C’è un’energia quieta ma
luminosa in Odessa Young, quella di chi porta sullo
schermo personaggi che vivono nel limbo fra realtà e finzione. In
Springsteen – Liberami dal nulla, il nuovo film
di Scott Cooper che esplora un periodo cruciale
nella vita del giovane Bruce Springsteen,
l’attrice australiana interpreta Faye, una figura non
realmente esistita ma ispirata alle diverse donne che, negli anni
Settanta, ruotavano intorno al musicista. Un personaggio
“inventato” e proprio per questo profondamente vero.
“Mi sono preparata
come per qualsiasi altro ruolo di finzione,” racconta Odessa
sorridendo. “Scott aveva già scritto Faye con una precisione
straordinaria. Era tutta lì, sulla pagina. Non avevo bisogno di
rincorrere modelli reali o di fare ricerche esterne: potevo
semplicemente fidarmi della sceneggiatura e lasciarla respirare. È
stato liberatorio.”
Liberatorio, ma anche
delicato. Perché, se Bruce è ormai un’icona, le persone della sua
vita privata restano avvolte nel pudore e nella discrezione.
“Sapevo che Bruce è molto protettivo verso chi non ha mai
cercato i riflettori,” spiega. “E non volevo oltrepassare
quel confine. Il personaggio era già completo così: bastava
ascoltarla.”
Odessa Young
è il contrappunto di Jeremy Allen White
Accanto a lei, Jeremy Allen White interpreta un giovane
Bruce, fragile e introverso, in lotta con i propri demoni
interiori. L’alchimia tra i due è palpabile, fatta di silenzi e
sguardi più che di parole.
“Con Jeremy è stato
tutto naturale. Lui porta una concentrazione quasi ipnotica sul
set, io invece arrivo con un’energia più solare, entusiasta, felice
di esserci. Quel contrasto si è trasformato nella dinamica perfetta
fra i nostri personaggi: lui trattenuto, io più diretta e
spontanea. Il film parla proprio di questo — di imparare a dire le
cose che per anni hai tenuto dentro.”
Uno dei momenti più
intensi del film, racconta, è una scena apparentemente minima:
Bruce accompagna Faye a casa dopo un concerto all’Stone Pony, e tra
i due rimane un silenzio pieno di tutto ciò che non si può dire.
“Scott è un maestro nel far accadere le cose proprio mentre
‘non succedono’,” dice Odessa. “Ci ha chiesto di prenderci
tempo, di lasciare che il cuore si spezzasse davanti alla macchina
da presa. È un regista che sa ascoltare il non detto.”
Springsteen – Liberami dal nulla – Odessa Young e Jeremy Allen White – Cortesia The Walt
Disney Company Italia
Il rispetto e la
luce di Bruce
Fan dichiarata di
Bruce Springsteen fin dai tempi del liceo
(“Era parte della mia identità”), Odessa
Young confessa che lavorare a questo film ha trasformato
il suo rapporto con la musica del Boss. “Ora lo amo ancora
di più,” sorride. “Ho visto come si costruisce un mito, ma
invece di perdere la magia, ne ho guadagnata. Bruce è gentile,
generoso, presente ma mai invadente. Sul set era una presenza quasi
spirituale, rispettosa dei nostri processi. Sapere che la ‘ragione’
per cui stai facendo tutto questo è lì davanti a te… è
potentissimo.”
C’è stato, poi, un
momento di pura emozione che le è rimasto nel cuore: il ricordo del
primo concerto di Springsteen visto da adolescente, a
Sydney. “Avevo quindici anni, tour di Wrecking Ball. Durante
10th Avenue Freeze-Out Bruce si avvicinò al pubblico per omaggiare
Clarence Clemons. Mio padre mi spinse verso le transenne e… gli
toccai la spalla! Non l’ho ancora raccontato a lui, ma un giorno lo
farò.”
L’arte come
mistero
Quando le viene chiesto
da dove trae ispirazione per i suoi ruoli, Odessa cita un nome
inaspettato: l’illustratore australiano Shaun
Tan. “Le sue opere surrealiste mi parlano sempre. Ogni
volta che inizio un nuovo progetto, trovo in lui qualcosa che
risuona con il personaggio. Cattura l’essenza misteriosa dell’animo
umano.”
E a proposito di
mistero, non stupisce che sia affascinata dai biopic musicali, un
genere sempre più amato dal pubblico. “I musicisti vivono gran
parte del processo creativo in solitudine. È questo che ci
incuriosisce: poter sbirciare dietro la tenda. Io sono affascinata
da chiunque crei con passione — che si tratti di musica, cinema o
pittura. Per questo amo questi film.”
Un film che onora e
rinnova
Springsteen –
Liberami dal nulla non è solo un film su un artista,
ma sul momento in cui un ragazzo impara a dare forma alle proprie
emozioni. Per Odessa Young, interpretare Faye è
stato come attraversare un frammento di quel processo. “Il
film è un’estensione del suo lavoro,” conclude. “Un atto
d’amore verso la musica, ma anche verso le persone che lo hanno
aiutato a diventare ciò che è. Essere parte di tutto questo è
stato… speciale.”
Springsteen – Liberami
dal nulla è nelle sale italiane dal 23 ottobre
distribuito da The Walt Disney Company Italia.
Dopo aver diretto, prodotto e
scritto tre film della serie Knives Out con
Daniel Craig, Rian Johnson è
pronto per il suo prossimo progetto, che sarà un thriller
fantascientifico, tornando così ad un genere a suo modo già
esplorato con Star
Wars: Gli ultimi Jedi e Looper. Durante
un’intervista con Empire, il regista ha infatti
rivelato che il suo prossimo progetto è ispirato ai “thriller
paranoici degli anni ’70” con un elemento di “fantascienza
leggera”.
“La cosa più eccitante in
questo momento è l’idea che ho in mente per il prossimo progetto, e
penso che alla fine sia l’unica cosa che si possa fare, seguire il
proprio istinto. Se dovessi definirlo in termini di genere, direi
che si rifà ai thriller paranoici degli anni ’70. Ha un leggero
elemento di fantascienza”.
Johnson intende seguire il suo
istinto nel concretizzare l’idea in una storia completa e, infine,
in un film. Ha esperienza con Star
Wars, una delle proprietà intellettuali più iconiche mai
esistite. Anche se Star Wars non è un franchise fantascientifico in
senso stretto, con i fan che preferiscono etichettarlo come
fantascienza o space opera, le storie hanno elementi
fantascientifici.
Il regista ha inoltre ammesso che
gli piacerebbe tornare a Star Wars se avesse senso sia per lui che
per la Disney. “Quel meccanismo continuerà a girare per il
resto della mia vita. Adoro Star Wars. E se un giorno avesse senso
tornarci, per entrambi, sarebbe la cosa più bella del mondo“.
Looper, d’altra parte, è a tutti gli effetti un thriller
fantascientifico, quindi Johnson potrà sicuramente fare affidamento
sulla sua esperienza con quel progetto per la sua idea attuale, che
è un thriller con elementi fantascientifici.
Uscito nel 2012, Looper è
incentrato su assassini che uccidono i loro bersagli mandandoli
indietro nel tempo. Il film vedeva come protagonisti Bruce Willis,
Joseph Gordon-Levitt ed Emily Blunt. Al momento non è chiaro se il
prossimo film di Johnson uscirà nelle sale o sarà un’esclusiva in
streaming. Glass
Onion, il secondo capitolo della serie mistery, ha avuto
una distribuzione limitata nelle sale prima di debuttare su
Netflix. Nel frattempo, il terzo capitolo Wake Up Dead Man avrà un lancio simile, con una
distribuzione limitata nelle sale prevista per il 26 novembre e una
data di uscita su Netflix fissata per il 12 dicembre.
Johnson ha già un ottimo rapporto
di lavoro con Netflix, quindi è possibile che firmi un accordo con
la piattaforma di streaming per la sua nuova idea. Tuttavia, ama
ancora l’esperienza cinematografica nelle sale. L’esperienza di
Johnson in diversi generi, tra cui il mistero con Knives
Out e la fantascienza con Looper, dimostra che il suo
prossimo film sarà facilmente un altro successo, indipendentemente
dal fatto che venga distribuito nelle sale o direttamente su una
piattaforma di streaming.
DJ Ahmet è stato
presentato in anteprima mondiale al
Sundance Film Festival 2025 nel concorso World Cinema Dramatic.
Questo primo film diretto dal regista macedone Georgi M.
Unkovski ha segnato il suo ritorno a Park City, dopo
la sua partecipazione con il cortometraggio
Sticker del 2020 e anche la conferma del suo
talento. Il suo lungometraggio infatti si è aggiudicato al Sundance
ben due premi: il Premio del pubblico World Cinema Dramatic e il
Premio speciale della giuria per la visione creativa World Cinema
Dramatic.
La trama di DJ Ahmet
Ahmet,
l’esordiente Arif Jakup, è un quindicenne contemporaneo ma di un
remoto villaggio nella Macedonia del
Nord, che trova rifugio nelle canzoni mentre si occupa del
gregge di pecore di suo padre, Aksel Mehmet, un uomo duro, semplice
e tradizionalista. Nel loro mondo rurale di religione
musulmana, fatto di pastori e coltivatori di tabacco, il
ragazzo viene ritirato da scuola per aiutare il papà e prendersi
cura del fratello minore Naim, Agush Agushev,
diventato silenzioso e che non parla più dopo la morte della madre.
Il protagonista Ahmet è il tipico adolescente dal cuore d’oro, un
fratello maggiore che tutti vorrebbero, si preoccupa profondamente
della sua famiglia, imparando valori, impegno e come diventare
adulto. La sua musica è l’unico modo di connettersi alla vita, una
pecora nera anzi rosa come quella che perde durante il film, perché
capisce sia la tecnologia ma anche le persone della sua comunità,
una minoranza turca degli Yuruk.
Un notte scopre, nel bosco dietro
casa, un rave di musica elettronica e almeno per
alcuni minuti, il tempo di qualche canzone, finalmente si trova nel
mondo che gli appartiene. La magia viene spezzata quando le sue
venti pecore, scappate dal recinto, arrivano alla festa. Il suo
destino durante il party segreto s’incrocia con quello di Aya,
l’attrice Dora Akan Zlatanova, una diciasettenne e
vicina di casa ma promessa sposa con un gastarbeiter,
un turco proveniente dalla Germania. Ahmet e Aya uniti dall’amore
per la musica o forse più per quella d’essere se stessi iniziano a
frequentarsi e il giovane riuscirà anche a far scappare la ragazza
dal matrimonio combinato che lei ovviamente vuole ad ogni costo
evitare.
Cortesia Movie Inspired
Un coming of age tra tradizione e
TikTok
Questo film riesce
a fondere tradizione e vita moderna, connettendo le persone
attraverso valori umani condivisi. La visione creativa e la
narrazione del regista e sceneggiatore Georgi M. Unkovski sono
l’aspetto più interessante di questo coming of
age, che è anche una commedia drammatica e
leggermente ironica su un piccolo mondo
conservatore della Macedonia del
Nord. Unkovski intreccia un senso del
tempo e del luogo, catturando l’armonia e lo squilibrio della vita
attraverso il dialogo, le persone, la tecnologia e la sua cultura
apparentemente isolata al pubblico come un narratore che si
connette con tutti senza giudizio, aggiungendo anche un tocco di
comicità. Quello che sorprende è come i giovani protagonisti siano
connessi con il nostro mondo, anche se indossano, soprattutto le
donne, gli abiti tipici colorati degli Yuruk, hanno internet,
possiedono smartphone e usano TikTok ricreando
anche loro balletti virali.
Lavorando con un cast per lo più
dilettantistico, Unkovski riesce a far sì che tutti offrano solide
interpretazioni naturalistiche, in particolare il simpatico
protagonista esordiente Arif Jakup, che interpreta un
adolescente con il viso scottato dal sole per aver lavorato tutto
il giorno all’aperto e che indossa la stessa tuta infangata in
quasi ogni scena. Per concludere DJ Ahmet
traccia paralleli significativi con il film
Footloose, anche qui troviamo una comunità che bandisce il
ballo e che vede dei protagonisti e si ribella al ritmo della
musica. Quella che sembra una storia tradizionale proveniente da
una terra lontana racchiude in sé un valore e una profondità più
contemporanea di molte altre.
Sono passati 40 anni dall’uscita di
Ritorno al futuro, e in qualche modo le persone
continuano a identificarsi con i temi trattati dal film.
Riflettendo sull’impatto duraturo del film, le star Michael J. Fox e Christopher Lloyd hanno recentemente rivelato
perché credono che il film continui a coinvolgere il pubblico dopo
quattro decenni.
“Viviamo in una cultura del
bullismo. Ci sono bulli ovunque, non c’è bisogno che io indichi
chi, ma ci sono tutti questi bulli”, ha detto Fox in
un’intervista con Empire. “In questo film,
Biff è un bullo. Il tempo è un bullo”. Fox ha poi continuato:
“Per me personalmente, il Parkinson è un bullo. E tutto sta nel
modo in cui gli si tiene testa e nella determinazione con cui si
affronta la lotta contro di lui. È una questione di resilienza e
coraggio”.
L’attore ha osservato che “c‘è
molto di questo al momento, nel presente”, aggiungendo:
“Penso che molte persone stiano reagendo al film perché tocca
corde che altrimenti non riconoscerebbero”. Lloyd, che ha
interpretato Doc Brown nella trilogia di film, ha detto:
“Continua a stupirmi quanto profondamente i film di Ritorno al
futuro abbiano influenzato i giovani. Se ne parla ancora
continuamente”.
Ritorno al futuro è uscito negli
Stati Uniti il 3 luglio 1985, mentre in Italia arrivò il 18 ottobre
dello stesso anno. Come noto, però, la data significativa del film
è quella del 21 ottobre, ovvero la quella in
cui i protagonisti arrivano nel futuro in Ritorno al futuro
– Parte II. Diretto da Robert Zemeckis,
il film è ambientato nel 1985 e segue Marty McFly, interpretato da
Michael J. Fox, un adolescente che viene
accidentalmente catapultato nel 1955, dove inavvertitamente
impedisce ai suoi futuri genitori di innamorarsi, minacciando così
la sua stessa esistenza.
La nuova serie Prime
Video di Harlan Coben, Lazarus,
approfondisce le menti di psicologi, criminali e semplici
spettatori. È la serie perfetta per chi ama i drammi polizieschi,
ma non le serie basate su crimini reali, con un pizzico di
soprannaturale per rendere il tutto più interessante. Sam Claflin interpreta Laz, uno psicologo
forense che ha recentemente perso suo padre, lo psichiatra Dr. L,
suicidatosi. La tragedia riporta alla luce l’omicidio della sorella
gemella di Laz, Sutton, avvenuto 25 anni fa, e la morte di alcuni
pazienti del dottor L.
Incapace di affrontare la morte del
padre, Laz parla con i fantasmi dei pazienti di suo padre per
mettere insieme i pezzi del puzzle. Alla fine della serie,
Lazarus rivela che probabilmente il soprannaturale non ha
mai avuto nulla a che fare con queste conversazioni. Laz aveva
ascoltato le registrazioni delle sedute di suo padre mentre
sprofondava sempre più in uno stato di malessere mentale. È
possibile che queste persone fossero davvero dei fantasmi? Nelle
storie di Harlan Coben, tutto ha una minima possibilità di
accadere. Parte del fascino sta nel fatto che alcune cose non
vengono mai veramente risolte, permettendo al pubblico di usare la
propria immaginazione su ciò che accade dopo, quando lo schermo
diventa nero e la telecamera smette di girare.
Il dottor L è morto con le mani
sporche di sangue
Tutto culmina nel finale della
serie Lazarus, dove Laz scopre la verità sulla morte di suo
padre e sulle persone coinvolte nelle circostanze che l’hanno
determinata. Laz affronta un suo ex paziente, lo stupratore e
assassino seriale Arlo Jones, che scopre aver parlato con il dottor
L poco prima della sua morte. Arlo rivela la sua ipotesi secondo
cui sarebbe stato incastrato per l’omicidio di Imogen Carswood
dall’ispettore capo Alison Brown. Laz indaga ulteriormente e scopre
che Alison è collegata a tutte le morti sospette dei fantasmi con
cui ha parlato nell’ufficio di suo padre: Imogen Carswood,
Cassandra Rhodes e Harry Nash.
Laz conclude che Alison ha usato lo
studio del dottor L per uccidere pazienti problematici che riteneva
non appartenessero alla società. Ma le cose vanno male quando lui e
il suo migliore amico Seth la affrontano. Con un’aria colpevole
come sempre, lei attacca i due uomini e scappa, ma viene uccisa
quando viene investita da un autobus durante l’inseguimento. Prima
di morire, ha dato a Laz una registrazione di lei e del dottor L,
pochi minuti prima della sua morte. All’insaputa della maggior
parte delle persone, compreso Laz, il dottor L registrava tutte le
conversazioni nel suo studio, sia quelle programmate che quelle
improvvisate. La sua ultima conversazione da vivo era una di
queste. Il dottor L e Alison avevano lavorato insieme per anni per
mettere in prigione criminali, come stupratori, assassini e
pedofili, incastrandoli per omicidi facili da risolvere che non
avevano commesso. Gli omicidi erano stati commessi in realtà dallo
stesso Dr. L, che aveva ucciso i pazienti sopra citati perché
pensava che avrebbero fatto qualcosa di orribile agli altri o a se
stessi.
Alison credeva sinceramente che il
Dr. L le stesse fornendo informazioni corrette. Quando scoprì la
verità, gli disse di togliersi la vita, in modo che il suo segreto
morisse con lui. Il dottor L morì suicidandosi, come era sempre
stato riportato, ma con un altro aiuto. Laz rimprovera suo padre
per i suoi peccati, respingendo la scusa che il dottor L lo facesse
per liberare le sue vittime dal loro dolore e il resto del mondo
dal potenziale pericolo che causavano. L’ironia è che il dottor L
fece a se stesso ciò che aveva fatto agli altri, come se fosse la
punizione che si era creato.
Laz scopre la verità dietro la
morte di sua sorella
Tornando indietro al penultimo
episodio, Laz ha diviso il suo tempo durante la serie tra la
risoluzione della morte di suo padre, delle morti dei pazienti di
suo padre e dell’omicidio di sua sorella gemella, Sutton.
Venticinque anni fa, Sutton è stata trovata morta nella sua camera
da letto dopo un ballo scolastico a cui hanno partecipato tutti e
tre i bambini, ma Sutton è tornata a casa da sola. Al momento della
sua morte, un uomo di nome Olsen era considerato il principale
sospettato, ma fu rilasciato per mancanza di prove concrete, anche
se fu emarginato dalla comunità e Laz continuò a incolparlo per la
morte di Sutton. Ma dopo una discussione tra i due in un episodio
precedente, Laz ascoltò Olsen e abbandonò i suoi sospetti su di
lui.
La clemenza di Laz si rivelò una
mossa sbagliata da parte sua. Un nuovo sviluppo nel caso colloca
Olsen nella camera da letto di Sutton la notte in cui è stata
uccisa. Olsen aveva precedentemente detto a Laz che Sutton gli
aveva dato un suo giocattolo che lui aveva conservato per tutti
questi anni, ma Laz trova le prove che il giocattolo era nella sua
stanza il giorno del ballo. Proprio mentre Laz si reca alla
polizia, che è tutt’altro che collaborativa con lui a causa della
sua ossessione per la morte del padre, Aidan scompare. Laz e la
polizia cercano Aidan e scoprono poco dopo che è stato visto con
Olsen.
Laz trova Olsen e Aidan insieme
vicino a un lago, dove affronta il primo una volta per tutte. Olsen
ammette di aver ucciso Sutton, ma ha un ricordo distorto di ciò che
è realmente accaduto quella notte. Dopo aver perseguitato Sutton ed
essere entrato illegalmente nella sua camera da letto per anni,
Olsen ha fatto la stessa cosa la notte del ballo.
Tuttavia, lei è tornata a casa
prima del previsto e ha sorpreso Olsen. Mentre lui sostiene che lei
gli abbia fatto delle avance che lui ha ricambiato, la realtà
mostra che lui ha tentato di aggredirla sessualmente e lei ha
reagito. Quando ha sentito Laz tornare a casa, ha ucciso Sutton per
impedirle di rivelare i suoi crimini. Olsen era quello che metteva
le lucine intorno alla tomba di Sutton ai giorni nostri, credendo
di “prendersi cura di lei” quando Laz era lontano dalla famiglia.
Olsen viene messo in prigione per sempre, concludendo solo una
parte del mistero.
Olsen ha confessato l’omicidio di
cui era stato a lungo ritenuto responsabile, ed è stato dimostrato
che il dottor L si è tolto la vita, ma questo non spiega ancora le
circostanze che circondano la morte improvvisa di Margot, la fedele
dipendente del dottor L. Laz aveva precedentemente ipotizzato che
se Olsen aveva ucciso Sutton, doveva aver ucciso anche Margot,
perché si trovava nel parco la notte in cui il suo corpo è stato
trovato. Ma a quanto pare, c’è stato un altro assassino che è
sfuggito alle indagini e ha agito nell’ombra mentre Laz puntava il
dito contro tutti gli altri. Il nuovo assassino è in realtà più
vicino a Laz di quanto pensasse e potrebbe aver dimostrato che le
ultime parole del dottor L a Laz non erano poi così false.
Parlando con il medico legale, Seth
scopre che l’arma del delitto dietro la morte di Margot non era
altro che una lama a forma di falce importata illegalmente dal
Brasile. Lo stesso tipo di arma è stato usato da una banda
londinese nel 2016 per uccidere i propri rivali, e una partita di
queste armi è stata sequestrata sei mesi prima dell’inizio della
serie. Ma la persona che impugna l’arma nell’ultima scena della
serie non è né un membro di una banda né aveva accesso a quella
stessa spedizione. Era Aidan. Il ragazzo gentile con cui Laz
stringe amicizia nel corso della serie è lo stesso che ha
massacrato Margot e aggredito Laura. Il colpo di scena è alla pari
con quello di Sharp Objects, che termina in modo molto
simile. La madre di Aidan e la sorella di Laz gli avevano confidato
in precedenza che Aidan aveva visto il dottor L per alcune sedute,
sostenendo che aveva alcuni gravi problemi sconosciuti legati al
fatto di sentirsi un outsider tra i suoi coetanei. Aidan ha
probabilmente scelto Margot e Laura come sue vittime perché ha
rivelato loro i suoi sentimenti oscuri, ma non voleva che lo
dicessero alle autorità.
La serie si interrompe con un
cliffhanger prima che Aidan possa spiegarsi, terminando con
l’immagine sinistra di lui in piedi sulla soglia con l’arma
insanguinata, che rivolge freddamente delle scuse vuote a Laz.
L’immagine del padre che guarda il figlio assassino richiama una
conversazione illuminante tra Laz e il fantasma del dottor L: “Il
tempo non è lineare”, dice il dottor L al figlio. “È ciclico. I
figli diventano come i loro padri, Joel. È nel loro sangue”.
All’epoca, Laz non riusciva a credere alla filosofia pessimistica
di suo padre sulla violenza ereditaria. Ma ora non può fare a meno
di chiedersi se sia vera. Si trova di fronte alla prova delle
ultime parole di suo padre, e il pubblico è lasciato a chiedersi
cosa ne sarà di Laz e del rapporto che sperava di costruire con suo
figlio.
Sebbene l’adattamento
cinematografico del romanzo di Mary Shelley realizzato da
Guillermo del Toro sia piuttosto fedele all’opera
originale, Frankenstein si prende alcune interessanti
libertà rispetto al materiale di partenza. Opera fondamentale della
letteratura fantascientifica e horror, Frankenstein ha
ispirato innumerevoli adattamenti nel corso degli anni. Quello di
Del Toro è uno dei più spettacolari dal punto di vista visivo,
grazie al suo approccio all’art design.
Nel processo di adattamento,
tuttavia, del Toro modifica alcuni momenti e relazioni dei
personaggi per sottolineare temi specifici del romanzo. Nel farlo,
Guillermo del Toro introduce anche un tocco molto moderno alla
storia, reinventando parti della storia originale e adattandole
più strettamente al suo tipico approccio artistico.
Frankenstein rende Victor il
cattivo della sua stessa storia
Frankenstein (la
nostra recensione) gioca con il materiale originale in
modi interessanti, tra cui l’enfasi sugli aspetti più oscuri di
Victor Frankenstein. Anche nei ricordi di Victor sulla sua storia,
egli non è mai necessariamente ritratto in una luce
lusinghiera. Al contrario, Victor è descritto come inutilmente
severo, casualmente crudele e irascibile, con un senso di arroganza
che guida i suoi disperati esperimenti.
Si tratta di una divergenza oscura
dal modo in cui Victor è stato ritratto nei film precedenti, che
ricorda più il cupo eroe byroniano del materiale originale. La sua
attenzione egocentrica e la sua incapacità di accettare i propri
difetti sono amplificate, influenzando il suo rapporto travagliato
con la fidanzata di suo fratello, le sue lotte con la sua famiglia
e, in ultima analisi, il suo conflitto con la sua creazione.
Victor scarica sempre la colpa
sugli altri, mentendo spudoratamente per convincere le persone che
non è lui il responsabile della morte di Henrich ed Elizabeth. Ci
vogliono la morte di suo fratello e le sue ultime parole, che
condannano Victor come il “vero mostro”, per far finalmente
capire a Victor i propri errori.
Anche allora, Victor cerca di
vendicarsi dell’auto-riflessione, dando vita a una caccia
sanguinosa e dolorosa. È solo nelle sue ultime ore di vita che
Victor sembra riconoscere pienamente ciò che è diventato,
ammettendo sinceramente i suoi rimpianti e implorando il perdono
della creatura. Il fatto che lo ottenga sottolinea l’umanità della
creatura, che lascia Victor morire in pace.
La tragica storia d’amore del
mostro con Elizabeth è la chiave emotiva del Frankenstein di Del
Toro
Uno degli elementi più emotivi di
Frankenstein è il legame che si sviluppa tra Elizabeth e
la creatura. Al loro primo incontro, tra i due scatta
immediatamente una scintilla. In contrapposizione alle crudeli
lezioni di Victor, Elizabeth offre empatia. È in questo momento che
la creatura mostra per la prima volta la sua vera umanità, gettando
le basi per il suo arco narrativo finale.
Si sottintende anche che questo sia
il colpo di grazia per Victor. Quando decide che la creatura è
stata un errore, le concede una possibile tregua se riuscirà a dire
un’altra parola oltre a “Victor”. Quando la creatura dice
“Elizabeth”, Victor cerca comunque di ucciderla, implicitamente
per gelosia, poiché lei ha respinto le sue avance.
Il concetto di una storia d’amore
tra Elizabeth e il mostro ha senso, data la storia della
filmografia di Del Toro, il regista che ha vinto un Oscar per La
forma dell’acqua. Questo filo conduttore finisce però per
essere uno degli elementi più tragici di
Frankenstein. Quando la creatura dà la caccia a Victor,
scopre Elizabeth nella sua prima notte di nozze.
I due hanno un breve
ricongiungimento in cui sembrano ritrovare il loro legame, ma
Elizabeth viene ferita mortalmente quando Victor li vede e spara
alla creatura. Ferita a morte, muore da sola con la creatura,
confessando che non era destinata a questo mondo. A causa
dell’immortalità della creatura, tuttavia, lui non ha alcuna
possibilità di ricongiungersi con lei nella morte.
È allora che la creatura inizia a
comportarsi in modo veramente mostruoso nei confronti di Victor,
reagendo in modo più vendicativo. Frankenstein non è mai
stata una storia felice, ma questi elementi aggiungono un tocco
dolorosamente tragico al conflitto tra la creatura e il suo
creatore, l’incapacità di quest’ultimo di accettare la prima che
porta alla morte della donna che entrambi amavano.
Cosa sta succedendo con
l’angelo della morte di Frankenstein?
Un motivo visivo ricorrente in
Frankenstein è l’arcangelo che appare a Victor nei suoi
sogni. Basato su una statua che aveva da bambino e che conserva
anche da adulto, i pochi momenti in cui Victor abbraccia la fede
piuttosto che le scienze naturali che lo circondano derivano dalle
sue preghiere all’angelo affinché lo guidi e lo assista.
Victor vede ripetutamente l’angelo
nel corso del film, che gli appare tra le fiamme nei suoi sogni.
Tuttavia, l’angelo alla fine si toglie la sua bella maschera e
rivela un volto scheletrico, trasformando il segnale di
speranza in mezzo al caos in un presagio di sventura. Questo
riflette la sua graduale discesa dall’ambizione elevata al
rimpianto amaro.
Il fuoco che circonda l’angelo
anticipa il destino finale del laboratorio di Victor, ridotto in
macerie nel suo tentativo di distruggere la sua creazione. L’angelo
potrebbe essere visto come una rappresentazione di diversi elementi
della storia. L’interpretazione più ovvia sembra essere quella
dell’angelo della morte, che incombe su Victor e gli ricorda che
non può essere veramente sconfitto.
Tuttavia, potrebbe anche essere
visto come una manifestazione dell’ambizione interiore di Victor.
Quando considera il suo lavoro corretto e adeguato alle scienze
naturali, è angelico. Una volta che si è rivoltato contro la
creatura, l’angelo rivela il suo volto scheletrico. Questo riflette
lo stato emotivo interiore di Victor e la sua visione delle proprie
azioni.
L’angelo della morte potrebbe anche
essere visto come un presagio delle azioni di Victor nel corso del
film, che si avvicina man mano che più persone muoiono intorno a
lui. La sua prima visione dell’angelo fiammeggiante arriva dopo la
morte di sua madre, e le visioni si ripetono quando Henrich,
Elizabeth e William muoiono intorno a lui. In un certo senso,
Victor era il loro angelo della morte.
Frankenstein‘s framing
device è tratto direttamente dal romanzo omonimo. In entrambe
le versioni, Victor racconta la sua storia a un capitano
nell’Artico prima che vengano trovati dal mostro. In entrambe le
versioni, la creatura arriva per piangere la morte del suo
creatore. Tuttavia, le circostanze esatte di questo finale e ciò
che ne è stato della creatura in seguito differiscono.
Nel libro, la creatura non
raggiunge Victor prima della sua morte. Victor non muore ammettendo
i suoi errori e i suoi rimpianti, ma cercando invece di convincere
la barca a salpare per la stessa gloria che un tempo era abbastanza
ambizioso da cercare. Nel film, Victor chiede umilmente perdono
alla creatura, ottenendolo alla fine prima di morire.
L’ultima conversazione di Victor
con la sua creazione implora anche la creatura di abbracciare la
vita. Questo porta alla natura ambigua del finale del film, che
prepara la creatura a un futuro unico e inconoscibile. Si tratta
di una grande divergenza rispetto al romanzo, che invece si
concludeva con la creatura che ammetteva che, con la morte del suo
creatore, era finalmente pronta a uccidersi.
Un tema importante della
versione di Del Toro di Frankenstein è l’incapacità
della creatura di morire, risultato degli esperimenti di Victor che
hanno portato a un avanzato fattore di guarigione per la creatura.
Il finale del libro assume un tono più apertamente cupo rispetto al
film, che invece si conclude con una nota agrodolce di
speranza per la creatura e il suo futuro.
Il vero significato del
Frankenstein di Guillermo Del Toro
Frankenstein è un film sulle
qualità mostruose dell’umanità, che stabilisce che i più grandi
fallimenti delle persone spesso derivano dalle loro scelte e dai
loro errori. L’ego e l’ambizione portano gli uomini a grandi
altezze, ma li trasformano anche in mostri. Anche al di là di
Victor, questo tema può essere visto nei destini di Leopold
Frankenstein e Henrich Harlander.
Leopold era il padre di Victor, un
brillante chirurgo determinato a far sì che suo figlio seguisse le
sue orme. Questo lo portò a picchiare fisicamente suo figlio
durante le lezioni, un tratto che fu tramandato a Victor. Il film
mette in parallelo l’insegnamento fallito di Victor alla creatura
con il trattamento abusivo di Leopold, creando un filo
conduttore tra le loro peggiori qualità.
Henrich è il principale benefattore
di Victor, presentandosi inizialmente come incuriosito dalla
possibilità di entrare nella storia. In realtà, soffre di sifilide
e spera che il processo possa essere utilizzato per prolungare la
sua vita. Quando Victor gli dice senza mezzi termini che non
funzionerà, Henrich reagisce violentemente, danneggiando i
macchinari e facendosi uccidere.
Al contrario, il vecchio cieco di
cui la creatura diventa amica è umile e gentile. La sua morte dopo
l’attacco di un lupo è descritta come tranquilla e cupa, con la sua
umanità che traspare nei suoi ultimi momenti. Questo ha un
grande impatto sulla creatura, che impara da lui non solo a
leggere e a parlare, ma anche a essere umano.
In tutto Frankenstein, sono
le azioni avventate e rabbiose degli uomini a causare la morte
loro e degli altri. Da Victor fino agli uomini senza nome che
attaccano la creatura e vengono uccisi per legittima difesa, la
violenza è ricambiata con la stessa moneta dal mondo in generale.
In Frankenstein, la crescita emotiva più potente
deriva dalla gentilezza e dall’empatia.
Il ritorno al Netherrealm avverrà
prima del previsto grazie a un nuovo aggiornamento di Mortal
Kombat 2. Il prossimo capitolo dell’adattamento
live-action dell’iconica serie di videogiochi di combattimento
dovrebbe riprendere poco dopo la fine del reboot di Mortal
Kombat del 2021, in cui Sonya Blade, Jax e Cole Young
decidono di creare una nuova squadra di combattenti del Regno
Terrestre, in particolare Johnny Cage.
Con volti nuovi e di ritorno, tra
cui Karl Urban nei panni di Cage e Martyn Ford in
quelli di Shao Kahn, Mortal Kombat 2 era
originariamente previsto per il 24 ottobre 2025,
ma ha subito un cambiamento a sorpresa nei suoi piani, essendo
stato posticipato a maggio 2026. Secondo alcune
indiscrezioni, la decisione sarebbe stata presa dalla Warner Bros.
che, forte del successo al botteghino di Superman
del 2025, vorrebbe replicarlo con un’altra uscita estiva.
Dopo aver già posticipato l’uscita
del film da ottobre 2025 al 15 maggio 2026, la
Warner Bros. Pictures ha però apportato un’altra modifica alla data
di uscita di Mortal Kombat II. Il sequel dell’adattamento del
videogioco è ora previsto nelle sale l’8 maggio,
con un anticipo di una settimana rispetto alla data precedente.
Sebbene al momento non sia chiaro
il motivo per cui lo studio abbia deciso di cambiarla nuovamente,
la nuova data di uscita di Mortal Kombat 2 offre
al film una possibilità ancora maggiore di eccellere al botteghino.
La maggior parte del mese di maggio 2026 è caratterizzata da uscite
minori, con il weekend del 15 maggio che vedrà in particolare il
debutto di Poetic License di Maude Apatow
e del thriller Is God Is.
Tuttavia, maggio è un mese unico in
quanto è racchiuso tra Animal Friends e
Il diavolo veste prada 2
nella sua prima settimana, e The Mandalorian e Grogu
nella sua ultima settimana. Dato che Mortal Kombat
2 si rivolge a un pubblico più maturo rispetto agli
altri film, non c’è nessun altro film con cui sia in diretta
concorrenza.
Detto questo, puntare su una
finestra in cui evitare il pubblico adolescente attirato dal film
di Star
Wars è in definitiva una decisione migliore per Mortal
Kombat 2. Il film precedente è uscito nelle sale alla fine
di aprile 2021 e, nonostante gli ostacoli della pandemia di
COVID-19 e l’uscita simultanea su HBO Max, ha comunque ottenuto un
discreto successo al botteghino. Pertanto, mantenere il franchise
nella tarda primavera potrebbe essere la scelta migliore per
gettare le basi per il futuro.
Il cast di Mortal Kombat
2
Mortal Kombat 2 è
diretto da Simon McQuoid da una
sceneggiatura scritta dallo sceneggiatore di Moon
Knight Jeremy Slater. Il sequel
vedrà il ritorno di Lewis Tan come Cole
Young, Jessica McNamee come Sonya
Blade, Josh Lawson come
Kano, Tadanobu Asano come Lord
Raiden, Mehcad Brooks come
Jax, Ludi Lin come Liu
Kang, Chin Han come Shang
Tsung, Joe Taslim come Bi-Han e
Sub-Zero, Hiroyuki Sanada nei panni di
Hanzo Hasashi e Scorpion e Max Huang nei
panni di Kung Lao.
Il sequel d’azione introdurrà anche
una serie di nuovi personaggi oltre al Johnny Cage di Karl Urban, ovvero Adeline
Rudolph (Resident Evil) nei panni di
Kitana, Tati Gabrielle (You)
nei panni di Jade, Martyn
Ford (F9) nei panni dell’imperatore Shao
Kahn, Damon
Herriman di Mindhunter nei panni
del demone di Netherrealm Quan Chi, Desmond
Chiam (The
Falcon and the Winter Soldier) nei panni del Re Edeniano
Jerrod e Ana Thu Nguyen (Get
Free) nei panni della Regina Sindel. Ulteriori dettagli sulla
trama sono ancora tenuti nascosti. Il film è prodotto
da James Wan, Michael Clear, Todd Garner e E. Bennet
Walsh.
Sono passati quasi quattro anni da
quando Jeremy Renner ha interpretato Occhio di Falco
nel Marvel Cinematic Universe nella
serie TV
che condivide con Kate Bishop, interpretata da Hailee Steinfeld. Con la saga del Multiverso che si avvicina alla
fine, il destino delle varie serie TV del MCU è ancora incerto.
Liam Crowley di ScreenRant ha
recentemente intervistato Renner in vista della premiere della
quarta stagione di Mayor
of Kingstown il 26 ottobre e ha ottenuto un nuovo
aggiornamento sulle possibilità di una seconda stagione di Occhio
di Falco.
Il veterano dell’MCU, che fa parte
del franchise dal 2011 con Thor, ha sottolineato che
“non è davvero una decisione che spetta a me prendere”.
Renner ha aggiunto: “Per una seconda stagione, l’idea era
sempre quella di continuare quella narrazione, anche nel contesto
natalizio, perché amano quel mondo a New York”. Con
l’ambientazione natalizia che gioca un ruolo cruciale, la star di
Clint Barton ha concluso dicendo: “Non c’è davvero posto più
bello di New York fino a Natale. Dopo Natale è un po’
desolante”.
Una versione alternativa del
popolare eroe Marvel interpretato da Renner ha recentemente fatto
la sua comparsa nel mondo dell’animazione nella serie TV Marvel
Zombies, che ha debuttato il 24 settembre 2025 su Disney+. Per quanto riguarda il
live-action, l’attore non ha più interpretato l’eroe dell’MCU dal
sesto episodio di Hawkeye,
che ha debuttato il 22 dicembre 2021. In un’intervista separata con
ComicBook, a Renner è stato chiesto se Clint si fosse ritirato di
nuovo e se si sarebbe costretto a tornare per un grande evento come
Avengers: Doomsday.
Ha commentato: “Penso che abbia
iniziato a ritirarsi… ma è sempre tornato dal ritiro, lo sai”.
Per lui, il membro di lunga data degli Avengers è “un uomo di
famiglia; sai sempre da che parte sta, e ha sempre rinunciato al
pensionamento”. Ma finché sarà vivo, Renner vede l’arciere
della Marvel tornare sempre in gioco, dicendo: “Finché non
verrà ucciso, continuerà sempre a lavorare”.
Dove potremmo rivedere l’Occhio di
Falco di Jeremy Renner?
Mentre la Marvel Studios ha svelato
diversi membri del cast di Avengers: Doomsday il
26 marzo 2025, l’Occhio di Falco di Jeremy Renner non era tra questi. Tuttavia,
durante il CinemaCon del 3 aprile 2025, Kevin Feige ha confermato che saranno
annunciati altri personaggi, lasciando aperta la porta alla
possibilità che Clint sia uno di questi. Non resta dunque che
attendere maggiori novità, con la speranza di poter rivedere
l’amato eroe tornare in azione.
The Walking Dead: Daryl Dixon ha ufficialmente
concluso la sua terza stagione e, sebbene i protagonisti non siano
riusciti a tornare a casa dagli Stati Uniti, hanno risolto diversi
conflitti chiave. Dopo aver lasciato il Regno Unito in rovina di
The Walking Dead, Carol e Daryl hanno
navigato verso gli Stati Uniti prima di approdare involontariamente
in Spagna a seguito di una tempesta.
Da allora, hanno cercato di
riparare la loro barca e tornare a casa, ma si sono presto
ritrovati coinvolti nella vita degli abitanti spagnoli di Solaz del
Mar. Durante il finale, Carol ha cercato di salvare il suo Daryl
Dixon, interesse amoroso della terza stagione, mentre Daryl si
è diretto a El Alcazar con Paz per cercare di salvare Elena e
Justina.
Nonostante le difficoltà che
entrambi i protagonisti dovevano affrontare, hanno rischiato la
vita per persone che avevano appena conosciuto, dimostrando la loro
umanità. Tuttavia, anche dopo aver completato le loro missioni, i
personaggi principali non sono riusciti a tornare a casa perché la
loro barca è stata sabotata da uno dei cattivi principali dello
spin-off, creando un finale ricco di colpi di scena.
Daryl e Paz hanno salvato Elena
e Justina mentre abbatterono El Alcázar
Sebbene diversi gruppi di cattivi
siano emersi durante la terza stagione di Daryl Dixon, El
Alcázar era di gran lunga la minaccia più grande in Spagna prima
che Daryl e Paz li abbattessero. Dopo aver scoperto che Fede aveva
essenzialmente venduto sua nipote al gruppo contro la sua volontà,
Daryl accettò di andare a salvare Justina da solo prima di
incontrare Paz sulla strada per Barcellona.
Sebbene il loro piano iniziale non
abbia funzionato, si sono finti operai che indossavano maschere per
infiltrarsi nell’insediamento malvagio. Durante una cena tra i
residenti più influenti di El Alcázar, Daryl è riuscito a sabotare
uno spettacolo teatrale che utilizzava gli zombie per liberarli da
dietro il sipario, scatenando il caos.
Il re di Spagna è stato morso
mentre tutti fuggivano dalla sala, costringendo Daryl e Paz a
separarsi. Quest’ultima ha cercato di localizzare la sua ex
ragazza, che era stata trasferita a El Alcázar durante una
precedente La Ofrenda, mentre Daryl ha approfittato del caos per
appiccare il fuoco al luogo prima di rintracciare Justina.
Justina ha cercato di fuggire
minacciando l’uomo che l’aveva scelta per il matrimonio, ma il suo
piano le si è rapidamente ritorto contro e ha dato inizio a una
rissa. Fortunatamente, Daryl l’ha salvata appena in tempo e ha
liberato diverse altre donne prima di fuggire dalla comunità.
Nel frattempo, Paz ha localizzato
Elena e ha scoperto che aveva un figlio, guadagnando tempo per
permettere loro di fare i bagagli e andarsene. Tuttavia, dopo aver
ucciso una guardia, è stata messa al tappeto da Torres, lo stesso
uomo che diversi anni prima aveva ostacolato i suoi piani per
salvare Elena.
Questa volta, però, le cose sono
andate diversamente, poiché Elena ha pugnalato suo marito mentre
Paz ha sferrato il colpo finale, riunendosi infine con Daryl e le
altre donne fuori dalla struttura. Questo sembrava segnare la fine
del gruppo antagonista, con Paz, Elena e le altre che salutavano
Daryl e Justina, che tornavano insieme a Solaz.
I due sono tornati sulla moto di
Daryl, giusto in tempo per aiutare a porre fine al tumulto che
stava avvenendo all’interno della città fortificata.
Carol ha aiutato a salvare
Antonio prima che Fede fosse smascherato
Mentre Daryl e Paz conquistavano El
Alcázar, Carol è tornata a Solaz del Mar per salvare Antonio.
Dopo aver lasciato la comunità
mentre contrabbandava il figlio di Antonio fuori dalla città, Carol
ha deciso di tornare, sapendo che il suo interesse romantico
sarebbe stato nei guai dopo essersi opposto a Fede davanti a
tutti.
Arrivati con alcuni uomini di
Valentina, sono riusciti a liberare Antonio, che era stato
torturato e lasciato in mezzo alla città come punizione, provocando
una sparatoria. Uno dei residenti ha permesso ad Antonio e Carol di
nascondersi nella sua casa fino all’arrivo degli uomini di Fede,
costringendo i due a fuggire attraverso un’uscita segreta.
Diversi abitanti del paese si sono
riuniti per aiutarli a fuggire, ma alla fine sono stati traditi da
Gustavo, che li ha consegnati a Fede in cambio di medicine. Invece
di ucciderli, Fede è riuscito a localizzare Roberto e lo ha
incatenato ai vaganti, permettendo a Carol e Antonio di
proteggerlo, anche se senza il lusso delle armi.
Sono riusciti a tenere a bada gli
zombie, con alcuni spettatori che si sono sentiti in colpa e hanno
gettato le armi per aiutarli a combattere, ma alla fine Daryl ha
salvato la situazione ancora una volta durante il finale della
terza stagione di Daryl Dixon. È arrivato appena in tempo
per sparare ai non morti, guadagnando tempo abbastanza a lungo da
permettere a Justina di arrivare e dire la verità.
Dopo che lei ha rivelato che Fede
era il vero traditore, la città si è unita per uccidere i vaganti e
Fede è stato imprigionato per il suo tradimento, ponendo fine al
conflitto a Solaz Del Mar e permettendo a Justina e Roberto di
ricongiungersi.
Perché Fede ha distrutto la
barca nel finale della terza stagione di Daryl Dixon
Con tutti i conflitti risolti,
sembrava che sarebbe stato un semplice viaggio di ritorno a casa
per Daryl e Carol, soprattutto con Antonio, Roberto e Justina che
si erano uniti a loro. Purtroppo, le cose non sono state così
semplici, poiché la madre di Fede lo ha liberato dalla prigione,
spingendo l’ex leader di Solaz a confrontarsi con Daryl sulla
spiaggia.
Puntandogli una pistola contro, ha
promesso di uccidere il veterano di The Walking Dead, ma
Carol ha placcato il cattivo proprio mentre stava per premere il
grilletto. Sorprendentemente, The Walking Dead ha messo fine
a un cliché comune che consisteva nell’uccidere inutilmente nuovi
personaggi nel finale della terza stagione di Daryl Dixon,
poiché non ci sono state vittime durante questa colluttazione,
tranne una: la barca.
I proiettili della pistola di Fede
hanno perforato la nave e l’hanno incendiata, senza che il gruppo
riuscisse a spegnere il fuoco. Questo non solo ha vanificato il
duro lavoro di un’intera stagione, ma ora la nave sarà
probabilmente irreparabile, senza lasciare ai personaggi principali
una via chiara per tornare a casa.
Sebbene Fede non abbia sabotato
intenzionalmente il loro viaggio, voleva vendicarsi di Daryl per
essere stato una spina nel fianco, e probabilmente avrebbe ucciso
anche tutti gli altri sulla spiaggia, forse ad eccezione di
Justina. Chiaramente non voleva che i sopravvissuti se ne
andassero, ma le sue azioni erano dettate esclusivamente dalla
vendetta, piuttosto che da qualsiasi altro motivo.
Tuttavia, ha finito per costare a
Daryl e Carol la loro migliore possibilità di tornare al
Commonwealth, ma “Solaz del Mar” ha offerto un barlume di speranza
attraverso il ritorno di un personaggio importante.
Codron è tornato da Daryl Dixon
e in qualche modo è arrivato in Spagna
Dopo essere stato visto l’ultima
volta nel finale della seconda stagione, sembrava che Daryl
Dixon si fosse dimenticato di Codron dopo la sua scomparsa nel
Canale. Tuttavia, con grande sorpresa di molti fan, è ricomparso in
Spagna, vagando per il paese da solo prima di imbattersi nel cubo
di Rubik di Laurent che Daryl aveva lasciato vicino a un
monumento.
La serie non ha mai fornito
dettagli su come sia arrivato in Spagna, un mistero che
presumibilmente verrà risolto nella prossima puntata, ma vedere
Codron tornare da Daryl Dixon è stata sicuramente una svolta
gradita. Lo abbiamo intravisto solo brevemente all’inizio
dell’episodio, ma sembrava proprio che stesse cercando i
protagonisti.
È poi ricomparso nei momenti finali
della terza stagione, dove ha avvistato da lontano la nave in
fiamme, suggerendo che il suo ricongiungimento con Carol e Daryl è
sicuramente alle porte. Dato che è stato uno dei migliori
personaggi dello spin-off, la sua presenza dovrebbe indubbiamente
rendere più interessante la quarta stagione, offrendo agli
spettatori qualcosa da aspettarsi con ansia.
Come il finale della terza
stagione di Daryl Dixon prepara la stagione finale
Manuel Fernandez-Valdes/AMC
Con la quarta stagione di Daryl
Dixon confermata come l’ultima per lo spin-off, sarà
sicuramente più grande e migliore che mai, soprattutto dopo il
finale della terza stagione. Forse non si è conclusa con un tipico
cliffhanger, dato che molti dei conflitti principali sono stati
risolti, ma ha lasciato alcune domande su come Daryl e Carol
torneranno a casa.
Di conseguenza, la barca in fiamme
significa che la storia imminente ruoterà probabilmente intorno
alla ricerca di un nuovo modo per tornare a casa, cosa in cui il
ritorno di Codron potrebbe essere d’aiuto. Doveva arrivare in
Spagna in qualche modo e, supponendo che il suo mezzo di trasporto
sia ancora operativo, rimane la possibilità di tornare finalmente
negli Stati Uniti.
Nonostante The Walking Dead: Daryl
Dixon finisca con la quarta stagione, il presidente di AMC
Network Dan McDermott ha accennato alla possibilità che il
franchise visiti altri continenti in futuro.
Anche la discesa di Fede nella
malvagità potrebbe giocare un ruolo importante nella prossima
stagione. Certo, probabilmente tornerà in prigione all’inizio della
quarta stagione, ma il suo potere e la sua influenza sulle persone
fanno sì che sia destinato a uscire di nuovo, con la terza stagione
che mostra quanto sia facile per lui manipolare chi gli sta
vicino.
C’è anche la questione irrisolta
dei Los Primitivos, che non sono mai tornati dopo il loro attacco
iniziale, una minaccia che sicuramente tornerà. Nel complesso,
“Solaz del Mar” vede i personaggi principali alla ricerca di una
nuova via di ritorno in America mentre cercano di superare i nemici
conosciuti, e inevitabilmente ci saranno nuovi ostacoli da
affrontare quando arriverà la quarta stagione.
Cosa significa davvero il
finale della terza stagione di Daryl Dixon
Manuel Fernandez-Valdes/AMC
Il vero significato del finale di
Daryl Dixon sembra riguardare l’impegno di Daryl e Carol a
fare la cosa giusta, a qualsiasi costo. Nonostante volesse tornare
a casa innumerevoli volte, Daryl è stato costantemente convinto da
Carol a rimanere e ad aiutare, semplicemente perché era la cosa
moralmente giusta da fare.
Entrambi hanno aiutato persone
innocenti quando sarebbe stato più facile andarsene, con Daryl che
ha persino deviato dal suo percorso per aiutare una comunità in
difficoltà dopo che questa gli aveva mostrato gentilezza. Inoltre,
il finale si concentra anche sul viaggio di Daryl alla scoperta di
sé stesso.
Ammette apertamente di non essere
sicuro del motivo per cui ha lasciato il Commonwealth,
attribuendolo alla paura di sentirsi a proprio agio. I suoi
flashback hanno anche esplorato il rapporto passato di Daryl con
Merle in The Walking Dead e come questo abbia influito sulla
sua incapacità di rimanere in un posto.
Sebbene sentisse chiaramente che
lasciare il Commonwealth fosse stato inutile e che gli mancasse uno
scopo, alla fine della stagione sembra pronto a tornare a casa e ha
contribuito a cambiare in meglio la vita di diverse persone,
dimostrando che sia lui che Carol sono persone buone nel profondo,
nonostante le loro azioni violente in Daryl
Dixon.
Jennifer Lawrence tornerà a brillare sul grande schermo
quest’anno, recitando nel tanto atteso thriller psicologico
Die My Love, della regista Lynne Ramsay. Con questa
commedia dark, la Lawrence
torna a interpretare i ruoli complessi in cui eccelle, dopo
essere diventata una star di prima grandezza grazie alle sue
interpretazioni in Silver Linings Playbook, American Hustle
e Winter’s Bone.
A 35 anni, Lawrence potrebbe ancora
regalare molte altre interpretazioni decisive per la sua carriera.
Tuttavia, la star di Hunger Games ha rivelato in una nuova intervista al
The Graham Norton Show che recentemente ha pensato di
ritirarsi. Dopo la fine di The Hunger Games e la sua
quarta nomination all’Oscar per Joy, Lawrence ha visto una serie di insuccessi e ha
finito per prendersi due anni di pausa.
Dopo il film X-Men del
2019Dark Phoenix, il prossimo film di Lawrence è stato
Don’t Look Up del 2021. Ha confidato a Norton che si
stava semplicemente prendendo una pausa dopo che le grandi saghe e
i film premiati avevano occupato la sua vita per così tanto tempo,
e ha riflettuto: “Mi sono presa un po’ di tempo, ho lavorato per
tutti i miei vent’anni, e poi mi sono detta… cosa c’è là fuori?
Cosa sta succedendo?”
“Ero in pace con la possibilità
che ciò accadesse”, ha continuato Lawrence, parlando di come
questa pausa le avrebbe permesso di tornare a Hollywood.
“[Hollywood] è molto… Penso che sarei stata [bene], ma sarei
anche stata molto turbata. Non lo so”.
Ironia della sorte, l’ultimo film
di Lawrence prima di Die My Love è stato No Hard
Feelings del 2023, il che significa che non la vediamo da
due anni. Anche se mettere in pausa la propria carriera comporta
dei rischi, è possibile che Lawrence sia ormai un nome così famoso
che i registi saranno ancora interessati a lavorare con lei, anche
dopo una pausa.
Lawrence ha dichiarato che
“sarei stata davvero sconvolta” all’idea di abbandonare la
recitazione, sottolineando che entrambe le opzioni presentavano pro
e contro. Tuttavia, ora sembra essersi nuovamente dedicata alla
recitazione, con alcuni progetti in cantiere dopo Die My
Love, tra cui un progetto senza titolo con Amy Schumer e il
film The Wives dei registi emergenti Michael Breslin e
Patrick Foley.
Ma soprattutto,
Lawrence reciterà al fianco di Leonardo DiCaprio nel prossimo
film di Martin Scorsese, What Happens at
Night. Questo thriller psicologico e storia di fantasmi
segue una coppia che si reca in una remota e innevata cittadina
europea per adottare un bambino e soggiorna in un misterioso
hotel abitato da un gruppo di personaggi eccentrici.
Avendo trascorso gran parte della
sua giovane vita lavorando a The Hunger Games e
X-Men, e ricevendo una serie di nomination agli Oscar e
l’attenzione che ne deriva prima dei 30 anni, è comprensibile che
Jennifer Lawrence abbia pensato a come sarebbe stato uscire
dalle luci della ribalta. Tuttavia, era ancora appassionata del suo
mestiere e alla fine è tornata a farlo.
Elizabeth Olsen stabilisce una condizione che seguirà
per tutti i suoi film futuri. Sebbene sia nota soprattutto per aver
interpretato Wanda Maximoff/Scarlet Witch in numerosi film
del Marvel Cinematic Universe e
nella serie WandaVision
di Disney+, Olsen vanta una vasta
filmografia.
Durante un’intervista con InStyle sul suo prossimo film romantico Eternity
e sulla sua carriera, Olsen ha rivelato che d’ora in poi reciterà
solo in film che usciranno nelle sale cinematografiche. Questo
perché crede nell’esperienza collettiva che deriva dal vedere un
film insieme al pubblico in sala, che lei paragona alla folla che
assiste agli eventi sportivi. Ecco cosa ha detto:
Penso che sia importante
per le persone riunirsi come comunità, vedere altri esseri umani,
stare insieme in uno spazio. Ecco perché mi piacciono gli sport.
Penso che sia davvero potente per le persone riunirsi per qualcosa
che le entusiasma.
Olsen chiarisce che è favorevole
alla vendita di film indipendenti a una piattaforma di streaming,
ma non crede che i film debbano essere disponibili solo in
streaming senza alcun tipo di distribuzione nelle sale
cinematografiche:
Se un film è realizzato in
modo indipendente e viene venduto solo a una piattaforma di
streaming, allora va bene. Ma non voglio realizzare qualcosa in cui
questo sia l’unico obiettivo.
Questo avviene in un momento in cui
molti studi stanno cercando di trovare il giusto equilibrio tra le
uscite nelle sale e quelle in streaming, oltre a trovare il modo di
attirare il pubblico nei cinema. La nuova condizione di Olsen è una
vittoria per l’esperienza cinematografica, poiché almeno per le
prime settimane dopo l’uscita, i suoi nuovi film saranno
disponibili solo nelle sale.
La maggior parte dei film di Olsen
ha avuto un’ampia distribuzione nelle sale prima di essere
disponibile in streaming. Un’eccezione degna di nota è His Three
Daughters, che è stato proiettato solo in alcune sale per due
settimane prima di essere distribuito in esclusiva su Netflix. La piattaforma di streaming è stata
tradizionalmente riluttante a distribuire i suoi film originali
nelle sale, e questo sembra ora essere un deterrente per Olsen a
lavorare di nuovo con loro.
Continuano le speculazioni sul
fatto che la Olsen riprenderà il ruolo di Wanda/Scarlet Witch e si
unirà al cast di Avengers: Doomsday. I film
della MCU sono sempre stati distribuiti nelle sale
cinematografiche, quindi se tornerà in Doomsday o in uno degli
altri film della serie in uscita, continuerà a rispettare la sua
nuova regola.
Eternity, in cui Joan, interpretata
da Olsen, deve scegliere se trascorrere il resto dell’aldilà con il
suo primo o secondo marito, debutterà in sala in edizione limitata
il 14 novembre, prima dell’uscita nelle sale il 26 novembre.
Elizabeth Olsen ha fortemente incoraggiato il pubblico a
vedere questo film, così come tutti i suoi film futuri, nelle sale
invece di aspettare che siano disponibili in streaming.
È stata confermata la produzione
della quinta stagione di The
Bear, dopo la decisione rivoluzionaria presa da
Carmy Berzatto nel finale della quarta stagione. Sono
passati quasi quattro mesi dall’uscita della
quarta stagione di The Bear, conclusasi con la
decisione dello chef protagonista di lasciare il ristorante,
affidandone la gestione a Sydney, Ritchie e Natalie.
Durante una nuova intervista con
Vogue, a Jeremy Allen White è stato chiesto se la
produzione della prossima stagione fosse già iniziata. Tuttavia, il
protagonista ha confermato che “non abbiamo ancora girato la
prossima stagione”. Ha parlato della produzione della
quarta stagione e dell’impostazione unica che hanno scelto,
dicendo: “È interessante perché abbiamo girato questo finale nel
2024, ma poi abbiamo girato molti episodi della quarta stagione nel
2025, quindi è una cosa strana. Sembra che sia passato molto
tempo”.
Allen ha sottolineato come
“Carmy abbia perso così tanto in quel finale e abbia
confessato così tante cose”. Definendo la scelta di Carmy
come un suo “tentativo di fare ciò che ritiene giusto o
migliore”, la star vincitrice di un Emmy ha aggiunto: “Ma
poi, lavorare a ritroso un anno dopo è stata un’esperienza strana.
Ricordo però che l’ultimo episodio è stato molto divertente, perché
l’abbiamo girato come se fosse uno spettacolo teatrale”.
Da un punto di vista tecnico,
“c’erano tre telecamere e poi Ayo [Edebiri], Ebon
[Moss-Bachrach], io e Abby [Elliott] alla fine”. Secondo il
veterano di Shameless, “ci sono voluti 36 minuti per recitare e
l’abbiamo fatto tipo quattro volte”.
L’attore 34enne ha anche elogiato
lo showrunner di The
Bear per la direzione creativa, sottolineando: “Sono
sempre molto colpito dal modo in cui [il creatore] Chris [Storer]
scrive e sviluppa questa storia, e vorrei poter recitare con tutti
quei ragazzi per sempre, onestamente, se ci fosse un modo per
farlo”. FX ha annunciato il rinnovo il 1° luglio 2025,
solo una settimana dopo l’uscita della quarta stagione.
Al momento non è noto se The Bear – stagione 5 sarà l’ultima puntata della
pluripremiata serie. Sebbene non siano ancora state prese
decisioni sul futuro dello show, potrebbe essere rivelato in un
secondo momento se la prossima stagione concluderà la serie.Al
momento, The Bear stagione 5 non ha una data di
uscita fissata.
James Gunn ha rivelato un importante
aggiornamento sul suo coinvolgimento in Constantine
2. Il primo film, Constantine, è uscito nel 2005 e vedeva
Keanu Reeves nel ruolo del protagonista. Altri
membri del cast includevano Rachel Weisz, Shia LaBeouf e Tilda Swinton. Il sequel è rimasto in un limbo
per diversi anni, ma negli ultimi mesi ci sono stati finalmente
aggiornamenti positivi,
anche da parte dello stesso Reeves, che all’inizio di ottobre
ha rivelato che una nuova bozza della sceneggiatura era stata
completata e che il team aveva intenzione di sottoporla allo
studio.
Durante un’intervista con BobaTalks, Gunn ha ora spiegato di aver discusso di
Constantine 2 con Reeves “di tanto in tanto”. Pur
ritenendo che l’attore e l’intero team siano molto talentuosi, il
co-presidente della DC Studios ha ammesso di non aver ancora letto
la sceneggiatura, nonostante l’importante aggiornamento di Reeves
di alcune settimane fa. “Ne ho discusso di tanto in
tanto. Ne ho discusso con Keanu. Penso che sia un gruppo
fantastico. Mi piacciono molto tutte queste persone, penso che
abbiano talento. Ma non ho ancora letto nessuna
sceneggiatura”, sono le precise parole di Gunn.
Dopo che Gunn ha assunto la
direzione della DC Studios per rilanciare il franchise, è stato
rivelato che Constantine 2 non sarebbe stato
inserito nella continuity principale dell’universo DC con
Superman e
Peacemaker, ma sarebbe stato etichettato
come un progetto DC Elseworlds insieme a Joker e
The
Batman. Prima dei recenti aggiornamenti di Reeves e
Gunn sul film, il processo era stato molto lento, con lunghi
periodi senza alcun sviluppo da parte del team. Considerando che
sia Reeves che Gunn hanno rivelato informazioni sulla sceneggiatura
nello stesso mese, sembra che la pre-produzione sia davvero in
corso ora.
Quando potremo vedere Constantine 2?
Una prima bozza della sceneggiatura
è stata completata nell’autunno del 2024, ma lo sviluppo della
storia è continuato fino al 2025, con Reeves che ha partecipato al
processo insieme al regista Francis Lawrence, ai
produttori e agli sceneggiatori. La storia è stata approvata dalla
DC Studios all’inizio del 2025, il che ha portato alla stesura di
una nuova sceneggiatura. Dopo i recenti commenti di Reeves, non è
chiaro se la sceneggiatura sia stata effettivamente presentata
ufficialmente alla DC Studios. Anche se fosse stata consegnata,
Gunn non l’ha ancora letta, secondo quanto da lui stesso
dichiarato.
È possibile che Gunn e altri
dirigenti della DC vogliano perfezionare ulteriormente la storia e
la sceneggiatura nei prossimi mesi, ma una volta approvata la
sceneggiatura, si potrà davvero dare il via ad altri importanti
elementi di pre-produzione come il casting, la scenografia e la
ricerca delle location. Anche se Gunn non ha ancora letto la
sceneggiatura, il processo di sviluppo di Constantine
2 sembra dunque prendere progressivamente forma e i fan
potrebbero ricevere ulteriori aggiornamenti entusiasmanti nei
prossimi mesi.
Gil Birmingham riprende il ruolo di
Martin Hanson dal primo film, e questa volta è affiancato da
Eastwood, Martin Sensmeir, Jason Clarke, Chaske Spencer e Alan
Ruck. La storia ruota attorno al tracciatore Chip Hanson (Sensmeir)
che indaga su una serie di omicidi nella riserva in cui vive.
Il sequel è stato girato nel 2023,
ma ci sono state poche notizie sulla uscita di Wind River: The
Next Chapter, fino a quando Clarke ha rivelato che il film
“uscirà presto”. Non è stata ancora confermata una data o un
periodo di uscita più specifici.
Durante l’intervista di
ScreenRant a Scott Eastwood per Regretting You, Joe
Deckelmeier ha chiesto all’attore della trama del nuovo film
Wind River. Eastwood ha anticipato che è simile al film
precedente, ma amplia il mondo immaginario creato da Sheridan. Ha
anche sottolineato che il sequel approfondisce ciò che sta
accadendo nelle riserve indigene. Ecco i suoi commenti:
È fantastico. È
emozionante. È sicuramente sulla stessa linea del primo, ma amplia
il mondo. Approfondisce un po’ di più ciò che sta accadendo in
queste riserve.
Il primo film era ambientato nella
riserva indiana di Wind River, nel Wyoming, dove il personaggio di
Renner, un tracciatore, e quello di Olsen, un’agente dell’FBI,
indagano su un omicidio. Wind River ha contribuito a richiamare
maggiore attenzione sulla violenza contro le donne indigene e,
stando ai commenti di Eastwood, il sequel sensibilizzerà il
pubblico su altre importanti questioni relative alle comunità
indigene e alle riserve.
Le differenze tra i film Wind River
a cui Eastwood ha alluso sembrano collegate ai precedenti commenti
di Birmingham, che descrive il sequel come “più un thriller”. Altre
differenze chiave includono il fatto che Sheridan non è coinvolto
nel sequel e che Renner e Olsen non torneranno a interpretare i
loro ruoli. The Next Chapter è diretto da Kari Skogland,
che in precedenza ha lavorato a The
Handmaid’s Tale e
The Falcon and the Winter Soldier.
C’è la continuazione del
personaggio di Birmingham, lo stesso mondo e temi simili. Tuttavia,
i commenti di Eastwood aiutano a sottolineare che il film in uscita
sarà in gran parte una storia a sé stante piuttosto che un
sequel.
Anche se Wind River: The Next
Chapter non è un sequel tradizionale in senso stretto, è
comunque destinato a beneficiare del successo del primo film e di
come si basa su elementi familiari. Dopo gli aggiornamenti di
Clarke e Eastwood, il prossimo aggiornamento potrebbe essere una
finestra di lancio confermata o una data in cui i fan potranno
vedere la nuova storia.
La selezione Grand
Public della Festa del Cinema
di Roma 2025 ha trovato il suo gioiello in Hamnet – Nel
Nome del Figlio, il nuovo film di Chloé
Zhao. Già premio Oscar per Nomadland e reduce dal discreto disastro di
Eternals,
la regista si misura con un’impresa ambiziosa: trasformare in
immagini il mondo interiore e sensoriale del romanzo di
Maggie O’Farrell (2020), fatto di silenzi, di
percezioni e di una natura profondamente viva. Qui emerge subito
uno degli aspetti più affascinanti del film: la sua apertura
naturalistica, che riesce a evocare – per vie visive e ritmo – lo
spirito del cinema di Terrence Malick. Gli alberi, la luce che filtra tra le
fronde, il terreno segnato dal passare del tempo, diventano non
solo ambientazione ma personaggi silenziosi, custodi e riflessi
dello stato d’animo dei protagonisti, testimoni.
Questo sguardo «dalla
natura» parla in modo molto chiaro del film: non è una
ricostruzione storica puntuale, non è una biografia pedissequa,
bensì una messa in scena della sofferenza, della vita familiare,
del sacrificio, del lutto – tutto filtrato attraverso l’esperienza
della trasformazione. Il bosco, in questo senso, appare come luogo
liminale, tra fertilità e morte, tra l’originario e il finito: il
film lo chiarisce sin dalle prime sequenze, rendendo visibile una
spiritualità dell’immanenza.
Amore, matrimonio e
tribolazioni: la quotidianità nobile di una famiglia
La prima parte del film
si sofferma sulla storia d’amore tra William (interpretato da
Paul Mescal) — giovane insegnante di latino,
il nostro Shakespeare — e Agnes (JessieBuckley), “figlia della foresta”, con
un alone mistico e ribelle che la comunità percepisce come
straniante. Zhao dedica tempo all’unione non convenzionale della
coppia, alla maternità, al contesto familiare che si costruisce con
il passare delle stagioni. Il film assimila lo spirito bucolico
della sua protagonista e lo coniuga con un intimismo da casa
colonica, da focolare domestico che risiede nel cuore della
natura.
Questo lavoro di messa
in scena non è privo di tensioni: la seconda parte del film avrebbe
forse beneficiato di maggior tempo per approfondire il personaggio
che dà il titolo al film e effettivo slancio alla vicenda — il
piccolo Hamnet — prima di raccontarne la morte, sospesa tra
misticismo e mistero. In questo modo lo spettatore sarebbe potuto
forse entrare più profondamente nello squarcio che la perdita
avrebbe prodotto. Il rischio è che, in alcuni momenti, la storia
sembri procedere con una simmetria “premeditata” verso la tragedia,
piuttosto che emergere dalla tensione della quotidianità. Ma è
proprio in quest’ottica che il film reclama il suo statuto: non
tanto una cronaca quanto un rito visivo e emotivo. Anche perché
interviene poi Buckley, con la sua intensità, a trascinare
lo sguardo e le viscere di chi guarda, dentro la tragedia.
Jessie Buckley e Paul Mescal in Hamnet
Il lutto, l’assenza
e la creazione: verso un epilogo carico di catarsi
È nella terza parte che
Hamnet si apre con maggiore forza: la scena della perdita, il
rituale del lutto, la trasformazione del dolore in creazione (e qui
il legame alla tragedia di Hamlet appare chiaro) spingono lo
spettatore in una dimensione di commozione autentica. Il tessuto
emotivo del film riesce a distruggere e scavalcare il dolore, così
come fa quell’ultimo sguardo dolente e finalmente libero di Agnes
in una delle sequenze più toccanti dell’anno cinematografico: una
madre che perde il figlio, un padre che cerca di dare senso al
dolore attraverso l’arte, una coppia che si ritrova.
Non è un finale
consolatorio ma catartico: ciò che era privato diventa universale.
Jessie Buckley brilla in questo frangente come
protagonista assoluta: la sua Agnes è carne, spirito, natura e
ferita insieme, un elemento diverso e separato da qualsiasi altro,
in scena (anche grazie alla palette cromatica che la regista le
riserva). È proprio con queste sequenze cariche di intensità che
Hamnet riesce a superare gran parte dei suoi limiti, conquistando
una legittimità emotiva che veste con nobiltà le proprie immagini e
le proprie ambizioni.
Qualche riserva, ma
con la certezza di un’esperienza da vivere
Come ogni film
“ambizioso”, Hamnet non è immune da difetti. Uno
dei punti che più emergono è la percezione di un andamento non
perfettamente equilibrato: la lentezza può in certi momenti
appesantire e la costruzione simbolica – specie nel secondo atto –
può apparire un po’ sovrastrutturata. Inoltre, alcuni spettatori
potrebbero avvertire una certa distanza nella focalizzazione
narrativa: la parte iniziale dedica molto tempo alla costruzione
del rapporto amoroso e familiare, e si dilunga a scapito del cuore
del racconto che è la perdita stessa.
Se dunque da un lato si
può rimproverare a Zhao di aver optato per una forma di ‘prestige
drama’ che talvolta si avverte, dall’altro è proprio l’uso di tale
forma — con tutti i suoi rischi — che le consente di raggiungere
momenti di assoluta potenza visiva e emotiva. È questa tensione tra
forma e sentimento che rende Hamnet un film
“imperfetto” ma sinceramente ambizioso.
Un film da
sentire
Hamnet richiede
disponibilità, lentezza, e cuore: non è pensato per
l’intrattenimento puro, ma per la riflessione e la
partecipazione emotiva. Se amate il cinema che “respira”,
che vive di silenzi e paesaggi interiori, che mette al centro i
sentimenti più fondamentali — amore, perdita, creazione — allora
sarete ripagati. La regia di Chloé Zhao, il cast
capitanato da Jessie Buckley e Paul
Mescal, e l’atmosfera bucolica e sospesa lo elevano oltre
la semplice trasposizione letteraria: il film diventa
un’esperienza sensoriale, un invito a toccare il fondo del dolore
per risalire, insieme, alla meraviglia della vita e
dell’arte.
“Don’t ever stop me if I’m
fucking up. If I am a dickhead let me know please.” (“Non fermarmi mai se sto sbagliando. Se mi comporto da
stronzo, per favore, dimmelo.”)
Con questa scritta, diretta e
vulnerabile, si apre Mad Bills to Pay (or Destiny, dile que no soy malo),
l’esordio alla regia di Joel Alfonso Vargas, che
firma una delle opere più autentiche e vibranti presentate nella
sezione Progressive Cinema della Festa del Cinema di Roma.
Ambientato nel Bronx, il film racconta la crescita improvvisa e
dolorosa di un ragazzo che deve imparare a diventare adulto e
imparare dai propri errori prima del tempo.
Mad Bills to Pay: una storia di
crescita tra spiaggia e cemento
Rico (Juan Collardo), diciannovenne
di origini ispaniche, vive con la madre e la sorella Sally (Nathaly
Navarro). Trascorre le giornate vendendo “Nutties” – drink
artigianali e illegali, ottenuti mischiando alcol e succhi – sulla
spiaggia libera di Orchard Beach. Tutto cambia quando scopre che
Destiny (Destiny Checo), una ragazza di sedici anni con cui ha
avuto una relazione occasionale, è incinta.
Cortesia della Festa del Cinema di Roma
Rico accoglie la notizia con una
sorprendente serenità: decide di prendersi cura di Destiny, la
porta a vivere in casa nonostante le resistenze della madre e della
sorella, e si convince che il bambino sarà un maschio. “Voglio
essere il padre che non ho avuto”, afferma con disarmante
semplicità. È questo il cuore del film: il desiderio di riscatto di
un giovane che tenta di costruire, in mezzo al caos, una nuova idea
di famiglia.
Crescere prima del
tempo
Vargas racconta una storia di
formazione maschile, coming of age, con una sensibilità
inconsueta, lontana da qualsiasi retorica machista o da cliché del
cinema urbano americano. Il Bronx non è rappresentato come un
inferno sociale, ma come un ecosistema complesso e pieno di
contraddizioni: le case popolari, i murales, la musica reggaeton
che si mescola alle urla dei bambini e al rumore dei treni
sopraelevati.
Rico si muove in questo ambiente
con un misto di ingenuità e determinazione, oscillando tra i sogni
e la necessità. Vuole smettere di bere, trovare un lavoro, e
diventare un punto fermo per Destiny, che nel frattempo sogna di
studiare in futuro economia al college. Il loro conflitto – lui che
immagina un futuro familiare ma ha difficoltà a mettersi sulla
buona strada, lei che teme di rinunciare al proprio – è il motore
emotivo del film. Il sottotitolo, Destiny, dile que no soy
malo (“Destiny, digli che non sono cattivo”), diventa una
supplica universale: il bisogno di essere visti come migliori di
ciò che si è stati.
Lo sguardo di Vargas in Mad
Bills to Pay: tra realismo e poesia urbana
La regia di Alfonso Vargas colpisce
per il suo equilibrio tra spontaneità e consapevolezza visiva.
Nativo del Bronx, la sua visione scenica permette allo spettatore
di passeggiare nelle vie che hanno segnato la sua giovinezza.
L’inquadratura è spesso ampia, quasi grandangolare, includendo nei
margini lo spazio urbano che ingloba i personaggi. Rico e Destiny
appaiono piccoli tra i palazzi e le spiagge, frammenti di un mondo
che li osserva ma non li ascolta. Questa scelta visiva traduce
perfettamente il tema del film: la difficoltà di affermare la
propria voce in un contesto che tende a soffocarla.
Cortesia della Festa del Cinema di Roma
Vargas adotta una fotografia calda
e naturale, prediligendo la luce del tardo pomeriggio, come se la
storia si svolgesse costantemente in una zona di transizione – tra
infanzia e maturità, tra giorno e notte, tra illusione e
responsabilità. Il montaggio fluido accompagna il ritmo della
crescita di Rico, alternando scene di quotidianità a momenti di
pura introspezione.
Un debutto che
promette
Mad Bills to Pay (or Destiny,
dile que no soy malo) è un racconto di formazione intimo e
universale, che cattura con sincerità la fragilità dei primi passi
verso l’età adulta. Alfonso Vargas firma un esordio che sorprende
per maturità narrativa e per la capacità di fondere realismo e
tenerezza.
Rico non è un eroe, ma un ragazzo
che tenta di non “sbagliare più”, come nella frase iniziale del
film: una confessione, ma anche una promessa.
Dopo mesi di preoccupazioni che
l’ultimo capitolo della saga potesse essere cancellato del tutto,
Fast
and Furious 11 sembra finalmente essere sulla buona
strada. La serie principale di film dovrebbe concludersi dopo
l’undicesimo capitolo, che riprenderà dal finale sospeso di
Fast X, in cui Dom e Little B sono rimasti
intrappolati in una delle trappole di Dante, mentre Gisele è
tornata dalla morte per salvare Letty e Cipher, e Hobbs,
interpretato da
Dwayne Johnson, è diventato il nuovo obiettivo di
Dante.
Nonostante il piano in due parti,
però, Fast and Furious 11 ha avuto numerosi
problemi di sviluppo negli ultimi due anni, inizialmente sospeso a
causa degli scioperi della Writers Guild of America e della
SAG-AFTRA, prima di subire un altro ritardo a causa della
riscrittura della sceneggiatura. Più recentemente, sono circolate
voci secondo cui l’ultimo capitolo previsto sarebbe stato
completamente cancellato, poiché il modesto successo al botteghino
di Fast X ha spinto la Universal a cercare un modo
per produrre il prossimo film in modo più economico dopo il budget
di produzione di 378,8 milioni di dollari del decimo film.
Ora, in un nuovo post di Vin Diesel sulla sua pagina Instagram, lo si vede
visitare la sede della Universal Pictures con il Chief Marketing
Officer dello studio, Michael Moses. Il
produttore/protagonista indossa una maglietta con la scritta
“Fast X Part 2 Los Angeles Production 2025” e lo si vede
non solo passeggiare per il backlot e uno dei suoi teatri con
Moses, ma anche il dirigente della Universal affermare che stavano
“pianificando tutto” e “risolvendo la questione”,
indicando che i ritardi nella produzione del film sono stati
appianati.
Sebbene le dichiarazioni di Moses
siano sicuramente motivo di grande sollievo per i fan della serie,
non significano necessariamente che Fast and Furious
11 abbia ottenuto il via libera ufficiale dallo studio.
Solo poche settimane prima della stesura di questo articolo era
stata diffusa la notizia che la Universal voleva ridurre il budget
necessario per la sceneggiatura definitiva del film di ben 50
milioni di dollari, rendendo necessario tagliare alcuni personaggi
e mantenere la produzione nazionale anziché internazionale.
La posizione di rilievo di Moses
all’interno dello studio crea una sorta di incoraggiamento sul
fatto che Diesel e la Universal abbiano finalmente trovato un
accordo per Fast and Furious 11. Dato che lo
studio era già nelle prime fasi di sviluppo di altri titoli
spin-off, tra cui Hobbs & Reyes, il progetto con protagoniste
femminili e una storia autonoma ancora sconosciuta, è possibile che
alcune delle idee narrative per l’undicesimo film siano state
trasferite agli altri film. Con l’obiettivo precedente di un’uscita
nell’aprile 2027, però, l’ultimo Fast & Furious dovrà correre
presto in produzione o rischiare un altro ritardo.
Il finale di È Colpa Nostra?, o Culpa Nuestra di
Prime Video, è così affrettato che
sembra che i realizzatori abbiano voluto racchiudere il resto della
vita di Noah e Nick in questo unico film per soddisfare i fan. Come
avevamo previsto, Nick si ritrova impegnato a Londra mentre Noah
finisce gli studi e volta pagina dopo un amore che non perdona. Lei
rimpiangerà per sempre quella notte con Michael, ma Nick non le
permetterà mai di dimenticarlo. Nonostante abbia lasciato un
messaggio in cui dice che sarà sempre la sua luce nell’oscurità,
Nick e Noah sono ben lontani dall’essere insieme all’inizio di È
Colpa Nostra?.
Nick ora sta con Sofia, che ha
intenzione di trasferirsi a Londra, mentre Noah incontra un bel
ragazzo sul volo per Ibiza (dove Lion e Jenna si sposano) quattro
anni dopo il finale di È Colpa Nostra?. Noah non è ansiosa
di vedere Nick, ma ovviamente lui è il migliore amico dello sposo,
quindi non c’è modo di evitarsi. Questo porterà a un amore
ritrovato o finiranno per ferirsi di nuovo a vicenda? Scopriamolo
nel finale di È Colpa Nostra?.
Cosa succede al
matrimonio?
Il film inizia con la riunione di
Nick e Noah al matrimonio di Jenna e Lion. Entrambi sono infelici,
ma i loro migliori amici sono desiderosi di tenerli vicini perché
sanno cosa è meglio per loro. Noah non vuole fare da damigella
d’onore, ma non può nemmeno tirarsi indietro, quindi, nonostante lo
stress e il desiderio di stare lontani, finiscono per andare a
letto insieme la notte del matrimonio. Quando Nick si sveglia,
però, è una persona completamente diversa. È notte fonda e dice a
Noah che in realtà non è interessato a tornare insieme. Non l’ha
perdonata per quello che ha fatto con Michael (anche se è stato lui
a baciare Sofia per primo). Così Noah si dedica a lavori
occasionali in attesa di trovare quello giusto, mentre Nick si
impegna a fare lo stronzo nell’ufficio di Londra (scherzo).
Chi è Simon?
È Colpa Nostra? – Cortesia Prime Video
L’azienda non sta andando molto
bene e qualunque cosa Nick stia cercando di fare non funziona. La
gente protesta contro l’azienda e qualcuno cerca persino di
uccidere William, il padre di Nick (e il patrigno di Noah, oops).
Ma Nick è determinato a fare le cose in modo diverso. D’altra
parte, Noah trova finalmente un lavoro interessante in un’azienda
tecnologica guidata nientemeno che dal pilota Simon. Simon non ha
esitato a chiedere a Noah di uscire con lui a Ibiza quando il loro
volo è atterrato. Ma lei allora ha detto di no. Tuttavia, ora che
lavorano insieme e lei deve chiaramente superare la storia con
Nick, decide di dare una possibilità a questo ragazzo, ma con calma
e senza fretta. Allo stesso tempo, per salvare la faccia
dell’azienda, Nick dice a Sofia che dovrebbero annunciare di avere
una relazione “seria”. Ma poi Nick finisce per rilevare l’azienda
di Simon (un’altra strana iniziativa per aiutare a ripulire la loro
immagine?) e quando vede Noah lì, perde un po’ la testa. Non solo è
apertamente detestabile nei confronti di Simon, ma proibisce
persino le relazioni sentimentali in ufficio, sapendo che Simon e
Noah stanno insieme. Ma questo non fa alcuna differenza perché
Simon afferma di essere così innamorato di Noah che non gli importa
della sua azienda (aspetta, cosa?).
Cosa riavvicina Noah e
Nick?
È Colpa Nostra? – Cortesia Prime Video
Ci sono così tante cose casuali che
accadono in questo film che mi sembra di parlare di cose diverse.
Ora, Maggie, la sorella di Nick, dovrebbe andare a trovarlo perché
ha bisogno di passare più tempo con suo padre, ma sia lei che Will
trovano molto difficile farlo. Invece, lei passa la maggior parte
del tempo con Noah, che vomita la torta all’agave che lei mangia.
Comunque, Noah è il migliore con Maggie, e l’ostinazione di Nick
non gli permette di perdonare sua madre o suo padre per il loro
passato, il che significa che non ha modo di aiutare nemmeno
Maggie. Inoltre, veniamo improvvisamente colpiti dalla notizia che
la madre di Nick sta morendo di leucemia, quindi la custodia di
Maggie ora spetta a Will (eh?). Nick dice a Noah che non sa come
fare senza di lei, che è un’abitudine a cui continua a tornare.
Finiscono per andare a letto insieme (di nuovo) perché lui non
vuole stare da solo. Ma subito dopo Noah se ne va. Lei però scopre
con stupore di essere incinta. A quanto pare, è di Nick perché
potrebbe essere successo al matrimonio (non capisco la cronologia
di questo film).
A una festa con Sofia e Simon, Nick
bacia di nuovo Noah, dicendole che non può lasciarla andare. Lei lo
ferma e ha bisogno di riposare, quindi lui la porta a casa,
lasciando Sofia infastidita e Simon troppo ubriaco per
preoccuparsene. Ora Noah è visibilmente incinta, ma in qualche modo
nessuno se ne accorge. Comunque, lei dice a Nick che lui sarà
felice sposando Sofia, e che lei sarà un’ottima madre per i suoi
figli. Lui le dice che lei sarebbe meglio, ma lei risponde che come
può essere la madre dei suoi figli se lui non riesce a perdonarla
(ragazza? Sei già incinta.
Alla fine, è al funerale della
madre di Nick che Noah insegna a Maggie che dovrà accettare Will
come suo padre perché lei ha fatto lo stesso e gli dà persino un
abbraccio davanti a tutti. Maggie la segue. Parla anche di come,
quando succedono cose del genere, di solito non è “colpa” di una
sola persona. D’altra parte, c’è ancora un altro grattacapo da
affrontare. Michael viene licenziato dall’ospedale dove lavora
perché Nick ha detto loro che è andato a letto con una studentessa
mentre era consulente. Ma quando Noah incontra Michael, lui le dice
di stare lontana da lui perché gli ha rovinato la vita. Lei va da
Sofia per chiedere aiuto, e Sofia muove alcune leve, ma alla fine
Michael vuole ancora vendicarsi e sa che Noah è incinta perché ha
messo le mani sulla sua cartella clinica.
È Sofia a dire a Nick che lui non
sa come lasciar andare il risentimento. Gli ricorda che tutti
quelli che lo circondano possono perdonarlo, tranne lui. Gli fa
anche capire che Noah è l’unica persona che è davvero lì per lui, e
che lui è riuscito ad allontanare anche lei. Sofia rimane sola, ma
c’è ancora speranza per lei, e non c’è rancore tra lei e Nick.
Chi è il grande
cattivo?
È Colpa Nostra? – Cortesia Prime Video
Il grande colpo di scena in È Colpa
Nostra? non ha nulla a che vedere con i protagonisti. Si
tratta invece del fatto che Michael è ancora in contatto con Briar,
che ha bisogno dell’aiuto di un medico, ma invece viene curata da
uno psicopatico squilibrato. Ora Michael sta già lavorando su
Briar, ma il suo piano entra in azione in ritardo perché Nick, che
ritrova Noah, il quale ha deciso di andarsene per sempre, viene
colpito dallo stesso uomo che ha cercato di uccidere suo padre
all’inizio del film. Noah e Nick stavano finalmente per tornare
insieme, e lui pensava che il bambino fosse di Simon, ma gli andava
comunque bene (wow, quell’uomo è cresciuto dopo quella
conversazione). Ma ovviamente era felicissimo di sapere che era suo
figlio. Nick si risveglia dal coma dopo la nascita del loro
bambino, e sembra che Nick e Noah stiano finalmente vivendo il loro
lieto fine, ma non è così. Briar si presenta, prende il bambino e
sostiene che dovrebbe tenerlo perché ha perso un bambino a causa di
Nick: occhio per occhio, bambino per bambino, capite? Ne segue una
lotta, e Noah combatte Michael come una vera dura e alla fine
prende a pugni Briar in faccia dopo averle strappato il bambino.
Mamma Noah è piuttosto tosta, eh? Farebbe qualsiasi cosa per i suoi
due ragazzi.
Nel finale di È Colpa
Nostra?, Nick e Noah si sposano e partono verso il paradiso
nella loro auto nuova di zecca, per la quale Noah dovrà pagare il
mutuo per il resto della sua vita (voglio dire, è sposata con Nick,
quindi no). Il film ha un lieto fine e i fratellastri finiscono per
diventare marito e moglie, anche con l’approvazione dei loro
genitori (oops).
L’universo DC di James Gunn è appena agli inizi, ma il pubblico
non dovrebbe aspettarsi di vedere un certo famoso cattivo nel
prossimo futuro. Durante una nuova intervista con New Rockstars, a Gunn è infatti stato chiesto se
Darkseid fosse stato preso in considerazione come
il grande cattivo della serie DCU. Tuttavia, il co-CEO della DC Studios ha
commentato: “Usare Darkseid come grande cattivo ora non è
necessariamente la cosa giusta da fare… perché Zack l’ha fatto in
modo così fantastico a modo suo e a causa di Thanos e della Marvel”.
Come noto, Darkseid compare –
seppur brevemente – in Zack Snyder’s Justice
League del 2021 e dunque per Gunn sarebbe troppo presto
per prendere in considerazione di introdurlo nel DCU. Allo stesso
tempo, avvalersi di un personaggio di quel tipo rischierebbe di
dare una sensazione di già visto, generando ovvi paragoni con il
Thanos del MCU. È dunque probabile che, quando un primo grande
villain del DCU si paleserà, questo rappresenterà una decisa novità
rispetto a ciò che attualmente ci si può aspettare.
Tutto quello che sappiamo su Man of
Tomorrow
Le riprese principali di
Man of Tomorrow dovrebbero iniziare nella primavera
del 2026, con una data di uscita fissata per il 9 luglio
2027. David Corenswet riprenderà il ruolo nel sequel
al fianco di Lex Luthor, interpretato da
Nicholas Hoult, poiché i due si alleeranno contro questo nuovo
nemico, come ha dichiarato il regista.
James
Gunn ha infatti affermato: “È una storia in cui Lex Luthor
e Superman devono collaborare in
una certa misura contro una minaccia molto, molto più grande. È più
complicato di così, ma questa è una parte importante. È tanto un
film su Lex quanto un film su Superman. Mi è piaciuto molto
lavorare con Nicholas Hoult. Purtroppo mi identifico con il
personaggio di Lex. Volevo davvero creare qualcosa di straordinario
con loro due. Adoro la sceneggiatura”.
Gunn annunciato
Man of Tomorrow sui
social media il 3 settembre. Nel suo annuncio, lo sceneggiatore
e regista ha incluso un’immagine tratta dal fumetto in cui Superman
è in piedi accanto a Lex Luthor nella sua Warsuit. Nei fumetti DC,
Lex crea la tuta per eguagliare la forza e le abilità di Superman.
Mentre l’immagine teaser suggeriva che Lex e Superman sarebbero
stati di nuovo in contrasto, ora sembra che Lex userà la sua
Warsuit per poter essere allo stesso livello di Superman per
qualsiasi grande minaccia si presenti loro. Al momento, è
confermata la presenza della Lois Lane di Rachel Brosnahan.
Il film è stato in precedenza
descritto come un secondo capitolo della “Saga di Superman”. Ad
oggi, Gunn ha affermato unicamente che “Superman conduce
direttamente a Peacemaker; va notato che questo è per adulti, non
per bambini, ma Superman conduce a questo show e poi abbiamo
l’ambientazione di tutto il resto della DCU nella seconda stagione
di Peacemaker, è incredibilmente importante”.
Uscito nel 2001 e diretto da Gary Fleder, Don’t Say a Word (Non dire una parola) è un thriller psicologico che
intreccia tensione familiare, trauma e avidità in un racconto che
si muove tra la mente e la colpa.
Interpretato da Michael
Douglas, Brittany Murphy, Sean Bean e
Famke Janssen,
il film segue la storia del dottor Nathan Conrad, uno psichiatra newyorkese
costretto a decifrare la mente di una giovane paziente
traumatizzata per salvare la vita della propria figlia rapita. Il
finale, tanto teso quanto rivelatore, svela il vero significato del
titolo e chiude la storia su un doppio piano: quello della
giustizia e quello della redenzione emotiva.
Il segreto di Elisabeth e la chiave nascosta
Gran parte della tensione del film ruota attorno al personaggio di
Elisabeth
Burrows (Brittany Murphy), una ragazza ricoverata in una
clinica psichiatrica che da anni non parla con nessuno. Nathan,
interpretato da Michael Douglas, viene incaricato di occuparsi del
suo caso, ma presto scopre che dietro il mutismo della giovane si
nasconde un segreto che ha a che fare con una rapina di diamanti
avvenuta dieci anni prima.
I
rapitori della figlia di Nathan, guidati da Patrick Koster (Sean Bean), credono
che Elisabeth sia l’unica a sapere dove è nascosto il diamante
rubato. Il titolo Don’t Say a
Word (“Non dire una parola”) è allo stesso tempo un comando e
un trauma: Elisabeth ha
mantenuto il silenzio per sopravvivere, dopo aver
assistito all’omicidio del padre, uno dei ladri coinvolti nel
colpo.
La rivelazione: il diamante e il trauma infantile
Nella parte finale del film, Nathan riesce a guadagnare la fiducia
di Elisabeth, scoprendo che la chiave del mistero è
letteralmente una
chiave – un oggetto che la ragazza conserva come simbolo
di protezione e che conduce al luogo dove il diamante è
nascosto.
Questo oggetto rappresenta l’unico legame tra la sua infanzia
traumatizzata e il presente.
La svolta arriva quando Elisabeth ricorda il numero di una tomba,
il luogo dove il padre aveva nascosto il diamante prima di essere
ucciso da Koster. Nathan si reca al cimitero, recupera la pietra
preziosa e la usa come merce di scambio per liberare la figlia,
Jessie, tenuta prigioniera in casa sotto gli occhi della madre,
immobilizzata a letto.
Il confronto finale e la caduta di Koster
Il climax del film si consuma nel confronto tra Nathan e Koster. Lo
psichiatra riesce a consegnargli il diamante, ma in un colpo di
scena tipico del thriller anni 2000, Elisabeth stessa decide di
intervenire. Determinata a vendicarsi per la morte del padre, la
ragazza inganna Koster portandolo con sé in un terreno paludoso,
dove lo spinge nel fango e lo lascia annegare.
La scena, girata con toni cupi e quasi onirici, è la
vera chiusura psicologica
del film: Elisabeth rompe il suo silenzio, non più come
vittima ma come soggetto attivo della propria vendetta. “Don’t say
a word” – la frase che l’ha condannata al silenzio – diventa
paradossalmente la chiave della sua liberazione.
Il significato del finale: la parola come cura
Nel finale, Nathan riesce a salvare la figlia e a riportare
l’equilibrio nella sua famiglia.
Ma la vera guarigione avviene dentro la mente di Elisabeth, che
finalmente parla. Le sue ultime parole, rivolte a Nathan,
suggellano il tema centrale del film: la parola come strumento di salvezza. Dopo
anni di silenzio, la ragazza può finalmente nominare il proprio
dolore, trasformandolo in ricordo invece che in prigione.
Gary Fleder costruisce qui un epilogo dal tono catartico.
L’inquadratura finale mostra Elisabeth seduta in una stanza
d’ospedale, illuminata da una luce morbida. Il suo volto è sereno,
privo della tensione che lo aveva attraversato per tutto il film.
La parola non è più pericolosa: è diventata terapia.
Giustizia e trauma: due piani paralleli
Il film non si limita a risolvere la trama poliziesca. Il finale
infatti mette in parallelo due percorsi di guarigione: quello
fisico e familiare di Nathan, che recupera la figlia e la serenità
domestica, e quello psicologico di Elisabeth, che riesce a
riappropriarsi della propria identità.
La chiusura del film suggerisce che il trauma, se condiviso e
ascoltato, può trovare una via d’uscita. Nathan, come terapeuta,
non solo decifra il codice di un caso criminale, ma diventa
simbolicamente colui che
restituisce la parola a chi non la possedeva più.
Il messaggio finale: il silenzio non è protezione
Il titolo Don’t Say a
Word assume quindi una doppia valenza: da un lato è la
minaccia imposta dal carnefice, dall’altro il trauma interiorizzato
dalla vittima. Alla fine, rompere il silenzio significa rompere il
potere di chi ha causato la violenza. Il film, pur restando un
thriller di intrattenimento, si muove su un terreno più profondo:
il linguaggio come
salvezza e verità.
L’ultimo sguardo di Elisabeth, rivolto verso la finestra, è
l’immagine della libertà: una giovane donna che ha ritrovato la
voce, e con essa la possibilità di vivere. Nathan, intanto,
osserva la figlia dormire al sicuro — un simbolo di equilibrio
ritrovato, ma anche di un male che, se non affrontato, può sempre
riaffiorare. Così Don’t Say a
Word si chiude non con la vendetta, ma con la
riconquista della
parola: la più semplice, e insieme la più potente, forma
di giustizia.
La nuova versione di Robin Hood –
L’origine della leggenda del regista Otto Bathurst, con
Taron Egerton nel ruolo dell’affascinante ladro
dal cuore d’oro, si conclude con un colpo di scena piuttosto
importante riguardante Will Scarlet (Jamie
Dornan) e lo sceriffo di Nottingham. Dopo che Robin e
Little John (Jamie
Foxx) riescono a uccidere lo sceriffo originale
(Ben
Mendelsohn), impiccandolo in una chiesa, un nuovo
sceriffo assume il suo ruolo. Quello sceriffo non è altro che Will,
uno dei fedeli Merry Men di Robin nelle storie originali, che nel
film di Bathurst diventa suo nemico mortale.
Quando incontriamo Will Scarlet per
la prima volta nel film, entra in scena da sinistra e si avvicina
per baciare Lady Marian (Eve Hewson), che è stata ingannata dallo
sceriffo facendogli credere che Robin fosse morto durante le
Crociate. Robin è naturalmente devastato alla vista di questa scena
e, su richiesta di John, trascorre gran parte del film tenendo
Marian a distanza, senza rivelarle la sua vita segreta come “il
Cappuccio”. Nella battaglia finale del film, tuttavia, Robin e
Marian si riconciliano e si scambiano un bacio appassionato… a cui
Will Scarlet assiste sfortunatamente.
Will, furioso, ferito e sfigurato
durante il combattimento, si rifiuta di fuggire nei boschi con
Robin e gli altri Merry Men. Robin e Marian lo lasciano a
malincuore e se ne vanno con le ricchezze che hanno rubato allo
sceriffo di Nottingham. Tuttavia, proprio quando sembra che tutto
stia per concludersi in modo soddisfacente, Friar Tuck (Tim
Minchin) ritorna in voce fuori campo per rivelare che questo finale
perfetto non è proprio come sembra. Il film passa a Will che ha un
incontro clandestino con il Cardinale (F. Murray Abraham), che
aveva cospirato con lo sceriffo di Nottingham per sabotare lo
sforzo bellico. Con lo sceriffo originale fuori dai giochi, il
Cardinale ha bisogno di un nuovo uomo a Nottingham dalla sua parte,
e Will odia Robin abbastanza da accettare il lavoro.
Si tratta di un bel cambiamento per
Will, che per tutto il film ha fatto da portavoce del popolo,
cercando di guidare i minatori di Nottingham in una pacifica
opposizione alla tirannia dello sceriffo. Si potrebbe obiettare che
è piuttosto inverosimile che Will rinneghi tutte le sue convinzioni
e diventi un cattivo sfregiato solo perché ha visto qualcuno
baciare la sua ragazza.
Tuttavia, si potrebbe anche
sostenere che Robin stesso abbia creato questo mostro convincendo
Will ad abbandonare i suoi piani di ritiro pacifico a favore di un
attacco totale agli uomini dello sceriffo.
Il colpo di scena di Robin Hood –
L’origine della leggenda è ovviamente pensato per
preparare il terreno a un sequel che vedrà Robin contro Will
Scarlet… anche se, dato che Robin Hood dovrebbe incassare solo 15
milioni di dollari nel weekend del Ringraziamento, quel sequel
probabilmente non ci sarà. È davvero un peccato; Dornan non aveva
molto da fare come terzo vertice di un triangolo amoroso, ma
interpretare Will Scarlet non solo come un cattivo, ma come il più
grande nemico di Robin Hood, avrebbe dato una svolta molto
interessante a una storia familiare.
A seguito di precedenti fusioni e
ristrutturazioni, Warner Bros. Discovery è ora
ufficialmente in vendita. Negli ultimi mesi sono apparse diverse
notizie relative all’acquisizione del colosso hollywoodiano, tra
cui
una riguardante un’offerta rifiutata da
Paramount.
“Continuiamo a compiere passi
importanti per posizionare la nostra attività in modo da avere
successo nell’odierno panorama mediatico in continua evoluzione,
portando avanti le nostre iniziative strategiche, riportando i
nostri studi alla leadership del settore e espandendo HBO Max a
livello globale. Abbiamo compiuto il passo coraggioso di prepararci
a separare la Società in due aziende mediatiche distinte e leader,
Warner Bros. e Discovery Global, perché eravamo fermamente convinti
che questa fosse la strada migliore da seguire”.
David Zaslav ha
sottolineato che “non sorprende che il valore significativo del
portafoglio [della Warner Bros.] stia ricevendo un crescente
riconoscimento da parte degli altri operatori del mercato”. Il
capo dello studio ha confermato che “dopo aver ricevuto
manifestazioni di interesse da più parti, [essi] hanno avviato una
revisione completa delle alternative strategiche per identificare
la strada migliore da seguire per sbloccare il pieno valore delle
[loro] attività”.
Samuel A. Di Piazza
Jr., che ricopre la carica di presidente del consiglio di
amministrazione di WBD, ha ulteriormente spiegato: “La nostra
decisione di avviare questa revisione sottolinea l’impegno del
consiglio di amministrazione a considerare tutte le opportunità per
determinare il miglior valore per i nostri azionisti”. Ciò
avviene solo pochi mesi dopo l’annuncio, il 9 giugno 2025, della
scissione di Warner Bros. e Discovery in due entità separate.
Di Piazza ha commentato come
continuino a sostenere questa decisione, affermando:
“Continuiamo a credere che la nostra separazione pianificata
per creare due società mediatiche distinte e leader creerà un
valore interessante. Detto questo, abbiamo deciso che intraprendere
queste azioni per ampliare il nostro raggio d’azione è nel miglior
interesse degli azionisti”. La separazione dovrebbe comunque
essere completata entro aprile 2026.
Al momento della stesura di questo
articolo, per quanto riguarda il processo delle alternative
strategiche dell’azienda, non esiste una scadenza fissata o un
“calendario definitivo” per la nuova iniziativa. Warner
Bros. inoltre “non intende fare ulteriori annunci in merito
alla revisione delle alternative strategiche”, ma lo farà solo
quando “il Consiglio approverà una transazione specifica o
determinerà in altro modo che un’ulteriore divulgazione è
appropriata o necessaria”.
Secondo un rapporto di Puck del 19
settembre 2025,
Netflix starebbe valutando la possibilità di presentare
un’offerta per Warner Bros. Discovery.
Tuttavia, Greg Peters, CEO di Netflix, ha fornito un commento molto vago il 9
ottobre riguardo alla possibilità che il popolare servizio di
streaming stia effettivamente valutando tale opzione. Se uno
qualsiasi degli altri grandi colossi di Hollywood dovesse acquisire
lo studio e le attività di Zaslav, potrebbe inaugurarsi una nuova
importante era di proprietà intellettuali riunite sotto lo stesso
tetto. Dopo che l’interesse per la vendita è diventato ufficiale,
il futuro di Warner Bros. Discovery sarà una delle più grandi
storie aziendali nel mondo dell’intrattenimento.
Diretto da Valérie
Donzelli e interpretato da Virginie Efira e Melvil Poupaud, Il coraggio di Blanche (L’amour et les forêts, titolo internazionale
Just the Two of Us) è uno
dei film francesi più intensi e discussi degli ultimi anni,
presentato in anteprima al Festival di Cannes
2023 nella sezione Cannes Première. Tratto dal romanzo omonimo di
Éric Reinhardt, il
film affronta il tema della violenza psicologica e del controllo in
una relazione di coppia con una delicatezza e una lucidità rare nel
cinema contemporaneo.
Il
finale, aperto e sospeso, rappresenta il punto culminante del
percorso interiore della protagonista: non una vittoria, ma una
presa di coscienza. Un epilogo che trasforma Il coraggio di Blanche in un racconto sulla
libertà femminile, sulla ricostruzione di sé e sull’impossibilità
di dimenticare del tutto chi ci ha fatto del male.
Un amore che diventa prigione
All’inizio del film, Blanche (Virginie Efira) incontra
Grégoire
Lamoureux (Melvil Poupaud), un uomo carismatico e
apparentemente premuroso. Innamorata, lo sposa e si trasferisce in
un’altra città, lontano da tutto ciò che conosceva. Ma la passione
iniziale si trasforma presto in un meccanismo di
controllo psicologico e
isolamento: Grégoire diventa geloso, possessivo,
invadente.
La regista mette in scena questa progressiva prigionia con uno
stile sobrio e claustrofobico: le inquadrature si stringono, gli
spazi si chiudono, la luce scompare. Nel corso del film, lo
spettatore assiste a una lenta discesa nell’abuso, resa ancora più
inquietante dall’apparente normalità del quotidiano. Il finale
arriva come un atto di ribellione, ma anche come un momento di
dolorosa consapevolezza.
La fuga e il confronto finale
Negli ultimi minuti, Blanche riesce a fuggire dalla relazione. Con
le sue due figlie si trasferisce in un piccolo appartamento e tenta
di ricostruire la propria vita. Ma il passato non si cancella
facilmente: Grégoire
continua a perseguitarla, inviando messaggi, comparendo
all’improvviso, manipolando ogni tentativo di autonomia.
Quando i due si ritrovano faccia a faccia, il film raggiunge il suo
momento più teso. Non c’è violenza esplicita, ma un silenzio pieno
di significato. Blanche lo guarda con calma, quasi con pietà. È un
gesto semplice, ma rivoluzionario: non ha più paura.
La scena finale — Blanche di spalle che cammina con le figlie lungo
una spiaggia — è insieme un addio e una rinascita. Nessuna colonna
sonora enfatica, nessun lieto fine: solo il silenzio di chi ha trovato la forza di
andare avanti, anche senza aver ottenuto giustizia.
Il significato simbolico del finale
Il titolo Il coraggio di
Blanche racchiude la chiave interpretativa del film. Il
coraggio non è la ribellione clamorosa, ma la capacità di sopravvivere e
ricominciare. La foresta — elemento ricorrente del romanzo
di Reinhardt — diventa la metafora dell’inconscio, il luogo dove
Blanche si perde per poi ritrovarsi. Nel finale, il suo cammino
nella natura o lungo la spiaggia rappresenta il ritorno alla vita,
una purificazione interiore.
Valérie Donzelli trasforma la fuga in un rito di liberazione: non la vittoria sul
carnefice, ma la riappropriazione del proprio corpo, del proprio
sguardo e del proprio nome.
La libertà, nel film, non è assenza di dolore ma riconciliazione
con esso.
La doppia Blanche e il tema dell’identità
Un elemento centrale del racconto è la presenza della
sorella gemella di
Blanche, anch’essa interpretata da Virginie Efira. Le due
donne sono opposte e complementari: una fragile, l’altra decisa;
una vittima, l’altra osservatrice. Nel finale, le due figure
sembrano fondersi, come se la protagonista avesse finalmente
integrato le sue parti più divise: la paura e il coraggio, la
dipendenza e la libertà.
La “seconda Blanche” rappresenta la voce interiore della
protagonista, quella che non ha mai smesso di parlarle anche nei
momenti più bui. Quando Blanche accetta la propria vulnerabilità e
smette di definirsi attraverso lo sguardo dell’altro, le due
identità diventano una sola. È in questo gesto invisibile che
avviene la vera guarigione.
Un finale realistico, non consolatorio
Il film evita il moralismo e il sentimentalismo. Non c’è una
punizione per Grégoire, né una risoluzione totale. Ma Blanche, ora
consapevole, non è più la stessa. La sua camminata verso il mare,
accompagnata dalle figlie, diventa un gesto di resistenza quotidiana: un inno
sommesso ma potente alla vita dopo la violenza.
Valérie Donzelli chiude il film con uno sguardo lucido e
compassionevole, senza enfasi melodrammatica. Come in molte opere
del cinema francese contemporaneo, la salvezza non è un traguardo
ma un percorso: lento, incerto, ma reale.
Il messaggio finale: la libertà come memoria
Il finale di Il coraggio di
Blanche racchiude la sua essenza più intima:
la libertà non è
dimenticare, ma ricordare senza più paura. Blanche porta
con sé il trauma, ma anche la consapevolezza di averlo
attraversato. La spiaggia finale, con la luce che si apre sul mare,
non è una via di fuga ma una soglia — quella tra il passato e la
possibilità di un futuro diverso.
Virginie Efira, in una delle interpretazioni più intense della sua
carriera, riesce a trasformare la sofferenza in forza. Il suo
volto, nell’ultima inquadratura, è quello di una donna che ha perso
tutto ma ha ritrovato sé stessa. E questo, nel cinema come nella
vita, è il vero coraggio.
Uscito nel 2001 e diretto ancora una volta da
Stephen Sommers, La mummia – Il
ritorno riprende le avventure di Rick e Evelyn O’Connell
dopo il grande successo del primo film del 1999. Ambientato quasi
dieci anni dopo gli eventi de La mummia, il sequel espande notevolmente l’universo
narrativo introducendo nuovi personaggi, creature mitologiche e un
respiro ancora più epico. Tra le principali novità spiccano il
figlio della coppia, Alex, e soprattutto la figura del Re
Scorpione, interpretato da
Dwayne “The Rock” Johnson, al suo esordio
cinematografico. Un capitolo più ambizioso, che mescola azione,
mitologia e avventura in un racconto visivamente travolgente.
Come il suo predecessore, La mummia – Il
ritorno si inserisce nel solco dei grandi
film d’avventura hollywoodiani ispirati ai mostri classici
della Universal, ma accentua l’aspetto spettacolare e fantastico,
avvicinandosi al cinema d’azione moderno. Sommers costruisce un
ritmo serrato fatto di inseguimenti, magie e battaglie, sostenuto
da effetti speciali all’avanguardia per l’epoca. Il risultato è un
film che unisce il fascino retrò dei serial anni ’30 con l’energia
dei blockbuster contemporanei, trasformando la leggenda di Imhotep
in una saga più ampia, dal tono mitologico e quasi da epopea.
Tematicamente, il film approfondisce il legame
familiare, la reincarnazione e il destino, contrapponendo l’amore
eterno di Rick ed Evelyn alla brama di potere di Imhotep e
Anck-su-namun. L’avventura si spinge così oltre l’orrore
soprannaturale, per diventare una riflessione sulla vita, la morte
e l’immortalità. Nel resto dell’articolo, ci concentreremo proprio
su questo: la spiegazione del finale de La mummia – Il
ritorno, analizzando il modo in cui conclude la storia e
chiude il cerchio aperto dal primo capitolo.
Brendan Fraser e Rachel Weisz in La mummia – Il
ritorno
La trama di La mummia – Il ritorno
Dieci anni dopo aver rimandato l’immortale
mummia Imhotep nel mondo dei morti, Rick O’Connell
(Brendan Fraser) e sua moglie Evelyn (Rachel
Weisz) vivono a Londra con il loro figlioletto Alex.
Sempre alla ricerca di reperti del passato, i due durante
un’esplorazione in un antico tempio a Tebe, trovano il misterioso
bracciale di Anubi. Rientrati in patria, la coppia decide però di
abbandonare quella vita pericolosa e restare a Londra. Nel
frattempo, Alex, infilandosi il bracciale all’insaputa dei
genitori, ha una mistica visione dell’oasi di Ahm Sher e subito
dopo un’oscura setta egiziana attacca la famiglia.
La setta cerca il bracciale, che è però
sigillato al polso del bambino. Il culto, guidato dal curatore del
British Museum e da una donna di nome Meela Nais
(Patricia Velasquez), che è la reincarnazione dell’amore di
Imhotep Anck-su-namun, vuole far risorgere
nuovamente l’antica mummia e usare il suo potere per sconfiggere il
Re Scorpione, dandogli il comando dell’esercito di Anubi per
conquistare il mondo. Rick ed Evelyn accompagnati dal pauroso
fratello di lei, Johnatan (John Hannah), e dal
guerriero Medjai, Ardeth Bay devono dunque impedire il
ritorno della mummia e salvare Alex, che nel frattempo è stato
rapito.
La spiegazione del finale del film
Nel terzo atto de La mummia – Il ritorno
i protagonisti arrivano all’oasi di Ahm Shere, luogo mitico in cui
giace il potere di Anubis e dove il Re Scorpione può essere
risvegliato. Dopo una lunga serie di inseguimenti e battaglie, Rick
riesce a salvare il figlio Alex, ma la situazione precipita quando
Evelyn viene uccisa da Anck-su-namun. Mentre Imhotep entra nella
piramide per evocare l’esercito di Anubis, Rick e Jonathan si
uniscono per salvare sia la moglie sia l’umanità intera.
All’interno della piramide, Imhotep perde i suoi poteri, trovandosi
costretto ad affrontare il Re Scorpione in forma mortale. Rick,
guidato dai geroglifici, scopre che il bastone di Jonathan è in
realtà la leggendaria Lancia di Osiride, l’unica arma in grado di
uccidere la creatura.
La battaglia finale si trasforma in un intreccio
di duelli e sacrifici. Evelyn viene riportata in vita grazie al
Libro dei Morti, mentre all’esterno l’esercito dei Medjai affronta
eroicamente le orde infernali di Anubis. Rick affronta il Re
Scorpione in uno scontro violento e spettacolare, riuscendo infine
a trafiggerlo con la lancia e a rimandare il suo esercito negli
inferi. Con la morte del Re Scorpione, la piramide comincia a
crollare, trascinando con sé tutto ciò che resta dell’oasi. Imhotep
e Rick restano sospesi sul bordo di un abisso, ma mentre Evelyn
rischia la vita per salvare il marito, Anck-su-namun fugge
abbandonando Imhotep al suo destino. Devastato dal tradimento, il
sacerdote sceglie di lasciarsi cadere nell’oltretomba, ponendo così
fine alla sua eterna maledizione.
Il finale di La mummia – Il ritorno
completa idealmente l’arco narrativo iniziato nel primo capitolo,
contrapponendo due amori di natura opposta: quello puro e
disinteressato tra Rick ed Evelyn e quello egoista e distruttivo
tra Imhotep e Anck-su-namun. L’eroe e la sua compagna rappresentano
la forza del legame umano, capace di sconfiggere la morte e il
male, mentre la coppia di antagonisti incarna la corruzione
dell’amore quando diventa possesso. La decisione di Evelyn di
rischiare la vita per Rick segna il culmine emotivo del film e
suggella il valore del sacrificio, in netto contrasto con la
codardia di Anck-su-namun, che invece preferisce fuggire piuttosto
che salvare l’uomo che diceva di amare.
Da un punto di vista simbolico, la caduta di
Imhotep è la chiusura perfetta del suo arco tragico. Dopo due film
passati a inseguire l’immortalità e il potere, il suo destino si
compie nella consapevolezza che nulla di eterno può nascere dal
male. Il suo ultimo sguardo verso Rick ed Evelyn suggerisce un
momento di lucidità, quasi un riconoscimento della superiorità
dell’amore sincero su quello ossessivo. La distruzione dell’oasi e
della piramide simboleggia la fine del ciclo della maledizione e la
liberazione delle anime imprigionate da Anubis, restituendo un
equilibrio tra mondo dei vivi e mondo dei morti.
Alla fine, La mummia – Il
ritornoci lascia un messaggio chiaro:
l’amore e la lealtà sono più forti della morte e del
potere. Rick ed Evelyn, sopravvissuti insieme alla furia
degli dei e ai capricci dell’immortalità, incarnano la resilienza
umana di fronte a forze sovrannaturali. L’avventura, pur nel suo
tono spettacolare e mitologico, diventa così una riflessione sulla
natura del legame umano, sul coraggio di affrontare l’ignoto e
sulla necessità di lasciare andare ciò che non può durare in
eterno. Un epilogo avventuroso e romantico che, tra azione e
sentimento, chiude degnamente una delle saghe più amate del cinema
d’avventura moderno.
Il film Il coraggio di
Blanche (qui
la recensione) è una produzione francese del 2023 diretta da
Valérie Donzelli, regista nota per le sue opere che
esplorano con delicatezza profonda le dinamiche emotive e
relazionali. In questo caso, Donzelli affronta un tema tanto
attuale quanto drammatico: la violenza psicologica all’interno
della relazione di coppia. Il racconto porta lo spettatore nel
quotidiano apparentemente tranquillo di Blanche Renard, che
crede di aver trovato l’amore della vita ma si troverà invischiata
in una spirale di controllo, manipolazione e isolamento. È una
vicenda intima che si apre al sociale, un thriller psicologico in
cui l’orrore non viene da mostri sovrannaturali ma da chi appaia
normale.
Il genere del film può essere definito
drammatico/thriller relazionale: non un action, non un horror,
bensì un’analisi cinematografica della fragilità individuale e
della violenza subdola. La regia di Donzelli sceglie uno stile
sobrio, che privilegia sguardi, silenzi, spazi chiusi e
l’isolamento della protagonista, più che colpi di scena e gesti
eclatanti. Virginie Efira interpreta Blanche con intensità e
vulnerabilità, mostrando passo dopo passo il progressivo
logoramento della sua libertà personale e della sua identità. Il
film si distingue per la sua capacità di rendere visibile ciò che
spesso rimane invisibile: il controllo psicologico, la gelosia
insidiosa, la rottura dell’io.
Dal punto di vista dei temi, Il coraggio di
Blanche esplora l’amore tossico, la manipolazione affettiva e
la difficoltà di uscire da una relazione che appare rassicurante
all’inizio ma diventa una prigione. La trama evidenzia come
l’isolamento – fisico e mentale – sia utilizzato come strumento di
dominio e come la protagonista debba trovare in sé il coraggio di
reagire. L’impatto del film è forte: presentato al Festival di Cannes 2023 nella sezione
“Cannes Première”, ha ricevuto riconoscimenti e ha aperto un
dibattito importante sulle dinamiche di abuso che spesso restano
invisibili. Nel resto dell’articolo ci soffermeremo sulla domanda
centrale: il film è tratto da una storia vera o
meno?, per capire in che misura la vicenda di Blanche
rispecchia una realtà documentata.
La trama di Il
coraggio di Blanche
Il film racconta la storia
di Blanche Renard (Virginie
Efira), che dopo aver incontrato Greg
Lamoureux (Melvil Poupaud), è convinta di
aver trovato l’uomo della sua vita. Poco dopo, però, Greg inizierà
a mostrare il suo lato possessivo e pericoloso, tant’è che i due si
trasferiranno lontano dalla famiglia di Blanche. È così la donna si
ritrova coinvolta in una relazione tossica e morbosa, vergognandosi
di rivelare la vera natura del suo nuovo compagno. Quando però
capirà che la sua vita è messa in serio pericolo, dovrà decidere se
rimanere in silenzio per sempre od opporsi all’uomo da cui credeva
di essere amata.
La storia vera dietro il film
Il film Il coraggio di Blanche non è
direttamente tratto da una storia vera, ma si basa sul romanzo
L’amore e le foreste (L’amour et les forêts)
scritto da Éric Reinhardt e pubblicato nel 2014. L’autore,
noto per la sua attenzione ai rapporti di potere e alle nevrosi
della società contemporanea, si è ispirato a testimonianze reali
raccolte nel corso della sua vita, ma senza raccontare un caso
specifico. Il libro nasce dal bisogno di dare voce a quelle donne
che, come la protagonista, vivono relazioni segnate dalla
manipolazione psicologica, dalla perdita di autonomia e da una
violenza che si consuma nell’intimità domestica, lontano dagli
occhi del mondo.
Reinhardt ha raccontato in più interviste che il
personaggio di Blanche è stato ispirato da una lettrice che gli
aveva scritto una lunga lettera dopo la pubblicazione di un suo
romanzo precedente. In quella lettera, la donna gli narrava la
propria storia di matrimonio tossico e di distruzione personale.
Quella testimonianza, unita ad altre simili, ha spinto lo scrittore
a creare un personaggio simbolico più che realistico,
rappresentativo di molte donne intrappolate in relazioni abusanti.
Dunque, L’amore e le foreste non racconta un caso
realmente accaduto, ma è il risultato di un mosaico di esperienze
autentiche e di osservazioni sociali che restituiscono un quadro
estremamente realistico della violenza psicologica.
Nel portare sullo schermo il romanzo, Valérie
Donzelli ha scelto di rimanere fedele allo spirito dell’opera di
Reinhardt, accentuandone però la dimensione visiva e sensoriale. Il
film amplifica la percezione di oppressione attraverso l’uso della
luce, dei silenzi e della messa in scena claustrofobica,
permettendo allo spettatore di vivere dall’interno la lenta discesa
della protagonista in un rapporto distruttivo. Donzelli evita
l’enfasi melodrammatica e privilegia l’autenticità psicologica,
affidandosi alla straordinaria interpretazione di Virginie Efira,
capace di restituire con delicatezza il trauma invisibile di chi è
vittima di coercizione emotiva.
Nel complesso, Il coraggio di Blanche
risulta un film di grande realismo emotivo, anche se non
racconta una storia vera nel senso stretto del termine. La regista
e l’autore condividono l’intento di rendere visibile ciò che spesso
resta nascosto: la violenza che non lascia lividi, ma consuma
dall’interno. Il film mostra con accuratezza la progressione tipica
dell’abuso psicologico — dall’idealizzazione all’isolamento, dalla
colpa alla paura — offrendo uno spaccato credibile e profondamente
umano. Pur non essendo documentaristico, Il coraggio di
Blanche restituisce una verità universale: quella di tante
donne che, come Blanche, trovano la forza di riconoscere la propria
prigionia e di lottare per riappropriarsi di sé stesse.
Oggi Apple TV ha svelato le prime
immagini di Shrinking –
Stagione 3, l’amata comedy, acclamata dalla critica e
nominata agli Emmy, con protagonisti Jason Segel e Harrison Ford insieme agli amati
co-protagonisti Christa Miller, la candidata agli
Emmy Jessica Williams, Luke
Tennie, il candidato agli Emmy Michael
Urie, Lukita Maxwell e Ted
McGinley.
Creata dai vincitori dell’Emmy
Bill Lawrence e Brett Goldstein, insieme a Segel,
Shrinking –
Stagione 3 farà il suo debutto su Apple TV il 28
gennaio 2026 con il primo episodio degli 11 totali, seguito da un
nuovo episodio ogni mercoledì fino all’8 aprile.
“Shrinking” segue le vicende del
terapeuta Jimmy (interpretato da Jason Segel) che inizia a
infrangere le regole col dire ai suoi clienti esattamente quello
che pensa, ignorando così la sua formazione e la sua etica e
ritrovandosi a causare tumultuosi cambiamenti nella vita delle
persone… compresa la sua.
Jessica Williams and Damon
Wayans Jr. in "Shrinking," now streaming on Apple TV+.
Ted McGinley and Christa
Miller in "Shrinking," now streaming on Apple TV+.
Devin Kawaoka and Michael
Urie in "Shrinking," now streaming on Apple TV+.
Ted McGinley and Luke
Tennie in "Shrinking," now streaming on Apple TV+.
Jason Segel and Lukita
Maxwell in "Shrinking," now streaming on Apple TV+.
Oltre al cast storico, la terza
stagione di “Shrinking” vede il ritorno delle guest star Goldstein,
Damon Wayans Jr., Wendie Malick e Cobie Smulders, insieme alle new
entry Jeff Daniels e il pluripremiato attivista Michael J. Fox.
La serie è prodotta per Apple TV+
da Warner Bros. Television, con cui Lawrence e Goldstein hanno un
accordo globale, e dalla Doozer Productions di Lawrence. Lawrence,
Segel, Goldstein, Neil Goldman, James Ponsoldt, Jeff Ingold, Liza
Katzer, Randall Winston, Annie Mebane, Rachna Fruchbom, Brian
Gallivan, Ashley Nicole Black e Bill Posley sono i produttori
esecutivi.
“Shrinking” segna la terza
collaborazione tra Apple, Lawrence e Warner Bros. Television, dopo
la serie di successo e pluripremiata agli Emmy “Ted
Lasso” e “Bad Monkey”, recentemente rinnovata per una seconda
stagione. La serie segna anche l’ultima collaborazione tra Apple TV
e Goldstein dopo il film Apple Original “All of You”, ora
disponibile in streaming su Apple TV. Segel ha già collaborato in
precedenza con Apple TV nel ruolo da protagonista nel film Apple
Original “Il cielo è ovunque”.
Wanted
è lieta di svelare il trailer di Toni, mio
padre, il film diretto da Anna Negri
che è stato presentato in anteprima mondiale alle Giornate degli
autori, sezione autonoma e parallela della Mostra Internazionale
del Cinema di Venezia, all’interno delle
Notti Veneziane in accordo con Isola di Edipo.
Un dialogo intimo tra
una figlia e suo padre, tra memoria privata e Storia collettiva.
Con TONI, MIO PADRE, Anna Negri sceglie di raccontare l’eredità
complessa di suo padre, il filosofo e pensatore Toni Negri, figura
centrale della contestazione degli anni ’70.
Quando Anna aveva
14 anni, Toni Negri fu arrestato con l’accusa di essere il capo
occulto del terrorismo italiano, un’accusa dalla quale verrà poi
prosciolto. Dopo quattro anni di carcere e quindici di esilio,
Negri è divenuto un pensatore di fama mondiale, soprattutto dopo la
pubblicazione del saggio Impero (2000).
Dietro la dimensione
pubblica si nasconde una frattura intima e familiare che il film
porta alla luce con delicatezza e radicalità.
Girato tra Venezia, la
Sardegna e Parigi, TONI, MIO PADRE intreccia materiali
eterogenei – archivi di famiglia interviste, fotografie, Super8 e
repertori televisivi – per dar vita a un racconto stratificato, in
cui biografia e autobiografia, memoria privata e Storia
ufficiale, ideologia e affetti si sovrappongono in un corpo a
corpo emotivo e dialettico.
Anna Negri accompagna il
padre negli ultimi mesi della sua vita: un percorso di
riconciliazione e di scoperta reciproca, in cui si sciolgono
nodi irrisolti e si affrontano temi universali come il rapporto tra
ideali politici e vita quotidiana, tra generazioni, tra etica e
violenza, tra sconfitta e possibilità di riscatto.
“Ho voluto raccontare
una vita attraversata dalla Storia, cercando i tratti essenziali di
una mentalità rivoluzionaria. Ma al centro resta la relazione tra
padre e figlia: un dispositivo narrativo che permette di far
emergere conflitti universali e al tempo stesso intimi.” – Anna
Negri
Dopo l’esordio con In
principio erano le mutande (Forum, Berlino 1999) e il successo
internazionale di Riprendimi (Sundance 2008), fino alle
serie NetflixBaby e Luna Park, Anna Negri
torna al documentario con un’opera che è allo stesso tempo film
politico e racconto intimo, indagine storica e riflessione
personale.
Prodotto da MIR
Cinematografica, Videa Group e Mediaart, in collaborazione con
Home Movies, AAMOD e Lab 80 Film, TONI, MIO PADRE ha
ricevuto il Premio Valentina Pedicini – Premio Solinas 2021,
il Premio FIPADOC al Bio2B Biografilm Festival 2023 e il
Premio Ateliers/MFN 2024 e sarà nelle sale cinematografiche
con Wanted Cinema il 10, l’11 e il 12 novembre.
La trama di TONI, MIO
PADRE
Anna e Toni si
ritrovano a Venezia, dove Anna è nata, dove la sua famiglia viveva
quando era piccola e dove è sepolta sua madre. Sono entrambi di
fronte alla macchina da presa, filmati da un amico. Toni sa che
vede questa città per l’ultima volta, morirà sei mesi dopo, e Anna,
che non ha mai vissuto con lui da quando è stato arrestato, lo
accompagna con emozione, cercando di recuperare il tempo perduto. È
in questa nuova dimensione di viaggio e di reciproca scoperta,
ridotti a pochi gesti e a parole essenziali, che vediamo
sciogliersi gli ultimi nodi, i dubbi, i significati di due vite
tanto complesse.
Il finale di Everything Everywhere All at Once spiegato in
dettaglio rivela il vero significato della commedia
fantascientifica del 2022. Scritto e diretto da Dan Kwan e Daniel
Scheinert (alias i Daniels), il film di maggior incasso della A24
esplora il multiverso con la famiglia apparentemente normale di
Evelyn Wang (Michelle
Yeoh) e suo marito Waymond (Ke
Huy Quan). Il finale di Everything Everywhere All at Once
presenta il multiverso in un modo che fa impallidire il Marvel Cinematic Universe. Oltre al
successo commerciale e alla rilevanza culturale del film, i 7
Oscar Everything Everywhere All At Once ha vinto nel 2023
includono Miglior Film e Miglior Sceneggiatura Originale, cosa che
il suo finale stratificato ha senza dubbio contribuito a
garantire.
In EEAAO, Evelyn Wang è una
stressata proprietaria di una lavanderia a gettoni che sta
affrontando una verifica fiscale. La sua vita sta iniziando a
vacillare, con un divorzio imminente e sua figlia Joy (Stephanie
Hsu) che si sente inaspettatamente tradita dalla madre. Quando
viene catapultata in una battaglia esistenziale per il destino di
tutto il creato
contro Jobu Tupaki, una versione di Joy, deve affrontare tutti
questi problemi per salvare il multiverso. Il finale vede Evelyn
abbracciare ogni versione di se stessa nel multiverso e tirare
fuori sua figlia dall’oscurità. Il finale di Everything
Everywhere All at Once ha molti livelli che spiegano i temi del
film, le regole del multiverso e altro ancora.
Spiegazione dell’Alphaverse e
del Verse-Jumping
Everything Everywhere All At
Once ha una visione unica del multiverso
Il finale di Everything
Everywhere All at Once porta il concetto di multiverso
all’estremo, esplorando i vari mondi infiniti che si basano su ogni
decisione umana mai presa. Per ogni scelta, viene creato un nuovo
universo, che si ramifica nella propria versione della realtà. La
cosa interessante della versione del multiverso di Everything
Everywhere All At Once è che ogni universo non sembra essere
stato creato simultaneamente. Piuttosto, gli universi che si
diramano sono determinati dalla decisione di un individuo e da come
questa influisce sul suo percorso di vita. L’Alphaverse, come
suggerisce il nome, è al vertice della catena multiversale perché è
stato il primo a scoprire l’esistenza del multiverso.
Gli abitanti dell’Alphaverse sono
stati in grado di capire come è nato ogni universo e le decisioni
che ogni persona ha preso per arrivare al proprio posto attuale
nella vita. L’Alphaverse è anche l’unico ad aver creato una
tecnologia per comunicare con altre parti del
multiverso Everything Everywhere All at Once, compreso
il salto tra i versi, che consiste nell’attingere a un’altra
versione di sé stessi per prendere in prestito le loro abilità o
abitare la loro mente per un po’. Evelyn e Alphaverse-Waymond sono
in grado di separare le loro coscienze facendo qualcosa di strano;
per Evelyn, questo comporta cambiare le scarpe da un piede
all’altro.
Tuttavia, Alphaverse-Waymond ha
anche un altro asso nella manica. Per abitare completamente il
marito di Evelyn, Waymond, nel suo universo, la versione Alphaverse
deve fare qualcosa di completamente bizzarro prima di premere le
cuffie BlueTooth per essere trasportato nella coscienza di un
altro. Questo potrebbe essere qualsiasi cosa, dall’infilarsi un
oggetto appuntito nel sedere a Evelyn che dichiara il suo amore per
Deirdre, l’agente del fisco che lei odia. Più è scandaloso, più
è facile saltare da un universo all’altro.
Perché Evelyn era la scelta
perfetta per salvare il multiverso
La realtà di Evelyn rifletteva
la natura del multiverso
Nel finale di Everything
Everywhere All at Once, i doppelgänger di Evelyn nel multiverso
erano tutti abbastanza realizzati in un modo o nell’altro. Come
minimo, avevano scelto una strada e l’avevano seguita, mentre la
vita di Evelyn era incerta e spesso poco chiara.
Fondamentalmente, la vita di Evelyn è caotica proprio come gli
eventi del multiverso, perché ha tutto questo potenziale
inespresso. Mentre tutte le altre Evelyn si sono sistemate
nella loro vita, la Evelyn principale del film è piena di rimpianti
per le decisioni che non ha preso.
Conduce una vita che non aveva
necessariamente immaginato per sé stessa e i suoi sentimenti di
inadeguatezza – di non essere all’altezza delle aspettative di suo
padre – continuano a tormentarla, influenzando le relazioni di
Evelyn con Waymond e Joy. Alpha-Waymond sceglie Evelyn per salvare
il multiverso perché è “così incapace in tutto” da essere
“capace di tutto”.
Nessun’altra Evelyn poteva capire
cosa stesse passando il cattivo Jobu Tapaki di Everything
Everywhere All at Once, perché i loro sentimenti di desolazione non
erano così forti.
Inoltre, l’Evelyn di Jobu Tupaki
era molto severa con sua figlia, cosa che Evelyn può capire perché
lei stessa si è comportata allo stesso modo con Joy. Porta anche il
trauma di essere stata ripudiata dal proprio padre dopo aver
sposato Waymond, ed è proprio grazie a queste emozioni che riesce
ad affrontare Jobu Tupaki su un piano di parità. Bastava credere
che Evelyn fosse in grado di fare qualcosa di straordinario – cosa
che Alpha-Waymond ha fatto, vedendo oltre ciò che lei vedeva in se
stessa – per renderla la scelta perfetta per aiutare il multiverso
e riportare l’equilibrio perduto.
Perché Jobu Tupaki ha creato il
bagel “Everything”
Il bagel è una metafora
nichilista della modernità
Tra tutti i personaggi di
Everything Everywhere All At Once, Jobu Tupaki è il più
tragico. È la versione Alphaverse di Joy, la cui madre, anch’essa
Evelyn, l’ha spinta troppo a fondo per attingere al multiverso. Ha
saltato così tanto da versetto che qualcosa nella sua mente si è
frantumato, con Jobu Tupaki che ha sperimentato l’intero multiverso
contemporaneamente. Questo ha portato Jobu Tupaki a essere in grado
di incarnare qualsiasi versione di Joy senza dover eseguire nessuno
dei trucchi Alphaverse che gli altri dovevano fare per saltare da
un versetto all’altro.
Questa è una metafora diretta
della natura opprimente della società moderna, dove così tante
cose – eventi globali, social media, questioni sociali e difficoltà
della vita personale – richiedono attenzione. La mente di Jobu
Tupaki è divisa in questo modo, tirata in così tante direzioni
diverse al punto da diventare troppo. Jobu Tupaki non aveva nulla
da perdere dopo quello, sentendo il peso del multiverso che la
opprimeva, così decise di vedere cosa sarebbe successo se avesse
gettato esperienze, pensieri e praticamente tutto ciò che le veniva
in mente su un bagel.
Jobu Tupaki voleva scoprire cosa
sarebbe successo se tutto il caos fosse stato in un unico posto,
soprattutto perché avrebbe potuto sperimentarlo tutto in una volta.
Ciò che Jobu Tupkai ha scoperto alla fine è che, nonostante
l’intero multiverso e tutto ciò che conteneva, niente aveva
davvero importanza. È per questo che voleva soccombere al
potere del bagel “everything”, che la attirava verso il suo vuoto.
Una parte importante del viaggio di Jobu Tapaki è stata imparare
che c’è ancora speranza e che, anche se nulla ha importanza, ci
sono alcune cose, come il rapporto madre-figlia, per cui vale
ancora la pena lottare.
Il vero significato del finale
di Everything Everywhere All At Once
Michelle Yeoh, Jamie Lee Curtis Photo Credit: Allyson
Riggs
Il finale di EEAAO riguarda le
relazioni umane che danno uno scopo alla vita
Il finale di Everything
Everywhere All at Once vede Evelyn cercare di fare ammenda con
Joy, che è stanca di cercare di compiacere sua madre. Evelyn ha
vissuto un momento importante quando ha affrontato suo padre
riguardo alla relazione di Joy con la sua ragazza, ma è stato un
momento nato dal bisogno di Evelyn di sfidare suo padre. Joy,
sentendosi incapace di soddisfare le aspettative di sua madre,
crolla, ed è solo allora che Evelyn si rende conto che, se non
altro, il rapporto che ha con sua figlia, per quanto teso e
complicato possa essere, conta più di ogni altra cosa. Il
multiverso di Everything Everywhere All at Once si basa
sulla dinamica stratificata tra un genitore e il proprio
figlio.
Evelyn e Joy provano molto
dolore a causa dei loro rapporti familiari, ma provano anche molto
amore. Quando Evelyn rivela di voler stare sempre con Joy,
indipendentemente da dove si trovino, è l’inizio di un processo di
guarigione per entrambi i personaggi dal dolore inflitto in
precedenza. Questa è la chiave per superare i traumi di entrambi e
rompere il ciclo generazionale che causa una frattura tra genitori
e figli. Al centro del film c’è il messaggio che la famiglia è
importante, purché si sia disposti ad ascoltare e ad affrontare le
cose con cuore aperto.
Oltre ad affrontare il trauma
familiare, il film esplora come una persona possa essere
intrappolata tra tante aspettative, percezioni e il costante
bombardamento di cose nella vita che richiedono tanta attenzione. È
anche una riflessione sulla società e su quanto l’era digitale
abbia cambiato il modo in cui le persone consumano praticamente
tutto.
Jobu Tupaki ha accesso a
innumerevoli versioni di se stessa e al multiverso in generale, e
l’afflusso di informazioni era così intenso e faticoso per la mente
che non riusciva più a sopportarlo.
Come suggerisce il finale di
Everything Everywhere All at Once, si può iniziare a
pensare che nulla abbia davvero importanza. Joy ed Evelyn
avevano bisogno di allontanarsi dalle pressioni del mondo e
rendersi conto che entrambe, nonostante tutti gli ostacoli, alla
fine ne valevano la pena. Nei momenti di difficoltà e oscurità, si
può ancora trovare la speranza.
Come Evelyn è cambiata grazie
al finale di EEAAO — Secondo Michelle Yeoh
L’attrice che ha interpretato
Evelyn ha portato tutta la sua esperienza di vita nel
ruolo
Le recensioni positive del finale
di Everything Everywhere All at Once sono dovute al fatto
che è ricco di sfaccettature e significati — e l’attrice Michelle
Yeoh lo ha affrontato senza sforzo. Infatti, la performance
della Yeoh nei panni della stanca Evelyn è stata così forte da
valerle il Golden Globe come Miglior Attrice (categoria
Musical/Commedia) e un rivoluzionario Oscar come Miglior Attrice
nel 2023. Ciò è particolarmente impressionante dato che la Yeoh
non interpretava un solo ruolo, ma tutte le versioni di Evelyn nel
multiverso dei Daniels. Affrontare qualcosa di così complesso non è
un’impresa facile, e la performance della Yeoh è stata allo stesso
tempo accattivante in tutti i suoi difetti e stimolante di fronte
alle sue difficoltà.
Ci vuole una figura forte per poter
incarnare un personaggio che deve esplorare e abbracciare ogni
intricato dettaglio di sé stesso e delle proprie scelte, e la Yeoh
ovviamente lo ha fatto alla perfezione. Senza dubbio uno dei motivi
del successo record al botteghino di Everything Everywhere All
at Once, l’attrice Michelle Yeoh si è aperta in un’intervista
(tramiteVanity Fair) sul ruolo e sui temi generali del
film. Fin dall’inizio, Yeoh ammette: “Credo che i miei 40 anni
di esperienza siano stati come una lunga prova generale per questo
film”. Yeoh ha studiato a fondo il personaggio prima di
affrontare il film, cambiando persino il modo di camminare di
Evelyn per esprimere esternamente i suoi sentimenti sulla vita.
L’attrice ha anche riflettuto molto
sull’aspetto di Evelyn, cercando di mostrare al meglio aspetti come
il fatto che il personaggio vive alla giornata o aggiungendo
ciocche grigie ai capelli per rappresentare visivamente lo stress
familiare e finanziario a cui Evelyn è chiaramente sottoposta.
Detto questo, al centro del film c’è la discussione sul trauma
generazionale e sul rapporto madre-figlia. Everything
Everywhere All at Once non è la prima volta che Michelle Yeoh
interpreta una madre disapprovante, dato che ha già interpretato il
ruolo di Eleanor Young in Crazy Rich Asians.
In particolare, il successo al
botteghino di Crazy Rich Asians e Everything Everywhere All At Once parla da sé. Detto
questo, a differenza di Crazy Rich Asians, i temi che
circondano il rapporto madre-figlia presenti in Everything
Everywhere All at Once, come discute Yeoh con Vanity
Fair, sono problemi che sfidano i confini culturali (ed
economici) e possono essere identificabili da chiunque.
Sebbene il finale di Everything
Everywhere All at Once non risolva in modo definitivo il rapporto
tra Joy ed Evelyn, c’è un pezzo del puzzle che è chiaro a Yeoh: “È
come se dovessimo fare un passo indietro e dire: ‘Vogliamo esserci
l’una per l’altra. Non sappiamo ancora come esprimerlo, ma non
rinunciamo l’una all’altra’”.
Il finale di
Everything Everywhere All At Once non chiarisce
in modo esplicito cosa succede a Jobu Tupaki, né se la figlia di
Evelyn sia davvero tornata ad essere semplicemente Joy.
Interpretando i rispettivi ruoli di ogni versione di Evelyn e Joy
Wang nel multiverso, Michelle Yeoh e Stephanie Hsu sono state
entrambe nominate agli Oscar, con il film che ha ottenuto un totale
di 11 nomination. Il meritato riconoscimento riflette il modo in
cui il cast e la troupe di Everything Everywhere All At Once
sono riusciti a realizzare questa storia unica, fantascientifica e
assurda sulla famiglia, l’amore e il significato della vita,
lasciando comunque al pubblico domande e misteri su cui
riflettere.
Tra questi c’è il destino di
Everything Everywhere All At Once villain Jobu Tupaki, la
versione Alpha-Verse della figlia di Evelyn, Joy. Dopo che Evelyn e
Joy hanno risolto i loro problemi attraverso un confronto tra tutte
le versioni di se stesse nel multiverso, Jobu Tupaki è stata vista
per l’ultima volta mentre Evelyn le impediva di eseguire il suo
piano per porre fine all’insignificanza di tutta l’esistenza.
Tuttavia, dopo che Evelyn e la
famiglia di Joy si sono completamente riconciliate, non è chiaro
cosa succeda a Jobu Tupaki. Ecco tutto ciò che gli spettatori
devono sapere sul destino di Jobu Tupaki
nel finale di Everything Everywhere All At Once.
Prime Joy e Jobu Tupaki
potrebbero essersi fusi
Durante uno dei primi scontri tra
Evelyn e Jobu Tupaki, la cattiva mostra il suo potere e dice di
essere ogni versione di Joy, sottintendendo che non c’è una
differenza sostanziale tra Joy e Jobu Tupaki. In effetti, durante
tutto il film viene suggerito che lo stesso vale per ogni persona,
anche per i residenti dell’Alpha-Verse di Everything Everywhere All At Once. Ciò è anche coerente
con il funzionamento del salto tra i versi. Come spiegato dalla
versione Alpha-Verse del marito di Evelyn, Waymond (Ke Huy Quan),
non importa quanto potente sia una persona, in qualsiasi universo
alternativo può accedere solo alla propria coscienza.
In realtà, è proprio l’assoluta
insignificanza dell’essere Everything Everywhere All At Once
che spinge Jobu Tupaki a cercare di distruggere
il multiverso con il bagel tutto in primo luogo. Il film non
mostra cosa sia successo a Jobu Tupaki dopo lo scontro finale tra
Evelyn e Joy perché non era necessario.
Mentre coloro che provengono
dall’Alpha-Verse sono considerati il meglio del meglio, Joy è
un’estensione di Jobu Tupaki tanto quanto il cattivo lo è di Joy.
Alla fine, è ragionevole supporre che si siano completamente fusi,
soprattutto dopo che Evelyn ha aiutato Joy a trovare un po’ di
catarsi e pace mentale per ogni versione di se stessa.
Everything Everywhere All At
Once suggerisce il ritorno di Prime Joy
Non più armata del bagel né
vestita in modo elegante come Jobu Tupaki, Prime Universe Joy
sembra essere tornata completamente se stessa nel finale, senza
tracce visibili dell’influenza del cattivo. Oltre a vestirsi più
come una normale adolescente, altri indizi rivelatori del ritorno
di Prime Joy includono non solo la presenza della sua ragazza, ma
anche il fatto che la loro relazione sia stata apertamente
accettata dal nonno Gong Gong Wang (James Hong), sebbene attraverso
l’intervento inizialmente sgradito di Evelyn. Alla fine, Joy aiuta
persino l’intera famiglia a risolvere i propri problemi fiscali e
incontra Deirdre Beaubeirdra (Jamie Lee Curtis) nel mezzo.
Jobu Tupaki non si abbasserebbe mai
a trovare soddisfazione nella banalità della vita normale, quindi
tutti gli indizi indicano che Prime Joy ha il pieno controllo di sé
stessa. Everything Everywhere All At Once termina con Joy che si
riconcilia non solo con Evelyn, ma con tutta la sua famiglia, il
che è una prova più che sufficiente per concludere che nelle scene
finali del film è Prime Joy e non Jobu Tupaki. Vedendo la saggezza
nella visione di Evelyn di
trovare un significato nella totale insignificanza del
multiverso, Joy è contenta di essere semplicemente se stessa,
almeno per ora.
Infatti, anche se Prime Joy
potrebbe essere tornata, la realtà è che Jobu Tupaki può riprendere
il controllo in qualsiasi momento in futuro. Questo a causa della
natura e dello scopo narrativo della relazione tra Joy e Jobu
Tupaki nel film. Inoltre, ciò sottolinea anche il significato più
profondo dietro le motivazioni dei personaggi che provengono
dall’Alpha-Verse.
Se Prime Joy ritorna, dov’è
Jobu Tupaki?
Come suggerisce il titolo, Jobu
Tupaki, come Joy, rimane Everything Everywhere All At Once.
È importante capire che le Everything Everywhere All At
Once‘s assurde battute, gli elementi fantascientifici e
l’intenso dramma multiversale sono allegorie volte a svelare le
complesse relazioni tra Evelyn, Joy, Waymond e Gong Gong e il modo
in cui la loro famiglia elabora il trauma intergenerazionale.
Mentre Waymond dell’Alpha-Verse
rappresenta la potenziale competenza e saggezza che si possono
acquisire vivendo una vita piena e senza rimpianti, Joy
dell’Alpha-Verse o Jobu Tupaki è l’altra faccia della medaglia: i
pericoli di soccombere al nichilismo dopo aver raggiunto ogni
possibile obiettivo personale.
Senza Jobu Tupaki, l’Alpha-Verse o
gli elementi multiversali di Everything Everywhere All At
Once, la storia della famiglia Wang sarebbe un racconto
autonomo di amore, guarigione e accettazione. In combinazione con
questi elementi simbolici che rivelano ulteriormente i conflitti
interni di ciascun personaggio, i loro rimpianti di una vita, le
loro speranze e i loro sogni, gli spettatori possono vedere molto
di più e comprendere meglio perché la famiglia Wang è così com’è.
Interpretando versioni multiple e alternative di se stessi, il cast
di Everything Everywhere All At Once è in grado di rivelare
più facilmente gli aspetti rilevanti e le motivazioni dei
rispettivi personaggi nella trama principale o nell’universo
primario.
Il fatto che Everything Everywhere
All At Once finisca con Joy al comando non significa che Jobu
Tupaki sia scomparsa: lei rimane un aspetto di Joy che può emergere
in qualsiasi momento, il che non è necessariamente una cosa
negativa. Jobu Tupaki è un monito contro l’indulgenza nei confronti
degli impulsi nichilisti e, in ultima analisi, egoistici e
autodistruttivi, ma è anche il lato più esperto, creativo e ben
vestito di Joy. In effetti, Jobu Tupaki e Joy sono la stessa
persona, e sta a loro decidere se continuare a usare i loro doni
per la creazione o per la distruzione totale della loro famiglia e
del multiverso, sottolineando il
vero significato di Everything Everywhere All At
Once.
Il multiverso di Everything Everywhere All at Once spicca in
qualche modo in un’epoca in cui i multiversi sono diventati fin
troppo comuni. Scritto e diretto da Dan Kwan e Daniel Scheinert
(noti collettivamente come i Daniels), il film approfondisce il
concetto di multiverso, scatenando il caos sulla sua ignara
protagonista e sconvolgendo il suo mondo. L’avventura
fantascientifica è stata elogiata dalla critica per la sua trama, i
suoi personaggi e la sua rappresentazione visiva di come potrebbero
essere i multiversi. Infatti, Michelle Yeoh ha vinto il Golden
Globe 2023 come migliore attrice in un film commedia o musicale per
il suo ruolo da protagonista come Evelyn Wang in Everything
Everywhere All At Once, mentre Ke Huy Quan ha ottenuto la sua prima
nomination come migliore attore in un film.
Everything Everywhere All at
Once ha vinto due premi ai
Golden Globe 2023 ed è stato nominato per molti altri, a
sottolineare l’efficacia e l’unicità con cui affronta il
multiverso, un concetto che è stato trattato in una miriade di
media. Il concetto stesso si basa su un’ipotesi: che esistano più
universi contemporaneamente, ciascuno dei quali è composto dagli
stessi elementi che compongono il nostro mondo.
La teoria del multiverso ha messo
radici nelle opere di fantascienza, con film, serie TV e fumetti
che attingono al concetto per creare le proprie regole e variazioni
sui multiversi immaginari. Everything Everywhere All at
Once pone il multiverso al centro della sua storia su Evelyn
Wang, una donna cinese-americana che viene scelta per salvare il
multiverso dalla potenziale distruzione grazie alla doppelgänger di
sua figlia,
Jobu Tupaki (Stephanie Hsu). La versione del multiverso del
film ha molte regole proprie e introduce alcuni modi affascinanti
per consentire ai suoi personaggi di spostarsi da un piano
dell’esistenza all’altro.
Spiegazione dell’Alpha-Verse di
Everything Everywhere All At Once
Nel multiverso di Everything
Everywhere All at Once, l’Alpha-Verse è il fiore all’occhiello.
Gli abitanti dell’Alpha-Verse sono quelli che conoscono meglio il
multiverso, le sue regole e come attingere a ciascuno di essi,
perché sono stati i primi a scoprirne l’esistenza.
Fondamentalmente, l’Alpha-Verse è stato il primo a sviluppare la
tecnologia per tracciare la direzione degli altri universi, nonché
la capacità di attingere mentalmente alle altre parti del
multiverso. È possibile che l’Alpha-Verse fosse l’universo
originale prima che avvenissero tutte le altre divisioni, in modo
simile alla Sacred Timeline dell’MCU. Dopotutto, ogni universo
parallelo viene creato dopo che qualcuno ha preso una decisione che
poi si ramifica, quindi è probabile che l’Alpha-Verse sia uno degli
universi più antichi.
La loro tecnologia è stata creata,
tuttavia, per tracciare, osservare e conoscere il multiverso senza
interferire con il suo equilibrio. L’origine dell’Alpha-Verse in
Everything Everywhere All at Once offre una spiegazione
migliore del perché sia l’universo principale tra i tanti. Nei
fumetti Marvel e DC, invece, il sistema multiverso è numerato e non
viene fornita alcuna motivazione sul perché gli universi
principali, come Earth-Prime della DC, siano quelli primari. In
effetti, i Daniels hanno realizzato un film che permette al
pubblico di comprendere il processo mentale alla base
dell’Alpha-Verse e perché è considerato l’universo primario. Questo
è uno dei motivi per cui Everything Everywhere All At Once è
considerato uno dei migliori film di fantascienza del 2022.
Come funziona il multiverso di
Everything Everywhere All At Once
Il multiverso di Everything
Everywhere All At Once, come in ogni buona avventura
fantascientifica, è governato da regole particolari. Everything
Everywhere All at Once può avere un multiverso esteso, ma i
personaggi non possono fare tutto ciò che vogliono a loro
piacimento. Con l’uso della tecnologia Alpha-Verse, le persone sono
in grado di saltare da un universo all’altro, ma non è esattamente
come sembra. Waymond di Alpha-Verse, ad esempio, non può
semplicemente saltare da un universo all’altro tramite
teletrasporto, né può fisicamente passare da un multiverso
all’altro a suo piacimento. Piuttosto, il salto tra i versi è la
capacità di attingere alla coscienza di un doppelgänger proveniente
da un altro universo parallelo e di assumerne il controllo per un
breve periodo di tempo. Questo avviene senza che l’altra persona se
ne renda conto, motivo per cui Waymond non ricorda nulla dopo che
la sua controparte Alpha-Verse ha abbandonato la sua coscienza ed è
tornata nella propria.
Questo è simile al dreamwalking di
Scarlet Witch e Doctor Strange in varianti di altri
universi e, proprio come il dreamwalking, il salto tra i versi nel
multiverso di Everything Everywhere All At Once richiede un
certo sforzo. I saltatori di versi devono trovare un modo per
lanciare la loro mente attraverso il multiverso e nella coscienza
di cui hanno bisogno in quel momento. La tecnologia
dell’Alpha-Verse calcola con precisione ciò che è necessario; di
solito, il saltatore di versi deve fare qualcosa di abbastanza
strano e ridicolo per riuscirci. Dichiarare il proprio amore al
nemico o infilarsi un oggetto appuntito nel sedere sono solo alcune
delle strane situazioni in cui si trovano i personaggi. Inoltre,
Evelyn, Alpha-Verse Waymond, Everything Everywhere All At Once il cattivo Jobu
Tupaki, così come altri personaggi, devono aspettare che i loro
dispositivi per il salto tra i versi, simili a cuffie, diventino
verdi prima di poter saltare, per garantire un ingresso completo e
sicuro nella coscienza del doppelgänger. Altrimenti, come Evelyn ha
capito rapidamente, il salto tra i versi sconvolgerà la sua mente e
confonderà i confini tra ogni salto.
Perché Joy ed Evelyn sono state
in grado di accedere a così tanti universi
Michelle Yeoh, Jamie Lee Curtis Photo Credit: Allyson
Riggs
Alpha-Verse Joy è la prima a poter
accedere al multiverso a piacimento perché Alpha-Verse Evelyn ha
spinto sua figlia a sperimentare il salto tra i versi. Quando la
situazione è diventata insostenibile, la mente di Alpha-Verse Joy
(o Jobu Tapaki) non è riuscita a guarire tra un salto e l’altro e
ha diviso la sua coscienza nel multiverso, permettendole di saltare
tra i versi a piacimento e di attingere contemporaneamente alle
menti dei suoi doppelgänger. La mente di Evelyn è tornata alla
normalità alla
fine di Everything Everywhere All At Once. Dopo aver
saltato così spesso da un universo all’altro, senza essere
completamente pronta e senza permettere alla sua mente di
riprendersi dai salti precedenti, anche la coscienza di Evelyn si è
divisa mentre attingeva a tutte le versioni di se stessa nel
multiverso.
Come il multiverso di
Everything Everywhere All At Once si confronta con quello di Marvel
e DC
Il multiverso è un concetto che è
stato esplorato in diversi media, tra cui fumetti, programmi
televisivi e altri film. La serie animata Rick and Morty ha
affrontato il tema del multiverso, mostrando i suoi personaggi
principali interagire con diverse versioni di se stessi. Anche
Spider-Man: Into the Spider-Verse ha esplorato con successo
un piano multiversale che ha visto il suo protagonista, Miles
Morales, interagire con varie iterazioni del suo alter ego
supereroistico. Più recentemente, Spider-Man: No Way Home ha aperto
le porte al multiverso dopo che l’incantesimo di Doctor Strange è andato storto, portando diversi
cattivi che conoscevano l’identità di Spider-Man. Nel mondo dei
fumetti, come tipicamente accade anche nelle loro controparti
live-action, non tutti gli universi hanno una serie di
doppelgänger. Un’altra terra potrebbe essere proprio questo,
un’altra terra, con persone diverse e un’estetica diversa, ma tutte
esistenti all’interno della stessa bolla.
Ciò che distingue il multiverso di
Everything Everywhere All at Once dai tipici film di
supereroi/fantascienza è la spiegazione alla base della sua
esistenza. Il mondo nel film è principalmente causa ed effetto.
Ogni mondo parallelo è uguale sotto molti aspetti, ma ogni volta
che qualcuno fa una scelta che devia da una certa traiettoria si
forma un nuovo universo. Kung Fu Evelyn è diventata un’attrice
perché ha scelto di non lasciare i suoi genitori per sposare
Waymond; l’universo degli hot dog esiste a causa di un cambiamento
evolutivo nel passato dell’umanità. Questo è uno dei motivi
principali per cui il multiverso di Everything Everywhere All At
Once è senza dubbio migliore sia dell’MCU che del DCEU. Non è
che i vari mondi del multiverso esistano separatamente o siano
specchi esatti, ma sono tutti nati in connessione con un mondo
precedente. Inoltre continua a crescere, come un albero e i suoi
rami, collegati tra loro dalle radici. Questo conferisce a
Everything Everywhere All at Once una visione unica, poiché
guarda al multiverso e alle sue molteplici sfaccettature con occhi
nuovi.
Everything Everywhere All At
Once era solo una parodia della fantascienza popolare?
Anche se a prima vista potrebbe
sembrare che il multiverso di Everything Everywhere All at
Once sia una satira dell’ossessione della fantascienza e del
fantasy popolari per l’idea dei multiversi, in realtà non è inteso
come una parodia. Insieme a Rick and Morty, The Witcher, e
ai film Marvel e DC, Everything Everywhere All At Once fa
parte di un’ondata di media contemporanei che utilizzano il
concetto di multiverso come espediente narrativo. Tuttavia,
rispetto a tutti questi altri film e serie TV, Everything Everywhere All At Once ha un significato più
profondo perché è un film girato in un’unica ripresa e a basso
budget che riesce in qualche modo a realizzare l’esplorazione più
avvincente del multiverso nella storia recente.
Sebbene l’umorismo alla base del
film lo faccia sembrare una parodia, Everything Everywhere All
At Once è un film serio sulla ricerca di un significato nella
vasta insignificanza delle infinite possibilità del multiverso. In
definitiva, il film si distingue nella fantascienza/fantasy
contemporanea perché utilizza abilmente l’idea dei multiversi per
creare una storia divertente ma sincera che arriva al cuore del
motivo per cui scienziati e filosofi hanno concepito l’idea del
multiverso in primo luogo: la ricerca infinita dell’umanità del
significato della vita. In effetti, Everything Everywhere All
At Once non è una parodia del multiverso/linee temporali
alternative dell’MCU o di qualsiasi altra popolare storia
multiversale mainstream, ma i generi supereroistico e
fantascientifico possono sicuramente imparare qualcosa dal modo in
cui i Daniels hanno utilizzato il multiverso per raccontare una
storia in cui ogni famiglia può identificarsi.