo
fai, rischi di urlare: ‘È troppo reale’. Mi sono divertito a ridere
tutto il tempo, ma è interessante come scegli i momenti in cui ci
permetti di ridere, e quando invece li interrompi”.
La stampa lo definisce già uno dei migliori del 2025
Anche la critica ha accolto Una
battaglia dopo l’altra (One Battle After Another) con
entusiasmo. Evan
Romano di Men’s
Health lo ha definito “il mio film numero uno dell’anno”,
mentre il critico e podcaster Brett Arnold lo ha descritto come “il mio preferito
dell’anno”.
Arnold ha aggiunto:
“Ho riso a crepapelle, è probabilmente il film più divertente di
Anderson. Ma alla fine ero così commosso da piangere. Sean Penn
vincerà un Oscar incredibilmente meritato. E l’azione! Non riesco a
smettere di pensare all’inseguimento in auto e a come è stato
girato”.
Con queste prime reazioni, Una battaglia dopo l’altra (One
Battle After Another) sembra già destinato a imporsi come uno
dei titoli più importanti e discussi del 2025.
Il redattore e critico di Slash
Film Chris Evangelista ha fatto eco alle lodi, definendo il film
“l’incubo americano moderno in VistaVision”.
Ha scritto
su X: “‘One Battle After Another’ vede PTA catturare il nostro
attuale panorama infernale in un film cupamente divertente, ricco
di emozionanti inseguimenti in auto, sparatorie assordanti e
assurdo. Immagini scioccanti ma familiari abbondano. Uno dei
migliori dell’anno!”.
La critica e conduttrice di “Beyond
The Trailer” Grace Randolph ha avuto inizialmente sentimenti
contrastanti sul film, ma con il progredire della trama ha iniziato
a ricredersi.
“All’inizio l’ho odiato e l’ho
trovato ridicolo”, ha scritto
su X. “Ma… più ci penso, più mi sembra che abbia qualcosa da
dire. Benicio Del Toro sta vivendo un anno davvero eccezionale,
forse dovrei nominarlo per il Critics Choice come miglior attore
non protagonista”.
“Penn offre una performance
straordinaria e assolutamente sbalorditiva nel ruolo
dell’antagonista principale del film in ‘One Battle After Another’,
consentendo a Leo di occuparsi della maggior parte delle battute
comiche”, ha scritto. “Questo farà sicuramente discutere molte
persone”.
Il giornalista di cultura popolare
del New York Times Kyle Buchanan ha definito
il film uno dei favoriti agli Oscar su X, sostenendo che
potrebbe essere il film che farà guadagnare ad Anderson il suo
primo premio come miglior regista.
“I festival autunnali non hanno
influenzato molto gli Oscar, ma ‘One Battle After Another’ lo farà
sicuramente”, ha scritto. “L’ultimo film di Paul Thomas Anderson
potrebbe essere nominato in tutte le categorie (Sean Penn e Teyana
Taylor sono eccezionali) e finalmente far vincere a PTA l’Oscar più
importante. Ora vediamo se la Warner Bros riuscirà a
distribuirlo…”
“One Battle After Another” uscirà
nelle sale il 26 settembre dalla Warner Bros.
Secondo quanto riportato da Variety, Jay
Harrington e Patrick St. Esprit parteciperanno alla nuova
serie spin-off S.W.A.T.
Exiles, riprendendo i loro ruoli storici della serie
madre.
Nel
primo episodio di Exiles,
Harrington tornerà a vestire i panni del sergente David “Deacon”
Kay, mentre St. Esprit riprenderà il ruolo del comandante Robert
Hicks, entrambi già protagonisti nelle otto stagioni originali di
S.W.A.T. trasmesse da
CBS.
Come annunciato in precedenza, lo spin-off avrà come protagonista
Shemar Moore, che tornerà a interpretare Daniel
“Hondo” Harrelson. La nuova serie, composta da 10 episodi e
prodotta da Sony Pictures Television, non ha ancora una rete
televisiva o una piattaforma di distribuzione confermata.
La trama di S.W.A.T. Exiles
La trama ufficiale anticipa un nuovo inizio per Hondo: dopo il
fallimento di una missione di alto profilo, l’ex leader viene
richiamato dal pensionamento forzato per guidare un’unità SWAT
sperimentale formata da giovani reclute. Sarà compito suo
trasformare una squadra di outsider in un team capace di proteggere
la città e salvare il programma che lo ha reso un punto di
riferimento.
Le riprese di S.W.A.T.
Exiles dovrebbero iniziare a fine settembre a Los Angeles, con
la stessa troupe che ha lavorato alla serie originale. Jason Ning
sarà showrunner e produttore esecutivo, affiancato da Neal H.
Moritz e Pavun Shetty di Original Film, insieme a Shemar Moore,
James Scura e Jon Cowan.
Il reboot di S.W.A.T.
aveva debuttato nel 2017 su CBS. Dopo una cancellazione iniziale
alla sesta stagione, la rete aveva concesso prima un ritorno per la
settima stagione finale, poi una proroga fino all’ottava,
salvo cancellare definitivamente la serie a marzo 2024.
La guerra dei Murdoch sembra essere
giunta al termine. La famosa famiglia Murdoch,
protagonista del settore dei media, ha risolto lunedì una lunga
disputa che lascerà a Lachlan Murdoch il controllo delle
azioni con diritto di voto che governano sia News
Corp. che Fox Corp., vendendo al contempo
le quote della società detenute dagli altri figli del fondatore
Rupert Murdoch, che avevano contestato la capacità del padre di
ristrutturare la supervisione dei suoi eredi su entrambe le
società.
Fox Corp. e News Corp. hanno
entrambe dichiarato lunedì che la famiglia ha posto fine a tutte le
controversie legali legate agli sforzi dell’anziano Murdoch di
assegnare il controllo delle azioni di famiglia a Lachlan, che
attualmente supervisiona entrambe le società. Prudence MacLeod,
Elisabeth Murdoch e James Murdoch, i figli di Rupert che hanno
combattuto i suoi sforzi, cesseranno di essere beneficiari di
qualsiasi trust di famiglia nei conglomerati.
Queste manovre sembrano consolidare
il desiderio di Rupert Murdoch di mantenere l’orientamento
conservatore del suo impero mediatico, in particolare alla Fox
News, che è diventata il fulcro economico della Fox Corp. James
Murdoch ed Elisabeth Murdoch sono noti per avere opinioni politiche
diverse da quelle di Lachlan, con James che contribuisce in modo
significativo a cause che non sono in linea con le opinioni
sostenute dalla rete televisiva via cavo.
L’accordo significa che Fox News ha
davanti a sé un percorso chiaro, mentre due dei suoi principali
rivali, CNN e MSNBC, devono affrontare sfide uniche. MSNBC entrerà
presto a far parte di Versant, uno spin-off della maggior parte
delle proprietà via cavo legate a NBCUniversal. Sotto la guida
della nuova presidente Rebecca Kutler, MSNBC ha lavorato per
potenziare il proprio staff di giornalisti e reporter e, nelle
ultime settimane, è stata vista non solo fornire le analisi e le
opinioni progressiste per cui è nota, ma anche cercare di coprire i
titoli e gli argomenti delle notizie mainstream. La CNN, nel
frattempo, ha in gran parte vacillato sotto la guida dell’attuale
proprietario Warner Bros. Discovery, cedendo audience mentre i suoi
manager cercavano di smorzare l’atteggiamento militante assunto
sotto la guida del precedente leader Jeff Zucker. La CNN e le altre
reti televisive della Warner dovrebbero separarsi dalla società in
una transazione che dovrebbe essere completata nel 2026.
Murdoch aveva presentato un’offerta
per modificare un trust familiare irrevocabile che garantiva a
quattro dei suoi figli – Lachlan, James, Prudence ed Elisabeth –
pari diritti di voto nella gestione di Fox Corp. e News Corp.
Tuttavia, un commissario del tribunale successorio del Nevada, dove
la questione è stata giudicata, ha respinto la richiesta, dopodiché
Rupert Murdoch ha manifestato l’intenzione di presentare
ricorso.
Fox Corp. ha dichiarato che i trust
che rappresentano James, Elisabeth e Prudence offriranno un totale
di 16.926.837 azioni ordinarie di classe B della società, mentre
News Corp. ha indicato che trust simili offriranno 14.182.161
azioni di classe B della società.
Ciascuno dei tre figli dovrebbe
ricavare dalla transazione più di 1 miliardo di dollari. Tutti e
tre saranno tenuti a vendere le partecipazioni personali in Fox
Corp. o News Corp e, in base a un accordo a lungo termine, non
potranno acquistare azioni di nessuna delle due società.
Dopo la vendita, i voti dei Murdoch
in entrambe le società saranno diluiti e deterranno circa il 33,1%
delle azioni con diritto di voto di News Corp. e il 36,2% delle
azioni con diritto di voto di Fox Corp.
La risoluzione della controversia
eliminerà una questione di distrazione aziendale dai consigli di
amministrazione di entrambe le società in un momento difficile per
l’industria dei media. A differenza di concorrenti come Paramount,
Warner Bros. Discovery e Comcast, Fox ha ridotto i propri interessi
nel settore via cavo diversi anni fa, quando ha venduto una parte
significativa delle proprie attività alla Disney. Mentre i
concorrenti hanno lavorato alacremente per mantenere a galla il
settore via cavo, con un numero sempre maggiore di consumatori che
si è spostato verso i servizi di streaming, Fox ha concentrato gran
parte della propria attenzione sulla programmazione di eventi e
programmi in diretta, con una forte enfasi su sport e notizie.
La nuova serie comica di
Tim Robinson, The Chair Company,
debutterà su HBO e HBO Max il 12 ottobre. Co-creata da Robinson e
dal suo collaboratore di “I Think You Should Leave” Zach Kanin, la
serie segue le vicende di un uomo che inizia a indagare su una
cospirazione di vasta portata dopo aver subito un imbarazzante
incidente sul lavoro.
La serie di otto episodi andrà in
onda con cadenza settimanale, fino al finale di stagione previsto
per il 30 novembre.
Chi sono i protagonisti di
The Chair Company?
Robinson interpreta William Ronald
Trosper insieme ai protagonisti della serie Lake
Bell nel ruolo di Barb Trosper, Sophia
Lillis nel ruolo di Natalie Trosper, Will
Price nel ruolo di Seth Trosper e Joseph
Tudisco nel ruolo di Mike Santini. Lou Diamond Phillips
ricopre il ruolo ricorrente di Jeff Levjman.
Robinson e Kanin sono i produttori
esecutivi di The Chair Company insieme ad Adam
McKay e Todd Schulman per HyperObject Industries, Andrew DeYoung e
Igor Srubshchik. DeYoung, che ha recentemente diretto Robinson
nella commedia della A24 “Friendship”, è il regista della serie
insieme ad Aaron Schimberg.
Foto: Sarah Shatz/HBO
Robinson è noto soprattutto per
aver co-creato e interpretato “I Think You Should Leave”, la serie
comica assurda che è diventata un fenomeno su Netflix e ha dato vita a un tour dal vivo.
In precedenza, lui e Sam Richardson hanno recitato nella sitcom
“Detroiters” e hanno lavorato come co-creatori insieme a Kanin e
Joe Kelly.
Robinson è stato anche autore e
membro del cast di “Saturday Night Live”, dove molte delle sue idee
per sketch inutilizzate sarebbero poi apparse in qualche forma in
“I Think You Should Leave”. Tra i suoi crediti come attore figurano
anche “Documentary Now!” e il film di Seth
Rogen “An American Pickle”.
Michael Caine sta valutando un ritorno alla
recitazione con un sequel di The Last Witch Hunter della
Lionsgate. La leggenda del cinema novantaduenne è
pronta a tornare dalle scene per il film, che vedrà anche il
ritorno di Vin
Diesel nel ruolo di protagonista. Il sequel è in fase di
sviluppo accelerato presso la Lionsgate e la casa di produzione di
Diesel, One Race Films, come è stato confermato da
Variety.
Sebbene l’accordo con Caine non sia
ancora stato finalizzato, l’attore dovrebbe riprendere il ruolo che
ha interpretato nel film originale del 2015 The Last
Witch Hunter – L’ultimo cacciatore di streghe. Caine
ha interpretato Dolan, un sacerdote che assiste il guerriero
Kaulder, interpretato da Diesel, nella sua lotta per fermare una
piaga propagata da una regina strega.
L’originale The Last Witch
Hunter – L’ultimo cacciatore di streghe era in qualche
modo un progetto appassionante per Diesel, che ha promosso il film
d’avventura come un adattamento delle sue campagne di “Dungeons &
Dragons”, in cui interpretava il personaggio originale di Melkor,
il cacciatore di streghe. Distribuito nell’ottobre 2015 dalla
Lionsgate, il film ha incassato solo 27 milioni di dollari in Nord
America, ma ha avuto un successo maggiore all’estero con 119
milioni di dollari nei territori internazionali. Secondo la
Lionsgate, la seconda vita di “L’ultimo cacciatore di streghe” in
formato digitale e home video, che include una delle posizioni tra
i film più visti su Netflix quest’anno, ha portato allo sviluppo del
sequel 10 anni dopo.
The Last Witch Hunter –
L’ultimo cacciatore di streghe è cresciuto dal suo lancio
nelle sale fino a diventare uno dei film preferiti dai fan di tutto
il mondo, con il pubblico che ha continuato a scoprirlo e a
rivederlo su ogni piattaforma negli ultimi dieci anni. Questo
entusiasmo duraturo ha reso chiaro che c’è voglia di altre storie
ambientate in questo mondo”, ha dichiarato Adam Fogelson,
presidente del gruppo Lionsgate Motion Picture, in una
dichiarazione che conferma lo sviluppo del sequel. “Vin e io
abbiamo collaborato molte volte nel corso degli anni, ed è una vera
forza nel nostro settore. Sono entusiasta di lavorare di nuovo con
lui nel suo ritorno a questo ruolo iconico, e sono emozionato dal
fatto che i progressi nella tecnologia cinematografica ci
consentano ora di realizzare in modo economico un sequel su scala
ancora più ambiziosa”.
Il sequel di “The Last Witch
Hunter” sarebbe il primo film di Caine dopo aver annunciato il suo
ritiro dalla recitazione nel 2023 all’età di 90 anni. Ha rivelato
la sua decisione mentre promuoveva la sua ultima apparizione sullo
schermo in “The Great Escaper” di Oliver Parker, che racconta la
storia di un veterano della Seconda Guerra Mondiale che fugge dalla
casa di cura in cui è ricoverato per partecipare alla
commemorazione dell’anniversario del D-Day.
Il
regista malese Brando Lee, al suo
esordio nel lungometraggio, porta sullo schermo Don’t Look
at the Demon (2022), un horror che unisce suggestioni
occidentali e credenze spirituali radicate nella cultura del
Sud-Est asiatico. Cresciuto alla periferia di Kuala Lumpur con una
formazione cinematografica influenzata da classici americani come
Shininge L’esorcista, Lee ha
dichiarato di voler fondere le proprie radici con gli stilemi più
riconoscibili dell’horror hollywoodiano, dando vita a un film che
mescola possessioni, case infestate e traumi irrisolti.
All’interno della cinematografia malese, ancora poco conosciuta a
livello internazionale, Don’t Look at the Demon
rappresenta un esperimento importante. È uno dei primi film horror
locali ad avere una distribuzione significativa fuori dai confini
nazionali e a contare su un cast internazionale, con interpreti
come Fiona Dourif. In questo senso, il film
si colloca come ponte tra due mondi: da un lato la tradizione
malese, che porta in dote rituali, simboli e riferimenti esoterici;
dall’altro l’immaginario occidentale che predilige atmosfere cupe,
jumpscare e dinamiche narrative di gruppo.
Il
risultato è un horror che può ricordare film come L’evocazione
–The Conjuring
per l’uso di un’indagine paranormale al centro del racconto, ma che
richiama anche suggestioni di titoli asiatici come Shutter o The Eye, per il legame con le credenze
spirituali locali. In questa fusione si nasconde il tratto
distintivo dell’opera: non un semplice esercizio di stile, ma un
tentativo di creare un linguaggio universale dell’orrore. Nel resto
dell’articolo cercheremo di capire come tutto questo confluisca nel
finale del film e quale sia il suo significato più profondo.
La trama di Don’t look at the Demon
Guidata da Jules,
una medium tormentata, una troupe televisiva americana di
investigatori del paranormale si reca a casa di una coppia che
sostiene di aver vissuto inquietanti e minacciosi disturbi
inspiegabili. All’inizio, le affermazioni della coppia sembrano
dubbie e la squadra investigativa sospetta che i due possano essere
solo alla ricerca di pubblicità, ma Jules presto vive una sua
terrificante esperienza nel seminterrato, portandoli a credere che
ci sia qualcosa di più di quanto sembri. Man mano che la
squadra approfondisce il mistero, incontra possessioni e
apparizioni più terrificanti di quanto abbia mai visto. Nella
vecchia casa vengono scoperte stanze segrete.
Ancora più oscuri segreti vengono
alla luce nella storia della casa, legati a un antico rituale
thailandese proibito, bambini nati morti, spiriti femminili
inquieti e una violenta forza soprannaturale che minaccia di
distruggere tutti coloro che entrano in contatto con essa. La loro
unica speranza è dunque Jules. Lei però rifiuta di affrontare la
situazione, traumatizzata da quando il suo primo incontro
soprannaturale ha causato la morte di sua sorella. Ma il suo oscuro
passato, se riuscirà a svelarlo, potrebbe essere l’unica speranza
per fermare il demone prima che sia troppo tardi.
La spiegazione del finale del film
Il
film di Brando Lee si chiude con un epilogo cupo e inaspettato.
Alla fine, Jules, la medium interpretata da Fiona
Dourif, finisce per eliminare tutti i membri del gruppo,
tranne una ragazza protetta da un tatuaggio rituale, elemento che
la salva dalla possessione. Già in passato, come si scopre, era
stata lei stessa – vittima di possessione – ad uccidere sua
sorella. Per “gestire” quel ricordo traumatico il demone le aveva
però fatto credere che la sorella fosse morta in quanto era lei ad
essere stata posseduta. Così, per la seconda volta, la protagonista
è ormai completamente dominata da forze oscure e ha
irrimediabilmente perso il controllo delle proprie azioni.
Molti spettatori hanno però discusso il finale online,
sottolineando come resti volutamente ambiguo. Alcuni ritengono che
Jules sia stata davvero posseduta da un’entità demoniaca, altri che
il film voglia suggerire un crollo psicologico dovuto a traumi e
ossessioni. L’elemento del tatuaggio rituale è stato poi letto come
un legame con le tradizioni malesi, a dimostrazione che la
conoscenza delle credenze spirituali locali può fare la differenza
tra vita e morte. Come ha affermato il regista Brando
Lee a proposito del film, “in tutte le mie attività
c’è uno Ying e uno Yang. Credo che il mondo debba avere il Bene e
il Male, sia gli Angeli che gli esseri Malvagi”.
“In sostanza, si tratta di mantenere l’equilibrio
dell’Universo. Incuriosito dalle esperienze che ho vissuto, ho
iniziato a esplorare il mondo che ci circonda”, ha aggiunto.
Se si accetta la lettura più diffusa — ovvero Jules come strumento
inconsapevole del male — allora il film mette in scena il trionfo
dell’oscurità e la fragilità umana di fronte all’inspiegabile. La
tragedia dell’uccisione della sorella diventa così il punto più
estremo della perdita di controllo, mostrando come le forze oscure
possano infrangere perfino i legami più intimi.
Cosa ci lascia il
film Don’t Look at the Demon
Brando Lee, fondendo cliché hollywoodiani e credenze spirituali
malesi, costruisce un horror ibrido che vive di ambivalenze. Non
c’è una vera catarsi: solo un senso di inquietudine persistente e
il dubbio su cosa sia reale e cosa no. Don’t Look at the
Demon lascia quindi allo spettatore la riflessione che,
davanti al male, la comprensione delle proprie radici culturali e
spirituali può diventare l’unico argine alla distruzione.
Il diavolo veste
Prada è diretto da David Frankel da una
sceneggiatura di Aline Brosh McKenna basata sul
libro scritto da Lauren Weisberger e presenta un
cast stellare che include Meryl Streep, Anne Hathaway, Emily Blunt, Stanley Tucci e una serie di cameo alla
moda. Il racconto ruota intorno ad Andy Sachs
(Hathaway), che non riuscendo a trovare il lavoro che desidera come
giornalista, accetta un posto come assistente personale della
redattrice di Runway e icona del mondo della moda Miranda
Priestly (Streep), affiancando l’assistente già in carica
Emily Charlton (Blunt).
All’inizio Andy fatica a soddisfare
le richieste estreme di Miranda e non si interessa al mondo della
moda, ma dopo che l’art director Nigel Kipling
(Tucci) la prende sotto la sua ala protettrice, inizia a dare il
meglio di sé; tuttavia, quando il lavoro inizia a influire sulla
sua vita privata e vede Miranda pugnalare Nigel alle spalle, Andy
decide di andarsene prima di diventare più simile a Miranda. Nel
frattempo, però, sembra essersi guadagnata il rispetto della sua ex
capo.
Come Miranda ha evitato di essere
sostituita da Jacqueline
Dopo aver scoperto il piano di
sostituire Miranda Priestly con Jacqueline Follet
(Stephanie Szostak) come redattrice di Runway,
Andy ha cercato di avvertire Miranda, ma si è scoperto che Miranda
era già diversi passi avanti a lei. Il diavolo veste
Prada non rivela esplicitamente come Miranda sia venuta a
conoscenza del piano per sostituirla, ma il film mostra chiaramente
quanto Miranda sia profondamente connessa all’interno del settore,
quindi se l’accordo era abbastanza avanzato da arrivare a un
prototipo di copertina di Runway, è logico che lei ne fosse a
conoscenza.
La “malvagia” Miranda ha quindi
usato la sua influenza per ottenere per Jacqueline un’offerta che
non poteva rifiutare dalla nuova società di James
Holt, rendendola indisponibile per la posizione a Runway.
Una volta che Miranda ha convinto Jacqueline ad accettare la
posizione con Holt, ha semplicemente dovuto convincere Irv
Ravitz a mantenerla come redattrice di Runway, per cui ha
escogitato un piano ancora più subdolo, ovvero “La Lista”. Essa
contiene i nomi di numerosi stilisti, fotografi, redattori,
scrittori e modelli che aveva portato alla rivista, i quali avevano
tutti dichiarato che avrebbero lasciato Runway per seguire Miranda
se lei fosse passata a un’altra testata.
Cosa è successo a Nigel?
La sera prima che Miranda
annunciasse Jacqueline come nuova presidente della James Holt
International, Nigel rivelò ad Andy che James Holt lo aveva scelto
per la posizione e che era stata Miranda a raccomandarlo. Miranda
ha ovviamente una certa influenza su Holt, motivo per cui
inizialmente la posizione era stata offerta a Nigel, ma non ha
esitato a sacrificarlo quando è arrivato il momento di salvarsi la
pelle, spingendo invece Jacqueline per la posizione. Nigel non era
a conoscenza dei piani di Miranda, quindi non ha scoperto il
cambiamento di programma fino a quando Miranda non ha annunciato
Jacqueline per la posizione.
Nonostante la sua profonda
delusione, Nigel dice ad Andy: “Quando sarà il momento giusto, lei
mi ripagherà”. Anche se non crede veramente alle sue parole, ha
“speranza per il meglio”. Nigel è sempre stato un fedele
sostenitore di Miranda nonostante il caos che la circonda, e finora
ha funzionato bene per lui, ma il tradimento è una rivelazione per
Andy, che stava cercando di aiutare Miranda a evitare di essere
sostituita. È anche l’occasione per lei per decidere
definitivamente di lasciare quel lavoro in cerca di una vita più
sana.
Perché Andy ha finalmente lasciato
Runway
Andy è inizialmente sopraffatta
dalle richieste di Miranda e, anche se il lavoro non diventa
necessariamente più facile con il tempo, impara ad assecondare
Miranda sacrificando sempre più la sua vita personale. Nigel era
stato quello che le aveva detto che ogni nuovo traguardo nella sua
carriera sarebbe arrivato a costo di vedere la sua vita privata
continuare a sgretolarsi, quindi vederlo pugnalato alle spalle da
Miranda è stato un campanello d’allarme per lei, anche se non è
stato solo questo a spingerla a licenziarsi.
È stata la conversazione con Miranda
dopo ha dato il lavoro di Nigel a Jacqueline che le ha fatto
perdere la pazienza. In macchina, dopo l’evento, Miranda dice
infatti ad Andy di essere rimasta colpita dal suo tentativo di
avvertirla che Jacqueline avrebbe preso il suo posto come
redattrice di Runway. Quando Miranda le ha detto “Vedo molto di me
stessa in te” dopo aver distrutto il lavoro dei sogni di Nigel,
Andy ha deciso che non voleva più quel lavoro e ha finalmente
trovato il coraggio di gettare il cellulare in una fontana e
allontanarsi da Miranda e dal lavoro a Runway.
Perché Miranda ha sorriso alla
fine
Nonostante Andy abbia lasciato
Miranda a piedi a Parigi, Miranda dice comunque al direttore del
New York Mirror che sarebbe un “idiota” se non assumesse Andy.
Sebbene Miranda abbia mostrato occasionalmente approvazione nei
confronti di Andy, il più delle volte era critica nei confronti
delle sue prestazioni lavorative, anche quando Andy riusciva a
portare a termine compiti impossibili come procurarsi la
trascrizione inedita del romanzo di Harry Potter per le figlie
gemelle di Miranda. Dice persino al New York Mirror che Andy è
stata la “più grande delusione” che abbia mai avuto come
assistente, eppure quando la vede per strada alla fine, sorride
comunque.
Sebbene Miranda possa essere stata
legittimamente delusa dalla decisione di Andy alla fine di
Il diavolo veste Prada, il sorriso è probabilmente
legato al fatto che lei dice ad Andy che le ricorda se stessa.
Anche se ha abbandonato il lavoro nel modo meno conveniente
possibile, la parte di Andy che ha difeso se stessa e ha
sacrificato tutti gli altri era la stessa parte che ricordava a
Miranda se stessa. Tuttavia, è anche il suo prendere una
decisione così radicale come quella di uscire da quell’ambiente che
fa nascere in Miranda il rispetto per la sua ormai ex
dipendente.
Il diavolo veste Prada 2: il sequel è in
arrivo!
Il film si conclude dunque con Andy
che lascia Runway per un lavoro in un giornale di New York. Ora, a
distanza di vent’anni, i fan potranno finalmente vedere cosa stanno
facendo Miranda e Andy in un panorama mediatico profondamente
cambiato. Nel sequel, Miranda, interpretata dalla Streep, si
ritrova coinvolta in una competizione ad alto rischio per ottenere
importanti introiti pubblicitari, trovandosi sorprendentemente a
dover affrontare la sua ex assistente dalla lingua tagliente Emily
Charlton (Emily
Blunt), che ora è una potente dirigente nel settore
della moda.
David Frankel, che
ha diretto il primo film, è tornato alla regia di
Il diavolo veste Prada 2, lavorando su una
sceneggiatura di Aline Brosh McKenna, che ha
scritto anche l’originale. Oltre a Meryl Streep, Anne Hathaway e Emily Blunt, nel cast si ritrovano anche
Stanley Tucci, Simone Ashley,
Pauline Chalamet e Helen J. Shen.
Tracie Thoms e Tibor Feldman
tornano sul set, mentre diversi volti nuovi si uniscono al cast,
tra cui Kenneth Branagh, che interpreterà il marito di
Miranda, insieme a Lucy Liu, Justin Theroux, B.J. Novak,
Pauline Chalamet, Rachel Bloom e
Patrick Brammall. Il film uscirà al cinema
il 1° maggio 2026.
Sono bastati pochi anni e una
manciata di ruoli all’attore Harris
Dickinson per affermarsi come uno degli interpreti
più interessanti della sua generazione. Grazie infatti alla sua
partecipazione ad alcuni importanti film d’autore, vincitori anche
di importanti premi a livello internazionale, Dickinson si è
distinto come attore dotato di molteplici sfumature, capace di
passare dalla commedia al dramma e al thriller con grande
naturalezza.
Ecco 10 cose che forse non
sai su Harris Dickinson.
2. Ha recitato anche in
alcune note serie TV. Oltre che al cinema, Dickinson
si è dedicato anche alla televisione, recitando in alcuni episodi
di serie come Some
Girls (2014), Testimoni
silenziosi (2017) e Clique (2017). Nel
2018 interpreta John Paul Getty III nella
serie Trust, recitando accanto a Donald
Sutherland e Hilary
Swank. Nel 2023 è invece tra i protagonisti
di A
Murder at the End of the World, accanto
ad Emma
Corrin e CliveOwen.
Harris Dickinson
in Triangle of Sadness
3. Si è preparato su un
dettaglio poi rimosso dal film. Quando ottenne la
parte di Carl in Triangle
of Sadness, battendo oltre 120 altri attori candidatisi
per il ruolo, ad Harris Dickinson fu detto che il suo personaggio
era un meccanico d’auto prima di diventare un modello. Dickinson
fece quindi un’intensa ricerca sulla professione, solo per poi
scoprire, una volta arrivato sul set, che quel dettaglio era stato
eliminato dalla sceneggiatura.
4. Ha interpretato il figlio
di Ralph Fiennes. Nel film The
King’s Man – Le origini, Dickinson ha interpretato
Conrad Oxford, il figlio di Orlando – interpretato da Ralph
Fiennes -, che si scambia con il soldato Archie
Reid per combattere nella Grande Guerra contro la volontà del
padre. È questo uno dei ruoli che, prima di Triangle
of Sadness, ha permesso all’attore di guadagnare una certa
popolarità all’interno dell’industria cinematografica.
Harris Dickinson
in Babygirl
5. Harris Dickinson era
nervoso all’idea di lavorare con Nicole
Kidman. Nella realizzazione di Babygirl,
l’attore si è trovato a doversi immergere in questa storia di
esplorazione delle dinamiche di potere sessuale, spingendosi in
luoghi intimi, imbarazzanti, esilaranti e memorabili. L’incontro
con una veterana del cinema come la Kidman lo ha naturalmente
intimorito, tuttavia: “Avevamo una regola non scritta che
abbiamo rispettato: Non conoscevamo la vita privata dell’altro.
Quando stavamo lavorando ed eravamo i personaggi, non ci
allontanavamo dal materiale. Non ho mai cercato di allegare tutta
la storia di Nicole Kidman. Altrimenti probabilmente mi sarei
sentito in difficoltà”.
6. Ha dovuto mostrare molta
vulnerabilità con il suo ruolo. Riguardo al mettersi
a nudo per questo ruolo, l’attore ha dichiarato: “Avevamo un
ambiente davvero sicuro e positivo, grazie al nostro direttore e
alla nostra coordinatrice dell’intimità, Lizzy Talbot. Questo ha
reso molto più facile l’accesso alla vulnerabilità. Ho avuto la
fortuna di crescere in un ambiente molto favorevole, quindi non ho
mai avuto problemi a essere vulnerabile. Si tratta solo di sentirsi
abbastanza sicuri da poterlo fare”.
Harris Dickinson mostra il fisico
in The Warrior – The Iron Claw
7. Si è allenato duramente
per il ruolo. Per interpretare il
wrestler David Von Erich nel
film The Warrior
– The Iron Claw, Dickinson si è sottoposto ad un
allenamento intensivo al fine di guadagnare la massa muscolare
richiesta. Grazie anche alla sua altezza, l’attore ha dunque
guadagnato un fisico scolpito e imponente, che viene ampiamente
mostrato all’interno del film nelle varie scene di combattimento
presenti. Un ruolo dunque fisicamente impegnativo che ha permesso
all’attore di mostrare ulteriormente le sue qualità.
Nicole Kidman e Harris Dickinson in Babygirl
Harris Dickinson è su
Instagram
8.Ha
un profilo sul social network. L’attore è
naturalmente presente sul social network Instagram, con un profilo
seguito attualmente da 625 mila persone. Su tale piattaforma egli
ha ad oggi pubblicato circa un centinaio di post, tutti relativi
alle sue attività come attore o modello. Si possono infatti
ritrovare diverse immagini relative a momenti trascorsi sul set ma
anche foto promozionali dei suoi progetti. Seguendolo si può dunque
rimanere aggiornati sulle sue attività.
Harris Dickinson e la fidanzata
Rose Grey
9. È fidanzato da molti anni
con una musicista. L’attore britannico sta insieme
alla musicista Rose Gray da molto tempo,
ma i due tendono a mantenere un basso profilo, decisi a mantenere
privata la loro relazione. Ad ogni modo, è stato riportato che si
sono conosciuti a scuola e hanno iniziato a frequentarsi proprio
durante il periodo scolastico. Sebbene non facciano troppe
apparizioni pubbliche, considerando quanto tempo sono stati
insieme, di tanto in tanto appaiono l’uno nei post di Instagram
dell’altra.
L’età e l’altezza di Harris
Dickinson
10. Harris Dickinson è nato
il 24 giugno del 1996 a East London, Regno Unito. L’attore
è alto complessivamente 1,88 metri.
Dog Days è una commedia corale diretta da Ken Marino che porta
sul grande schermo una storia leggera, intrecciata e capace di
emozionare attraverso i suoi protagonisti a quattro zampe.
Ambientato a Los Angeles, il film intreccia le vicende di diversi
personaggi, apparentemente molto diversi tra loro, uniti dal filo
conduttore rappresentato dai loro cani. La pellicola rientra in
quella tipologia di film ensemble che, attraverso più storie
parallele, punta a mostrare le connessioni nascoste e gli incontri
casuali che possono cambiare la vita.
Il
genere di appartenenza è quello della
commedia romantica e familiare, arricchita da momenti di dramma
e riflessione. In Dog Days non sono solo i
sentimenti e le relazioni a essere al centro, ma anche il modo in
cui gli animali domestici diventano parte integrante della
quotidianità e catalizzatori di cambiamento. I temi principali
spaziano dall’amore alla perdita, dall’amicizia alla crescita
personale, passando per la ricerca di una nuova prospettiva sulla
vita grazie al legame affettivo con i propri cani.
In
questo senso il film si avvicina a titoli come La verità è che non gli piaci
abbastanza o Capodanno a New York
per la struttura corale, ma anche a opere come Qua la
zampa! o Attraverso i miei
occhiper il ruolo centrale affidato agli animali e
alla loro capacità di incidere sulle vite umane. Dog
Days si pone quindi come un mix di leggerezza e
commozione, capace di unire il linguaggio della commedia romantica
a quello del family drama. Nel resto dell’articolo analizzeremo
come queste premesse si concretizzano nel finale e quale messaggio
il film lascia allo spettatore.
Elizabeth
(Nina Dobrev) è un’affascinante giornalista
single, che deve fare i conti con la chimica che comincia ad
instaurarsi con il suo nuovo co-conduttore ed ex star della NFL
Jimmy Johnston (Tone Bell),
mentre chiede consigli alla terapeuta del suo cane,
Danielle (Tig Notaro).
Tara (Vanessa
Hudgens) è una barista di tendenza che sogna una vita
al di fuori della caffetteria, e ha una cotta per l’eccentrico
veterinario, il Dr. Mike (Michael
Cassidy,) mentre la sua amica Daisy,
(Lauren Lapkus), una disperata dog sitter, è
innamorata di un cliente che non ha ancora incontrato. Nel
frattempo, Garrett (Jon Bass),
proprietario del New Tricks Dog Rescue, si strugge d’amore per
Tara, mentre cerca di mantenere a galla la sua attività lavorativa
in crisi.
Ruth
(Jessica St. Clair) e Greg
(Thomas Lennon), coppia che sta per avere due
gemelli, lasciano con riluttanza il loro dispettoso cane alle cure
del fratello di Ruth, Dax (Adam
Pally), ragazzo irresponsabile e immaturo, che suona in
una band con la sua ex fidanzata Lola
(Jasmine Cephas Jones). Grace
(Eva
Longoria) e Kurt (Rob
Corddry) attendono con ansia l’arrivo della loro figlia
adottiva Amelia (Elizabeth Caro),
il cui destino inavvertitamente si lega con quello di
Walter (Ron Cephas Jones), un
anziano vedovo che ha perso il suo carlino in sovrappeso.
Tyler (Finn
Wolfhard), il ragazzo che consegna le pizze nel
quartiere, fa amicizia con Walter e lo aiuta a cercare il suo amato
animale.
La spiegazione del finale
Nel
terzo atto di Dog Days le diverse linee narrative
si intrecciano in un crescendo di emozioni, tutte legate dalla
presenza dei cani come catalizzatori di cambiamento. Elizabeth,
dopo la morte del cane Brandy di Jimmy, comprende quanto sia
profondo il legame che li unisce e decide di mettere da parte i
dubbi per seguire i propri sentimenti. Tara, intanto, si impegna
per salvare il rifugio di Garrett organizzando un grande evento di
beneficenza che diventa il punto di ritrovo per quasi tutti i
personaggi principali. L’atmosfera, pur leggera, si carica di
significati personali per ciascuno dei protagonisti.
La
festa di raccolta fondi rappresenta il momento culminante in cui le
diverse storie trovano il loro equilibrio. Walter decide di
permettere ad Amelia di tenere con sé il cane che aveva ritrovato,
comprendendo che la bambina ha bisogno di un legame forte per
sentirsi davvero parte della sua nuova famiglia. Allo stesso tempo,
il rifugio di Garrett trova nuova linfa vitale, poiché Walter gli
offre la possibilità di ospitarlo nella sua casa, spezzando così il
cerchio della sua solitudine. Dax, dal canto suo, trova una nuova
responsabilità e una direzione grazie al cane della sorella, che lo
aiuta a maturare.
Il
film si chiude dunque con un mosaico di storie positive, dove
amore, amicizia e famiglia si intrecciano con leggerezza e calore.
La spiegazione di questo finale risiede nella volontà del film di
mostrare come gli animali possano agire come veri e propri
“pontefici” emotivi, capaci di unire persone, curare ferite e
guidare verso nuove consapevolezze. Nessuno dei protagonisti
avrebbe trovato il proprio equilibrio senza l’intervento dei cani,
che diventano simbolo di speranza, fedeltà e cambiamento. Non è un
caso che il rifugio diventi il luogo d’incontro conclusivo:
rappresenta la dimensione comunitaria in cui ogni personaggio trova
un posto e un legame autentico.
Allo stesso tempo, il finale vuole sottolineare l’importanza dei
piccoli gesti e delle scelte personali. Walter, nel lasciare il suo
cane ad Amelia, compie un sacrificio che si trasforma in un dono
d’amore, non solo per la bambina ma anche per se stesso, trovando
così un nuovo senso di appartenenza. Elizabeth e Jimmy, accettando
le difficoltà legate alla loro carriera e ai loro caratteri
opposti, dimostrano che la vulnerabilità può essere una forza. Tara
e Garrett, invece, dimostrano che la dedizione verso ciò che si ama
– sia una persona che una causa – può portare a risultati
inaspettati e gratificanti.
In
definitiva, Dog Days lascia agli spettatori un
messaggio semplice ma potente: la vita è fatta di connessioni e di
affetti, e i cani sono uno strumento straordinario per ricordarci
di aprirci agli altri. Attraverso leggerezza, ironia e momenti di
commozione, il film celebra il valore della comunità e della cura
reciproca, suggerendo che anche dalle situazioni più caotiche e
complesse può nascere armonia se ci si lascia guidare dall’amore e
dalla solidarietà.
Denzel Washington è
uno degli attori più iconici e importanti dagli anni Ottanta ad
oggi. Distintosi per le sue straordinarie capacità recitative, ha
dato vita negli anni ad alcuni dei più iconici personaggi
dell’epoca recente, destreggiandosi con grande naturalezza
attraverso generi diversi. Il suo nome è ancora oggi garanzia di
qualità, data anche la grande attenzione con cui l’attore sceglie i
propri ruoli, con l’obiettivo anche di diffondere attraverso la
propria arte dei messaggi di positività nel mondo.
Ecco dieci cose che forse
non sai su Denzel Washington.
I film di Denzel Washington
1. Ha recitato in celebri
film. La prima apparizione sul grande schermo di
Washington si ha in Il pollo si mangia con le
mani del 1981. Successivamente recita in film
come Storia di un soldato (1984), Grido
di libertà (1987), Dio salvi la
regina (1988) e Glory – Uomini di
gloria (1989), con cui ottiene grande popolarità. Da quel
momento recita in Un fantasma per
amico (1990), Mo’ Better
Blues di Spike
Lee (1990), Verdetto
finale (1991), Malcolm
X (1992), Molto rumore per
nulla (1993), Il
rapporto Pelican (1993), Philadelphia (1993), Il
coraggio della verità (1996), Attacco
al potere (1998), Il
collezionista di ossa (1999), Hurricane – Il
grido dell’innocenza (1999), Training
Day (2001), John
Q (2002), Out
of Time (2003), Man
on Fire – Il fuoco della
vendetta (2004), The Manchurian
Candidate (2004), Inside
Man (2006), Déjà
vu – Corsa contro il tempo (2006), American
Gangster (2007) e Pelham
123 – Ostaggi in metropolitana (2009).
2. È anche
regista. Non solo attore, Washington ha debuttato
alla regia nel 2002 con Antwone Fisher. Il suo
secondo lungometraggio è stato The great debaters – Il
potere della parola del 2007, mentre il suo terzo film si
chiama Barriere (2016).
Il film ha visto la partecipazione di Viola
Davis ed è stato nominato agli Academy Award per
la categoria di Miglior Film. Nel 2021 ha diretto il suo quarto
film, Le
parole che voglio dirti, adattamento di A Journal
for Jordan: A Story of Love and Honor, curato da Dana
Canedy.
3. È anche
produttore. Oltre ad aver prodotto diversi dei suoi
film come attore e i suoi film da regista, Washington ha svolto
tale ruolo anche per i film Ma
Rainey’s Black Bottom (2020), dove recita
l’amica Viola
Davis e The
Piano Lesson (2024), film che segna il debutto alla
regia di suo figlio Malcolm e nel quale
recita anche l’altro suo figlio John
David Washington.
4. Ha accettato perché
affascinato dal personaggio. Per il ruolo
di Macrino in Il
Gladiatore II, Ridley
Scott ha offerto il ruolo a Washington, ma non si
sapeva se l’attore avrebbe accettato, in quanto è noto per il suo
essere piuttosto selettivo nei progetti. Ma dopo aver lavorato con
Scott in American Gangster (2007) e aver letto
la sceneggiatura, fonti vicine al progetto hanno detto che
Washington era entusiasta del complesso ruolo che Scott aveva
concepito per lui. È seguito un incontro con Scott e, dopo che il
regista ha presentato la sua proposta, Washington si è unito al
progetto.
5. È stato criticato per il
suo accento. Mentre la maggior parte dei membri del
cast ha adottato un accento britannico per i propri ruoli,
Washington è stato criticato per aver mantenuto il proprio accento
americano. Egli ha commentato la cosa dicendo: “Quale accento
avrei dovuto avere? E poi che suono ha? Finirai per imitare
qualcuno e ti ritroverai con un pessimo accento africano”. A
contribuire alla decisione di Washington potrebbe essere stato il
fatto che aveva già ricevuto delle critiche per aver usato un
accento londinese in uno dei suoi primi film, Dio salvi la
regina (1988).
Denzel Washington
in Flight, il film sull’aereo
6. Si è preparato a modo suo
al personaggio. Nell’interpretare il pilota
alcolizzato di Flight,
l’attore ha mantenuto fede alla propria volontà di non bere
alcolici, neanche sé richiesto dal personaggio. Nonostante ciò, la
sua interpretazione di un alcolizzato è giudicata come estremamente
realistica, e per aiutarsi Washington acquisì il peso extra tipico
di chi è solito bere molto. L’attore ha poi avuto modo di prendere
anche lezioni di volo, così da risultare più credibile a
riguardo.
Il patrimonio di Denzel
Washington
7. È uno degli attori più
pagati di Hollywood. L’attore ha un patrimonio netto
di 300 milioni di dollari. È stato uno degli attori più pagati di
Hollywood per diversi decenni e lo è ancora oggi, in quanto in un
tipico anno tra recitazione e produzione, Denzel guadagna
facilmente 60-80 milioni di dollari. Per il film Fino
all’ultimo indizio sembra abbia infatti ricevuto un
compenso di 60 milioni.
8. È stato nominato nove
volte al premio e lo ha vinto due volte. Washington è
ad oggi tra le personalità con il maggior numero di candidature al
premio Oscar. Andando con ordine, nel 1988 è stato candidato come
Migliore attore non protagonista per Grido di
libertà, mentre nel 1990 ha vinto il premio in questa stessa
categoria per Glory – Uomini di gloria. È poi stato
candidato come Miglior attore nel 1993 per Malcolm
X e nel 2000 per Hurricane – Il grido
dell’innocenza, prima di vincere il premio nel 2002
per Training Day. Successivamente, è stato candidato
come Miglior attore nel 2013 per Flight,
nel 2017 per Barriere,
nel 2018 per End
of Justice – Nessuno è innocente e nel 2022
per The Tragedy
of Macbeth.
Denzel Washington, sua moglie e i
figli
9. Denzel Washington ha
incontrato sua moglie, Pauletta Washington, nel
1977. L’incontro è avvenuto quando entrambi stavano
interpretando ruoli minori per Wilma, un film
televisivo. I due si sono sposati cinque anni dopo e insieme hanno
avuto quattro figli: John
David Washington (1984) – divenuto attore come il
padre e visto in film come BlackKklansman e Tenet – Katia (1986),
e i gemelli Malcolm – regista
di The
Piano
Lesson – e Olivia (1991),
anche lei attrice.
L’età e l’altezza di Denzel
Washington
10. Denzel Washington è nato
il 28 dicembre del 1954, a Mount Vernon, nello stato di New
York. L’attore è alto complessivamente 1,85
metri.
Alejandro Agresti ha diretto il
romantico film fantasy La casa sul lago del tempo (The Lake
House). La storia, un adattamento del film
sudcoreano “Siworae”, segue la solitaria dottoressa Kate (Sandra
Bullock). Quando i suoi tentativi di salvare una
vittima di un incidente stradale il giorno di San Valentino del
2006 falliscono, Kate racconta agli spettatori di aver ereditato la
casa sul lago che dà il titolo al film, ma che non abita.
Tuttavia, poiché la casa sul lago,
e in particolare la cassetta postale adiacente, rimangono in uno
stato di flusso temporale, Kate stabilisce una comunicazione con il
misterioso Alex (Keanu
Reeves), che sostiene di vivere due anni nel passato.
Quando le linee temporali si intrecciano, la malinconica storia
sfugge al controllo. Se non riuscite a capire bene il finale,
lasciate che vi aiutiamo. SPOILER IN ARRIVO.
La trama di La casa
sul lago del tempo (The Lake House)
Nella sequenza iniziale, Kate si
sveglia nella casa sul lago in autunno. Durante l’inverno, Alex, il
figlio del proprietario originale della casa, arriva lì e legge la
lettera di Kate. Kate non vive nella casa perché non ritiene che un
cottage debba avere una superficie superiore a 6000 piedi quadrati.
Pertanto, cerca di cambiare l’indirizzo con quello della sua
attuale residenza a Chicago. Anche se la lettera non è destinata ad
Alex, lui la legge e scrive una risposta impeccabile. Nel
frattempo, mentre oziava in un parco il giorno di San Valentino,
Kate assiste a un incidente con omissione di soccorso.
Kate chiama i servizi di emergenza
e cerca di salvare il ragazzo, ma lui sembra morire. D’altra parte,
Kate chiede ad Alex di incontrarsi a casa sua, ma la posizione
porta Alex in un cantiere edile. Lui pianta un albero davanti al
cantiere, che è cresciuto parecchio nella linea temporale di Kate.
Con la rivelazione che la cassetta postale funge da macchina del
tempo, la storia d’amore epistolare di Kate con Alex raggiunge un
equilibrio e i due desiderano incontrarsi.
Nel 2004, Alex gestisce un’impresa
di costruzioni seguendo le orme di Simon, suo padre e grande
architetto. Ha una ragazza, Mona. D’altra parte, Kate ha una
relazione altalenante con Morgan. Mentre parte per Madison in
treno, Kate intravede Alex, che corre accanto al treno per
restituirle la sua copia di “Persuasione” di Jane Austen.
Scoraggiata dal fatto di non conoscere ancora il suo ammiratore,
Kate fissa un appuntamento con Alex per il 10 luglio 2006 alle
21:05. Sebbene Alex non la chiami in quel momento, Kate incontra
Alex e Mona alla sua festa di compleanno più tardi. Alex e Kate non
riescono a parlare molto, poiché sentono il peso del futuro. Mentre
cercano di aggrapparsi al presente, il tempo scorre tra loro.
Il finale di La casa
sul lago del tempo (The Lake House): Alex è vivo o
morto?
Quando Kate decide di ristrutturare
l’appartamento loft, porta Morgan alla Visionary Vanguard
Associates, l’azienda della famiglia di Alex. Il fratello di Alex,
Henry Wyler, saluta i due, ma Kate è incuriosita da una foto appesa
alla parete della sala riunioni. L’immagine mostra il progetto di
ristrutturazione della casa sul lago che Alex aveva ideato
all’inizio del film e che aveva mostrato a Kate per ottenere la sua
approvazione. Quando Kate chiede chi sia l’autore della foto, Henry
le rivela che Alex è morto il 14 febbraio 2006. Anche Kate stessa
conosce la verità: Alex è frutto della sua immaginazione.
Come Kate dice ad Alex all’inizio
della storia, lui è morto nell’incidente, mentre lei ha creato una
storia intorno a lui per affrontare il trauma. Tuttavia, questa
interpretazione sarebbe naturale se non fosse per i momenti finali,
in cui Alex sembra essere vivo mentre abbraccia e bacia Kate.
Grazie alla premonizione della morte di Alex, Kate gli proibisce di
attraversare la strada al parco in una lettera che gli scrive.
Voilà, Alex non attraversa la strada e alla fine rimane vivo.
Incontra Kate e abbiamo un lieto fine. Anche se un lieto fine è ciò
a cui miravano gli autori creativi della storia, non hanno risolto
tutti i nodi irrisolti.
Se Kate non parla con Alex prima
dell’incidente del febbraio 2006, come può impedire la morte di
Alex? Pertanto, con ogni probabilità, Alex è morto fin dall’inizio
della storia. A quanto pare, Alex e Kate si incontrano tra il 2004
e il 2006, alla vigilia del compleanno di Kate. Dopo aver sorpreso
Kate a baciare Alex, la relazione seria di Kate con Morgan
attraversa un momento difficile. Poi, Kate scopre che la persona
che muore per strada il 14 febbraio 2006 è la stessa che lo ha
baciato alla festa. Dopo la scoperta, la mente di Kate va in tilt e
lei inizia a vivere in fantasie incomplete del passato.
Kate e Alex finiscono
insieme?
No, Kate e Alex non finiscono
insieme, anche se gli ultimi minuti suggeriscono il contrario.
Mentre Kate cerca disperatamente una risposta nella cassetta della
posta, non trova nulla e scoppia in lacrime. Poco dopo, Alex
attraversa il bosco e gli amanti si abbracciano per un finale da
cartolina. Tuttavia, Alex non può essere vivo in quel momento
perché muore la mattina di San Valentino del 2006. Pertanto, si può
dire che non finiscono insieme. Tuttavia, Alex lascia diversi
oggetti e ricordi nella vita di Kate. Ad esempio, Kate trova la sua
copia smarrita di “Persuasione” di Jane Austen sul pavimento di
legno della casa sul lago.
Inoltre, Kate prende il cane di
Alex, Jack. Fino alla fine, Jack rimane con Alex. In terzo luogo,
Kate visita inconsapevolmente la società immobiliare Visionary
Vanguard Associates, gestita dal fratello di Alex. Soprattutto, una
forza cosmica li lega insieme mentre si baciano la notte del
compleanno di Kate, anche se Mona e Morgan, i loro rispettivi
partner, sono con loro. Tutti i segni indicano che sono destinati a
stare insieme, poiché entrambi svolgono un ruolo cruciale nella
vita dell’altro. Pertanto, l’incontro con Alex alla festa
contribuisce a creare la storia nella mente di Kate. Questo
pensiero potrebbe portarti alla seguente domanda.
Kate sta immaginando/sognando Alex
alla fine?
Kate potrebbe immaginare Alex alla
fine. È almeno più plausibile dell’altra ipotesi, più diretta. Film
come “The Butterfly Effect” e “Eternal Sunshine of the
Spotless Mind” ci dicono che non c’è nulla di
semplice nei film sui viaggi nel tempo, e questo non fa eccezione.
Kate potrebbe sognare nei momenti finali e anche per gran parte
della storia. Verso la fine della storia, Kate cerca di sfuggire
all’illusione quando racconta ad Alex come lo ha immaginato. Forse
ricorderete che dopo aver mangiato con sua madre al Daley Plaza,
Kate ha avuto un brutto incidente.
Era già piuttosto sola e pensava
che non fosse così che avrebbe dovuto finire il giorno di San
Valentino. Pertanto, più che la presenza fisica di Alex, è la sua
fede nel romanticismo a far avanzare la storia. L’idea la porta
alla cassetta della posta, che diventa un punto di riferimento
nelle sue fantasie abituali. A poco a poco, Kate si è persa nella
fantasia dove il tempo si è fermato. Tuttavia, come sottolinea
verso la fine della confessione, Kate ha imparato a vivere la vita
che ha (e a non pensare a ciò che si sta perdendo). Kate cerca di
dimenticare Alex, ma la scoperta della copia di “Persuasione” le
riporta alla mente il ricordo di Alex e la sua mente ricomincia a
vagare. In questo modo, il film rende omaggio al romanzo senza
tempo di Jane Austen.
In che anno finisce il film
La casa sul lago del tempo (The Lake
House)?
Il film finisce probabilmente nel
2008, quando Henry fa sapere a Kate che Alex è morto “due anni fa
oggi”. Oscillando tra passato e futuro, il film riflette
sull’atemporalità del presente. Pertanto, più che confondere il
pubblico nel cercare di capire i meandri della linea temporale, il
film ci incoraggia a rimanere nel presente.
Tuttavia, poiché i protagonisti
vivono in linee temporali diverse (che potrebbero anche indicare i
loro rispettivi stati d’animo: mentre Alex vive nel passato dei
suoi ricordi, Kate vive nel futuro delle sue aspirazioni), il
presente sembra difficile da cogliere. In altre parole, il passato
di Kate è il futuro di Alex, così come è un presente senza tempo
per il pubblico. Curiosamente, alla fine, è Kate che sembra vivere
nel passato, aggrappandosi ai ricordi di Alex.
Only Murders in the
Building 5 torna, più amato che mai. Cinque stagioni
dopo, la serie creata da Steve Martin e John Hoffman
continua a dimostrare di avere un’anima tutta sua, sospesa tra
commedia sofisticata, giallo metanarrativo e celebrazione di un
microcosmo newyorkese che ormai ha conquistato il pubblico. Ma se
c’è una cosa che appare chiara alla visione della quinta stagione,
è che il cuore pulsante non sono più i delitti, bensì l’edificio
stesso, l’Arconia, e la comunità bizzarra e irresistibile che lo
abita.
Vecchia New York
contro Nuova New York
Ogni stagione di
Only Murders in the Building ha legato il mistero di
turno a un contesto preciso: il teatro di Broadway, il mondo del
cinema, la cultura pop. In questa quinta annata, la serie abbandona
i riflettori hollywoodiani e torna alle proprie radici newyorkesi,
mettendo in scena una sfida quasi ideologica: la “vecchia New York”
fatta di doorman, mobster e segreti nascosti dietro le porte
dell’Arconia contro la “nuova New York” dei miliardari tecnologici,
degli hotel di lusso e persino dei portieri robotici.
Il delitto che apre la
stagione è quello di Lester Coluca (Teddy Coluca), storico
doorman dell’Arconia, trovato senza vita nella fontana del palazzo.
La polizia archivia il caso come un incidente, ma il nostro trio
non è convinto. Da lì parte un intreccio che coinvolge la mafia
newyorkese – con il ritorno del nome Caccimelio – e un gruppo di
nuovi sospetti decisamente sopra le righe: Bash Steed (Christoph
Waltz), guru digitale ossessionato dalla longevità;
Camila White (Renée
Zellweger), magnate del design e regina del beige; Jay
Pflug (Logan
Lerman), erede miliardario che finge di essere “uno di
noi”.
Photo Credit_ Disney – Patrick Harbron
Il contrasto tra i vecchi
gangster e i nuovi oligarchi della città è uno dei fili più gustosi
della stagione: da un lato le atmosfere noir di vicoli e lavanderie
a gettone, dall’altro il futuro patinato e inquietante di chi
vorrebbe sostituire i portieri con automi. Non sempre la scrittura
è all’altezza dell’ambizione – alcune conversazioni sembrano
ripetersi a cicli, e l’inserimento del robot doorman sfiora il
grottesco – ma il gioco delle parti costruisce un’atmosfera
vibrante e irresistibilmente “newyorkese”.
Il vero protagonista
di Only Murders in the Building: l’Arconia
Se il mistero può
apparire talvolta un po’ ingarbugliato, l’Arconia continua a essere
il vero centro narrativo. La stagione introduce una rivelazione
sorprendente: nei sotterranei del palazzo è sempre esistita una
bisca clandestina. Un dettaglio che arricchisce ulteriormente il
mito dell’edificio, ormai trasformato in un universo a parte, dove
ogni stagione svela nuovi anfratti, segreti e storie parallele.
Particolarmente riuscito
è il secondo episodio, che si concentra sulla figura di Lester e
ripercorre i suoi anni di servizio come portiere. È uno di quei
momenti in cui la serie smette di correre dietro al colpo di scena
per dedicarsi ai “non protagonisti”, rivelando con delicatezza la
profondità di personaggi che spesso restano sullo sfondo. La
puntata, commovente e intima, ricorda allo spettatore che l’Arconia
non è solo un condominio, ma un microcosmo abitato da individui
pieni di storie invisibili, che meritano di essere raccontate.
Accanto a Lester, fanno
il loro ingresso altre figure legate allo staff dell’edificio, come
Randall (Jermaine Fowler), nuovo doorman che porta
un’energia diversa ma complementare. È proprio questo continuo
arricchimento del cast secondario a rendere l’Arconia un luogo vivo
e pulsante, più che un semplice scenario.
Photo Credit_ Disney – Patrick Harbron
Martin, Short e
Gomez: l’alchimia che resiste
Nonostante l’espansione
del cast, il motore della serie resta l’alchimia tra Steve
Martin, Martin Short e
Selena Gomez. I tre funzionano ancora come un
meccanismo ben oliato: Martin si concede nuove gag fisiche grazie a
una storyline legata a una terapia farmacologica, Short continua a
brillare con il suo Oliver innamorato e teatrale (reso ancora più
delizioso dai siparietti con Loretta/Meryl
Streep), e Gomez affronta nuove insicurezze grazie al
ritorno dell’amica d’infanzia Althea (Beanie Feldstein), ora
popstar affermata.
I momenti migliori della
stagione sono, ancora una volta, quelli in cui li vediamo
discutere, punzecchiarsi e improvvisare davanti a un indizio. Che
il mistero sia geniale o meno, la loro dinamica basta a sostenere
l’attenzione dello spettatore, offrendo una miscela di ironia,
malinconia e complicità che poche altre serie sanno replicare.
Non mancano, tuttavia, i
limiti. La scrittura appare spesso didascalica, con dialoghi che
tendono a spiegare troppo invece di lasciare intuire. Alcune
sottotrame – come quella del robot portiere – rischiano di cadere
nel ridicolo, mentre la presenza di guest star di prestigio, per
quanto divertente, a tratti sembra più un’esibizione di potere che
un reale valore narrativo.
Photo Credit_ Disney – Patrick Harbron
Eppure, anche quando
arranca, Only Murders in the Building conserva un fascino
innegabile. Il tono rimane quello di una “comfort series”:
elegante, divertente, punteggiata da gag brillanti e da momenti di
sincera emozione. La capacità di mescolare giallo e commedia senza
mai prendersi troppo sul serio resta il marchio di fabbrica, ed è
ciò che continua a farci tornare stagione dopo stagione.
Restare o lasciare
l’Arconia?
La quinta stagione non è
forse la più solida o sorprendente, ma conferma che Only Murders
in the Building ha saputo costruire qualcosa di più grande di
un semplice mystery show. L’Arconia, i suoi abitanti, e il
trio centrale restano un universo narrativo di rara coerenza e
affetto.
Certo, la sensazione che
la serie stia “girando a vuoto” è difficile da ignorare, e forse
l’idea di un finale non è poi così lontana. Ma se davvero dovessimo
dire addio a Charles, Oliver e Mabel, lo faremmo con la certezza di
aver assistito a una delle commedie più originali e affascinanti
degli ultimi anni. Per ora, invece, ci godiamo ancora una volta il
lusso di entrare nell’Arconia e di perderci tra i suoi segreti,
consapevoli che, a prescindere dai delitti, è sempre un piacere
tornarci.
Nella commedia romantica del 2013,
Questione di tempo (About Time), Tim scopre che
gli uomini della sua famiglia hanno la capacità di viaggiare nel
tempo e, di conseguenza, decide di usare questo nuovo potere per
trovare una ragazza. All’inizio, Tim punta gli occhi sull’amica di
sua sorella, Charlotte, che sta trascorrendo l’estate a casa sua.
Tuttavia, quando Tim si rende conto che Charlotte non è
interessata a lui, indipendentemente da quando le chiede di uscire,
decide di voltare pagina trasferendosi a Londra e perseguendo
la sua carriera di avvocato. È lì che incontra il vero amore della
sua vita, Mary.
Tim usa il suo potere di viaggiare
nel tempo in vari modi per aiutare i suoi amici e creare l’incontro
perfetto tra lui e Mary. Alla fine, i suoi sforzi hanno successo e
lui e Mary iniziano a frequentarsi. Ben presto, Tim chiede a
Mary di sposarlo e i due aspettano il loro primo figlio.
Tuttavia, mentre Tim e Mary sono felici, la famiglia di Tim inizia
ad avere dei problemi. La sorella di Tim deve affrontare una
relazione violenta e l’alcolismo, mentre suo padre si ammala. Come
in molti film sui viaggi nel tempo, Tim accetta il fatto che non
può rendere perfetta la sua vita con i viaggi nel tempo.
La spiegazione della decisione
di Tim di smettere di usare il viaggio nel tempo
Tim impara ad apprezzare la
vita
Alla fine di Questione di tempo (About
Time), Tim decide di smettere di usare il viaggio nel
tempo, nonostante gli abbia aiutato in passato. Il motivo
principale di questo cambiamento è che Tim si rende conto che non
ha bisogno di tornare indietro nel tempo per apprezzare la vita.
Dopo aver trascorso così tanto tempo cercando di perfezionare la
sua vita e quella delle persone che ama, Tim scopre che la vita
sarà comunque un miscuglio di cose positive e negative, e quindi
dovrebbe cercare di apprezzare ogni momento così come viene, anche
se le cose vanno male. La nuova filosofia di Tim viene mostrata
attraverso una commovente scena finale.
Alla fine di Questione di
tempo (About Time), Tim si alza per prendersi cura dei suoi
tre figli, permettendo a Mary di dormire. Egli spiega al
pubblico che non usa più il viaggio nel tempo perché vive ogni
giorno come se fosse la seconda volta. Poi, gli spettatori lo
vedono preparare la colazione per i suoi figli e accompagnare il
più grande a scuola. Sua figlia continua a tornare indietro per
salutarlo con la mano, e questo momento commovente simboleggia come
le persone possano sfruttare al meglio la vita, anche nei momenti
più banali.
Cosa succede al padre di Tim (e
perché Tim non può rivederlo?)
La grande regola del viaggio
nel tempo spiegata in Questione di tempo (About
Time)
Una delle sorprese più grandi di
Questione di tempo (About Time)è la
rivelazione che il padre di Tim sta morendo di cancro. Sebbene suo
padre abbia usato il viaggio nel tempo il più spesso possibile per
prolungare la sua vita, ora le sue condizioni sono peggiorate al
punto che gli restano solo poche settimane da vivere. Questo
ovviamente sconvolge Tim, ma a differenza del resto della sua
famiglia, Tim ha la possibilità di rivedere suo padre, anche
dopo la sua morte. Tim fa proprio questo il giorno del funerale
di suo padre, allontanandosi per qualche minuto per trascorrere un
po’ di tempo con lui, che sta rileggendo Dickens.
Secondo le regole del viaggio
nel tempo di About Time, i viaggiatori nel tempo non dovrebbero
tornare indietro nel tempo prima della nascita dei propri figli,
perché questo potrebbe cambiare completamente l’identità del
bambino.
Tuttavia, questa benedizione non
può durare per Tim. Ciò che cambia il tempo extra che Tim trascorre
con suo padre è il fatto che Tim e Mary stanno per avere un altro
bambino. Secondo le regole del viaggio nel tempo di Questione
di tempo (About Time), i viaggiatori nel tempo non
dovrebbero tornare indietro nel tempo prima della nascita del
proprio figlio perché ciò potrebbe cambiare completamente
l’identità del bambino. Pertanto, una volta nato il terzo figlio
di Tim, egli non potrà più visitare suo padre senza mettere a
rischio l’identità di suo figlio. Per questo motivo, Tim
trascorre un ultimo pomeriggio della sua infanzia con suo
padre.
Perché Tim deve cambiare più
volte il suo primo incontro con Mary
L’altro punto fondamentale della
trama di About Time è la storia d’amore tra Tim e Mary.
Inizialmente, Tim incontra Mary durante una cena al buio. Tim
ottiene il numero di Mary ed è entusiasta, ma finisce per tornare
indietro nel tempo per aiutare il suo coinquilino a mettere in
scena con successo la sua commedia. Così, Tim perde il numero di
Mary e il tempo trascorso insieme. Successivamente, Tim
incontra Mary a una mostra di Kate Moss e si rende ridicolo. Peggio
ancora, scopre che Mary ha un nuovo fidanzato. Quindi, Tim torna
indietro un’ultima volta a una festa dove si avvicina per primo a
Mary, dando vita a un primo appuntamento perfetto.
La situazione di Tim con Mary
mostra come lui possa usare le sue capacità per trovare una
ragazza, ma insegna anche a Tim cosa può e non può fare con i suoi
viaggi nel tempo. Come dimostrato dal loro primo appuntamento, Tim
di solito deve scegliere tra un evento o un altro: la recita del
suo coinquilino o l’incontro con Mary. Inoltre, Tim impara che
tornare indietro nel tempo non sempre risolve la situazione, dato
che Mary aveva già incontrato qualcun altro. In questo modo, la
relazione di Tim con Mary stabilisce il resto delle regole del
viaggio nel tempo nel film.
Le regole per la felicità del
padre di Tim spiegate
In Questione di tempo (About
Time), Tim impara quali sono le regole per la felicità
di suo padre. La prima è quella di usare il viaggio nel tempo il
meno possibile, lasciando che la vita segua il suo corso. La
seconda è quella di rivivere ogni giorno almeno una volta, in modo
da imparare ad apprezzare i piccoli momenti felici nella monotonia
della vita. Tim finisce per seguire queste regole, rivivendo una
giornata particolarmente brutta che finisce per diventare migliore
una volta che Tim la vive di nuovo. Tuttavia, come accennato in
precedenza, Tim rinuncia completamente al viaggio nel tempo alla
fine del film per accettare pienamente gli alti e bassi della
vita.
Come Tim regala a Kit Kat un
lieto fine
Sebbene Tim sia il protagonista di
About Time, il film presenta una serie di altri personaggi
meravigliosi, tra cui la sorella di Tim, Kit Kat. Intorno al primo
compleanno del figlio di Tim, diventa chiaro che Kit Kat sta
prendendo una brutta strada, poiché rimane coinvolta in un
incidente stradale dopo aver guidato in stato di ebbrezza. Sebbene
Tim cerchi di impedire che ciò accada facendo in modo che Kit Kat
non incontri mai il suo fidanzato violento, questo cambia
l’identità della figlia di Tim. Pertanto, Tim deve aiutare Kit
Kat nel presente, senza l’aiuto dei suoi viaggi nel tempo.
Fortunatamente, gli sforzi di Tim
hanno successo. Dopo che Tim ha trascorso molto tempo con lei in
ospedale, Kit Kat si rende conto che deve lasciare il suo fidanzato
e smettere di bere. L’unico modo in cui Tim usa il suo viaggio nel
tempo in questa situazione è suggerire a Kit Kat di uscire con il
suo amico, con cui Kit Kat usciva in un’altra linea temporale. Alla
fine, la situazione di Kit Kat insegna a Tim che non può e non deve
risolvere tutto con il viaggio nel tempo.
Cosa significa il
ricongiungimento di Tim con Charlotte
Un ultimo momento importante è
quando Tim si ricongiunge con Charlotte. Dopo alcuni incontri
falliti con lei, Tim viene avvicinato da Charlotte, che sembra
essere molto colpita da lui. I due escono a cena insieme e
Charlotte cerca di convincere Tim a tornare a casa con lei. Tim
alla fine rifiuta e torna a casa da Mary, dove le chiede di
sposarlo. Questo momento è incredibilmente commovente perché mostra
quanto Tim ami Mary. Anche se era a pochi istanti dal realizzare il
suo primo amore, decide di scegliere Mary, perché lei ha sempre
scelto lui.
Di tutti i momenti romantici in
Questione di tempo (About Time), questo è forse uno
dei migliori. La proposta di Tim non è un evento melodrammatico,
ma un momento semplice e dolce tra Tim e Mary. Anche se la
proposta è tutt’altro che affascinante, si adatta perfettamente
alla natura della relazione tra Tim e Mary. Sono aperti e onesti
riguardo al loro amore reciproco, quindi la loro proposta non ha
bisogno di tutti i fronzoli. Questa scena racchiude davvero il
semplice amore tra i personaggi.
Cosa significa davvero il
finale di Questione di tempo (About Time)
Alla fine, Questione di tempo
(About Time)usa il viaggio nel tempo per
raccontare una storia sulla vita e sull’amore. Attraverso l’uso del
viaggio nel tempo, Tim impara ad apprezzare ogni momento della sua
vita e, a sua volta, il pubblico può essere ispirato a fare lo
stesso. About Time insegna agli spettatori che la vita non
sarà mai perfetta e che quindi dovrebbero accettare il male così
come accettano il bene. Inoltre, Questione di tempo (About
Time)offre al pubblico alcuni momenti davvero
toccanti di amore, perdita e crescita. La profondità
inaspettata del film lascerà gli spettatori a riflettere a lungo
dopo la sua conclusione.
About Time mette in mostra una
gamma completa di emozioni, dalla commedia al dramma, all’amore e
al dolore. Sebbene la relazione tra Tim e Mary sia al centro del
film, About Time esplora molto più della loro storia d’amore. Il
film si assume il compito erculeo di far innamorare il pubblico
della propria vita e, per alcuni, ci riesce sicuramente.
Quasi 25 anni fa, il regista
Christopher Nolan, autore di
Oppenheimer, ha fatto il suo ingresso nel
panorama cinematografico grazie a
Memento, un thriller neo-noir ricco di
colpi di scena che ha posto le basi per una delle carriere più
entusiasmanti del cinema moderno e ha regalato una storia di cui si
parla ancora a più di vent’anni dalla sua uscita.
Memento è ancora uno dei
film preferiti dagli appassionati di thriller per la trama
serrata, i personaggi fantastici e le rivelazioni emozionanti, ma
forse è ricordato soprattutto per la sua narrazione non lineare,
presentata sotto forma di due diverse cronologie che si muovono in
direzioni opposte fino a convergere. Questa convergenza, nel finale
del film, ci offre una risoluzione, certo, ma lascia anche alcune
domande chiave senza risposta. Diamo quindi un’occhiata più da
vicino a come si conclude Memento e a cosa offre a noi
spettatori
La fine di Memento
spiegata
Come abbiamo già stabilito,
Memento si svolge in due modi diversi, offrendoci una serie
di scene in bianco e nero che scorrono in ordine cronologico,
nonché scene a colori che scorrono in ordine cronologico
inverso, fino a quando tutte si incontrano nel mezzo. Il
protagonista del film è Leonard (Guy
Pearce), un uomo affetto da amnesia anterograda, il che
significa che non è in grado di formare nuovi ricordi e quindi deve
tenere traccia della sua vita attraverso una serie di appunti,
immagini e, soprattutto, tatuaggi che rappresentano indizi ed
eventi importanti. Leonard ha perso la memoria a causa di un trauma
cranico subito quando sua moglie (Jorja Fox) è stata aggredita e
uccisa nella loro casa. Uno degli uomini responsabili
dell’aggressione è già morto, ma l’altro è ancora latitante e
Leonard ha utilizzato il suo sistema di tatuaggi per dare la caccia
a quell’uomo, cercando vendetta per la sua defunta moglie.
Le sequenze cronologiche in bianco
e nero rivelano tutto questo e indicano la strada verso un
poliziotto di nome Teddy (Joe Pantoliano), che possiede
informazioni che condurranno Leonard all’assassino di sua moglie.
Nel frattempo, le sequenze a colori in ordine cronologico inverso
vedono protagonista una barista di nome Natalie (Carrie-Anne
Moss), che indica a Leonard Teddy stesso come l’assassino di
sua moglie. Nel frattempo Leonard sta cercando qualcuno di nome
“John G” o “James G”, uno dei suoi pochi indizi sull’identità
dell’assassino, e sia Teddy stesso che l’uomo che Teddy manda
Leonard a uccidere, Jimmy, corrispondono in qualche modo a quelle
iniziali.
Nelle sequenze a colori, Leonard
finalmente sincronizza i suoi indizi con le informazioni di Teddy
(con l’aiuto di Natalie) e lo uccide. Nelle sequenze in bianco e
nero, Leonard segue gli indizi di Teddy e uccide Jimmy (Larry
Holden), ma mentre Jimmy sta morendo, offre a Leonard
un’informazione che suggerisce che lui è l’uomo sbagliato (ne
parleremo meglio tra un attimo). Leonard affronta Teddy su questo
punto e Teddy, rendendosi conto che in pochi minuti Leonard
dimenticherà comunque l’informazione, rivela che il vero
assassino della moglie di Leonard è già morto. In realtà, Leonard
ha ucciso quell’uomo un anno fa e da allora Teddy ha sfruttato la
condizione di Leonard a suo vantaggio, trasformando essenzialmente
quell’uomo molto determinato nel suo killer a contratto personale,
creando indizi che portassero Leonard al bersaglio da lui scelto.
In risposta, Leonard lascia un biglietto a se stesso in cui dice
che Teddy non è affidabile, mettendo a punto il suo piano per
uccidere Teddy dopo che Natalie gli ha fornito gli indizi che lo
portano in quella direzione. Alla fine del film, Leonard giura di
continuare la sua ricerca di vendetta e rivela persino di essere
disposto a seguire indizi falsi che lo guidino, se questo significa
che potrà vendicarsi.
Memento e la memoria
inaffidabile
Abbiamo quindi stabilito
cosa è successo così come ci è stato presentato dal film.
Ora è il momento di parlare un po’ del perché tutto è
successo in quel modo. Per farlo, dobbiamo tornare alle
informazioni che Jimmy ha sussurrato a Leonard mentre moriva. Si
trattava di una sola parola, “Sammy”, che ha ricordato a Leonard i
suoi giorni come perito assicurativo prima dell’aggressione che ha
ucciso sua moglie. In passato, Leonard aveva incontrato un uomo di
nome Sammy (Stephen Toblowsky), che sosteneva di soffrire di
amnesia anterograda. Spettava a Leonard determinare la vera
condizione di Sammy ai fini assicurativi, ma Leonard non credeva
necessariamente alla sua malattia. Spettò alla moglie di Sammy
(Harriet Sansom Harris) mettere alla prova il marito, ricordandogli
ripetutamente di somministrarle le iniezioni di insulina. L’idea
era, ovviamente, che se Sammy non avesse sofferto di amnesia
anterograda, avrebbe ricordato di averle già fatto l’iniezione.
Invece, continuava a dimenticarsene e finì per somministrarle una
dose eccessiva, uccidendola.
La storia di Sammy occupa un posto
importante nella memoria di Leonard, inizialmente come fonte di un
certo senso di colpa, un promemoria del fatto che la sua condizione
non è solo reale, ma anche qualcosa di cui deve essere
costantemente consapevole, per non ferire qualcuno che non lo
merita. Naturalmente, alla fine, Leonard apprende dal monologo di
Teddy che ha fatto del male a persone che potevano o meno
meritarselo per un bel po’ di tempo, a causa delle manipolazioni di
Teddy. Ma le rivelazioni non finiscono qui.
Mentre parla con Teddy, Leonard
scopre anche che la storia di Sammy e sua moglie
apparentemente non è vera, ma che in realtà è una storia tratta
dalla propria vita. Leonard, ovviamente, nega tutto questo,
convinto che tutti i suoi ricordi precedenti alla morte della
moglie siano intatti e che quindi saprebbe se sua moglie fosse
diabetica o meno. Dato che ci viene detto che la sua amnesia non
dovrebbe influenzare i suoi ricordi precedenti all’attacco, sembra
che dovremmo credere a Leonard.
Ma dovremmo farlo? Nolan ci mostra
diversi scorci della vita di Leonard che rispecchiano quella di
Sammy, suggerendo che forse Sammy è più un’invenzione per fare i
conti con il proprio trauma, o almeno un’invenzione parziale, che
una persona reale. Se questo è vero, è anche possibile che la
moglie di Leonard non sia morta in un attacco, ma in un incidente
causato da Leonard.
O è successo davvero? È stato
intenzionale da parte di Leonard? È successo davvero in questo
modo? È Natalie la vera burattinaia in questo gioco mortale? Non lo
sappiamo davvero, ma ciò che è importante in tutto questo è la
scelta che Leonard fa alla fine del film. Dopo aver ucciso Jimmy,
decide di dare la caccia a Teddy e prende nota di sé stesso che
Teddy sarà il suo prossimo obiettivo, sigillando di fatto il
destino dell’altro uomo. Mentre si allontana in auto, riflette
sulla sua visione personale della realtà ed esamina la possibilità
che la sua realtà possa in realtà essere una costruzione. Medita su
questo, chiudendo brevemente gli occhi per verificare se il mondo
oggettivo esista ancora anche se lui non lo osserva. Alla fine, è
un pensiero che svanisce nel momento in cui vede un negozio di
tatuaggi e quindi la possibilità di ricordare il suo ultimo indizio
nella sua incessante ricerca di vendetta.
E alla fine, questo è il vero punto
cruciale di Memento. Guardiamo un uomo intrappolato in un
circolo vizioso di violenza e ricerca e ci chiediamo quale sia la
vera causa di tutto questo, se Leonard sia stato spinto a questa
vita o se l’abbia scelta e semplicemente non riesca a ricordare
quando ha fatto quella scelta. È un’idea drammatica che ci
costringe a fare i conti con le nostre possibilità, per quanto
passive possano essere, ed è per questo che il film rimane nella
nostra mente per ore dopo la sua conclusione.
Da quando George
Romero ha sostanzialmente definito il modello con il suo
classico horror del 1968 La notte dei morti viventi, la cultura
popolare ha proposto così tanti zombie che potrebbe sembrare che
ogni aspetto dei cadaveri rianimati sia stato esplorato. Quando
però l’autore Max Brooks ha pubblicato
World War Z nel 2006, ha infuso
nuova vita in un territorio ormai battuto, offrendo una prospettiva
globale a posteriori sul tipo di epidemie apocalittiche solitamente
raccontate attraverso narrazioni dal basso. Il libro, descritto
come una storia orale dei sopravvissuti alla battaglia totale
dell’umanità contro l’annientamento da parte di zombie barcollanti,
è stato un successo di critica e commerciale… il che, ovviamente,
lo ha reso maturo per un adattamento cinematografico.
Entrano in scena Brad
Pitt e la sua società di produzione Plan B
Entertainment. Quando la Paramount ha acquistato i diritti del
libro di Brooks per l’attore di prima grandezza, i fan erano
comprensibilmente entusiasti delle prospettive di World War
Z (la
nostra recensione) sul grande schermo. Quando il film è
finalmente arrivato nelle sale, tuttavia, il prodotto finito aveva
ben poco in comune con il materiale originale, presentandosi come
un thriller d’azione con Pitt protagonista e mostri raccapriccianti
che attaccavano in ondate frenetiche. Questo, dopo un ciclo di
produzione che ha visto riscritture, riprese e un terzo atto
completamente ripensato. Il pubblico lo ha accolto con entusiasmo,
ma coloro che speravano in un adattamento fedele dell’opera di
Brooks sono rimasti a chiedersi come si fosse arrivati a quel
punto. Questo è quindi uno sguardo retrospettivo al finale di
World War Z e a come sia passato da prezioso
materiale originale a sceneggiatura acclamata, a produzione
problematica, a successo al botteghino.
Dopo il successo del suo manuale
del 2003 The Zombie Survival Guide, Max Brooks ha deciso
di portare il suo amore per i morti viventi a un livello superiore.
Utilizzando la versione delle “regole” degli zombie presente nella
sua opera (a sua volta ispirata al canone di Romero, che ha
stabilito elementi come l’andatura lenta degli zombie e la loro
vulnerabilità ai colpi alla testa) e traendo ispirazione dalla
storia orale della Seconda Guerra Mondiale di Studs Terkel, ha
creato un romanzo straziante ambientato nell’era successiva allo
scoppio di un virus che rianima i cadaveri e quasi spazza via la
razza umana. In esso, un membro della Commissione postbellica delle
Nazioni Unite viaggia in varie località del mondo, conducendo
interviste che portano il lettore dai primi focolai di crisi al
collasso della società fino ai momenti più bui, quando l’umanità
trova un modo per reagire.
Nonostante il formato di rapporto
post-azione, il libro è pieno di scene di terrore zombie, commenti
politici avvincenti e idee creative sui modi in cui l’umanità
dovrebbe adattarsi per superare una minaccia alla sua stessa
esistenza. Il pubblico ha risposto con grande entusiasmo e World
War Z è arrivato in cima alla classifica dei bestseller del New
York Times, vendendo alla fine più di un milione di copie. Con un
successo del genere, World War Z era destinato a diventare un
prodotto molto richiesto quando si è trattato dei diritti
cinematografici… ma chi avrebbe accettato la sfida di adattare
quest’opera dalla struttura non convenzionale?
Piani di battaglia
Dopo una guerra di offerte con la
Appian Way di Leonardo DiCaprio, Brad Pitt e Plan B si
sono dati da fare per portare sullo schermo la visione di Max
Brooks. Hanno ingaggiato J. Michael Straczynski, un veterano
creatore di fumetti e mente dietro la serie TV cult Babylon 5, per
scrivere la sceneggiatura. Straczynski si è messo al lavoro per
creare una sceneggiatura che traesse ispirazione da thriller come
The Bourne Identity, mantenendo gran parte dell’enfasi
politica e della portata internazionale del libro.
Straczynski era un nome molto amato
dai fan del genere e il suo lavoro su World War Z ha colpito
proprio quel pubblico. Una versione trapelata della sceneggiatura è
finita nelle mani dei fanatici di cinema di Ain’t It Cool News,
dove è stata definita degna di un Oscar da Drew “Moriarty” McWeeny,
autore del sito. Confrontandola per portata con il thriller
apocalittico Children of Men, candidato all’Oscar, McWeeny ha
offerto una descrizione della sceneggiatura che manteneva la
struttura basata sulle interviste del libro, dipingendo un quadro
di un mondo postbellico in cui le persone “cominciano a chiedersi
se la sopravvivenza sia una vittoria di qualche tipo”.
La sceneggiatura di Straczynski è
finita anche nella Black List del 2007, una classifica annuale
delle sceneggiature preferite dall’industria cinematografica che
non sono ancora state prodotte. Con questo slancio alle spalle e il
regista Marc Forster, veterano della serie di James
Bond e di film drammatici acclamati dalla critica come
Monster’s Ball, a bordo, sembrava che World War Z fosse destinato a
diventare un nuovo tipo di film di zombie: serio e forse anche
degno di un premio.
Cosa poteva andare storto?
I primi segnali di difficoltà
apparvero nel 2009, quando Marc Forster rivelò che la sceneggiatura
sarebbe stata riscritta da Matthew Michael Carnahan, autore di The
Kingdom e State of Play. Nonostante le dichiarazioni ottimistiche
di Max Brooks, che non era stato coinvolto nel processo di
sceneggiatura, si diceva che la riscrittura fosse il risultato di
un conflitto tra Forster e J. Michael Straczynski, con il primo che
preferiva un approccio più orientato all’azione rispetto a quello
presente nella sceneggiatura del secondo.
La sceneggiatura di Carnahan ha
cambiato radicalmente le cose. Invece di svolgersi, come nel libro,
all’indomani della guerra degli zombie, questa nuova versione ci
catapulta, insieme al personaggio di Brad Pitt, Gerry Lane, nel bel
mezzo dell’apocalisse zombie fin dai suoi primi giorni.
L’attenzione era concentrata più sull’azione e sulla lotta per la
sopravvivenza della famiglia Lane che sulle più ampie implicazioni
politiche e sociali di una lotta senza quartiere contro
l’estinzione dell’umanità. Lane avrebbe comunque visitato diversi
luoghi della Terra, dalla Corea del Sud a Israele a Newark, nel New
Jersey, ma invece di intervistare coloro che avevano vissuto il
peggio della situazione, l’avrebbe vissuta in prima persona.
Con questa nuova sceneggiatura in
lavorazione, le riprese principali sono iniziate nel luglio 2011,
ma il cambiamento di focus non sarebbe stato l’ultimo ostacolo che
la produzione avrebbe dovuto affrontare.
Fin dall’inizio, World War Z
sembrava un po’ maledetto. Diversi nomi di alto profilo, tra cui
Ed Harris e Bryan Cranston, erano stati
scritturati, ma poi hanno rinunciato. Il rapporto tra Marc Forster
e Brad Pitt si è deteriorato nel tempo, con il regista, nuovo al
genere d’azione dopo una carriera incentrata sui drammi, che ha
confuso le decisioni su come rappresentare gli zombie sul grande
schermo, optando alla fine per ondate di creature ringhianti
piuttosto che per la forma più tradizionale del libro. Le squadre
antiterrorismo ungheresi hanno fatto irruzione in un magazzino in
cui la produzione conservava 85 pistole destinate ad essere
utilizzate come oggetti di scena durante una parte delle riprese
che avrebbero dovuto svolgersi a Budapest, perché le armi non erano
state autorizzate dal governo nazionale. In sostanza, era un po’ un
casino.
I problemi più grandi, tuttavia,
sono sorti con il terzo atto del film. Le riprese sono iniziate
prima che la sceneggiatura fosse completata e, man mano che
procedevano, i dirigenti dello studio hanno espresso riserve sul
finale ideato da Forster. Ricco di azione e cupo al limite del
tetro, il
finale metteva sicuramente in mostra il budget gonfiato del
film, ma lasciava sia i dirigenti dello studio che il team
creativo con la sensazione che mancasse qualcosa. Il problema è che
questa conclusione è stata raggiunta solo dopo che il finale era
già stato girato e le bozze erano state revisionate.
Paziente zero
Allora, perché tutto questo clamore
sul finale della storia? Beh, il finale del libro è un po’
nebuloso. In esso, l’umanità, dopo aver abbandonato gran parte di
diversi continenti ai morti viventi e essersi ritirata in varie
“zone sicure”, scopre che deve ripensare se stessa. L’industria
viene riorganizzata per facilitare lo sforzo bellico, e le armi e
le tattiche militari vengono completamente riviste per affrontare
specificamente il tipo di minaccia rappresentata da un’orda di
cadaveri zombi e cannibali: addio shock e terrore, benvenuti colpi
alla testa. Il culmine del libro vede vari governi, compreso quello
degli Stati Uniti, lanciare un’offensiva totale per riconquistare
il territorio che era stato precedentemente invaso, reclamando il
mondo per i vivi.
Come spesso accade nella vita,
però, le cose sono un po’ più complicate. La minaccia dei non morti
non scompare mai completamente. Lo zombieismo non viene mai
“curato”. Le ramificazioni geopolitiche di tanti milioni di morti,
dei cambiamenti e dei rimpasti dei governi, sono ancora in fase di
definizione. L’ambiente terrestre è stato devastato dal conflitto
nucleare nei primi giorni del collasso della società e dagli
incendi incontrollati e dilaganti. La vita di coloro che sono
sopravvissuti alla quasi estinzione dell’umanità è più difficile di
prima, con l’unica nota di speranza che noi, come specie, abbiamo
affrontato la nostra stessa distruzione e l’abbiamo respinta.
Non è esattamente materiale da
blockbuster hollywoodiano.
Cosa c’era di così problematico
nell’interpretazione di Carnahan? Ebbene, dopo un’avventura intorno
al mondo nel tentativo di sfuggire alla pandemia zombie, il
personaggio di Pitt finisce su un aereo passeggeri in fuga da un
insediamento israeliano invaso. Diretto a Mosca, il volo precipita
in Russia, dove Pitt e i sopravvissuti vengono radunati e arruolati
in una forza di combattimento contro gli zombie… tranne gli anziani
e gli infermi, che vengono sommariamente giustiziati. La storia fa
poi un salto in avanti e ritrova Lane come membro incallito di una
squadra collaudata in battaglia, incaricata di ripulire i tunnel di
Mosca, utilizzando il “Lobo”, un’arma da mischia descritta nel
libro. In questa parte è inclusa una grande battaglia che si svolge
nella Piazza Rossa di Mosca.
Nel corso di questo conflitto,
Lane, ora un duro e spietato uccisore di zombie, nota che gli
zombie sembrano sensibili al freddo e usa questa tattica per
ottenere il sopravvento nella battaglia. Cerca di trasmettere
questa informazione a sua moglie, ma lei è bloccata nelle
Everglades della Florida e ha anche una relazione con un soldato
interpretato da Matthew Fox, la cui parte è stata ridotta più o
meno a una comparsa nel montaggio finale. Lane decide che deve
ricongiungersi con la sua famiglia, e il film si conclude con lui
che guida una massiccia invasione in stile D-Day sulla costa
dell’Oregon, dando il via a una lotta per riconquistare gli Stati
Uniti che sarebbe stata raccontata in un sequel.
Una nuova speranza
Il finale era imponente e preparava
la storia al lancio di un franchise, ma quasi tutti coloro che
hanno visionato le bozze, dai dirigenti dello studio in giù, hanno
ritenuto che il passaggio dal personaggio comune interpretato da
Pitt nei primi due terzi del film a quello che era a tutti gli
effetti un eroe d’azione in stile anni ’80 nell’ultimo terzo fosse
brusco ed emotivamente insoddisfacente. Inoltre, il fatto che la
sua famiglia fosse divisa e ancora separata al momento dei titoli
di coda ha lasciato gli spettatori indifferenti.
Tali riserve erano così intense,
infatti, che Damon Lindelof, famoso per Lost, è stato chiamato per
ideare dei cambiamenti al terzo atto (Lindelof avrebbe poi
rinunciato a favore di Drew Goddard). Ha offerto alla Paramount due
opzioni: una consisteva in piccole modifiche per aumentare la
tensione emotiva, l’altra cambiava praticamente tutto dopo che Lane
lascia Israele. Sorprendentemente, lo studio ha optato per
l’opzione più drastica e costosa. Questo, insieme alle sette
settimane di riprese aggiuntive durante le quali Forster e Pitt non
si parlavano più, ha fatto lievitare il budget del film fino a un
minimo di 190 milioni di dollari, mettendo in difficoltà la
Paramount e causando un ritardo di sette mesi nella sua uscita.
Oh, e quella parte problematica
delle riprese a Budapest? La maggior parte dei 12 minuti di filmati
che ne sono risultati è stata eliminata completamente. Ops.
Terzo atto della guerra
mondiale
Quindi, dopo tutti questi tira e
molla, dove siamo finiti? Invece di precipitare in Russia, il volo
infestato dagli zombie di Lane in partenza da Israele si dirige
verso una struttura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in
Galles. Mentre sta per atterrare, però, gli zombie minacciano di
invadere tutto. Lane, con una mossa davvero geniale o davvero
stupida, fa esplodere una granata che apre un buco nella fusoliera
e depressurizza la cabina, facendo sì che tutti gli zombie vengano
risucchiati fuori (inserite qui una battuta a vostra scelta su
“It’s Raining Men”) e l’aereo effettui un atterraggio di
fortuna.
Dopo un blackout, Lane, trafitto da
un frammento di proiettile piuttosto grande, si risveglia tra i
rottami e, insieme a Segen, si dirige verso l’avamposto dell’OMS
che era la sua destinazione iniziale. Sopraffatto dalle ferite,
perde conoscenza e più tardi si risveglia sotto le cure di un
medico dell’OMS interpretato da Peter Capaldi (un ruolo che ha
portato molti a pensare che i realizzatori del film stessero
anticipando il prossimo ruolo di Capaldi come il più famoso alieno
viaggiatore nel tempo della BBC). Dopo aver ripreso i sensi, giunge
a una conclusione scioccante: avendo visto l’orda di zombie passare
accanto ai malati e agli anziani, crede che qualunque virus causi
la trasformazione spinga il suo ospite a cercare solo vittime sane
e vitali per facilitarne la diffusione. Potrebbe essere questa la
chiave per la sopravvivenza dell’umanità?
Pathogenius
Non lo sapevate? Una struttura
dell’OMS è proprio il luogo ideale per Lane per testare la sua
teoria secondo cui, infettandosi con un agente patogeno mortale, ma
curabile, è possibile creare una sorta di “mimetizzazione” che
induce gli zombie a ignorare una potenziale vittima. L’unico
problema è che il laboratorio che contiene i tipi di agenti
patogeni di cui ha bisogno si trova nella parte dell’edificio
infestata dagli zombie. Per capire tutto questo e possibilmente
salvare l’umanità, Lane e i suoi compagni devono intraprendere una
sorta di missione segreta, intrufolandosi in un particolare caveau
senza allertare i morti viventi dormienti che vagano per i
corridoi.
Qui vediamo i risultati dello
sforzo di Lindelof e Goddard di ridimensionare l’azione a un
livello più personale. Piuttosto che una battaglia epica,
assistiamo a un teso gioco al gatto e al topo mentre Lane e
compagni si avvicinano in punta di piedi al caveau in questione.
Anche se alla fine vengono separati, Lane riesce ad arrivare dove
deve andare. Una volta lì, però, rimane intrappolato da uno zombie
che blocca l’uscita… il che è lo stimolo perfetto per condurre il
tipo di esperimento che funziona solo nei film. Dopo essersi
iniettato un agente patogeno sconosciuto, apre la porta, solo per
scoprire di essere ignorato da tutti gli zombie che incontra sulla
sua strada verso la libertà.
La guerra è iniziata
Dopo questo climax, passiamo a un
epilogo che si ricollega in qualche modo alla più ampia portata
geopolitica del libro. Con la teoria di Lane dimostrata corretta,
assistiamo alla distribuzione di un “vaccino” iniettabile, ricavato
da un ceppo di meningite, alle persone di tutto il mondo, mentre
l’umanità inizia a reagire. Vediamo scene di varie battaglie,
comprese alcune riprese della lotta a Mosca dal finale del
montaggio originale. Gli zombie vengono bruciati, vengono
effettuate evacuazioni e si diffonde una nota di speranza su scala
globale.
Fedele allo scopo della
rielaborazione, tuttavia, l’attenzione principale rimane personale,
poiché Lane e la sua famiglia si ricongiungono felicemente in un
rifugio sicuro in Nuova Scozia. La voce fuori campo di Pitt parla
di una guerra appena iniziata, ma per il suo personaggio sembra che
il viaggio sia terminato nel posto migliore possibile, di nuovo
insieme alla moglie e alle figlie e al riparo dal pericolo.
Conseguenze
Parafrasando i Grateful Dead, che
viaggio lungo e strano è stato per World War Z, da libro cupo ad
adattamento fedele, alla guerra totale nelle strade della Russia,
fino al ricongiungimento di una famiglia e al ribaltamento della
situazione. Con tutte queste complicazioni e con così tanti
cambiamenti rispetto al materiale originale, il pubblico avrebbe
reagito bene?
Sì, lo avrebbe fatto: World War Z
ha sbancato il botteghino con un incasso di 202,4 milioni di
dollari negli Stati Uniti e 540 milioni di dollari in tutto il
mondo, cifre piuttosto notevoli per un film con una storia di
produzione così travagliata. Ha anche registrato il weekend di
apertura più redditizio di Pitt, incassando 66,4 milioni di dollari
nei primi tre giorni.
Purtroppo, questo successo non ha
curato il contagio che affliggeva la proprietà, poiché il sequel è
stato abbandonato dopo diversi tentativi, tra cui la firma del
regista David Fincher. A quanto pare, ha influito anche il divieto
cinese sui film di zombie, che ha compromesso il potenziale di
incassi internazionali.
Tuttavia, nonostante le difficoltà,
il successo di World War Z ha dimostrato che il pubblico era
affamato di altri morti viventi. Nel frattempo, tutti i
protagonisti ne sono usciti indenni: Pitt ha raggiunto il culmine
della sua carriera con C’era una volta a… Hollywood del 2019,
Straczynski ha scritto la serie TV cult Sense8, Forster ha diretto
Christopher Robin per la Disney e Damon Lindelof ha realizzato una
delle migliori serie TV del 2019, Watchmen. Niente male per la
troupe dietro un film che, in certi momenti mentre barcollava verso
il finale, sembrava destinato a fallire.
The Immortal Man
arriva su Netflix con un aggiornamento, mentre
Cillian Murphy anticipa cosa ci
aspetta dal film di Peaky Blinders. Diretto da
Tom Harper e scritto dal creatore della serie
Steven Knight, il tanto atteso nuovo capitolo della storia di Tommy
Shelby seguirà il personaggio durante la Seconda guerra
mondiale.
Oltre a Murphy, il film in uscita
vede la partecipazione di una serie di attori nuovi e di ritorno,
tra cui Rebecca Ferguson, Barry Keoghan, Stephen Graham, Tim Roth, Ned
Dennehy e Packy Lee, tra gli altri. Precedentemente
prevista per la fine del 2025, la data di uscita di The Immortal
Man non è ancora stata annunciata ufficialmente.
Sebbene la data di uscita specifica
rimanga sconosciuta, The Observer rivela ora che The Immortal Man
arriverà su Netflix nel corso del prossimo anno. Murphy, che ha
terminato le riprese del film lo scorso dicembre, ha dichiarato
alla testata giornalistica di non aver ancora elaborato
completamente il ritorno di Shelby. In realtà, ha appena capito
quanto sia stato importante questo personaggio nella sua vita:
“Ho capito che
ho interpretato questo personaggio per un quarto della mia vita, il
che è piuttosto folle”.
Murphy spiega anche perché ha
deciso di tornare dopo aver espresso in precedenza il suo
apprezzamento per il finale della serie TV, anticipando che il
film rappresenta la vera conclusione del viaggio del suo
personaggio:
“Perché
abbiamo ricevuto una sceneggiatura davvero ottima e mi sento in
dovere nei confronti dei fan perché, in molti modi, sono stati loro
a rendere la serie il successo che è”, afferma. “È un degno
coronamento delle 36 ore di televisione”.
Cosa significa questo per
The Immortal Man
Non è chiaro il motivo per cui The
Immortal Man stia impiegando così tanto tempo per uscire, dato che
le riprese sono terminate più di un anno fa, ma questo non è
necessariamente motivo di preoccupazione. I tempi di produzione
dei film Netflix, dalle riprese all’uscita, possono essere
piuttosto lunghi. Frankenstein di Guillermo del Toro, ad esempio,
ha terminato le riprese nell’ottobre 2024 e uscirà questo
novembre.
Considerando che la produzione è
terminata nel dicembre 2024, è probabile che il seguito della
Peaky Blinders – stagione 6 arriverà nella prima metà
dell’anno. A questo punto, un annuncio ufficiale potrebbe non
essere troppo lontano, con un trailer che probabilmente
arriverà prima della fine dell’anno.
Per quanto riguarda i commenti di
Murphy, l’attore sembra confermare che The Immortal Man sarà la
conclusione della storia di Tommy Shelby. Il pubblico, quindi,
forse non dovrebbe sperare in un sequel. È sempre possibile,
tuttavia, che Knight trovi un’altra storia degna di essere
raccontata per il personaggio, e una buona sceneggiatura ha già
riportato Murphy sul set in passato.
Se The Immortal Man sarà la fine
per Tommy, il mondo della serie poliziesca è destinato a
continuare. Netflix ha rivelato che sono in fase di sviluppo
due spin-off di Peaky Blinders, uno ambientato a Boston e uno che
funge da prequel per Polly.
Il creatore di Omicidio
a Easttown (Mare of Easttown), Brand Ingelsby, ha
rivelato che gli piacerebbe poter realizzare un crossover con la
sua nuova serie poliziesca. Omicidio a Easttown (Mare of
Easttown) vede Kate Winslet nei panni di una detective
tormentata che cerca di risolvere l’omicidio di una madre
adolescente. La miniserie è andata in onda su HBO nel 2021,
ottenendo il plauso della critica e valendo a Winslet un Emmy per
la sua interpretazione.
L’ultima serie di Ingelsby è il
crime drama Task, con Mark Ruffalo, che vede un agente dell’FBI
incaricato di indagare su una serie di violente rapine.
Task vede Ingelsby al massimo della forma e le ottime
interpretazioni e la trama avvincente hanno portato a paragoni con
Omicidio a Easttown (Mare of Easttown) , spingendo
Ingelsby a lanciare un’idea intrigante.
Secondo THR, Ingelsby ha affermato che gli piacerebbe vedere un
crossover tra Task e Omicidio a Easttown (Mare of
Easttown) , dichiarando che ci saranno altre storie sulle
persone della zona e che entrambe le serie sono ambientate nello
stesso mondo, ma ha anche ammesso di non avere piani concreti per
un crossover. Ecco i commenti di Ingelsby:
“Penso che ci siano ancora molte
storie da raccontare sulle persone della contea di Delaware.
Esistono nello stesso mondo, quindi non mi sorprenderebbe affatto
se Mare (interpretata da Kate Winslet) entrasse in un Wawa dove si trova
Tom (interpretato da Ruffalo). Non ho in mente una storia che sia
un crossover, ma mi piace l’idea che i loro mondi si
incrocino”.
Cosa significa questo per un
possibile crossover tra Task e Omicidio a Easttown (Mare of
Easttown)
I commenti di Ingelsby sono
sicuramente intriganti, poiché ammette apertamente che gli
piacerebbe vedere un crossover e pensa che far scontrare i mondi di
Mare e Tom sarebbe un’idea interessante. Tuttavia, il fatto che
affermi di non avere in mente una storia suggerisce che questa
potrebbe essere un’idea che gli è venuta solo dopo l’uscita di
Task.
Nulla impedisce a Ingelsby di
ideare una trama che intersechi entrambe le serie e gettare le basi
per un potenziale crossover futuro, dato che è il creatore di
entrambe. Tuttavia, il fatto che ciascuna sia stata concepita come
una miniserie e che non sia stato rinnovato Omicidio a Easttown
(Mare of Easttown), significa che potrebbe non esserci il
desiderio di vedere il ritorno di nessuna delle due serie.
In occasione di Venezia 82,
Roberto Andò ha ritirato lo Special Award Premio
Film Impresa per il documentario Ferdinando Scianna – Il
fotografo dell’ombra. Ecco le parole del regista, insieme allo
stesso Scianna, a Giampaolo Letta, presidente di Premio Film
Impresa, e a Mario Sesti, direttore artistico del premio.
Ulteriori dettagli sullo
Special Award Premio Film Impresa
Il film documentario Ferdinando
Scianna – Il fotografo dell’ombra di Roberto
Andò, si aggiudica lo Special Award Premio Film
Impresa promosso da Unindustria, premio
collaterale dell’82. Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica della Biennale di Venezia.
Il riconoscimento è stato attribuito
per “il patrimonio di immagini e la ricchezza del dialogo con i
quali un autore del cinema contemporaneo, Roberto Andò, racconta
vita, idee e talento di uno dei più importanti autori viventi di
fotografia, Ferdinando Scianna. Dopo aver rivelato con la
fotografia il cuore profondo della Sicilia, aver lavorato insieme a
Cartier Bresson nella più famosa agenzia del mondo (la Magnum) e
come fotoreporter per L’Europeo, Scianna ha profondamente innovato
la foto della moda e reso memorabile il racconto di un brand e
della sua bellezza, dotando una specifica impresa di un’aura
creativa unica e inconfondibile: dimostrazione che un occhio capace
di scovare nel mondo immagini esemplari e rivelatrici, sa
raccontare anche il mondo immaginario che nutre la passione degli
imprenditori”.
Prodotto da Bibi
Film con Rai Cultura, il documentario
(presentato Fuori concorso alla Mostra), che sarà distribuito in
sala da Fandango, accompagna lo spettatore lungo la carriera del
fotografo siciliano: dalle prime immagini delle feste popolari in
Sicilia, alle campagne di moda che hanno cambiato l’immaginario
collettivo, fino alle collaborazioni con figure centrali della
cultura come Leonardo Sciascia e
Cartier-Bresson.
“Con questo premio vogliamo
sottolineare come il lavoro di Scianna dimostri che lo sguardo di
un artista possa diventare anche racconto d’impresa, trasformando
la creatività in memoria collettiva”, ha dichiarato
Giampaolo Letta, presidente di Premio Film
Impresa.
“Il film di Andò riesce a
restituire la forza narrativa della fotografia di Scianna e il suo
ruolo unico nella cultura visiva contemporanea”, ha aggiunto
Mario Sesti, direttore artistico.
Il recente teaser della terza
stagione di House of the Dragonpreannuncia una grande novità per il franchise. La
produzione della
terza stagione di
House of the Dragon è in pieno svolgimento: iniziata ad
aprile, dovrebbe concludersi ad ottobre. Nel frattempo, i membri
del cast hanno avuto modo di condividere alcune anticipazioni su
ciò che viene girato.
Sappiamo dal
finale della seconda stagione di
House of the Dragon che ci saranno delle battaglie, ma è
ancora più emozionante sentire gli attori parlare del processo di
ripresa. Ogni foto e descrizione del dietro le quinte fa pensare
che la terza stagione di House of the Dragon sarà una delle
stagioni televisive più epiche e cinematografiche di tutti i
tempi.
L’attrice Olivia Cooke, che
interpreta Alicent Hightower, ha descritto l’inizio della terza
stagione di HOTD come “feroce”.
Parlando della terza stagione di
House of the Dragon, Olivia Cooke ha rivelato a Collider che “i primi due episodi avrebbero dovuto
essere il finale della scorsa stagione” e che l’energia
culminante si protrae anche in questa. La seconda stagione di
House of the Dragon è stata abbreviata per motivi di budget,
con la rimozione degli ultimi due episodi dedicati alle battaglie
dalla sceneggiatura.
I commenti di Cooke confermano che
la stagione 3 “inizierà con il botto” e porterà un’energia
“più feroce che mai”. Considerando il montaggio alla fine
della stagione 2, il pubblico può aspettarsi la prima battaglia
navale della serie, la Battaglia del Gullet, e il ritorno di
Rhaenyra a King’s Landing, entrambi ricchi di colpi di scena.
Gli episodi iniziali della terza
stagione di House of the Dragon sembrano essere imperdibili,
offrendo conflitti della portata di “Il drago rosso e l’oro” e
“Blackwater” e, si spera, alcune delle migliori battaglie della
serie. Dato che la seconda stagione ha tagliato questi momenti,
questi episodi dovranno essere eccezionali.
Il franchise di Game of Thrones
non ha mai aperto una stagione con una battaglia
In particolare, questa è la prima
volta che una stagione del franchise di Game of Thrones si apre con una battaglia
su larga scala. In genere, le sequenze di battaglia venivano
lasciate per i penultimi episodi, come “La battaglia dei bastardi”
e “Gli osservatori sul muro”. Questo sarà un drastico cambiamento
di tono per l’inizio della nuova stagione, che fisserà
immediatamente lo standard.
La parte migliore di tutto questo è
che la terza stagione di House of the Dragon probabilmente
avrà battaglie anche alla fine della stagione. A questo punto, con
solo due stagioni rimaste per arrivare alla fine della Danza dei
Draghi, è necessario accelerare la narrazione, che include diverse
battaglie cruciali.
Le foto dal dietro le quinte della
terza stagione di House of the Dragon indicano che la
stagione potrebbe arrivare fino alla prima battaglia di Tumbleton
e, se ci sarà un quarto conflitto importante, immagino che sarà il
Butcher’s Ball.
Con Past
Lives, Celine Song aveva conquistato
critica e pubblico con un’opera intima e poetica, capace di dare
voce a sentimenti universali attraverso una regia delicata e una
scrittura calibrata. Il suo secondo
film, Material Love, si presenta invece
come una commedia romantica ambientata a New York, dove le
relazioni vengono osservate con un occhio più disincantato e,
almeno nelle intenzioni, realistico. Il contesto è quello delle
agenzie matrimoniali d’élite, luoghi in cui l’amore non è tanto
questione di destino quanto di “asset management” e compatibilità
economiche. L’idea di fondo è intrigante: raccontare l’incontro tra
amore e denaro nell’era della dating economy, mostrando come anche
i sentimenti finiscano per piegarsi a logiche di mercato. Eppure,
quello che poteva essere un film corrosivo e rivelatore si traduce
in una commedia elegante ma sorprendentemente piatta.
Celine Song sceglie un
tono sobrio, quasi castigato, che si allontana dagli eccessi
zuccherosi delle rom-com classiche ma senza sostituirli con un vero
conflitto o con una tensione emotiva palpabile. La protagonista
Lucy, interpretata da Dakota Johnson, è una matchmaker brillante ma
sentimentalmente disillusa, contesa fra due uomini opposti: l’ex
fidanzato squattrinato (Chris
Evans) e un ricco broker di private equity
(Pedro
Pascal). Un triangolo che sulla carta promette
scintille, ma che sullo schermo resta intrappolato in dinamiche
prevedibili, con personaggi più definiti dall’aspetto esteriore che
da una vera complessità interiore.
Il problema principale
del film è che sembra temere il rischio narrativo. Song costruisce
una cornice elegante e patinata – New York fotografata con gusto,
costumi impeccabili, attici con vista mozzafiato – ma all’interno
di questa cornice la storia si muove in linea retta, senza
deviazioni né sorprese. Le situazioni romantiche, i dialoghi
taglienti sulla mercificazione dell’amore, persino i momenti di
confessione personale finiscono per seguire schemi troppo
prevedibili. È come se ogni scena fosse calibrata per piacere
senza mai turbare, per evocare riflessioni di superficie.
Anche la regia, dopo la
delicatezza e il senso del tempo sospeso di Past Lives, qui
appare meno incisiva: Song osserva i suoi personaggi con un certo
distacco, quasi limitandosi a registrarne i movimenti senza
accompagnarli con un punto di vista forte. Ne risulta un film che
sembra costantemente in bilico tra la satira sociale e la commedia
romantica, ma che non riesce a incarnare né l’una né l’altra con
decisione. Si ride poco, ci si commuove ancora meno, e alla fine
resta soprattutto la sensazione di aver assistito a un esercizio di
stile più che a un racconto vibrante.
Non aiuta la gestione dei
rapporti fra i protagonisti. Johnson gioca bene la carta della
freddezza e della disillusione, ma l’alchimia con Pascal è debole e
quella con Evans non va oltre una prevedibile nostalgia. I due
contendenti, entrambi belli e monodimensionali, sembrano incarnare
più dei cliché che delle persone reali: il ricco sicuro di sé e il
bohémien dal cuore d’oro. Senza un conflitto autentico o un rischio
emotivo concreto, la scelta finale di Lucy risulta inevitabile e
poco appassionante, privando lo spettatore di quel brivido di
incertezza che dovrebbe essere l’anima stessa di una rom-com.
A salvare Material
Love dal fallimento totale è soprattutto la sua confezione. La
cura estetica è innegabile: i costumi di Katina Danabassis vestono
i personaggi come fossero su una passerella, la fotografia cattura
una New York scintillante evitando le classiche immagini da
cartolina, e alcune battute riescono davvero a cogliere le crudeltà
implicite del mercato sentimentale contemporaneo. C’è qualcosa di
pungente nell’idea di ridurre il corteggiamento a un business plan,
o nel mostrare come l’altezza e il conto in banca diventino criteri
di valutazione più determinanti dell’affinità emotiva. Sono
intuizioni che, se sviluppate con più coraggio, avrebbero potuto
rendere il film un’analisi brillante del nostro tempo.
Ma Celine Song non
affonda mai il colpo. Al posto della critica feroce resta una
commedia di buone maniere, sempre gradevole ma raramente
memorabile. Material Love sembra ossessionato dalla bellezza
dei suoi protagonisti e dal lusso che li circonda, come se temesse
che uno sguardo più sporco o più sincero potesse incrinarne il
fascino. Il risultato è un film elegante ma vuoto.
Song dimostra ancora una
volta di avere occhio per l’immagine e talento nel disegnare
personaggi femminili forti e indipendenti, ma qui le manca il
coraggio narrativo che aveva reso Past Lives così speciale.
Material Love è un’opera di transizione: un
film bello da vedere, a tratti stimolante da ascoltare, ma troppo
attento alla superficie per diventare davvero indimenticabile.
Pomeriggi di
Solitudine è stato presentato in anteprima al
Festival del Cinema di San Sebastián 2024 dove si
è aggiudicato il premio più ambito cioè la Conchiglia
d’Oro, superando importanti film in concorso. Questo
documentario di
Albert Serra è sconvolgente e mostra tutta la brutalità della
corrida, rivelando i suoi rituali molto cruenti e crudeli. Composto
principalmente da una serie di corride in cui si esibisce il
matador peruviano Andrés Roca Rey, la visone di
questo film è estremamente impegnativa per chiunque abbia un minimo
di simpatia per i diritti degli animali.
Cosa racconta Pomeriggi di
Solitudine
Per chi cerchi una dichiarazione etica sulla corrida o una
spiegazione del perché viene ancora praticata non troverà risposte
in questo docufilm. Albert Serra,lodato per il suo thriller del 2022Pacifiction– Un mondo
sommerso,nonè particolarmente interessato
alla vita dei tori, che muoiono tutti in modo incontrollato e
mostrati in preda alle convulsioni. Perché Pomeriggi di
Solitudine, in originale Tardes de Soledad, non
ci dice nulla sul declino della popolarità delle corride, né
include alcun commento esplicito sulla lotta di questa usanza
antica che ancora sopravvive in un mondo sempre più sensibile alla
crudeltà sugli animali. La corrida è ormai ritenuta da molti, non
solo dagli animalisti, solo una forma di tortura, spargimento di
sangue e sofferenza dell’animale, del resto molte espressioni
culturali del passato oggi appaiono inaccettabili, soprattutto se
creano sofferenza. Il regista catalano di questo aspetto se ne lava
letteralmente le mani e si concentra sulla spettacolarità dello
show mortale.
Questo è un film caratterizzato da una visione così intensa,
dove raramente vediamo la folla che assiste agli eventi del torero
protagonista Andrés Roca Rey, infatti il pubblico
dell’arena è ridotto al sottofondo sulla colonna sonora, le loro
voci lo acclamano e lo scherniscono come un eroe in guerra ma con
se stesso. Il matador è un tizio vestito di
paillettes o con eccentrici ornamenti, che deride e insulta un
animale ricoperto del suo stesso sangue; è la nuda realtà di una
danza macabra tra uomo e bestia, con tutto il pericolo,
l’eccitazione, la crudeltà e l’imbarazzo che questo scontro
comporta. Il semplice fatto di guardarlo nel 2025 è sufficiente a
trasmettere tutto ciò che c’è da sapere. La forma ostinatamente
ripetitiva del film, permette allo spettatore di perdere di vista
la propria prospettiva ma invitandolo allo stesso tempo a trarre le
proprie conclusioni, una visone che si rivela più coinvolgente del
didascalico che un documentario tradizionale potrebbe portare sullo
stesso argomento.
La morte spettacolare
secondo Serra
Albert Serra offre
un film di due ore, nudo e crudo con al centro, Andrés Roca Rey che
in qualche modo è il simbolo di questa tradizione chiamata
nell’antica Grecia tauromachia. La telecamera segue il
matador attraverso diverse corride. Lo vediamo prima, mentre si
veste, un vero rituale, così femminile che ricorda tanto il
passato, quando le donne dell’alta società non si vestivano da
sole, anche perché stringersi il corsetto con chiusura da dietro da
sole era impossibile. Ovviamente si intrecciano nella preparazione
anche gesti religiosi, come il segno della croce tre volte e i baci
alla Madonna per passare alle conversazioni dei suoi collaboratori
molto virili e con linguaggi che elogiano gli attributi maschili
del giovane torero. Più avanti lo vediamo nel momento
dell’esibizione, del sudore, dei colpi non rimarginati e delle
incornate e delle ferite mai rimarginate. Ovviamente non può
mancare neanche la paura, quella di non riuscire a sopravvivere e
soprattutto, lo vediamo in quel momento, mentre si alza nell’arena,
sporco e avvolto nel sangue ma vincitore.
Per concludere Pomeriggi di
Solitudine, non vuole raccontare la storia di un torero ma
la morte e il regista catalano riesce a rappresentarlo attraverso
un docufilm che con la chiave della corrida, da sempre associata
alla spettacolarità della morte, ne rappresenta l’essenza.
Only Murders in the
Building ha seguito Charles
(Steve Martin), Mabel (Selena
Gomez) e Oliver (Martin
Short) mentre questo improbabile gruppo risolveva quattro
diversi casi nell’Arconia, ma non è ancora finita. Di recente, la
questione è diventata personale per Charles quando lui e i suoi
partner del podcast hanno scoperto l’assassino della sua amica di
lunga data e controfigura, Sazz Pataki
(Jane Lynch). L’indagine ha introdotto un nuovo
gruppo di residenti, ha portato alla luce un altro decesso
all’interno dell’Arconia e ha costretto ogni membro del team a
crescere, il tutto mentre il loro podcast viene adattato in un
film.
La quarta stagione (leggi
qui la nostra recensione), emozionante e ricca di colpi di
scena, si conclude con ancora più drammaticità quando viene
ritrovato un altro cadavere, ma il team è già al lavoro sul caso,
promettendo ancora una volta una storia drammatica. Si spera però
che abbiano imparato qualcosa in più dalla loro esperienza nella
quarta stagione. In attesa di vedere la quinta stagione in uscita
dal 9 settembre su Disney+, ecco allora un recap
di ciò che avviene nella quarta!
La quarta stagione di Only
Murders in the Building esamina la morte improvvisa
di Sazz
Con il corpo di Sazz scomparso e
poche prove rimaste, Charles impiega del tempo a rendersi conto che
la sua amica è stata uccisa. All’inizio è semplicemente preoccupato
per il suo silenzio, ma quando scopre che non si presenta al
lavoro, le preoccupazioni di Charles aumentano. Mentre incontrano
Bev Melon (Molly Shannon) e il
team, nella speranza di ottenere i diritti sulla loro vita per il
film, Charles, Oliver e Mabel visitano l’appartamento di Sazz a
Hollywood. Scoprono che Sazz stava conducendo un’indagine per conto
proprio, incentrata su Charles.
Tuttavia, quando
Lester (Teddy Coluca) chiama per
sostituire la finestra di Charles, il trio capisce che c’è qualcosa
di più e torna a casa, dove trova le sue protesi articolari
nell’inceneritore dell’Arconia, dando il via alle indagini. In
lutto per la sua amica, Charles inizia a parlare da solo,
preoccupando Oliver e Mabel, che sospettano che l’assassino mirasse
a Charles piuttosto che alla sua controfigura. Insistono affinché
rimanga in casa mentre indagano sulla provenienza del proiettile
che ha attraversato la finestra. Tuttavia, Charles non è l’unico a
preoccuparsi per Sazz, che aveva una relazione con l’ex fidanzata
omicida di Charles, Jan (Amy
Ryan).
Jan evade dal carcere, temendo che
qualcosa non vada, ed entra nell’appartamento di Charles attraverso
i tunnel dell’Arconia. Credendo che Charles sia il suo obiettivo,
le autorità irrompono nell’appartamento e Charles denuncia la morte
di Sazz. A causa dei precedenti di Jan nell’uccidere i suoi ex
amanti, l’FBI prende in mano il caso, lasciando che la
detective Williams (Da’Vine Joy
Randolph) aiuti segretamente il trio nelle loro
indagini.
da DISNEY ITALIA
La quarta stagione introduce i
Westies
Ritenendo che lo sparo provenisse
dall’altro lato dell’edificio, Mabel e Oliver indagano sui Westies,
che includono Vince Fish (Richard
Kind), Alfonzo (Desmin
Borges), Inez (Daphne
Rubin-Vega), Ana (Lilian
Rebelo) e Rudy Thurber (Kumail
Nanjiani). Questa zona dell’Arconia è piena di personaggi
eccentrici che si incontrano regolarmente per giocare a un gioco
chiamato “Oh Hell”, ma uno di loro manca: Dudenoff
(Griffin Dunne), il proprietario dell’appartamento
da cui ha sparato l’assassino. Nell’appartamento, Mabel e Oliver
trovano un’impronta di stivale e un frammento di quello che sembra
essere un orpello, che li conduce a Rudy, la cui casa è sempre
addobbata per Natale.
Con l’aiuto di Eva Longoria, che sta studiando Mabel per
interpretarla nel film, Rudy viene scagionato, ma con gli appunti
di Sazz che includono il nome di Dudenoff, i sospetti rimangono.
Dovrebbe essere in Portogallo, quindi Mabel decide di occupare
l’appartamento e costringerlo a tornare a casa. I Westies sono
sconvolti da questa idea e alla fine rivelano che Dudenoff ha
subaffittato loro illegalmente appartamenti a basso costo.
Tuttavia, la cospirazione è più profonda. Grazie a una soffiata di
Williams e all’aiuto di Howard (Michael
Cyril Creighton), il trio scopre che i Westies stanno
incassando gli assegni della previdenza sociale di Dudenoff.
Le loro indagini rivelano che
Dudenoff è morto, costringendo i Westies a confessare la verità.
Dudenoff si è suicidato, ma ha chiesto loro di nascondere la sua
morte e di portare avanti il suo piano, mentendo nel contempo a un
altro membro del loro gruppo, Helga
(Alexandra Templer). Quando Charles, Mabel e
Oliver iniziano a indagare sugli omicidi, i Westies si spaventano e
inviano messaggi minacciosi che il trio non riesce a decifrare;
tuttavia, Sazz sta indagando su di loro. Mabel accetta di mantenere
il loro segreto, consolidando l’amicizia con i Westies, ma perdendo
la pista.
da DISNEY ITALIA
Only Murders in the
Building – Stagione 4 collega la morte di Sazz al
film
I Westies non sono l’unico gruppo
sospettato da Charles, Oliver e Mabel. Seguono gli indizi e trovano
un bar per stuntman chiamato Cuncussions, dove Sazz ha trascorso il
giorno prima del suo omicidio, ma i clienti abituali non vogliono
che facciano domande. Questo permette alla serie di reintrodurre
Paul Rudd, ma non nei panni della vittima
della terza stagione Ben Glinroy. Questa volta,
Rudd interpreta Glen, la controfigura di Ben, che
è senza lavoro a causa della morte di Ben. Il loro viaggio dà i
suoi frutti quando Charles ricorda il sogno di Sazz.
La donna sognava infatti di aprire
un parco con trampolini per addestrare gli stuntman, inviando loro
la proprietà che voleva utilizzare. Era lì che Bev Melon sta
indagando dopo che Sazz le ha lasciato un messaggio vocale
inquietante che suggerisce che l’assassino sta lavorando al film.
Charles, Mabel e Oliver iniziano a indagare sul set
cinematografico, considerando prima lo sceneggiatore,
Marshall P. Pope (Jin Ha), dopo
che questi ha cercato di scappare da loro, anche se sostiene che
fosse per paura delle note sul suo copione.
Marshall fa notare che per andare
dall’appartamento di Dudenoff e portare il corpo all’inceneritore
in tempo, sarebbe stato necessario agire con una rapidità
impossibile. Il che sposta l’indagine su una coppia, le
sorelle Brothers (Catherine Cohen
e Siena Werber). Le due stanno dirigendo il film e
hanno scarpe che corrispondono alle impronte nell’appartamento di
Dudenoff. Quando le luci si spengono e Zach Galifianakis (che interpreta Oliver) e
Glen vengono uccisi, il trio sembra essere sulla
strada giusta, ma è convinto che Oliver fosse il bersaglio
designato. Tuttavia, le sorelle Brother vengono scagionate quando
il trio riceve dei messaggi con scritto “Vi sto osservando” mentre
entrambe le sorelle Brother sono nella stanza.
La minaccia di stalking li spinge a
nascondersi dalla sorella di Charles, Doreen
(Melissa McCarthy), ma il loro nascondiglio non è
poi così segreto. Mentre Charles fa ammenda con Doreen per gli
errori commessi durante l’infanzia, Oliver affronta i suoi
sentimenti per Loretta (Meryl
Streep). La loro relazione a distanza ha avuto alcune
complicazioni e un fallimento nella comunicazione ha portato Oliver
a rompere con lei. Con il cuore spezzato, Loretta si reca a New
York per parlargli e non solo fanno pace, ma si fidanzano.
da DISNEY ITALIA
Un colpo di scena lascia Mabel
intrappolata con l’assassino
Sebbene le loro indagini siano in
stallo, Helga fornisce una nuova pista, rivelando che Sazz l’ha
contattata mentre indagava sui Westies e ha ammesso che la sua ex
controfigura nel Progetto Ronkonkoma era pericolosa. Charles,
Oliver e Mabel credono che si tratti di Glen, ma dato che lui è
ricoverato in ospedale in stato di incoscienza, cercano qualcun
altro che possa raccontare la storia: il regista del Progetto
Ronkonkoma, Ron Howard. Dopo aver tentato di
intrufolarsi sul set, Charles esprime le sue insicurezze sul fatto
che Oliver non abbia più bisogno di lui e i due fanno pace.
Incontrano Ron in un ristorante, dove almeno una delle storie
raccontate da Oliver si rivela vera.
Ron Howard spiega loro del Progetto
Ronkonkoma e di uno stuntman di nome Rex Bailey,
la cui carriera è finita dopo che un’acrobazia andata male gli ha
bruciato le sopracciglia. Oliver e Charles riconoscono Rex come
Marshall P. Pope, identificando l’assassino, ma è
troppo tardi. Mabel lascia il gruppo prima di incontrare Ron Howard
perché l’ospedale la chiama quando Glen Stubbons viene ucciso.
Avendo perso un’altra pista, torna a casa dove Marshall la aspetta
fuori dalla porta per lavorare alla sceneggiatura. Lei lo fa
entrare, ma presto capisce tutto quando trova la stessa
sceneggiatura con il nome di Sazz conservata insieme alla birra che
Sazz aveva portato la notte in cui è morta.
Intrappolata con l’assassino, sente
la sua confessione: voleva diventare sceneggiatore, ma la
sceneggiatura di Sazz era migliore della sua. Quando l’ha venduta a
suo nome, Sazz si è arrabbiata e Rex le ha sparato. Nel frattempo,
Charles e Oliver cercano un modo per salvare Mabel, camminando sul
cornicione dell’appartamento accanto e arrampicandosi attraverso la
finestra, sorprendendo Rex. Nonostante Charles abbia preso il
sopravvento con il multiutensile di Eva Longoria, Rex usa la sua
formazione da stuntman per riprendere la pistola e l’intero trio
rimane intrappolato, finché un colpo sparato dall’appartamento di
Charles non li salva. Jan, che si nascondeva nell’Arconia dalla sua
fuga, uccide l’assassino prima di essere riportata in prigione.
La quarta stagione di Only
Murders in the Building prepara un altro omicidio
Sebbene questo concluda le indagini,
la stagione non è finita. Mostra invece il matrimonio di Oliver e
Loretta e la loro decisione di vivere ancora per un po’ a distanza
mentre lei lavora in Australia. Nel frattempo, Mabel prende una
decisione sulla sua carriera, scegliendo di raccontare storie che
le stanno a cuore piuttosto che assecondare Hollywood, e Charles
dice addio a Sazz. Ma, come sembra sempre accadere all’Arconia, un
altro omicidio prepara il terreno per una nuova stagione, e questa
volta la vittima è Lester, il portiere, che il
trio trova sanguinante nella fontana dopo il matrimonio di
Oliver.
Inoltre, la misteriosa Sofia
Caccimelio (Téa Leoni) si avvicina a
Charles e Mabel, chiedendo ai detective dilettanti di indagare
sulla scomparsa di suo marito, Nicky, il re delle lavanderie a
secco di New York. Anche se loro rifiutano, dicendo che si
concentrano sugli omicidi all’interno dell’Arconia, Sofia dà loro
il suo biglietto da visita, insistendo che quello che è successo a
Nicky ha a che fare con l’Arconia. Mentre Charles, Oliver e Mabel
hanno il loro bel da fare per la quinta stagione, forse sono più
preparati dopo che la quarta stagione li ha visti attraversare un
momento di vulnerabilità.