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Sweet country: recensione del film di Warwick Thornton

Sweet country: recensione del film di Warwick Thornton

Sweet country, un western lentissimo, con tutti i canoni di questo genere, ma trasportato nella terra dei canguri. Una vicenda di razzismo, intolleranza e ignoranza, non troppo distante in fondo da quello che succede ai nostri giorni.

Sweet country, la trama

Nel 1929, in una regione brulla e inospitale del nord dell’Australia, i nativi aborigeni vengono sfruttati e impiegati per lavori umili e massacranti a supporto dei coloni bianchi, degli stolti bifolchi che vivono di bestiame. Uno  di questi aborigeni, Sam, uccide per difesa della propria famiglia un proprietario terriero bianco, Harry March. Si trova così costretto a fuggire insieme alla moglie Lizzie. Ma dopo un lungo periodo di latitanza scopre che la donna aspetta un bambino, in conseguenza dello stupro subito dall’uomo da lui ucciso. Per proteggerla si consegna alla giustizia, affrontando un lungo processo affidato al giudice Taylor.

Sweet countryWarwick Thornton il regista, spiega che il film non è frutto di fantasia: “Il film è basato su una vera storia, raccontatami dallo scrittore David Tranter, dell’aborigeno Wilaberta Jack, che negli anni venti fu arrestato e processato per l’omicidio di un uomo bianco nella Central Australia. Wilaberta Jack è Sam, diventato un personaggio indipendente, con una sua storia. Se Sam è il cardine della trama su cui tutto ruota, la vicenda riguarda anche Philomac, giovane aborigeno di quattordici anni, che vive in una fattoria e sta per diventare adulto, mentre si ritrova coinvolto nella rivoluzione sociale e nel conflitto culturale della vita di frontiera nella Central Australia degli anni venti.

Sweet Country girato nella catena montuosa delle MacDonnell Ranges, vicino ad Alice Springs è un western tipico, caratterizzato da tutti quegli elementi che rendono riconoscibile il genere: la terra di frontiera, la sopraffazione delle popolazioni indigene locali, l’arroganza e la sfrontatezza dei colonizzatori, i panorami mozzafiato che caratterizzano una terra bellissima quanto ostile, il continuo confronto con la natura.

E il regista afferma di aver voluto costruire proprio un western per cercare di avvicinare di più il pubblico alla storia e ai contenuti che voleva sottolineare, creando una sorta di favola per descrivere l’oppressione e la sopraffazione di un popolo.

Sweet Country purtroppo non presenta nulla di originale, ha dei tempi estremamente dilatati e non riesce mai a coinvolgere completamente, avanza in maniera stanca verso il processo finale, raccontando fatti ormai già visti e abusati nel cinema. Non basta sapere che si tratta di una storia vera, per quanto ingiusta e tragica possa essere, per mantenere alta l’attenzione.

Mudbound: trailer del film Netflix con Carey Mulligan

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Mudbound: trailer del film Netflix con Carey Mulligan

Netflix ha diffuso il trailer di Mudbound, il nuovo film originale diretto da Dee Rees presentato al Sundance Film Festival 2017. Nel cast Carey Mulligan, Jason Clarke, Rob Morgan, Mary J. Blige e Garrett Hedlund.

Mudbound sarà disponibile in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo a partire dal 17 Novembre 2017.

Mudbound, trama

Ambientato tra le campagne degli Stati Uniti meridionali durante la Seconda Guerra Mondiale, Mudbound è la storia epica di due famiglie, messe l’una contro l’altra da una gerarchia sociale spietata, eppure legate dalla terra che lavorano: il Delta del Mississippi.

Mudbound segue le vicende della famiglia McAllan, che si è da poco trasferita in Mississippi dalla tranquilla città di Memphis e non è preparata alle difficoltà della vita di campagna. Nonostante i sogni grandiosi di Henry (Jason Clarke), sua moglie Laura (Carey Mulligan) continua a credere nei progetti senza speranze di suo marito.

Nel frattempo, Hap e Florence Jackson (Rob Morgan, Mary J. Blige) – mezzadri che hanno lavorato la terra per intere generazioni – lottano con coraggio per realizzare i propri sogni nonostante le rigide barriere sociali che devono affrontare.

La guerra stravolge i piani di entrambe le famiglie, mentre i loro cari appena tornati, Jamie McAllan (Garrett Hedlund) e Ronsel Jackson (Jason Mitchell), stringono un’amicizia difficile, che sfiderà la brutale realtà in cui vivono: il Sud delle Leggi Jim Crow.

Miss Sloane – Giochi di Potere recensione del film con Jessica Chastain

Esce il prossimo 7 settembre Miss Sloane – giochi di potere, film diretto da  John Madden, il regista del film premio Oscar Shakespeare in Love (1998). La pellicola sceglie di raccontare l’inusuale mondo delle lobby politiche, ponendosi a metà strada tra il genere del politic drama e quello del thriller imprevedibile.

Elizabeth Sloane (Jessica Chastain) è una lobbista di Washington abituata a vincere le sue cause con qualsiasi mezzo possibile. Algida e cinica, non prova troppi rimorsi nell’utilizzare i sentimenti delle persone affinché possano servire ai suoi scopi. Proprio per la sua freddezza, le viene fatta  un’offerta vantaggiosa nientepopodimeno che dalla lobby delle armi, affinché promuova la loro causa tra l’elettorato femminile. Più per sfida che per motivi etici, Miss Sloane deciderà di schierarsi con l’opposizione, lavorando per una società che sta cercando di far approvare un disegno di legge che ponga un più severo controllo sulle armi.

Miss SloaneIl ruolo, a detta del regista, è stato pensato appositamente per la Chastain, che difatti regge su di sé l’intero film. L’attrice è riuscita a rendere in maniera perfetta questa figura di donna in carriera “assolutista”, che non contempla i sentimenti o il rispetto altrui non tanto perché non è capace di provarli, quanto perché li considera un cattivo investimento. Elizabeth Sloane è una stratega, e in quanto tale prevede e anticipa le mosse degli avversari. Talmente bene che l’apparente impossibilità di opporsi alla lobby delle armi, è una sfida alla quale non può sottrarsi. Nonostante i rischi che questa comporti e che infatti metteranno a repentaglio la sua carriera.

Il punto debole del film risiede nella scelta avventata di aver dato carta bianca ad un solo ed inesperto sceneggiatore: l’inglese Jonathan Pereira. Al suo primo copione, Pereira concepisce una storia che prende spunto da un avvenimento di cronaca reale, quello di un lobbista finito in prigione per un illecito. Il suo limite sta nel voler strafare. Lo sceneggiatore mette troppa carne al fuoco, infarcendo il film di paroloni tecnici e svariate sotto-trame che male si conciliano col ritmo serratissimo, tipico dei film di spionaggio.

Per i primi venti minuti si segue una storia, quella dell’andamento di mercato relativo all’olio di palma, che apparentemente non c’entra nulla con le restanti due ore.  Il tono del film è altalenante: inizialmente  scende nel tedio delle tematiche burocratico-politiche, poi si fa più incalzante, quasi frenetico, nel seguire le lotte tra speculatori a suon colpi di scena (telefonatissimi).

Miss SloanIl più grande difetto di Miss Sloane – giochi di potere è di essere un film che parla un suo linguaggio e non si preoccupa che questo possa essere compreso da altri. Ammesso e non concesso che lo spettatore mastichi termini di macroeconomia ( più o meno universalmente riconosciuti), non è plausibile che si conosca altrettanto bene la scienza politica made in USA, costante imprescindibile di queste due ore di film. E se nonostante ciò è encomiabile il labile tentativo di critica nei confronti dell’ormai vetusta costituzione americana (su tutti, il secondo emendamento, che sancisce il diritto di possedere armi),  rimane lampante l’ambiguitá tipica statunitense che giustifica e promuove leggi scritte due secoli fa.

Così Miss Sloane, che vorrebbe parlare – se non provocare – riguardo al tema della libera  detenzione delle armi e delle stragi fatte in sua causa, in realtà si esprime in termini volutamente poco comprensibili. Su un tema analogo si veda il più accattivante e, nella sua irriverenza, azzeccato Thank You For Smoking (2005).

The Man Who Invented Christmas: trailer con Dan Stevens

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The Man Who Invented Christmas: trailer con Dan Stevens

Ecco il primo trailer di The Man Who Invented Christmas, biopic con Dan Stevens nei panni di Charles Dickens. Di seguito il video:

La pellicola, la cui sceneggiatura è firmata da Susan Coyle (Mozart in The Jungle) racconta la figura di Charles Dickens da un punto di vista più umano e complesso.

Queste le dichiarazioni di Stevens sulla pellicola:

“È qualcosa di intrigante e divertente. Ho pensato che fosse una ventata di aria fresca, soprattutto in Inghilterra dove Dickens è posto su un piedistallo. Ma il ragazzo era in alcuni momenti infantile e giocoso e in altri un po’ oscuro e poco piacevole.”

Bohemian Rhapsody: Rami Malek è Freddie Mercury nella prima foto

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Bohemian Rhapsody: Rami Malek è Freddie Mercury nella prima foto

Ecco la prima immagine ufficiale di Rami Malek nei panni di Freddie Mercury per il biopic Bohemian Rhapsody, che sarà diretto da Bryan Singer.

A dirigere Bohemian Rhapsody è stato chiamato Bryan Singer, che conferma ufficialmente la sua partecipazione al progetto dopo una lunga trattativa. Bryan May e Roger Taylor, membri dei Queen, saranno i produttori esecutivi. Questo coinvolgimento potrebbe portare dei problemi di lavorazione, data la vicinanza emotiva dei due al materiale originale.

Il ruolo di Freddie Mercury, per molto tempo passato dalle mani di Sacha Baron Cohen a quelle di Ben Wishaw, è arrivato adesso all’attore che forse riuscirà a rendere giustizia alla grande personalità del cantante e musicista prematuramente scomparso nel 1995. Rami Malek ha raggiunto la notorietà grazie a Mr. Robot, serie premiata e arrivata alla terza stagione. Oltre a Rami Malek, che interpreterà Freddie Mercury, in Bohemian Rhapsody ci saranno Ben Hardy, che sarà il batterista Roger Taylor, Gwilym Lee il chitarrista Brian May e Joe Mazzello sarà invece il bassista John Deacon. Il film è diretto da Bryan Singer.

Bohemian Rhapsody, recensione del film con Rami Malek

Miss Sloane: nuove immagini dal film con Jessica Chastain

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Miss Sloane: nuove immagini dal film con Jessica Chastain

Sono state diffuse nuove immagini da Miss Sloane, il film con Jessica Chastain in arrivo al cinema il 7 settembre prossimo. Eccole di seguito: [nggallery id=3166]

Miss Sloane: in Italia dal 7 settembre, il trailer

John Madden ha diretto successi cinematografici internazionali, come “Ritorno al Marigold Hotel”, “Il Mandolino del Capitano Corelli” e “Shakespeare in Love” per il quale è stato candidato al Premio Oscar come miglior regia nel 1999.

Nel mondo dei power-broker e dei mediatori politici, dove le poste in gioco sono altissime, Elizabeth Sloane (Jessica Chastain) è una lobbista straordinaria, la più ricercata a Washington. Famosa per la sua astuzia e una lunga storia di successi, ha sempre fatto qualsiasi cosa per vincere, ma quando deve affrontare l’avversario più potente della sua carriera, scopre che la vittoria può costarle un prezzo troppo alto.

Star Wars Episodio IX: Colin Trevorrow lascia il film

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Dopo Miller e Lord, che hanno lasciato la regia di Han Solo a produzione inoltrata, anche Colin Trevorrow lascia un progetto alla Lucasfilm: Star Wars Episodio IX.

Il regista era stato scelto per dirigere il capitolo conclusivo della nuova trilogia, ma un comunicato della Studio ha annunciato che entrambe le parti sono state d’accordo a togliere la regia del film a Trevorrow a causa di “differenti visioni per il progetto”.

Colin Trevorrow lascia la regia di Star Wars Episodio XIII

Al momento le riprese sono previste per Gennaio 2018, ma a questo punto ci aspettiamo uno slittamento. Intanto già fioccano i nomi per sostituire Trevorrow e tra questi spiccano JJ Abrams e Rian Johnson, i registi di Episodio VII e VIII.

CORRELATI:

Il prossimo appuntamento con la saga è a dicembre con l’Episodio VIII. Il film sarà diretto da Rian Johnson e arriverà al cinema il 15 dicembre 2017. Il film racconterà le vicende immediatamente successive a Il Risveglio della Forza.

In Star Wars Gli Ultimi Jedi torneranno Mark Hamill, Carrie Fisher, Adam Driver, Daisy Ridley, John Boyega, Oscar Isaac, Lupita Nyong’o, Domhnall Gleeson, Anthony Daniels, Gwendoline Christie e Andy Serkis. Gli altimi attori unitisi al cast sono Benicio Del Toro, Laura Dern e Kelly Marie Tran.

Venezia 74, red carpet: gli scatti più belli dalla Mostra

Venezia 74, red carpet: gli scatti più belli dalla Mostra

Non solo film e sezioni, ma anche abiti, ospiti, eleganza e originalità. Anche questo è Venezia 74 e ve lo mostriamo in alcuni scatti realizzati durante la Mostra sul tappeto rosso che porta alla Sala Grande, dove viene presentata la magia del cinema. [nggallery id=3163]

Foto di Massimiliano Rocchi.

Il Festival di Venezia 2017 si svolge al Lido dal 30 agosto al 9 settembre.

Segui il nostro speciale di Venezia 74

The Devil’s Candy recensione del film di Sean Byrne

The Devil’s Candy recensione del film di Sean Byrne

Esce venerdì 8 settembre The Devil’s Candy, un nuovo film prodotto dalla Midnight Factory. Questa piccola casa di distribuzione, nata da una cellula della Koch Media Italia, è relativamente nuova nel settore, ma vanta il merito di avere come obiettivo primario quello di portare in Italia film poco conosciuti, pellicole indipendenti e classici del passato rimasterizzati… il tutto, rigorosamente di genere horror.

Grazie alla Midnight Factory abbiamo potuto godere anche in Italia di ottime opere come Babadook, It Follows, The Invitation, Somnia e molti altri. Questo autunno ci porta sui grandi schermi The Devil’s Candy, nuovo film di Sean Byrne, qui alla sua seconda opera dopo il discreto The Loved Ones (2009).

La storia gira attorno ad una famigliola americana piuttosto sui generis. Mamma, papà e figlioletta sono infatti fan sfegatati della musica heavy metal, genere di per sé poco rilassante. Sulle note vibranti di Killing Inside dei Cavalera Conspiracy si recano a comprare la loro nuova casa. Che manco a dirlo risulta avere qualcosa che non va, e li farà imbattere in strani avvenimenti provocati dall’inquietante ex inquilino della magione (Pruitt Taylor Vince).

Il suono ha una parte molto importante. La pellicola si apre con accordi sconnessi ma assordanti di una Gibson Flying V (la chitarra più amata dai musicisti “dannati”: da Jimi Hendrix ad Eddie Van Halen, passando per Keith Richards), che per altro riveste un ruolo simbolico piuttosto interessante. Lo strumento, nella sua variante rosso fuoco, è spesso accostato al crocifisso capovolto, lungo tutta la durata del film.

Sembra che la trama sia stata in parte ispirata alla leggenda secondo cui il musicista Robert Johnson avesse fatto un patto col diavolo per diventare il miglior chitarrista vivente.

Contrariamente a quanto vuole a tutti i costi dimostrare, The Davil’s Candy non è un film particolarmente innovativo. Classico horror su una casa stregata, risulta essere piuttosto un Amityville in salsa metal. Non brilla per colpi di scena o per trovate narrative, ma nella sua prosaicità è comunque un prodotto dignitoso.

È apprezzabile lo sforzo di questo piccolo film indipendente, per esempio nell’uso di un linguaggio visivo simbolico: un protagonista dannato con le fattezze del Messia; l’uso frequente del colore rosso come riferimento alla tentazione e al peccato; la pittura come mezzo attraverso cui parla la nostra anima.

Ma la sensazione che l’uso di una colonna sonora così particolare sia solo uno specchietto per le allodole (per attirare quella particolare fetta di fan), è forte e persistente.

Per chi ama questo genere di musica, o per chi ama la musica e basta, si veda la commedia Tenacius D e il Destino del Rock.

L’incredibile vita di Norman: trailer ufficiale con Richard Gere

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L’incredibile vita di Norman: trailer ufficiale con Richard Gere

Lucky Red ha diffuso il trailer ufficiale di L’incredibile vita di Norman, il film di JOSEPH CEDAR con protagonisti nel cast Richard GereSteve Buscemi, Charlotte Gainsbourg, Lior Ashkenazi e Michael Sheen.

Se chiedi a Norman Opphennaimer quale sia il suo mestiere la risposta sarà “se le serve qualcosa io gliela trovo!”. Con una delle migliori interpretazioni di sempre, Richard Gere è Norman, un navigato affarista di New York alla disperata ricerca di attenzioni e amicizie che possano cambiargli la vita. La sua è una corsa continua a soddisfare i bisogni degli altri nella speranza di trovare un giorno rispetto e riconoscimento da sempre desiderati. Quando viene eletto Primo Ministro un uomo a cui anni prima Norman aveva fatto un favore, quel giorno che tanto aveva desiderato sembra finalmente arrivato. Ma sarà davvero come lo immaginava?

L’incredibile vita di Norman è una commedia intelligente e profonda sull’importanza delle relazioni e sul bisogno di contare col quale prima o poi tutti nella vita facciamo i conti.

Dove cadono le ombre da oggi al cinema

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Dove cadono le ombre da oggi al cinema

Dove cadono le ombre, il film diretto da Valentina Pedicini e con  Elena Cotta, Federica RoselliniJosafat Vagni e Lucrezia Guidone da oggi al cinema.

Presentato in concorso alle Giornate degli Autori della 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia la pellicola racconta di Anna e Hans, infermiera e suo assistente di un vecchio istituto per anziani, sono due anime “bambine” incastrate in corpi di adulti.

Intrappolati nel tempo e nello spazio, si muovono tra le stanze e il giardino di quello che era un ex orfanotrofio, come se qui si consumasse tutta la vita, dall’infanzia alla morte, come se non ci fosse luogo più accogliente al mondo di quello che li ha visti prigionieri nell’infanzia. Dal passato riappare Gertrud, una vecchia signora dai modi gentili; tutto sembra precipitare, il nastro dell’orrore sembra riavvolgersi.

Il male è bianco, come il camice di Gertrud, come le pareti dell’ala ovest, la zona delle torture. L’istituto perde dunque i contorni attuali e torna ad essere ciò che era; ricovero crudele di bambini jenisch sottratti alle famiglie, tempio di un progetto di eugenetica capitanato proprio da Gertrud. Anna, schiava di quel luogo e di un’infanzia dolorosa che non termina mai, riprende con forza le ricerche di Franziska, amica amata di una vita della quale ha perso le tracce molto tempo prima e che cerca ovunque e senza sosta. Ispirato a una storia vera, a settecento storie vere.

King Arthur – Il potere della spada in blu-ray e dvd

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King Arthur – Il potere della spada in blu-ray e dvd

King Arthur – Il potere della spada, nuova versione cinematografica della storia di Re Artù, è disponibile dal 23 agosto su tutte le piattaforme digitali e dal 6 settembre in DVD, Blu-Ray, Blu-Ray 3D e 4K Ultra HD distribuito da Warner Bros. Entertainment Italia.

Il poliedrico regista Guy Ritchie (Sherlock Holmes) imprime il suo inconfondibile stile dinamico e pieno d’azione al genere epico fantasy, proponendo una versione irriverente del classico mito di Excalibur, che segue il tumultuoso percorso di Arthur dalla strada al trono. Nel cast, Charlie Hunnam (Sons of Anarchy, Crimson Peak) il candidato all’Oscar Jude Law (The Young Pope, Il talento di Mr. Ripley, Ritorno a Cold Mountain), Astrid Bergès-Frisbey (Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare), il candidato all’Oscar Djimon Hounsou (In America – Il sogno che non c’era, Blood Diamond – Diamanti di sangue, Fast & Furious 7), Aidan Gillen (Il Trono di Spade, Queer as Folk, The Wire) e Eric Bana (Hulk, Star Trek, Troy).

King Arthur – Il potere della spada SINOSSI

Quando il padre del piccolo Artù viene assassinato, suo zio Vortigern si impadronisce del trono. Privato dei diritti che gli spetterebbero per nascita e senza sapere chi sia realmente, Artù riesce a sopravvivere nei vicoli oscuri della città e solo quando estrae la mitica spada dalla roccia la sua vita cambia radicalmente ed è costretto ad accettare la sua vera eredità… che gli piaccia o meno.

King Arthur – Il potere della spada DVD

Durata: 121 min. ca.

Lingue: Dolby Digital: Italiano 5.1, Inglese 5.1, Francese 5.1, Tedesco 5.1.

Sottotitoli: Francese, Olandese. Non udenti: Italiano, Inglese, Tedesco.

Contenuti speciali: Arthur with Swagger – Charlie Hunnam è un gentiluomo, bel fusto e un tipo tosto.

King Arthur BLU-RAY

Durata: 126 min. ca.

Video: 1080p High Definition 16×9 2.4:1

Lingue: DTS-HD Master Audio: Italiano 5.1. Dolby Atmos True HD: Inglese. Dolby Digital: Inglese 5.1, Spagnolo 5.1, Francese 5.1.

Sottotitoli: Francese, Spagnolo, Svedese, Norvegese, Islandese, Finlandese, Olandese, Danese. Non udenti: Italiano, Inglese.

Contenuti speciali: possono essere in Alta Definizione. Lingue e Sottotitoli possono variare:

  • Arthur with Swagger – Charlie Hunnam è un gentiluomo, bel fusto e un tipo tosto.
  • Sword from the Stone – Guy Ritchie porta il 21esimo secolo in una delle leggende inglesi più iconiche nella realizzazione di Camelot per un nuovo pubblico.
  • Parry and Bleed – Charlie e il resto del cast frequentano un corso intensivo di scherma in stile vichinghi contro sassoni.
  • Building on the Past – Londinium riprende vita con un nuovo design da città urbana medievale, costruita dal nulla.
  • Inside the cut: the Action of King Arthur – la stunt coordinator Eunice Huthart insieme al regista Guy Ritchie ricreano insieme le strabilianti sequenze di azione in King Arthur.
  • Camelot in 93 Days – Amicizia e amore si rinforzano e si indeboliscono mentre il set prende vita in 93 giorni.
  • Legend of Excalibur – La spada più famosa del mondo viene ricreata per una nuova generazione.
  • Scenic Scotland – Una grandiosa produzione avvolta nella gloriosa location della Scozia.

King Arthur – Il potere della spada BLU-RAY 3D

Durata: 126 min. ca.

Video: 1080p High Definition 16×9 2.4:1

Lingue: Dolby Digital: Italiano 5.1, Inglese 5.1, Spagnolo 5.1, Portoghese 5.1, Francese 5.1., Ceco 5.1, Ungherese 5.1, Turco 5.1. DTS-HD Master Audio: Inglese 5.1, Tedesco 5.1.

Sottotitoli: Francese, Portoghese, Spagnolo, Arabo, Bulgaro, Croato, Ceco, Ebraico, Ungherese, Romeno, Sloveno, Turco. Non udenti: Italiano, Inglese, Tedesco.

King Arthur – Il potere della spada 4K ULTRA HD

Durata: 126 min. ca.

Video: 2160p Ultra High Definition 16×9 2.40.

Lingue: DTS-HD Master Audio: Italiano 5.1. Dolby Digital: Inglese 5.1, Polacco 5.1, Ceco 5.1, Ungherese 5.1, Russo 5.1, Spagnolo 5.1, Tailandese 5.1. Dolby Atmos True HD: Inglese, Francese, Tedesco.

Sottotitoli: Cinese, Ceco, Svizzero, Danese, Olandese, Finlandese, Ungherese, Coreano, Norvegese, Polacco, Portoghese, Russo, Spagnolo, Svedese, Tailandese, Cantonese, Francese, Arabo. Non Udenti: Italiano, Inglese, Tedesco.

Baby Driver – Il genio della fuga da domani al cinema

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Baby Driver – Il genio della fuga da domani al cinema

Baby Driver – Il genio della fuga, al cinema dal 7 settembre diretto da Edgar Wright, distribuito da Warner Bros. Entertainment Italia in 350 copie. Il cast è composto da Ansel Elgort, Lily James, Jon Bernthal, Eiza González, Jon Hamm e dagli attori premio Oscar Kevin Spacey e Jamie Foxx. Il film, presentato lo scorso marzo al South by Southwest Festival di Austin e celebrato dalla critica internazionale, campione d’incassi al Box office americano. Baby Driver – Il genio della fuga è una commedia che mescola crimine ed inseguimenti in auto arricchita da una colonna sonora elettrizzante composta da canzoni di generi musicali diversi e di differenti epoche.

Il genio della fuga recensione del film di Edgar Wright 

 
“Il film si apre con il sogno del protagonista di essere un driver ma si trasforma ben presto nell’incubo di essere un criminale – racconta Edgar Wright, regista del film e già autore della Trilogia del Cornetto, che aggiunge – All’inizio va tutto per il meglio, poi rapidamente le cose iniziano a peggiorare con tutte le conseguenze che ne derivano”. Protagonista del film nel ruolo di Baby è Ansel Elgort che sul primo incontro con il regista Edgar Wright racconta: “Ci siamo incontrati a Los Angeles per un pranzo e abbiamo parlato di musica per più di due ore. Quel giorno non sapevo ancora molto sul film ma io e Edgar abbiamo condiviso il nostro grande amore per la musica”.

Baby Driver – Il genio della fuga, Kevin Spacey è Doc

“Ho scelto questo ruolo per il viaggio che compie il mio personaggio durante il film. Amo interpretare personaggi nei confronti dei quali il pubblico è portato a mutare il proprio giudizio – dichiara l’attore Premio Oscar, che sul suo personaggio aggiunge – Non mi piacciono le figure in bianco o in nero, buone o cattive, piuttosto mi piace lavorare in quello spazio più grigio, come accaduto in Baby Driver – Il genio della fuga“.
 
Sinossi: Un giovane pilota si presta a fughe criminali, affidandosi nella guida al ritmo incalzante della sua musica preferita, per essere il migliore nel campo. Costretto a lavorare per un boss, metterà a rischio la vita, la libertà ed il suo amore a causa di una rapina destinata al fallimento.

In dubious battle recensione del film di e con James Franco

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In dubious battle recensione del film di e con James Franco

In dubious battle è stato presentato l’anno scorso nella sezione Cinema in giardino del Festival di Venezia, e ora esce in sala a partire dal 7 settembre.

Jim Nolan (Nat Wolff) aderisce al partito comunista della sua cittadina, e trova in Mac Mc Cloud (James Franco) un mentore da seguire e da cui farsi ispirare. Mc Cloud sta cercando di organizzare uno sciopero di raccoglitori di mele, il cui salario viene ridotto arbitrariamente dai datori di lavoro.

Grazie alle parole di Mc Cloud, ma anche all’aria onesta di Nolan, molti dei raccoglitori si convincono che lo sciopero sia la soluzione migliore, anche se costerà loro ulteriori sacrifici.

Una volta mescolatosi con i raccoglitori, il giovane Jim Nolan non può che empatizzare con loro e innamorarsi di Lisa (Selena Gomez), tutti fattori che alimentano i dubbi sulla sincerità dell’operato del partito e di Mac McCloud.

Nuova prova di regia per James Franco, che adatta nuovamente un grande autore americano per il cinema, dopo aver portato sullo schermo Faulkner (As I lay Dying) e Mc Carthy (Child of God), avvicinandosi così, sia per lo stile di regia che per i contenuti a John Ford.

In dubious battle è infatti l’adattamento di un’opera di John Steinbeck, autore di Furore, portato sul grande schermo appunto da Ford. Come molte delle opere di Steinbeck, e le prime di Ford, il focus è sui lavoratori e gli operai che contribuiscono a far crescere gli Stati Uniti ma che spesso sono sfruttati da datori di lavoro interessati più al profitto che al benestare dei propri dipendenti.

James Franco parla di un argomento che da sempre è tabù o di difficile discussione negli Stati Uniti: i sindacati e i diritti dei lavoratori, e lo spettro, se così si può chiamare, di comunismo che questa parola porta con sé.

Quello che emerge però nella messa in scena del regista, è l’ipotesi della correttezza dell’operato degli attivisti nei confronti dei lavoratori; il film si mantiene in equilibrio tra il bene e il male, tra il sospetto che il partito usi qualsiasi mezzo per portare avanti le sue posizioni e le sue azioni e la certezza che lo faccia per il bene dei lavoratori.

In questa sospensione si mantiene la pellicola per tutta la sua durata, così come il suo protagonista Jim, che non riesce ad amare completamente il suo mentore, ma non riesce neanche a contestarlo, neanche di fronte alle azioni più turpi.

Per In dubious battle, Franco mette poi insieme un cast eterogeneo, che probabilmente punta ad attirare un pubblico più possibilmente variegato: da un lato mostri sacri come Ed Harris e Robert Duvall, oltre che il recentemente scomparso Sam Shepard; dall’altro alcuni idoli “pop” tra cui lui stesso, che si ritrova, come il suo film, in bilico tra le commedie demenziali con Seth Rogen e l’impegno in teatro e nelle università con i classici dei grandi autori americani, Nat Wolff, visto in Paper Towns al fianco di Cara Delevingne, e Selena Gomez, diva di Instagram, già però utilizzata in un ruolo distante dalle sue corde da Harmony Korine in Springbreakers.

Jennifer Lawrence è la regina del red carpet a Venezia 74

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Jennifer Lawrence è la regina del red carpet a Venezia 74

Un magnifico abito Dior l’ha accompagnata sul red carpet di Venezia 74 e lei, Jennifer Lawrence, non si è affatto risparmiata; tra fan che avevano trascorso la notte all’aperto per lei e fotografi affamati di scatti perfetti la giovane diva è stata la regina per una notte del tappeto rosso della Mostra.

L’attrice premio oscar è stata al Lido per presentare Mother!, film in cui è diretta da Darren Aronofsky, suo attuale compagno, e in cui recita al fianco di Javier Bardem e Michelle Pfeiffer, anche loro a Venezia. Il film è stato presentato nella sezione Concorso Ufficiale.

https://www.youtube.com/watch?v=0PAk_N0sPo0

Venezia 74: Mother! recensione del film con Jennifer Lawrence

Gatta Cenerentola: recensione del film

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Gatta Cenerentola: recensione del film

La Disney ha regalato all’immaginario collettivo una precisa versione di Cenerentola, ma quello che in molti non sanno è che l’originale storia, macabra e oscura, viene dal ventre di Napoli, da quel Seicento letterario, ferbido di arte, che ha visto nascere La Gatta Cenerentola di Giambattista Basile, compresa in Lo Cunto de Li Cunti (stessa ispirazione letteraria de Il Racconto dei Racconti di Matteo Garrone).

Grazie a Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone la storia riceve una nuova rilettura animata, lontana da ogni altra versione mia arrivata al grande pubblico e lontana anche dall’originale letterario, nonostante la chiara ispirazione.

Mia è rimasta orfana dopo che Salvatore ‘o Rre, capoclan del riciclaggio, ha ammazzato suo padre, don Vittorio Basile, uomo di grande ingegno che aveva il progetto di trasformare Napoli in una virtuosa città della scienza. Costretta a vivere in una nave da crociera dismessa nel porto con la matrigna e le sorellastre, viene chiamata Gatta Cenerentola dalle stesse, per cui è costretta a lavorare. Il ritorno di Salvatore rivoluzionerà la sua posizione, mentre verrà a conoscenza di un segreto a lungo ignorato.

Ambientato in una Napoli di cenere, Gatta Cenerentola coniuga toni e temi, tuffandosi nel torbido di una città distopica, in cui il Vesuvio ha ricoperto tutto di un grigio strato che soffoca colori e speranze. In questo tragico e triste scenario si muove il Principe, Primo Gemito, la speranza, o forse, meglio, l’ostinazione nel trovare una via d’uscita dall’impero della malavita rappresentato da Salvatore ‘o Rre.

Sangue, droga e cenere sono gli elementi intorno a cui ruota il racconto che si pregia di momenti musicali dal grande potere evocativo e che rappresentano le battute d’arresto di una storia altrimenti fluida e solida. I colori freddi della città cozzano con l’immaginario napoletano nel mondo e contrastano con i toni invece caldi che vengono utilizzati per i personaggi e le scenografie all’interno della nave da crociera, principale scenario delle vicende legate a Gatta Cenerentola.

Una lettura non convenzionale quella di Rak e compagnia che anche da un punto di vista della narrazione vera e propria sceglie di tagliare il racconto, privando lo spettatore di un finale esaustivo, regalando una piccola speranza di lieto fine senza la certezza che questo ci sia effettivamente per Mia e Primo.

Una fiaba dark, moderna, violenta e sanguigna, come i personaggi che racconta, come la città in cui è ambientata. Gatta Cenerentola è stato presentato in Concorso nella sezione Orizzonti della 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Jim & Andy: The Great Beyond, recensione del doc con Jim Carrey

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Nella ricca sezione di documentari che è stata selezionata per Venezia 74, il fuori concorso offre un delizioso lavoro diretto da Chris Smith e dal titolo improbabilmente lungo e con protagonista Jim Carrey: Jim & Andy: the great beyond – The story of Jim Carrey & Andy Kaufman with a very special, contractually obligated mention of Tony Clifton.

Il film, composto da filmati di repertorio e un’intervista a Carrey, è il racconto del backstage di Man on the Moon, il film biografico in cui l’attore interpreta Andy Kaufman, diretto da Milos Forman. Il ruolo di Kaufman ha fatto conquistare a Jim Carrey il suo secondo Golden Globe (il primo era arrivato per The Truman Show) e gli è costato energie e impegno, un lavoro di immedesimazione che traspare dal materiale d’archivio e che fa letteralmente paura.

I filmati, alternati con i numeri di Kaufman e l’intervista a Carrey, sono stati registrati nel 1998, durante la lavorazione del film, e custoditi per quasi vent’anni dallo stesso Carrey, che ha scelto di renderli pubblici con questo documentario grazie all’aiuto di Smith.

Le immagini mostrano un giovanissimo Jim, star mondiale grazie all’enorme successo dei suoi film quali The Mask e Ace Ventura, alle prese con una immedesimazione nel personaggio totale. Lo stesso Forman ha più volte detto che era frustrante quanto Carrey si fosse trasformato in Andy non solo durante le riprese, ma sempre, continuando a rimanere nel personaggio anche a casa sua, e rendendo le comunicazioni con l’attore molto difficili.

Jim & Andy: the great beyondNon sono mancati litigi sul set, e comportamenti davvero straordinari da parte della famiglia di Kaufman, che all’epoca assecondò la digressione di Carrey in Andy, arrivando a trattarlo come un figlio. Celebre anche l’alterco con il wrestler Jerry Lawre, che partecipò al film e finì per picchiare sul serio Carrey, che non riusciva ad uscire, letteralmente, dai panni di Andy. Altre scene esilaranti dal backstage mostrano Jim, calato nei panni di Andy, calato a suo volta in Tony Clifton, personaggio famosissimo di Kaufman, presunto cantante di Las Vegas, che venne anche interpretato dal suo amico e collaboratore Bob Zmuda (Paul Giamatti nel film).

Quello che viene prepotentemente fuori da Jim & Andy: The Great Beyond non è soltanto l’amore incondizionato e la devozione di Jim Carrey verso Andy Kaufman, non solo un quadro strampalato, per alcuni versi spaventoso di un processo di immedesimazione che non ha nulla a che vedere con quello dei grandi attori di metodo (e di cinema “serio”), ma anche un delicato ritratto di Jim, il volto dietro alle numerose maschere del comico.

Jim Carrey racconta con assoluta sincerità un momento della sua carriera in cui tutto era possibile, in cui ha compiuto la missione di regalare un altro po’ di vita al geniale Kaufman, ma coglie anche l’opportunità di raccontarsi, come sognatore, come artista, come inseguitore di sogni.

L’alba dei morti di f**a: Jennifer Lawrence, il delirio del fan e la fauna del festival

L’anno scorso, e precisamente qui, vi raccontammo la storia surreale e shockante della giornata Fassbender, con degradanti visioni non adatte a un pubblico di persone sensibili sulla perdita di dignità del comparto femminile lidense al fine di ottenere attenzioni dal noto divo irlandese di origine tedesca.

Gente abbarbicata sul muretto adiacente il red carpet fin dalle prime ore del mattino, scottandosi la pelle sotto al sole cocente, rischiando il collasso, urlando istericamente senza motivo pure quando usciva l’addetto alla sicurezza – alle due del pomeriggio. Che cazzo te urli, che i red carpet so’ alle 19.00? – il tutto al fine di ottenere cosa? Piccole cose. Quello che ogni fan si aspetta dal suo beniamino. Un selfie, un sorriso, uno sguardo, trenta centimetri di minchia.

Oggi è uguale, ma in versione maschile. L’oggetto del desiderio è Jennifer Lawrence, che arriva qui per presentare Mother! di Aronofsky, di cui tra poco parliamo perché fa ride per un sacco di motivi. Individui sudaticci delle età più svariate, sexy come uno stronzo fuoriuscito dal vaso ed educati come un galeotto portato in uno strip-club alla sua prima notte libera, si accalcano nelle zone ‘di probabile incontro’ – dalla terrazza dell’Excelsior alla darsena del Casinò, ribattezzata, per questo motivo, darsena del casino – scambiandosi ammiccamenti e battute della finezza di un salame di cioccolato sulle modalità in cui si accoppierebbero ripetutamente con la bionda interprete di Hunger Games.

Urlano sguaiati e profumano come caprini stagionati, e poi si lamentano se lei non si ferma. “Se la tira”, dicono. E te credo, che se la tira, che se ve la tira a voi, come minimo si deve fare lavande vaginali per sei anni. Non aiuta l’invidia. Infatti, nel film, che abbiamo visto stamattina, fin dall’inizio si capisce che accadranno cose inquietanti,  la più spaventosa delle quali è che Jennifer, giovane attraente e con le puppe a pera, sta con un vecchio panzone impotente come Javier Bardem.

Alt, fan di Javier Bardem, che già vi vedo nervosetti e non vorrei che vi partisse la brocca come l’altro ieri a quelli di Lapo Elkann, che ci hanno scritto inviperiti manco gli avessimo insultato la mamma. Non stiamo dicendo che Javier Bardem è un vecchio panzone impotente, ma che è molto bravo a interpretare quel ruolo. Forse perché gli calza a pennello. (Ok, stiamo dicendo che Bardem è un vecchio panzone impotente – si chiama ironia – ma in questo modo vi confondiamo così se siete dei cacacazzi che non capiscono l’ironia avete già smesso di leggere e non ci romperete le palle con le vostre proteste. Se invece siete intelligenti continuate).

E poi niente, un incubo lucido, gente inquietante che ti bussa alla porta, pestaggi, cannibalismo (aridaje, dopo il giapponese di ieri), cuori strappati, corpi bruciati, pavimenti che perdono sangue, rituali occulti, cani e gatti che vivono insieme. Ora. Sono tutte cazzate. Ma col botto proprio. Che a ripensarci ti scappa su da ridere. Eppure negli incubi succede così: che lì per lì ti spaventi e poi dici, come in un flusso di coscienza che ci permetterà di citare coltamente Joyce e L’Ulisse: “Oddiomachecazzodesognomesoimmaginatachevenivagenteinquietanteincasaederasempredipiùepoichiedevoaiutoamiomaritomaluieracattivononmesecacavaedavarettaastistronziepoieroincintaeceralaguerraequestisemagnavanoilbambinomachecazzodisognomacheèstatalapeperonatadeierimalimortaccisualosapevochenonladovevomagnàahahahahahahmadòchecazzatamoceridomastanottemesosvejatacollansia”.

Inoltre, mi dovete spiegare perché il film de quella che se trasformava in cigno – in cigno, che cazzo – spezzandosi letteralmente le ossa e spargendo tendini sul pavimento come nel più truculento degli ‘straight to video’ Troma anni ’90 era stato accolto come una sottile metafora sul sacrificio nella ricerca della perfezione, mentre questo, che poi alla fin fine non è altro che una metafora della creazione letteraria (pure abbastanza scorreggiona, ma non meno dell’altra) non ve va bene. Perché in sala ci sono stati parecchi ‘buuu’ e fischi. Pure qualche applauso a dirla tutta. Siccome a me piace che Aronofsky riesca a far passare per capolavori delle cazzate colossali e anche il contrario, un po’ fischio, un po’ applaudo, e un po’ dico volgarità a caso, perché trovo divertente dire volgarità a caso mentre c’è casino e la gente non sente, un po’ come quando da ragazzino  nel coro dell’oratorio bestemmiavo. Dio mi perdonerà, rideva pure lui.

Tornando a Jennifer – intanto Aronofsky se la tromba e voi no, rifletteteci. Magari avrà fatto un film di merda ma ha scoperto il sapone – sia chiara una cosa: io pure il mio tentativo di selfie l’ho fatto, ma vista com’era la situazione ho fatto due conti e ho pensato che quell’ora e mezza passata ad aspettare dietro ad altre diecimila persone la potevo investire in piscia e spesa e ho rinunciato. Un quarto d’ora, per la figa, vale la pena spenderlo, di più no, anche perché non è che alla fine te la dà. Anzi, spesso nemmeno il selfie riesci a fare e ti ritrovi a consolarti con una foto abbracciato ai puzzolenti omaccioni di cui sopra, tutti uniti nel dolore della sconfitta come se avesse perso la squadra preferita.

Ad ogni modo, lisciare la Lawrence non mi fa tanto male come l’altro mio grande fallimento personale di questa Mostra. John Landis continua a non cagarmi, sebbene mi sia fatto una corsa a perdifiato per la sua proiezione di Thriller 3D perché avevo letto sul programma 23.15 e invece era un’ora prima. Arrivo per il rotto della cuffia e lui è in ritardo. Vedo il film (bellissimo, con tanto di making of sui trucchi di Rick Baker. Altro che ste cagate digitali che ci propinano ora) poi esco e lo aspetto fuori dalla sala per proporre una simpatica foto insieme. Niente da fare: “autografi sì, foto no”, dice. E mi sta bene, ma perché poi la foto se la fa con tutti gli altri presenti qui a Venezia, tra un po’ pure co’ Brunetta, e a me no? Che t’ho fatto, Landis? Eppure, ero in missione per conto di Dio.

Ang

Devo dire che dopo aver letto il resoconto di oggi di Ang non me la sentirei quasi di aggiungere nulla, un po’ perché so scoppiata a ride in sala stampa e m’hanno bevuto (sì i post io e Ang non li scriviamo vicini digitando a quattro mani come dei poliponi, ma ce li passamo da una sala stampa all’altra, lui ovviamente sta in quella Vip, io in quella dei morti di figa, per restare in tema) un po’ perché ho visto anche io Aronofsky e credo di essere stata l’unica persona che ha pianto, e non perché ha trovato orrendo il film. Quindi sono un po’ provata. Ma devo dire che due parole sull’inciviltà durante le proiezioni vanno spese.

Qua al Lido siamo costretti a convivere con gente orrenda, sconosciuti che tu non ci staresti vicina nemmeno in coda dal fruttarolo che invece qui ti trovi sulla poltrona accanto, per capirci. Un’umanità così variegata che ormai non ti chiedi più niente, cosa ha senso e cosa no, perché la vecchia che te vede in coda deve sguscià davanti, quella seduta accanto a te e tiene otto posti con le borse ti imbruttisce se le chiedi a film iniziato di liberarne uno, perché, ad esempio, la gente entra in sala a 20 minuti dalla fine. Perché so più i vaffanculo che prendi che quelli che dai, ad esempio, come dovrebbe essere perché sei una persona educata e il resto del mondo no.

Dopo tutto st’ambiente demmerda, dopo le cose surreali alle quali assisti, uno invece – giustamente – non può accettare di non cogliere immediatamente il senso di una pellicola di un regista visionario come Aronofsky, e se sente in dovere de fischià. Vorrei dire a queste persone che rompono il cazzo anche appunto se in sala stampa te vibra il cellulare, o se fumi mentre sei in coda con loro, che invece urlare ‘cretino’ o ‘vergogna’ durante la visione di un film li rende in effetti dei veri gentiluomini, dei veri cazzutissimi esseri. E ricordare loro che almeno Aronofsky fa i film, voi non siete in grado manco de piscià centrando il buco, me lo ha detto la donna delle pulizie, anzi pure per questo vergognatevi.

Intanto spero che la Lawrence sputi sul red carpet come un lama, è quello che ve meritate.

Venezia 74: Darren Aronofsky con Lawrence, Bardem e Pfeiffer, racconta Mother!

Darren Aronofsky racconta del suo nuovo film Mother!, presentato oggi in concorso alla Mostra del Cinema. Un’opera molto discussa, che ha diviso nettamente critica e pubblico, infervorando gli animi e dando luogo a discussioni, spesso anche furiose. In poche parole, in giro per la mostra da qualche ora non si parla d’altro. Il regista è accompagnato da uno dei produttori, dal protagonista Javier Bardem e dalle due splendide interpreti  Jennifer Lawrence e Michelle Pfeiffer, arrivate in un tripudio di fans, accampati fuori del Palazzo del Cinema dall’alba, nella speranza di scattare una fotografia o ottenere un autografo. E’ paradossale, perché riportano la mente ad alcune situazioni descritte nel film.

Darren Aronofsky  dice che la prima stesura della sceneggiatura l’ha buttata giù d’istinto, in soli cinque giorni. Dalla prima fase di scrittura ha sempre voluto creare qualcosa dove il pubblico non si sentisse mai al sicuro, ma fosse dominato da una straniante sensazione di disagio, di pericolo, esattamente come si sente la protagonista.

Il cuore pulsante di Mother! è il mistero. Il film deve apparire e deve essere percepito come un continuo mistero.

Jennifer Lawrence sostiene di aver interpretato un personaggio completamente differente da tutto quello che ha fatto fino a questo momento nella sua carriera. Ma anche una donna molto diversa da se stessa, da quello che lei è nella vita di tutti i giorni. Ha lavorato duramente per allontanarsi, anche con l’aiuto del regista, che l’ha indirizzata nella direzione da seguire, facendola entrare in contatto con una parte sconosciuta di lei, portandola in superficie.

A lei e a Michelle Pfeiffer viene chiesto come vivono l’assedio costante dei fans. Se lo avvertono, soprattutto ora dopo aver vissuto l’esperienza di Mother! come una possibile minaccia. Entrambe rispondono che lavorano per loro, che sono grate del loro entusiasmo, quando questo non diventa naturalmente morboso e tenda a invadere le sfere private della loro vita. I fans alimentano l’ego dell’artista e caricano di necessaria carica vitale per continuare a fare questo lavoro. Jennifer Lawrence li definisce un umanità vitale e insaziabile ed è felice di loro. Si parla di allegoria del narcisismo, del bisogno carnivoro di nutrire il proprio ego artistico, del rapporto sacrificale musa-artista. Javier Bardem concorda con tutto questo e parla di una sorta di vampirismo di chi è impegnato in un atto creativo, di qualsiasi natura questo sia. Sottolinea che il film è un apparato estremamente  complesso,  composto di tanti strati e infiniti livelli di lettura.

Vengono chiesti dei riferimenti letterari o visivi. Ne vengono citati molti, alcuni dei quali sconosciuti al regista e agli interpreti, ma in particolare Darren Aronofsky   nomina alcuni racconti di Edgar Allan Poe, Barbablù e tanti libri illustrati per bambini. Dice di essere stato influenzato da opere che ha trovato intrise di un mondo febbrile da sogno. Parla poi anche di femminismo ambientalismo, di un America schizofrenica nella quale stenta a riconoscersi. Si definisce comunque un ottimista.

Venezia 74: Mother! recensione del film con Jennifer Lawrence

Gli si chiede del ciclo di vita e morte che ha creato nella sua opera e lui risponde semplicemente che ha continuato a ragionare su un discorso che aveva già aperto con The Fountain. Anche se afferma che quel suo film era già esaustivo e dava molte risposte sul suo modo di pensare.

Quando gli viene fatto notare che il film è stato accolto da molti fischi e critiche negative, Darren Aronofsky   risponde in grande semplicità, che sa bene come funziona, che fa parte del gioco, che accetta le critiche e ne fa tesoro. Avverte però che non è un film per tutti, che bisogna essere aperti e ben disposti. E’ come andare sulle montagne russe.

Venezia 74: la metamorfosi di Jim Carrey in Andy Kaufman nel documentario di Chris Smith

Tra gli ospiti internazionali di Venezia 74, il 5 settembre è anche il giorno di Jim Carrey, che porta al Lido il documentario Jim & Andy: the great beyond – The story of Jim Carrey & Andy Kaufman with a very special, contractually obligated mention of Tony Clifton.

Il titolo del film, diretto da Chris Smith, è una raccolta di filmati di repertorio girati sul set di Man on the Moon, il biopic di Milos Forman in cui Carrey ha interpretato Andy Kaufman.

Il progetto, nato per volere dell’attore, mostra un processo di mimesi nel personaggio incredibile, un’immersione totale in quello che era Andy Kaufman, considerato un vero e proprio spirito guida da Carrey stesso.

Per Jim, il documentario è utilissimo per spiegare il suo lavoro, per mostrare al pubblico che non esistono solo le sue faccette nei personaggi, ma anche ogni suo lavoro ha dietro un’anima, una costruzione. “Ogni singolo e più sciocco aspetto del mio lavoro ha un senso ed è molto gratificante che Chris (regista) abbia visto qualcosa in questi filmati, qualcosa di totale.”

Per quanto riguarda la sua preparazione per il ruolo di Kaufman, Carrey ha spiegato: “Era un altro livello di dedizione, psicotica. C’era una grande sceneggiatura su cui basarsi.”

I filmati erano custoditi da Jim in persona, da quasi 20 anni, e lui stesso ha voluto costruirci una storia: “Il vero autore del progetto è Andy, il fatto che era così impegnato, così dedito in quello che faceva, ha reso tutto possibile e mi ha permesso di perdermi in Andy. In questo modo sento di non aver interpretato il personaggio, ma che il film l’abbia fatto davvero lui. Quello che pensavo era che Andy sarebbe tornato a vivere con questo film.”

In merito alla sua personalità esuberante e all’aiuto che questo ha rappresentato nella costruzione della sua carriera, Jim Carey ha detto: “Sento che la mia personalità è stata tutto per me all’inizio di questo incredibile viaggio. Poi ho cominciato a capire che anche io che interpretavo un personaggio ero un personaggio, e questo ha cambiato le cose. Non esiste un me, un io, un mio, ma solo energia e alcuni limiti che ci danno delle indicazioni per cercare di costruire una personalità intorno a noi: la nazionalità, le relazioni. Ma non è quello che siamo, noi non siamo niente, ed è un fottuto sollievo.”

Parlando ancora della sua maschera di comico, il protagonista di The Thruman Show ha detto: “Lo dico nella città delle maschere (Venezia), tutti indossano una maschera e quando qualcuno non lo fa, si comporta con sincerità, diventa molto difficile per chi invece la indossa, continuare con la sua maschera”.

Leatherface: il trailer green band italiano

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Leatherface: il trailer green band italiano

La M2Picture ha diffuso un nuovo green band trailer Leatherface, il film horror appartenente al franchise di Non aprite quella porta, diretto da  Alexandre Bustillo Julien Maury. Nel cast Stephen Dorff, Lili Taylor, Sam Strike e Finn Jones.

Leatherface è l’horror che racconta le origini di una delle figure più terrificanti del cinema, Leatherface appunto o, come meglio lo conosce il pubblico italiano, Faccia di cuoio, protagonista sadico e crudele della saga cinematografica cult Non aprite quella porta.

Leatherface non è un remake o un rehash di Non aprite quella porta ma è una storia originale, un altro tipo di racconto horror, che indaga sull’origine della saga e scava alle radici della nascita del suo iconografico personaggio con una narrazione quasi lirica.

Il film, molto crudo e violento, vuole raccontare attraverso sfumature viscerali, una componente emotiva appassionante, una dimensione di rapporti complessa e forte, le implicazioni psicologiche che hanno portato un ragazzo particolarmente fragile a compiere atti di efferata brutalità diventando il mostro che tutti noi conosciamo.

Leatherface, che vede il coinvolgimento diretto di Hooper in qualità di produttore esecutivo, è diretto da un duo di registi francesi composto da Alexandre Bustillo e Julien Maury che hanno ottenuto un notevole successo di critica con l’horror Inside. Il cast è formato da un gruppo di giovani talenti tra cui Finn Jones, il Loras Tyrell de Il Trono di Spade, e guidato da due attori di grande esperienza e notorietà come Lili Taylor (Maze Runner: La Fuga) e Stephen Dorff (Somewhere).

Leatherface trama

Quattro adolescenti violenti, scappati da un ospedale psichiatrico, rapiscono una giovane infermiera e la portano con loro in un viaggio all’inferno inseguiti da un poliziotto altrettanto squilibrato in cerca di vendetta. Uno dei ragazzi è destinato a vivere eventi tragici e una serie di orrori che distruggeranno la sua mente per sempre trasformandolo in un mostro noto come Leatherface, o Faccia di cuoio.

L’uomo di neve: nuovo trailer del film con Michael Fassbender

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L’uomo di neve: nuovo trailer del film con Michael Fassbender

Universal Pictures International Italy ha diffuso il nuovo trailer italiano di L’Uomo di Neve, il film che vede protagonista Michael Fassbender nell’adattamento del bestseller di Jo Nesbø e diretto da Tomas Alfredson.

Nel cast del film Michael Fassbender, Rebecca FergusonCharlotte GainsbourgJ.K. Simmons.

The Snowman è il nuovo film del regista de La Talpa dove protagonista è Michael Fassbender e adattamento del best seller internazionale L’uomo di neve Nesbø. Il primo promo del film mostra un’opera a metà strada tra Lasciami entrare (opera prima del regista) e La Talpa (spy-story). Tra neve, freddo e dannazione, Michael Fassbender interpreta un detective a capo di una squadra speciale che segue con poco successo le tracce di uno spietato serial killer.  Con l’aiuto di una giovane e brillante recluta, Fassbender dovrà legare assieme casi irrisolti vecchi di decenni con questo nuovo e brutale, della speranza di riuscire a smascherare il killer prima della prossima nevicata

Dalle prime immagini viste, il film si presenta come un puro concentrato di tensione e dramma mostrando tutto il talento visionario di Alfredson, che ritorna a dispiegare i suoi movimenti di macchina e la sua fotografia fra scenari innevati, sangue e morti misteriose.

Come nella storia originale al centro del promo mostrato c’è la figura del Detective e il suo personale duello con il serial killer in quello che sembra essere un perfetto thriller giallo che incuriosirà gli appassionati del genere. Tutti questi elementi visti nel promo inedito rendono The Snowman uno dei titoli più attesi dell’autunno.

Mother! recensione del film con Jennifer Lawrence

Mother! recensione del film con Jennifer Lawrence

Darren Aronofsky, autore di Requiem for a Dream (2000), The Wrestler (2008) e Il Cigno Nero (2010) porta alla Mostra del Cinema di Venezia la sua nuova opera folle, delirante, disturbante: Mother! (Madre!). Una violenta riflessione psicotica sulla maternità, sulla creazione, ma anche sull’indifferenza e sull’ego personale.

In Mother! (Madre!) una coppia vive una vita apparentemente noiosa e tranquilla, anche se fin dall’inizio si percepisce qualcosa di tragico, forse avvenuto in passato. Lui (Javier Bardem) è uno scrittore impegnato nella difficoltosa stesura del suo nuovo romanzo, mentre lei (Jennifer Lawrence) si dedica con devozione quasi paranoica al restauro della mastodontica casa. Vivono in un’antica villa coloniale, isolata nel nulla e immersa in una natura apparentemente addomesticata ma pronta a riappropriarsi della radura in cui è stato costruito l’edificio.

Mother!, il film

I due hanno evidenti problemi di coppia, cosa certamente non aiutata dal loro volontario isolamento. Ma una sera arriva un ospite inatteso, poi sua moglie, i suoi figli, in un turbine di accadimenti che sfuggiranno completamente da ogni controllo e razionalità.

In partenza la storia contiene tutti gli stereotipi ormai abusati di certi meccanismi tipici del cinema di genere: la casa minacciosa persa nel nulla che cela segreti spaventosi, la coppia in difficoltà, lo scrittore in crisi alle prese con la sua nuova creatura. L’ospite inatteso apparentemente tranquillo e sornione. Poi tutto precipita. Quello che sembrava avviarsi verso l’ennesimo copione visto un’infinità di volte diventa invece un turbine di eventi inaspettati, sempre più violenti, dirompenti, lontani da ogni logica.

Mother! È un film che non può essere affrontato serenamente, la sua visione pone lo spettatore in uno stato d’ansia quasi insostenibile, fin dai primi fotogrammi. Mother! non è racconto, non è storia. Mother! è un’allucinazione continua a occhi aperti, un delirio in costante evoluzione, uno sconvolgente groviglio criptico che cattura, o meglio che sbrana il pubblico, lasciandolo atterrito, sfinito, sanguinante.

Mother! è una parabola, una fiaba metaforica che ha come valore iniziatico il far capire come la troppa considerazione di se stessi, senza voler guardare a tutto ciò che ci accade intorno, possa portare solamente all’annullamento all’autodistruzione. E a nulla vale il crogiolarsi effimero della procreazione o peggio del gioire del creato del proprio intelletto, perché giocare a fare il demiurgo può rivelarsi molto pericoloso, catastrofico.

Jennifer LawrenceJavier Bardem sono così fastidiosi da risultare perfetti. E anche gli altri personaggi di questa baraonda surreale spiazzano per crudeltà cinismo e naturalezza. Sorprendono per come riescono a spogliarsi nel giro di poche scene di quell’apparente tranquillità con cui si erano presentati. Quando gettano la maschera divengono terrificanti, si mostrano come il doppelganger dell’uomo comune, del vicino di casa, dei nostri familiari.

In Mother! si avvertono innegabilmente gli echi polanskiani di Rosemary Baby, completamente spogliati però di quel barlume di grottesco che caratterizzava quel capolavoro. Si potrebbero ravvisare anche vicinanze con il Lars Von Trier di Antichrist, ma in realtà c’è tanto Darren Aronofsky, quell’Aronofsky degli esordi, quello di π – Il teorema del delirio (1998).

Tre manifesti a Ebbing, Missouri: recensione del film con Frances McDormand

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Arrivato direttamente a una nomination agli Oscar con la sua opera prima (In Bruges, nominato per la migliore sceneggiatura originale), Martin McDonagh si presenta al suo pubblico con il suo terzo lungometraggio, Tre manifesti a Ebbing, Missouri scritto e diretto da lui, secondo abitudine.

In Tre manifesti a Ebbing, Missouri la figlia adolescente di Mildred viene rapita, violentata e uccisa, e dopo sei mesi dall’accaduto la polizia sembra aver smesso di cercare il colpevole. Esasperata dalla sua sofferenza e dall’esigenza di giustizia per il destino di sua figlia, Mildred affitta tre grandi spazi pubblicitari fuori città su cui fa scrivere delle frasi che, con chiaro riferimento alla tragica sorte della figlia, si rivolgono alla polizia locale e allo sceriffo in particolare. Perché nessuno è stato ancora arrestato? L’evento non sarà chiaramente privo di conseguenze e lo spettatore viene catapultato in un intreccio di umanità dolente, in cui ognuno anela alla sua serenità.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri è stato presentato a Venezia 74 e ha riscosso un successo davvero notevole, diventando in breve tempo il film con la migliore accoglienza al Lido. Basato prevalentemente sui personaggi, la storia mescola a intenzioni narrative elementari i grandi sentimenti che animano la parte più viscerale di ogni uomo e donna: la paura, la sofferenza, la rabbia, ma anche la capacità di perdonarsi e perdonare, l’amore nella sua forma più violenta, l’accettazione. Lungi dal realizzare un ritratto stereotipato di una cittadina americana tipo, Martin McDonagh si avvale di un racconto scarno ed essenziale per diramare il suo sguardo su tre perni principali, costruiti dai tre protagonisti: Frances McDormand, Sam Rockwell e Woody Harrelson.

Attori di sopraffino talento, portano in scena dei ruoli complessi e stratificati, proprio perché mutevoli nel corso della storia. La redenzione, il sollievo, la giustizia (che a un certo punto diventa pericolosamente simile alla vendetta): McDonagh fa tendere i suoi personaggi verso mete apparentemente irraggiungibili, che esigono il passaggio attraverso i luoghi più bui dell’anima, e può farlo soltanto grazie alla totale dedizione dei suoi attori ai ruoli che ha scritto per loro.

Nonostante l’estrema durezza di alcune situazioni messe in gioco, Tre manifesti a Ebbing, Missouri è di una commovente delicatezza nel raccontare anche le fragilità di anime in pena, facendolo continuamente attraverso i toni sardonici e i confronti spietati di umanità allo stadio primordiale.

Abituati alla sua commedia nera, gli spettatori saranno spiazzati da un racconto di profondità e dolore insoliti per il regista di origini irlandesi che, pur giocando sempre con la vita e la morte, si prendeva meno sul serio. Eppure, nonostante i pericoli nascosti dietro alla serietà del racconto, McDonagh si conferma un grandissimo costruttore di caratteri, strutturati, seguendo quello che potremmo definire un realismo magico che li rende da una parte concreti essere umani con colpe, difetti e allo stesso tempo capaci di grandi meraviglie, dall’altra mette in piedi lo spettacolo della “surrealtà” che con ironia e divertimento si insinua in ogni singola battuta, nelle espressioni stanche della McDormand, nelle facce concilianti di Harrelson, perfino nel tormento fumantino del personaggio di Sam Rockwell.

La solida sceneggiatura di Tre manifesti a Ebbing, Missouri gli conferisce una potenza espressiva difficilmente rintracciabile nel cinema contemporaneo, giocando su sguardi, silenzi, complicità, alla ricerca del meglio dell’essere umano, prendendo atto del peggio, eppure perdonandolo.

Una famiglia: recensione del film di Sebastiano Riso #Venezia74

Una famiglia: recensione del film di Sebastiano Riso #Venezia74

Una famiglia è il secondo lungometraggio di Sebastiano Riso, dopo Più buio di mezzanotte (2014). Il tema centrale della vicenda è il mercato sommerso di neonati che vengono venduti dalle madri naturali a genitori adottivi compiacenti e privi di scrupoli, che pur di avere un figlio sono disposti a pagare, ignorando le conseguenze che spesso tale gesto impulsivo ed egoista può comportare.

Vincent e Maria sono una coppia che vive modestamente e regolarmente genera e cede i propri figli in cambio di cospicue somme di denaro. Vivono isolati, in un quartiere popolare di Roma, senza amici e lontano dalle proprie famiglie, con le quali hanno tagliato i legami da molto tempo. Lui in particolare, nato e cresciuto vicino Parigi, sembra essersi gettato alle spalle un passato che vorrebbe dimenticare. Apparentemente sembrano affiatati e innamorati, ma è solo una scorza di superficie, che cela il grande dolore di Maria per la continua costrizione a cui è costretta da Vincent. Arrivata all’ennesima compravendita cercherà di opporsi, nel desiderio di poter avere finalmente una famiglia sua.

venezia 74Una scritta iniziale informa che la vicenda è ispirata a storie vere e purtroppo sabbiamo bene che un tipo di mercato così bieco e spietato esiste, ma nel film, nonostante l’approccio registico volutamente spietato, freddo e di taglio molto realistico, la vicenda risulta assai poco credibile e pian piano che si va avanti si fa grande fatica accettare quello che viene raccontato. Viene naturale porsi domande o esigere delle spiegazioni. Manca completamente una descrizione del fenomeno e la terribile compravendita viene rappresentata solo attraverso poche figure: un medico, un’intermediaria e la coppia in questione. Si sente la necessità di conoscere gli spietati meccanismi di tale mercato e capire quali sono le figure che si muovono nelle sue file, molto numerose e sicuramente vicine ad altre forme di criminalità. Probabilmente si tratta di vere e proprie organizzazioni, ma nel film la vendita sembra procedere in maniera autonoma, come si farebbe per un’automobile usata. Probabilmente l’intento del regista era quello di concentrarsi sull’aspetto emotivo e interiore di scelte così estreme e questo viene avvertito, ma quando si fa riferimento a tematiche reali, oltretutto poco trattate, sarebbe doveroso cercare di indagare, di informare, di sensibilizzare.

Una famiglia ha grandi ambizioni, ma cade miseramente per estrema superficialità. Oltretutto la storia non è sorretta da un adeguata interpretazione degli attori. I protagonisti Patrick Bruel e Micaela Ramazzotti, risultano forzati, caricati e portatori di battute il più delle volte artificiose e didascaliche. Tutti gli altri personaggi, in numerosi casi inutili o meramente di servizio, sono ridotti a una vera e propria macchietta, come nel caso della coppia omosessuale che decide di comprare il figlio che ha sempre desiderato, o il mercante d’armi, o ancora la nuova candidata alla turpe attività.

La fotografia è fredda,  stanca, solamente di supporto tecnico, così come la musica. Anche il lavoro di scenografia e di ambientazione, non rende giustizia alla città di Roma, al suo sottobosco di storie ai margini e di infiniti traffici illeciti. Non basta Ponte Casilino, la Tangenziale, un pontile di Ostia, per dare un idea di tutto questo e oltretutto, quanto mostrato in esterno, stona incredibilmente con gli arredi e i colori ricreati in interno, contribuendo ancora di più a trasmettere una sensazione di straniante finzione.

Big in Japan: di cannibali e whiskey dalla terra del Sol Levante

Big in Japan: di cannibali e whiskey dalla terra del Sol Levante

In questi giorni qui al Lido non si capisce più niente. Ti alzi la mattina e vedi un sole stupendo, così decidi finalmente di mettere quei vestiti moda mare Positano che ti eri portata e non vedevi l’ora di indossare. Appena entri in sala però inizia la crioterapia, ma tu ormai dopo anni di Mostra, sai benissimo cosa devi fare. Quindi tiri fuori dalla borsa un piumone, i paraorecchie e la cuffietta, fai il gesto dell’ombrello agli omini che lavorano in sala e che hai ammorbato per anni sulla temperatura interna e ti godi il film. Alla fine, mentre riponi tutto, prendi gli occhiali da sole ed esci dalla sala in tenuta estiva inizi a capire che il meteo, qui, non esiste. E infatti tira un vento gelido che tu ti chiedi se in sala ce sei davvero stata solo 105 minuti, giusto il tempo di conoscere quell’uomo demmerda protagonista dell’ultimo film di Sebastiano Riso, o ce sei stata 4 mesi. Forse è Natale. Cerco un caldarrostaio ma trovo solo file, file ovunque. File per fa pipì, file per entrare al bar, file per passare da un lato all’altro. Perché ormai siamo in modalità controlli. E se passi settordici volte dallo stesso posto comunque te devono ricontrollà. Che io ormai passo e dico ai tizi dei controlli ‘ciao Mimmo!’, ‘Ciao Giulio!’, ‘Ciao Marinelli!’, e loro me rispondono ‘pure oggi te sei portata tre bustine di oki o una l’hai presa?’. Ieri non trovavo un mazzo di chiavi, volevo chiamarli per chiedergli se si ricordavano se erano nella borsa blu o rossa. Va bene. Ieri sera c’è stato il premio Kineo, una roba piena di Vip e Star tipo Claudia Cardinale e Susan Sarandon, che in verità, se la vedi nei selfie che si sono fatti con lei certi colleghi e che girano su facebook ha la costante espressione di chi ammazzerebbe volentieri qualcuno, compresa sé stessa. Ci eravamo preparati, soprattutto le femminucce, e così ci siamo vestite in lungo come delle autentiche star. Peccato che dopo una giornata di sole, s’è messo a scrosciare che manco in Noah di Aronofsky (che aspettiamo per domani con il nuovo Mother. Vediamo se se mette a piove quando arriva lui, eh), per cui – a non prima che un giapponese mi si avvicinasse e mi chiedesse se glie vendevo una sigaretta (tranquilli gliel’ho regalata, già è giapponese e c’ha i problemi suoi di dimensioni) – siamo scappate a casa. In abito da sera, abbiamo cenato tra di noi, e ci sta. Perché nonostante le cose belle, i film di Virzì, i cocktail alla grappa, gli spritz che non si sa perché ma a me e Chiara ci offrono anche perfetti sconosciuti (chissà perché), una serata casalinga tra amici è quasi un miracolo. Poi se c’è il whisky giapponese, ancora meglio, in quel caso le dimensioni non sono importanti.

A proposito di giapponesi. Ieri sera ero un po’ stanchino e volevo andare a letto presto, così ho cercato una pellicola serale gentile e di breve durata che conciliasse il sonno. Caniba, documentario di Verena Paravel e Lucien Castaing-Taylor è sostanzialmente una lunga intervista a Issei Sagawa, un simpaticone nipponico amante della cucina francese, che nel 1986 alla Sorbona uccise brutalmente e mangiò una sua compagna di classe (francese) dal culotto prosperoso, che costituì la base per il primo boccone. Fin qui cosucce. Ma essendo il figlio di un importante industriale, ar gabbio dove secondo quelli che non sanno reggere gli scherzi dovrebbe stare, ci ha passato tipo un quarto d’ora, ha salutato i secondini, ha scureggiato ed è uscito. Ora c’ha tipo cento anni e vegeta assistito da una badante popputa che si veste come una cameriera sexy ed evidentemente è la conferma del fatto che le donne con le tette troppo grosse non sono intelligenti, ma non vi offendete. Vale solo per le giapponesi. Ora, Sagawa, non potendo lavorare, vive della notorietà dovuta a questa sua simpatica boutade, fa ospitate nei talk show e in discoteca manco avesse fatto il Grande Fratello e pubblica fumetti porno dove racconta esplicitamente i dettagli della sua bravata giovanile. Ma non pensiate che nessuno lo redarguisca, eh. Con lui c’è il fratello – un altro tipo che te lo raccomando – che non fà che dirgli di aver fatto una cosa orribile e che non riesce a capire come sia possibile che gli editori gli abbiano pubblicato quella merda. Poi più avanti nel film si scopre che anche il fratello ha delle simpatiche abitudini, come auto-provocarsi ferite gravissime su un braccio e succhiare il suo stesso sangue ma – come dice spesso – “rispetto a quello che ha fatto mio fratello sono bazzecole”.

venezia 74E che gli vuoi dire, non fa una piega. Oh, se riesci a dormire sereno dopo un film così vuol dire che eri proprio cotto. E io ci sono riuscito, se avessi visto gli Orsetti del Cuore mi avrebbero fatto lo stesso effetto, sfruttando anche il fatto che stamattina non ho proiezioni presto, anche se mi dicono un gran bene di Three Billboards Outside Ebbing, Missouri e che ovviamente sarò maledetto per sempre per non averlo visto qui al Festival, ma io sticazzi, sono troppo felice di aver dormito e non rimpiango nulla, che qui il sonno è come l’oro. A quanto pare sono l’unico al Lido a non avere un selfie con John Landis. Ho provato ad aspettarlo mezz’ora prima della sua conferenza per la riedizione in 3D del Thriller di Michael Jackson (amo Landis per il suo spirito squisitamente vintage. Capito? Il 3D. Quella roba che cinque anni fa cercavano di venderci come il futuro della sala), ma niente. Nemmeno Woody Harrelson ci caga punto ma io mi faccio forte di una foto con la carinissima Sara Forestier che mi tocca la barba. Voi non sapete chi sia Sara Forestier perché siete delle bestie e il cinema francese non lo capite – scusate, era il momento di insultare il pubblico per ottenere attenzione – ma io ne vado fierissimo, soprattutto dopo tutti quegli improperi che mi avete mandato quest’estate su Sarahah dicendomi che sembro Babbo Natale sotto acido. Ah, se ve lo state chiedendo, sì. Solo la barba mi ha toccato. Sempre a pensar male, siete più pervertiti del fratello di Sagawa. Di Sagawa no, è impossibile. Più pervertito di lui c’è solo chi, pur essendo strapieno di lavoro, dopo aver staccato una giornata di proiezioni filate una dopo l’altra, è andato al multisala del Lido per vedere per la seconda volta Dunkirk.

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Venezia 74: Martin McDonagh presenta Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Martin McDonagh, autore di Sette Psicopatici e di In Bruges, torna al cinema con una storia che scrive e dirige, Tre Manifesti a Ebbing, Missouri presentato in concorso a Venezia 74.

Il regista di origini irlandesi ha raccontato il suo film e la sua umanità dolente ma ironica, insieme ai suoi protagonisti, Frances McDormand, Sam Rockwell e Woody Harrelson.

IN Tre Manifesti a Ebbing, Missouri Mildred (McDormand) affitta tre grandi cartelloni pubblicitari (i billboard del titolo originale) in cui si chiede perché non è stato arrestato ancora nessuno per lo stupro e omicidio di sua figlia adolescente, tirando in ballo la polizia e la sua “pigrizia”.

L’idea della storia è arrivata da un manifesto simile che il regista ha visto 20 anni fa. “Ho visto una cosa molto simile anni fa, una cosa violenta e oscura e ho pensato a chi potesse mai fare un gesto del genere. La cosa è rimasta sul fondo della mia testa e alla fine ho deciso che potesse essere una madre. I miei primi due film erano concentrati su uomini, e così ho pensato che dovesse essere ora di portare in scena una donna, una madre, molto molto forte. Poi immaginando Frances McDormand mentre scrivevo, tutto è stato più facile.”

Per la protagonista, una straordinaria Frances McDormand alla sua migliore interpretazione dopo la Maggie di Fargo, ha dichiarato: “La storia è una combinazione di divertimento e malinconia e si tratta dell’elemento migliore che si potesse trovare nello script. C’era una grandissima sceneggiatura, e quando succede questa cosa, quando ti trovi tra le mani una sceneggiatura così, non vieni mai trascinato dalla malinconia dei personaggi ma la cavalchi, ed è quello che è accaduto a tutti noi.”

E Martin McDonagh incalza, spiegando così la scelta dei suoi protagonisti: “Sono i migliori attori della loro generazione, Frances in particolare è così attenta. Uno dei punti fondamentali della storia era che fossero vicini alle persone normali, e loro lo sono. Ho già lavorato con Woody e Sam.”

A chi dice che la Mildred del film possa portare la McDormand di nuovo agli Oscar, Frances risponde: “Mildred è la mia Marge (personaggio di Fargo premiato con l’Oscar, ndr) cresciuta. Il mio personaggio era interessante perché alcuni suoi tratti sono simili a quelli di un personaggio del western. Quando pensavo a delle icone del cinema a cui ispirarmi mi venivano in mente solo uomini, e così ho pensato a John Wayne, riferimento che è stato lasciato fuori dal film perché in un paio di scene avevo anche imitato la sua camminata.”

Ma da dove arriva l’ispirazione per una sceneggiatura così puntuale e dei personaggi così realistici? McDonagh risponde: “L’umanità in ognuno. Il segreto è che nessuno è solo cattivo e nessuno è solo buono. Mildred è la protagonista, ma è un’eroina vuota a volte, mentre Dixon è razzista e folle, ma allo stesso tempo cresce come essere umano. E Willoughby è una persona per bene, ma deve fare i conti con i suoi demoni. Il segreto della sceneggiatura è vedere l’umanità nascosta ma presente in ognuno.”

Woody Harrelson ha già lavorato con McDonagh in Sette Psicopatici (come Rockwell), e conosce il regista da molti anni. Sul suo personaggio spiega semplicemente: “Il personaggio era sulla pagina, erano tutti molto ricchi. E il mio lavoro è stato solo quello di portarlo in vita. Se come interprete non hai gli elementi drammatici non puoi avere nemmeno il talento di far ridere e in questo film le cose si mescolano benissimo, anche perché le mie scene con Frances sono state magnifiche, lei è magnifica. È un piacere lavorare con lei, sei sul ring con una forte, molto forte. È stato divertente.”

Dal canto suo, Sam Rockwell interpreta il personaggio con la crescita personale più marcata; il suo Jason Dixon, poliziotto razzista e violento, subisce la più profonda metamorfosi. Per preparare il ruolo, Rockwell ha fatto un particolare tipo di ricerche: “Ho osservato i poliziotti per prepararmi al personaggio, anche Woody lo ha fatto ed è un grande show, credetemi. Ma è una questione di approccio e abbiamo avuto tanti suggerimenti osservando i modi di fare. Ma, ecco, sono persone, ed è sempre bene osservarle. Sono persone.”

Tre manifesti a Ebbing, Missouri, che almeno per la sceneggiatura e le interpretazioni corre il serio rischio di venire premiato a Venezia 74, uscirà in Italia il prossimo 11 gennaio 2018.

Venezia 74, red carpet: Helen Mirren e Donald Sutherland per The Leisure Seeker di Paolo Virzì

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Helen Mirren e Donald Sutherland sono stati i protagonisti del tappeto rosso della serata di Venezia 74 che ha visto la presentazione di The Leisure Seeker, l’esordio in lingua inglese di Paolo Virzì

Venezia 74: The Leisure Seeker recensione del film di Paolo Virzì

Box Office ITA: Cattivissimo Me 3 batte Dunkirk

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Box Office ITA: Cattivissimo Me 3 batte Dunkirk

Cattivissimo Me 3 regge in testa al box office italiano e non si lascia spodestare da Dunkirk, che però ottiene la media per sala più alta della classifica. Forse un po’ a sorpresa, il film d’animazione batte il kolossal d’autore in questo primo fine settimana di settembre. Infatti Cattivissimo Me 3 regge saldamente in testa al box office italiano, incassando 3,6 milioni di euro al suo secondo fine settimana, arrivando a quota 11,2 milioni di euro.

Invece Dunkirk apre in seconda posizione con quasi 3 milioni di euro d’incasso in un numero inferiore di sale (674 contro le 946 di Cattivissimo Me 3). Il film di Christopher Nolan registra la media per sala più alta della classifica, pari a ben 4390 euro. Overdrive perde una posizione con altri 382.000 euro con cui totalizza 991.000 euro, mentre Amityville: Il risveglio conferma la quarta posizione dell’esordio con altri 260.000 euro (totale: 776.000 euro).

Atomica Bionda scende al quinto posto raccogliendo 206.000 euro per un globale di 1,6 milioni di euro. Open Water 3 – Cage Dive debutta in sesta posizione con 192.000 euro ed è seguito da due pellicole in calo: Annabelle 2 (157.000 euro) e La Torre Nera (153.000 euro), giunti rispettivamente a 3,3 milioni complessivi e 2,1 milioni totali. Chiudono la top10 due new entry del fine settimana: Un profilo per due, che esordisce con 89.000 euro, ed Easy – Un viaggio facile facile, che debutta con 55.000 euro.

Venezia 74: Thriller torna al cinema in 3D, la parola a John Landis

Uno degli eventi speciali, nel Fuori Concorso, di Venezia 74, è stata la presentazione del videoclip di Thriller di Michael Jackson, in 3D, il celeberrimo cortometraggio diretto da John Landis. Insieme al video restaurato in stereoscopia, è stato proiettato il documentario del Make-of di Thriller, realizzato da Kenny Kramer.

“Thriller è una cosa di cui sono molto fiero, e avere l’accesso ai negativi e di restaurarlo è stato bellissimo – ha spiegato Landis – E ho avuto la possibilità di restituirlo all’aspetto che doveva avere all’inizio, come lo voleva Michael. Perché su youtube è rovinato.”

Ma per quello che riguarda le sue ragioni più personali, il regista ha detto: “La mia ragione è stata per vederlo di nuovo al cinema, in oltre lo abbiamo rimasterizzato con le tracce originali. È fottutamente magnifico!”

Le idee di Jackson per il cortometraggio erano quelle di realizzare una completa trasformazione in mostro per la star, ma si rese poi conto che sarebbe stato tutto molto complicato in merito alla danza. “Era un fan di Un lupo mannaro, e mi chiese di trasformarlo in un mostro. E da questo è venuto il video. Non era una operazione di marketing, il disco era già stato vendutissimo, il video fu una questione di vanità: perché lui voleva che lo trasformassi in un mostro.”

Landis procede come un fiume in piena, raccontando un aneddoto che lo vide coinvolto al fianco della pop star, l’unico momento, a detta sua, in cui ha veramente avuto paura in tutta la sua vita: “L’unica volta in cui ho a vuto paura è stato con lui, siamo andati a Disneyworld, e appena siamo arrivato in pubblico, abbiamo fatto una foto con Mickey Mouse, e all’improvviso migliaia di persone si sono accorte di lui, e sono venute verso di noi, urlando, da ogni direzione. Ho pensato che volessero mangiarci. È stato davvero spaventoso. E lui salutava tutti, tranquillo. E proprio quando pensavo che saremmo morti, è arrivata una limo, e ha tirato dentro me, lui e Mickey Mouse.”

In merito alla sua morte, John Landis si dimostra ancora una volta sensibile, mettendo in ordine tutte le parole e le priorità giuste: “Una tragedia per i suoi bambini, per la sua famiglia, per il mondo. Una figura brillante e tragica, era davvero un performer incredibile, e sono così rari. Mi fa stare ancora male.”

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