Home Blog Pagina 8

The Wolf of Wall Street: spiegazione del finale del film con Leonardo DiCaprio

The Wolf of Wall Street è una commedia nera di Martin Scorsese basata sulla famigerata storia di frode finanziaria di Jordan Belfort, agente di borsa. In The Wolf of Wall Street, Belfort (Leonardo DiCaprio) diventa agente di borsa e raggiunge un discreto successo finanziario prima di perdere il lavoro nel crollo del Black Monday del 1988. Fonda quindi la società di intermediazione mobiliare Stratton Oakmont, che diventa rapidamente un’impresa criminale quando Belfort e i suoi soci ingannano clienti ignari convincendoli a investire in azioni senza mostrare loro le clausole scritte in piccolo.

Nel corso delle sue tre ore di durata, The Wolf of Wall Street (qui la recensione) segue l’ascesa e la caduta della Stratton Oakmont e la ricchezza che Jordan Belfort accumula grazie ad essa. Il film racconta anche la tumultuosa storia d’amore di Belfort con sua moglie Naomi (Margot Robbie) e la sua dipendenza dalla droga, sempre più fuori controllo. Belfort trascorre gran parte di The Wolf of Wall Street cercando di stare un passo avanti all’FBI, prima di essere costretto a consegnare se stesso e la sua azienda alla giustizia nel finale di The Wolf of Wall Street.

La spiegazione dell’arresto e la detenzione di Jordan Belfort

Vari accordi hanno portato a una pena più breve

Quando Belfort inizia finalmente a liberarsi dalla sua dipendenza dalla droga dopo un’esperienza di pre-morte a bordo del suo yacht in Italia (causata da lui stesso quando ordina allo yacht di salpare verso Monaco durante una tempesta), le autorità lo arrestano quando il suo socio bancario francese Jean-Jacques Saurel (Jean Dujardin) viene arrestato. Dopo aver tradito Belfort, Saurel accetta un patteggiamento per raccogliere prove sui suoi colleghi della Stratton Oakmont in cambio di una pena più lieve.

Durante una conversazione con il suo complice Donnie Azoff (Jonah Hill), Belfort informa il suo amico dell’indagine. Sfortunatamente per Belfort, l’FBI viene a conoscenza del suo avvertimento, che costituisce una grave violazione del suo patteggiamento. Ciononostante, alla fine di The Wolf of Wall Street Jordan riceve una pena relativamente lieve di 36 mesi in un carcere di minima sicurezza, e viene rilasciato dopo soli 22 mesi.

Cosa succede al matrimonio di Jordan e Naomi

Leonardo DiCaprio e Margot Robbie in The Wolf of Wall Street (2013)
Foto di Photo credit: Mary Cybulski – © 2013 Paramount Pictures. All Rights Reserved.

L’abuso di cocaina rovina la vita familiare di Belfort

Belfort e sua moglie Naomi inizialmente hanno un matrimonio piuttosto felice. Tuttavia, ben presto i due iniziano a litigare regolarmente e a insultarsi a vicenda a causa delle attività illecite di Belfort, delle sue relazioni extraconiugali e dell’abuso di droghe. La situazione raggiunge il culmine durante il finale di The Wolf of Wall Street, quando Belfort viene arrestato dalla SEC e dall’FBI e Naomi dice a Jordan che vuole divorziare da lui e ottenere la custodia dei loro due figli.

Belfort, infuriato, ricade rapidamente nel consumo di cocaina. Dopo aver dato un pugno allo stomaco a Naomi, cerca di lasciare la casa con la figlia piccola. Belfort è in preda a una rabbia distorta e sotto l’effetto della cocaina, quindi non va lontano e semplicemente si schianta con la macchina mentre esce dal vialetto. Fortunatamente, lo fa senza ferire sua figlia. Naomi riprende la figlia e Belfort rimane a riflettere su quanto abbia rovinato la propria vita.

Il futuro di Stratton Oakmont

L’attività di Befort viene rapidamente chiusa

Il modello di business di Stratton Oakmont si basava su quello che è noto come schema “pump-and-dump”, in cui Jordan e i suoi colleghi trader esageravano notevolmente il valore delle azioni per venderle a prezzi più alti. Dopo che il cliente acquistava le azioni, il loro prezzo calava, con il cliente che veniva truffato e Stratton Oakmont che realizzava un grande profitto. Inutile dire che si tratta di una forma di compravendita di azioni altamente illegale, e l’ascesa insolitamente rapida di Stratton Oakmont attira l’attenzione sia della SEC che dell’FBI.

Mentre le autorità iniziano a stringere il cerchio intorno a Stratton Oakmont verso la fine di The Wolf of Wall Street, Belfort fa un tentativo malcelato di corrompere i federali con dei “fun coupon”, il suo termine gergale per indicare il denaro. Tuttavia, lo stratagemma viene smascherato quando Belfort è costretto a diventare un informatore dell’FBI. Dopo la testimonianza di Belfort contro i suoi complici, l’FBI chiude la Stratton Oakmont.

Cosa succede ai personaggi reali dopo la fine di The Wolf of Wall Street

The Wolf of Wall Street film

Jordan Belfort è ora un motivatore

Il finale del film solleva interrogativi su cosa sia successo al vero Belfort dopo The Wolf of Wall Street. Dopo aver scontato la sua pena di 22 mesi, il vero Belfort è stato rilasciato dal carcere nel 2006. Da allora è diventato un motivatore e ha scritto due libri sul periodo in cui gestiva la Stratton Oakmont, uno dei quali, The Wolf of Wall Street, è servito da base per il film di Scorsese. Inoltre, Belfort è diventato anche un investitore in criptovalute.

L’ex moglie di Jordan, Nadine Macaluso, che ha ispirato il personaggio di Naomi interpretato da Margot Robbie, ha continuato a lavorare come terapeuta e consulente matrimoniale. Macaluso ha anche tenuto conferenze sulle relazioni abusive ed è autrice del libro Run Like Hell: A Therapist’s Guide to Recognizing, Escaping, And Healing From Trauma Bonds (Scappa come il vento: guida di una terapeuta per riconoscere, sfuggire e guarire dai legami traumatici). Inoltre, Macaluso ha consultato Margot Robbie e il suo coach per l’accento per The Wolf of Wall Street per aiutare Robbie a sviluppare l’accento di Naomi.

Azoff è l’analogo del vero socio di Belfort alla Stratton Oakmont, Danny Porush, che è stato condannato insieme a Belfort e ha scontato 39 mesi di prigione. Dopo il suo rilascio dal carcere, Porush ha continuato a lavorare per la Med-Care Diabetic & Medical Supplies. Porush stesso ha poi affrontato ulteriori accuse di frode, con l’accusa che lui e altri dipendenti della Med-Care avessero cercato di vendere in modo fraudolento forniture mediche ad alcune aziende, anche se la Med-Care ha respinto le accuse con una controquerela.

Cosa significa la sfida “Vendimi questa penna” di Jordan Belfort

The Wolf of Wall Street storia vera

Il semplice esercizio dimostra l’importanza della domanda e dell’offerta

Nella scena finale di The Wolf of Wall Street, Belfort ha iniziato una nuova carriera tenendo seminari sulle tecniche di vendita, con il vero Belfort che fa persino un cameo presentando la sua controparte sullo schermo. Richiamando una scena precedente del film, Belfort si avvicina a ciascun partecipante con una penna in mano e chiede semplicemente: “Vendimi questa penna.” Man mano che ogni partecipante fallisce nel tentativo di vendere la penna a Belfort, lui la riprende e pone la stessa domanda al membro successivo del pubblico.

Nella scena precedente del film, Belfort dimostra lo stesso trucco consegnando una penna al suo amico Brad Bodnick (Jon Bernthal), che poi chiede a Belfort di scrivere il suo nome. Quando Belfort dice di non avere una penna, Brad risponde: “Esatto. Domanda e offerta. Il finale di The Wolf of Wall Street ripaga questo espediente mostrando, in modo astuto, che la chiave del successo di Belfort era tutta nell’attirare i clienti con qualcosa che non avevano, anche se la vendita stessa era fasulla. Mentre i partecipanti al seminario si concentrano sul rendere attraente la penna stessa, la metodologia di vendita di Belfort è semplice e sfuggente per tutti loro.

Cosa cambia il finale di The Wolf of Wall Street rispetto alla vita reale di Belfort

The Wolf of Wall Street film

Ci sono diversi momenti di dubbia accuratezza

Per quanto riguarda l’accuratezza di The Wolf of Wall Street, Belfort ha affermato che la sua tossicodipendenza era significativamente peggiore nella vita reale. Secondo il racconto dello stesso Belfort, a un certo punto era dipendente da ben 22 droghe diverse. Inoltre, secondo il vero Belfort, anche le scandalose bravate alimentate dalla droga nell’ufficio della Stratton Oakmont viste in The Wolf of Wall Street sono molto accurate.

Macaluso ha anche affermato che il film descrive in modo veritiero il suo matrimonio con Belfort. Tuttavia, sia Belfort che Macaluso hanno fornito descrizioni diverse della scena in cui Belfort aggredisce Naomi. Attraverso il suo TikTok (tramite Daily Mail UK), Macaluso ha affermato che, invece di picchiarla, Belfort le ha bruciato i vestiti e l’ha spinta giù dalle scale dopo che lei aveva insistito affinché lui andasse in riabilitazione. Ha anche detto che non ha minacciato di portargli via i figli, ma che Belfort ha invece detto che sarebbe andato in Florida con la loro figlia.

Belfort ha fornito una versione leggermente diversa di questo incidente e afferma anche di non aver picchiato Macaluso. Jordan ha dichiarato (tramite The Guardian) che “è stata più una lotta in cui lei mi ha afferrato la gamba e io l’ho scalciata”, pur riconoscendo che “è stato terribile quello che ho fatto” e che era sotto l’effetto di “enormi quantità di droghe”. In ogni caso, Macaluso ha detto che lei e il suo ex marito “oggi stanno bene”. Secondo lei, Belfort le ha persino fatto visita il giorno dell’uscita di The Wolf of Wall Street nel 2013.

Il vero significato del finale di The Wolf of Wall Street

the wolf of wall street

La commedia satirica trasmette un messaggio contro l’avidità

Soprattutto, The Wolf of Wall Street è un monito contro il potere inebriante dell’avidità, anche se trasmette il suo messaggio sotto forma di una divertente commedia nera. Quando Belfort inizia la sua narrazione all’inizio de Il lupo di Wall Street, è un festaiolo arrogante ed egocentrico che non si preoccupa minimamente delle conseguenze delle sue attività illegali. È più turbato dal fatto di aver guadagnato solo 49 milioni di dollari l’anno precedente (“tre milioni in meno di un milione a settimana”, come osserva). Con Belfort che si vanta apertamente della quantità di droghe che assume all’inizio del film, l’eccesso va di pari passo con la sua avarizia.

Nonostante tutta la ricchezza che accumula grazie alla Stratton Oakmont, Belfort non è mai veramente felice se non è sotto l’effetto di droghe, e tratta il denaro più o meno allo stesso modo. La sua caduta definitiva, e quella della Stratton Oakmont, sono entrambe il risultato dello stesso impulso.

Nonostante tutta la ricchezza accumulata grazie alla Stratton Oakmont, Belfort non è mai veramente felice se non è sotto l’effetto di droghe, e tratta il denaro più o meno allo stesso modo. La sua caduta definitiva, e quella della Stratton Oakmont, sono entrambe il risultato dello stesso impulso. Belfort e i suoi compagni sono costantemente alla ricerca dell’euforia che sia il denaro che le droghe danno loro, indipendentemente dal danno che causano a se stessi o agli altri. Alla fine, Belfort impara alcune lezioni preziose sull’avidità e l’eccesso in The Wolf of Wall Street, anche se rimane un maestro della vendita, come dimostra il suo trucco con la penna.

Come è stato accolto il finale de Il lupo di Wall Street

The Wolf of Wall Street

Le scene finali non sono state il momento clou del film biografico del 2013

Nel complesso, Il lupo di Wall Street è stato un successo sia di critica che di pubblico. Il film del 2013 ha attualmente un punteggio Tomatometer del 79% e un punteggio Popcornmeter dell’83% su Rotten Tomatoes, a dimostrazione di quanto abbia riscosso successo sia tra il pubblico generale che tra i critici. Il film non è stato privo di polemiche, naturalmente, poiché molti hanno trovato alcune scene gratuite o hanno contestato il ritmo e la durata di 3 ore. Tuttavia, per la maggior parte, la satira di Martin Scorsese è stata accolta con elogi.

Molti critici hanno apprezzato il modo in cui le scene finali del film hanno riassunto molti dei suoi temi centrali, in particolare quelli della dipendenza e di come questa porti alla rovina, in modo incredibilmente efficace.

Sebbene il finale di The Wolf of Wall Street e la trama in generale siano stati oggetto di molte recensioni, soprattutto per quanto riguarda l’accuratezza e il modo in cui è stato ritratto il personaggio di Jordan Belfort, l’attenzione si è concentrata principalmente sui temi più profondi della storia e sulle interpretazioni. Leonardo DiCaprio, in particolare, è stato oggetto della maggior parte delle analisi, il che è comprensibile dato che ha interpretato il controverso personaggio centrale. Anche Margot Robbie, Matthew McConaughey e Jonah Hill sono stati spesso citati in modo positivo. Questo è degno di nota, poiché dimostra che The Wolf of Wall Street avrebbe potuto lasciare un’eredità molto meno significativa se il cast non fosse stato così forte.

Per quanto riguarda l’accoglienza riservata al finale di The Wolf of Wall Street, c’è un aspetto chiave che viene ripetutamente elogiato nelle recensioni. Molti critici hanno apprezzato il modo in cui le scene finali del film hanno riassunto molti dei suoi temi centrali, in particolare quelli della dipendenza e di come questa porti alla rovina. Tuttavia, anche in questo caso, le discussioni suscitate dal finale de Il lupo di Wall Street riguardano meno gli aspetti cinematografici delle scene finali e più il messaggio centrale che trasmettono. Ad esempio, il critico Matt Zoller Seitz, scrivendo per Roger Ebert, ha espresso le seguenti riflessioni sul messaggio morale che si può trarre una volta che iniziano a scorrere i titoli di coda di The Wolf of Wall Street:

Dopo un certo numero di decenni, dovremmo chiederci se il continuo sostegno a tossicodipendenti come Belfort non significhi, in un certo senso, che anche chi li sostiene sia dipendente, che loro (noi) facciano parte di una ruota a moto perpetuo che continua a girare senza sosta. Alla fine, “Wolf” non parla tanto di un singolo tossicodipendente quanto della dipendenza dell’America dall’eccesso capitalista e dalla mentalità del “chi muore con più giocattoli vince”, che si è dimostrata durevole quanto l’immagine del gangster ringhiante che prende ciò che vuole quando ne ha voglia.

In definitiva, ci sono molti momenti in The Wolf of Wall Street che hanno fatto sì che il film di Scorsese del 2013 rimanga per sempre un punto culminante della sua carriera.

Il finale, sebbene soddisfacente, non è uno di questi. Era una conclusione piuttosto prevedibile, soprattutto perché basata su una storia vera, e il fatto che i crimini e le dipendenze di Belfort lo avessero raggiunto era sempre stato il punto adatto per concludere la narrazione. Non era affatto un brutto finale, ma non era nemmeno il momento clou di The Wolf of Wall Street.

Cosa è successo al vero Jordan Belfort dopo The Wolf of Wall Street

The Wolf of Wall Street racconta le gesta del magnate di Wall Street Jordan Belfort, ma non approfondisce ciò che accade al truffatore dopo gli eventi narrati nel film. The Wolf of Wall Street è basato sulle memorie dello stesso Belfort, mettendo in dubbio alcuni dei momenti più scandalosi descritti nel film. Sebbene il film sia certamente fedele alle memorie di Belfort, alcune figure chiave della sua vita hanno contestato l’accuratezza di The Wolf of Wall Street rispetto alla vera storia.

The Wolf of Wall Street include brevi informazioni sulla successiva carriera di Belfort dopo il suo arresto, ma gran parte di ciò che è accaduto dopo rimane sconosciuto nel film. Il vero Belfort ha dovuto senza dubbio affrontare le conseguenze finanziarie delle sue azioni illegali e, secondo The Wall Street Journal, una grande percentuale dei guadagni di Belfort serve come risarcimento per gli investitori che ha truffato per milioni di dollari. Tuttavia, la successiva mossa professionale di Belfort ha rappresentato un passo in qualche modo positivo verso l’aiuto agli altri, anche se le polemiche hanno continuato a seguirlo.

Il vero Jordan Belfort è diventato un motivatore e scrittore dopo The Wolf of Wall Street

La scena dell’epilogo di The Wolf of Wall Street offre uno sguardo su una delle iniziative intraprese dal vero Belfort dopo il suo rilascio dal carcere: i discorsi motivazionali. Come riportato da Business Week, Belfort ha lasciato il mondo della finanza per dedicarsi alle conferenze, che lo portavano a viaggiare in tutta l’Australia. I seminari di Belfort hanno trattato diversi argomenti, tra cui l’etica aziendale – una discussione in gran parte aiutata dal racconto delle sue stesse pratiche commerciali nefaste – così come la motivazione, le tecniche di vendita e l’imprenditorialità.

Dopo il suo rilascio dal carcere, Belfort ha scritto due libri di memorie: The Wolf of Wall Street nel 2007, che è il materiale di riferimento per il film di Scorsese, e Catching the Wolf of Wall Street nel 2009, che racconta la sua vita dopo l’arresto. Entrambi i libri presentano uno stile di scrittura e un linguaggio in linea con la volgare interpretazione di Belfort da parte di Leonardo DiCaprio sul grande schermo. L’ex truffatore ha scritto un terzo libro nel 2017 intitolato Way of the Wolf: Straight Line Selling: Master the Art of Persuasion, Influence, and Success, che delinea le tecniche di vendita che hanno reso Belfort e i suoi complici così efficaci nel manipolare i clienti di Wall Street.

Jordan Belfort è finito sotto accusa per uno scandalo relativo a un corso di formazione in Australia nel 2015

Belfort è rimasto sotto accusa dopo la sua incriminazione per frode nella vita reale. Come riportato da Investment News nel 2018, Belfort non stava effettuando i pagamenti di risarcimento con la rapidità che avrebbe dovuto. Tuttavia, lo scandalo più significativo in cui Belfort è stato coinvolto di recente si è verificato in Australia nel 2015, dove un’inchiesta giornalistica ha scoperto dei legami tra Belfort e un’agenzia di formazione professionale. Come riportato dal Courier Mail, Belfort ha tenuto due seminari per l’organizzazione Face to Face Training, che ha ricevuto denaro dai contribuenti per condurre corsi di formazione e valutazioni, ma secondo quanto riferito non lo ha utilizzato per i suoi eventi. Belfort ha minimizzato il suo rapporto con Face to Face Training, così come ha fatto il proprietario di maggioranza dell’organizzazione.

Fonte: The Wall Street Journal, Business Week, Investment News, Courier Mail

Bumblebee: spiegazione della cronologia dei Transformers

Bumblebee: spiegazione della cronologia dei Transformers

Bumblebee, lo spin-off della saga di Transformers diretto da Travis Knight, ha risposto a diverse domande chiave sul film. Dà un’idea del tono e dello stile del film, un’idea di alcuni dei conflitti che saranno esplorati dalla trama e un forte senso di dove questo si inserisce nella cronologia di Transformers.

Transformers – L’ultimo Cavaliere ha rivelato che Bumblebee era attivo sulla Terra da molto più tempo di quanto pensassimo inizialmente. Aveva visitato il pianeta durante la Seconda Guerra Mondiale, in un periodo in cui era molto più militarista e, francamente, insubordinato. All’inizio Bumblebee aveva poca tolleranza per gli umani. Bee si era affezionato a un’unità militare che aveva svolto un ruolo chiave durante la guerra, e “gentile” non era una delle parole usate per descriverlo all’epoca.

Questa era un’ovvia preparazione per lo spin-off Bumblebee. Da qualche parte tra gli eventi di L’ultimo Cavaliere e il primo film di Transformers, Bumblebee sarebbe tornato sulla Terra e la sua esperienza lì avrebbe cambiato per sempre la sua visione dell’umanità.

Bumblebee ha una trama guidata dai personaggi

I film di Transformers sono stati tipicamente film d’azione, ma questo primo trailer si concentra sui personaggi. Sembra che, nel 1985, Bumblebee venga scoperto da Charlie Watson, interpretata da Hailee Steinfeld. Lei diventa l’autista di Bumblebee e i due stringono un forte legame. Una voce fuori campo sottolinea che c’è un lato quasi spirituale nella loro relazione: “È un legame mistico tra uomo e macchina”, viene detto agli spettatori. Alcune scene rasentano persino il romanticismo!

Proprio come nel primo film di Transformers, questa versione di Bumblebee non è in grado di parlare; è Charlie che ha l’idea di comunicare attraverso la musica. Lei gli dà una cassetta, che – in un momento esilarante – Bumblebee rifiuta senza tanti complimenti. Il film utilizzerà presumibilmente una colonna sonora classica per ricreare lo stile dell’epoca.

Collegare Bumblebee alla continuity di Transformers

Il trailer è in realtà piuttosto leggero sia nell’azione che nella trama, evitando di rivelare troppo. È importante ricordare che, negli anni ’80, i Decepticon avrebbero setacciato la galassia alla ricerca di Megatron e dell’All-Spark. Il trailer offre un assaggio del design di G1 Starscream, suggerendo che una manciata di Decepticon è arrivata sulla Terra, quindi è possibile che Bumblebee sia qui per monitorarli.

Il trailer sottolinea anche la presenza del Settore 7, l’agenzia segreta fondata dal presidente Hoover per monitorare il coinvolgimento degli alieni sulla Terra. In realtà possiedono sia Megatron che l’All-Spark, e la tecnologia dei Transformers è stata decodificata nel corso del XX secolo per creare macchine umane. Bumblebee dovrà muoversi con molta cautela: se i Decepticon si rendono conto che la tecnologia umana deriva dalla scienza dei Transformers, capiranno che Megatron, almeno, è sulla Terra. Ma non dovrebbero farlo fino al primo film Transformers, ambientato decenni dopo.

Optimus Prime è confinato ad apparire in Bumblebee, ma è probabile che avrà solo un cameo. Questo è solo uno spettacolo con un solo robot, con un unico eroico Autobot che lotta per proteggere l’umanità dalla minaccia dei Decepticon.

Mercoledì – Stagione 2: gli autori spiegano l’importanza del ruolo di Lady Gaga

0

La cantante Lady Gaga era stata precedentemente annunciata come Rosaline Rotwood, una leggendaria insegnante di Nevermore che incrocia il cammino di Mercoledì nella seconda stagione della serie. Il personaggio era stato descritto come “avvolta nel mistero, con una reputazione che la precede”. Presentata anche come una visione velenosa, Rotwood è poi apparsa nell’episodio 6 della seconda parte della seconda stagione di Mercoledì. Si scopre che l’accogliente cottage in cui Morticia (Catherine Zeta-Jones) e Gomez Addams (Luiz Guismán) soggiornano vicino a Nevermore era la sua casa molto tempo fa.

Si inserisce perfettamente in questo mondo”, ha detto lo showrunner Al Gough della musicista. “In realtà è un personaggio molto importante per quell’episodio e per la mitologia della serie. Quindi averla con noi è stato fantastico”. Dopo che Mercoledì chiede a sua nonna un altro modo per accedere al suo dono psichico, Hester (Joanna Lumley) le consiglia di andare alla tomba di Rosaline Rotwood, recitare l’iscrizione che vi si trova e connettersi con la defunta professoressa di Nevermore, che era anche una Raven.

Il talento psichico della Rotwood era leggendario, ed era una professoressa quando Hester era studentessa a Nevermore, dove insegnava Rune e Criptologia Antica, oltre a Possessioni Avanzate. “Per quanto riguarda la creazione del suo personaggio, volevamo renderlo qualcosa di radicato nella mitologia di Nevermore, e il personaggio di Rosaline Rotwood ci è sembrato naturale”, ha detto l’altro showrunner, Miles Millar, a Deadline. “Si vede il cottage, è allestito, è lì, e poi si scopre la storia attraverso l’interazione con Mercoledì. È venuto fuori molto rapidamente”.

Lady Gaga è Rosaline Rotwood in Mercoledì - Stagione 2
Lady Gaga è Rosaline Rotwood in Mercoledì – Stagione 2. Cr. Helen Sloan/Netflix © 2025

Cosa accade tra Mercoledì e la Rosaline Rotwood di Lady Gaga

Mercoledì segue dunque il consiglio di sua nonna, che Hester le dà con un piccolo avvertimento di stare attenta. Nel cimitero, la lapide di Rotwood, intrisa della sua energia oscura, sembra quella della visione di Mercoledì, con un corvo appollaiato sopra, con le ali spiegate. L’iscrizione recita: “All’ombra del corvo, concedimi l’uso della tua vista effimera. Stai attenta. Se il mio sguardo dovesse essere spezzato, ti giocherò un trucco mortale“. Come Hester aveva detto a sua nipote, pronunciare queste parole l’avrebbe aiutata ad acquisire temporaneamente il dono della chiaroveggenza.

Dopo aver recitato l’iscrizione, Mercoledì viene trasportata in una stanza del cottage di Rotwood, dove Gaga appare come la mitica professoressa Nevermore, vestita di bianco e dall’aspetto etereo. Dice alla ragazza di non spezzare lo sguardo del corvo tenendo il palmo della mano sopra una fiamma accesa da una candela nera. Sfortunatamente, Enid (Emma Myers) va a prendere Mercoledì al cimitero perché stanno controllando il coprifuoco, quindi questo rompe lo sguardo. Rotwood aveva detto che ci sarebbe stato “un prezzo da pagare” se ciò fosse accaduto.

Il prezzo, a quanto pare, è uno scambio di corpi tra Mercoledì ed Enid. Mercoledì nel corpo di Enid si intrufola nella vecchia camera segreta di Rotwood, dove l’aveva visitata alla tomba, nel cottage per cercare indizi su come tornare indietro. Rotwood appare poi in un’altra apparizione spettrale e dice a Mercoledì nel corpo di Enid che devono svelare i segreti delle vite in cui sono entrate ed essere disposte a morire nelle rispettive pelli.

Jenna Ortega e Lady Gaga in Mercoledì - Stagione 2
Jenna Ortega e Lady Gaga in Mercoledì – Stagione 2. Cr. Helen Sloan/Netflix © 2025

La nuova canzone di Lady Gaga

Oltre ad apparire nella seconda stagione, Gaga ha anche scritto una nuova canzone per lo show, “The Dead Dance”, che è stata pubblicata insieme all’arrivo della seconda parte su Netflix. La canzone accompagna la routine di danza di gala di Enid e Agnes (Evie Templeton). “Sapevamo che lei amava la serie, il suo team ci aveva contattato, poi lei ha replicato la danza di Mercoledì. Stavamo cercando un modo per averla nello show, e poi lei ha pensato alla canzone per noi“, ha aggiunto Gough.

”Si sente così emarginata a causa della canzone “Bloody Mary” e del ballo, che è diventato virale nella prima stagione. Poi è arrivata la canzone, e quando l’abbiamo ascoltata per la prima volta, era su un link segreto, potevamo ascoltarla solo una volta, ma era incredibile“. Sia Gough che Millar hanno poi detto a Deadline che la porta è aperta per il ritorno della cantante anche nella terza stagione.

LEGGI ANCHE:

Giornate degli Autori – GdA 2025: tutti i vincitori

Giornate degli Autori – GdA 2025: tutti i vincitori

Nel corso della cerimonia di premiazione, tenutasi alle ore 16.30 di venerdì 5 settembre nella Sala Perla del Palazzo del Casinò, sono stati annunciati i vincitori dei tre premi ufficiali delle Giornate degli Autori: il GdA Director’s Award,l’Europa Cinemas Label e il Premio del Pubblico.

La giuria delle Giornate degli Autori, presieduta dal regista norvegese Dag Johan Haugerud e composta dalla produttrice italiana Francesca Andreoli, il curatore del Dipartimento di Cinema presso il MoMA di New York Josh Siegel, la regista e attrice franco-palestinese-algerina Lina Soualem e il direttore della fotografia tunisino Sofian El Fani, ha decretato il vincitore del GDA DIRECTOR’S AWARD, premio dal valore di 20.000 euro per metà destinata al regista e per metà al venditore internazionale del film.

Tra i dieci film in concorso della 22ª edizione delle Giornate degli Autori è Inside Amir di Amir Azizi ad aggiudicarsi il GdA Director’s Award 2025, con la seguente motivazione:

“Il film che premiamo questa sera è una meditazione sul quotidiano. Ci ricorda come le routine di ogni giorno, i gesti e le conversazioni con gli amici, ci offrano al tempo stesso sicurezza e libertà. Con uno sguardo che, poco a poco, svela una vita complessa segnata dalla perdita e dal lutto, sullo sfondo dell’esilio e dei turbamenti sociali, il film ci pone domande fondamentali su cosa significhi appartenere e sui dubbi esistenziali che emergono a partire da tali riflessioni. È un film che si prende il tempo di ascoltare, e che mostra come incontri inaspettati e spontanei creino una vita ricca. I dialoghi precisi e la messa in scena restituiscono un forte senso di presenza, e da spettatori ci sentiamo invitati con generosità a far parte di un gruppo di amici, tanto nelle conversazioni intime e profonde quanto in quelle più leggere e quotidiane… Un altro grande piacere che questo film regala è il sottile uso di diversi periodi temporali, spesso nella stessa inquadratura e persino durante lo stesso giro in bici. È un onore assegnare il premio delle Giornate degli Autori a Daroon-E Amir (Inside Amir) di Amir Azizi.”

L’EUROPA CINEMAS LABEL, creato da un network di esercenti europei, con il sostegno del Programma MEDIA dell’Unione Europea, è un premio dedicato ai film di produzione e co-produzione europea, grazie al quale il vincitore può beneficiare del sostegno promozionale di Europa Cinemas e di una migliore distribuzione.

La giuria 2025, composta da Manuel Asín (Cine Estudio del Círculo de Bellas Artes, Madrid, Spagna), Simon Blaas (Cinema Middelburg, Middelburg, Paesi Bassi), Ivan Frenguelli (PostModernissimo, Perugia, Italia) e Signe-Annie Lindstedt (Zita Folkets Bio, Stoccolma, Svezia) ha assegnato l’Europa Cinemas Label a Bearcave di Stergios Dinopoulos e Krysianna B. Papadakis.

La giuria ha motivato così il premio:

Bearcave è un esordio nel lungometraggio estremamente innovativo e vitale di Stergios Dinopoulos e Krysianna B. Papadakis, supportati da una troupe giovane e di grande talento. Il film segue la relazione tra due giovani donne queer in un remoto villaggio tra le montagne dei Balcani. L’opera, che al contempo unisce e contrappone antico e moderno, ha un impianto che richiama quello di un thriller, ma è attraversata da un marcato tocco di soprannaturale. Musica, montaggio e fotografia risultano estremamente originali, e le interpretazioni delle due protagoniste sono straordinarie. Speriamo che l’assegnazione di questo premio possa incoraggiare i distributori e il pubblico in tutta Europa.”

Il PREMIO DEL PUBBLICO, decretato sulla base delle preferenze espresse dagli spettatori in Sala Perla nel Palazzo del Casinò al termine delle proiezioni della selezione ufficiale, è stato conquistato eccezionalmente da due film ex-aequo: Memory di Vladlena Sandu e A sad and beautiful world di Cyril Aris, entrambi con il 77,4% di preferenze da parte del pubblico.

40° Settimana Internazionale della Critica (SIC): tutti i vincitori

La Settimana Internazionale della Critica (SIC), sezione autonoma e parallela organizzata dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) nell’ambito della 82. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia (26 agosto – 06 settembre 2025), ha assegnato oggi, venerdì 5 settembre, i premi della 40esima edizione.

La giuria internazionale composta da Valentina e Nicole Bertani, Nathalie Jeung e Lee Hong-chi ha assegnato il Gran Premio IWONDERFULL a “STRAIGHT CIRCLE” di Oscar Hudson. Questa la motivazione: “Una coloratissima e assurda commedia nera si trasforma progressivamente in un incubo a occhi aperti, sullo sfondo di un mondo distopico in cui due soldati di fazioni opposte si ritrovano stazionati sullo stesso confine deserto. Di forte impatto visivo, il film ci ha colpito in particolare per l’interpretazione impeccabile dei due protagonisti. Si tratta di una parabola contro la guerra, in un tempo in cui le dispute sui confini seminano discordia un po’ in tutto il mondo”.

A “ISH” del regista Imran Perretta va il Premio del Pubblico con una votazione di 4.3/5.

Il Premio Luciano Sovena alla Miglior Produzione Indipendente va ad “AGON” di Giulio Bertelli, con la seguente motivazione: “Grazie a un lavoro attento di costruzione e di cura, Agon si impone come esempio di cinema indipendente capace di coniugare forza narrativa, ricerca e tanta innovazione.

I produttori hanno saputo sostenere con attenzione lo sguardo di un giovane autore, accompagnandolo in un percorso complesso e rischioso, garantendo qualità artistica e solidità produttiva pur in un contesto indipendente”.

WAKING HOURS” di Federico Cammarata e Filippo Foscarini si aggiudica il Premio Mario Serandrei – Hotel Saturnia per il Miglior Contributo Tecnico, assegnato da un’apposita commissione di esperti composta da Sara D’Ascenzo, Davide Di Giorgio e Carlo Griseri, con la motivazione: “Attraversando i tanti confini che lacerano il mondo, il film si spinge in un autentico passaggio di stato dell’immagine dalla materia all’astrazione, grazie al lavoro sperimentale (e mai fine a sé stesso) della fotografia, che disegna nuove geografie umane in isolati punti luce”.

STRAIGHT CIRCLE” si aggiudica, infine, anche il Premio Circolo del Cinema di Verona come film più innovativo, assegnato dalla giuria under 35 composta da Anna Sergio, Angela Giona, Giovanni Cicogna, Giovanni Delaini e Adele Kekulthotuwage con la motivazione: “Il cinema è un confine. Non tra realtà e finzione ma tra lo spettatore e i confini stessi. La realtà cinematografica sfugge alla gabbia della materia, assottiglia i confini e apre agli spettatori un varco verso la luce. Una visione che ci ha fatto pensare al confine, al nemico, alla terribile potenza di una riga, un segno, un pezzo di terra con delle scritte. Una profonda riflessione sull’incapacità di comprendere e superare le proprie insicurezze, sull’indecisione, sull’odio che diviene intrinseca identità dell’individuo. Un cerchio dritto, un confine che non è confine ma prigione inesauribile e inevitabile che uccide il ricordo e la coscienza”.

Nell’ambito della nona edizione di SIC@SIC (Short Italian Cinema @ Settimana Internazionale della Critica) la giuria, composta da tre professionisti dell’industria cinematografica – Alessandra Speciale, Gianluca Matarrese e Alessandro Amato, ha selezionato i seguenti vincitori tra i sette cortometraggi in concorso:

Premio Miglior Cortometraggio “MARINA” di Paoli De Luca con la motivazione: “Con un approccio visivo fortemente sensoriale e un linguaggio che privilegia l’esperienza estetica interiore, il film racconta con autenticità e senza facili giudizi un percorso identitario ancora in divenire ma vitale che, passando attraverso difficoltà emotive e un turbamento irrisolto, giunge a una fragile serenità, immergendo lo spettatore nella storia attraverso una narrazione fluida e sospesa tra malinconia e dolcezza” che vince anche quello come Miglior Contributo Tecnico con la motivazione: “Per una regia capace di trasformare ogni inquadratura in un riflesso interiore, con una messa in scena delicata ma potentemente espressiva, e per una fotografia che costruisce un racconto emotivo che accarezza i corpi, rivelando la complessità identitaria attraverso immagini di rara intensità, coerenza formale e freschezza, come un tuffo in piscina”.

Premio Migliore Regia “FESTA IN FAMIGLIA” di Nadir Taji con la motivazione: “La regia consapevole e potente affronta una storia cruda e drammatica, raccontando con lucidità l’incapacità dei personaggi di confrontarsi con la fragilità di una famiglia segnata da un trauma che rompe gli equilibri.

La narrazione si affida a una direzione attoriale precisa ed efficace, sorretta da una padronanza del linguaggio che rinuncia ai manierismi per costruire una drammaturgia solida, tesa e coerente dall’inizio alla fine”.

La stessa giuria ha assegnato una menzione speciale a “EL PÜTI PÈRS” di Paolo Baiguera, con la motivazione: “Per aver saputo intrecciare memoria personale e mito popolare in un racconto narrativo sospeso tra realismo e fiaba, per aver trasformato il dolore in simbolo, il bosco in uno spazio di mistero e di perdita, il legno in scultura, restituendo l’enigma e la persistenza di una ferita mai rimarginata”.

Il premio assegnato dal Centro Nazionale del Cortometraggio va a “THE PØRNØGRAPHƏR” di HARIEL. Questa la motivazione:

“Un antidoto al veleno nostalgico che celebra il (cinema) classico. Un film breve che penetra lo sporco, il deforme e l’errore, per ammaestrare l’algoritmo, lo sguardo e la carne.Una ricognizione che non rinuncia all’empatia e al gioco. Senza l’affanno indotto dall’eros, “THE PØRNØGRAPHƏR” di HARIEL è anche la storia di tutti noi spettatori.”

“Quaranta edizioni per continuare a credere in un cinema che sceglie, che rischia, che parla al presente con voce propria. Questa edizione ha acceso immagini vive, corpi che resistono, sogni che rivendicano spazio. E un pubblico curioso, giovane, attento ha raccolto il messaggio. Il futuro non è scritto, ma si può filmare.”commenta così questa edizione il Delegato Generale Beatrice Fiorentino.

“Ancora una volta il pubblico della Mostra ha premiato la Settimana Internazionale della Critica che da 40 edizioni segnala il cinema del futuro, dando spazio alla sperimentazione e all’innovazione, mentre la Casa della critica, per il quarto anno, ha ospitato critici, giornalisti, addetti ai lavori e giovani appassionati dando occasioni importanti di crescita e di networking” dichiara Cristiana Paternò, Presidente del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI).

Venezia 82: a La grazia di Paolo Sorrentino il Premio Francesco Pasinetti 2025

Va a La grazia di Paolo Sorrentino (Venezia 82) il Premio Francesco Pasinetti 2025 per il miglior film italiano assegnato a Venezia, come tradizione, dai Giornalisti Cinematografici Italiani (SNGCI). Fra gli attori protagonisti sugli schermi della Mostra 82 il prestigioso riconoscimento è attribuito a Toni Servillo, ancora per La grazia e a Valeria Bruni Tedeschi per Duse di Pietro Marcello. Ad Anna Ferzetti, un Pasinetti ‘speciale’ per la sua grande prova d’attrice a fianco di Servillo nel film di Sorrentino.

Nel ricordare che i ‘Pasinetti’ sono i premi storici assegnati dalla stampa a Venezia fra tutte le opere italiane presentate nelle diverse sezioni, i Giornalisti Cinematografici segnalano un’annata di eccellenza soprattutto nelle performance delle attrici che, a partire dall’interpretazione di Barbara Ronchi in Elisa di Leonardo Di Costanzo, hanno dato vita una galleria di straordinarie protagoniste nei film italiani selezionati quest’anno. I giornalisti sottolineano inoltre la qualità di una selezione ricca di opere che confermano la vivacità e la varietà dell’offerta proposta da quest’edizione della Mostra diretta da Alberto Barbera, che ha offerto visibilità al cinema italiano e merita adesso anche l’attenzione del pubblico nelle sale.

Ecco in sintesi le motivazioni:

MIGLIOR FILM

  • La grazia di Paolo Sorrentino

Un film Fremantle scritto e diretto da Paolo Sorrentino.

Prodotto da Annamaria Morelli per The Apartment, società del Gruppo Fremantle

da Paolo Sorrentino per Numero 10 e da PiperFilm che lo distribuirà in sala

“Un film importante, sorprendente e inatteso, magnificamente costellato da piccoli colpi di scena in cui ironia e leggerezza scandiscono il tarlo del dubbio in una lunga riflessione esistenziale. Ricco di dettagli che richiamano iconicamente tutto il cinema di Sorrentino, il film è come sempre e più di sempre un viaggio che abbraccia la politica come la vita. Il tormento del dubbio, in una magnifica sceneggiatura, fa riflettere sull’amore e sul senso dei dilemmi morali, sul tema del perdono e sull’impossibilità di sfuggire, nel pubblico come nel privato, al senso di responsabilità.”

MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA

  • Toni Servillo – La grazia di Paolo Sorrentino

“Nel film di Sorrentino ancora una volta una prova eccellente quella di Servillo, con un personaggio diviso fra il tormento di un antico dubbio sentimentale e l’impossibilità di elaborare un lutto, la malinconia di una solitudine interiore e la tensione degli ultimi giorni di un mandato al Quirinale – con la possibilità di riconquistare un senso di fiducia in se stesso come nelle persone, di cui costantemente dubita. Nel richiamo al senso di responsabilità sui grandi temi che affronterà fino all’ultimo istante del mandato presidenziale, è perfetto l’equilibrio fra riflessione ed emozione, in una prova di recitazione sublime anche nei momenti in cui ci regala la sorpresa di un inatteso intermezzo di passione rap.”

PREMIO PASINETTI SPECIALE

  • Anna Ferzetti – La grazia di Paolo Sorrentino

“Preziosa consigliera del padre Presidente, Dorotea è l’ago della bilancia nel termometro del suo umore e dei suoi dubbi in un duetto che alterna il complesso dibattito tecnico alla complicità intellettuale, il costante invito a lasciar andare la malinconia e quel certo immobilismo caratteriale che rischia a tratti di appannare il ‘cemento armato’ del carattere presidenziale per mancanza di coraggio. Con dolcezza e determinazione la Dorotea di Anna Ferzetti è talmente incisiva nel confronto con il Presidente Toni Servillo da essere presente anche nei momenti di assenza, alternando la pazienza di una figlia comprensiva all’inevitabile durezza di una giurista lucida e determinata.”

MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA

Valeria Bruni Tedeschi – Duse di Pietro Marcello

“Una Eleonora Duse immensa e straordinariamente moderna in un’interpretazione che unisce lo spirito del teatro alla forza di un grande cinema in un ritratto potente e inedito, ricco di sfumature. Una meravigliosa interpretazione che riaccende di novità la figura di un’attrice qui non solo iconica ma vitale, appassionata e tenace fino alla fine.”

Un film fatto per Bene: recensione del film di Franco Maresco – Venezia 82

0

Franco Maresco torna a Venezia con un’opera che è, insieme, film e contro-film. Un film fatto per Bene prende le mosse da un progetto ambizioso: un lungometraggio dedicato a Carmelo Bene. Le riprese, però, naufragano tra incidenti, ciak infiniti e ritardi insostenibili. Andrea Occhipinti, produttore esasperato, decide di tirare il freno a mano e interrompere tutto. Maresco reagisce con un’accusa di “filmicidio” e sparisce dalla circolazione. A raccogliere i cocci ci prova Umberto Cantone, amico e complice di sempre, che si mette sulle tracce del regista, interrogando colleghi, tecnici e testimoni di un’impresa tanto folle quanto impossibile.

Il fantasma di Maresco

La ricerca di Cantone si trasforma presto in un viaggio dentro il mito maresciano: l’autore che da decenni alterna comicità corrosiva e disperata riflessione sull’Italia. Ma se in superficie seguiamo le testimonianze sul naufragio del film, in profondità si intravede un altro percorso: quello di un artista che si sottrae al presente, quasi un eremita che continua a filmare lontano da tutto e da tutti, con un solo scopo dichiarato: dare forma alla rabbia e all’orrore per un mondo “di merda”. In questa prospettiva, l’opera diventa un autoritratto involontario, una confessione che oscilla tra ironia e abisso.

Satira irriducibile

Come spesso accade nel cinema di Maresco, lo spettatore è spiazzato da una satira che non concede sconti. Tra immagini disturbanti, apparizioni grottesche e improvvisi lampi comici, il film mette alla berlina non solo il sistema produttivo italiano, ma anche l’idea stessa di cinema come forma salvifica. Se negli anni Novanta le provocazioni con Ciprì scuotevano censure e critici per blasfemia e oscenità, oggi Maresco sembra concentrarsi su un bersaglio più intimo: se stesso. Il risultato è un gioco di specchi in cui la realtà e la finzione si inseguono, senza mai incontrarsi davvero.

Tra disperazione e lucidità

Un film fatto per Bene non è un’opera facile né conciliante. È lenta, a tratti esasperante, eppure impossibile da liquidare. Dentro la sua struttura caotica pulsa la voce di un autore che, pur dichiarando di non credere più alla capacità del cinema di cambiare il mondo, continua a usarlo come campo di battaglia personale. La frase che chiude idealmente il film — “Da giovane sapevo che la bellezza non avrebbe salvato il mondo, ma credevo che il cinema avesse ancora un senso” — suona come un testamento. Amaro, autoironico, disperato. In altre parole: perfettamente maresciano.

Scarlet: recensione del film di Mamoru Hosoda – Venezia 82

Scarlet: recensione del film di Mamoru Hosoda – Venezia 82

Con Scarlet (Hateshinaki Scarlet), presentato in concorso a Venezia 82, Mamoru Hosoda firma il suo film forse più ambizioso e, al tempo stesso, più fragile. Dopo aver raccontato famiglie ricomposte (Wolf Children), futuri digitali (Summer Wars) e viaggi intergenerazionali (Mirai), il regista giapponese affronta il mito shakespeariano di Amleto attraverso una principessa guerriera, costruendo un’anime che mescola melodramma, fiaba medievale e musical. Un’operazione che, almeno nelle intenzioni, vorrebbe spingersi oltre i confini del fantasy tradizionale, ma che fatica a trovare un vero equilibrio.

Una principessa shakespeariana tra vendetta e perdono

Scarlet è una principessa e spadaccina che sogna di vendicare l’assassinio del padre, orchestrato dall’usurpatore zio Claudius. Tradita e avvelenata, precipita in un limbo ultraterreno dove tempo e spazio si dissolvono: un “Otherworld” sospeso tra passato e futuro, deserti e castelli, cavalieri e banditi. Qui incontra Hijiri, un giovane infermiere proveniente dal presente, che diventa suo compagno di viaggio in una ricerca che si trasforma progressivamente da vendetta a scoperta di sé. Hosoda costruisce così una parabola che intreccia il destino individuale con la responsabilità collettiva, tentando di trasformare l’iconico “essere o non essere” in una riflessione sul valore della pace in un mondo fondato sul conflitto.

Potenza visiva e fragilità narrativa

A colpire, come spesso nel cinema di Hosoda, è la dimensione visiva: le tempeste di sabbia, le eruzioni di lava, i tappeti ricamati in prospettiva zenitale sono momenti di pura meraviglia, amplificati da un sound design possente. L’animazione raggiunge punte di raffinatezza notevole, confermando il regista tra i maestri dell’immaginario contemporaneo. Tuttavia, la narrazione non regge la stessa forza. Troppi registri si accavallano: l’epica medievale, il melodramma, il musical (con un brano centrale in cui i personaggi cantano “Tell me about love”) e le citazioni shakespeariane finiscono per appesantire il racconto, che procede a scatti, più interessato a ribadire concetti che a lasciare allo spettatore la libertà di interpretarli.

Shakespeare in versione anime?

Il tentativo di rileggere Amleto attraverso l’animazione poteva aprire a un’esplorazione fertile delle emozioni e dei conflitti universali del testo. Eppure, nonostante l’originalità dell’idea di gender swap (una principessa al posto del principe), Scarlet non scava davvero nella complessità dell’opera shakespeariana: i dilemmi diventano frasi a effetto, la tragedia si stempera in moralismo, e il percorso di Scarlet si risolve in una catarsi prevedibile. La stessa presenza di personaggi come Polonio, Laerte, Rosencrantz e Guildenstern appare più come un omaggio teatrale che come un elemento realmente funzionale.

I punti di forza sono evidenti: un design spettacolare, una resa sonora e visiva immersiva, un mondo immaginifico che potrebbe quasi sostenere da solo l’esperienza. Il limite, tuttavia, sta nella scrittura: avrebbe giovato il respiro intimo che Hosoda padroneggia in altre sue opere, qui sostituito da una tensione eccessivamente decorativa.

Silent Friend: recensione del film di Ildikó Enyedi – Venezia 82

Silent Friend: recensione del film di Ildikó Enyedi – Venezia 82

È un concorso di piante quello di Venezia 82. Le abbiamo viste ramificarsi nella quotidianità e nell’animo del protagonista di No Other Choice; attraversare il fogliame carponi da Hsiao-lee in Girl e, ora, ergersi a testimone silenzioso di tre vite che si incrociano riflettendo sul bisogno di contatto umano e la nostra vicinanza a diverse forme di esistenza, con Silent Friend di Ildikó Enyedi.

All’ombra di un Ginkgo biloba che sovrasta un’università tedesca dal 1832 vanno intersecandosi le storie di un professore universitario silenzioso (Tony Leung) rimasto isolato nel campus allo scoppio della pandemia da Covid 19; quella dell’unica studentessa femmina in una classe di soli uomini nel 1908; infine, quella di uno studente di letteratura degli anni ’70 che legherà con una ragazza appassionata di esperimenti botanici.

L’albero che unisce

Il professore Wung cerca tramite le neuroscenze di trovare metafore dei fenomeni del mondo. Al momento, indaga sull’idea della conoscenza lantera, ovvero il fatto che la mente dei bambini non smette mai di lavorare di fronte a uno stimolo – “sono sempre sballati“, dirà – finchè non sente la necessita di ramificare questo suo sapere estendendolo anche al mondo vegetale, tramite l’aiuto di un’esperta del settore (Léa Seydoux).

Vi è poi Grete (Luna Wedler), a cui una commissione tutta al maschile si riferità senza soluzione di continuità come “una femminista libera” o “una futura scienziata“. Nel corso di un imbarazzante esame di ammissione, le vengono solo fatte domande a sfondo erotico, ad esempio la classificazione della piante in base al sesso elaborata da Carlo Linneo. La giovane, tuttavia, dimostrerà una conoscenza invidibiale, guadagnandosi l’ingresso in università. La sua sete di conoscenza, però, non si limiterà alla botanica: verrà poi in contatto con la macchina fotografica, strumento per studiare la fragile natura della realtà e, forse, per leggere ancora meglio queste piante.

Infine c’è Hannes (Enzo Brumm), unico studente vestito elegante in mezzo ai capi leggeri e svolazzanti della gioventù anni ’70. Una figura che funziona come una sorta di ponte tra passato e post ’68, che legge Rielke e cita Goethe. Tramite la conoscenza con la coinquilina Gundula e, soprattutto, il suo geranio, si interesserà a un mondo di cui fino ad allora non si era mai curato.

Tutto è foglia

In tutti i casi, l’obiettivo ultimo dei nostri protagonisti è quello di trovare un linguaggio, immortalare un’esperienza tra outsiders che è insieme intima (tutti i personaggi sono in qualche modo alienati rispetto al grande disegno accademico) e universale (neanche il passare dei tempi può cancellare la curiosità umana e la spinta verso l’altro).

Silent Friend è un film anche sull’istitutuzione universitaria, sul piacere della scoperta condivisa, slancio che la pandemia ha irrimediabilmente accantonato, svuotando i campus e le scuole, relegando la formazione culturale ad obbligo prima che esperienza. Non c’è vita sociale nei giardini botanici, le piante muoiono di solitudine, svelerà la scienziata interpretata da Lea Seydoux, rispecchiando l’esperienza che noi umani abbiamo vissuto negli ultimi anni.

Sopra ogni vetta è pace

Silent Friend lavora soprattutto per immagini e mentiremmo se dicessimo che solo qualcuna di queste ci è rimasta impressa. C’è però un’inquadratura precisa che esemplifica da sè il senso stesso dell’ampia riflessione imbastita da Enyedi, in cui il professore e il custode diventano parte del fogliame: una nuova idea di socialità che deve partire dalle radici per elevarsi verso l’alto, lassù dove è pace.

Dynamic Duo: nuovo team di sceneggiatori e ulteriori dettagli sulla trama!

0

I co-amministratori delegati della DC Studios James Gunn e Peter Safran hanno ripetutamente affermato di voler raccontare il maggior numero possibile di storie diverse all’interno e intorno alla DCU. Tra le più intriganti c’è il film d’animazione Dynamic Duo di Swaybox. Annunciato lo scorso ottobre, il film dovrebbe rappresentare per la DC un punto di svolta nell’animazione pari a quello che Spider-Man: Un nuovo universo ha rappresentato per Marvel e Sony.

Ora, a distanza di quasi un anno, arriva finalmente un aggiornamento sul progetto: è infatti stata appena scelta una nuova coppia di sceneggiatori per riscrivere la sceneggiatura e, insieme a questa notizia, sono stati rivelati alcuni dettagli aggiuntivi sulla trama. Secondo The Wrap, Scott Neustadter e Michael H. Weber stanno ora lavorando a Dynamic Duo. I due sono noti soprattutto per aver scritto 500 giorni insieme di Marc Webb e aver ottenuto una nomination all’Oscar per The Disaster Artist.

La rivista rivela poi che il film, che “è una combinazione di miniature, modelli, marionette, animatronica e animazione al computer” e ruoterà attorno a Dick Grayson e Jason Todd, che in questa storia hanno entrambi assunto il ruolo di Robin come spalla di Batman. Si tratta di un cambiamento significativo rispetto ai fumetti, quindi si sarà probabilmente sollevati nell’apprendere che Dynamic Duo “si svolgerà in una linea temporale separata dai film con Robert Pattinson e, a quanto ci risulta, al di fuori dell’attuale canone dell’universo DC”.

Questo ha sicuramente più senso che considerarlo un “prequel” di The Brave and the Bold, un film che dovrebbe ruotare attorno a Bruce Wayne che addestra suo figlio Damian a diventare Robin (il che suggerisce che Batman abbia già protetto Gotham City insieme a Dick, Jason e Tim Drake). Nei fumetti, Dick è stato il primo a ricoprire questo ruolo prima di lasciare Batman per diventare Nightwing. È stato accolto come pupillo di Bruce Wayne dopo che i suoi genitori, gli acrobati Flying Graysons, sono stati uccisi dai gangster.

Per quanto riguarda Jason, Batman lo ha trovato mentre tentava di rubare una delle ruote della Batmobile e lo ha preso sotto la sua ala protettrice. Jason non è però mai stato il figlio obbediente che era Dick e finì per essere ucciso dal Joker. Tuttavia, in seguito sarebbe risorto dai morti come il violento vigilante Red Hood. Non sono mai stati Robin contemporaneamente.

Dynamic Duo sarà un film d’animazione realizzato da Swaybox

Swaybox utilizza una tecnologia chiamata “Momo Animation”, descritta come un incrocio tra animazione CGI, elementi pratici di stop-motion e performance live-action in tempo reale. Il risultato è una narrazione che si dice sia visivamente mozzafiato, dinamicamente espressiva e più umana. James Gunn e Peter Safran saranno produttori per DC Studios, mentre Matt Reeves è a bordo con il suo studio 6th & Idaho. Andersson e Michael Uslan di Swaybox sono anche impegnati in ruoli di produzione.

All’inizio di quest’anno, il co-amministratore delegato della DC Studios James Gunn ha suggerito che potrebbe esserci un modo per rendere il Dynamic Duo “canonico” in futuro. “Potrebbe esserci un modo per inserirlo nella DCU”, ha anticipato. “Mi piacerebbe che questo film d’animazione con pupazzi facesse parte della DCU. L’idea mi piace molto, ma la storia è unica, quindi potrebbe non funzionare nel nostro universo”.

Dynamic Duo, al momento, uscirà nelle sale il 30 giugno 2028.

40 Secondo: trailer del film sulla tragedia di Willy Monteiro Duarte

0

Nel quinto anniversario della scomparsa di Willy Monteiro Duarte, Eagle Pictures  — la stessa casa di produzione de Il ragazzo dai pantaloni rosa, campione d’incassi al box office — diffonde il trailer ufficiale di 40 SECONDI, il nuovo film diretto da Vincenzo Alfieri, tratto dal libro 40 SECONDI. Willy Monteiro Duarte. La luce del coraggio e il buio della violenza di Federica Angeli (Baldini+Castoldi).

In arrivo nelle sale italiane dal 20 novembre 2025, il film ricostruisce le ultime ventiquattro ore prima della notte del 5 settembre 2020, restituendo con sguardo autentico e asciutto la fragilità giovanile, il senso di smarrimento di una generazione e l’assurdità di una violenza improvvisa.

Un’opera che evita ogni spettacolarizzazione, scegliendo un linguaggio diretto, vicino ai più giovani, e preferendo porre domande piuttosto che offrire risposte.  40 SECONDI non cerca colpevoli, ma invita a riflettere.

Il regista e la produzione hanno scelto di realizzare un attento street casting per selezionare alcuni dei protagonisti, con l’obiettivo di affiancare attori professionisti a volti nuovi e restituire così tutta l’autenticità della storia. Dopo centinaia di provini è stato scelto Justin De Vivo per la prima volta sullo schermo interpreta Willy, affiancato da un ampio ensemble che annovera Francesco Gheghi, Enrico Borello, Francesco Di Leva, Beatrice Puccilli, Giordano Giansanti, Luca Petrini e con Sergio Rubini e Maurizio Lombardi.

Il film è scritto da Vincenzo Alfieri e Giuseppe G. Stasi.

La trama di 40 Secondi

Un litigio per un semplice equivoco si trasforma in un pestaggio di una violenza inaudita ai danni di Willy Monteiro Duarte, un ragazzo di ventuno anni che, in 40 secondi, viene ucciso.  Ispirato a una storia vera, il film ripercorre le ventiquattro ore che precedono il tragico evento, in cui si intrecciano incontri casuali, rivalità e tensioni latenti: un viaggio attraverso la banalità del male che indaga la natura umana e i suoi condizionamenti.

Il film è prodotto e distribuito da Eagle Pictures, con il contributo del Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo, il patrocinio della Città di Guidonia Montecelio e la concessione del Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia – Parco archeologico Cerite e via degli Inferi.

Venezia 82: le foto dal red carpet di Silent Friend di Ildikó Enyedi

Alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stato presentato in concorso Silent Friend, il nuovo film della regista ungherese Ildikó Enyedi, Leone d’Oro a Venezia con My 20th Century e candidata all’Oscar con Corpo e anima e con protagonista Léa Seydoux.

La regista è arrivata al Lido insieme al cast del film, sfilando sul red carpet tra applausi e flash. La presenza della troupe ha reso l’evento uno dei momenti più seguiti della giornata, con il pubblico che ha accolto calorosamente Enyedi e i suoi interpreti.

Le immagini raccontano l’atmosfera della serata veneziana, tra eleganza e entusiasmo, confermando Silent Friend come uno dei titoli più attesi e discussi del concorso. Con la sua regia intima e poetica, Enyedi ha portato ancora una volta al Lido il suo cinema sospeso tra realtà e immaginazione, catturando l’attenzione della critica internazionale.

Il red carpet ha rappresentato non solo un momento di celebrazione, ma anche l’occasione per il cast e la regista di condividere con il pubblico l’emozione di presentare il film a Venezia, in un’edizione che si conferma ricca di opere autoriali e di forte impatto.

Sfoglia la nostra gallery per rivivere i momenti più belli del red carpet di Silent Friend a Venezia 82.

Ryan Reynolds sul ritorno di Deadpool in Avengers: Doomsday: “Non ho ancora messo piede sul set”

0

Il 2024 ha aperto le porte a Wade Wilson/Deadpool nella timeline del MCU, dopo che i diritti cinematografici degli X-Men sono passati sotto il controllo della Marvel Studios, con il ritorno sul grande schermo del Mercenario Chiacchierone. Ora, in una nuova intervista con Entertainment Weekly, Ryan Reynolds, che secondo numerose indiscrezioni sarebbe tornato per il prossimo film di squadra, ha finalmente rotto il silenzio a riguardo.

Alla domanda se da parte di Deadpool ci saranno easter eggs nel prossimo capitolo di Avengers, la star ha risposto: “Ce ne sono quattro che ho inserito. Ovviamente li ho scritti tutti a casa in pigiama, nessuno li ha visti e non ho ancora messo piede sul set. Ma sì, questo è tutto quello che posso dire al riguardo”.

In un’altra intervista con Collider, all’attore canadese della Marvel è stato chiesto di chiarire il significato del suo misterioso post sui social media dedicato agli Avengers, che ha dato il via alle prime teorie sul ritorno di Deadpool nel 2026. Fortunatamente, l’attore ha fornito una spiegazione esauriente, discutendo anche del futuro della sua carriera nel mondo dei fumetti:

Quello che ho pubblicato sui social è in realtà una variante della bandiera che usiamo in Deadpool & Wolverine. Era la mia preferita. Per qualche motivo, quando poi guardi un film che ha tante varianti e tutto il resto, ti chiedi: “Perché non ho scelto quella? C’erano altre cinque battute fantastiche per quella scena”. È così che funziona, ed era solo una bandiera. L’ho vista per caso e ho pensato: “Oh sì, mi piaceva quella bandiera. L’atmosfera rossa e nera”. E poi, sai, se ne parla sempre. Stiamo cercando di capire cosa succederà in quel mondo e bla, bla, bla”.

Questi commenti arrivano poco dopo che è stato rivelato che la presunta faida con Robert Downey Jr. non era altro che una voce, il che è anche la prova che Reynolds non è confermato per Avengers: Doomsday al momento. Nonostante abbia negato di non essere stato sul set, questa è una risposta molto classica della Marvel, dato che lo studio è sempre incredibilmente riservato sui propri progetti.

Se dovesse apparire, probabilmente sarà una sorpresa, che potrebbe essere l’obiettivo a cui punta la Marvel Studios, dato che Kevin Feige ha detto che non hanno ancora annunciato l’intero cast (tra i grandi assenti ad oggi ci sono Spider-Man, Hulk e Doctor Strange). Per quanto riguarda i progetti futuri, la star potrebbe riferirsi al film degli X-Men con Deadpool a cui sta lavorando.

Cosa sappiamo di Avengers: Doomsday

Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars arriveranno in sala rispettivamente il 18 dicembre 2026, e il 17 dicembre 2027. Entrambi i film saranno diretti da Joe e Anthony Russo, che tornano anche nel MCU dopo aver diretto Captain America: The Winter Soldier, Captain America: Civil War, Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame.

Sono confermati nel cast del film (per ora): Paul Rudd (Ant-Man), Simu Liu (Shang-Chi), Tom Hiddleston (Loki), Lewis Pullman (Bob/Sentry), Florence Pugh (Yelena), Danny Ramirez (Falcon), Ian McKellen (Magneto), Sebastian Stan (Bucky), Winston Duke (M’Baku), Chris Hemsworth (Thor), Kelsey Grammer Bestia), James Marsden (Ciclope), Channing Tatum (Gambit), Wyatt Russell (U.S. Agent), Vanessa Kirby (Sue Storm), Rebecca Romijn (Mystica), Patrick Stewart (Professor X), Alan Cumming (Nightcrawler), Letitia Wright (Black Panther), Tenoch Huerta Mejia (Namor), Pedro Pascal (Reed Richards), Hannah John-Kamen (Ghost), Joseph Quinn (Johnny Storm), David Harbour (Red Guardian), Robert Downey Jr. (Dottor Destino), Ebon Moss-Bachrach (La Cosa), Anthony Mackie (Captain America).

Venezia 82: le foto dal red carpet di Piero Pelù. Rumore Dentro

Venezia 82: le foto dal red carpet di Piero Pelù. Rumore Dentro

Alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stato presentato Piero Pelù. Rumore Dentro (Noise Inside. Don’t Call Me a Rock Star), il documentario che racconta la vita, la musica e l’energia di una delle figure più iconiche del rock italiano.

Sul red carpet il protagonista Piero Pelù ha attirato l’attenzione di pubblico e fotografi, portando al Lido lo stesso carisma che da sempre caratterizza la sua carriera artistica. Accolto da applausi e flash, il musicista ha sfilato davanti ai fan con l’entusiasmo che lo contraddistingue.

Le immagini della serata restituiscono tutta la vivacità di un evento che ha saputo unire cinema e musica, celebrando una carriera che ha attraversato generazioni. Rumore Dentro porta sullo schermo il percorso di Pelù, tra successi, collaborazioni e la voglia di non essere mai etichettato semplicemente come “rock star”.

La premiere veneziana ha confermato l’attesa attorno al documentario, che si propone di offrire un ritratto autentico, energico e senza filtri dell’artista. Un’opera che racconta tanto il personaggio pubblico quanto l’uomo, tra palco, vita privata e continua ricerca di libertà espressiva.

Sfoglia la nostra gallery per rivivere i momenti più belli del red carpet di Piero Pelù. Rumore Dentro (Noise Inside. Don’t Call Me a Rock Star) a Venezia 82.

Alien: Romulus, Fede Álvarez non tornerà alla regia del sequel

0
Alien: Romulus, Fede Álvarez non tornerà alla regia del sequel

Il sequel di Alien: Romulus (qui la nostra recensione) riceve un sorprendente aggiornamento, con il regista Fede Álvarez che conferma la sua uscita dal progetto. Uscito nel 2024, il settimo capitolo della saga principale di Alien si è allontanato dalla trama dei prequel di Ridley Scott, Prometheus (2012) e Alien: Covenant (2017).

Cailee Spaeny è la protagonista del film nel ruolo di Rain, una giovane colona spaziale che incontra uno Xenomorfo mentre si trova a bordo di una stazione spaziale abbandonata. Il film ha avuto un grande successo e poco dopo è stato confermato che era in fase di sviluppo un sequel, con Álvarez che avrebbe dovuto tornare alla regia.

Ora, durante una recente intervista con TooFab, tuttavia, Álvarez ha rivelato che non tornerà a dirigere il sequel ancora senza titolo. Il regista non abbandonerà però completamente il sequel, poiché ha co-scritto la sceneggiatura e rimarrà a bordo come produttore insieme a Scott. Tuttavia, per il film si è ora alla ricerca di un regista sostitutivo.

Abbiamo appena finito la sceneggiatura del sequel di Romulus. Ma passerò il testimone come regista. Lo produrrò insieme a Ridley Scott, lo produrremo insieme e ora stiamo cercando un nuovo regista. Penso che di solito sia così che funziona, tranne che per Ridley, i registi arrivano, ne fai uno e poi passi il testimone al prossimo. Ma abbiamo scritto la storia perché amiamo davvero ciò che abbiamo iniziato con Romulus e vogliamo continuare. Amiamo la storia e ora vogliamo solo trovare un regista che voglia davvero andare fino in fondo”.

LEGGI ANCHE: Alien: Romulus, la spiegazione del finale del nuovo film

Per quanto riguarda il prossimo progetto di Álvarez, il regista anticipa che si tratterà di qualcosa di completamente originale: “Voglio lavorare a un progetto personale che io e il mio co-sceneggiatore abbiamo tenuto in sospeso per un po’ e riteniamo che sia il momento giusto per lavorare a qualcosa di originale. Ma non posso dirvi nulla al riguardo”.

LEGGI ANCHE: Alien: Romulus, il regista spiega il legame con Prometheus e il design della creatura – SPOILER

Cosa aspettarsi dal sequel di Alien: Romulus

Sebbene Prometheus abbia riscosso un grande successo, la risposta ad Alien: Covenant è stata molto più contrastante nel 2017, con il film che ha subito un duro colpo sia dal punto di vista della critica che da quello commerciale. Il terzo film della saga previsto da Scott è stato apparentemente accantonato e ci sono voluti sette anni prima che il capitolo successivo arrivasse nelle sale.

Precedentemente noto per aver diretto film come La casa (2013) e Man in the Dark (2016), Álvarez era evidentemente ciò di cui aveva bisogno il franchise di Alien. Le recensioni di Alien: Romulus sono state generalmente positive da parte della critica, con il film che ha ottenuto un punteggio dell’80% su Rotten Tomatoes e un punteggio ancora migliore dell’85% su Popcornmeter. Ha anche incassato 350 milioni di dollari in tutto il mondo.

Il suo abbandono come regista potrebbe quindi destare preoccupazione in alcuni. Sebbene Romulus sia stato criticato per l’eccessiva dipendenza dalla nostalgia del franchise, l’atto finale con l’ibrido Xenomorfo è stato ampiamente salutato come uno dei momenti salienti del film. Fino a quando non verrà annunciato un nuovo regista, è difficile dire esattamente come cambierà il tono del sequel di Romulus.

Álvarez ha anche rivelato all’inizio dell’estate che il sequel avrebbe dovuto iniziare la produzione in ottobre, ma ora sembra improbabile se non è stato ancora scelto un regista. Il film, in ogni caso, dovrebbe apparentemente continuare la storia di Rain e di suo fratello androide, Andy (David Jonsson), ma non sono ancora state confermate informazioni sul cast.

LEGGI ANCHE: Tutti gli Easter Eggs che potrebbero esservi sfuggiti in Alien: Romulus

Venezia 82: le foto dal red carpet di Francesco De Gregori – Nevergreen

Alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stato presentato Francesco De Gregori – Nevergreen, il documentario che racconta la vita, la musica e l’eredità artistica di uno dei più grandi cantautori italiani.

L’evento ha visto la presenza dello stesso Francesco De Gregori, protagonista assoluto sul red carpet. Accolto dal calore del pubblico e dagli applausi della stampa, il cantautore ha sfilato con eleganza, confermando ancora una volta il legame profondo che lo unisce alla cultura e alla memoria collettiva del nostro Paese.

Le foto della serata restituiscono tutta l’atmosfera dell’evento veneziano, con De Gregori al centro dell’attenzione e circondato da fan e addetti ai lavori. Un momento che ha unito musica e cinema, celebrando una carriera che continua a influenzare intere generazioni.

Francesco De Gregori – Nevergreen è un viaggio nel tempo e nella musica, che ripercorre i successi, le collaborazioni e gli aspetti più intimi di un artista che ha saputo raccontare l’Italia con le sue canzoni. La proiezione a Venezia 82 ha rappresentato un’occasione speciale per riconoscere il valore di un autore che ha fatto della poesia in musica la sua cifra stilistica.

Sfoglia la nostra gallery per rivivere i momenti più belli del red carpet di Francesco De Gregori – Nevergreen.

The Sun Rises on Us All: recensione del film di Cai Shangjun – Venezia 82

Si chiude ufficialmente il concorso di Venezia 82 con The Sun Rises on Us All, il film del regista cinese Cai Shangjun, vincitore nel 2011 del Leone d’argento alla miglior regia per People Mountain People Sea. Questa volta, porta tra le fila della competizione ufficiale un dramma intenso, in cui sacrificio e redenzione si muovono su vettori opposti nella complessa dinamica di una coppia che si è ritrovata dopo anni e il cui passato nasconde un segreto che non potrà mai davvero dividerli.

Non può esserci il sole

The Sun Rises on Us All racconta una storia di amore, sacrificio e colpa che si estende nel tempo. Un uomo si assume la responsabilità di un crimine commesso dalla donna che ama, sacrificando se stesso per proteggerla. Incapace di ripagare un gesto tanto radicale, lei lo abbandona e intraprende una nuova vita. Anni dopo, i due si ritrovano: il passato riaffiora nelle loro vite intrecciate, rivelando ferite mai sanate. Lui cerca redenzione, lei un senso di liberazione. Nel loro ultimo, straziante addio, comprendono che il sacrificio non porta giustizia e che il pentimento non garantisce perdono.

Fin dalla sua presentazione iniziale, la vita di Meyun non ci sembra delle migliori. Lavora in un negozio di vestiti dalla qualità discutibile e deve fare live stream quotidiane in cui aggiorna i follower sulle nuove collezioni; tenta di apparire a modo ed elegante ma abita in un appartamento fatiscente di una zona decisamente oscura di Foshan. Viene visitata da una ginecologa in un ospedale altrettanto grigio, dove scopriamo che è incinta e che l’ecografia riscontra una fibrosi da rimuovere il prima possibile.

Un melodramma che non trascina

Se due persone si lasciano e poi si incontrano di nuovo come on puo essere il destino? Con questa frase Baoshu si insedia nella casa di Meyun: è malato terminale ma non gli interessano cure o check up, vuole solo prendersi tutti gli spazi della vita di lei che non gli sono stati concessi.

Pur muovendo da un intrigo di partenza piuttosto affascinante, The Sun Rises on Us All soffre di un’eccessiva drammaticizzazione delle pene dei suoi protagonisti. Un’insistere continuo sulle disgrazie che hanno permeato la loro vita porta, involontariamente, alla semplificazione di un confitto tutt’altro che banale.

Da quanto sei qui e tu da quanto manchi?

Non c’è alcun modo in cui la donna potrà mai estinguere il suo debito, Baoshu glielo dice chiaramente. L’unico modo per avvicinarsi a un qualche tipo di saldo è accettare la sua presenza costante, farsi carico anche della sua sofferenza, ricordare quello che si è faticosamente cercato di allontanare. Un melodrammone esile che avrebbe le carte per raccontare la storia di una “falsa” vita, costruita sul sacrificio degli altri, ma che scivola in una spirale senza ritorno di massacro emotivo.

Leoncino d’Oro di Venezia 82 assegnato a The Voice Of Hind Rajab

Leoncino d’Oro di Venezia 82 assegnato a The Voice Of Hind Rajab

Il 5 settembre, penultima giornata dell’82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, alle ore 17.30 all’Hotel Excelsior presso la sala Tropicana2, si è svolta la cerimonia di premiazione del Leoncino d’Oro istituito da AGISCUOLA e promosso da A.G.I.S., A.N.E.C. e Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello nell’ambito del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola promosso da MIC e MIM.

La Giuria del Leoncino d’oro composta da giovani studenti e studentesse, uno per Regione rappresentanti della scuola italiana, si è svolta alla presenza di Mauro Antonelli, Capo Segreteria Tecnica del Ministro dell’Istruzione e del MeritoGiuseppe Pierro, Direttore Generale della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali del MIM, Luigi Lonigro, Presidente Unione Editori e Distributori Cinematografici.

Sono intervenuti all’evento Lucia BorgonzoniSottosegretario di Stato al Ministero della CulturaVincenzo ManninoConsigliere del Ministro dell’Istruzione e del Merito, Piera Detassis, Presidente e Direttore Artistico Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello, Mario Lorini, Presidente ANEC e Vicepresidente AGIS, Simone Gialdini, Direttore Generale ANEC, e Stefania Radoccia, Vicepresidente dell’UNICEF Italia.

Alla sua 37ª edizione, il Leoncino è diventato nel tempo uno dei premi collaterali più rilevanti e significativi della Mostra del Cinema di Venezia proprio perché ad assegnarlo sono i giovani studenti e studentesse delle scuole secondarie di II grado rappresentanti dei migliaia di giovani partecipanti alle Giurie territoriali del David Giovani sparse in tutta Italia e dei progetti CIPS promossi nell’ambito del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola promosso da MIC e MIM.

Leggi la nostra recensione di The Voice Of Hind Rajab

A seguito dell’accordo con il Comitato Italiano per l’UNICEF, inoltre, la Giuria ha assegnato anche la Segnalazione Cinema For UNICEF, presente alla Mostra sin dal 1980.

Nel corso della cerimonia di premiazione, è stato assegnato il Premio Leoncino d’Oro della 82ª Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia al film The Voice Of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania con la seguente motivazione:

“Un film che non si limita a raccontare una storia, ma che la vive, la respira. Un’opera che ci rende inevitabilmente testimoni consapevoli e impotenti di fronte alla straziante rappresentazione dell’inutile scorrere del tempo. L’utilizzo di voci e immagini autentiche, condensate in scene di realismo tagliente, rendono l’immediatezza e la sincerità del sentimento vissuto, che non è solo un elemento narrativo, ma un riverbero emotivo che ci scava dentro, restituendo tutto il peso dell’esperienza che ci viene mostrata. Una magistrale interpretazione degli attori che si mettono a servizio della realtà, rendendo il legame con la recitazione indistinguibile. Una pretesa di umanità, un urlo necessario che desta le coscienze assopite. Per queste ragioni il Leoncino d’oro della 82esima edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia va a The Voice Of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania.”

«Gaza non ha più voce, ma Hind ne è una»: Kaouther Ben Hania ci racconta The Voice of Hind Rajab, in concorso a Venezia 82

La giuria ha assegnato la Segnalazione Cinema For UNICEF al film The Voice Of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania con la seguente motivazione:

“Per aver saputo trasformare la straziante verità nella voce di una bambina, che si fa grido di dolore di ogni infanzia tradita, di ogni innocenza rubata e massacrata dall’abominio di questa guerra. Per averci costretto a guardare oltre lo schermo, misurando in quel silenzio assordante il vero confine della nostra umanità e intimandoci di agire, perché ogni giorno di silenzio è un giorno in più di sofferenza. Per queste ragioni, la Segnalazione Cinema for UNICEF dell’82esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia va a The voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania.”

The Voice of Hind Rajab

The Son con Hugh Jackman è basato su una storia vera?

The Son con Hugh Jackman è basato su una storia vera?

The Son è un dramma emozionante uscito per la prima volta nel 2022, trainato in gran parte dal carisma di Hugh Jackman e Laura Dern. I due acclamati attori interpretano i genitori divorziati di un adolescente tormentato che sta attraversando una crisi di salute mentale. Il film è uscito in sala in edizione limitata il 20 gennaio 2023.

Diretto e co-sceneggiato da Florian Zeller, il film (la nostra recensione) vede anche la partecipazione del nuovo arrivato Zen McGrath, Vanessa Kirby e Hugh Quarshie, insieme a un breve cameo di Anthony Hopkins, protagonista del precedente film vincitore dell’Oscar, The Father.

The Son è basato su una storia vera? Ecco tutto quello che c’è da sapere sulle origini del film.

The Son su Netflix è basato su una storia vera?

The Son

No, The Son non è basato su una storia vera, ma piuttosto sull’omonima opera teatrale francese di Zeller del 2018. Tuttavia, l’opera teatrale, così come la sua versione cinematografica, è stata ispirata da un’esperienza personale. In un’intervista del 2022 con The Hollywood Reporter, Zeller ha dichiarato: “Nasce da un’esperienza personale. Non è la mia storia in termini di personaggi o situazioni, ma ha a che fare con le mie emozioni. Quindi non è perché volevo raccontare la mia storia, ma piuttosto perché sentivo che ci sono così tante persone legate a questo tipo di problemi e pensavo che sarebbe stato significativo condividere queste emozioni”.

Zeller ha anche ricollegato l’opera a The Father, che ha debuttato sul palcoscenico nel 2012 prima di essere adattata per il grande schermo. Quest’opera è stata ispirata dal viaggio personale dell’autore con sua nonna. Ha affermato che entrambe le opere teatrali hanno ricevuto risposte sincere dal pubblico, lasciandolo “sorpreso” dall’universalità delle storie.

In un’intervista con City AM, Zeller ha collegato i temi di The Son ai suoi due figli, che al momento dell’intervista avevano 24 e 14 anni. “Conosco bene queste emozioni e alcune di queste situazioni non mi sono estranee”, ha detto. “Come genitore ho provato un senso di impotenza: ricordo di aver pensato di essere l’unico in quella situazione. The Son è stato un modo per condividere queste emozioni, per guarire qualcosa e anche per combattere la vergogna“.

Più recentemente, durante una chiacchierata con l’Academy nel 2023, il drammaturgo ha confermato che è stata la risposta appassionata del pubblico allo spettacolo a ispirare la sua voglia di adattare The Son in un film, cosa che ha fatto con Chris Hampton, che lo ha aiutato a scrivere la sceneggiatura.

Zeller ha scritto un terzo capitolo della serie di opere teatrali intitolato The Mother, ma non ha espresso interesse ad adattarlo in un film e, nonostante la classifica di Netflix, che elenca il nuovo film d’azione di Jennifer Lopez The Mother e The Son di Zeller uno dopo l’altro, i due film non hanno alcuna relazione.

Ready Player One: la spiegazione del finale del film

Ready Player One: la spiegazione del finale del film

Ready Player One (qui la recensione), il film di Steven Spielberg, inizia con un ragazzo normale che partecipa a un concorso di videogiochi creato dal geniale James Haliday, ma alla fine del film inizia a chiedersi: Haliday è davvero morto? Wade Watts è un adolescente povero dell’anno 2024 che trascorre la maggior parte del suo tempo nell’OASIS, un mondo virtuale creato dal geniale James Halliday. Dopo la morte di quest’ultimo, viene diffuso un annuncio automatico a tutti gli utenti di OASIS in cui si spiega che l’uomo ha nascosto un Easter Egg nel suo mondo virtuale e che chiunque lo troverà erediterà i suoi milioni e lo stesso OASIS.

Wade/Parzival diventa uno dei tanti “Gunter” che dedicano la loro vita alla ricerca dell’Egg, sperando di trovarlo prima di Noal Sorrento e della malvagia società IOI. Per raggiungere questo obiettivo, Parzival e i suoi amici devono diventare esperti della vita di Halliday per trovare le tre chiavi che li condurranno alla fine del concorso. Poiché Halliday ha creato la caccia all’Easter Egg in Ready Player One dopo aver appreso della sua malattia terminale, sperava che il vincitore del concorso imparasse lezioni preziose che lui stesso aveva imparato troppo tardi, ed è proprio quello che è successo.

LEGGI ANCHE: Ready Player One: le Easter eggs più belle di tutto il film

Cosa significano davvero le tre chiavi di Halliday

Halliday era un uomo chiuso nei suoi primi anni, goffo e disinteressato alle piene ramificazioni della sua creazione, mentre più tardi nella vita era solo e pieno di rimpianti. Pertanto, la ricerca è stata intrapresa dopo aver appreso della sua morte imminente come un modo per trovare un successore adatto. Non sta cercando il miglior giocatore in sé, ma qualcuno con le “caratteristiche” degne di governare l’OASIS. Come dice nel suo elogio funebre, le chiavi possono essere trovate solo entrando nella sua mente – che ha abilmente creato come una biblioteca fisica – quindi, anche se i compiti necessari presentano alcune sfide reali, ognuno di essi rappresenta qualcosa di più.

Il primo, per la Chiave di Rame, è la gara, un assalto alla cultura pop che si può vincere solo invertendo il percorso. L’indizio per trovare la sfida si trova prima dell’inizio del film, ma Wade ha comunque bisogno di usare la sua conoscenza di Halliday – che odiava le regole – per trovare il ricordo in cui il creatore e Ogden Morrow iniziano a dividersi, e lui sottolinea il suo desiderio di “andare all’indietro”. Si tratta di pensare fuori dagli schemi, applicare verità più grandi e non aver paura di ammettere gli errori.

Ready Player One

Il secondo compito, per la Chiave di Giada, deriva da un indizio alla fine della gara, che allude a un “creatore che odia la sua creazione” e a un “salto non compiuto”. Parzival e Art3mis provano varie permutazioni di questo edificio partendo da quello che percepiscono come il più grande rimpianto di Halliday: il suo appuntamento fallito con Karen Underwood. Alla fine, si rendono conto che la chiave è nascosta nel film che Halliday e Karen hanno guardato quando lei voleva andare a ballare: Shining, che Stephen King notoriamente disprezzava. Per mettere le mani sulla chiave, hanno dovuto correggere l’errore di Halliday chiedendo a una versione NPC di Karen di ballare.

IOI capisce rapidamente che la “tragica fortezza” dell’indizio precedente è il castello dell’avatar di Halliday, Anorak, sul pianeta Doom, dove è installato un Atari 2600. Il trucco qui è che il recupero della Chiave di Cristallo non dipendeva dalla vittoria in alcun gioco. Il giocatore doveva invece giocare ad Adventure, ritenuto il primo videogioco in cui lo sviluppatore nascose un Easter Egg. Una volta che Parzival trovò la funzione nascosta dello sviluppatore Warren Robinett (il suo nome), la chiave era sua, dimostrando che non si tratta di vincere, ma di prendersi un momento per godersi le piccole cose.

In definitiva, i compiti di Halliday non riguardavano tanto i riferimenti alla cultura pop che li permeavano, quanto insegnare lezioni che il creatore di OASIS riteneva importanti: ammettere gli errori, imparare da essi e capire che è il viaggio che conta. Poiché ciascuna delle tre chiavi di Halliday insegnava ai giocatori del suo gioco a fare queste cose meglio di quanto avesse fatto lo stesso creatore, essi vengono preparati per la prova finale della caccia all’Easter Egg di Ready Player One.

La prova finale e l’Easter Egg di Halliday

Dopo aver ottenuto le tre chiavi, Wade non vince subito. Viene invece condotto in una stanza decorata con l’uovo di Pasqua al centro, dove Anorak gli offre un contratto per OASIS. Questo, ovviamente, sembra una vittoria, ma alla luce delle lezioni apprese dalle sfide precedenti, è chiaramente un’altra prova. A Wade viene offerto lo stesso accordo che Halliday aveva accettato, ma firmare significherebbe compromettere il modo in cui è arrivato a quel punto della competizione. Rifiutando di firmare il contratto di Anorak, Parzival ha dimostrato di meritarsi la vittoria.

Dopo aver rifiutato di firmare il contratto, Wade scopre il vero scopo di Halliday e riceve il vero Easter Egg, un simbolo del suo viaggio così bello da riversarsi nel mondo reale (tramite una tuta VR high-tech), stupendo sia l’eroe che il cattivo. Una versione di Halliday (un mistero su cui torneremo) rivela di aver creato OASIS per immergersi nelle sue ossessioni per la cultura pop e connettersi con altri che condividevano le sue passioni. Tuttavia, poiché questa realtà virtuale non era reale, non poteva sostituire una connessione autentica.

Questo concetto è ribadito da Ogden Morrow. Nel corso del film, l’High Five è portato a credere che Kira e l’occasione mancata di vivere una storia d’amore fossero il rimpianto più grande di Halliday, e sebbene questo abbia sicuramente pesato molto su di lui, non è questo il Rosebud al centro della storia. L’amicizia interrotta con “Og”, causata dai loro obiettivi contrastanti per l’OASIS, lo ha lasciato solo e senza alcun legame umano. L’intero concorso di Halliday in Ready Player One era volto a predicare contro questo e ad assicurarsi che il suo eventuale successore non perdesse di vista chi lo circondava.

ready player one Atari

Cosa succede all’OASIS?

Alla fine di Ready Player One, Wade, come ogni protagonista di Spielberg, conquista la ragazza, il che in questa storia rappresenta il suo impegno a diventare migliore di Halliday. Naturalmente, ottiene comunque il controllo dell’OASIS, ed è qui che prende la decisione essenziale e autonoma di condividere il controllo con il resto del suo “clan”, gli High Five. È passato dal chiamarsi letteralmente come il cavaliere che cercava di trovare il Santo Graal da solo, al comprendere il valore dell’amicizia e del sostegno, esattamente ciò che Halliday voleva.

I Five decidono di rendere l’OASIS più armonioso e una forza positiva nel mondo reale, piuttosto che un semplice rifugio da esso. Per garantire che rimanesse così, è stato deciso che l’OASIS sarebbe stato chiuso il martedì e il giovedì, costringendo così la popolazione a prendersi il tempo per creare legami reali e significativi nel mondo reale. In definitiva, questo è servito come un ulteriore passo per correggere gli errori di Halliday.

Cosa succede alla IOI?

L’altra grande azienda nel 2045 è la IOI, i cui prodotti sono così diffusi da essere utilizzati anche da coloro che si oppongono ad essi. La loro portata non viene mostrata sullo schermo, poiché la maggior parte del tempo è dedicata al periodo trascorso da Samantha nella divisione Loyalty, dove coloro che hanno debiti significativi con la IOI sono costretti a lavorare per ripagarli. Poi, naturalmente, ci sono i Sixers, dipendenti della IOI che mirano a dare la caccia all’Easter Egg di Halliday in modo che la malvagia azienda possa prendere il controllo e monetizzare l’OASIS, rendendolo inaccessibile alla maggior parte della popolazione.

Ready Player One Olivia Cooke
Olivia Cooke in Ready Player One. Foto di Jaap Buitendijk – © 2017 Warner Bros. Entertainment Inc., Village Roadshow Films North America Inc. and RatPac-Dune Entertainment LLC – U.S.

Una delle decisioni più importanti prese da Wade alla fine è stata quella di escludere i Centri Lealtà dall’OASIS, una mossa che ha sostanzialmente chiuso l’intera divisione. Inoltre, poiché Wade e gli altri avevano prove significative che Nolan Sorrento aveva tentato di ucciderli nella vita reale, si può presumere che, come nel libro Ready Player One, il cattivo sia finito in prigione. Nel romanzo, la IOI è stata costretta a chiudere dopo che Wade e il resto degli High Five le hanno sottratto i suoi maggiori profitti, ma questo non viene mai confermato nel film.

Halliday è “vivo”?

Alla fine di Ready Player One, Wade chiede a Halliday se è davvero morto. La versione dell’uomo vista durante la prova finale nella caccia all’uovo di Pasqua sembra certamente essere completamente autonoma, e questo ha confuso il pubblico tanto quanto Wade. Halliday si è astenuto dal rispondere se fosse vivo o meno, limitandosi invece a lanciare a Wade uno sguardo complice e ringraziandolo per aver giocato al suo gioco. Questo sembra implicare che Halliday sia più di un semplice NPC, e la serie di libri lo conferma.

Nel libro Ready Player One di Earnest Cline, Wade non ha mai dubitato che la versione di Halliday all’interno dell’OASIS fosse un NPC avanzato creato dall’uomo stesso. Pertanto, la domanda posta dal personaggio sulla morte di Halliday non ha mai avuto luogo. Tuttavia, nel sequel del libro, Ready Player Two, viene rivelato che Halliday ha inventato una tecnologia che permette a una persona di caricare la propria mente nell’OASIS, creando una replica perfetta di sé stessa in forma di intelligenza artificiale in grado di vivere eternamente. Il corpo di Halliday era, infatti, morto; la sua mente continuava a vivere nell’OASIS.

ready player one Shining

LEGGI ANCHE: Ready Player One: ecco perché Spielberg ha scelto la sequenza di Shining

Ready Player One mostra il lato oscuro della nostalgia aziendale

Non fraintendete, il futuro di Ready Player One è una vera distopia. I Columbus Stacks sono slum futuristici tappezzati di pubblicità invasive e pieni di persone completamente scollegate dalla realtà. Il mondo è contro di loro e l’unica via d’uscita è l’accesso a OASIS. Questo rende questo mondo virtuale lo strumento perfetto per gli avidi che vogliono manipolare i disperati. Infatti, nonostante abbia gareggiato contro di loro fin dall’inizio e si sia poi unito alla ribellione, Wade continua a utilizzare la tecnologia IOI per accedere a OASIS per tutto il film.

È facile dire che l’OASIS è l’ultimo rifugio sicuro, ma questa è una falsa verità. Sebbene offra una via di fuga, nessuno conosce gli altri, ma solo la versione che vogliono presentare. È un parallelo con la cultura ossessionata da Internet, e lo si può vedere chiaramente nel modo in cui viene utilizzata la tanto discussa nostalgia del film. I Gunter e i loro simili si crogiolano semplicemente nelle cose che amano, mentre la IOI cerca di trasformarle in un’arma, trovando il modo di manipolarle per fare soldi. Nolan Sorrento è affascinante in questo senso perché manipola la nostalgia, trattandola come un prodotto e uno strumento.

Cosa dice davvero Ready Player One sulla nostalgia

Ready Player One contiene innumerevoli easter egg e riferimenti a vari fandom e proprietà intellettuali, e questo gli è valso alcune critiche nel corso degli anni. È opinione comune che citare libri, film e vari media nostalgici sia uno stratagemma per assecondare il pubblico e, quindi, guadagnare di più. Tuttavia, quando si approfondiscono i temi del film, ci sono lezioni molto più importanti riguardanti la cultura pop. Ready Player One parla di equilibrio. Parla di godersi i giochi, i film e i programmi televisivi, ma comprendendo che la realtà è molto più importante.

LEGGI ANCHE: Ready Player One: Easter Eggs, cameo, riferimenti nel film

The Son: la spiegazione del finale del film

The Son: la spiegazione del finale del film

Dopo lo straordinario successo di critica ottenuto da The Father – Nulla è come sembra, gli appassionati di cinema attendevano con ansia il prossimo lavoro dello sceneggiatore e regista Florian Zeller. In quel film, Zeller era riuscito a evitare i problemi che molti drammaturghi incontrano nell’adattare le proprie opere per il grande schermo, utilizzando tecniche innovative nella prospettiva e modificando abilmente il proprio lavoro per renderlo fluido come un film narrativo. Il film gli è così valso l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale. Anche il nuovo film di Zeller, The Son (qui la recensione) , è basato su una sua opera teatrale e affronta in modo intimo gravi problemi di salute.

La performance di Hugh Jackman è stata molto apprezzata, ma le recensioni di The Son sono state incredibilmente contrastanti sin dal suo debutto al Festival Internazionale del Cinema di Venezia a settembre, con alcuni critici che hanno contestato il modo in cui Zeller ha scelto di affrontare il tema della depressione nei momenti finali del film. Di certo, è anch’esso un film che non lascia indifferenti, specialmente per i suoi colpi di scena finali. In questo approfondimento cerchiamo allora di fare chiarezza e offrire una spiegazione della conclusione del film.

La trama di The Son 

The Son segue le vicende del consulente politico di successo Peter Miller (Jackman), che si è trasferito con la sua nuova compagna Beth (Vanessa Kirby) in un lussuoso appartamento con il loro figlio neonato. Nel pieno del suo successo professionale, Peter viene informato dalla sua ex moglie, Kate (Laura Dern), che il loro figlio diciassettenne Nicholas (Zen McGrath) non frequenta la scuola e ha deciso di lasciare la madre in segno di ribellione. Nonostante abbia accettato il lavoro dei suoi sogni a Washington D.C. e si prenda cura di un bambino piccolo, Peter decide di accogliere Nicholas e di fornirgli il sostegno di cui ha chiaramente bisogno.

The Son

Peter è un cattivo padre per Nicholas?

Sebbene Peter cerchi di legare con suo figlio, è chiaro che sa molto poco di lui e Nicholas non è molto propenso ad aprirsi. Data la sua attitudine al lavoro e il suo impegno nel crescere una famiglia, Peter è costantemente occupato e non è in grado di dedicare l’intera giornata alla cura di Nicholas. I suoi obiettivi contrastanti mettono a dura prova il suo rapporto con Beth, che si sente a disagio con Nicholas e irritata dal fatto che Peter annulli gli impegni sociali nel tentativo di legare con lui.

I problemi iniziano quando Peter si rende conto dei problemi di depressione di Nicholas e della sua storia di tentativi di autolesionismo. Molti dei tentativi di Peter di legare con Nicholas dimostrano che non è esperto nel crescere un adolescente; dopo aver cercato di insegnare a Nicholas a ballare, lo ignora per passare più tempo con Beth. Anche Beth ha dei conflitti con Nicholas dopo che lui ha sentito la sua dichiarazione di non volere che lui si occupi del suo bambino.

Il ruolo di Anthony Hopkins in The Son

Sir Anthony Hopkins ha vinto il suo secondo Oscar come miglior attore per la sua interpretazione in The Father – Nulla è come sembra e Zeller lo ha successivamente scritturato anche in questo film. Hopkins ha un breve ruolo come padre di Peter, Anthony, che soffre di demenza ed è ora in pensione. A causa delle somiglianze, alcuni analisti teatrali hanno interpretato questo fatto come se The Son fosse un prequel di The Father; le due opere teatrali fanno effettivamente parte di una trilogia spirituale scritta da Zeller che include anche The Mother del 2015. Ci sono poi alcuni riferimenti che suggeriscono che Hopkins interpreti lo stesso personaggio e che The Son sia ambientato prima che la demenza di Anthony diventi più grave come visto nel film a lui dedicato.

All’inizio, Peter allude alle condizioni mentali di suo padre in una breve conversazione con un collega e indica che non sono molto legati. Quando Peter va a trovare Anthony, finiscono infatti per litigare sul suo stile genitoriale altrettanto irresponsabile. Anche Anthony non era attento né premuroso nei confronti di Peter quando era bambino, e Peter ritiene che questo lo abbia reso altrettanto incapace riguardo al ruolo di genitore. Tuttavia, Anthony reagisce solo con rabbia e Peter lo lascia in cattivi rapporti. Dopo questa scena non si fa più menzione ad Anthony, la cui presenza è dunque quasi una sorta di easter egg che lega i due film.

The Son Hugh Jackman

Il gesto estremo di Nicholas

Peter si rende dunque conto che Nicholas non frequenta la scuola come aveva promesso, ma invece fa lunghe passeggiate da solo nel parco. I due hanno una discussione accesa; Peter accusa Nicholas di non impegnarsi abbastanza, e Nicholas lo accusa di essere un padre irresponsabile. Mentre la tensione tra i due aumenta, Nicholas tenta il suicidio e viene portato d’urgenza in ospedale. Un severo medico della struttura comunica a Peter che Nicholas deve rimanere sotto cure professionali, poiché è probabile che tenti nuovamente di togliersi la vita se non viene monitorato. Nicholas reagisce però violentemente alla possibilità di rimanere in un luogo isolato e ricevere aiuto.

Peter e Beth decidono però che, per la sua sicurezza, deve rimanere nella struttura. In seguito, tuttavia, decidono di riportare Nicholas a casa, ritenendo che potrà fare maggiori progressi se rimarrà con loro. Inizialmente, Nicholas sembra di ottimo umore, poiché partecipa attivamente alle conversazioni e tiene un lungo monologo sul suo apprezzamento per la sua famiglia. Dopo che la famiglia riunita si è seduta insieme nel loro appartamento, Nicholas va a trasferirsi nella stanza in cui alloggiava. Si sente uno sparo, ma prima che il destino di Nicholas sia confermato, il film passa a una scena ambientata diversi anni dopo.

Peter sta sognando nel finale?

In questa scena nel futuro Peter vive ancora nello stesso appartamento, ma riceve una visita a sorpresa da Nicholas, che si è trasferito da New York a Toronto. Nicholas sembra stare benissimo e ha una piacevole conversazione con Peter; dice persino di avere una relazione sentimentale. Regala a suo padre un libro che ha scritto, in cui racconta la sua lotta contro la depressione e come suo padre lo abbia aiutato a guarire. Peter è ovviamente felicissimo di vedere che Nicholas ha dedicato il libro a lui e il momento è quanto più rincuorante possibile.

Tuttavia, in un attimo diventa chiaro che Peter sta solo immaginando uno scenario da sogno e che Nicholas è effettivamente morto in seguito allo sparo che si sente nella scena precedente. I momenti finali includono poi dei flashback di un ricordo felice in cui Peter insegnava a Nicholas a nuotare durante una vacanza in famiglia quando era più giovane. Il protagonista si alterna così tra piacevoli ricordi del passato e “what if” di un futuro che non si verificherà mai, generando per questo ulteriore dolore, specialmente in quanto Peter si incolpa per non aver compreso né saputo aiutare suo figlio.

Harriet: la storia vera dietro il film con Cynthia Erivo

Harriet: la storia vera dietro il film con Cynthia Erivo

Il film biografico di Kasi Lemmons, Harriet, è basato su una delle abolizioniste più iconiche: l’instancabile Harriet Tubman. La sua storia è una testimonianza di coraggio, resilienza e lotta incrollabile per la libertà, con Harriet che fuggì dalla schiavitù nel Sud verso il Nord, dopodiché rischiò la propria vita tornando nel Sud, diventando una “conduttrice della Underground Railroad” dove salvò decine di altri schiavi. Quello che forse non tutti sanno è che il suo nome di battesimo era Araminta Ross e che il suo soprannome era “Minty”, come sottolineato nel film.

Come molti nati in schiavitù, l’infanzia di Harriet Tubman è stata segnata da traumi. Ha subito abusi fisici, è stata separata dalla sua famiglia e costretta a prendersi cura dei figli del suo padrone. Alcuni potrebbero anche sapere che ha svolto un ruolo significativo nella guerra civile americana. Il film, nonostante racconti tutto ciò, tralascia molti aspetti importanti della vita di Harriet o addirittura ne cambia altri. In questo approfondimento andiamo dunque alla scoperta della storia vera dietro Harriet.

Da schiava, Harriet Tubman subì brutali abusi

Secondo la biografia di Kate Larson, Bound for the Promised Land: Harriet Tubman, Portrait of an American Hero, Harriet Tubman nacque nel marzo 1822 (anche se la data esatta è sconosciuta). I suoi genitori erano schiavi nella piantagione Brodess nel Maryland, dove anche lei fu costretta a lavorare gratuitamente per gran parte della sua giovinezza. Nata in schiavitù, i primi anni di Harriet Tubman furono segnati dalla brutalità e dal degrado della schiavitù. Veniva picchiata e frustata dai suoi padroni. All’età di cinque o sei anni, la sua padrona, la signora Brodess, la affittò a un’altra donna, dove le fu affidato il compito di cullare il bambino della donna.

In un’occasione, ricordò, mentre si prendeva cura del bambino addormentato della sua padrona, fu frustata quando il bambino si svegliò piangendo. Harriet Tubman non accettò però la violenza passivamente. Resistette, indossando diversi strati di vestiti per ridurre l’impatto delle percosse e, a volte, reagendo. Tali abusi fisici erano comuni per gli schiavi e hanno ispirato il film Emancipation con Will Smith. Come Peter nella storia di quel film, Harriet Tubman portò con sé quelle cicatrici fisiche ed emotive per il resto della sua vita. Un altro incidente barbarico cambiò per sempre la sua vita. Quando era appena diventata adolescente, un supervisore della piantagione in cui lei e altri schiavi lavoravano lanciò un pesante oggetto di metallo contro un altro schiavo.

Cynthia Erivo in Harriet
Cynthia Erivo in Harriet

L’oggetto colpì però lei, fratturandole il cranio. Da allora fino alla sua morte, soffrì di mal di testa, vertigini, ipersonnia e convulsioni. Alcuni storici hanno sostenuto che le convulsioni fossero dovute all’epilessia. Nel film, Minty, il personaggio di Harriet Tubman tratto dal suo affettuoso soprannome d’infanzia, sperimenta la maggior parte di questi disturbi. Tuttavia, Harriet non costruisce Minty al punto da poter entrare nei suoi panni e provare il suo dolore come si fa con l’interpretazione di Solomon Northup di Chiwetel Ejiofor o con Patsey di Lupita Nyongo in 12 anni schiavo di Steve McQueen.

Secondo Larson, come se gli abusi fisici non fossero sufficienti, Harriet Tubman ha subito il trauma aggiuntivo di vedere tre delle sue sorelle vendute dal padrone di suo padre, Edward Brodess. Questo evento ha lasciato un segno indelebile nella sua giovane psiche. Sebbene questo episodio significativo sia descritto in Harriet, esso appare più come una narrazione “raccontata e non mostrata”, lasciando il pubblico come semplice spettatore piuttosto che farlo vivere la profondità emotiva del dolore di Harriet.

Ad aggravare ulteriormente le sue difficoltà, Harriet Tubman fu nuovamente mandata a lavorare per un altro piantatore di nome James Cook, una condizione che, come lei stessa raccontò in seguito, le fece provare un’acuta nostalgia di casa. Durante questo periodo, contrasse una grave forma di morbillo e fu restituita a Brodess. Durante la sua giovinezza, fu affittata da altri schiavisti. Questo particolare capitolo della sua vita non viene approfondito in Harriet.

Harriet lascia fuori alcuni dei tentativi di fuga dalla schiavitù di Harriet Tubman

Stanca degli abusi e della schiavitù senza fine, Harriet Tubman, che era anche profondamente religiosa, cercò di liberarsi due volte. Secondo Larson, insieme al marito appena sposato, John Tubman, un uomo di colore libero del suo quartiere nel Sud, avevano cercato dei documenti legali che l’avrebbero liberata e avrebbero permesso ai loro futuri figli di nascere liberi. È a questo punto che Harriet di Lemmons apre la storia di Harriet Tubman. Larson deduce che fu in questo momento che lei cambiò il suo nome in Harriet Tubman, rispettivamente in onore di sua madre e di suo marito.

Cynthia Erivo nel film Harriet
Cynthia Erivo in Harriet

In Harriet, Lemmons si prende alcune libertà creative, ritardando l’evento fino a dopo la sua fuga e inserendolo nella memorabile scena in cui William Steel (Leslie Odom Jr.) dice a Minty di scegliere un nuovo nome per commemorare il suo status di persona libera, come avevano fatto molti altri ex schiavi. Forse Lemmons ha visto questo come un’opportunità per sottolineare la nuova alba della libertà e anche per spiegare perché gli ex schiavi e i loro discendenti hanno cambiato nome, il caso più famoso dei tempi recenti è quello di Malcolm X. Sfortunatamente per Harriet Tubman e suo marito, e in definitiva per la loro giovane storia d’amore, il suo padrone si rifiutò di lasciarla andare.

Harriet Tubman dovette anche affrontare la paura di essere venduta e di vedere la sua famiglia distrutta. Prima della morte di Edward Brodess, era stata messa in vendita, ma era sopravvissuta perché era malata, il che aveva scoraggiato gli schiavisti interessati. Con Gideon Brodess (il figlio di Edward Brodess) come nuovo proprietario, interpretato da Joe Alwyn in Harriet, Harriet Tubman temeva che le sue possibilità di essere venduta fossero aumentate. Senza mai arrendersi e ostinata, come la definivano i suoi padroni, Harriet Tubman escogitò un modo per fuggire. Nel 1849 mise alla prova il suo piano.

Avevo diritto a una delle due cose: la libertà o la morte; se non potevo avere l’una, avrei avuto l’altra”. Queste sono le parole di Harriet Tubman, citate dallo storico Walter Kerry nel suo libro Harriet Tubman: A Life in American History. E la vita di Harriet Tubman rifletteva proprio quelle parole. Insieme ai suoi fratelli Henry e Ben, Harriet Tubman fuggì. All’epoca era stata data in affitto a un altro schiavista. Si ritiene che anche i suoi fratelli fossero stati dati in affitto dalla stessa persona e che loro, in particolare Ben, che aveva moglie e figli, ci ripensarono e tornarono in schiavitù, facendo desistere anche Harriet Tubman. Poiché erano stati dati in affitto, la signora Brodess non si rese immediatamente conto del tentativo di fuga.

Quando se ne rese conto, fece circolare un avviso di fuga con una ricompensa fino a 100 dollari (equivalenti a circa 4000 dollari nel 2023). Ma la tenace Harriet Tubman, che si era sacrificata per i suoi fratelli nel tentativo iniziale, non rinunciò ai suoi sogni. Fuggì di nuovo, questa volta da sola e per sempre. Nel film vengono rappresentati solo la richiesta legale e il tentativo di fuga finale, e anche così, Harriet non mostra la difficoltà del viaggio di Harriet Tubman a piedi per quasi cento miglia verso la libertà a Filadelfia. Lemmons, parlando con Collider, ha detto che l’attraversamento finale di Minty verso la libertà è stata una delle scene migliori da girare nel film.

Cynthia Erivo è Harriet Tubman
Cynthia Erivo in Harriet

Quali libertà creative si prende il film?

Sebbene Harriet cerchi di rimanere fedele ai fatti storici, il film si prende alcune libertà creative. In Harriet, quando Harriet Tubman raggiunge Filadelfia dopo la sua fuga, viene accolta da William Still (Leslie Odom Jr.) che la presenta alla sua ospite, Marie Buchanon, interpretata da Janelle Monáe. Nella vita reale, il personaggio di Janelle Monáe è fittizio. William Still, invece, era un personaggio reale che ha svolto un ruolo fondamentale nella Underground Railroad, collaborando con Harriet Tubman e altri abolizionisti. Secondo Larson, ha aiutato oltre 600 schiavi a stabilirsi nel Nord dopo la loro fuga. Harriet di Kasi Lemmons prende anche alcune libertà creative riguardo alle imprese di Harriet Tubman, che tornò nel Maryland per salvare la sua famiglia insieme ad altri schiavi.

Quando Harriet Tubman tornò, secondo quanto riferito, tredici volte, guadagnandosi il nome di “Moses”, come il personaggio biblico, non incontrò suo marito, che si era risposato. Invece, gli mandò un messaggio, ma lui rifiutò di raggiungerla, cosa che la turbò profondamente. Nel film, Lemmons tratta questo episodio come se ci fosse stato un vero incontro tra i due, anche se cattura l’essenza della situazione storica. Con l’approvazione del Fugitive Slave Act del 1850, le forze dell’ordine erano legalmente obbligate ad assistere nella ricattura degli schiavi fuggiti ovunque fossero stati trovati all’interno degli Stati Uniti, compresi gli stati che avevano abolito la schiavitù. Ciò costrinse Harriet Tubman a guidare molti ex schiavi più a nord, fino all’attuale Canada. Questo aspetto della vita di Tubman è descritto in Harriet.

Il film sottovaluta il contributo di Harriet Tubman alla guerra civile

Secondo il libro di Dunbar Armstrong, She Came to Slay: The Life and Times of Harriet Tubman, molto prima dello scoppio della guerra, Harriet Tubman aveva incrociato la strada di John Brown, un abolizionista radicale che sosteneva una rivolta degli schiavi contro i loro oppressori. Harriet partecipò attivamente ai piani di insurrezione di Brown. Per armare i potenziali ribelli, Brown organizzò un raid su Harper’s Ferry, un arsenale governativo, per sequestrare le armi. Mentre Harriet era a New York durante il raid, l’operazione fallì, portando all’esecuzione di Brown per tradimento. Questo evento è ampiamente considerato come un precursore della guerra civile.

Durante la guerra civile, Harriet Tubman si schierò con la causa dell’Unione, ricoprendo vari ruoli all’interno dell’esercito dell’Unione. Lavorò come cuoca, infermiera e spia. Tra i suoi contributi più notevoli vi fu il suo ruolo nel raid su Combahee Ferry, dove la sua raccolta di informazioni, il reclutamento di nuovi soldati dell’Unione e la sua guida giocarono un ruolo cruciale nella liberazione di circa settecento persone. Questa straordinaria impresa le valse il primato di essere la prima donna negli Stati Uniti a guidare una spedizione armata in tempo di guerra.

Nonostante il suo ruolo significativo nella guerra, Harriet dà poco risalto a questo evento storico, che appare brevemente, più come una nota a piè di pagina nella storia di Harriet Tubman. Sebbene Harriet racconti efficacemente la straordinaria vita di Harriet Tubman, non riesce a suscitare lo stesso livello di ispirazione nel pubblico. Una figura monumentale come Harriet Tubman merita un film che non solo catturi i dettagli storici della sua vita, ma che immerga anche il pubblico nelle complessità che l’hanno plasmata. Purtroppo, Harriet non riesce a raggiungere questa profondità.

Third Studio si unisce alla Disney e Warner Bros nella battaglia legale sull’intelligenza artificiale

0

La guerra di Hollywood contro i contenuti generati dall’intelligenza artificiale si sta intensificando con l’adesione di una terza casa di produzione alla battaglia legale intrapresa dalla Disney. All’inizio di quest’anno, Disney e Universal hanno intentato congiuntamente una causa contro Midjourney, una delle piattaforme di generazione di immagini basate sull’intelligenza artificiale più popolari, accusandola di violazione massiccia del copyright, poiché gli utenti possono generare immagini e video realistici che assomigliano molto a personaggi protetti da copyright, come Topolino, senza il permesso della casa di produzione.

Gli studi sostengono che Midjourney abbia costruito la propria attività utilizzando materiale protetto da copyright per addestrare la propria intelligenza artificiale. Tuttavia, la situazione si è aggravata dopo che Midjourney ha lanciato una nuova funzione di generazione di video e un canale di streaming 24 ore su 24, 7 giorni su 7, sollevando preoccupazioni circa la concorrenza diretta con i contenuti di intrattenimento “tradizionali”. Ora, la battaglia legale si sta espandendo con l’ingresso ufficiale di un altro importante studio.

Secondo Variety, anche Warner Bros. Discovery ha intentato una causa per violazione del copyright contro Midjourney, diventando il terzo studio a farlo. La denuncia, presentata giovedì, sostiene che Midjourney crei e distribuisca intenzionalmente immagini e video utilizzando proprietà intellettuali iconiche, come Superman, Batman, Bugs Bunny, Daffy Duck e Tom e Jerry. Lo studio chiede un risarcimento danni e un’ingiunzione per impedire la violazione. La causa afferma:

Midjourney pensa di essere al di sopra della legge. Senza alcun consenso o autorizzazione da parte di Warner Bros. Discovery, Midjourney distribuisce sfacciatamente la proprietà intellettuale di Warner Bros. Discovery come se fosse sua.

Warner Bros. aveva inizialmente rifiutato di unirsi alla causa intentata da Disney e Universal a giugno, ma ha cambiato posizione dopo che Midjourney ha presentato i suoi strumenti di generazione video e il suo canale di streaming. Il team legale di Warner Bros. — gli stessi avvocati che rappresentano Disney e Universal — sostiene che Midjourney abbia preso una decisione “calcolata e orientata al profitto” per rimuovere le barriere che impedivano agli utenti di creare contenuti video illegali, nonostante il procedimento in corso.

Cosa significa la causa della Warner Bros. per la battaglia legale sull’IA

Con l’adesione della Warner Bros., tre dei più grandi attori di Hollywood – Disney, Universal e Warner Bros. – stanno ora intentando cause quasi identiche contro Midjourney. L’industria dell’intrattenimento sta presentando un fronte unito contro quello che considera uno sfruttamento incontrollato della sua proprietà intellettuale, segnalando uno sforzo più ampio per stabilire dei limiti legali alle piattaforme di IA prima che diventino troppo potenti.

La denuncia suggerisce anche che gli studi sono sempre più allarmati dall’espansione di Midjourney nella generazione e nello streaming di video, poiché si tratta di aree in cui i confini tra parodia, fan art e pirateria diventano pericolosamente sfumati. Di conseguenza, più Midjourney si comporta come uno studio di contenuti, più la società rischia di subire pressioni legali.

Venezia 82: Ildikó Enyedi presenta Silent Friend e si racconta in un’intervista esclusiva

0

Alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stato presentato in concorso Silent Friend, il nuovo film della regista ungherese Ildikó Enyedi, già candidata all’Oscar con Corpo e anima e Leone d’Oro a Venezia nel 1989 con My 20th Century.

In occasione della premiere, la regista ha incontrato la nostra redazione al Lido per un’intervista esclusiva, disponibile nel video qui sotto.

Guarda l’intervista completa a Ildikó Enyedi su Silent Friend:

Nel dialogo con Cinefilos, Enyedi ha raccontato la genesi di Silent Friend, sottolineando come il film nasca dal desiderio di esplorare ciò che resta inespresso nei rapporti umani: «Il silenzio non è assenza, ma una forma di linguaggio», ha dichiarato.

La regista ha parlato anche del suo metodo di lavoro con gli attori, spiegando di aver scelto un approccio fatto di sguardi e pause più che di dialoghi, e della collaborazione con il direttore della fotografia, fondamentale per costruire l’atmosfera sospesa che caratterizza il film.

L’intervista si è conclusa con una riflessione sul cinema contemporaneo: «Credo che la nostra responsabilità sia quella di offrire esperienze autentiche, anche quando questo significa confrontarsi con il vuoto e con la fragilità».

Con Silent Friend, Enyedi conferma la sua sensibilità poetica e si impone come una delle voci più originali del panorama europeo.

Uno splendido errore – Stagione 2: il finale spiegato dai protagonisti della serie tv

0

Il triangolo amoroso di Uno splendido errore (My Life With The Walter Boys) alla fine della seconda stagione è stato spiegato dal cast della serie. La prima stagione di Uno splendido errore (My Life With The Walter Boys) è stata pubblicata su Netflix nel dicembre 2023, mentre la seconda stagione è stata trasmessa per la prima volta il 28 agosto. La storia segue Jackie Howard, un’adolescente di Manhattan che deve trasferirsi a Silver Falls, in Colorado, per andare a vivere con i Walter dopo la morte dei suoi genitori. La serie è basata sull’omonimo libro di Ali Novak.

Durante un’intervista con ScreenRant, ogni membro del triangolo amoroso ha risposto a domande sui propri personaggi durante la seconda stagione di My Life With the Walter Boys. Quando a Nikki Rodriguez, che interpreta Jackie, è stato chiesto cosa le abbia dato la sicurezza di rimanere a Silver Falls in questa stagione, invece di tornare a New York, ha risposto:

Tornando alla seconda stagione, penso che sia il suo periodo a New York dopo la prima stagione, e penso che il suo ritorno a New York e poi quando Katherine, hanno quella scena nella tavola calda, penso che quando la convince a tornare a Silver Falls, penso che sia pronta ad affrontare le cose a testa alta in questa stagione. Quindi penso che sia solo… è semplicemente cresciuta molto dalla prima alla seconda stagione, e continua a crescere durante tutta la seconda stagione.

Crowley ha poi chiesto a Noah Lalonde, che interpreta Cole Walter, del suo personaggio che apparentemente ha tutto, ma a cui manca un pezzo di felicità, e se Jackie sia quel pezzo di felicità.

Mi piaci Liam, per la cronaca. Dirò questo, penso che lei sia assolutamente uno dei pezzi mancanti del puzzle. Penso che sia una delle forze motivanti in molte delle azioni di Cole nella seconda stagione. Tuttavia, penso che alla fine dell’episodio 10, quella conversazione porti molta confusione aggiuntiva e un po’ di frustrazione aggiuntiva, che è stato un po’ lo schema di molte delle interazioni tra Cole e Jackie durante tutta la stagione. Per quanto sia bello sentire “Ti amo” anche solo per un nanosecondo, è subito seguito da un “Ok, va bene!”. Non è stata una conversazione armoniosa. Quindi mi sembra che lui non sappia davvero cosa succederà dopo e che sia rimasto in una sorta di limbo per tutto questo tempo, cercando di aggrapparsi a qualsiasi versione di crescita riesca a trovare perché, come hai detto tu, manca qualcosa e lui non riesce ancora a capire cosa sia. Non so se riuscirebbe a dirti che si tratta di Jackie, ma lei è sicuramente una parte importante di tutto questo.

Ashby Gentry, che interpreta Alex Walter, il terzo membro del triangolo amoroso, viene poi chiesto da Crowley se crede davvero che la relazione di Alex con Jackie sia “solida come una roccia”, come sostiene Alex all’inizio del finale di stagione, al che lui risponde:

Cioè, immagino di no, ma penso che lui abbia l’impressione che lo sia. Ma ci vogliono due persone per ballare il tango, e non dipende solo da lui.

Cosa significano questi commenti per My Life With The Walter Boys

I commenti del cast di Uno splendido errore (My Life With The Walter Boys) forniscono informazioni sui motivi che hanno spinto i personaggi a fare le scelte che hanno fatto durante la seconda stagione. Gli attori accennano al fatto che tutti hanno delle vicende al di fuori del triangolo amoroso che si intrecciano con le complessità di quest’ultimo.

La seconda stagione di Uno splendido errore (My Life With The Walter Boys) mostra una grande crescita, come ha affermato Nikki Rodriguez, oltre a sentimenti complicati che aleggiano intorno a tutti i personaggi e tra di loro.

La seconda stagione lascia spazio a molti altri sviluppi all’interno della serie, e la terza stagione di My Life With The Walter Boys avrà molte più storie da raccontare quando si tratterà di Jackie, Cole e Alex.

Call of Duty: un nuovo rapporto rivela che Steven Spielberg ha perso l’accordo per l’adattamento cinematografico

0

Il veterano regista hollywoodiano Steven Spielberg può essere considerato responsabile di alcuni dei più grandi successi cinematografici, ma secondo quanto riferito, avrebbe perso l’occasione di occuparsi dell’adattamento cinematografico di una serie di videogiochi da 30 miliardi di dollari. Nel corso della sua carriera, Spielberg si è spesso cimentato nel mondo dei videogiochi, con molti dei suoi film che hanno fornito ricco materiale all’industria dei giochi.

Inoltre, il concept del gioco sparatutto in prima persona Medal of Honor per PlayStation del 1999 è stato creato dallo stesso Steven Spielberg, che si è ispirato al suo lavoro nel film sulla Seconda Guerra Mondiale del 1998, Salvate il soldato Ryan. Ma per quanto riguarda un franchise di giochi simile, Matthew Belloni di Puck ha recentemente rivelato che Spielberg ha anche presentato la sua visione per un film su Call of Duty, ma è stata rifiutata.

Steven Spielberg ha perso l’occasione di dirigere un rivale di Medal of Honor

Con l’obiettivo di essere anche educativo, la stragrande maggioranza dei successivi capitoli di Medal of Honor era ambientata anch’essa durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma dopo il successo iniziale del gioco originale di Spielberg all’inizio degli anni 2000, un nuovo studio di videogiochi, Infinity Ward, ha cercato di sviluppare il proprio sparatutto ambientato nella Seconda Guerra Mondiale, Call of Duty.

Dopo aver superato la meccanica di gioco e il fascino della serie Medal of Honor e aver dato vita a una serie di sequel, Call of Duty comprende oltre 20 titoli. All’inizio di questa settimana, il CEO della Paramount David Ellison ha annunciato che era stato raggiunto un accordo con l’editore di videogiochi Activision e che i piani per un film live-action Call of Duty erano in corso dopo 10 anni di stallo.

Secondo Belloni, Spielberg “voleva davvero dirigere il film CoD” e ha presentato la sua idea per il film anche al team di Activision, di proprietà di Microsoft. Tuttavia, le richieste di Spielberg per il montaggio finale di Call of Duty e il controllo totale della produzione e del marketing hanno preoccupato Activision, che ha invece accettato l’offerta della Paramount, che avrebbe consentito loro un maggiore controllo creativo.

Uno splendido errore – Stagione 3 si farà? ecco cosa dicono gli showrunner

0

La showrunner di Uno splendido errore (My Life with the Walter Boys), Melanie Halsall, ha espresso il suo verdetto sul futuro della serie di successo oltre la seconda stagione. Il drama adolescenziale Netflix, basato sull’omonimo romanzo Wattpad di Ali Novak, ha debuttato su Netflix il 7 dicembre 2023, con tutti i 10 episodi della prima stagione disponibili contemporaneamente.

Uno splendido errore (My Life with the Walter Boys) – stagione 2 è stata trasmessa per la prima volta il 28 agosto 2025, anch’essa composta da 10 episodi, ed è stata accolta meglio della precedente. La stagione si è conclusa con un finale sospeso in cui Alex ha sorpreso Jackie mentre confessava il suo amore per Cole, lasciando inoltre sconosciuto il destino di George, tutti elementi che la serie dovrà riprendere nelle stagioni future.

Secondo Swooon, Halsall ha discusso la direzione futura che la serie potrebbe prendere dopo la seconda stagione e sembrava ottimista sul futuro della serie, affermando di aver “pianificato tutto a lungo termine”. Ha condiviso che le piacerebbe continuare a raccontare storie su questi personaggi, fintanto che il pubblico sarà interessato a continuare a guardarli, e ha anticipato che gli spettatori potrebbero vedere i personaggi invecchiare.

Ha anche discusso del fatto che ama le storie d’amore della serie, affermando che la coppia Kiley-Dylan è una delle sue preferite e che la serie è basata su triangoli amorosi, cosa che non cambierà in futuro. Leggi i commenti di Halsall qui sotto:

Sono affascinata da questi personaggi e da queste storie in questo mondo, e mi piacerebbe continuare a raccontare queste storie finché le persone continueranno a guardarle, vorranno continuare a guardarle. Quindi non si può mai sapere. Potremmo vedere i nostri personaggi invecchiare sempre di più man mano che andiamo avanti, ma mi piacerebbe continuare a raccontare queste storie.

Abbiamo molti personaggi nella nostra serie e penso che tutti dovrebbero avere il loro posto al sole.

Adoro tutte le nostre storie d’amore. Davvero, davvero. Penso che la relazione tra Kiley e Dylan nella seconda stagione sia davvero divertente, e soprattutto con il triangolo separato con Alex, sono davvero entusiasta di mostrare alla gente dove andrà a finire.

La nostra serie è sempre un triangolo amoroso. Si basa su un triangolo amoroso. Si basa sul romanticismo. E quindi, per il momento, questo è il nucleo della nostra serie. Quindi, per il momento, questo non cambierà.

Cosa significa questo per il futuro di My Life With The Walter Boys

I commenti di Halsall dimostrano che ha dei progetti per il futuro della serie e che sarebbe disposta a continuare lo show per diversi anni ancora. La terza stagione di My Life With the Walter Boys è già stata rinnovata e promette di portare con sé ancora più drammi e conflitti, ma non è chiaro per quanto tempo lo show continuerà oltre quel punto.

L’aggiornamento è sicuramente incoraggiante per il futuro della serie e ci sono diversi punti della trama che lo show potrebbe esplorare nella prossima stagione. Halsall sembra soddisfatta di stuzzicare il pubblico e di mantenere i triangoli amorosi come componente drammatica centrale che guida la narrazione dello show.

Life Is Strange: in arrivo una serie Amazon basata sul videogioco

0

Variety ha appreso in esclusiva che Amazon Prime Video ha dato il via libera alla realizzazione di una serie TV live-action tratta da Life Is Strange. Basata sull’omonima serie di videogiochi, la serie sarà scritta da Charlie Covell, che ricoprirà anche il ruolo di produttore esecutivo e showrunner. Dmitri M. Johnson, Mike Goldberg e Timothy I. Stevenson saranno i produttori esecutivi sotto la loro bandiera Story Kitchen. La serie è prodotta da Square Enix, Story Kitchen e LuckyChap, con Amazon MGM Studios.

Story Kitchen ha sempre creduto che ‘Life is Strange’ meritasse di essere più di un semplice gioco: è un punto di riferimento culturale”, hanno dichiarato Johnson e Goldberg di Story Kitchen. “Dopo un viaggio lungo un decennio, siamo onorati di portare questa amata storia su Amazon MGM insieme ai nostri incredibili partner di Square Enix, al nostro brillante showrunner/sceneggiatore Charlie Covell e al fantastico team di LuckyChap. Insieme, questo dream team accuratamente assemblato è pronto a condividere Life is Strange con il mondo in un modo completamente nuovo!

Secondo la trama ufficiale, “la storia segue Max, una studentessa di fotografia che scopre di poter riavvolgere il tempo mentre salva la vita della sua migliore amica d’infanzia, Chloe. Mentre lotta per comprendere questa nuova abilità, le due indagano sulla misteriosa scomparsa di un compagno di scuola, scoprendo un lato oscuro della loro città che alla fine le costringerà a fare una scelta impossibile tra la vita e la morte che le influenzerà per sempre”.

È un grande onore adattare ‘Life Is Strange’ per Amazon MGM Studios”, ha dichiarato Covell. “Sono un grande fan del gioco e sono entusiasta di lavorare con i fantastici team di Square Enix, Story Kitchen e LuckyChap. Non vedo l’ora di condividere la storia di Max e Chloe con i giocatori e il nuovo pubblico”.

Siamo grandi fan del visionario Charlie Covell da anni, quindi collaborare con loro all’adattamento di Life is Strange è davvero un sogno che si avvera”, ha dichiarato invece LuckyChap. “Charlie è un eccezionale custode di una proprietà intellettuale venerata e ci sentiamo incredibilmente fortunati ad averlo al timone di un videogioco così originale, amato e culturalmente significativo. Siamo anche profondamente grati di poter collaborare con i nostri amici di Amazon MGM Studios, Story Kitchen e Square Enix e non vediamo l’ora di dare vita a Chloe, Max e Arcadia Bay”.

Da quasi un decennio si cerca di sviluppare Life Is Strange per la televisione. Inizialmente la produzione era stata affidata a Legendary Television, mentre Johnson è stato coinvolto nel progetto sin dall’inizio. Tuttavia, questa è la prima volta che una versione televisiva del gioco è stata ufficialmente commissionata come serie. “Per anni tantissime persone ci hanno chiesto di creare una serie TV di ‘Life is Strange’ e siamo davvero felici di poter finalmente collaborare con Amazon MGM Studios, che siamo certi farà un lavoro incredibile nel dare vita al nostro universo”, hanno dichiarato Jon Brooke e Lee Singleton, direttori dello studio Square Enix.

Covell è noto soprattutto per aver scritto la serie comica dark di NetflixThe End of the F***ing World”, basata sull’omonimo romanzo grafico di Charles Forsman. Più recentemente, ha creato la serie drammatica di Netflix “Kaos” e ha co-creato la serie drammatica britannica “Truelove” con Iain Weatherby. Tra gli altri suoi lavori come sceneggiatore figurano la serie ‘Humans’ e il film “Burn Burn Burn”.

Siamo entusiasti che i nostri clienti Prime Video di tutto il mondo possano sperimentare il mondo dinamico di ‘Life Is Strange’”, ha dichiarato Nick Pepper, responsabile della divisione SVOD TV & development series per Amazon MGM Studios. “La serie è in ottime mani con Charlie Covell, che ha creato una storia profondamente accattivante basata sull’iconico videogioco. Charlie e i suoi fantastici collaboratori di LuckyChap, Story Kitchen e Square Enix sono il team perfetto per realizzare un adattamento monumentale che affascinerà sia i fan affezionati che il nuovo pubblico“.

Questo è solo l’ultimo adattamento di un videogioco che trova casa su Prime Video. Recentemente è stato annunciato che la tanto attesa serie “Tomb Raider” di Phoebe Waller-Bridge, con Sophie Turner nel ruolo della protagonista, inizierà le riprese nel gennaio 2026. Prime Video trasmette attualmente anche la versione seriale di Fallout, la cui seconda stagione sarà lanciata a dicembre, mentre la terza è già stata ordinata.

La saga di Life Is Strange

Il primo gioco Life Is Strange è stato pubblicato nel 2015 ottenendo recensioni positive, elogi da parte del settore e nomination e vittorie ai premi. Nel 2023, è stato riferito che il gioco aveva raggiunto oltre 20 milioni di giocatori totali. Il gioco originale è stato seguito dal prequel “Life Is Strange: Before the Storm” nel 2017. Nel 2018 sono stati pubblicati “The Awesome Adventures of Captain Spirit” e “Life Is Strange 2”, incentrati su nuovi personaggi. A questi è seguito un altro gioco standalone, “Life Is Strange: True Colors”, nel 2021. “Life Is Strange: Double Exposure”, che vedeva ancora una volta Max come protagonista, è uscito nel 2024. I giochi sono stati sviluppati da Don’t Nod Entertainment e successivamente da Deck Nine, con Square Enix come editore.

Peacemaker – Stagione 2: una foto BTS di David Corenswet alimenta alcune teorie

0

Siamo ormai a metà della seconda stagione di Peacemaker. Sebbene l’episodio di ieri sera abbia riservato alcune divertenti sorprese, i commenti del regista James Gunn hanno lasciato intendere che saranno gli ultimi tre capitoli a lasciare i fan a bocca aperta. Il co-amministratore delegato della DC Studios ha anche affermato che Peacemaker è il “sequel diretto di Superman” e il “prequel di Man of Tomorrow“. Tuttavia, dato che nulla nei primi cinque episodi inviati alla critica suggerisce che sia così, molti fan sperano che Gunn non stia esagerando.

In precedenza aveva detto che la serie includerà un “cameo davvero, davvero, davvero importante”, e la star di Superman, David Corenswet potrebbe aver appena svelato il segreto. L’attore ha infatti condiviso una foto di se stesso in costume da Superman, in piedi accanto a John Cena nei panni di Chris Smith sul set della seconda stagione di Peacemaker (si può vedere qui la foto). La maglietta di Cena è quella dell’episodio andato in onda, e i due progetti DCU sono stati girati più o meno nello stesso periodo, ma questo sembra sicuramente un indizio di un possibile incontro tra questi personaggi.

D’altronde, Superman è apparso in ombra nel riassunto “Previously in the DCU” di Peacemaker e si dice che il personaggio di Cena apparirà in Man of Tomorrow, quindi vedremo cosa succederà nelle prossime settimane. Di certo, c’è da aspettarsi che la serie sia strettamente legata agli eventi del prossimo film, date le parole di Gunn, per cui viene facile pensare che grandi sorprese siano effettivamente in arrivo.

LEGGI ANCHE: Peacemaker – Stagione 2, episodio 3, la spiegazione del finale: il ritorno di un eroe del DCEU

Tutto quello che sappiamo della stagione 2 di Peacemaker

La gente sta capendo che la seconda stagione di Peacemaker riguarda due dimensioni, e questo è davvero il cuore della serie”, ha spiegato Gunn durante una recente intervista con Rolling Stone. “Ma non è che una di queste sia la vecchia DCEU e l’altra la DCU. La questione viene affrontata in modo diverso, in modo molto diretto in una stagione in cui quasi tutto nella prima stagione è canonico e alcune cose non lo sono. E infatti ho registrato un podcast con gli attori Steve Agee e Jen Holland“.

Abbiamo parlato di ogni episodio di Peacemaker e in quegli episodi ho spiegato cosa è canonico e cosa non lo è. In pratica ho eliminato alcune piccole cose della prima stagione di Peacemaker che non sono canoniche, come Aquaman. Ma la maggior parte delle cose è canonica“. Stando a queste parole di Gunn, sarà dunque interessante scoprire cosa la seconda stagione aggiungerà alla storia di Peacemaker e come lo renderà a tutti gli effetti un personaggio del DC Universe.

Peacemaker esplora la storia del personaggio che John Cena riprende all’indomani del film del 2021 del produttore esecutivo James Gunn, Suicide Squad – un uomo irresistibilmente vanaglorioso che crede nella pace ad ogni costo, non importa quante persone debba uccidere per ottenerla!”, è stato poi riferito. I dettagli precisi sulla trama della seconda stagione sono ancora per lo più nascosti, ma sappiamo che Frank Grillo riprenderà il ruolo di Rick Flag Sr. e cercherà di vendicarsi per l’uccisione da parte di Peacemaker di suo figlio Rick Jr. (Joel Kinnaman) avvenuta in The Suicide Squad.

LEGGI ANCHE: Peacemaker – Stagione 2: cast, trama e tutto quello che sappiamo