L’anno scorso, e precisamente qui, vi
raccontammo la storia surreale e shockante della giornata
Fassbender, con degradanti visioni non adatte a un
pubblico di persone sensibili sulla perdita di dignità del comparto
femminile lidense al fine di ottenere attenzioni dal noto divo
irlandese di origine tedesca.
Gente abbarbicata sul muretto
adiacente il red carpet fin dalle prime ore del mattino,
scottandosi la pelle sotto al sole cocente, rischiando il collasso,
urlando istericamente senza motivo pure quando usciva l’addetto
alla sicurezza – alle due del pomeriggio. Che cazzo te urli, che i
red carpet so’ alle 19.00? – il tutto al fine di ottenere cosa?
Piccole cose. Quello che ogni fan si aspetta dal suo beniamino. Un
selfie, un sorriso, uno sguardo, trenta centimetri di minchia.
Oggi è uguale, ma in versione
maschile. L’oggetto del desiderio è Jennifer Lawrence, che arriva qui
per presentare Mother! di
Aronofsky, di cui tra poco parliamo perché fa ride per un sacco di
motivi. Individui sudaticci delle età più svariate, sexy come uno
stronzo fuoriuscito dal vaso ed educati come un galeotto portato in
uno strip-club alla sua prima notte libera, si accalcano nelle zone
‘di probabile incontro’ – dalla terrazza dell’Excelsior alla
darsena del Casinò, ribattezzata, per questo motivo, darsena del
casino – scambiandosi ammiccamenti e battute della finezza di un
salame di cioccolato sulle modalità in cui si accoppierebbero
ripetutamente con la bionda interprete di Hunger
Games.
Urlano sguaiati e profumano come
caprini stagionati, e poi si lamentano se lei non si ferma. “Se la
tira”, dicono. E te credo, che se la tira, che se ve la tira a voi,
come minimo si deve fare lavande vaginali per sei anni. Non aiuta
l’invidia. Infatti, nel film, che abbiamo visto stamattina, fin
dall’inizio si capisce che accadranno cose inquietanti, la
più spaventosa delle quali è che Jennifer, giovane attraente e con
le puppe a pera, sta con un vecchio panzone impotente come
Javier Bardem.

Alt, fan di Javier
Bardem, che già vi vedo nervosetti e non vorrei che vi
partisse la brocca come l’altro ieri a quelli di Lapo Elkann,
che ci hanno scritto inviperiti manco gli avessimo insultato la
mamma. Non stiamo dicendo che Javier Bardem è un
vecchio panzone impotente, ma che è molto bravo a interpretare quel
ruolo. Forse perché gli calza a pennello. (Ok, stiamo dicendo che
Bardem è un vecchio panzone impotente – si chiama ironia – ma in
questo modo vi confondiamo così se siete dei cacacazzi che non
capiscono l’ironia avete già smesso di leggere e non ci romperete
le palle con le vostre proteste. Se invece siete intelligenti
continuate).
E poi niente, un incubo lucido,
gente inquietante che ti bussa alla porta, pestaggi, cannibalismo
(aridaje, dopo il giapponese di ieri), cuori strappati, corpi
bruciati, pavimenti che perdono sangue, rituali occulti, cani e
gatti che vivono insieme. Ora. Sono tutte cazzate. Ma col botto
proprio. Che a ripensarci ti scappa su da ridere. Eppure negli
incubi succede così: che lì per lì ti spaventi e poi dici, come in
un flusso di coscienza che ci permetterà di citare coltamente Joyce
e L’Ulisse:
“Oddiomachecazzodesognomesoimmaginatachevenivagenteinquietanteincasaederasempredipiùepoichiedevoaiutoamiomaritomaluieracattivononmesecacavaedavarettaastistronziepoieroincintaeceralaguerraequestisemagnavanoilbambinomachecazzodisognomacheèstatalapeperonatadeierimalimortaccisualosapevochenonladovevomagnàahahahahahahmadòchecazzatamoceridomastanottemesosvejatacollansia”.
Inoltre, mi dovete spiegare perché
il film de quella che se trasformava in cigno – in cigno, che cazzo
– spezzandosi letteralmente le ossa e spargendo tendini sul
pavimento come nel più truculento degli ‘straight to video’ Troma
anni ’90 era stato accolto come una sottile metafora sul sacrificio
nella ricerca della perfezione, mentre questo, che poi alla fin
fine non è altro che una metafora della creazione letteraria (pure
abbastanza scorreggiona, ma non meno dell’altra) non ve va bene.
Perché in sala ci sono stati parecchi ‘buuu’ e fischi. Pure qualche
applauso a dirla tutta. Siccome a me piace che Aronofsky riesca a
far passare per capolavori delle cazzate colossali e anche il
contrario, un po’ fischio, un po’ applaudo, e un po’ dico volgarità
a caso, perché trovo divertente dire volgarità a caso mentre c’è
casino e la gente non sente, un po’ come quando da ragazzino
nel coro dell’oratorio bestemmiavo. Dio mi perdonerà, rideva
pure lui.
Tornando a Jennifer – intanto
Aronofsky se la tromba e voi no, rifletteteci. Magari avrà fatto un
film di merda ma ha scoperto il sapone – sia chiara una cosa: io
pure il mio tentativo di selfie l’ho fatto, ma vista com’era la
situazione ho fatto due conti e ho pensato che quell’ora e mezza
passata ad aspettare dietro ad altre diecimila persone la potevo
investire in piscia e spesa e ho rinunciato. Un quarto d’ora, per
la figa, vale la pena spenderlo, di più no, anche perché non è che
alla fine te la dà. Anzi, spesso nemmeno il selfie riesci a fare e
ti ritrovi a consolarti con una foto abbracciato ai puzzolenti
omaccioni di cui sopra, tutti uniti nel dolore della sconfitta come
se avesse perso la squadra preferita.
Ad ogni modo, lisciare la Lawrence
non mi fa tanto male come l’altro mio grande fallimento personale
di questa Mostra. John Landis continua a non
cagarmi, sebbene mi sia fatto una corsa a perdifiato per la sua
proiezione di Thriller 3D perché avevo letto sul
programma 23.15 e invece era un’ora prima. Arrivo per il rotto
della cuffia e lui è in ritardo. Vedo il film (bellissimo, con
tanto di making of sui trucchi di Rick Baker. Altro che ste cagate
digitali che ci propinano ora) poi esco e lo aspetto fuori dalla
sala per proporre una simpatica foto insieme. Niente da fare:
“autografi sì, foto no”, dice. E mi sta bene, ma perché poi la foto
se la fa con tutti gli altri presenti qui a Venezia, tra un po’
pure co’ Brunetta, e a me no? Che t’ho fatto, Landis? Eppure, ero
in missione per conto di Dio.
Ang
Devo dire che dopo aver
letto il resoconto di oggi di Ang non me la sentirei quasi di
aggiungere nulla, un po’ perché so scoppiata a ride in sala stampa
e m’hanno bevuto (sì i post io e Ang non li scriviamo vicini
digitando a quattro mani come dei poliponi, ma ce li passamo da una
sala stampa all’altra, lui ovviamente sta in quella Vip, io in
quella dei morti di figa, per restare in tema) un po’ perché ho
visto anche io Aronofsky e credo di essere stata l’unica persona
che ha pianto, e non perché ha trovato orrendo il film. Quindi sono
un po’ provata. Ma devo dire che due parole sull’inciviltà durante
le proiezioni vanno spese.
Qua al Lido siamo costretti a
convivere con gente orrenda, sconosciuti che tu non ci staresti
vicina nemmeno in coda dal fruttarolo che invece qui ti trovi sulla
poltrona accanto, per capirci. Un’umanità così variegata che ormai
non ti chiedi più niente, cosa ha senso e cosa no, perché la
vecchia che te vede in coda deve sguscià davanti, quella seduta
accanto a te e tiene otto posti con le borse ti imbruttisce se le
chiedi a film iniziato di liberarne uno, perché, ad esempio, la
gente entra in sala a 20 minuti dalla fine. Perché so più i
vaffanculo che prendi che quelli che dai, ad esempio, come dovrebbe
essere perché sei una persona educata e il resto del mondo no.
Dopo tutto st’ambiente demmerda,
dopo le cose surreali alle quali assisti, uno invece – giustamente
– non può accettare di non cogliere immediatamente il senso di una
pellicola di un regista visionario come Aronofsky, e se sente in
dovere de fischià. Vorrei dire a queste persone che rompono il
cazzo anche appunto se in sala stampa te vibra il cellulare, o se
fumi mentre sei in coda con loro, che invece urlare ‘cretino’ o
‘vergogna’ durante la visione di un film li rende in effetti dei
veri gentiluomini, dei veri cazzutissimi esseri. E ricordare loro
che almeno Aronofsky fa i film, voi non siete in grado manco de
piscià centrando il buco, me lo ha detto la donna delle pulizie,
anzi pure per questo vergognatevi.
Intanto spero che la Lawrence sputi
sul red carpet come un lama, è quello che ve meritate.
Vì