In un’intervista
con Deadline, al
co-showrunner di One Piece Matt Owens è stato
chiesto di aggiungere Jamie Lee Curtisal cast
per interpretare il ruolo della dottoressa Kureha, una figura
materna e mentore del dottor Tony Chopper dei Pirati di Cappello di
Paglia.L’attrice aveva già parlato
di come le piacerebbe interpretare il ruolo, dato che è già una
grande fan di One Piece.
Il team di Netflix One Piece sta cercando di portare Jamie Lee
Curtis nello show?
Owens ha spiegato che lo
staff sta “cercando di manifestarlo alla produzione” e che una
volta concluso lo sciopero SAG-AFTRA in corso, inizieranno ad avere
“conversazioni reali” con Jamie Lee Curtis, sottolineando che lo staff
della serie sta “scrivendo per lei” in questo momento.“Abbiamo l’opportunità di scegliere alcuni ruoli, alcune
regole che sono molto importanti, ed è venuto fuori che Jamie Lee Curtis è un fan di One Piece“,
ha dichiarato Owens. “Non appena l’ha detto, abbiamo
pensato, okay, dobbiamo provare a coinvolgerla nello
show. Cosa possiamo fare? E il Dottor Kureha, per
fortuna, è un personaggio che apparirà nella nostra storia, ed è
perfetto per Jamie Lee Curtis. Quindi abbiamo provato a
iniziare a manifestare questo nostro sogno. Dopo aver vinto
l’Oscar, la sala degli scrittori le ha inviato una figura del
Dottor Kureha con una bella nota che diceva:
“Congratulazioni per la
tua statua, eccone un’altra da mettere accanto ad essa”. Spero
di parlarti presto.‘ “Quando l’ha ripubblicato, ha
suscitato molto interesse da parte dei fan e l’ho
commentato. Stiamo cercando di manifestarlo. Sì, al
momento il SAG è ancora in sciopero, quindi non ci sono state vere
e proprie conversazioni. Ma appena potrà esserci, sono
pronto. La porterò fuori a cena, ne parleremo. Faremo
tutto perché a questo punto stiamo scrivendo per lei – vogliamo
davvero, davvero che venga a suonare con noi nella seconda
stagione”.
One Piece 2, quando uscirà?
Considerato il rinnova confermato
poco dopo l’uscita, la seconda stagione di One
Piece potrebbe debuttare nel 2025! Al momento però non
c’è una dichiarazione ufficiale in merito all’uscita di One Piece
2!
Dal lancio dello show il 31 agosto,
One
Piece è stato il numero 1 nella Top 10 interna di
Netflix.
Tratta dalla serie manga più venduta della storia del Giappone e
scritta da Eiichiro Oda, One
Piece è un’impareggiabile avventura leggendaria
ambientata in alto mare. Monkey D. Luffy è un giovane avventuriero
da sempre alla ricerca di una vita libera. Luffy abbandona il suo
villaggio per intraprendere un viaggio pericoloso alla ricerca del
leggendario tesoro ONE PIECE e diventare il re dei Pirati!
Tuttavia, per trovare l’inestimabile premio Luffy dovrà assoldare
la ciurma dei suoi sogni, trovare una nave, scandagliare in lungo e
in largo il vasto mare azzurro, seminare i Marine e farla in barba
a temibili rivali.
Iñaki Godoy (Monkey D. Luffy),
Mackenyu (Roronoa Zoro), Emily Rudd (Nami), Jacob Romero (Usopp) e
Taz Skylar (Sanji) interpretano l’avventura piratesca live action
ONE PIECE, ideata in collaborazione con Shueisha e prodotta da
Tomorrow Studios con Netflix. Matt Owens e Steven Maeda ricoprono
il ruolo di sceneggiatori, produttori esecutivi e showrunner. Anche
Eiichiro Oda, Marty Adelstein e Becky Clements si occupano della
produzione esecutiva. Il cast confermato in precedenza include
Vincent Regan, Ilia Isorelýs Paulino, Morgan Davies, Aidan Scott,
Langley Kirkwood, Jeff Ward, Celeste Loots, Alexander Maniatis,
McKinley Belcher III, Craig Fairbrass, Steven Ward e Chioma
Umeala.
La serie è stata creata da Matt Owens e
Steven Maeda, vede nel cast anche Mackenyu nei panni di Roronoa
Zoro, Emily Rudd nei panni di Nami, Jacob Romero Gibson nei panni
di Usopp e Taz Skylar nei panni di Sanji. La serie manga è stata
pubblicata per la prima volta nel 1997 e ha venduto più di 460
milioni di copie in tutto il mondo. È stato anche adattato in
una serie anime, videogiochi e una serie di lungometraggi in
Giappone.
Una nuova clip della quinta
stagione di Fargosi concentra sulla star di Stranger
ThingsJoe Keery, che interpreta
il figlio del simpatico cowboy di
Jon Hamm. “Ambientato nel Minnesota e
nel Nord Dakota, nel 2019, dopo che una serie inaspettata di eventi
che mettono Dorothy ‘Dot’ Lyon (Juno Temple)
nei guai con le autorità, questa apparentemente tipica casalinga
del Midwest viene improvvisamente ripiombata in una vita che
pensava di aver abbandonato”, si legge nella sinossi
ufficiale. “Lo sceriffo del North Dakota Roy Tillman
(Hamm) è alla ricerca di Dot da molto tempo.”
Quando debutterà la quinta stagione di
Fargo?
La quinta stagione di Fargo,
composta da dieci episodi, debutterà negli USA il 21 novembre su
FX. Gli episodi saranno disponibili anche su Hulu. In Italia
la serie sarà programmata su, STAR, canale per adulti di
Disney+. La sinossi della
quinta stagione di Fargo
recita in parte: “Dopo una serie inaspettata di eventi che mettono
Dorothy ‘Dot’ Lyon (Temple) nei guai con le autorità, questa
apparentemente tipica casalinga del Midwest viene improvvisamente
ripiombata in una vita che pensava di aver abbandonato”. Il cast
della quinta stagione di Fargoanche
Jon Hamm, Jennifer Jason Leigh, Joe Keery, Richa Moorjani,
Lamorne Morris, Dave Foley, David Rysdahl, Sam Spruell, Jessica
Pohly e Nick Gomez.
Fargo
è prodotto da Hawley, che funge da showrunner, scrittore e regista,
e dalla sua società di produzione 26 Keys, dal produttore esecutivo
Warren Littlefield e dalla sua società di produzione The
Littlefield Company. I produttori esecutivi sono Steve Stark,
Kim Todd, Joel ed Ethan Coen. La serie è prodotta da MGM
Television e FX Productions, con MGM Television che funge da studio
principale. È distribuito a livello internazionale da Amazon e
MGM Studios Distribution.
Negli ultimi giorni si sono
intensificati i rumor secondo cui la celebre cantante
Taylor Swift potrebbe avere un cameo nell’atteso
film del MCUDeadpool 3. Il tutto
ha avuto inizio in seguito all’avvistamento di Swift in compagnia
di Ryan Reynolds
durante l’ultimo match di NFL al MetLife Stadium nel New Jersey.
Assieme a loro erano presenti anche Hugh Jackman,
che nel film riprenderà il ruolo di Wolverine, e il regista
Shawn Levy. Da subito sono dunque partite le
teorie su quale personaggio Swift potrebbe interpretare nel film
qualora fosse confermata la sua presenza.
Il nome più gettonato è quello di
Dazzler, apparsa per la prima volta in Uncanny
X-Men n. 130 nel 1980, con la capacità di convertire le
vibrazioni sonore in raggi di luce ed energia. Sviluppata come
creazione multimediale e promozionale incrociata tra Casablanca
Records e Marvel Comics, è stata creata da un comitato di
staff Marvel, principalmente lo
scrittore/montatore Tom DeFalco e l’illustratore
John Romita Jr. Dazzler è inoltre stata descritta
come una delle eroine femminili più importanti e potenti della
Marvel ed è spesso etichettata come
un’icona LGBT.
La teoria sulla sua partecipazione
non è poi così insensata, considerando che la cantante non è
estranea alla recitazione, essendo apparsa in film come
Amsterdam e Cats, e d’altronde già nel 2015 per
X-Men: Dark Phoenix si ipotizzava
che potesse comparire nel film proprio nei panni
di Dazzler. Nell’attesa di scoprire se tale cameo diventerà
realtà o rimarrà solo una fantasia dei fan, grazie a @bosslogic,
possiamo avere un’idea di come potrebbe apparire Swift se vestisse
davvero i panni dell’iconico personaggio Marvel Comics nel prossimo trequel. Qui di
seguito, ecco il post dove si può dunque vedere tale fan art:
Sebbene i dettagli ufficiali della
storia di Deadpool 3, con
protagonista Ryan Reynolds,
non siano infatti ancora stati rivelati, si presume che la trama
riguarderà il Multiverso. Il modo più semplice per i Marvel Studios di unire la
serie di film di Deadpool – l’unica parte del
franchise degli X-Men sopravvissuta all’acquisizione
della Fox da parte della Disney – è stabilire che i film di
Reynolds si siano svolti in un universo diverso. Ciò preserva i
film degli X-Men della Fox nel loro universo, consentendo al
contempo a Deadpool e Wolverine, di nuovo interpretato
da Hugh Jackman,
viaggiare nell’universo principale dell’MCU.
Nel film saranno poi presenti anche
personaggi presenti nei primi due film di Deadpool, come
Colossus e Testata Mutante Negasonica. Da tempo, però, si vocifera
che anche altri X-Men possano fare la loro
comparsa nel film, come anche alcuni altri supereroi della
Marvel comparsi sul
grande schermo nei primi anni Duemila, in particolare il Daredevil di Ben
Affleck. L’attrice Jennifer Garner
sarà presente nel film con il ruolo di Elektra, che riprende dunque
a quasi vent’anni di distanza dal film a lei dedicato.
In attesa di ulteriori conferme,
sappiamo che Shawn
Levy dirigerà Deadpool 3,
mentre Rhett Reese e Paul
Wernick, che hanno già firmato i primi due film sul
Mercenario Chiacchierone, scriveranno la sceneggiatura basandosi
sui fumetti creati da Rob Liefeld,
confermandosi nella squadra creativa del progetto. Il presidente
dei Marvel Studios, Kevin
Feige, aveva precedentemente assicurato ai fan che rimarrà
un film con rating R, proprio come i primi due film, il che lo
renderebbe il primo film dello studio con tale classificazione
matura.
Da molti atteso, il sequel di
Alita: Angelo della
Battaglia è negli ultimi mesi tornato ad essere
al centro delle discussioni, con i produttori del primo film,
Jon Landau e James Cameron,
che hanno confermato la volontà di realizzare un seguito e di aver
già intrapreso il suo sviluppo. A fornire un nuovo aggiornamento
sul progetto ci pensa ora Robert Rodriguez,
regista del lungometraggio del 2019, il quale ha affermato che ora
potrebbe essere più facile girare un Alita
2, dal momento che i 20th Century
Studios hanno ripreso la produzione dopo l’acquisizione da
parte della Disney.
“Jim e io parliamo sempre di
quanto ci piacerebbe fare un altro Alita“, ha dichiarato
Rodriguez in un’intervista a The Wrap. “Quello studio
[20th Century] è stato acquistato da un altro studio [Disney].
Stanno iniziando a fare film solo adesso. Ma per un po’ 20th
Century non ha realizzato nessuno dei loro film in programma.”
Il commento del regista conferma dunque un precedente rapporto
secondo cui James Cameron ha effettivamente in
programma uno o più sequel per il film live-action.
L’aggiornamento di Rodriguez è
dunque una gradita notizia per i fan, che da tempo chiedono a gran
voce film successivi al primo Alita: Angelo della
Battaglia. Uscito nel 2019, Alita: Angelo della
Battagliaaveva
infatti ottenuto un buon successo di pubblico, ma non abbastanza da
far subito confermare un suo sequel. Il successo di
Avatar – La via dell’acqua sembra però
aver ora favorito il riprendere dei lavori su tale
sequel. Come sempre, non resta ora che attendere nuovi
aggiornamenti, che forniscano maggiori dettagli sui progressi nello
sviluppo del film.
Mentre cresce l’attesa per vedere
sul
piccolo schermo la prossima serie Marvel, oggi vi
segnaliamo che ci sono stati importanti cambiamenti su
Rotten Tomatoes. Infatti Agents of
SHIELDha ufficialmente
superatoLuke Cage come serie più
apprezzata sul noto sito americano Rotten Tomatoes.
Agents of SHIELD attualmente ha
una valutazione di gradimento pari al 95% da parte di critici
accreditati sulla piattaforma mentre Luke Cage è
al secondo posto al 93%.
Ma vediamo la top ten delle serie tv in ordine crescente.
The Punisher
The
Punisher è al decimo posto con un gradimento positivo
pari al 62 % dei giudizi. La serie trasmessa da Netflix ha debuttato quest’anno. Jon
Bernthal è apparso per la prima volta
come The Punisher nella seconda stagione
della serie tv Daredevil, ciclo che ha consacrato lo show
Marvel/Netflix come una delle
migliori serie tv dell’anno.
The
Gifted è stata l’atteso secondo progetto seriale sugli
X-Men targati FOX e Marvel Television dopo
Legion. Lo show ha fatto il suo debutto questo autunno per
concludersi nella prima parte del 2018. La seconda
stagione di The Gifted è stata confermate e il
primo teaser promo è stato diffuso alla fine della prima
stagione. La prima stagione ha ricevuto un gradimento positivo pari
al 70% dei giudizi.
The Defenders
The
Defenders è stata l’attesa serie che ha riunito tutti gli
eroi Marvel su Netflix. Il progetto
molto atteso però non ha conquistato proprio tutti. Infatti la
serie ha ricevuto un gradimento positivo pari al 74 % dei
giudizi.
La serie tv co-prodotta dalla piattaforma
insieme alla Marvel ha messo insieme i quattro
eroi che ci sono stati presentati nel corso degli ultimi anni:
Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage e Iron
Fist.
Runaways
La serie tv
Runaways ha debuttato su Hulu
anche quest’anno e come le altre è prodotta sempre da
Marvel Television con
Hulu. E’ uno dei quattro nuovi show con nuovi
personaggi che hanno fatto il suo debutto quest’anno.
Runaways ha raccolto un gradimento positivo pari
al 82% dei giudizi.
Daredevil
Daredevil è il primo show targato
Marvel e Netflix ed è una
delle serie tv più apprezzate dai fan, oltre che dalla critica.
Infatti lo show che vede Charlie Cox nei
panni del protagonista la cui
terza stagione è stata confermata ha raccolto un gradimento
positivo pari al 86% dei giudizi.
Agent Carter
Agent
Carter a sorprese è in quinta posizione. Lo show prodotto
in collaborazione con la ABC Television nonostante
sia stato chiuso dopo appena due stagione è risultato il quinto più
apprezzato dalla critica con un gradimento positivo pari all’88%
dei giudizi. La serie ha come protagonista Hayley Atwell nei
panni di Peggy Carter, personaggi apparso per la prima volta in
Captain America Il primo Vendicatore.
Legion
Al quarto
posto troviamo Legion,
la serie Marvel Television prodotta
con FOX con un un gradimento positivo pari al 90 % dei
giudizi.
Jessica Jones
La serie
su Jessica Jones si è posizionata al
terzo posto con un gradimento positivo pari al 92 % dei
giudizi. Krysten Ritter (Jessica Jones) è
affiancata da un fantastico cast di attori, che comprende David
Tennant (Kilgrave), Mike Colter (Luke Cage), Rachael
Taylor (Trish Walker), Carrie-Anne Moss, Eka Darville,
Erin Moriarty, e Wil Traval, insieme a molti altri. Vi
ricordiamo che la seconda stagione è in fase di lavorazione e
presto debutterà su Netflix, mentre
le prime foto sono state già rese note.
Luke Cage
Al secondo posto a
sorpresa si piazza Luke Cage con un
gradimento positivo pari al 93 % dei giudizi.
Agents of SHIELD
La serie più apprezzata su
è Agents of SHIELD, che ha totalizzato un
gradimento positivo pari al 95 % dei giudizi dei critici
su Rotten Tomatoes. La quinta
stagione della serie ha debuttato da poco sulla ABC.
Con la sesta e settima stagione di
Il
trono di spade (Game of Thrones) molte cose
su Rhaegar Targaryen e Lyanna
Stark sono state svelate ma ce ne sono molte altre che,
per chi non legge i libri (o non ha posto
la giusta attenzione alla serie), rimangono ancora poco chiare. In
attesa del gran finale della settima
stagione di Game of Thrones (e in attesa
dell’ottava
stagione) ve ne sveliamo ben quindici.
Lyanna una volta ha salvato
Howland Reed da un gruppo di scudieri
Lyanna
Stark era la sola figlia di Lord Rickard
Stark, Lord protettore del Nord e Capo famiglia degli
Stark, una delle più grandi Case dei Sette Regni. Uuna persona
importante negli eventi che seguiranno il suo incontro con il
principe Rhaegar Targaryen, fu Howland Reed.
Infatti durante un torneo a Harrenhal, Lyanna salvò Howland Reed da
un gruppo di scudieri. Tre scudieri che erano molto più grandi
di Reed cominciarono a maledirlo come “mangiatore di rane” e
cominciarono a pestarlo finché Lyanna non si avvicinò in sua
difesa. Dopo il salvataggio di Reed, Lyanna lo portò in una
tenda per incontrare i suoi fratelli.
Nella tenda, Reed incontrò
Eddard, Brandon e Benjen Stark, che diventeranno
incredibilmente importanti per Reed. Due anni più tardi, Reed
avrebbe salvato la vita di Eddard (Sean
Bean) alla Torre della Gioia, rendendolo parte integrante della
Ribellione di Robert e degli eventi che hanno portato alla caduta
del Targaryen dalla dominazione Westeros.
Rhaegar Targaryen compie un gesto romantico ad un torneo
mettendo in imbarazzo la sua promessa
Al
famosissimo Torneo di Harrenhal nel 281 AC,
anno della falsa primavera, Rhaegar fu campione
del torneo, battendo in finale Barristan Selmy. Come è
l’usanza di Westeros, il campione del torneo nomina di sua volontà
una donna fortunata che sarà proclamata “Regina dell’Amore e
della Bellezza”. Mentre tutti gli occhi andavano verso la
moglie di Raeghar, Elia Martell, il principe proclamò invece
Lyanna Stark, gesto che provocò un imbarazzo tale
che non fu mai percepito in tutte le famiglia reale di Westeros nei
secoli. Rhaegar mise una corona di rose d’inverno sopra la
testa di Lyanna, causando indignazione. Quando Ned
Stark ripensava a questo evento, lo chiamò il giorno in
cui “tutti i sorrisi morirono” perché quelli che seguirono saranno
i due anni di conflitti conosciuti come “la RIbellione di
Robert”. Non ci sono molte informazioni relativa alla
relazione tra Rhaegar e Lyanna prima di questo fatto.
Lyanna Stark era colei che si
celava dietro Il Cavaliere “dell’Albero che Ride”
Il cavaliere dell’albero che ride era un cavaliere
misterioso che ha partecipato al Tourney di Harrenhal per
sconfiggere i tre cavalieri i cui scudieri avevano percosso Howland
Reed. Sullo scudo del cavaliere si trova un albero del cuore
sorridente, da cui deriva il suo nome. Nessuno conoscevano la
vera identità di questa persona, ma molti credono che dietro
all’armatura ci fosse Lyanna Stark. Il cavaliere è stato
descritto come “basso di statura” e indossava un’armatura non
corrispondenti alla sua taglia.
Il cavaliere conquistò persino le
attenzioni del Re Folle, tanto da spingerlo a
volerne la testa. Si dice che fu Rhaegar a
scoprire in Lyanna Stark la vera identità del
cavaliere, e forse è stata questa scoperta che ha portato i
due a innamorarsi, anche se questo non è confermato. Al momento non
si hanno conferme in merito ma sappiamo con certezza che il
cavaliere era uno Stark del Nord dato che portava un Albero Diga
incastonato sullo scudo.
Rhaegar Targaryen era
incredibilmente popolare in tutti i Sette Regni
Il principe
Rhaegar Targaryen era il figlio maggiore di
Re Aerys II Targaryen (il Re folle), conosciuto
come il Principe di Dragonstone. Rhaegar era
il fratello maggiore di Daenerys e
Viserys, che divenne noto come Re
Mendicante (stesso titolo venne attribuito alla
sorella). Tywin Lannister offrì la mano di Cersei,
sua unica figlia, al figlio maggiore del re Aerys, ma fu rifiutata.
Questo rifiuto offese i Lannister che in seguito divennero
nemici dei Targaryen.
Nonostante questo disonore arrecato
ai Lannister, l’opinione generale di Rhaegar era
che fosse un uomo intelligente che amava leggere ed era una persona
compassionevole, a dispetto del padre, il RE FOLLE. Ha ripreso
la spada più volte nella vita, ma “Rhaegar non amava mai uccidere”,
e secondo Barristan Selmy, “amava cantare”. Rhaegar è stato
considerato un uomo molto carismatico e bello, dettaglio che l’ha
portato poi alla sua caduta, come vedremo in seguito.
Lyanna Stark era conosciuta come
La Lupa
Per quanto
riguarda le donne della famiglia Stark, sembra che
ci siano due tipologie distinte. Al momento abbiamo
Arya e Sansa (Maisie
Williams e
Sophie Turner), due donne che non potrebbero essere
più dissimili. Sansa è una signora che ha
attraversato l’inferno ma è venuta fuori con la sua dignità e
governa il Nord, mentre Jon è
assente. Arya è andata a allenarsi con gli
uomini senza faccia ed è diventata un assassino letale. È
brutale e astuta, e apparentemente è lei che somiglia più alla sua
zia Lyanna.
Lyanna è stata
descritta come un Lupo perché era coraggiosa, testarda e una donna
feroce che difendeva il proprio onore se era necessario. Molto
di quello che sappiamo di Lyanna Stark è
raccontato solo da altri personaggi che la ricordano
affettuosamente. Ditocorto racconta la storia di come è stata
rapita e portata a sud da Rhaegar, ma la
storia non ha molto senso quando si scopre poi che tipo era
Lyanna. Non era il tipo di donna che subisce
in questo modo, dettaglio che ha messo in dubbio da subito il
racconto di Ditocorto, considerando anche che il personaggio non è
noto per essere un uomo onesto e di alta tempra morale.
Probabilmente gli eventi che hanno portato alla ribellione di
Robert sono altri.
L’amore di Robert Baratheon per
Lyanna ha avvelenato il suo matrimonio con Cersei
Dopo gli eventi della ribellione Robert
Baratheon, è diventato il re sul Il
trono di spade (Game of Thrones) e sposa
Cersei Lannister (Lena
Headey). Questo era in parte dovuto all’alleanza
con i Lannister durante la ribellione e l’assassinio da parte
di Jamie del Re Folle. Durante la prima
stagione in una conversazione con sua moglie, Robert
Baratheon rivela che non l’ha mai amata, anche se Cersei,
almeno una volta, ha provato sentimenti per lui. Rimase così
scioccato dalla scomparsa di Lyanna, che non è mai riuscito a
riempire il vuoto lasciato dopo la sua morte. Robert ha vissuto la
sua vita continuando a rivivere il momento in cui Rhaegar è morto
per “ciò che ha fatto alla sua amata”, anche se non ha mai
veramente capito cosa è successo tra i due.
Purtroppo, Robert non riusciva
nemmeno a ricordare come fosse il volto di Lyanna. La mancanza
di amore tra lui e Cersei ha infine condotto la Regina
al rapporto incestuoso con suo fratello, alla nascita dei suoi
tre bastardi e alla morte di Robert attraverso le
sue macchinazioni.
Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark erano entrambi sposati e/o
promessi sposi
Come abbiamo
appena detto, Rhaegar era sposato al momento del
Torneo di Harrenhal quando proclamò Lyanna la
Regina d’Amore e di Bellezza invece di sua moglie Elia, della casa
Martell. Elia era la sorella di Doran
Martell, Principe di Dorne e Oberyn
Martell, la vipera rossa. Il legame tra il Re e Dorne
assunse in seguito un ruolo fondamentale negli eventi che portarono
alla guerra dei Cinque Re e ad altri conflitti che avvennero
successivamente.
Lyanna non era ancora sposata, ma
era fidanzata e promessa a Robert Baratheon, che
sarebbe diventato il re dei sette regni dopo l’assassinio di
Aerys II, il Re Folle per mano di Jamie
Lannister. Elia era fedele a suo
marito, e lei gli ha dato due figli, Rhaenys e
Aegon, entrambi uccisi a seguito della ribellione per mano
della Montagna, Ser Gregor Clegane. Clegane ha poi ucciso e
violentato Elia. Quanto a Robert e Lyanna, è chiaro che Robert
amava con tutto il cuore la Stark, ma sembra
sempre più probabile che il suo amore non fosse ricambiato.
La morte di Rhaegar per mano di
Robert l’ha portato ad aumentare la sua popolarità come nuovo
RE
Quando Robert iniziò la sua ribellione
contro il Re FOLLE, questi lo mise subito contro il figlio
Rhaegar come nessun altro. La sua rabbia per
il rapimento della sua amata lo ha portato a incontrare
Rhaegar sul campo di battaglia del Tridente. In
seguito quel tratto di fiume venne chiamato il Guado dei Rubini
perché i rubini sull’armatura di Rhaegar caddero e si dispersero
nelle acque sotto la furia di Robert, che lo sconfisse con un colpo
dal suo potente martello, uccidendolo all’istante.
La battaglia del Tridente ha
portato Tywin a spostare il suo esercito ad Approdo del Re prima
delle forze ribelli. Il capofamiglia dei Lannister finse di
arrivare in città a sostegno del Re Folle, ma quando conobbe del
destino di Rhaegar, comprese che la sorte dei Targaryen era
segnata. La morte di Rhaegar spinse
Tywin a tradire il re e dare sostegno ai ribelli
perché sapeva che presto sarebbero diventato i padalini di
Westeros. È possibile che, se Rhaegar non fosse morto subito,
Tywin avrebbe potuto supportare il Re e respingere
l’esercito ribelle, ma questa è una verità che non sapremo mai.
Successivamente qualcuno raccontò che l’uccisione di
Rhaegar era il gesto di cui Robert aveva bisogno
per diventare Re.
Lyanna non è mai stata
rapita
È stato per lungo tempo creduto che
Rhaegar abbia rapito Lyanna poco dopo che i due si
incontrarono, con l’aiuto di due dei suoi più affidabili cavalieri,
Arthur Dayne e Sers Oswell Whent. Dopo il
rapimento, il suo fratello maggiore, Brandon
Stark, andò ad Approdo del Re per chiedere un confronto
con Rhaegar. Brandon e i suoi alleati furono
imprigionati dal re Folle per tradimento.
Successivamente il re chiese a Lord
Stark di raggiungere la capitale, dove però Lord Rickard Stark fu
bruciato vivo mentre Brandon morì soffocato cercando di salvare suo
padre. Successivamente il Re Folle chiese la testa di
Robert Baratheon (fidanzato di Lyanna) e
Eddard Stark, ma Lord Arryn, primo cavaliere del
re, rifiutò e Robert iniziò così la sua ribellione. Tutto questo è
iniziato a causa del rapimento di Lyanna, ma nel quarto episodio
della settima stagione è stato rivelato che non è mai stata rapita
ma andò di sua spontanea volontà con il suo amante.
Rhaegar credeva che il suo erede
avrebbe compiuto un’importante profezia
C’è una
profezia molto importante nei libri e nelle serie televisive che ha
ispirato molte delle speculazioni che circondano il
Trono di Spade. La profezia è conosciuta come “Il
principe (o la principessa) che fu promesso” e viene narrata dai
seguaci del Signore della Luce da oltre cinquemila anni. La
profezia afferma che un principe (o principessa) è stato promesso:
“Quando la stella rossa sanguinerà e l’oscurità si raccoglierà,
(lui / lei) nascerà di nuovo in mezzo al sale e al fumo”.
Dopo aver letto la profezia in un
rotolo, Rhaegar cambiò il suo destino e decise di
diventare un cavaliere, dicendo: “Mi si chiede una spada e
un’armatura. Sembra che dovrò essere un guerriero”. Più tardi,
Rhaegar credeva fortemente che il figlio Aemon
fosse il principe promesso. Nel cielo fu avvistata una cometa
sulla Capitale quando nacque suo figlio (la stella rossa della
profezia). Ci sono altri aspetti alla profezia che invocavano
un ritorno dei draghi, dettaglio che realizza Daenerys e che “il
drago deve avere tre teste”, che spiega il ritorno di tre
draghi.
Rhaegar sarebbe ancora vivo se
non avesse mandato i suoi uomini a proteggere Lyanna
Di
tutte le persone coinvolte nelle guerre che seguirono dopo il
presunto sequestro di Lyanna, il più grande combattente di tutti
era Arthur Dayne, conosciuto come la
Spada del Alba e probabilmente avrebbe aiutato e
difeso Rhaegar alla battaglia di Tridente, se non fosse stato
mandato a proteggendo Lyanna alla Torre della Gioia dove Ned
era andato per recuperare la sorella. Dayne era noto come un
grande combattente e le possibilità che Robert
potesse uccidere questo temuto avversario in battaglia sarebbero
state poche. Successivamente, come si è scoperto nel flashback,
colui che attaccò la Torre della Gioia fu priprio Ned Stark, e sua
sorella non era in pericolo in alcun modo.
Poiché Dayne fu sconfitto (senza
onore, come risulta), è possibile che neppure lui avrebbe potuto
tenere testa alla rabbia di Robert e mantenere in vita Rhaegar ma
la decisione di Rhaegar di mandare i suoi migliori spadaccini
a proteggere Lyanna ha certamente fatto precipitare le sue
possibilità di sopravvivenza.
R + L = J
Per anni, i fan hanno
parlato dell’equazione sopra menzionata, che si traduce in Rhaegar
e Lyanna come veri genitori di Jon Snow. Quando fu introdotto per la
prima volta, John era il figlio bastardo di Eddard (Ned) Stark ma
questo era in contraddizione con i valori morali del
personaggio. Allora, da dove proveniva Jon? Questo
segreto infine è stato svelato nell’ultimo episodio
della sesta stagione di Game
of Thrones quando Bran vede gli eventi
passati che dimostrano che Jon è figlio di Lyanna Stark e
(supponiamo) Rhaegar Targaryen.
Mentre Lyanna stava morendo,
confessa a Ned dicendo: “Il suo nome è […] Se Robert lo scopre, lo
ucciderà. Sai che lo farà. Devi
proteggerlo. Promettimi, Ned. Promettimi.” Ned promise
alla sorella di proteggere suo figlio mentre stava morendo per il
parto, per questo ha portato il ragazzo come suo. Se il mondo
avesse saputo che Jon era di
sangue Targaryen, Robert avrebbe
probabilmente ordinato la sua esecuzione come ha fatto con tutti
gli eredi della linea di sangue dei Targaryen dopo essere diventato
Re.
Jon non è un bastardo
Questa è
probabilmente la più grande rivelazione circa il rapporto tra
Rhaegar e Lyanna fino ad oggi. Nel quarto episodio della
settima stagione della serie, Gilly legge da un
libro mentre Sam sta ascoltando a
malapena. Chiede a Sam, “Che significa l’annullamento?” Dopo
aver appreso la spiegazione da Sam, continua a leggere che l’Alto
Septon Maynard ha segnato un annullamento che ha
eseguito per un “Principe Ragger“, e che
contemporaneamente si unì in matrimonio con un’altra donna con una
cerimonia segreta a Dorne.
Che cosa significa tutto
questo? Jon
Snow è il figlio di Lyanna e Rhaegar, ma è
soprattuto il figlio LEGITTIMO dei due. Non è affatto un
bastardo, e poiché suo padre era il successore del Trono di
SPADE, finché rimarrà vivo Jon (Targaryen) Snow è il vero e
legittimo governatore dei Sette Regni e ha persino una pretesa
superiore a quella di sua zia Daenerys. Questa rivelazione
cambia assolutamente tutto.
La morte di Lyanna potrebbe
essere stata profetizzata
Poiché
Jon “Targaryen”, come possiamo chiamarlo oggi, è
nato da una madre che è morta nel parto, si crede che la sua morte
e la sua nascita fossero parte della stessa profezia. La
profezia racconta di un principe o una principessa che nascerà da
fuoco e ghiaccio, dunque si ritiene che il parto debba
necessariamente comportare la morte della madre. Questa teoria
ha anche legato i destini di Daenerys e persino alla nascita di
Tyrion, in quanto entrambe le loro madri sono morte di
parto. Mentre per gli altri si tratta di speculazioni, la
profezia su Lyanna si basa su varie dichiarazioni fatte in tutta la
serie e nei libri.
Se la morte di Lyanna fosse parte
della profezia che ha portato alla nascita di Jon, contribuirebbe
significativamente ad arrivare alla conclusione che Jon sia il
principe promesso.
La vera discendenza di Jon è
conosciuta solo da quattro persone
Al momento ci
sono solo quattro persone che conoscono la verità sulle vere
origini di Jon, e l’unico che conosciamo è il suo cugino
Brandon Stark. Le uniche persone che in
passato sapevano erano la Guardia del Re, Ned Stark,
Howland Reed e due serve che erano presenti alla
nascita. Reed è ancora vivo da qualche parte, nel suo regno
paludoso nell’Incollatura, mentre non si sa molto sul destino delle
due donne, ma tutti gli altri sono morti. Bran ha appreso a
verità insieme a noi telespettatori, attraverso un viaggio nel
passato nel suo ruolo come il nuovo Corvo a tre
occhi.
Bran è stato in grado di viaggiare
nel passato in modo tale da poter testimoniare e rivelare la verità
alla base della della lotta alla Torre della Gioia e la successiva
nascita di Jon. Questa rivelazione si è verificata alla
conclusione della sesta stagione della serie
televisiva e senza sapere cosa è successo agli altri
ancora vivi, Bran rimane l’unica persona che conosce la verità
Il fenomeno delle serie televisive
si sta facendo sempre più dilagante negli ultimi anni e non solo
tra gli adulti, ma anche tra i teenager. Sono molte, infatti, le
serie televisive adolescenziali che cercano di
mostrare le problematiche e gli ostacoli con cui gli adolescenti di
adesso si trovano a combattere, alla ricerca di se stessi e di un
mondo che possa accoglierli.
Ecco, allora, le dieci
serie televisive adolescenziali da vedere!
Stranger Things
Stranger Things è una di quelle serie
che negli ultimi anni è stata protagonista di un successo
portentoso, con un pubblico abbastanza variegato e composto
soprattutto da teenager, e che a breve tornerà con la sua
terza stagione.
Ideata da Matt e
Ross Duffer, la serie è ambientata nella cittadina
fittizia di Hawkins degli anni ’80, e si basa sugli eventi che si
scatenano da quando il dodicenne Will Byers,
facente parte di uno stretto gruppo di amici, sparisce in maniera
poco chiara e, allo stesso tempo, appare una ragazzina, dal nome
Undici, che sembra non ricordare niente del proprio passato e che
possiede degli strani poteri.
Quello che emerge dai varie
indagini, è che esiste un mondo chiamato Sottosopra, che contiene
delle creature particolari e saranno tutte queste vicende a far
avvicinare sempre più i ragazzini protagonisti, consci che solo la
loro temerarietà riuscita ad affrontare quel mondo oscuro e a
rendere giustizia.
Sex Education
Sex Education è una delle serie rivelazione di
Netflix che dall’11 gennaio 2019 è stata protagonista
di un indubbio successo. Ideata da Laurie Nunn e
diretta da Ben Taylor e Kate
Herron, la serie ha per protagonisti Gillian Anderson (X-Files) e Asa Butterfield (Hugo Cabret), veri e
propri rappresentanti e porta voce di quella che viene definita
Generazione Z.
Sex Education racconta la
storia di Otis (Asa Butterfield), un liceale
vergine che vive con la madre Jean (Gillian
Anderson), una terapeuta sessuale. Al liceo, il giovane Otis non è
per nulla popolare e la sua vita scolastica dà modo allo spettatore
di andare alla scoperta di quelli che saranno gli altri personaggi
della serie, come il bullo Adam, il popolare
Jackson e la ragazzaccia Maeve.
Sarà grazie all’iniziativa di quest’ultima che lei e Otis daranno
vita ad un’attività clandestina per aiutare i compagni di scuola a
superare dubbi e ostacoli circa la propria esperienza sessuale.
Tredici
Tredici è una serie originale Netflix che due anni fa ha
goduto di un successo inimmaginabile, diventando una delle serie di
riferimento per gli adolescenti. Prodotta da Selena
Gomez e Tom McCarthy, la serie con
Katherine Langford e Dylan
Minnette è tratta dai bestseller di Jay
Asher e racconta la storia di Clay Jensen
(Dylan Minnette), un ragazzo che trova sulle porta di casa, mentre
torna da scuola, una misteriosa scatola con scritto il suo nome
sopra.
All’interno, il giovane scopre
delle cassette registrate da Hannah Baker, una sua
compagna di classe per la quale aveva una cotta e che si è
suicidata nelle due settimana precedenti. In queste registrazioni,
Hannah spiega quali siano le tredici ragioni che l’hanno spinta a
compiere il tragico gesto.
The End of F***ing World
Netflix si è rivelata essere
un’autentica fucina in quando a produzioni originali dedicate
maggiormente agli adolescenti, confermando il trend grazie alla
serie
The End of F***ing World.
Creata da Jonathan
Entwistle e con Alex Lawther e
Jessica Barden nelle vesti dei protagonisti, la
serie si basa sul fumetto The End of Fucking World di
Charles Forsman. In questa serie, i protagonisti
sono due ragazzi diciassettenni, James, che è
quasi sicuro di essere uno psicopatico, e Alyssa,
una ragazza insoddisfatta della sua vita e molto lunatica. I due
decidono insieme di scappare, andando ad intraprendere un viaggio
che gli consenta di sfuggire dagli schemi delle loro vite.
Le terrificanti avventure di
Sabrina
Giunge sempre da Netflix una delle
serie dedicate al mondo dell’adolescenza e questa volta si parla di
Le terrificanti avventure di Sabrina, che è già
arrivata alla sua seconda stagione. Tra riti satanici latini e
incantesimi che decretano lo show come quasi un horror, la serie è
un prodotto totalmente nuovo che trae origine dalla saga a fumetti
omonima, realizzata nel 2014 da Roberto
Aguirre-Sacasa (anche creatore della serie).
Sabrina è per metà umana e per metà
strega e il suo obiettivo è quello di far conciliare questi due
lati di sé, cercando di vivere una vita familiare, personale e
sociale in maniera serena, trovandosi a combattere le tradizioni e
un destino che sembra già scritto.
Baby
Baby
è una serie originale Netflix di produzione italiana che, dal 30
novembre e per i suoi sei episodi, si ispira liberamente ad una
storia vera, seguendo le vicende di un gruppo di adolescenti del
quartiere Pariodi di Roma che sfidano la società, andando a ricerca
della propria identità e anche dell’indipendenza. Sullo sfondo, vi
sono pressioni familiari, amori proibiti e segreti condivisi.
Baby è una serie realizzata
dai GRAMS, un collettivo di autori, sceneggiatori
e storytellers fondato all’inizio del 2017 a Roma e composto da
cinque giovani autori tutti ventenni che hanno provato a raccontare
la storia di giovani ragazzi che sono alla ricerca di un amore
disperato all’interno di un universo in cui l’amore vero non
esiste.
Riverdale
La serie Riverdale,
che proviene anch’essa dal mondo di Roberto
Aguirre-Sacasa, capo creativo degli Archie
Comics, eadattata per The CW, racconta la vita di
Archie Andrews nella piccola città che dà il nome
alla serie, esplorando l’oscurità nascosta dietro quella che sembra
un’immagine apparentemente perfetta. I personaggi sono diversi e la
trama è suddivisa proprio per cercare di coinvolgerli tutti,
mostrando le relazioni che esistono tra loro.
In tutte le tre stagioni della
serie vi è un mistero da risolvere, mentre il corso degli eventi lo
racconta un narratore onnisciente che coincide con il personaggio
di Jughead Jones. Tra i protagonisti, vi sono gli attori
KJ Apa,
Lili Reinhart e Cole Sprouse.
Teen Wolf
Dal 2011 al 2017 è andata in onda
su MTV la serie Teen Wolf, durata ben sei stagioni e in
grado di conquistare gli adolescenti di tutto il mondo. La trama è
molto semplice: Scott McCall è un tranquillo
studente di un liceo della città di Beacon Hills e la sua vita
cambia come viene morso da un lupo mannaro.
A sua volta, Scott lo diventa e si
trova nella problematica condizione di trovare equilibrio tra
quella che è la sua vita di normale adolescente e quella di
pericoloso lupo mannaro. Allo stesso tempo, il ragazzo farà la
conoscenza delle tante persone che vivono in questo suo nuovo
mondo, dividendosi tra amici e nemici. Ideata da Jeff
Davis, la serie ha visto tra i protagonisti gli attori
Tyler Posey, Crystal Reed,
Dylan O’Brien e Colton Haynes.
Braccialetti Rossi
Se c’è una serie italiana che è
riuscita a fare breccia nel cuore di migliaia di adolescenti,
quella serie è certamente Braccialetti Rossi. Adattamento della serie spagnola
Polseres Vermelles, Braccialetti Rossi è stata
protagonista di un successo unico, trattando tematiche non molto
usuali nell’ambiente teen, e regalando armonia, sensibilità e
facendo comprendere quali siano i valori importanti che contano: la
vita e l’amicizia.
I personaggi di questa serie hanno
generato un affetto immediato nel pubblico nel corso delle tre
stagioni che l’hanno vista protagonista dei palinsesti Rai dal
2014, raccontando la storia di giovani ragazzi che si trovano
ricoverati in ospedale per diversi motivi e stringono amicizie
profonde, dando vita al gruppo dei Braccialetti Rossi.
Veronica Mars
Veronica Mars è di quelle serie d’annata dedicata al mondo teen
che si appresta a tornare con l’attesa
quarta stagione.La serie, che arriverà su HULU il prossimo
venerdì 26 Giugno, ruota attorno a Veronica Mars
(Kristen Bell), studentessa del liceo di Neptune,
una cittadina fittizia che si trova sulla costa della California,
caratterizzata dall’atmosfera particolarmente classista.Figlia del
rispettato sceriffo Keith Mars, quando la sua
migliore amica Lilly Kare, sorella del suo
fidanzato Duncan, viene uccisa, la vita di
Veronica cambia drasticamente. Suo padre viene messo a capo delle
indagini, che verranno interrotte quando un uomo, Abel
Koontz, si costituisce dichiarandosi colpevole.
Keith Mars viene obbligato a
dimettersi dalla sua carica, soprattutto per aver accusato di
omicidio il padre della vittima, un milionario e presidente della
Kane Software, mentre Veronica si trova costretta a scegliere tra
il padre ed i suoi amici, finendo per essere emarginata dai suoi
compagni di scuola. Nonostante la madre di Veronica decida di
andarsene, poichè non riesce a reggere la tensione dettata dagli
eventi, la ragazza e il padre aprono un’agenzia investigativa.
Come annunciato nelle scorse
settimane, Robert Pattinson è il nuovo volto del crociato
di Gotham e vestirà i panni del personaggio nel riavvio delle
avventure di Batman affidato a Matt Reeves e ora in produzione. Ma quali sono
stati, prima di lui e nel corso degli ultimi vent’anni, tutti gli
attori associati a questo ambito e pericoloso ruolo?
Ecco i12 attori che hanno “quasi” interpretato Batman sul
grande schermo!
Heath Ledger
Non tutti sanno che prima
di entrare nei panni di Joker Heath Ledger sostenne il provino per il
personaggio di Batman al posto di Christian Bale, poi scelto all’alba delle
riprese di Batman Begins. Quel rifiuto gli ha permesso di
esercitare ancora più talento e genio in una delle performance più
memorabili della storia del cinema e di conquistare un oscar
postumo.
Daniel Day Lewis
Il suo nome compare nella galleria
di attori più importanti di Hollywood insieme a
Marlon Brando e
Robert De Niro, ma stupisce che negli anni Novanta Daniel Day-Lewis venne considerato per il
ruolo di Bruce Wayne sostituendo Michael Keaton nel 1995 in Batman
Forever. A quanto pare Lewis rifiutò permettendo
l’ingresso di Val Kilmer.
Tutti considerano Tom
Hanks una persona dolce, pacate e spensierata, ma che ci
crediate o no, il due volte vincitore del premio oscar è stato uno
dei nomi associati al personaggio di Batman per l’adattamento di
Tim Burton (ruolo poi andato a Michael Keaton).
Henry Cavill
Henry Cavill è stato Superman nell’universo
cinematografico DC, ma non tutti sanno che l’attore britannico ha
sostenuto anche il provino per interpretare il cavaliere oscuro in
Batman Begins di Christopher Nolan.
Nel 198 Pierce
Brosnan fu ad un passo dall’accettare la proposta dello
studio diventando il nuovo Batman cinematografico (e il primo
irlandese della storia). L’attore rifiurò pensando che si trattasse
di un’occasione fin troppo banale e soltanto dopo confessò i suoi
rimpianti.
È stato Indiana Jones, Han Solo e Rick Deckard, ma
Harrison Ford poteva dimostrare di essere davvero
l’eroe più amato dal pubblico interpretando il Cavaliere Oscuro
prima della firma di Michael Keaton nel 1989. Non sarebbe stata una
scelta fantastica?
Armie Hammer
Justice League
Mortal passerà alla storia come uno dei cinecomic con il
più alto potenziale mai realizzati: ricordate quando nel 2009 era
tutto pronto in casa Warner Bros. per l’avvio della produzione del
film, con George Miller alla regia e il cast di
attori selezionato per interpretare Batman, Superman, Flash e
Wonder Woman? Tra questi figurava anche
Armie Hammer, che avrebbe dovuto entrane nei panni
di Bruce Wayne.
Proprio Hammer ha di recente
svelato in un’intervista che il suo Cavaliere Oscuro sarebbe stato
ancora più dark delle altre versioni viste sul grande schermo.
Bill Murray
Riuscite a immaginare un attore
come Bill Murray nei panni di Batman? Difficile
vista la carriera intrapresa dal comico, eppure dieci anni prima
dell’arrivo di Tim Burton, il regista di Ghostbusters
Ivan Reitman venne scelto per dare al personaggio
una nuova vita sul grande schermo con il suo amico di lunga data
Murray. Ovviamente il progetto non è stato mai realizzato.
Nel 2013, dopo l’annuncio ufficiale
di Batman v Superman: Dawn of Justice e del
casting di Ben Affleck, fu proprio Josh
Brolin a rivelare che Zack Snyder aveva discusso del ruolo
con lui.
“Ne abbiamo parlato, ma non ci
sono state delle trattative. Era solo un’idea di Zack e sono felice
per Ben“, aveva raccontato l’attore in un’intervista.
Keanu Reeves
Keanu Reeves è
l’eroe action per eccellenza e l’ha dimostrato nel franchise di
John Wick e nei tre capitoli di Matrix. E a quanto pare, prima del
casting di Ben Affleck l’attore aveva espresso pubblicamente
l’interesse di vestire i panni di Wayne in Batman v Superman: Dawn
of Justice.
Fu Tim Burton, amico e collaboratore di lunga
data, a proporre Johnny Depp al regista di Batman Forever, Joel
Schumacher, ma la notizia si rivelò soltanto un rumor non
ufficiale. Chissà che versione del personaggio avrebbe offerto
l’eclettica star americana…
Più di un anno fa, dopo aver
appreso che Ben Affleck non sarebbe tornato nei panni di
Bruce Wayne nel nuovo adattamento di Matt Reeves, il sito Revenge of the fans,
aveva ipotizzato il nome di Jake Gyllenhaal come possibile sostituto. Nei
mesi successivi a questa speculazione, era stato Gyllenhaal stesso
a smentire qualsiasi voce su un suo presunto coinvolgimento: “È
una domanda molto difficile, ma la risposta è no“, ha risposto
velocemente l’attore a CNA Lifestyle.
Nessuno ci aveva preparato alla
vittimizzazione come mezzo per costruire una nuova identità di
successo. Tuttavia, basta un rapido sguardo a Instagram o TikTok
per convincerci della certezza di questo assioma. Questo è il tema
di fondo di Sick of Myself, film horror tanto
esilarante all’esterno quanto putrido al suo interno, che arriva
oggi nelle sale italiane dopo il passaggio nella sezione Un
Certain Regard al Festival
di Cannes 2022.
Sick of Myself, la trama:
horror vacui
L’opera prima di Kristoffer
Borgli ci presenta Signe (Kristine Kujath
Thorp, in un ruolo accessibile a pochissime attrici),
una giovane donna che ha bisogno di essere al centro
dell’attenzione. Questa peculiarità convive malamente con la
ritrovata fama del suo ragazzo nel settore dell’arte contemporanea,
un mondo che Borgli dipinge in modo spietato e
divertente come la bolla speculativa e vacua che, ci lascia
intendere, appare nella maggior parte dei casi. Signe desidera
l’attenzione che lui riceve e, in maniera piuttosto distorta o
“malata”, riprendendo il termine del titolo, si convince che il
modo migliore per ottenerla sia sfigurarsi il viso – in un
inquietante parallelismo con un incidente vissuto al bar dove
lavora.
Sebbene la premessa ci faccia
sprofondare nell’orrore corporeo e Sick of Myself
sia in gran parte incentrato sulla repulsione di guardare un volto
in decomposizione, Borgli è attento a controbilanciare questo
azzardo con una regia e un montaggio estremamente eleganti, musica
classica e una Oslo squisitamente fotografata che
collega il film a una delle grandi sorprese norvegesi recenti,
La persona peggiore del mondo – titolo che,
tra l’altro – si adatta perfettamente a Signe.
La nuova persona peggiore del mondo
La fama, nell’era dei social media,
di Internet e degli influencer disperati, dura sempre meno. L’arte,
che un tempo poteva durare decenni, oggi è solo un altro effimero
prodotto di consumo. Vediamo ogni giorno fino a che punto le
persone possono sacrificare la propria intimità in cambio di fama
e, per così dire, di potere: è una prigione di autostima in cui
viviamo tutti rinchiusi. E Sick of myself riesce a
racchiudere un sentimento unico del XXI secolo, tra filtri di
Instagram e il fare di tutto per raggiungere il successo.
È curioso che
Julie si considerasse la persona peggiore del
mondo nell’omonimo film, perché dalla Norvegia arriva anche
qualcuno disposto a lottare per il titolo. Solo senza essere
consapevole del proprio labirinto emotivo. Signe è una donna che
vive con il suo fidanzato, un artista che usa solo materiale rubato
per le sue opere, e vuole solo che qualcuno si accorga di lei. In
qualsiasi modo. E se non ci riesce inventando malattie o disturbi,
dovrà crearli artificialmente.
Sick of Myself è
una commedia nera come la notte che coglie anche l’occasione per
riflettere sul mondo di oggi grazie a una protagonista che deve
essere l’eterno centro dell’attenzione, anche a costo di fingere
allergie, malattie o raccontare storie incredibili che non sono mai
accadute: è affascinante come una persona con una bussola morale
così compromessa possa essere così prepotentemente vicina a noi. Ma
il film di Kristoffer Borgli è anche incorniciato
da un accurato stile visivo che delinea perfettamente un universo a
sé stante tra il kitsch, l’ostentazione della falsa upper class e
la discesa negli inferi della moda del XXI secolo, in cui dobbiamo
essere disposti a vedere le miserie che ci circondano.
Signe: puro solipsismo
Signe non vi
piacerà. Non è pensata per essere una protagonista carismatica ed
empatica con cui tenersi per mano per 95 minuti. Per di più,
racchiude in sé tutti i mali (e, in parte, gli aneliti) del mondo
contemporaneo con un atteggiamento assolutamente indecoroso e privo
di qualsiasi moralità. È puro narcisismo travestito da miseria.
Tanto che, quando arriva il momento di provare compassione per lei,
diventa impossibile.
I segmenti di finzione che
Signe immagina nella sua testa, nel più puro stile
“Scrubs” ma con una componente aggiuntiva di derealizzazione, sono
il modo in cui il film cerca di farci capire che nessuna delle sue
azioni deriva dalla cattiveria, ma dal bisogno di essere compresa
anche dal suo stesso ragazzo. Una coppia tanto infelice quanto
impossibile in cui nulla può finire bene. Fin dall’inizio, gli eroi
di questa storia sono i cattivi stessi, che scoprono troppo tardi
che le azioni hanno delle conseguenze e che forse la fama non
valeva poi così tanto.
Signe è un personaggio problematico
e una protagonista insopportabile, ma già solo questo la rende
ancora più interessante; l’interpretazione di Kristine
Kujath Thorp (“Ninjababy“)
è impeccabile e restituisce allo stesso tempo la finzione e la
veridicità di Signe, estremamente confuse ma molto umane; tutti noi
abbiamo avuto momenti in cui abbiamo sperimentato un impulso
corrotto a essere riconosciuti anche se non lo meritiamo
pienamente, soprattutto se abbiamo subito continue delusioni.
Forse, la consapevolezza più cruda
a cui arriviamo guardando Sick of Myself è che, in
fondo, la distanza tra la storia di Signe e la maggior parte di noi
non è molta. L’estremismo con cui la protagonista compie le sue
azioni non è forse dovuto al bisogno di riconoscimento, ma alla
costante approvazione e frustrazione che il continuo rifiuto porta
con se. L’autodistruzione riuscita lascia la sua eroina scioccata
al suo destino nel tumulto di un fermo immagine campeggiante,
mentre si trova con i suoi sprezzanti colleghi a una seduta di
“terapia alternativa“. Mostruosamente euforica e ancora
una volta beatamente autocelebrativa, come se avesse appena coniato
il felice concetto della sindrome da Sick of Myself. O
forse l’avevamo già creata e Signe è una semplice infetta?
La serie HBO
TheOutsider è uno dei
titoli del momento, grazie all’ottima ricezione critica e al grande
riscontro di pubblico. Con protagonisti gli attori Ben
Mendelsohn e Jason
Bateman, la storia ruota intorno ad un misterioso
omicidio, che sembra coinvolgere eventi paranormali. Basata
sull’omonimo romanzo di Stephen King, la serie ripropone piuttosto
fedelmente molti degli elementi di successo del libro, ma
nell’adattare quasi 600 pagine in soli dieci episodi qualcosa viene
naturalmente ad essere tagliato per il bene della narrazione.
Ecco dunque le principali differenze tra la serie e il
romanzo The Outsider.
The Outsider: le differenze tra la serie e il romanzo
La serie è ambientata in un
contesto differente
Mentre nel libro le vicende si
svolgono nella fittizia cittadina di Flint City, collocata nello
stato dell’Oklahoma, nella serie il tutto è invece stato spostato
in Georgia.
Secondo molti tale scelta è stata
dettata dalla volontà di dare alla serie quella tipica
ambientazione del Sud che ha decretato il successo anche di
un’altra celebre serie crime: True
Detective.
Sono stati apportati cambiamenti alla vita personale del
protagonista
Il detective Ralph Anderson, nella
serie interpretato da BenMendelsohn, è il protagonista della vicenda.
Stando a quanto viene raccontato nella serie, suo figlio è deceduto
anni prima per via di un cancro. Nel romanzo di Stephen King, invece, il ragazzo si troverebbe
ad un campo estivo. Questo permetteva di costruire una maggior
paura nel personaggio protagonista, che teme per l’incolumità del
figlio. Una tensione mentale che invece nella serie viene a
decadere.
The Outsider: i personaggi della
serie
Nella serie viene ampliata una determinata storyline
All’interno del romanzo di Stephen King, il detective Anderson
intrattiene delle brevi conversazioni con un terapista, ma questo
non risulta essere un dettaglio fondamentale.
Nella serie, invece, è un
escamotage particolarmente presente, attraverso il quale lo
spettatore può venire a conoscenza di una serie di eventi legati al
passato del personaggio altrimenti difficili da mostrare.
È stata cambiata l’etnia di un personaggio
L’investigatrice privata Holly
Gibney viene descritta nel libro come una donna dalla carnagione
particolarmente pallida e un’acconciatura di capelli grigi che lo
forma una caratteristica frangetta sulla fronte.
Nella serie il personaggio ha
tuttavia subito dei drastici cambiamenti, venendo interpretato
dall’attrice Cynthia Erivo, recentemente nominata
ai premi Oscar.
Il personaggio di Holly ha delle
peculiarità in più.
Rispetto al romanzo, nella serie
viene accentuata una forma di autismo posseduta dal personaggio di
Holly. Questi sembra infatti a conoscenza di uno sterminato numero
di dettagli, così come dimostra di avere la capacità di indicare
dettagli ad altri difficilmente accessibili.
Nella sua scena introduttiva viene
infatti mostrata mentre elenca a memoria i modelli di auto che le
passano davanti. Nel romanzo, invece, la sua unica ossessione è la
vastissima collezione di DVD posseduta.
The Outsider: l’elemento
soprannaturale
Un’altra grande differenza tra il
romanzo e la serie è l’elemento soprannaturale che aleggia sulla
storia. Nelle pagine di Stephen King, questo viene allo scoperto
soltanto verso la fine della storia.
Al contrario, nella serie, sin da
subito viene posto all’attenzione dello spettatore tale elemento.
L’obiettivo era infatti quello di far capire che non si trattava di
un’altra qualunque storia crime, ma che in gioco ci sono forze
molto più oscure di quello che si pensi.
L’introduzione della
creatura.
Alla base dell’elemento
soprannaturale della serie vi è El Cuco, una creatura dai
misteriosi poteri che diventerà l’elemento centrale del caso per
omicidio. Mentre nel libro la mitologia del personaggio viene
raccontata per primo al detective Anderson, nella serie è Holly a
farne la conoscenza da una detenuta della prigione.
Attraverso una più intricata rete
di crimini, il personaggio inizia infatti a diventare una presenza
costante nei discorsi dei detenuti.
The Outsider: il personaggio di
Andy
Il personaggio è stato scritto
appositamente per la serie.
Ulteriore elemento di differenza
tra il romanzo e la serie è il personaggio di Andy. Questi è
totalmente assente dal libro, mentre nelle puntate mandate in onda
in televisione diventa ulteriore elemento di supporto per il caso
principale, nonché elemento utile ad una storyline sentimentale con
l’investigatrice Holly.
The Outsider: il cambio dei
nomi
Alcuni nomi sono stati modificati
per la serie.
Benché i nomi dei personaggi
principali, come il detective Ralph Anderson e l’accusato Terry
siano rimasti uguali nella trasposizione dal libro alla serie,
altri sono invece stati modificati. Tra questi si annoverano la
moglie di Terry, nel romanzo chiamata Marcy e divenuta Glory nella
serie; o ancora l’avvocato Howie Gold, che è stato trasformato in
Howie Saloman.
Ci sono differenze riguardo la
morte del personaggio.
Il principale accusato
dell’omicidio intorno a cui ruota la vicenda è Terry, interpretato
dall’attore Jason Bateman. Sia nella serie che nel
romanzo, il personaggio viene ferito mortalmente con un colpo di
pistola al collo.
Qui arriva tuttavia la differenza:
nel libro, il detective Anderson, lì presente con Terry, lo incalza
affinché confessi un’ultima volta la propria innocenza o la propria
colpevolezza. Nella serie, invece, Anderson non dice nulla, è lo
stesso Terry a precisare la sua estraneità ai fatti.
“Là dove c’è una bella storia da
raccontare, per me vale sempre la pena di raccontarla”
esordisce Manuel Zicarelli, il protagonista di
La Fortuna è in un altro Biscotto, esordio al
cinema di Marco Placanica, che porta sul grande
schermo, dal 5 ottobre grazie a Ahora! Film, una
dark comedy insolita e dai toni sfuggenti.
“Il personaggio di Leo, che
interpreto, è il medium del racconto, la storia principale parte da
lui, ma è anche il punto di incontro delle storie secondarie. Per
me era importante interpretare un personaggio così complesso, che
indossasse una maschera per quasi tutto il film, una maschera che
utilizza per sopravvivere – spiega Zicarelli – Leo è
rinchiuso dentro al negozio che gli ha lasciato il padre, che
diventa per lui quasi una prigione, tuttavia lui vuole a tutti i
costi che l’esercizio sopravviva e quindi indossa questa maschera
che lo aiuta a essere la persona giusta che può gestire il negozio.
Per me è stato questo il punto di partenza con il personaggio di
Leo e con l’intera storia di La Fortuna è in un altro Biscotto“.
“Leo si porta addosso il
fardello di un’eredità che gli è stata tramandata dal padre. Questa
eredità lo schiaccia e diventa il simbolo di tutto quelli che
vorrebbero diventare dei padri, ma sono schiacciati a loro volta
dai loro stessi padri e restano figli. Si tratta di una dinamica
che tocca tutti e il fulcro del personaggio di Leo è proprio
questo: diventare lui un padre, nel senso più ampio del
termine.”
Sulla definizione del film come
dark-comedy, Manuel
Zicarelliha un punto di vista molto
chiaro:
“La
Fortuna è in un altro Biscottoè
definita una dark comedy, ma noi che abbiamo fatto il film siamo
consapevoli che la vita non è bianca o nera, la vita è piena di
momenti drammaticamente ironici o viceversa, e questo è quello che
abbiamoc ercato di raccontare. In particolare, quando Marco
Placanica, il regista, ha approcciato la sceneggiatura, aveva già
in mano un testo che era per molti versi tragicomico, ma lui ha
dato un tono molto drak a tutta la storia.”
Ma dove si sente più a casa sua
ManuelZicarelli, che, dopo
l’esordio a teatro da giovanissimo, ha spaziato tra cinema e tv?
“Mi trovo altrettanto bene sulle tavole del palcoscenico come
davanti alla macchina da presa. Per me cambia solo il mezzo, perché
quello che conta è raccontare delle storie attraverso i caratteri e
i personaggi e i pensieri di altre persone. Negli ultimi anni però
mi sto concentrando di più sul cinema.”
Uscito nel 2001 al cinema, il
film Il diario di Bridget Jones si è
imposto come una delle commedie romantiche più apprezzate e
iconiche del nuovo millennio. Il suo merito sta non solo
nell’essere un brillante adattamento dell’omonimo libro di
Helen Fielding, ma anche nell’aver proposto una
protagonista fuori dai canoni e proprio per questo capace di
risultare più vera presso il grande pubblico, che ha potuto
facilmente immedesimarsi in lei e nelle sue avventure e
disavventure lavorative e romantiche. Diretto da Sharon
Maguire, il film è dunque stato un grandissimo successo
sia al box office che tra la critica.
Si tratta dunque di un grande
classico di questo genere, caratterizzato non solo da divertenti
situazioni tipiche di questa tipologia di film ma anche da
interpretazioni di alto livello. Per tutti i fan di questo genere,
Il diario di Bridget Jones è dunque un titolo da non
perdere. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà
certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità
relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti
possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi al
libro, alla trama, al
cast di attori e ai sequel.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Il diario di Bridget
Jones: il libro di Helen Fielding
Il diario di Bridget Jones
nasce ufficialmente il 28 febbraio del 1995 come rubrica curata
dalla giornalista Helen Fielding sul quotidiano
britannico The Independent. In essa, si descrive
ogni settimana il punto di vista di una donna di trent’anni,
single, in cerca di amore e stabilità. Il successo straordinario di
tale rubrica ha poi spinto la Fielding a rielaborare quanto scritto
in un romanzo omonimo, pubblicato nel 1996. Anche questo si è poi
affermato come un grandissimo successo letterario, con oltre 10
milioni di copie vendute nei primi sette anni. La calorosa
accoglienza del romanzo ne ha decretato la strada verso il grande
schermo.
Ciò che ha reso Il diario di
Bridget Jones un fenomeno culturale mondiale è in particolare
il suo proporre un personaggio che dialoga in modo realistico con i
problemi e le aspirazioni delle donne del tardo XX Secolo. Sono
infatti rappresentate molte delle ansie che colpirono i trentenni,
sia donna che uomini, negli anni Novanta. Il fatto che Bridget
Jones sia un personaggio tanto poco conforme agli standard, tra i
suoi vizi e le sue manie, la rende adatta anche ad un pubblico
maschile. Il libro, inoltre, è anche considerato come uno dei
principali fondatori del cosiddetto Chick Lit, ovvero quel
genere letterario rappresentato da scrittrici che si rivolgono
prevalentemente ad un pubblico di donne giovani, single e in
carriera.
Infine, non si può sottolineare il
fatto che la Fielding, in fase di scrittura, abbia avuto come
modello da cui trarre ispirazione il classico della letteratura
Orgoglio e pregiudizio di Jane
Austen, a cui Il diario di Bridget Jones è
ispirato. L’adattamento cinematografico ha presentato alcune sfide
tecniche. Il pensiero di Bridget, onnipresente nel libro che è
infatti strutturato come un diario, è difficilmente comunicabile in
un film. La Fielding e lo sceneggiatore Andrew
Davies si sono dunque occupati in particolare di tradurre
le preoccupazioni di Bridget Jones in uno stile cinematografico,
che potesse dunque rendere visibile ciò che nel libro è espresso
attraverso i pensieri.
Il diario di Bridget
Jones: la trama e il cast del film
Protagonista del film è dunque
Bridget Jones, una trentenne insoddisfatta della
propria vita e della propria forma fisica, con una profonda cotta
per il suo capo Daniel Cleaver. Quando è chiamata
a partecipare all’annuale cena di Capodanno a casa di sua madre,
Bridget incontra qui l’ammaliante e introverso avvocato
Mark Darcy, dal quale rimane profondamente
colpita. Decisa a migliorarsi, la donna inizia dunque a tenere un
proprio diario dove annotare quanto le accade e gli impegni fatti
per dare una sistemata alla sua vita. Allo stesso tempo, Bridget si
ritrova inaspettatamente al centro delle attenzioni sia di Daniel
che di Mark, i quali erano un tempo grandi amici. Fare una scelta
tra i due pretendenti sarà per lei però molto difficile.
Per interpretare Bridget Jones
furono prese in considerazione attrici come Kate
Winslet e Helena Bonham Carter, ma ad
ottenere il ruolo fu l’americana Renee
Zellwegger. La cosa suscitò parecchie lamentele, in
quanto veniva tradita la natura profondamente inglese del
personaggio. La Zellwegger però studiò a lungo per dar vita ad un
convincente accento inglese, lavorò presso una casa editrice e mise
su circa 12 chili, dando dunque vita ad una perfetta versione di
Bridget Jones. Il suo impegno e la sua interpretazione furono poi
lodati ampiamente la Zellwegger ottenne anche una nomination come
miglior attrice ai premi Oscar.
Accanto a lei, nel ruolo di Daniel
Cleaver vi è invece l’attore Hugh Grant,
lieto per una volta di poter abbandonaree il ruolo dell’eroe
romantico e rivelare un lato più cinico e deprecabile. Colin Firth,
invece, è l’affascinante avvocato Mark Darcy. Tale personaggio era
stato scritto dalla Fielding proprio ispirandosi al signor Darcy di
Orgoglio e pregiudizio, interpretato dallo stesso Firth
nell’omonima serie televisiva del 1995. Nel film recitano poi gli
attori Jim Broadbent e Gemma
Jones nei panni del padre e della madre di Bridget, mentre
Shirley Henderson, James Callis e
Sally Phillips sono Jude, Tom e Shazzer, amici di
Bridget.
Il diario di Bridget
Jones: i sequel, il trailer e dove vedere il film in streaming
e in TV
Dato il grande successo del film,
nel 2004 è stato realizzato un sequel dal titolo Che pasticcio, Bridget
Jones!, interpretato ovviamente sempre dalla
Zellwegger, da Firth e da Grant. Si portano così avanti le vicende
dell’amata protagonista, divisa tra il lavoro e una sfera
sentimentale quantomai complicata. Pur incassando sensibilmente
meno, anche questo dimostrò il grande interesse del pubblico nel
personaggio e nel modo in cui questo affronta il suo genere di
riferimento. Dopo 12 anni di attesa, nel 2016 è infine stato
distribuito Bridget Jones’sBaby, dove la protagonista si ritrova
alle prese con una maternità senza sapere esattamente di chi sia il
figlio.
In attesa di vedere tali sequel, è
possibile fruire di Il diario di Bridget
Jones grazie alla sua presenza su alcune delle più
popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è
infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Google
Play, Apple iTunes, Now, Paramount+ e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la
piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o
sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il
film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
mercoledì 4 ottobre alle ore
21:10 sul canale La 5.
Julia Ormond,
l’attrice inglese meglio conosciuta per i suoi ruoli in film degli
anni ’90 come Vento di passioni, Il primo cavalier” e Il senso di
Smilla per la neve, ha fatto causa aHarvey
Weinsteinper aggressione
sessuale. Ormond ha inoltre citato in giudizio
CAA, The Walt Disney Company e
Miramax. Sebbene Weinstein sia stato nominato
imputato in numerose cause legali per violenza sessuale da quando
gli articoli pubblicati nel 2017 sul New York Times e sul New
Yorker hanno scoperto
i suoi presunti modellidi cattiva condotta nei
confronti di dozzine di donne nel settore dell’intrattenimento, è
raro che i partner commerciali che hanno tratto profitto dal lavoro
di Weinstein siano stati imputato per aver presumibilmente
consentito il suo comportamento.
In una causa intentata
mercoledì mattina alla Corte Suprema di New York, come appreso da
daVariety, Ormond ha sostenuto
che Weinstein l’ha aggredita sessualmente nel 1995 dopo una cena di
lavoro, quando l’ha convinta a fargli un massaggio, le è salito
sopra, si è masturbato e l’ha costretta a fargli del sesso
orale.Dopo la presunta aggressione, Ormond ha
informato i suoi agenti Bryan
Lourd e Kevin Huvanedi cosa era successo con Weinstein, secondo la causa, in cui
si afferma che gli agenti della CAA l’hanno avvertita nel parlare
apertamente e non l’hanno protetta. (Lourd e Huvane, che oggi sono
co-presidenti della CAA, non sono nominati come imputati, ma sono
spesso menzionati nella causa di Ormond come suoi rappresentanti
all’epoca.)
Julia Ormond ha
citato in giudizio la CAA per negligenza e violazione del dovere
fiduciario.Miramax, la società che Weinstein ha
co-fondato con suo fratello Bob, e The Walt Disney Company, che
possedeva Miramax negli anni ’90, sono state citate in giudizio per
negligenza nella supervisione e nella conservazione. (Numerosi
ex dirigenti della Miramax e della Disney sono citati nella causa,
tra cui Michael Eisner, che all’epoca era
amministratore delegato della Disney, e Jeffrey
Katzenberg, che era presidente della Disney, sebbene non
siano imputati. I dirigenti della Disney menzionati nella causa non
lavoro più in azienda.)
“Gli uomini della CAA che
rappresentavano Ormond sapevano di Weinstein. Lo stesso hanno
fatto i datori di lavoro di Weinstein alla Miramax e alla Disney”,
si legge nella causa. “Sfacciatamente, nessuna di queste
importanti aziende ha avvertito Ormond che Weinstein aveva una
storia di aggressioni alle donne perché era troppo importante,
troppo potente e faceva loro troppi soldi.”Weinstein, CAA, Disney e Miramax non hanno risposto
immediatamente alla richiesta di commento
di Variety .
01 Distribution e Leone Film Group
hanno diffuso il trailer The
Beekper, il nuovo film diretto da David
Ayer (Suicide
Squade Fury) con Jason Statham protagonista! Nel film The
Beekper la spietata vendetta di un uomo si trasforma
in una minaccia nazionale quando emerge il suo passato come membro
di una potente organizzazione segreta chiamata i “Beekepers”.
Protagonisti nel film oltre a Jason Statham, anche Emmy
Raver-Lampman,
Josh Hutcherson, Bobby Naderi, Minnie Driver, con Phylicia
Rashad e
Jeremy Irons.
Amazon MGM Studios presenta una
presentazione Miramax Una produzione Miramax / Cedar Park / Punch
Palace Productions Diretto da: David Ayer, Scritto da: Kurt Wimmer.
Prodotto da Bill Block, Jason Statham, David Ayer, Chris Long,
p.g.a., Kurt Wimmer. Produttori esecutivi: Andrew Golov, Thom
Zadra, Mark Birmingham Colonna sonora composta da: David Sardy e
Jared Michael Fry
C’era anche La moglie di
Tchaikovskydi
Kirill Serebrennikov nell’edizione 2022 del
Festival di Cannes, quella che ha visto assegnare la
Palma d’Oro a
Ruben Ostlund con
Ttriangle of sadness. Il lavoro con cui il regista
russo torna nelle sale italiane dal 5 ottobre non indaga la vita
del più famoso compositore russo utilizzando lui stesso come punto
focale – come aveva fatto L’altra faccia dell’amore di Ken
Russell, con Richard Chamberlain e Glenda Jackson, del 1970. Adotta
invece il punto di vista della moglie, Antonina Miljukova, preda di
un’ossessione d’amore che vuole imporre sé stessa. Ossessione,
seppur religiosa, era d’altronde anche quella del protagonista di
Parola di Dio, film diretto da
Serebrennicov nel 2016.
La storia di Antonina
Miljukova
Russia, 1893. Il grande compositore
russo Pyotr Tchaikovsky, Odin Lund Biron, è morto.
Sua moglie, Antonina Miljukova, Alyona Mikhailova,
si reca alla veglia funebre. La sua mente ritorna agli inizi della
loro storia, vent’anni prima, quando, giovane aspirante musicista,
aveva conosciuto il già noto Tchaicovsky, uomo schivo e scostante,
e se ne era innamorata a prima vista. I due si erano poi sposati.
Lui per convenienza, per coprire con un matrimonio di facciata la
sua omosessualità e mettere a tacere i pettegolezzi in un paese
tradizionalista e bigotto. Lei, preda di una infatuazione che si
sarebbe presto trasformata in ossessione, ma anche desiderosa di
sottrarsi al giogo materno e migliorare la sua condizione sociale.
La relazione sarebbe stata sempre turbolenta, l’unione sfortunata.
Antonina non avrebbe mai accettato l’omosessualità del marito,
decisa a imporgli il suo amore, in virtù della sua posizione di
moglie legittima, ma Tchaikovsky e tutto il suo entourage
l’avrebbero sempre considerata solo una minaccia per l’integrità
fisica e psicologica del musicista.
Viaggio psicologico in un rapporto
tormentato
La moglie di
Tchaikovsky è un viaggio nel profondo di una mente di
donna, di un rapporto complesso e problematico. Un registro che
mescola il realismo con l’elemento onirico e surreale è la chiave
scelta per rendere lo scivolamento della protagonista verso
l’ossessione e la follia – Antonina muore in manicomio nel 1917. Il
regista è molto abile nel costruire l’universo psichico di una
donna intelligente e ambiziosa – ma anche fragile – che non si
accontenta del posto riservato alle donne nella società del suo
tempo. Questo è ciò che Serebrennikov sa fare meglio. Diverse le
scene che colpiscono lo spettatore, non solo per l’intensità delle
interpretazioni, ma anche per la costruzione scenica, il senso
dello spazio. Le mani della protagonista, affusolate e nervose,
spesso inquadrate, ne rispecchiano l’ossessione febbrile.
Serebrennicov sa far emergere le pulsioni frustrate che la
protagonista tiene a freno, ma che poi lascia libere. Un plauso va
certo all’interprete Alyona Mikhailova, intensa e
convincente, e a Odin Lund Biron, Tchaicovsky –
attore americano che ha preso parte alla serie tv Interns. L’eros e
le pulsioni contrastanti e insopprimibili di entrambi i
protagonisti, sono il perno del film, l’elemento attorno al quale
ruota anche il conflitto insanabile tra i due.
Il cast de La moglie di
Tchaicovsky
Anche il resto del cast offre buone
prove: dalla sorella di Antonina, interpretata da Ekaterina
Ermishina, ai fratelli di Tchaicovsky, Modest,
Filipp Avdeev, e Sasha, Varvara
Shmykova, fino all’avvocato Shlykov, amante di Antonina,
interpretato da Vladimir Mishukov. Gli interpreti
sanno stare al fianco dei protagonisti, arricchendo la
pellicola.
La componente visiva
Il lavoro si distingue per la sua
forte componente visiva e per un’estetica ben delineata. L’elemento
onirico, infatti, ben si accorda con le atmosfere fumose della
Mosca ottocentesca e di San Pietroburgo. La pioggia è spesso
presente, il grigio plumbeo è dominante, i colori sono spenti,
desaturati. Su questi, spicca il rosso dell’abito di Antonina. La
fotografia è curata da Vladislav Opeliants.
La condizione femminile ne La moglie di Tchaicovsky
Una serie di altre questioni ruotano
attorno all’approfondimento psicologico dei personaggi principali.
Insieme, compongono un mosaico ricco, senza mai offuscare il fulcro
del film. Una scrittura efficace, curata dallo stesso regista,
rende La moglie di Tchaicovsky un’opera
coesa. Il ritmo è forse a tratti lento, ma nonostante superi le due
ore di durata, il lavoro riesce a tenere, nell’insieme, lo
spettatore attento. Tra i temi che arricchiscono il film,
rendendolo accessibile a diverse letture, la condizione femminile.
La protagonista de La moglie di
Tchaicovsky è una donna determinata, che non si
accontenta di essere relegata a un ruolo di secondo piano. Se non
si può parlare di femminismo – anche perchè Antonina non lotta per
la collettività delle donne, ma per sé – certo è evidente un
desiderio di affermare la propria libertà e il proprio valore. La
condizione di sudditanza rispetto all’uomo nella società
ottocentesca russa è evidente e sottolineata dal regista. Antonina
si prende, poi, la sua rivincita, usando a sua volta un uomo,
l’avvocato Shlykov. Lo degnerà della stessa scarsa considerazione
che lei riceve dal marito.
La questione sociale e i diritti
civili
La moglie di
Tchaicovsky è anche una critica alla “madre Russia”,
da parte di uno dei suoi figli, che oggi vive all’estero e di cui è
nota la posizione contraria al conflitto russo-ucraino.
Serebrennikov non manca di sottolineare la fame e l’indigenza nella
Russia dell’Ottocento. Poveri e mendicanti all’entrata di una
chiesa sono spesso l’ogetto dello sguardo del regista. La
protagonista avrebbe forse rischiato di essere una di loro, se non
avesse sposato Tchaikovsky. Anche nella sua famiglia, pur di nobili
origini, regna la miseria. La questione sociale sta dunque a cuore
al regista, che sembra sottolineare come il paese sia da un lato
patria di grandi geni, come Tchaicovsky, ma non sappia prendersi
cura dei suoi figli più bisognosi. Così come non è in grado di
accettare l’omosessualità del compositore, spinto a un matrimonio
di facciata in un paese preda di una religiosità bigotta, lo si
percepisce chiaramente nel film. Tema, quello delle discriminazioni
e perfino del contrasto all’omosessualità, che è purtroppo ancora
attuale in Russia.
Regista premio Oscar,
Clint Eastwood ha nel corso dei
decenni dato non solo prova di grande prolificità ma anche di
versatilità. In particolare, però, la sua carriera si è edificata
sui generi del western e del poliziesco, da lui poi rielaborati in
più modi nel corso degli anni. Dopo aver diretto Lo straniero senza
nome, appartenente al primo dei due generi, nel 1977 ha
invece realizzato L’uomo nel mirino, che
si configura come una fusione di entrambi. Si tratta infatti di un
film con le caratteristiche del poliziesco, con complotti e misteri
da risolvere, collocato però in terre desolate e con sparatorie
tipiche del western.
Scritto da Dennis
Shryack e Michal Butler, il film sembrò
da subito perfetto per Eastwood, che conosceva profondamente quel
tipo di storie e personaggi. Il suo ingresso nel progetto permise
infatti di fargli acquisire una serie di caratteristiche ulteriori,
che hanno poi fatto la fortuna del film. Notoriamente celere nelle
riprese e rispettoso del budget concesso, Eastwood riuscì a gestire
tutto ciò dando vita a sequenze d’azione di grande impatto, come
anche ad un curioso record. L’uomo nel mirino è infatti
entrato nel Guinnes dei primati come il film in cui vengono sparate
il maggior numero di cartucce, attestate intorno alle 10 mila.
Costato 5 milioni e mezzo di
dollari, e girato nel deserto tra l’Arizona e il Nevada, il film è
ancora oggi uno dei titoli più apprezzati della filmografia del
reigsta e attore, vera e propria garanzia sin dai suoi primi lavori
dietro la macchina da presa. Prima di intraprendere una visione del
film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
L’uomo nel mirino: la
trama del film
Protagonista del film è il detective
Ben Shockley, dal carattere burbero e dipendente
dall’alcol. L’uomo, da sempre piuttosto sprovveduto nel suo lavoro,
si ritrova coinvolto in una missione inaspettata e apparentemente
semplice. Il suo capo, il commissario Blakelock
gli affida infatti la custodia della giovane Gus
Mally, la quale da Phoenix deve essere portata a Las Vegas
per fare da testimone ad un delicato processo. Inizialmente
riluttante all’idea di dover viaggiare, Ben si ritrova costretto ad
accettare l’incarico, nella speranza che questo si risolva nel
minor tempo possibile. Durante il viaggio, però, Ben scopre che Gus
è in realtà una prostituta tanto intelligente quanto
aggressiva.
Quello a cui lei dovrà testimoniare,
inoltre, non è un processo qualunque, bensì quello contro un
potente gangster della zona. Sono dunque in pochi ad avere
interesse affinché la ragazza arrivi sana e salva a Las Vegas e ben
presto lei e Ben si ritroveranno inseguiti dalla mafia. Per loro ha
così inizio una vera e propria fuga con il disperato tentativo di
rimanere vivi. Nel richiedere rinforzi, inoltre, Ben capirà di come
anche quelli che sembravano essere dalla sua parte sono invece
pedine di un gioco di potere molto più grande e pericoloso.
Arrivare sani e salvi al tribunale, allora, sarà il loro unico modo
per ottenere giustizia.
L’uomo nel mirino: il cast del film
Per quanto L’uomo nel
mirino sembri essere un film perfettamente nelle corde di
Eastwood, questo era inizialmente stato scritto per gli attori
Marlon Brando e
Barbra Streisand, che avrebbero dovuto
interpretare i due protagonisti. Tuttavia, Brando finì con il
tirarsi fuori dal progetto, venendo sostituito con l’attore
Steve McQueen.
Questi però non riusciva ad andare d’accordo con la Straisand ed
entrambi finirono con il rinunciare alla rispettiva parte. Fu a
quel punto che Clint Eastwood
venne scelto per il ruolo di Ben Shockley. Desiderando ricoprire
anche il ruolo di regista, questi firmò così il suo primo
poliziesco. Negli anni sarebbero poi stati seguiti anche da
Debito di sangue, La recluta e Coraggio… fatti
ammazzare.
Accanto a lui, nel ruolo della
testimone Gus Mally vi è l’attrice Sandra Locke.
Questa ed Eastwood erano inoltre in una relazione sentimentale già
da due anni, e questo era il loro secondo di sei film insieme. Nei
panni del commissario Blakelock, si ritrova l’attore
William Prince, principalmente noto per i suoi
ruoli televisivi in diverse soap opera. L’attore Pat
Hingle, celebre per aver interpretato il commissario Jim
Gordon nella serie di film di Batman tra il 1989 e il 1997,
interpreta qui Maynard Josephson, vecchio amico di Ben e l’unico di
cui il protagonista potrà fidarsi. Sono poi presenti
BillMcKinney, noto collaboratore
di Eastwood, nei panni di Constable, Michael
Cavanaugh in quelli del procuratore Feyderspiel e
Carole Cook in quelli di una cameriera.
L’uomo nel mirino: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. L’uomo nel
mirino è infatti disponibile nei cataloghi di
Google Play, Apple iTunes e Prime Video. Per
vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà
noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo
di mercoledì 4 ottobre alle ore
21:00 sul canale Iris.
Negli anni ’50, una ancora molto
giovane Oriana Fallaci si reca a Hollywood per
incontrare Marilyn Monroe. Non riuscendo però ad
ottenere un’intervista con la celebre diva, la giornalista inizia
allora ad esplorare il mondo variegato del cinema americano, fatto
di stelle nascenti e divi indiscussi. Come sottolinea nel suo libro
I sette peccati di Hollywood, diventare attori era il
sogno di molti. Alcuni venivano scoperti per caso e, come accadde
ad esempio Kim Novak, venivano poi ingaggiati per
ruoli anche importanti. Altri invece dovevano faticare molto per
arrivare a ottenere una qualunque parte. Questa, in fondo, non è
mai stata una carriera facile, eppure molti abiscono a essere delle
star. Ma come scriveva Fallaci, ci sono attori che hanno
lavorato duramente (e continuano a farlo) per essere chi
sono ora, ce ne sono altri che invece hanno avuto la
fortuna di essere notati da qualcuno che poi li ha
lanciati, decretandone il successo. Attualmente, ci sono
diversi attori e attrici di fama mondiale che hanno avuto la loro
occasione davvero solo per puro caso o semplice fortuna. Ma quali
sono?
Sarah Michelle Gellar
Quando pensiamo a Sarah Michelle Gellar, la prima cosa che ci
viene in mente è: Buffy. La biondissima Gellar, diventata molto
famosa nel ruolo dell’ammazzavampiri, fu scoperta quando era
davvero molto piccola, tanto che iniziò a recitare all’età di
quattro anni (un inizio simile a quello di Judy
Garland, potremmo quasi dire). Secondo quanto riporta il
New York Times, si trovava a cena con la sua famiglia
quando un agente le si avvicinò e incoraggiò loro a scritturarla.
Passò davvero poco tempo quando la chiamarono per comunicarle che
avrebbe recitato in un film dal titolo Invasione della
privacy. Prima di ottenre il ruolo da protagonista nell’oramai
famosa serie
Buffy l’ammazzavapiri, Gellar recitò anche in alcuni spot
pubblicitari.
Mel Gibson
Nel cuore di Mel Gibson c’è sempre stata la recitazione,
sin da quando era molto giovane. Quando aveva solo 12 anni, dopo un
trasferimento con la sua famiglia in Australia, l’attore si
iscrisse subito al National Institute of Dramatic Art di Sydney,
prendendo parte a diversi spettacoli teatrali. L’occasione della
vita però gli arrivò solo a 20 anni, quando accompagnò un amico a
fare un’audizione per una parte. Il film per cui stavano facendo i
casting era proprio Mad Max, una delle pellicole che inizialmente
contribuì a renderlo noto. Ciò che catturò l’attenzione del team
casting fu il suo viso, che aveva alcuni lividi a causa di una
rissa avvenuta nei giorni precedenti: dopo avergli scattato alcune
foto gli chiesero di ritornare lì una volta guarito. Il provino
andò molto bene e alla fine Gibson ottenne il ruolo da attore
protagonista.
Ellen Pompeo
Ellen Pompeo è una vera star nel mondo delle
serie tv, grazie principalmente al suo ruolo di Meredith Grey nella
fortunata serie di Shonda Rhimes, Grey’s
Anatomy. Tra l’altro, rispetto ad altri attori, almeno nel
campo della serialità l’attrice ha potuto contare sul suo
personaggio per lunghi anni. Ma come fu scoperta? Prima di
cavalcare l’onda della recitazione, Pompeo era una barista che,
come in alcune migliori comedy, sognava proprio di diventare
un’attrice. Il problema, però, e che non sapeva come introdursi nel
settore, fino a quando un agente un giorno non l’avvicinò e iniziò
a metterla in contatto con diversi casting. Quando si dice: a volte
è questione di fortuna!
Rosario Dawson
Protagonista dell’attuale serie di
successo, Ahsoka,Rosario Dawson è un’altra attrice che ad
Hollywood non può lamentare di avere una carriera poco proficua o
insoddisfacente. Tutto cominciò quando aveva quindici anni ed era
una semplice cittadina di New York. Un bel giorno, da quanto
riporta Biography, fu notata proprio dal regista Larry
Clark quando era fuori dalla porta di casa sua, il quale le disse
che sarebbe stata perfetta per un ruolo nel suo prossimo film. Fu
perciò scritturata per Kids e da lì decollò, fino ad
arrivare ora a ricoprire ruoli molto importanti.
Danny Trejo
Un volto duro appartenente al mondo
del cinema è quello di Danny Trejo. L’attore, di origini
messicane ma nato a Echo Park, nei pressi di Los Angeles, non può
vantare una vita rosea e semplice. Trejo in passato è stato più
volte in prigione a causa di droga e criminalità e, dopo questa
serie di accadimenti, secondo quanto riporta Today, decise
di diventare uno sponsor di tossicodipendenti in difficoltà. Alla
fine, venne chiamato da uno di loro affinché lo aiutasse a non
ricadere nella droga mentre era su un set di un film di Hollywood.
Fu allora che gli chiesero se voleva fare una comparsa
interpretando proprio un detenuto. Trejo accettò e iniziò così la
sua carriera da attore. Fra i suoi ruoli più importanti ricordiamo
Machete e Dal tramonto all’alba.
Jennifer Lawrence
Una delle stelle sempre più
promettenti del nostro cinema contemporaneo è senza ombra di dubbio
Jennifer Lawrence, vista di recente in
Fidanzata in affitto, commedia irreverente dai toni
comici. L’attrice ha spiccato il volo grazie soprattutto a
Hunger Games, franchise nel quale ha vestito i panni
dell’audace Katniss Everdeen. Nonostante il suo enorme successo,
secondo quanto riporta MTV, Lawrence ha intrapreso questa
carriera davvero per caso. Era in vacanza a New York quando
incontrò casualmente un talent scout, che le si avvicinò per
chiederle il numero di telefono mentre era a Union Square in
compagnia della madre. Iniziò come modella, fino a quando non fu
scritturata per spot pubblicitari e ruoli televisivi.
Harrison Ford
Harrison Ford è, prima di ogni cosa, l’Indiana
Jones e l’Han Solo di tutti. Un viso scultoreo
riconoscibile e una carriera invidiabile, che però l’attore ha
faticato a ottenere. Ford voleva entrare nel mondo del cinema e
riusciva a ottenere anche piccoli ruoli, che però non gli
permettevano di decollare come lui desiderava, soprattutto perché a
livello economico non era in grado di mantenere moglie e figli.
Così, decise di iniziare a lavorare come carpentiere a Hollywood,
nella speranza che alla fine avrebbe ottenuto una parte più
importante. Dopo qualche anno, la fortuna girò dalla sua parte
poiché ad un certo punto trovò sostegno nel direttore del casting
Fred Roos, che lo assunse per lavori di falegnameria il più spesso
possibile, nel tentativo di collocarlo con le persone giuste che
potessero notarlo. E così, nel 1976, l’attore arrivò per caso su un
set dove c’era George Lucas che stava effettuando il casting per un
ruolo in Star
Wars. Ford aveva già lavorato con il regista per
American Graffiti e Lucas non voleva riutilizzare quegli
attori per il suo nuovo film, così decise di assumerlo solo per
leggere le battute dei provini. Ma alla fine, incoraggiato da Fred
Roos, si convinse che era l’uomo giusto per interpretare Han Solo.
Il resto, come ben sappiamo, è storia.
Shelley Duvall
Pensando a Shelley
Duvall non possiamo fare a meno di avvertire un brivido
lungo la schiena. Questo perché, fra le altre cose, l’attrice ci fa
tornare alla mente il personaggio di Wendy Torrance nel cult
Shining. Sicuramente ad aiutarla a ottenere ruoli
importanti fu il suo aspetto molto particolare e caratteristico,
che difficilmente si può dimenticare. Ma come divenne famosa?
Secondo quanto riporta Biography, quando era giovane, l’attrice
andò a un party di findanzamento dove fortuna volle che venisse
notata da una coppia di location scout, i quali lavoravano per
Robert Altman. Questi, attratto dal suo look, decise di ingaggiarla
per un ruolo da protagonista in Anche gli uccelli
uccidono.
Johnny Depp
Capitan Jack Sparrow… o dovremmo
dire Johnny Depp: l’attuale divo di Hollywood ha
avuto (e continua ad avere) una carriera davvero stellare nel mondo
del cinema. Affascinante, a volte misterioso, dallo sguardo
seducente: Depp si è costruito nel tempo dei ruoli che, oltre a
cucirsi perfettamente addosso a lui, hanno contribuito a renderlo
una delle star contemporanee più famose a livello internazionale.
La sua carriera come attore, però, non era davvero programmata.
Trasferitosi a Los Angeles, Depp sognava di essere un musicista,
tanto che ad un certo punto ebbe proprio una band con la quale
lavorò per diverso tempo. Quando però si resero conto che nessuno
voleva firmare con loro alcun contratto discografico, il gruppo
decise di sciogliersi. Ma a
Depp i soldi continuavano comunque a servigli per pagarsi
l’affitto: subentrò così
Nicolas Cage, all’epoca suo amico, il quale gli suggerì di
provare con la recitazione, dicendogli che lo avrebbe messo in
contatto con il suo agente. Il primo ruolo in un film fu
Nightmare – Dal profondo della notte, con la regia di Wes
Craven. Fino a quando l’incontro con
Tim Burton non gli cambiò radicalmente la vita.
Charlize Theron
Charlize Theron è una vera e propria diva del
cinema internazionale e di Hollywood, ma l’opportunità arrivò anche
a lei proprio quando non se lo aspettava. Aveva 18 anni quando
decise che si voleva buttare nella recitazione. Si trasferì dunque
a Los Angeles e, dopo essere riuscita a trovare qualche lavoro come
modella, si accorse che le sue finanze nonostante tutto erano
scarse e neppure la situazione in cui si trovava era idilliaca.
Secondo quanto riporta Vogue, mentre cercava di incassare un
assegno da un lavoro a New York, la ragazza scoprì che la banca non
era in grado di processare assegni fuori dallo Stato e finì per
supplicare il cassiere di aiutarla. Ad accorrere in suo aiuto fu
però un uomo di nome John Crosby, il quale alla fine le offrì,
uscita dalla banca, il suo biglietto da visita. L’uomo altri non
era l’agente di alcuni clienti famosi, e si propose di
rappresentare anche lei. Da allora, la sua carriera, iniziò
ufficialmente.
Dopo essere stato accolto con enorme
successo allo scorso Sundance Film Festival sbarca su NetflixFair Play,
esordio al cinema della regista Chloe Domont
(Billions, Ballers per
la TV). Al centro della vicenda si trovano Emily e Luke, una coppia
che per continuare a lavorare in un ambiente altamente competitivo
come quello della finanza newyorkese deve mantenere segreta la
propria relazione. Ma cosa succede quando gli equilibri tra uomo e
donna vengono alterati da un’improvvisa promozione? Destinato a far
discutere per il ritratto fortemente veritiero che il film offre
delle difficoltà di una relazione nel mondo contemporaneo, Fair
Play ci è stato raccontato proprio dalla regista con il massimo
della sincerità possibile.
Da dove nasce la voglia di
raccontare la vicenda di Emily e Luke?
Sono stata per anni alla ricerca di
una storia che mi colpisse veramente, tutto quello che scrivevo non
arrivava in profondità o non al momento giusto. Così ho iniziato a
lavorare per la televisione, girando episodi di svariate serie. Ma
intanto la vita andava avanti, ho iniziato a vivere esperienze che
sono diventate nutrimento per questo film. Quando la mia carriera
ha cominciato a decollare, troppo spesso l’ho vissuta come una
sconfitta invece che un successo a causa della relazione che stavo
vivendo. Frequentavo un uomo che mi adorava per la mia ambizione,
per il mio talento ma allo stesso tempo c’era questo sentimento
silenzioso che lo faceva sentire inferiore. Così ho cominciato a
placare il mio entusiasmo per le opportunità che mi si
aprivano,rendendomi conto sulla mia pelle di quanto queste
dinamiche di potere fossero ancora potenti in una relazione tra
uomo e donna apparentemente sana. Si tratta di un problema di cui è
molto difficile parlare, entrambi i membri di una coppia spesso non
vogliono prendere coscienza di cosa sta succedendo. Io non volevo
ammetterlo, pensavo fosse colpa mia, riflettesse le mie scelte
sentimentali sbagliate. Allo stesso un uomo non riesce ad ammettere
di avere questo tipo di sentimenti. Ho sentito la necessità di
scrivere una storia su questo, e non limitarmi nell’essere aperta e
coraggiosa.
Il suo film riesce ad essere
imparziale, mostra senza giudicare. Come ha raggiunto questo
equilibrio?
Non mi interessa raccontare storie e
personaggi che posseggono una visione precisa, dove tutto è bianco
o nero e ci sono eroi integerrimi. Emily decisamente non è
un’eroina ma un semplice essere umano, può essere incasinata e
cattiva. Ma ancora più importante per me era non giudicare la
figura di Luke, per me rappresenta quella generazione incastrata
nel mezzo, cresciuta in una società con un’idea tradizionale di
mascolinità. Questo non lo rende un uomo cattivo, questi sentimenti
non sono colpa sua, volevo rendere esplicito il dolore di questo
sforzo che fa per sopprimere la sua frustrazione. Luke vive una
dualità, vuole supportare Emily ma sente che sarebbe dovuto
arrivare per primo.
Fair Play. Alden Ehrenreich come Luke e Phoebe Dynevor come Emily
in Fair Play. Cr. Sergej Radovic / Courtesy of Netflix
Come è riuscita a sviluppare
l’atmosfera sempre più soffocante in cui si dipana la crisi di
coppia tra i due?
Abbiamo ricostruito la casa e gli
uffici in studio perché volevo avere la libertà di cercare le
angolazioni che volevo, non essere limitata da ambienti veri. Fair
Play in pratica è interamente ambientato in questi due luoghi,
volevo costruire un senso progressivo di claustrofobia, costruire
questa bola tossica da cui Emily e Luke non possono fuggire. Per
quanto riguarda il loro appartamento, andando avanti nelle riprese
abbiamo iniziato a stringere i muri ogni scena del 10%, un qualcosa
che il pubblico non nota ma subisce a livello inconscio. Per
l’ufficio invece ho pensato a un acquario senza barriere, pieno di
riflessi dove specchiarsi ma nessun posto dove nasconderti.
La scelta di Phoebe Dynevor
e Alden Ehrenreich come
protagonisti ha pagato. Come è arrivata a loro?
Il personaggio di Emily è una stella
nascente della finanza, stavo cercando un’attrice nella stessa
situazione, mi hanno fatto il nome di Phoebe così ho guardato
Bridgerton. L’ho trovata incredibilmente
magnetica, forte ma allo stesso tempo versatile. Vi ho visto una
forza e una fierezza che speravo avrebbe scatenato nel ruolo di
Emily, e così è successo. Sono una fan di Alden da quando l’ho
visto in Hail, Caesar! dei fratelli Coen, sono stata felicissima
quando mi ha detto di essere interessato alla sceneggiatura. È un
attore che può addentrarsi dentro i luoghi più oscuri del proprio
ruolo pur partendo da una condizione del tutto diversa, perché
avevo bisogno che Luke all’inizio fosse un uomo amabile e
socievole. Sapevo di dovermi appoggiare su un attore sicuro di sé
per interpretare una psicologia così problematica, ed Alden essendo
avendo un background teatrale ha costruito pezzo per pezzo la
figura di Luke.
C’è un genere in cui le
piacerebbe catalogare il suo film?
Ho sentito dire ad alcuni spettatori
di averlo vissuto come un thriller, altri addirittura un horror. Ho
sentito il pubblico iniziare a ridere soltanto per esternare
l’ansia e il disagio provati. L’ho percepita come la prova che
avevo colpito nel segno. Immaginavo che le donne avrebbero
abbracciato Fair Play, non mi aspettavo invece di vedere così tanti
uomini parlarne e rimanerne colpiti. Il mio non è tanto un film
sull’emancipazione della donna quanto sulla fragilità dell’uomo.
Penso sia difficile affrancare un’etichetta a Fair Play, io sapevo
di voler raccontare i problemi che il senso di inferiorità maschile
può causare in una relazione, certamente volevo esporre il lato
drammatico di questo disequilibrio nel rapporto di coppia.
New York ha una parte
fondamentale in Fair Play. Sarebbe stato lo stesso film se lo
avesse ambientato altrove?
Ho vissuto a New York per otto anni,
vi ho studiato. È la città migliore quando ti senti sul tetto del
mondo, continua a infonderti energia. Allo stesso tempo diventa il
posto peggiore quando invece inizi a sentire la pressione, lo
stress. È come un animale che può annusare la tua paura, la tua
debolezza, e ti attacca per sbranarti. È come un istinto di
conservazione che New York possiede: ci sono troppe persone qui, i
deboli devono essere eliminati. Volevo mostrare la metropoli come
un altro nemico di Luke ed Emily, ho adoperato soprattutto il
sonoro per costruire questo senso di avversione: i suoni della
metropolitana sono ad esempio quasi dolorosi, ti assalgono.
Apple
TV+ ha presentato il trailer di The
Buccaneers, la nuova serie composta da otto episodi e
ispirata all’omonimo romanzo incompiuto della scrittrice premio
Pulitzer Edith Wharton e dalla creatrice
Katherine Jakeways.
Il trailer è accompagnato dalla hit
“all-american bitch” di Olivia Rodrigo e dal nuovo
singolo di Miya Folick “What We Wanna”. The
Buccaneers è una dramedy musicale che fonde l’aristocrazia
inglese del 1870 con una colonna sonora moderna prodotta da Stella
Mozgawa (membro della band Warpaint) e ricca di canzoni delle
migliori interpreti femminili di oggi, tra cui Taylor Swift,
boygenius, Maggie Rogers, Bikini Kill, Yeah Yeah Yeahs, Angel
Olsen, Brandi Carlile e altre ancora, oltre a musiche originali di
Folick, Lucius, Alison Mosshart, Warpaint, Gracie Abrams, Sharon
Van Etten, Bully, Danielle Ponder e altre ancora, nonché delle
AVAWAVES, compositrici della serie.
https://youtu.be/tl1AceOhFYs?si=kpJQiuhNH3vzn706
The Buccaneers: quando
esce in streaming
The Buccaneers in streaming farà il
suo debutto su Apple
TV+ il prossimo 8 novembre con i primi tre episodi,
seguiti da nuovi episodi settimanali ogni mercoledì, fino al 13
dicembre.
La trama della serie tv
The Buccaneers
Ragazze con i soldi, uomini con il
potere. Nuovo denaro, vecchi segreti. Un gruppo di giovani ragazze
americane amanti del divertimento fa esplodere la
Londra strizzata nel corsetto degli anni ’70
dell’Ottocento, dando il via a uno scontro culturale
anglo-americano con la conservatrice Inghilterra attraversata da
un’aria nuova che guarda con disprezzo a secoli di tradizione.
Inviate dall’America per assicurarsi mariti e
titoli, queste giovani donne puntano molto più in
alto, e dire “lo voglio” è solo l’inizio…
The Buccaneers è
interpretato da Kristine Frøseth, nel ruolo di Nan
St. George, Alisha Boe nel ruolo di Conchita
Closson, la candidata al Critics Choice Award Josie
Totah nel ruolo di Mabel Elmsworth, Aubri
Ibrag nel ruolo di Lizzy Elmsworth, Imogen
Waterhouse nel ruolo di Jinny St. George e Mia
Threapleton nel ruolo di Honoria Marable; accanto a loro
completano il cast Josh Dylan nel ruolo di Lord Richard Marable,
Guy Remmers nel ruolo di Theo, Duca di Tintagel, Matthew Broome nel
ruolo di Guy Thwarte e Barney Fishwick nel ruolo di Lord James
Seadown.
Guidata da un team creativo tutto
al femminile, The Buccaneers è scritta dalla
creatrice della serie Katherine Jakeways e diretta dalla vincitrice
del BAFTA Award Susanna White, che ricoprono anche il ruolo di
produttrici esecutive, insieme alla candidata al BAFTA Award Beth
Willis. La serie è prodotta per Apple
TV+ da The Forge Entertainment.
Quanto ci vuole per fare
pace con se stessi, per riscoprirsi uomini e donne diversi, per
trovare il buono nel mondo che ci circonda? Più o meno quanto serve
per percorrere – a piedi – gli 800 chilometri che dividono
Kingsbridge nel Devon dalla lontana Berwick-upon-Twed. Questi gli
estremi dell’incredibile “pellegrinaggio” affrontato da Jim
Broadbent in L’imprevedibile viaggio di
Harold Fry di Hettie Macdonald, che
BiM Distribuzione
porta al cinema a partire dal 5 ottobre. Un’adattamento del
bestseller di Rachel Joyce, qui anche sceneggiatrice, nel quale
troviamo anche la Penelope Wilton di
Downton Abbey.
Chi è Harold Fry, la sua
storia
Harold Fry (Jim
Broadbent) è un normale cittadino britannico, un uomo
qualunque che ha sempre vissuto senza prendere iniziative e oggi
passa le sue giornate nella casa al 13 Fossebridge Road di
Kingsbridge, South Hams, Devon. Con lui la moglie, Maureen
(Penelope Wilton), casalinga silenziosa dedita
alle pulizie e alle parole crociate. Una routine consolidata la
loro, fino a che un giorno arriva una lettera di Queenie Hennessy
(Linda Bassett), una vecchia amica e collega di Harold, molto
malata, che dall’hospice nel quale è ricoverata scrive per dirgli
addio. È il passato che ritorna e Harold stavolta decide di agire,
e di andarla a trovare attraversando a piedi l’Inghilterra,
convinto che il suo gesto la terrà in vita.
La trilogia di Harold Fry di
Rachel Joyce
Trent’anni fa, sulla Rai
(era Tunnel, di Serena Dandini), Vittorio Gassman
conquistava le folle leggendo gli ingredienti dei frollini o
l’etichetta di un capo delicato, analogamente qualsiasi testo o
personaggio si affidi a un Premio Oscar come Jim Broadbent (per
altro scelto per leggere l’audiolibro, in occasione dell’uscita del
romanzo) non può che acquisire un notevole valore aggiunto.
Figurarsi, poi, nel caso del protagonista della trilogia letteraria
firmata dalla sceneggiatrice – in passato atrice, drammaturga
radiofonica ed eletta come esordiente dell’anno nel dicembre 2012 –
e che a “L’imprevedibile viaggio di Harold Fry” ha poi fatto
seguire “The love song of Miss Queenie Hennessy” e
“Maureen Fry and the angel of the North“.
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Né
Forrest Gump, né David Lynch
Un romanzo – il primo, in
questo caso – che ha subito conquistato la regista di Normal
People, anche per le “enormi potenzialità di narrazione visiva” che
il racconto implicava, visto il road movie attraverso l’Inghilterra
che fa da cornice all’esplorazione del personaggio e del suo mondo.
E che ha fatto pensare a molti al Forrest Gump di Tom Hanks
o all’Alvin Straight di Richard Farnsworth in Una storia
vera di David Lynch. Due riferimenti citati anche dalla
comunicazione ufficiale che rischiano di portare fuori strada…
Presentata come
“celebrazione della vita”, come “ritratto dell’amore universale”,
l’Odissea dell’anziano inglese interpretato da Broadbent è sì un
“viaggio tenero e miracoloso”, ma molto più tormentato e dolente
dell’Inno alla gioia che ci si potrebbe aspettare. Dall’inizio alla
fine, ché l’elaborazione del senso di colpa e dei limiti della
fede, e quanto spesso se ne faccia una stampella cui appoggiarsi a
prescindere, sono la vera spina dorsale di una storia che piano
sprigiona una forza di coinvolgimento capace di lasciare un senso
di speranza e di ottimismo che il percorso non avrebbe lasciato
intuire (per quanto, sì, prevedere).
In
fuga dalla solitudine
La morte è onnipresente,
ma soprattutto il rifiuto di vivere, di accettare le conseguenze di
alcune scelte e di farne un’occasione di crescita. La solitudine è
il sentimento dominante, nella vita coniugale passata a nascondersi
dietro le tende di casa o nella rinuncia a superare la perdita di
persone care, ma anche nel bisogno di tanti di seguire il santone
di turno in quello che un pellegrinaggio non è (e forse per una
volta la scelta della distribuzione italilana di cambiare il titolo
originale non risulta incomprensibile).
Intorno a Harold Fry
ruotano molte figure, meno coraggiose o meno disperate di lui (a
parte il favoloso cagnolino che lo accompagna), ma sono i propri
fantasmi a muoverlo, e a ossessionarlo. Il poetico tentativo di
rimediare a un errore che lo spinge ad affrontare il suo folle
progetto è meno forte, narrativamente, dei pochi momenti in cui
l’impulsività prende il sopravvento. E meno confortante delle
riflessioni finali di quella che a tratti prende la forma di una
sorta di compilation motivazionale. Con la tanto decantata morale
di come le cose possano cambiare e rivelare bellezza anche dove non
ce lo si aspetta, se si impara a chiedere aiuto e ad offrirne,
sembra infatti di intravedere la presa di coscienza di una
sconfitta, di quanto sia ancora lungo il percorso che ci divide dal
superamento delle nostre debolezze e delusioni. Un nuovo viaggio, o
la prosecuzione di quello appena iniziato, stavolta però da fare
insieme, grazie all’epifania che la sofferenza per le scelte del
marito ispira alla povera Maureen.
Ecco l’intervista a
Kristine Kujath Thorp, protagonista di Sick of Myself (qui
la recensione), dal 5 ottobre al cinema distribuito da Wanted
Cinema e diretto da Kristoffer
Borgli.
Dopo l’anteprima mondiale nella
sezione Un Certain Regard all’ultimo festival
di Cannes, SICK OF MYSELF, an unromantic comedy,
propone al pubblico italiano una commedia sentimentale particolare,
con un concept elegante ed estremo allo stesso tempo. Un film
atipico e originale che ha destato interesse di pubblico e critica,
completamente girato in 35 mm. La talentuosa protagonista,
Kristine Kujath Thorp – nota per film e serie tv come
Fanny (2018), Ninja Baby (2021), The North Sea
(2021) The Promised Land (2023) – interpreta il
personaggio di Signe, un’anonima cameriera che non esita a
utilizzare un mezzo molto pericoloso per farsi notare dal
mondo.
Sick of
myself è una anti-storia d’amore, tossica e disfunzionale,
un’illuminante parabola contemporanea permeata di temi senza tempo
quali il narcisismo e l’invidia. “Volevo realizzare una storia
spiacevole nel modo più bello possibile”, racconta il
regista, “il tutto si è fortunatamente tradotto in un
bellissimo ritratto di cose terribili”.
Sick of myself, la
trama
Signe e Thomas
vivono una relazione malsana, in costante competizione tra loro. Il
tutto si incrina ancora di più quando Thomas inizia ad affermarsi
come artista contemporaneo. In tutta risposta, Signe si lancia in
un disperato tentativo di attirare l’attenzione su di sé, anche a
costo della sua salute.
Dopo diversi rimandi e a
distanza di due anni dal primo ciclo, la seconda stagione
di Loki, disponibile su
Disney+ con un episodio a settimana dal 6 ottobre, ha diverse
criticità da affrontare. Come il Dio dell’Inganno
che si trova a dover fronteggiare una situazione molto complicata
(che a breve esamineremo), la serie ideata da Michael Waldron deve gestire innanzitutto
l’irrompere del Multiverso nel MCU, poi deve gestire quella che è
stata una grande batosta per Kevin Feige e i
Marvel Studios, ovvero le turbolente questioni
personali che hanno travolto
Jonathan Majors, che doveva essere il villain della
serie e della Fase 5 del MCU e il cui destino, per quanto
per ora immutato, è in bilico.
Oltre allo scossone
diegetico (il multiverso) e a quello extra dietetico (i guai legali
di Majors), la seconda stagione di Loki deve fare
i conti anche con una serie di prodotti ambientati nel MCU che, sebbene non si considerino
propriamente dei flop, sono stati dei progetti diversamente di
successo, per così dire. Compito di
Tom Hiddleston, che torna nel ruolo che ormai incarna
da oltre 11 anni, è quello di far ri-affezionare il pubblico al
Marvel Cinematic Universe.
Loki seconda stagione, dove
eravamo rimasti?
Dopo gli eventi della
prima stagione, che hanno portato all’apertura del Multiverso,
Loki
collabora con Mobius, B-15 e altri agenti della TVA nel combattere
una battaglia “per l’anima della TVA”; nel mentre, tutti insieme
viaggiano attraverso il multiverso in cerca di Sylvie, Ravonna e
Miss Minutes.
La trama della seconda
stagione di Loki sintetizza bene quello che la storia
effettivamente promette (almeno stando ai primi quattro episodi
visti in anteprima) e cioè una continua ricerca in movimento
attraverso i piani temporali, tra viaggi nel tempo e realtà
alternative in cui il nostro affezionato fratello di Thor cerca da
una parte di porre rimedio a ciò che ha contribuito a causare,
dall’altra non può fare a meno di continuare a cercare quella
variante che, forse per la prima volta in tutta la sua lunga vita,
lo ha fatto sentire compreso: Sylvie (Sophia
Di Martino). E Hiddleston come al solito ce la mette
tutta e riesce sempre a generare simpatia, con le espressioni che
il pubblico conosce così bene.
Questo secondo ciclo
conferma anche la sua grande alchimia con il Mobius di
Owen Wilson: i due danno vita quasi a una buddy
comedy, se non fosse che per tutto il tempo la minaccia
dell’implosione degli universi su se stessi regala alla serie un
tono molto serio e riesce a consegnare allo spettatore una
sensazione di urgenza e pericolo incombente. Alla luce di questo
mood, ancora più preziosa è l’introduzione di un
personaggio nuovo, Ouroboros (chiamato affettuosamente O.B.),
interpretato dal neo premio Oscar Ke Huy Quan. Con il suo tono di voce così
familiare e il suo spirito di eterno ragazzo, Quan regala alla
seconda stagione di Loki un tocco di leggerezza
che il protagonista sembra aver perso.
C’è da ammettere che, nonostante la
natura ormai incerta del suo futuro nel MCU
Jonathan Majors si conferma un interprete istrionico,
divertito dal personaggio che interpreta e dal contesto in cui è
calato. Non si può non sottolineare la lungimiranza di Feige che,
in un periodo di caccia alle streghe, ha scelto di tutelare il suo
attore (chiaramente anche per ragioni commerciali) almeno fino a
che questo non sia ufficialmente condannato. Ovviamente, pur
schierandoci sempre dalla parte delle vittime, speriamo che
l’attore possa avere la possibilità, se dichiarato innocente, di
continuare a esplorare un personaggio così ricco come la versione
cinematografica di Kang il Conquistatore.
Un “episodio di mezzo” nel viaggio
attraverso il Multiverso
Quello che è il maggior
punto di interesse della serie, che sarà formata da sei episodi, è
però anche il suo più grande difetto. Mai come in questo caso, una
serie Marvel/Disney ha avuto il sapore di
“episodio di mezzo”, un ponte tra un film e l’altro, tra
una grande storia e quella successiva. In questo caso, Loki
stagione 2 sembra assumersi il compito di collegare il
finale di And-Man and the Wasp: Quantumania, con
l’inizio di
Avengers: la Dinastia di Kang. Un compito complesso e
forse anche estremamente utile, ma che sacrifica l’unità del
prodotto, nel quale
Tom Hiddleston si conferma l’elemento di maggior
valore.
“Un’estate fa, la storia di noi
due//Era un po’ come una favola//Ma l’estate va//E porta via con
sé//Anche il meglio delle favole”, cantava Franco
Califano nel 1992. Ed è proprio da una stessa estate ma
del 1990 che parte la nuova serie tv di Sky, Un’estate fa. Una stagione ricca
di mistero ma anche di tristezza, che segna la fine della favola
della giovinezza e della spensieratezza per abbracciare, per
sempre, l’età adulta. Uno stacco che nella serie tv diretta da
Davide Marengo e Marta Savina prende vita dalla scelta della
colonna sonora, accuratissima nel primo episodio, e dalla scelta
dei colori che trasmettono allo spettatore gli stati d’animo dei
protagonisti. Un’estate fa è la nuova serie thriller di Sky dal
respiro internazionale, sarà trasmessa dal 6 ottobre in esclusiva
su Sky e in streaming solo su
NOW.
Un’estate fa, la
trama
Le immagini di Italia ’90 alla TV,
il campeggio con gli amici, gli amori estivi, i falò in spiaggia. E
ancora le cabine telefoniche, le infinite partite a carte, le sfide
a calciobalilla… All’improvviso però, una ragazza scompare. E nulla
sarà più come prima, anche a distanza di trent’anni da quella
indimenticabile estate. La favola cantata da Califano si interrompe
e il mistero che avvolge la vicenda intercorre in due linee
temporali diversi e con gli occhi di un cast corale supportato da
Lino Guanciale e Filippo Scotti (uno nella versione adulta di
Elio e l’altro nella versione giovane). Presente e passato si
intrecciano mentre la vita di Elio prende una
piega inaspettata. Dopo gli eventi del 1990 la sua vita si tinge di
azzurro, di toni freddi, dei toni della giurisprudenza –
professione che ha scelto per seguire le orme del padre.
La vita perfetta apparentemente
macchiata da un solo crimine: la scomparsa di
Arianna. Ci troviamo nel presente quando viene
ritrovata in un’auto dentro il lago, il corpo di una giovane donna
che scopriamo subito essere quello della ragazza scomparsa anni
prima. I colori caldi di quell’estate ritornano preponderanti
quando sovrastato dagli ultimi eventi Elio ha un incidente d’auto,
perde i sensi e al suo risveglio viene catapultato in quell’estate
del 1990. Una prova attoriale non da poco anche per Filippo Scotti che si ritrova negli anni ’90
ma con la mente di un adulto, il cinquantenne Elio interpretato da
Guanciale. Ritornando a quell’estate, tutto cambia
nella sua mente e ancora in stato confusionale rivede i suoi amici
di nuovo giovani, di nuovo uniti. E poi vede lei, Arianna ancora
viva. Non fa neanche in tempo a parlarle che la sua mente viene
catapultata nel presente.
Un viaggio nel passato
Elio è il
principale sospettato dell’omicidio di Arianna perché in quella
estate del 1990 viene trovato in stato confusionale subito dopo la
scomparsa della ragazza e interrogato dalla polizia ammette di non
avere più nessun ricordo di cosa è successo. L’espediente narrativo
alla Twin Peaks che ha dato il via agli eventi della serie
di David Lynch è di ispirazione a Un’estate fa
dove il mistero ruota intorno alla morte della ragazza. Quindi: chi
ha ucciso Arianna? Sappiamo solo, dal primo episodio, che il
personaggio di Lino Guanciale è sospettato dall’ispettore
interpretato da Paolo Pierobon. Ma sappiamo anche che sarà
proprio Elio, grazie ai suoi continui viaggi temporale, a cercare
il colpevole che quell’estate ha messo fine alla vita di Arianna e
alla sua giovinezza. Quello che diventa un continuo viaggio nel
passato si trasforma anche in un tentativo di salvarla, non
ripercorrendo gli stessi passi di quell’estate maledetta.
Ad aiutare Elio, nel passato ma
soprattutto nel presente, il personaggio di
Costanza, interpretato nella versione adulta da
Claudia Pandolfi e in quella giovane da
Martina Gatti. Nel primo episodio vediamo subito
che le attenzioni di Costanza per Elio vanno oltre una semplice
amicizia ma anche lei dopo gli avvenimenti misteriosi legati alla
morte di Arianna metterà una pietra sopra al passato. Nel presente
però scopriamo varie sfaccettature del suo personaggio. Costanza è
cambiata, non ha più lo stesso sguardo spensierato di un tempo e se
Elio è diventato l’uomo perfetto, l’uomo di legge, lei ha
abbandonato del tutto quel mondo mantenendo però la stessa
vitalità. Darà una mano a Elio nel presente cercando in tutti i
modi di scagionarlo dalle accuse.
Una tavolozza di colori
La scelta registica di contrapporre
due palette di colori per presente e passato
rispecchia lo stato d’animo dei personaggi sia da adulti ma anche
da ragazzi, le scene nel campeggio sono aperte e colorate. Il
giallo del sole, l’arancione della sabbia, il rosso degli omini del
calcio balilla. Tutto prende vita nel campeggio. Quando però la
prospettiva si ribalta nel presente siamo immersi nei colori
freddi: la casa dove vive Elio, minimalista e anonima, lo studio
legale dove lavora, austero e perfetto. Solo durante le
conversazioni con Costanza questi colori sembrano mischiarsi
portando quindi Elio in una posizione di mezzo. La stessa posizione
nella quale si trova e dalla quale non sembra poter fuggire.
In un futuro distopico e violento è
ambientato Nowhere: si tratta di un film spagnolo,
diretto da Albert Pintó e distribuito da Netflix. La
sceneggiatura, scritta da Ernest Riera,
Miguel Ruz, Indiana Lista,
Seanne Winslow and Teresa
Rosendoy, è tratta da un racconto di Indiana Lista.
Nowhere si concentra principalmente sulla figura
della protagonista Mia, affiancata dal compagno Nico; quindi, il
cast effettivo è formato da soli due attori. Anna Castillo, attrice spagnola, interpreta
Mia mentre Tamar Novas (The sea inside) è nei
panni di Nico: si tratta in entrambi i casi di figure conosciute
prevalentemente a livello nazionale spagnolo, ma pluripremiati ai
festival cinematografici spagnoli come i premi Goya.
Nowhere: la lotta per la
sopravvivenza
In una Spagna futura la crisi
alimentare porta il governo a prendere delle decisioni
eccessivamente drastiche: eliminare tutta la popolazione non
produttiva, quindi donne incinta e bambini. Per paura di subire
nuovamente la violenza del regime, Mia, incinta, e Nico decidono di
scappare in Irlanda, dove i problemi di scarsità di viveri vengono
gestiti in maniera ben diversa. Tutti i profughi clandestini
vengono ammassati in dei container: dopo che Nico e Mia vengono
divisi, il container viene freddamente ispezionato dalla polizia
spagnola. Tutti i passeggeri clandestini vengono uccisi, tranne Mia
che riesce a nascondersi. Ha inizio così il viaggio della donna
verso l’Irlanda, che sarà nient’altro che facile: Mia dovrà più
volte lottare per la sua sopravvivenza e della sua bambina. Saranno
Nico, con delle sporadiche telefonate, e la piccola Noa appena nata
a darle la forza di andare a vanti e cercare di sopravvivere.
Un distopico poco convincente
Nowhere basa la
propria trama su un presupposto di per sé molto assurdo, perfino
per un futuro distopico: l’uccisione di donne incinta e bambini. Lo
scopo principale di ogni essere vivente, uomo compreso, è la
preservazione della propria specie; difatti le donne ed i bambini
vengono sempre preservate in situazioni di emergenza proprio per
questo motivo (facendo un esempio cinematografico, pensate a
Titanic: le donne ed i bambini hanno precedenza sulle
scialuppe). Di conseguenza, uccidere queste categorie di persone
per risparmiare viveri e far sopravvivere la comunità sembra essere
un controsenso. Un qualunque lettore potrebbe controbattere con un
semplice “sì ma è solo un film”: è vero,
Nowhere è un solo un film, una pellicola che
presenta una realtà distopica, ma non per questo dovrebbe essere
poco convincente per il pubblico. Il film deve convincere i propri
spettatori della nuova realtà che crea, farli immedesimare.
Nowhere risulta
essere anche esageratamente straziante: la pellicola racconta
praticamente una sola interminabile serie di sfortunatissimi eventi
di Mia. Per ogni volta che la protagonista riesce con un fortissimo
istinto di sopravvivenza e straordinaria determinazione a superare
tutte le avversità, un nuovo terribile problema le si presenta di
fronte, appendendo nuovamente la sua vita ad un filo. Questo
susseguirsi di alti e bassi crea una tensione ed una suspense
continua e quasi estenuante. Considerando che la pellicola narra
solamente la lotta per la sopravvivenza della protagonista, sarebbe
stata un ottima scelta abbreviare, anche se di poco, il film: in
questo modo sarebbe magari risultato al pubblico meno pesante.
Mia è costretta a fare cose
terribili per la propria sopravvivenza: alcune di queste scene
possono risultare alquanto forti. Un esempio è il momento in cui la
protagonista, nella disperazione per la mancanza di cibo, ingerisce
la sua stessa placenta. Altri momenti rappresentati in maniera più
esplicita sono il parto della donna e il lungo taglio che si
inferisce la donna accidentalmente.
I profughi del futuro
L’elemento realmente interessante di
Nowhere è la tematica dell’immigrazione. Pur
essendo affrontata solamente all’inizio del film, e lasciata di
conseguenza in secondo piano, questo tema può incentivare negli
spettatori una riflessione riguardo la tematica. L’immigrazione è
un fenomeno atemporale, che si ritrova nel presente quanto si
ritroverà nel futuro. Come cittadini di un paese di frontiera,
Nowhere può aiutare tutti noi italiani a vedere ed
a riflettere su ciò che significa essere profughi. In questo
momento storico si ritrovano anche altre pellicole che
rappresentano in maniera anche più chiara la tematica: un esempio
lampante è
Io Capitano, presentato al festival del cinema di
Venezia e vincitore del leone d’argento alla regia e del premio
Mastroianni. Ciononostante, può essere importante sottolineare
questo elemento anche qui, dove non è rappresentato in maniera meno
concreta e realistica.
Paramount+
presenta il trailer ufficiale dell’attesissima serie
Compagni di Viaggio (FELLOW
TRAVELERS),l’epica storia d’amore e thriller politico guidata
da Matt Bomer (The Normal Heart, The
Boys in the Band) e Jonathan Bailey (Bridgerton). Creata dal candidato all’Oscar
Ron Nyswaner (Philadelphia, HOMELAND), la
serie in otto episodi debutterà in Italia il 28 ottobre, subito
dopo gli Stati Uniti e il Canada, oltre che nel Regno Unito, in
Australia, America Latina, Corea del Sud, Italia, Germania,
Svizzera e Austria.
Compagni di
Viaggio è interpretato anche da Jelani
Alladin (The Walking Dead World Beyond), Allison Williams (Get Out, Girls) e
Noah J. Ricketts (American Gods). Bomer e
Nyswaner sono produttori esecutivi insieme a Robbie Rogers
(All
American, My Policeman) e Dee Johnson. Daniel Minahan
(Halston, American Crime Story: Versace) produce e dirige
i primi due episodi COMPAGNI DI VIAGGIO è co-prodotto da Fremantle
e SHOWTIME.
La trama di Compagni di Viaggio
Creata da Nyswaner, la serie è
basata sul romanzo di Thomas Mallon. Bomer interpreta il
carismatico Hawkins Fuller, che mantiene una carriera politica
dietro le quinte, finanziariamente gratificante. Hawkins evita le
relazioni sentimentali, finché non incontra Tim Laughlin (Bailey),
un giovane pieno di idealismo e fede religiosa. I due iniziano una
storia d’amore proprio mentre Joseph McCarthy e Roy Cohn dichiarano
guerra ai “sovversivi e ai deviati sessuali”, dando inizio a uno
dei periodi più bui della storia americana del XX secolo.
Nel corso di quattro decenni,
seguiamo i cinque personaggi principali – Hawk, Tim, Marcus
(Alladin), Lucy (Williams) e Frankie (Ricketts) – mentre incrociano
le loro strade tra le proteste per la guerra del Vietnam degli anni
’60, l’edonismo alimentato dalle droghe degli anni ’70 e la crisi
dell’AIDS degli anni ’80, affrontando i propri ostacoli interiori e
quelli del mondo circostante.
Todd Phillips ha rivelato la nuova foto sulla
sua pagina Instagram,
insieme alla didascalia: “Oct. 4. Grazie per tutti i messaggi.
Quattro anni fa abbiamo fatto un bel giro. Ci sono un sacco di bei
ricordi. E c’è dell’altro.” La foto mostra Joaquin Phoenix in piedi sotto la pioggia
tra quattro ombrelli, ciascuno di un colore diverso, con gli occhi
chiusi e la testa inclinata verso l’alto. Mentre Joaquin Phoenix si trova in mezzo a loro, ha
un’espressione pacifica. Di seguito il post:
Il sequel di Joker non si svolgerà nel DCU principale, ma sarà conosciuto come un
progetto “Elseworlds”, insieme ai film The
Batman di Matt Reeves, al film di
Superman di J.J. Abrams e
Constantine 2 (se il progetto dovesse andare
avanti).
Joker: Folie à Deux, il film
Joker:
Folie à Deux presenterà il ritorno di Joaquin Phoenix mentre riprende il suo ruolo
vincitore dell’Oscar come il cattivo DC JOKER. Il sequel presenterà
anche il ritorno di Sophie di
Zazie Beetz insieme ai nuovi arrivati
Brendan
Gleeson,
Catherine Keener, Jacob Lofland e Harry Lawtey. Nel
cast c’è Lady Gaga che darà vita a Harley Quinn. I
dettagli della trama sono ancora per lo più nascosti, ma sappiamo
che la maggior parte del film si svolgerà ad Arkham
Asylum e conterrà significativi “elementi musicali”.
Rumors recenti inoltre hanno anche suggerito che la
versione di Gaga su Harley Quinn avrà un ruolo più importante di
quanto originariamente riportato, con la storia che si svolge
interamente dal suo punto di vista.
Il film di Todd Phillips del 2019 è stato un successo sia
di critica che commerciale con un incasso mondiale di oltre 1
miliardo di dollari al botteghino, rendendolo il film con il
maggior incasso di tutti i tempi. Ha ricevuto riconoscimenti da
numerosi importanti enti premiati, tra cui due Oscar e due Golden
Globe, sia per il miglior attore che per il miglior suono
originale.
Il capo dello Studio
Ghibli, Toshio Suzuki, ha parlato del rientro
dall’annunciato ritiro di
Hayao Miyazaki dopo che è stato recentemente
confermato che Il ragazzo e l’airone non
sarà, dopotutto, l’ultimo film dell’acclamato
regista. Parlando con la pubblicazione francese Liberation,
Suzuki ha ammesso di non pensare che Miyazaki smetterà mai di
lavorare dal momento che fare film “lo delizia”.
Suzuki ha inoltre confermato che
Miyazaki ha già iniziato a sviluppare il suo prossimo film
d’animazione. “Pensa al prossimo progetto ogni giorno e
non riesco a fermarlo, anzi, ci ho rinunciato“, ha
detto. “Non cerco più di dissuaderlo, anche se dovesse
fare un film fallito. Nella vita è solo il lavoro che lo
diverte”.
Ha continuato: “Stavamo
parlando di nuovo proprio ora e mi ha detto qualcosa di
incredibile. “A proposito, di cosa parlava il mio ultimo
film?” Non riesco a ricordare.” E poi ha iniziato a
parlare di un nuovo progetto, quindi non lo fermerò. Finché
lavorerà, non potrò andare in pensione. Ha 82 anni e penso che
andrà avanti fino ai 90. Io andrò con lui”.
Quando arriverà Il ragazzo e l’airone
nelle sale americane?
Dopo la sua corsa nelle sale in
Giappone partita nel luglio del 2023, Il
ragazzo e l’airone (The Boy and the
Heron)(originariamente
intitolato How Do You Live) farà finalmente il suo debutto nelle
sale italiane il 01 gennaio 2024. Durata 125 minuti.
Distribuito da Lucky Red..
Prima di questo, il film è stato recentemente presentato in
anteprima internazionale al Toronto International Film Festival del
2023, dove ha ricevuto recensioni positive dalla critica. Sarà
inoltre presente alla Festa del Cinema di Roma e Alice nella città
questo ottobre.
Il film, prodotto dal leggendario
Studio Ghibli e distribuito in Italia da Lucky Red,
racconta la storia di Mahito, un ragazzo di 12 anni che, spinto dal
desiderio di rivedere sua madre, si avventura in un regno abitato
dai vivi e dai morti. Un luogo fantastico dove la morte finisce e
la vita trova un nuovo inizio. Una storia sul mistero della vita e
la creazione, in omaggio all’amicizia, direttamente dalla mente del
maestro Hayao Miyazaki.
Patrick Stewart ha condiviso pensieri schietti su
Star Trek: Nemesis del 2002 nel suo nuovo libro di
memorie, “Making It So” (via Insider). Il film, il quarto e
ultimo lungometraggio di Star Trek con
protagonista il cast di The Next Generation, è uno
dei capitoli meno memorabili del franchise, e della carriera di
Stewart nei panni del Capitano Jean-Luc Picard, almeno secondo
l’attore stesso.
“‘Nemesis’, uscito nel 2002, era
particolarmente debole”, scrive Stewart. “Non avevo una
sola scena emozionante da interpretare, e l’attore che interpretava
il cattivo del film, Shinzon, era un giovane londinese strano e
solitario. Il suo nome era
Tom Hardy.
Hardy non era un nome familiare
all’epoca di Star Trek: Nemesis, e Stewart aveva
predetto che il suo co-protagonista non lo sarebbe mai diventato a
causa di quanto fosse stato isolato dal resto del cast durante la
realizzazione del film.
“Tom non si era impegnato con
nessuno di noi a livello sociale”, scrive Stewart. “Non
diceva mai ‘Buongiorno’, non diceva mai ‘Buonanotte’ e trascorreva
le ore in cui non era necessario sul set, nella sua roulotte, con
la sua ragazza… Non era affatto ostile: era semplicemente difficile
stabilire un rapporto con lui.”
“La sera in cui Tom ha terminato
le sue riprese, se ne è andato senza cerimonie o accortezze,
semplicemente uscendo dalla porta”, aggiunge Stewart.
“Quando si è concluso, ho detto tranquillamente a Brent
[Spiner] e Jonathan [Frakes], ‘Ed ecco qualcuno di cui penso non
sentiremo mai più parlare.’ Non mi fa altro che piacere che Tom
abbia dimostrato che mi sbagliavo così tanto.”
Star Trek: Nemesis
è stato il terzo lungometraggio di Tom Hardy che ha continuato ad avere ruoli
secondari in film come “Layer Cake” e “Marie Antionette” prima che
il suo profilo aumentasse significativamente con progetti come
“Bronson” e “Inception”.
Gael Garcia Bernal presiederà la giuria del
Concorso Progressive Cinema, la sezione competitiva della
Festa del Cinema di Roma. Lo annuncia la
Direttrice Artistica Paola Malanga, con Gian Luca Farinelli,
Presidente della Fondazione Cinema per Roma, e Francesca Via,
Direttrice Generale.
L’attore,
regista e produttore, acclamato da pubblico e critica grazie alle
sue interpretazioni per registi come Alejandro G. Iñárritu,
Alfonso Cuarón, Pablo Larraín, Pedro Almòdovar e
Walter Salles, sarà affiancato dalla regista
britannica Sarah Gavron, dal regista,
sceneggiatore e poeta finlandese Mikko Myllylahti,
dall’attore e regista francese Melvil Poupaud e
dall’attrice e regista italiana Jasmine
Trinca.
La giuria
assegnerà ai film del Concorso Progressive Cinema i seguenti
riconoscimenti: Miglior Film, Gran Premio della Giuria, Miglior
regia, Miglior sceneggiatura, Premio “Monica Vitti” alla Miglior
attrice, Premio “Vittorio Gassman” al Miglior attore e il Premio
speciale della Giuria, a scelta fra le categorie fotografia,
montaggio e colonna sonora originale.
I film che
partecipano al Concorso Progressive Cinema sono: Un
Amor di Isabel
Coixet, Ashil (Achilles) di Farhad
Delaram, Avant que les flammes ne s’eteignent
(After the Fire) di Mehdi Fikri, Black
Box di Asli Özge, C’è ancora domani di
Paola Cortellesi, Comme un fils (Like A Son)
di Nicolas Boukhrief, En dag kommer allt det här bli
ditt (One Day All This Will Be
Yours)di Andreas Öhman, La Erección de
Toribio Bardelli (The Erection of Toribio Bardelli) di
Adrián Saba, Fremont di Babak
Jalali, Holiday di Edoardo
Gabbriellini, Hypnosen (The Hypnosis) di
Ernst De Geer, Mi fanno male i capelli di
Roberta Torre, The Monk and the Gun di Pawo Choyning
Dorji, Pedágio (Toll) di Carolina
Markowicz, Peluri – Kuolema on elävien ongelma
(La morte è un problema dei vivi) di Teemu
Nikki, Un Silence (A Silence) di Joachim
Lafosse, Sweet Sue di Leo Leigh, Urotcite na
blaga (Blaga’s Lessons) di Stephan Komandarev.
Particolare
attenzione sarà data ai giovani autori con il Premio Miglior Opera
Prima BNL BNP Paribas: una giuria presieduta dal cineasta Paolo
Virzì, con la produttrice e distributrice francese Adeline Fontan
Tessaur e la drammaturga e sceneggiatrice Abi Morgan, assegnerà il
riconoscimento a un lungometraggio di finzione in programma nelle
sezioni Concorso Progressive Cinema, Freestyle e Grand Public.
I film che
concorrono al Premio Miglior Opera Prima BNL BNP Paribas
sono: Ashil (Achilles) di Farhad
Delaram, Avant que les flammes ne s’eteignent
(After the Fire) di Mehdi Fikri, C’è ancora
domani di Paola Cortellesi, Cottontail di
Patrick Dickinson, Dall’alto di una fredda torre di
Francesco Frangipane, Gonzo Girl di Patricia
Arquette Hypnosen (The Hypnosis) di Ernst De
Geer, Mother, Couch di Niclas
Larsson, Palazzina Laf di Michele
Riondino, Sweet Sue di Leo Leigh, Troppo
azzurro di Filippo Barbagallo, Volare di
Margherita Buy.
La Festa del
Cinema ospiterà inoltre il Premio “Ugo Tognazzi” alla Miglior
commedia che sarà assegnato da una giuria presieduta
dall’attrice francese Philippine Leroy-Beaulieu e composta dal
regista e sceneggiatore italiano Alessandro Aronadio e la
sceneggiatrice italiana Lisa Nur Sultan. L’opera vincitrice sarà
scelta fra i titoli in programma nelle sezioni Concorso Progressive
Cinema, Freestyle e Grand Public. I film che concorrono al Premio
“Ugo Tognazzi” alla Miglior commedia sono: C’è ancora
domani di Paola Cortellesi, En dag kommer allt det
här bli ditt (One Day All This Will Be
Yours)di Andreas Öhman, La Erección de
Toribio Bardelli (The Erection of Toribio Bardelli) di
Adrián Saba, Et la fête continue! di Robert
Guédiguian, Hypnosen (The Hypnosis) di Ernst
De Geer, Jules di Mark Turtletaub, Peluri –
Kuolema on elävien ongelma (La morte è un problema dei
vivi) di Teemu Nikki, The Monk and the Gun
di Pawo Choyning Dorji, Mother, Couch di Niclas
Larsson, The Persian Version di Maryam
Keshavarz, Second Tour di Albert
Dupontel, Sweet Sue di Leo Leigh, Troppo
azzurro di Filippo Barbagallo, Volare di
Margherita Buy.
Prime Video ha
svelato oggi le prime immagini e clip di Elf
Me, il nuovo film diretto
da YouNuts! che vede protagonista
Lillo
Petrolo con Anna
Foglietta, Claudio
Santamaria e Federico
Ielapi. Nel cast anche Giorgio
Pasotti e Caterina
Guzzanti. Gabriele Mainetti, Giovanni
Gualdoni, Leonardo Ortolani, Marcello
Cavalli firmano soggetto e sceneggiatura, quest’
ultima scritta anche da Tommaso Renzoni.
Elf Me,
co-prodotto da Lucky Red, Goon Films e Amazon Studios, affiancati
da alcuni dei migliori professionisti del settore che hanno
contribuito a realizzare un film di grande impatto
visivo, sarà il film di Natale disponibile in esclusiva su
Prime Video in oltre 240 Paesi e territori nel
mondo dal 24 novembre 2023.
https://www.youtube.com/watch?v=HACYjJDpcPs
https://www.youtube.com/watch?v=TvFKPTRpl7M
Lillo Petrolo è Trip, un elfo costruttore
anticonvenzionale al servizio di Babbo Natale. I giocattoli a cui
dà vita con la magia sono infatti molto particolari e, a volte, un
po’ fuori controllo. Un pasticcio più grande del solito lo porta a
conoscere Elia (Federico Ielapi), un ragazzino
perseguitato dai bulli della scuola e con una madre giocattolaia
(Anna
Foglietta) i cui affari non vanno per niente bene.
L’incontro con Trip cambia le loro vite e grazie a lui il business
di giocattoli ha finalmente una svolta positiva. Ma
proprio quando le cose sembrano andare per il verso giusto
arriva un imprenditore senza scrupoli (Claudio
Santamaria) a metter loro i bastoni tra le ruote.