Nel panorama sempre più affollato delle trasposizioni videoludiche, Until Dawn – Fino all’Alba si ritaglia uno spazio ben definito, mostrando fin dai primi minuti una profonda passione per il genere horror e padronanza della sua grammatica. Diretto da David F. Sandberg, che qui sembra aver trovato un riscatto dopo il meno fortunato Shazam! La Furia degli Dei, il film si presenta come un vero e proprio omaggio al cinema dell’orrore, divertente, intelligente e perfettamente consapevole dei propri limiti e delle proprie ambizioni.
La trama di Until Dawn – Fino all’Alba
La trama prende il via senza preamboli: un gruppo di adolescenti si lancia in un road trip che è anche una ricerca carica di dolore e mistero. Clover (Ella Rubin) è alla disperata ricerca della sorella scomparsa, e insieme ai suoi amici – interpretati da Michael Cimino, Odessa A’zion, Ji-young Yoo e Belmont Cameli – si avventura in un viaggio che diventa rapidamente un incubo a occhi aperti. La premessa potrebbe sembrare scontata: un gruppo di ragazzi, una località isolata, un sinistro avvertimento da parte di un inquietante benzinaio (un perfetto Peter Stormare). Ma Until Dawn riesce a prendere questi ingredienti ormai classici e a mescolarli in modo fresco e coinvolgente.
Un loop temporale fino… alla morte

Uno degli aspetti più interessanti del film è il suo utilizzo del loop temporale, elemento narrativo ormai consolidato nel cinema ma qui reso particolarmente efficace grazie a un approccio che evita la ripetitività. Ogni nuovo giro sulla giostra mortale aggiunge dettagli, tensione, e soprattutto tracce fisiche delle esperienze passate: ferite, segni, cicatrici che i personaggi si portano dietro da un ciclo all’altro. È un espediente semplice ma visivamente potente, che permette di tenere sempre alta la suspense.
Il film non si prende mai troppo sul serio – e proprio per questo funziona. Riesce a bilanciare bene i momenti di puro terrore con pause di leggerezza che non scadono mai nel ridicolo. A differenza di molte recenti produzioni horror, Until Dawn evita il facile umorismo da Gen Z e punta invece su una narrazione coerente e un’atmosfera carica di tensione. I personaggi sono sì archetipici – la final girl, il bello atletico, la ragazza sfrontata – ma non diventano mai caricature. Sono adolescenti credibili, con reazioni umane, che imparano dai propri errori e si adattano alle regole di un mondo che li vuole morti.
Scenografia e regia: una combinazione vincente
Il comparto tecnico è un altro punto di forza: la scenografia immerge completamente lo spettatore in un mondo da incubo, dove ogni dettaglio – dalle cabine abbandonate alle foreste nebbiose – contribuisce a costruire un senso di oppressione crescente. La regia di Sandberg sa quando rallentare per creare tensione e quando premere sull’acceleratore per scatenare l’azione. Il risultato è un film che non annoia mai, nemmeno quando cede il passo a qualche momento più riflessivo.
Dal punto di vista del cast, le performance sono buone, anche se non tutte memorabili. Ella Rubin regge bene il ruolo di protagonista, anche se alcuni passaggi emotivi più profondi risultano un po’ forzati, più per colpa di una sceneggiatura che a tratti cerca una profondità psicologica che non le appartiene fino in fondo. Ma quando Until Dawn si concentra sull’azione, sul sangue, sui salti sulla sedia, allora sì che dà il meglio di sé. E il pubblico horror lo sa: questo è ciò che conta davvero.

Un adattamento libero ma fedele nello spirito
Rispetto al videogioco omonimo, Until Dawn – Fino all’Alba prende alcune libertà importanti, ma lo fa con intelligenza. Non cerca di replicare pedissequamente la struttura a scelte multiple del gioco originale, né il suo impianto narrativo su una singola notte. Invece, opta per una struttura a loop temporale, che omaggia lo spirito del gameplay – dove ogni decisione può significare vita o morte – ma lo traduce in un linguaggio cinematografico efficace e coerente. I fan del gioco troveranno numerosi Easter egg e citazioni, dai nomi dei personaggi a piccoli oggetti di scena, ma anche chi non ha mai preso in mano un controller riuscirà a godersi il film appieno. L’essenziale, ovvero l’idea che ogni azione ha conseguenze, rimane intatto, e viene anzi potenziato da un uso intelligente del montaggio e della narrazione visiva.
Un inizio promettente per un franchise da paura
La parte finale del film segna forse il momento più debole in termini di ritmo: c’è un piccolo inciampo narrativo quando si passa dalle rivelazioni finali alla risoluzione vera e propria. Tuttavia, il climax è abbastanza adrenalinico da far dimenticare le incertezze. Il film si conclude con il giusto mix di chiusura e apertura: ci sentiamo soddisfatti, ma sappiamo che c’è spazio per un sequel. E se le fondamenta sono queste, ben venga un nuovo universo narrativo da esplorare.
Until Dawn – Fino all’Alba non è un film che cerca di rivoluzionare il genere horror. E fa bene. È un’opera che sa divertirsi con i cliché, che conosce e ama il materiale di partenza, e che riesce a intrattenere con stile, ritmo e un genuino entusiasmo per la paura. Un film perfetto per chi ama l’horror in tutte le sue forme, e che lascia con la voglia di tornare ancora una volta… fino all’alba.