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What’s love got to do with it, recensione del film con Lily James

C’era una volta una principessa, e adesso non c’è più. È come se il fumo che immerge il volto di bambini diventati adulti, si elevi allo spegnimento di ogni candelina a coltre nebbiosa che allontana il sogno, lasciando spazio all’impatto con la realtà. Compleanno, dopo compleanno, ci muoviamo in spazi desolati, sconosciuti; ci incamminiamo lungo i sentieri dell’esistenza colmi di speranza, per poi inciampare sempre sullo stesso ostacolo.

Imbastito da un’ironia intelligente e dall’umorismo tagliente, (presentato in anteprima alla 17.esima edizione della Festa del cinema di Roma) non intende mostrarsi nelle vesti di fiaba principesca, ma sguardo pungente sulla realtà. In Zoe (Lily James) scorre nelle vene quella speranza infantile di vivere il proprio “e vissero felici e contenti”, sebbene a muoversi silente nella mente sia l’eco di un monito che le ricorda la dura legge della quotidianità. Le fiabe vanno strette nel mondo delle donne di oggi; le loro pagine si sono ingiallite, e il racconto infuso di sogni e sospiri ha lasciato spazio a una gomma che tutto cancella, mentre gli occhi si svegliano dal sonno per affrontare il grigiore della realtà.

What’s love got to do with it: la trama

Zoe è una documentarista inglese di successo, mentre il suo vicino di casa Kazim è un oncologo di origine pakistana. Le loro famiglie sono cresciute fianco a fianco nella Londra multietnica. Quando Kazim comunica a Zoe di volersi sposare secondo la tradizione, ovvero lasciando scegliere ai suoi genitori la sua sposa, Zoe decide di girare un documentario sui matrimoni combinati (anzi, “assistiti”, come vuole la nuova dicitura) dal titolo Love (contr)actually. Quello che ne deriverà è uno scontro con i propri sentimenti e con emozioni tenute per troppo tempo a freno.

Giostre di anime perdute

Scorre silente e leggiadra, tra gli inframezzi del film di Shekhar Kapur un’ordinarietà che aspira a vivere di colori, ma che si ritrova, a fatica, a ricercare nello spazio di un mondo che vive di ambizionim ed è sovraesposto a continue aspettative la propria metà della mela. La commedia di Kapur è un saggio sull’amore contemporaneo, sulle difficoltà di trovare la propria anima gemella, o anche solo un partner che possa compensare quel vuoto lacerante che si fa spazio dentro di noi.

Siamo un mondo di anime perdute, che vagano sole illuminate dallo schermo di un pc; anime che passano incuranti le une di fronte alle altre, senza sapere che il defibrillatore che potrebbe farci riprendere il proprio battito cardiaco è lì, a pochi sentimenti da noi.

Un’incuranza che spinge ancora molti giovani a riporre la propria fiducia su un matrimonio combinato, nella speranza che sia il caso a svoltare il proprio destino, livellando una mancanza interiore che si fa sempre più profonda, sempre più insistente. Ed è inseguendo chi non crede nell’amore, o chi lo cerca a tutti i costi, mentre le lancette dell’esistenza scorrono inesorabilmente, che il regista di origine indiana costruisce la propria giostra dell’amore. Un palcoscenico colorato, illuminato da luci calde, accese e brillanti, e pennellato, che eleva a perfetto correlativo visivo di due personalità giovani, genuine ed estroverse come Zoe e Kazim. Due anime incapaci, però, di farsi artefici del proprio destino, lasciando che a illuminare quel percorso impervio chiamato vita, sia la volontà e il desiderio imposto da altri. Ciechi e sordi, vagano soli, perdendosi, fino a ritrovarsi, e insieme a squarciare quel velo che impediva loro la vista reimparando a camminare mano nella mano. 

Sguardi riflessi

In questo gioco di luci e ombre, cuori che battono e altri che attendono di riprendere il proprio ritmo regolare, non è un caso se a inserirsi con discrezione, tra i raccordi di montaggio, è un elemento meta-cinematografico dal forte impatto simbolico. Per una donna come Zoe, che alla portata fantastica delle fiabe ha preferito la registrazione diretta della realtà, la velleità documentarista rivela uno slancio intimistico volto a ritrovare, tra lo spazio di una videocamera, un portale diretto con le proprie emozioni. Incapace di cogliere direttamente i segni che il mondo circostante le lancia circa la propria vita personale e professionale, è dalla riproduzione della propria opera, da quel riflesso sullo schermo, che Zoe si pone a confronto con i propri fantasmi interiori, e i propri  soffocati desideri. È il cinema che si fa specchio riflettente, visione speculare di se stessi; una mano che desta la ragazza dal torpore del sonno, per lanciarla finalmente nel proprio sogno dell’esistenza.

What’s love got to do with itIl viaggio dell’amore

È una pellicola che vive dei canoni imposti dalla commedia d’amore, What’s Love Got To Do With It; un’adesione perfetta che non lascia spazio a tentativi di sabotaggio, o ribaltamenti interni, da parte del proprio regista nei confronti del genere di appartenenza. Senza tradire le aspettative degli spettatori, l’opera si sviluppa su una certa prevedibilità di fondo. Un viaggio di celluloide, durante il quale lo spettatore non sente il timore di perdersi, perché ben conscio di quale sarà la destinazione finale.

Ma se la meta è certa, è il modo in cui il viaggio si sviluppa,  e le tappe intermedie che lo tocca, che è tutto da scoprire; investendo di un umorismo coinvolgente la propria opera, e affidandosi al talento dei propri interpreti, il regista riesce là dove molti mancano: far ridere e commuovere, senza scadere mai nell’esacerbato sentimentalismo. Un’operazione riuscita nella sua semplicità, inserendo punti di svolta e cadute dell’eroe a volte imprevedibili e capaci di sorprendere. Il suo What’s Love Got To Do With It scorre pertanto senza intoppi lungo un rettilineo asfaltato e puntellato di alacre freschezza. Un percorso che ammalia, diverte e intrattiene, la cui destinazione alquanto nota e prevedibile è solo un surplus interiore per un viaggio lungo cui lasciarsi trainare e trasportare con allegria e commozione.

Tra gioie e dolori

È un universo perennemente in collisione, eppure in equilibrio su se stesso, What’s Love Got To Do With It. Una costruzione filmica che cerca il punto di declino, per risalire a testa alta, donando una giusta dose di ottimismo al proprio pubblico. Infuso di un calore domestico e familiare, il mondo di Zoe e Kazim è però sempre minacciato dalla comparsa lancinante di un dolore; è una sofferenza latente, che sbuca e distrugge dall’interno non appena la consapevolezza dei propri errori fa il proprio agguato, e la ragione lascia spazio all’emotività. Una fitta dolorosa che tutto prende e raffredda, scolorendo i colori, e raffreddando i toni. Il rosso dell’amore sperato, agognato, sognato, lascia spazio al blu della notte della mente e del buio dell’anima. Un rapporto dicotomico di uno scarto ambivalente di  attrazioni represse, e sentimenti sottaciuti. Un microcosmo che trova nel personaggio di Zoe il proprio asse terrestre attorno al quale stabilire il proprio moto rotatorio, lasciandosi cullare tra i suoi difetti e pregi, vizi e tante virtù.

Lily James e la sua solarità donano un che di magico, un tocco unico e particolare al mondo di Zoe, che perfetto non è. Una vitalità pronta a lasciarsi adombrare dalle proprie insicurezze, mentre fuori tutto pare una festa. Una lotta interna, la sua, e in continua esecuzione, tenuta nascosta agli occhi del mondo, soprattutto se a osservarla sono sguardi pieni di gioia e irrefrenabile ottimismo come quelli della madre (una gioiosa e inarrestabile Emma Thompson). Ne consegue un ulteriore lettura empatica e interpersonale, dove al desiderio di coppia, si affianca il rapporto a volte conflittuale, e colmo di incomprensioni tra madre e figlia. Uno scarto generazionale, di giovani che sentono il peso delle ambizioni genitoriali, e genitori che riversano sui figli semi di sogni e speranze che loro stessi non sono stati in grado di coltivare, e che fanno dell’opera di Kapur una pellicola a tutto tondo, di cuore e di pancia.

Sebbene edulcorato nei modi e nella risoluzione di conflitti complicati, il film di Kapur riesce comunque ad ancorarsi al mondo che ci scorre attorno, non cedendo mai alle grinfie dell’irrealtà, ma confezionando un abito perfettamente aderente alla quotidianità tanto di Zoe, che del proprio pubblico. Una realtà fatta di giovani sognatori, con gli occhi pieni di speranze, che trovano nel riflesso di uno schermo cinematografico quella fiamma bruciante che accendi il proprio fuoco interiore e illumini loro il cammino. 

Amsterdam, la recensione del film di David O. Russell

Amsterdam, la recensione del film di David O. Russell

David O. Russell torna sul grande schermo con Amsterdam, ben 7 anni dopo Joy, pronto a conquistare una standing ovation da parte del pubblico. Il film è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, e sarà nelle sale dal 3 novembre.

L’hype costruitosi attorno alla pellicola, grazie soprattutto al parterre di attori proposto dal regista, ha lasciato con il fiato sospeso fin’ora e con la speranza che l’attesa valesse le aspettative. Fra i produttori compare il nome di Christian Bale, protagonista principale della storia nonché voce narrante.

Amsterdam, la trama

New York, 1933. Il dottor Burt Berendsen (Christian Bale) e Harold Woodman (John David Washington) sono veterani della Prima Guerra Mondiale, legati da una forte amicizia fraterna. L’arrivo nella loro vita di Liz Meekins (Taylor Swift) sconvolge il già precario equilibrio dei due, i quali nel tentativo di scoprire cosa abbia causato la morte del padre di lei, si trovano invischiati in un omicidio di cui sono i primi sospettati.

È ora il 1918. Un flashback riporta indietro nel tempo, al periodo della Guerra. Dopo essere stati feriti in Belgio, i due vengono curati dall’infermiera Valerie Voze (Margot Robbie), con la quale instaurano un rapporto molto viscerale. I tre si trasferiscono ad Amsterdam, città in cui trascorrono il periodo più bello della loro vita, finché lei non sparisce nel nulla.

Un salto temporale riporta agli anni ’30. Dopo essersi ricongiunti con Valerie, il trio di amici cerca di venire a capo dell’omicidio sia del Generale Meekins che di sua figlia Liz, grazie all’aiuto di Gil Dillenbeck (Robert De Niro). Ma nel tentativo di farlo, si scontreranno con una forza molto più grande di loro: i complotti politici.

Una trama fragile per un cast stellare

90 grammi di crime comedy, un pizzico di slapstick, un po’ di noir e la “prorompenza” della storia del dopoguerra: ecco cos’è Amsterdam. Una pellicola ibrida, che nell’intento di far coesistere i generi di cui si dichiara pregna, rigurgita un prodotto plastificato e poco sviluppato. Per portare in sala un film all’apparenza valido, O. Russell ha “assoldato” un team di star dal grande calibro. Come pedine di un gioco li ha poi sparpagliati in una storia senza un capo né una coda, non dando loro un background approfondito né tantomeno un filo narrativo ben costruito. Ed ecco quindi il principale problema: una trama sconnessa portata avanti da personaggi spezzati a metà.

Fra sguardi in camera che rompono la quarta parete, una patina vintage che avvolge tutto il filmico, e i temi del razzismo e della dittatura europea che il regista tenta di amalgamare nel migliore dei modi, Amsterdam si perde nel vano tentativo di diventare il nuovo blockbuster dell’anno. Quel grandeur cinematografico che poteva quindi essere restituito – grazie anche all’aver “commissionato” un cast di tal portata per darne ulteriore spessore – rimane un’illusione. O meglio, un sogno.

L’unico elemento positivo è la nota sentimentale e affettiva del film. L’amore di Harold e Valerie che nonostante il periodo storico sfavorevole decidono ugualmente di iniziare una relazione alla luce del sole e la partnership fra Burt, Valerie e Harold che va al di là di qualsiasi pregiudizio, omicidio e dinamica politica. È perciò questa l’unica vittoria di Amsterdam: portare in scena un’amicizia solida, che non si piega alle distanze oltreoceano e soprattutto allo scorrere del tempo.

Burt, il narratore onnisciente di cui non si aveva bisogno

La prima regola aurea – come dice Robert McKee – applicabile sia nella stesura di un romanzo che di una sceneggiatura, è mostrare senza dover spiegare. O. Russell, invece, compie un atto di distruzione verso quell’artificio narrativo, sbriciolando quel poco di interesse investigativo che la trama stava faticando a trasmettere dopo l’omicidio di Liz Meekins. Testo e sottotesto, in un lungometraggio ben riuscito, sono la chiave necessaria affinché esso abbia un senso: in questo caso il regista sembra aver fatto di tutto per annientarli entrambi. Una scena non parla mai di ciò di cui sembra parlare, o non sarebbe autentica. C’è sempre altro oltre ciò che viene mostrato ed è l’unica arma per farla concretamente funzionare.

Il sottotesto, che funge da contraddizione al testo, è il meccanismo che spinge lo spettatore a porsi domande e partecipare alla dinamica. In Amsterdam, però, gli attori non possono compiere quella performance “multistratificata” indispensabile per la scoperta di quelle verità insite nelle battute. I comportamenti e i dialoghi dei protagonisti sui generis vengono spiegati ad ogni beat in maniera macchinosa dalla voce narrante del Burt di Christian Bale. Come se senza di essi la storia non venisse capita.

Sottolineare questo o quell’atteggiamento, questa o quella parola, invece di farla vedere grazie a stratagemmi, turning point e sequenze più dettagliate, non solo rallenta il progredire della storia, ma blocca la fruizione. Sapere tutto, come il narratore onnisciente di un libro, conduce alla noia e a volte anche alla frustrazione. E qui c’è solo il disperato bisogno di giungere ai titoli di coda il più in fretta possibile e senza dover assistere ad altri scempi.

Amsterdam si rivela perciò una pellicola di serie b, su cui è stato costruita attorno una grande propaganda per sopperire, probabilmente, ad una sua mancanza di contenuto. L’errore di O. Russell è stato non comprendere che a volte è meglio – anzi necessario – farsi da parte.

Alice nella Città, i numeri della XX edizione

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Alice nella Città, i numeri della XX edizione

Per usare una metafora calcistica, sono tanti i gol segnati dalla ventenne Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, diretta da Fabia Bettini e Gianluca Giannelli. Rispetto al 2021 ha registrato un aumento dei biglietti venduti del 51% tra scuole, accreditati e proiezioni serali, un aumento del pubblico di accreditati del 39% e, in generale, una crescita dell’interesse con 42.000 presenze (7.000 in più rispetto all’anno scorso ) tra Casa Alice, Auditorium Parco della Musica, Cinema Giulio Cesare, Auditorium Conciliazione e i luoghi della città che hanno ospitato le varie iniziative in programma. E si attendono ancora i 15 film in programmazione nel weekend e la proiezione, in chiusura di Alice nella Città lunedì, della serie “Boris 4”. Un dato su tutti premia questa ventesima edizione: un aumento del 31% di pubblico rispetto al 2019 anno che precede le restrizioni imposte dalla pandemia.

Complici di questa crescita: l’affluenza delle scuole finalmente libere di tornare in sala senza dispositivi di sicurezza (+68% delle classi presenti alle proiezioni rispetto al 2021); una programmazione “coraggiosa”, come l’hanno definita i direttori, capace di rispondere alla “richiesta di complessità” da parte del pubblico che ha scelto film che affrontano temi legati all’identità di genere, ai rapporti familiari e sociali, al passaggio dall’infanzia all’adolescenza; e infine la capienza dell’Auditorium Conciliazione che con i suoi 1500 posti è la sala più grande di tutta la Festa del Cinema.

“Se in passato eravamo molto seguiti soprattutto dalle scuole con le proiezioni del mattino – sottolineano Fabia Bettini e Gianluca Giannelli – quest’anno lo siamo stati anche la sera a dimostrazione del fatto che abbiamo allargato la nostra la nostra platea, intercettando un pubblico nuovo, non solo di giovani ma anche di appassionati di cinema. La crescita degli incassi del 70% – ha aggiunto – ci ha poi permesso per la prima volta di superare la quota di 500 mila euro di budget”.

Non solo, Alice nella Città ha rafforzato quest’anno anche il suo ruolo di scopritore di nuovi talenti: la sezione Panorama Italia è cresciuta sia in termine di presenza che di apprezzamento da parte di pubblico e critica e i cortometraggi sono stati molto seguiti (+35% rispetto al 2021) e per questo “saranno senz’altro – sottolineano i direttori – una frontiera su cui continueremo a concentrarci”.

Ancora i tanti ospiti internazionali, dai fratelli Dylan e Hopper Penn a Charlotte Wells, le masterclass con Russell Crowe e con Emma Marrone che hanno mostrato come sia importante il passaggio delle esperienze da una generazione all’altra; l’incontro con  James Gray e, infine, i film condivisi con la Festa del Cinema di Roma (“Poker Face” di Russell Crowe, “The Fabelmans” di Steven Spielberg, “Armageddon Time” di James Gray e la serie “Boris 4”) che hanno segnato “un’andata e ritorno virtuoso” e hanno permesso al pubblico di godere di entrambi i progetti, hanno poi reso unica questa edizione. Senza contare l’utilizzo dei maxi schermi di Urban Vision che hanno portato Alice nella Città tra le strade della Capitale e nel cuore della città. “Si è respirata un’aria di festa diversa – hanno commentato Fabia Bettini e Gianluca Giannelli – come se un’intera comunità si fosse ritrovata in piazza. Poi a riflettori spenti ragioneremo non solo sui numeri ma anche sugli obiettivi, ma per il momento i numeri ci hanno dato ragione sia per la nostra proposta, sia per il nostro approccio e sia per le collaborazioni messe in atto con le scuole di cinema e con i nostri media partners”. E hanno concluso: “Il cinema non può cambiare il mondo, ma un mondo lo può inventare. E questo nuovo mondo sta chiedendo anche una rigenerazione dell’industria cinematografica che deve essere più coraggiosa. C’è un pubblico fuori che ha voglia di cinema, non solo di intrattenimento, ed è pronto ad accogliere proposte nuove. E quest’anno più mai Alice nella Città lo ha dimostrato”.

  • Sono stati 32.0000 i biglietti emessi fino ad ora durante la XX esima edizione di Alice nella Città e 42.000 le presenze registrate tra Casa Alice, Auditorium Parco della Musica, Cinema Giulio Cesare e Auditorium Conciliazione (lo scorso anno le presenze sono state circa 35000). La biglietteria di Alice nella Città è aumentata del 51%. Si attendono però ancora 15 film in programmazione nel weekend e la proiezione in chiusura della serie Boris 4.

  • Alice nella Città ha programmato in calendario 81 proiezioni totali e ha registrato un aumento degli spettatori grazie anche alla capienza dell’Auditorium Conciliazione (1500 posti), la sala più grande della Festa del Cinema di Roma, che ha accolto il pubblico con una occupazione media del 85% per cento tra proiezioni mattutine, pomeridiane e serali.

  • Rispetto al 2021, le scuole presenti alle proiezioni sono aumentate del 68% e gli incassi del 70%. In confronto al 2019, anno pre Covid19, si registra un aumento del 31%.
  • I cortometraggi hanno registrato un aumento di pubblico del 35% rispetto allo scorso anno.

  • Gli accreditati che hanno partecipato ad Alice nella Città sono cresciuti del 39% rispetto al 2021.
  • Il budget di Alice nella Città del 2022 è di circa 500 mila euro.

Festa del Cinema di Roma 2022: tutti i film premiati

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Festa del Cinema di Roma 2022: tutti i film premiati

A partire dalla diciassettesima edizione, la Festa del Cinema di Roma è stata ufficialmente riconosciuta come Festival Competitivo dalla FIAPF (Fédération Internationale des Associations de Producteurs de Films). A seguire, tutti i riconoscimenti assegnati oggi, sabato 22 ottobre, nel corso della cerimonia di premiazione che si è svolta alle ore 16.30 presso la Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone.

CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA

Una giuria composta dalla regista e fumettista Marjane Satrapi, l’attore e regista Louis Garrel, i registi Juho Kuosmanen e Pietro Marcello e la produttrice Gabrielle Tana ha assegnato i seguenti riconoscimenti ai film del Concorso Progressive Cinema:

– Miglior Film: JANVĀRIS (JANUARY) di Viesturs Kairišs

– Gran Premio della GiuriaJEONG-SUN di Jeong Ji-hye

– Miglior regiaVIESTURS KAIRIŠS per Janvāris (January)

– Miglior attrice – Premio “Monica Vitti”KIM KUM-SOON per Jeong-sun

Miglior attore – Premio “Vittorio Gassman”: KĀRLIS ARNOLDS AVOTS per Janvāris (January)

– Miglior sceneggiatura: ANDREA BAGNEY per Ramona

– Premio speciale della Giuria (proposto dal Presidente a scelta fra le categorie sceneggiatura, fotografia, montaggio e colonna sonora originale): FOUDRE di Carmen Jaquier per la fotografia di Marine Atlan

È stata inoltre assegnata la Menzione Speciale della Giuria all’attrice LILITH GRASMUG per la sua performance in Foudre.

MIGLIOR COMMEDIA – PREMIO “UGO TOGNAZZI”
Una giuria presieduta dal cineasta Carlo Verdone e composta dall’attrice Marisa Paredes e dall’autrice e attrice Teresa Mannino ha assegnato il Premio “Ugo Tognazzi” alla Miglior commedia (scelta fra i titoli delle sezioni Concorso Progressive Cinema, Freestyle e Grand Public), al film:

WHAT’S LOVE GOT TO DO WITH IT? di Shekhar Kapur

È stata inoltre assegnata la Menzione Speciale Miglior Commedia – Premio “Ugo Tognazzi” al film RAMONA di Andrea Bagney.

MIGLIORE OPERA PRIMA BNL BNP PARIBAS
Una giuria presieduta dalla regista e sceneggiatrice Julie Bertuccelli e composta dal regista Roberto De Paolis e dalla critica cinematografica Daniela Michel ha assegnato il Premio Miglior Opera Prima BNL BNP Paribas (scelta fra i titoli delle sezioni Concorso Progressive Cinema, Freestyle e Grand Public), al film:

– CAUSEWAY di Lila Neugebauer

Sono state inoltre assegnate due Menzioni Speciali Miglior Opera Prima BNL BNP Paribas ai film RAMONA di Andrea Bagney e FOUDRE di Carmen Jaquier.

PREMIO DEL PUBBLICO FS
Tra i film del Concorso Progressive Cinema, gli spettatori hanno assegnato il Premio del Pubblico FS al film:

– SHTTL di Ady Walter

Il pubblico della proiezione ufficiale e della prima replica di un film ha espresso il voto utilizzando l’APP ufficiale della Festa del Cinema “Rome Film Fest” e attraverso il sito www.romacinemafest.it.

I NUMERI DELLA FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2022

Ramona, recensione del film di Andrea Bagney

Ramona, recensione del film di Andrea Bagney

Ramona e Bruno sono due anime destinate a incrociarsi nel marasma cittadino, e con le proprie parole dare inizio a una sinfonia urbana pronta a spegnersi per lasciar spazio allo scorrere dei pensieri, di riflessioni lanciati a mille tra bar e vie isolate. 

Filtrato dalla cinepresa di Andrea Bagney, Madrid si ammanta di un bianco e nero di altri tempi; un bicromatismo di un microuniverso non certo senza colore, ma a cui bastano due cuori che battono e si arrestano, l’uno di fronte all’altro, per plasmare un prisma cromatico di mille sfumature invisibili. È nello sguardo, nella velocità dei dialoghi, nelle labbra aperte nell’attesa di una risposta, che si celano le pennellate colorate dell’esistenza. 

Ramona si fa pertanto opera di altri tempi, una messa in sequenza di istantanee cinematografiche che elevano attimi di vita quotidiani in momenti veri, reali, ma soprattutto immortali. 

Ramona: la trama

È incostante, insicura, eppure sognatrice, la protagonista di Ramona, opera prima della regista Andrea Bagney, presentata nel corso della 17.esima edizione della Festa del cinema di Roma. Al centro della pellicola lei, quella Ramona (Lourdes Hernández) – chiamata da tutti Ona – che presta il proprio nome al titolo e che in una giornata di sole si imbatte nel curioso regista cinematografico Bruno (Bruno Lastra). Da subito innamorato di lei, luomo farà precipitare Ona in una spirale di dubbi circa la propria relazione col marito Nico (Francesco Carril) in un costante dialogo tra psicologia femminile, e arte cinematografica.

La vita che si fa evento speciale

Custode di momenti ordinari, assurti e assorti nella straordinarietà dell’evento cinematografico, Ramona è un po’ Manhattan di Woody Allen, un po’ Frances Ha di Noah Baumbach, con una spruzzatina di Richard Linklater, senza per questo perdere la propria unicità di sguardo e restituzione degli eventi. Esteticamente debitrice a un universo cinematografico segnato dalle impronte dei grandi del passato, che del recente presente, il film di Andrea Bagney si incammina lungo percorsi già battuti per ricercare la propria strada e la propria voce.

Cristalizzandosi nello spazio di inquadrature perlopiù fisse, la macchina da presa si presta a tanti sguardi che colgono di sfuggita, e senza alcun desiderio di intromissione, lo svolgersi di un’intesa che nasce, lasciandone appassire un’altra. Colti da vari punti di vista e angolature, la Bagney lascia che siano i propri personaggi a mostrarsi in maniera del tutto naturale e spontanea ai propri spettatori, attraverso la portata dei propri pensieri, l’esternazione curiosa dei propri ricordi, e la carica gestuale rivelante pregi e difetti di un carattere perfettamente restituito dalla caratura di performance coese, profonde, verosimili.

È solo nella messa in pausa di bocche che parlano, e piedi che camminano, che la macchina da presa si libera del suo stato granitico, per seguire come una calamita i propri personaggi lungo quella scia attrattiva che emanano e da cui è impossibile distaccarsi. Un’aura potentissima, la loro, in cui non vi è apparentemente nulla di speciale, quando è proprio negli inframezzi di questa anonimia dell’esistenza, che si ritrova la bellezza di Ramona. Un gioco di prestigio, una formula chimica, che fa del cinema un mago talentoso capace di rendere straordinario l’ordinario, e la vita quotidiana materiale da sogno a occhi aperti.

Happening di vita e finzione

Seduti sulla poltrona, gli spettatori vivono di illusioni; credono di essere parte integrante di quell’universo urbano che si staglia dinnanzi a loro, e testimoni privilegiati di un microcosmo interiore in fase di (de)costruzione. È un happening di taglio teatrale, quello di Ramona; una performance che vive nel momento della sua esecuzione, senza possibilità di repliche, proprio come la vita al di là dello schermo.

Un’onda continua di parole comunicate in apnea, e mani che arrancano per cercare il proprio porto sicuro; il tutto custodito tra i confini di una cornice di fattura meta-cinematografica, dove l’arte dell’essere si sostituisce e si mescola a quella del fingere. Ramona è un dialogo continuo con la modulazione di un futuro in divenire, e la costruzione di un rapporto fittizio, da modellare con la forza della macchina da presa.

Il gioco dell’attrazione tra l’attrice Ona, e il regista Bruno, si fa riflesso speculare delle pennellate che dipingono quell’universo di celluloide alla seconda inserito all’interno del racconto primario. Un passaggio di testimone che dimostra la magia del cinema di trasformare l’invenzione in realtà, lasciando credere che quello nato e ricreato dai personaggi sullo schermo sia la vera finzione. E proprio per sottolineare il materiale estraneo a quel mondo ordinario vissuto e creato al ritmo dei battiti cardiaci di Ramona, Bruno e Nico, che la regista sostituisce al bianco e nero dell’ordinarietà, i colori accesi e cangianti della sostanza meta-filmica.

I provini, le prove, e tutto il microuniverso che si svolge davanti all’obiettivo della cinepresa si veste di abiti colorati e brillanti, illuminati da una fotografia viva e splendente che ne tradisce la propria natura artefatta, irreale, immaginifica. Perché è nello spazio del bianco e nero, di due corpi e anime in antitesi che si nascondono le mille sfumature di una realtà banale, ordinaria, ma proprio per questa maledettamente vera. 

Ombre di fattura ordinaria

Tra le strade cittadine, tra le mura di un locale, o cullati nel proprio nido domestico, nessun indizio intende far capolino per tradire la natura drammatica e finzionale dell’opera di Andrea Bagney.  Lourdes Hernández e Bruno Lastra perdono la propria unicità per aderire perfettamente all’anima dei loro protagonisti. Investiti di una comicità mai forzata, ma perfettamente coerente all’umore di situazioni divergenti e mutevoli che sono chiamati ad affrontare, gli interpreti portano a compimento quel processo iniziato dalla potenza della macchina da presa, per tradurre in realtà frammenti una fantasia narrativa.

Anche la foga di una gestualità marcata, non solo si fa sintomo di una teatralità interpretativa tipicamente spagnola, ma reitera quel comportamento non verbale che accompagna tanti ignari interlocutori nei loro scambi interpersonali durante la vita di tutti i giorni. Il muro che separa la realtà diegetica, con quella spettatoriale, viene dunque abbattuto, in un girotondo di parole, sensazioni e attimi di vita vorticoso e coinvolgente. 

Non sono fantasmi di un passato riportato alla luce i personaggi di Ramona; il cinema della Bagney non è quello di Roma di Alfonso Cuaròn: non intende, cioè, farsi ponte diretto con i ricordi di ieri, richiamando frammenti dell’aldilà sul terreno dell’oggi. Le anime che vivono tra i raccordi di Ramona sono ombre di un presente che si svolge incurante degli altri; ombre scelte e insignite di valore e interesse, elevandosi a luce di proiezione, strumento straordinario di racconto di entità ordinarie. Entità che si incontrano, si parlano, si allontanano, Ramona e Bruno sono i poli opposti di una sala di aspetto fatta di celluloide, costruita e modellata nell’attesa di un abbraccio che tarda a compiersi, e con cui liberare, catarticamente, le proprie emozioni.

Specchio di mille incontri e abbandoni, di speranze e sorrisi, Ramona leviga quel vetro smerigliato che fin troppe volte impedisce la visione, e l’immedesimazione spettatoriale, per trascinare il pubblico al centro di esistenze paradossalmente così normali, da sembrare speciali. Un’equazione sottile, impercettibile, compiuta incosciamente, che eleva a straordinaria anche la realtà apparentemente banale di un pubblico così coinvolto in una storia in cui è portato a ritrovarsi, per ritrovare tra il bianco e nero di Ramona, le sfumature della propria esistenza.

The Hotel, recensione del film di Wang Xiaoshuai

The Hotel, recensione del film di Wang Xiaoshuai

Presentato in concorso alla Festa del Cinema di Roma, arriva The Hotel del regista cinese Wang Xiaoshuai, girato con povertà di mezzi e in poco tempo – soli quattordici giorni – durante il confinamento del regista e di un gruppo di suoi colleghi, artisti e tecnici del cinema, in un albergo in Thailandia. Qui Wang era in vacanza. Vi è rimasto confinato assieme alla troupe, con il dilagare della pandemia e l’interruzione dei voli verso la Cina. 

La trama di The Hotel

Vite che si intrecciano in un albergo e si confrontano con l’irrompere della pandemia da Covid-19. Sova, Yuanyuan Ning, una ragazza ventenne con sua madre, Ying Qu. Il giovane A Dong, Srisai Worrapon, che si occupa di un uomo disabile di mezza età, Jun Dai. Una coppia formata da un ex professore universitario, Fu Ye, e sua moglie, in crisi. Costretti a stare insieme, si conoscono e in alcuni casi, nascono amicizie o simpatie. Sova sta per compiere vent’anni e sua madre le ha promesso, per il suo compleanno, di rivelarle un segreto.

Un esperimento non riuscito

The Hotel cerca di fotografare lo spaesamento e la difficoltà dei rapporti umani, acuiti dalla pandemia. Lo fa attraverso scelte stilistiche e tecniche che non lo portano però all’efficacia, eccetto per il bianco e nero e per una fotografia tecnicamente molto bella, sebbene non particolarmente originale. Ecco allora, tempi dilatati, lunghe pause. I dialoghi sono ridotti al minimo. Le difficoltà relazionali così mostrate, le fragilità umane così rivelate, non riescono però a coinvolgere lo spettatore, che finisce per annoiarsi. La struttura del film è suddivisa in capitoli, con una parziale inversione dell’ordine cronologico. Questa scelta, però, non giova particolarmente al film, né trova una precisa giustificazione. Il cast offre interpretazioni che difficilmente riescono ad emozionare e non trasmettono la paura, l’incertezza, il senso del pericolo e della tragedia incombente, che in quei giorni tutti hanno provato. Peccato, perché avere poco tempo a disposizione e pochi mezzi non necessariamente significa non poter dar vita a un buon film. Nel caso di The Hotel, purtroppo, l’esperimento non sembra essere riuscito.  

La stranezza, la recensione del film con cui (ri)scoprire Pirandello

Vada come vada, La stranezza di Roberto Andò resterà un film emblematico, per la collaborazione tra RAI e Medusa che il regista ringrazia per il “gesto particolarmente significativo in un momento così difficile”. E sia come sia, la fantasia del regista sulla “nascita di un capolavoro che ha cambiato per sempre e in ogni latitudine l’idea del teatro” potrebbe sostituire gli altri titoli della sua ricca filmografia nel cuore degli appassionati. Sicuramente quelli di Ficarra e Picone (qui alla loro prova migliore) e di Toni Servillo, che offre l’interpretazione di un Pirandello che difficilmente potremo scindere dall’immagine che abbiamo del grande autore siciliano.

La stranezza di Pirandello, e dei suoi amici

Ed è proprio Luigi Pirandello, in occasione dell’ottantesimo genetliaco dell’amico Giovanni Verga nel 1920, a intraprendere un viaggio di ritorno nella sua terra. A Girgenti conosce i due singolari becchini Nofrio e Bastiano, impegnati per passione nella preparazione di uno spettacolo teatrale, alle prove del quale lo scrittore finisce per assistere anche per distrarsi dalla preparazione della sua nuova commedia, ancora in fieri eppure in grado di ossessionarlo con visioni spettrali, ricordi, malinconiche apparizioni.

Invitato da Nofrio e Bastiano alla prima della loro farsa – La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzu – Pirandello assiste alla trasformazione della recita in una tragedia che coinvolge tutti gli abitanti presenti nel piccolo teatro. Una resa dei conti totale in cui a confrontarsi sono la platea e gli attori, alla quale lo scrittore assiste turbato. Ma che sembra in grado di lasciare un segno, al punto da spingere l’autore a ricambiare l’invito ai due, che ritroviamo a Roma, nel 1921, alla prima dei Sei personaggi in cerca d’autore in programma al Teatro Valle.

Un’opera immortale, un omaggio unico

Nelle mani di Andò, questa volta, invece, tutti i personaggi trovano un autore, e una loro vita, ma soprattutto un equilibrio del quale non si può che dare i meriti al regista di Palermo. Che fa un lavoro egregio nel gestire un trio di protagonisti tanto ‘ingombranti’ (per visibilità e importanza), e ad alternarli in scena, dopo aver realizzato una sceneggiatura – insieme a Massimo Gaudioso e Ugo Chiti – di quelle che non si vedono spesso sui nostri schermi.

Di certo, l’amore per il soggetto e il ricordo del giorno in cui fu lo stesso Leonardo Sciascia a regalargli la splendida biografia di Luigi Pirandello curata da Gaspare Giudice devono averlo motivato in maniera particolare, ma questo non inficia in alcuna maniera l’apprezzamento per un risultato sorprendente. Un film pieno, godibile, ben realizzato, divertente e commovente insieme, nel quale mito, folklore e fantasia si mescolano rapendo lo spettatore, felice di abbandonarsi a un’avventura verosimigliante che gioca con l’esito surreale – eppure reale – che la storia della nostra letteratura e del nostro teatro ci raccontano.

La creazione resta ‘Stranezza‘ fino a che non trova una propria voce, o qualcuno che parli la stessa lingua. E mentre il dramma rappresentato si sovrappone a quello vero, in un gioco di finzioni e ambiguità, va svelandosi il paradosso che permea questa strana commedia, divertente e stratificata. Che gradualmente ci conquista, prima con l’umorismo più riconoscibile e definitivamente con i fantasmi di una storia che fa indissolubilmente parte del nostro DNA.

Momenti di trascurabile felicità: libro, trama e cast del film

Momenti di trascurabile felicità: libro, trama e cast del film

Ci sono libri decisamente inadattabili per il grande schermo e c’è chi invece quei libri riesce comunque a trasportarli al cinema, magari costruendovi sopra racconti che esulano da quello originario ma che mantengono fede al cuore tematico di questo. Uno dei più recenti casi di questo tipo è Momenti di trascurabile felicità (qui la recensione), arrivato in sala nel 2019 per la regia di Daniele Luchetti. Il film è tratto dall’omonimo libro di Francesco Piccolo, che per l’occasione ha curato anche la sceneggiatura insieme allo stesso Luchetti.

Uscito nel 2010, e seguito poi nel 2015 da Momenti di trascurabile infelicità, lo scritto di Piccolo è un racconto che procede per frammenti, descrivendo quei piccoli momenti di gioia presenti nella vita di ognuno di noi. Considerati trascurabili perché legati all’apparentemente insignificante, questi racchiudono in realtà il senso di intere esistenze. Adattare per il grande schermo un racconto privo di una storia unica e coerente, però, era impresa piuttosto ardua, che Luchetti ha risolto riunificando tutti questi momenti all’interno di una storia originale.

Apprezzato da critica e pubblico, il film si propone dunque come un divertente e commovente ritratto di tutti quei momenti di felicità spesso trascurati, in cui ognuno può però ritrovarsi. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Momenti di trascurabile felicità: la trama del film

Protagonista del film è Paolo Federici, sposato con Agata e padre di famiglia, il quale per una bravata finisce con l’essere vittima di un incidente stradale: all’incrocio con un semaforo, in sella al suo scooter, Paolo viene letteralmente travolto da un camion. Subito dopo, però, si ritrova in paradiso quantomai caotico, simile ad un ufficio postale, con lunghe code di persone in attesa di sapere quale sarà il loro destino. Qui, dopo aver scoperto un errore nel conteggio del tempo che gli rimaneva da vivere, gli viene concesso di ritornare sulla Terra, sotto la supervisione di un angelo.

Paolo ha però a disposizione solo un’ora e trentadue minuti, durante i quali dovrà sistemare tutte le faccende importanti rimaste in sospeso. Nulla di significativo sembra però attuabile in quel tempo ridotto, e Paolo dovrà accontentarsi di trascorrere i suoi novantadue minuti in piccoli “momenti di trascurabile felicità”, che appariranno ora ai suoi occhi quanto mai significativi. Riassaggiando la bellezza della vita, allo scadere del tempo Paolo farà di tutto per non dover tornare in Paradiso.

Momenti di trascurabile felicità cast

Momenti di trascurabile felicità: il cast del film

Nel ruolo del protagonista Paolo Federici si ritrova Pierfrancesco Diliberto, meglio noto come Pif. Con questo film egli torna al cinema dopo tre anni di assenza, quando aveva diretto e interpretato In guerra per amore. Dedicandosi a Momenti di trascurabile felicità Pif ha dichiarato di essersi preparato al suo personaggio ricercando quante più cose in comune con questo, soffermandosi sul notare i propri momenti di trascurabile felicità. Nel ruolo di Agatha, la moglie di Paolo, vi è invece la cantante e attrice Thony. Prima di questo film aveva già recitato in Tutti i santi giorni, Ho ucciso Napoleone e L’ospite. Per la sua interpretazione in Momenti di trascurabile felicità ha poi ricevuto la nomination come miglior attrice protagonista ai Nastri d’Argento.

L’attore Renato Carpentieri, visto recentemente nei film Una storia senza nome, Ride, Hammamet e La vita davanti a sé, compare qui nel ruolo dell’angelo del Paradiso incaricato di accompagnare Paolo nel suo breve ritorno sulla Terra. Nel film compaiono poi anche Franz Cantalupo nel ruolo di Giuseppe e Vincenzo Ferrera in quelli di Carmine. Quest’ultimo torna così al cinema dopo aver recitato in televisione in Un posto al sole, Boris Giuliano – Un poliziotto a Palermo e Il cacciatore. Vi sono infine anche Roberta Caronia nel ruolo di Silvana, Angelica Alleruzzo in quello di Aurora e Francesco Giammanco nei panni di Filippo.

Momenti di trascurabile felicità: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Ogni tuo respiro è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili, Infinity, Apple iTunes, Amazon Prime Video e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 22 ottobre alle ore 22:50 sul canale Rai Movie.

Fonte: IMDb

La legge della notte: trama, cast e curiosità sul film di Ben Affleck

Dopo aver diretto i thriller Gone Baby Gone e The Town, l’attore Ben Affleck si è consacrato come regista grazie ad Argo, che gli ha permesso di vincere l’Oscar per il miglior film. Quattro anni dopo, egli è tornato dietro la macchina da presa per dirigere il suo quarto lungometraggio, La legge della notte (qui la recensione). Uscito nel 2016, questo è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo scritto da Dennis Lehane nel 2012. Per Affleck si tratta di un ritorno alle origini, avendo giù adattato un libro dello scrittore per il suo primo film. In questo caso non si tratta però solo di un thriller, ma anche di un omaggio al genere gangster.

Dopo aver letto la nuova opera di Lehane, infatti, Affleck si convinse da subito che sarebbe stata la storia giusta per lui. Grande appassionato di film di gangster degli anni Trenta e Quaranta, egli desiderava da tempo realizzare un tributo a quei film che tanto lo hano formato. La storia di Lehane rientrava perfettamente in quelle atmosfere, raccontando l’america proibizionista in modo crudo ma sincero. La legge della notte è così diventato per Affleck la lettera d’amore al cinema classico di quegli anni, parlando però un linguaggio strettamente contemporaneo. Nonostante le ambizioni del regista, il film ha però dovuto fare i conti con risultati poco entusiasmanti.

Al momento della sua uscita in sala, questo è infatti stato accolto in modo negativo tanto dalla critica quanto dal pubblico. A distanza di qualche anno, però, riscoprire il film è quanto mai consigliato, anche al netto dei suoi difetti. In questo si ritrovano infatti diversi elementi di pregio, dalla cura per la messa in scena ad interpretazioni di primo livello. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La legge della notte: la trama del film

La storia si svolge a Boston, negli anni Venti, in piena epoca del Proibizionismo. Joe Coughlin è un veterano della Prima guerra mondiale che, nonostante suo padre Thomas sia un poliziotto, ha ora intrapreso da tempo la via del crimine per ottenere facilmente potere e denaro. Joe ha però la sfortuna d’innamorarsi di Emma Gould, la donna del noto gangster irlandese Albert White. Quando il boss italiano Maso Pescatore viene a sapere della relazione segreta tra i due, decide di ricattare Joe per costringerlo a uccidere White, suo rivale in affari. Joe però preferisce scappare con la sua amante. Organizza quindi una rapina in banca con il suo compare Dion Bartolo per avere i soldi sufficienti per la fuga.

Da quel momento, le cose prenderanno risvolti inaspettati per lui. I suoi sogni di potere e successo andranno incontro ad una rovinosa disfatta, ma la sua volontà di rialzarsi dopo la caduta sarà sempre più forte. Nel tentativo di ricostruirsi una vita, egli si troverà dunque a fuggire nuovamente, ricominciare tutto da capo e innamorarsi di nuovo. I fantasmi del suo passato non lo lasceranno però mai in pace e quando Joe commetterà nuovamente gli stessi errori si troverà ora a non poter scappare da nessuna parte. Anche lui dovrà imparare a sue spese cosa accade quando si decide di disobbedire agli ordini.

La legge della notte cast

La legge della notte: il cast del film

Oltre a dirigere il film, Ben Affleck è anche presente nei panni del protagonista Joe Coughlin. Lehane, inizialmente, temeva che egli non avrebbe reso appieno la complessità del personaggio, ma dopo aver visto il film si ricredette del tutto. Originariamente, nei panni di Joe, avrebbe però dovuto esserci Leonardo DiCaprio, che preferì però limitarsi a produrre il film. Accanto ad Affleck, si ritrovano poi numerosi nomi celebri del cinema, a partire da Brendan Gleeson, presente nei panni di Thomas Coughlin, padre di Joe. Sienna Miller è Emma Gould, la donna amata del protagonista ma moglie del boss Albert White, interpretato da Robert Glenister. Per il ruolo di Emma erano state considerate anche le attrici Jennifer Lawrence e Lindsay Lohan.

Chris Messina è invece presente nei panni di Dion Bartolo, compare di Joe che lo aiuterà nella rapina. Per tale parte, l’attore ha guadagnato circa 20 chili di peso, al fine di risultare più imponente. L’attore italiano Remo Girone, invece, interpreta il boss italiano Maso Pescatore. Di particolare rilevanza è anche la presenza della giovane attrice Elle Fanning, che interpreta qui Loretta Figgis, una giovane aspirante attrice che cade però nel vortice della droga. Suo padre, Irving Figgis, è interpretato dal premio Oscar Chris Cooper. L’attrice Zoe Saldana, celebre per i film Avatar e Guardiani della Galassia, interpreta infine Graciela Suarez, sorella di un boss sudamericano, con cui Joe intraprenderà una relazione.

La legge della notte: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. La legge della notte è infatti disponibile nel catalogo di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, Tim Vision e Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà sottoscrivere un abbonamento generale alla piattaforma in questione o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà a disposizione soltanto un dato periodo temporale entro cui vedere il titolo. In alternativa, il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato ottobre alle ore 23:45 sul canale Rete 4.

Fonte: IMDb

 

Le quattro piume: trama, cast e curiosità sul film con Heath Ledger

Narrare di imprese epiche, dove a dominare i protagonisti non sono che il cuore e il coraggio, è da sempre una peculiarità del cinema. Sono numerosi i kolossal di questo tipo passati sul grande schermo, da Lawrence d’Arabia a Il paziente inglese. Nel 2002 è stata la volta di Le quattro piume, diretto dall’indiano Shekhar Kapur, autore noto anche per Elizabeth ed Elizabeth: The Golden Age. Quella racconta è infatti una storia che si colloca appieno in tale filone, portando in scena l’amore che sopravvive anche a situazioni tragiche e disperate come può esserlo una guerra. Passioni, conflitti e colpi di scena si ritrovano dunque all’interno dell’avvincente storia qui narrata.

Questa, in realtà, non è la prima volta che viene raccontata al cinema. Il film è infatti il sesto adattamento dell’omonimo romanzo di Alfred Edward Woodley, pubblicato nel 1902. Si tratta però di un adattamento diverso rispetto tanto alle precedenti versioni quanto al romanzo in questione. Gli eventi si svolgono qui in concomitanza con la Battaglia di Abu Klea, svoltasi nel 1885 in Sudan, mentre nelle differenti versioni l’ambientazione risulta essere più prossima al Novecento. In particolare, però, il regista sceglie di riadattare anche molti dei temi contenuti nel romanzo, tra cui il concetto di mascolinità e lo scontro tra la civiltà occidentale e quella orientale.

In aggiunta a ciò, il film si avvale di imponenti ricostruzioni scenografiche, affascinanti costumi e una colonna sonora firmata dal compositore premio Oscar James HornerLe quattro piume tuttavia non ottenne un grande risultato al box office, incassando appena 30 milioni di dollari. Si tratta però di un film da riscoprire nella sua bellezza, ma prima di intraprendere una visione di questo sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Le quattro piume: la trama del film

La vicenda si svolge nell’Inghilterra del 1884, in piena epoca vittoriana. Harry Faversham è un giovane cadetto dell’esercito britannico prossimo a completare il suo addestramento in accademia. Proprio in concomitanza di ciò, viene annunciata la partenza del suo reggimento per il Sudan, dove dovranno scontrarsi con l’esercito di Mhammad Ahmad, che sta conducendo una guerra di resistenza contro il colonialismo inglese. Harry, che in quello stesso periodo festeggia il suo fidanzamento con Ethne Eustace, si trova però profondamente in conflitto con la chiamata alle armi. Per questo motivo decide di rassegnare le missioni, finendo però con l’essere considerato un codardo.

Per tale motivo, si vedrà recapitare quattro piume bianche, simbolo di disonore e vigliaccheria. Abbandonato dagli amici, dalla famiglia e dalla stessa Ethne, Harry manifesta il desiderio di provare il proprio valore, e per farlo si vede costretto a partire per la guerra in Africa. Qui dovrà scontrarsi con gli orrori del conflitto, imbattendosi in imprevisti nemici e preziosi alleati. Più di ogni altra cosa, però, Harry aspira a poter salvare la vita dei propri compagni, tornando in patria da eroe e riconquistare la sua amata. Per riuscirci, però, dovrà prima di tutto riuscire a sopravvivere all’acceso conflitto.

Le quattro piume cast

Le quattro piume: il cast del film

Per dar vita a personaggi tanto ricchi di conflitti e passioni, i produttori del film hanno condotto lunghe ricerche, al fine di trovare gli interpreti più idonei. Inizialmente per la parte di Harry Faversham era stato considerato Jude Law, ma a vestire i panni di questi è stato un giovane Heath Ledger, qui ancora ai suoi primi ruoli cinematografici. Questi si era distinto l’anno precedente grazie a Il destino di un cavaliere, dimostrando una certa predisposizione ai film d’avventura. Per ricoprire il ruolo, questi si trovò dunque a dover studiare l’addestramento dei militari dell’epoca, al fine di risultare più credibile nel ruolo. Accanto a lui, nei panni della bella Ethne Eustace vi è invece l’attrice Kate Hudson. Celebre per Quasi famosi, questa rifiuto la parte di Mary-Jane in Spider-Man pur di poter recitare in questo film.

L’attore Wes Bentley, noto per il ruolo di Seneca Crane in Hunger Games, interpreta invece il miglior amico di Harry, Jack Durrance. Questi sarà l’unico a non rinnegare il protagonista in seguito alla sua scelta. Gli attori Kris Marshall, Rupert Penry-Jones e Michael Sheen danno invece vita a Castelton, Willoughby e Trench, i tre compagni di corso di Harry che doneranno a questi le piume bianche della vergogna. L’attore Djimon Hounsou, candidato all’Oscar per Blood Diamond, interpreta l’indigeno Abou Fatma. Questi salverà Harry nel corso della guerra, divenendo suo alleato. Nel film è inoltre presente la modella sudanese Alek Wek, la quale appare nei panni della principessa schiave Aquol. Membro del Comitato statunitense Advisory Councili, questa dichiarò di aver accettato la parte per porre ulteriormente in risalto la drammatica situazione degli indigeni di tutto il mondo.

Le quattro piume: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile vedere o rivedere il film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Le quattro piume è infatti disponibile nel catalogo di Chili Cinema, Apple iTunes e NowTV. Per vederlo, in base alla piattaforma scelta, basterà iscriversi o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di poter fruire di questo per una comoda visione casalinga. È bene notare che in caso di solo noleggio, il titolo sarà a disposizione per un determinato limite temporale, entro cui bisognerà effettuare la visione. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno sabato 22 ottobre alle ore 22:00 sul canale La 7.

Fonte: IMDb

Triangle of Sadness: la recensione del film di Ruben Östlund

Triangle of Sadness: la recensione del film di Ruben Östlund

“Siamo tutti uguali”, viene più volte affermato in Triangle of Sadness, nuovo film del regista svedese Ruben Östlund. Ma lo siamo davvero? Ad affermare ciò, come si potrà notare, sono sempre i personaggi più ricchi (che sia di soldi o di bellezza), per cui l’uguaglianza sembra essere un concetto con cui riempirsi la bocca tra un assaggio di caviale e un sorso di champagne. A loro (ma più in generale a tutti noi) è dunque rivolta la critica proposta dal film, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes (la seconda per Östlund dopo quella per The Square nel 2017) e presentato in anteprima in Italia alla Festa del Cinema di Roma.

Dopo aver massacrato la mascolinità in Forza maggiore e il politicamente corretto in The Square, Östlund con Triangle of Sadness parte concentrandosi sullo smontare i miti del mondo della moda. Da questo ambiente vengono infatti Carl e Yaya (Harris Dickinson e Charlbi Dean), una coppia di modelli belli ma problematici, i quali si ritrovano a prendere parte ad una lussuosa crociera unicamente grazie al loro fascino. Tutto all’inizio sembra piacevole e “instagrammabile”, ma un evento catastrofico trasforma ben presto il viaggio in un’avventura in cui ogni gerarchia viene capovolta. A partire da qui il discorso del regista si amplia, giungendo a sagaci riflessioni sulle gerarchie sociali e le derive della società.

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Charlbi Dean e Harris Dickinson in una scena di Triangle of Sadness.

Il triangolo della tristezza, il valore della bellezza

Il triangolo della tristezza che dà il titolo al film, come racconta Östlund, si riferisce a quella porzione di fronte in mezzo alle sopracciglia che se irrigidita conferisce un’espressione sexy, seriosa o triste a seconda dei casi. Si tratta di un espediente utilizzato in particolare dai modelli, proprio come quelli protagonisti della prima scena del film. Il regista svedese parte dunque da questo dettaglio estetico, utilizzato per evidenziare la dilagante ossessione per le apparenze, per costruire la sua nuova pungente satira nei confronti della società e delle sue degenerazioni. Tutta la filmografia di Östlund si caratterizza infatti come un attento studio del comportamento umano, tra ipocrisie e ruoli sociali prestabiliti da seguire pedissequamente.

Oltre ai già citati The Square e Forza maggiore, anche PlayInvoluntary offrivano uno sguardo irriverente su determinati comportamenti dell’essere umano, portati ora all’estremo da Triangle of Sadness. Il film, infatti, si caratterizza per una serie di scelte narrative particolarmente assurde ma funzionali a comunicare quella satira che il regista intende attuare nei confronti dei ricchi e, in misura ancora maggiore, di coloro che vivono in funzione del valore economico della bellezza. Strutturato in tre capitoli (Yaya e Carl, La nave, L’isola), il racconto parte dal particolare dei due modelli per poi aprirsi e includere l’intera umanità, raccolta e sintetizzata tramite alcuni suoi rappresentanti sulla nave da crociera.

Si possono infatti ritrovare a bordo di essa non solo i modelli influencer, ma anche capitalisti russi, esperti di tecnologia, mercanti d’armi e, non meno importante, un capitano di ideologie socialiste meravigliosamente interpretato da Woody Harrelson. La nave diventa dunque il luogo ideale dove far confluire le classi sociali oggi esistenti, in quanto ambiente dove in modo particolarmente evidente si dividono i ricchi ospiti dai poveri addetti alle pulizie. D’altro canto, già Titanic aveva dimostrato come la nave fosse un luogo ideale per tali dinamiche. Tale suddivisione viene poi naturalmente ad infrangersi nel momento in cui si arriva sull’isola. Similmente a quanto accade in Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, i ruoli si invertono. O almeno questo è quello che Östlund vuole farci credere.

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Arvin Kananian e Woody Harrelson in una scena di Triangle of Sadness.

Cinismo mascherato da ottimismo

Triangle of Sadness può dunque essere sintetizzato come una feroce e spassosa commedia sulle gerarchie di classe ben presenti nella nostra società. Östlund non si accontenta però di mettere ciò alla berlina, tirando dentro al discorso anche le ipocrisie relative a temi come l’ambientalismo e la parità di genere. Una tale ampiezza di discorsi è affrontata con un controllo del mezzo cinematografico invidiabile, che conferma il regista svedese come uno dei migliori uomini di cinema oggi in attività, capace di superarsi opera dopo opera. Triangle of Sadness dura ben due ore e mezza, eppure non si avverte mai il peso di tale minutaggio, tanto è serrato il ritmo del racconto.

E anche quando le situazioni sembrano richiedere una maggior distensione dei tempi e dei toni, Östlund trova ugualmente il modo di mettere sul piatto nuove offerte, cambi di direzione che scuotono gli equilibri nonché di caricare le sue scene e le sue inquadrature di continui elementi che trattengono l’attenzione dello spettatore. Che siano elementi di disturbo, come le tante mosche che ronzano tra i protagonisti, o propriamente disturbanti, come la straordinaria sequenza della tempesta in cui i passeggeri iniziano ad espellere liquidi corporei di ogni tipo, il film conserva dall’inizio alla fine un fascino raro. Triangle of Sadness gode però non solo di una sceneggiatura eccezionale e una regia particolarmente ispirata, quanto anche di ottime interpretazioni, tra cui spicca quella di Charlbi Dean.

Davanti ad un’opera come Triangle of Sadness si può ridere, si può provare imbarazzo o indignazione, forse ci si può anche spaventare nel vedere un ritratto tanto lucido e satirico di un’umanità di cui, inconsciamente o meno, facciamo tutti parte. Proprio per questo motivo il film potrebbe non essere gradito da tutti e altri potrebbero rinfacciargli, non errando, che non si tratta del primo lungometraggio ad affrontare tali tematiche con questi toni. In un panorama cinematografico sempre più votato alla medietà, un’opera ambiziosa e dissacrante come questa risulta però essere ben più che gradita nel ricordarci che, per quanto ci sforziamo di crederlo, non siamo tutti uguali. Se ciò sia un bene o un male, sta allo spettatore deciderlo.

L’innocent: recensione del film di e con Louis Garrel

L’innocent: recensione del film di e con Louis Garrel

L’innocent di Louis Garrel fa parte della sezione Best of 2022 della Festa del Cinema di Roma. Al centro, l’amore, di coppia e filiale, il riscatto sociale, le seconde possibilità. Una crime story romantica e soprattutto, molto divertente, parzialmente ispirata alla biografia del regista e attore francese.

La trama de L’innocent

Abel, Louis Garrel, è un uomo fin troppo tranquillo, per meglio dire, un pessimista tendente al depresso, con un grave lutto alle spalle. Quando scopre che sua madre Sylvie, Anouk Grinberg, che lavora in un carcere, sta per sposare il detenuto Michel, Roschdy Zem, un uomo corpulento dall’aspetto truce, Abel perde la testa. Farebbe qualsiasi cosa per proteggere sua madre. Anche se la sua migliore amica, Clémence, Noémie Merlant (Ritratto della giovane donna in fiamme), cerca di dissuaderlo, Abel inizia a pedinare il patrigno, convinto che abbia qualcosa da nascondere. Lo conoscerà poi meglio e accetterà di far parte di qualcosa di inedito per lui. A causa di questo passaggio all’azione, molte cose nella sua vita cambieranno.

Una questione di famiglia

Lo spunto della vicenda de L’innocent è autobiografico. Come ha chiarito lo stesso regista, il film vuole essere una sorta di lavoro complementare a quello realizzato da Brigitte Sy, madre di Garrel, dal titolo Les mains libres del 2010, in cui Sy racconta il suo matrimonio in carcere, dove ha lavorato per anni. Louis Garrel, diciottenne all’epoca dei fatti, ha dichiarato di voler raccontare la vicenda dal proprio punto di vista. È così che nasce il film. Un viaggio leggero e francamente divertente a spasso tra i generi, che gioca sull’inversione dei ruoli tra madre e figlio e sui cambi di prospettiva. Chissà, poi, che non derivi anche da questa singolare vicenda familiare l’abitudine alla contaminazione e all’eclettismo, a non porsi limiti di stile, di scrittura, trovando soluzioni sempre interessanti e creative.

L'innocent film recensioneUna commedia estrosa e accattivante, una ventata d’aria fresca

Dopo L’uomo fedele e La crociata, Garrel torna alle origini, confezionando una commedia esilarante e piena di colpi di scena. Accadono molte cose, ma questo succede in molti film e non è di per sé garanzia che il lavoro sia avvincente, anzi. L’innocent poteva essere confuso, invece il regista ha le idee ben chiare su ciò che vuole dire e su come dirlo in modo originale.

Garrel si muove nel suo elemento coltivando, giustamente, quella vena buffa, clownesca ed estrosa, che lo contraddistingue e sarebbe un peccato non sfruttare.

Il regista e attore sceglie anche gli altri interpreti in modo che possano adattarsi ai diversi registri del film: commedia, noir, film d’azione, ma anche film romantico. Così, Roschdy Zem, ad esempio, esplora nel personaggio di Michel il proprio lato amorevole e una sensibilità spiccata, mentre GarrelNoémie Merlant – bravissima – rivelano un lato un po’ folle, intraprendente e temerario, oltre a dare spazio a una frizzante vena comica. Particolare attenzione è riservata alla mimica: i loro volti dicono tutto. Ci si diverte, si ride di gusto. L’innocent è leggero, frizzante, ma non futile. Come una ventata d’aria fresca, è lì a ricordare che non tutti i mali vengono per nuocere e che a volte nella vita c’è bisogno di un cambiamento, anche estremo, per trovare la forza di ripartire. Si tratta di un lavoro estroso e accattivante. C’è bisogno di commedie così, che continuano a far ridere lo spettatore anche dopo che ha lasciato la sala. L’uscita al cinema de L’innocent è prevista per gennaio 2023.

In a Land That No Loger Exists: recensione del film di Aelrun Goette

Alla Festa del Cinema di Roma in concorso, In a Land That No Longer Exists di Aelrun Goette aiuta a discutere di diritti e libertà e a tenere viva la memoria storica, anche recente. “Solo quando sogniamo siamo liberi”, diceva la madre della protagonista alla piccola Susanne. E la chiamava Suzie, come la bassista e cantante americana Suzie Quatro. Il sogno e la libertà, però, non sembrano avere molto spazio nella Germania Est socialista dell’estate 1989.

C’era una volta la Germania Est

Susanne Schulz, Marlene Burow, è una diciassettenne della Germania Est, che vive con suo padre Klaus, Peter Schneider, e la sorellina dodicenne Kerstin, Zoé Hoche. Vuole studiare e diventare una scrittrice, ma viene espulsa da scuola perchè trovata in possesso di una copia di 1984 di George Orwell. Viene così assegnata a una fabbrica di lavoro socialista, la KWO, dove dovrà dimostrare di dare il suo contributo al partito. La sua vita cambia quando un giovane fotografo, David Schütter, la ritrae mentre è affacciata al finestrino dell’autobus che la prota a lavoro, Una famosa rivista di moda è la sua opportunità per uscire dalla fabbrica e condurre una vita libera. Tuttavia, non ha messo in conto i limiti e i compromessi che si è costretti ad accettare in uno stato socialista. Incontrerà nuovi amici, come l’eccentrico gay Rudi, Sabin Tambrea, ma scoprirà che non si ottiene niente per niente, che l’esercizio della libertà e la piena espressione di sé sono quanto di più difficile da fare nella Germania Est, a pochi mesi dalla caduta del muro.

Tra autobiografia e finzione

Ancora una vicenda ispirata alla biografia di chi dirige il film in questa diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma. L’esperienza di modella condotta dalla regista Aelrun Goette, al suo primo film di finzione, ha infatti fornito lo spunto di In a Land That No Longer Exists. Giovano sicuramente al film la conoscenza del mondo della moda e l’occhio allenato alla percezione della bellezza visiva di Goette. Così anche l’esperienza come scenografa e costumista.  Nelle scenografie e nei costumi, infatti, il film dà libero sfogo alla creatività.

Un inno alla libertà e all’autoaffermazione

In a Land That No Longer Exists vive della contrapposizione tra libertà, bellezza e creatività, da un lato, grigiore oppressivo della fabbrica e dell’inquadramento ideologico socialista dall’altro. È una contrapposizione innanzitutto visiva tra le tute scure da operaie e i fruscianti abiti in seta dai colori accesi delle modelle di Sybille – una sorta di Vogue della Germania Est. La bellissima protagonista, interpretata da Marlene Burow, si dibatte tra questi due poli, ma è subito chiaro quale sia la sua collocazione naturale. Un percorso di formazione e individuazione interessante proprio nella misura in cui fornisce l’occasione di ricordare un mondo che forse non esiste più, ma è esistito, e la cui memoria aiuta a non incorrere in ricorsi storici.

Un mondo in cui era un crimine leggere un libro o essere gay  – molto sentita e coinvolgente l’interpretazione di Sabin Tambrea – e che ha ancora qualcosa da dire all’oggi. La regista insiste poi su quanto la libertà sia una questione interiore, prima che fisica, sociale o politica. Lo sottolinea una delle frasi più belle del film, pronunciata proprio dal personaggio di Rudi: “O sei libero dappertutto, o non lo sei. Allora nemmenno l’Ovest potrà aiutarti”. Anche il personaggio della sorellina dodicenne è molto ben delineato e riesce a strappare sorrisi. Da ricordare che la regista è anche sceneggiatrice del film. Goette è abile poi, nel riportare alle atmosfere di fine anni Ottanta, sia visivamente, che con la colonna sonora di Boris Bojadzhiev. Ad oggi, non è ancora prevista una data di uscita italiana per A Land That No Longer Exists.

Black Adam 2: i produttori anticipano una rapida sequenza temporale di produzione per il sequel

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Dopo l’uscita nelle sale di Black Adam, i produttori Hiram Garcia e Beau Flynn hanno confermato i loro piani per lo sviluppo di Black Adam 2 . Parlando con Comic Book, Garcia e Flynn assicurano con sicurezza ai fan che il potenziale sequel guidato da Dwayne Johnson non richiederà molto tempo come la produzione del primo film. Immaginiamo che se il successo al box office sarà confermato la Warner Bros sarà desiderosa di proseguire al storia soprattutto dopo aver riportato nel DC Extented Universe il Superman di Henry Cavill.

«Non preoccuparti», ha confermato Flynn. “Questo sarà veloce… Apriremo il carro magico, e avremo la sceneggiatura pronta, abbastanza velocemente.” “Speriamo sempre che il primo capitolo sia quello facile”, ha aggiunto Garcia, “Poi cucineremo velocemente una seconda puntata, questo è certo”.

Garcia ha continuato rivelando le loro possibili idee per Black Adam 2, che comporterebbe un ruolo più importante per il Superman di Henry Cavill mentre continuano a stuzzicare la resa dei conti finale tra l’Uomo d’Acciaio e l’antieroe. “La nostra visione è che quello che vogliamo davvero stabilire è che Superman esiste nello stesso mondo di Black Adam”, ha scherzato Garcia. “Entrambi quei ragazzi esistono nello stesso universo e questo è importante per noi. È nell’universo dove si trova la nostra JSA e così via. Ma volevamo davvero che il mondo sapesse che questi ragazzi si incroceranno e come lo facciamo, ci stiamo ancora lavorando. Non vogliamo rivelarlo così facilmente. Ma dirò che è molto più grande di quello che pensa la gente”.

Black Adam, il film

Il cast completo di Black Adam, oltre a Dwayne Johnson nei panni dell’anti-eroe del titolo, annovera anche Noah Centineo (Atom Smasher), Quintessa Swindell (Cyclone), Aldis Hodge (Hawkman) e Pierce Brosnan (Doctor Fate). Insieme a loro ci saranno anche Sarah Shahi, che interpreterà Isis, e Marwan Kenzari, che sarà invece l’antagonista principale (anche se il personaggio non è stato ancora svelato).

Black Adam, che sarà diretto da Jaume Collet-Serra (già dietro Jungle Cruise, sempre con Johnson), ha dovuto far fronte a non pochi problemi durante il suo travagliatissimo sviluppo. Inoltre, la pandemia di Coronavirus ha ulteriormente complicate le cose e costretto la produzione del film all’ennesimo rinvio. L’uscita del film nelle sale americane è fissata per il 29 luglio 2022. Black Adam uscirà al cinema in Italia giovedì 21 ottobre 2022.

Il progetto originale della Warner Bros. su Shazam! aveva previsto l’epico scontro tra il supereroe e la sua nemesi, Black Adam appunto, una soluzione esclusa dalla sceneggiatura per dedicarsi con più attenzione al protagonista e alla sua origin story. A quanto pare, il film su Black Adam dovrebbe ispirarsi ai lavori di Geoff Johns dei primi anni duemila.

Spider-Man 4: 10 personaggi che potrebbero unirsi a Wall-Crawler (e Daredevil?) nella prossima trilogia

Sembra che Spider-Man 4 potrebbe arrivare nei cinema nel 2024. Nulla è ancora confermato, visti tutti i progetti MCU previsti per i prossimi due anni. È passato quasi un anno da quando No Way Home è stato rilasciato: per i fan è tempo di pensare al futuro dell’Uomo Ragno. Chi saranno i prossimi nemici che SpiderMan dovrà affrontare? E chi saranno i suoi nuovi alleati? Ecco alcuni personaggi dei fumetti che sembrano fatti apposta per la prossima trilogia di Spider-Man.

Gli Ammazzaragni

Spider Slayer

In No Way Home, J. Jonah Jameson ha rivelato al mondo l’identità segreta di Spider-Man, ma il tragico finale ha fatto cadere Peter nell’oblio. Quale minaccia sarebbe peggiore per il futuro di Spidey che un gruppo di robot killer? Ad esempio, Jameson potrebbe usarli per smascherare nuovamente il suo nemico Spidey  anche dopo l’incantesimo.

Forse non sono i personaggi più originali, ma gli Ammazzaragni hanno riscontrato un discreto successo nei fumetti e potrebbero essere per lo meno un dignitoso nemico secondario per Spider-Man, magari guidati da Jameson.

Gatta Nera

Black Cat Spider-Man

Gatta Nera nei fumetti ha vestito sia i panni da cattiva sia quelli da eroina. Sarebbe interessante vederla entrare nell’MCU come nemica di Spider-Man e poi seguire la sua trasformazione in alleata (e magari amante) di Peter. Gatta Nera è un personaggio femminile forte, aspetto su cui stanno puntando molto i film di supereroi. Ad esempio, Felicia Hardy potrebbe essere al college con Peter: in questo modo i due, da compagni di scuola, potrebbero facilmente diventare compagni in battaglia o in amore.

Hobgoblin

Hobgoblin Spider-Man

La storia del Goblin Verde è già stata approfondita in tutti e tre i film di Sam Raimi e, in parte, anche in The Amazing Spider-Man. Willem Dafoe ha potuto riprendere il ruolo anche in No Way Home. Un personaggio legato a Norman di cui non si è ancora parlato nell’MCU è invece Hobgoblin. Si tratta di un cattivo misterioso che ha seminato il panico nei fumetti. Roderick Kingsley è uno stilista di successo che diventa Hobgoblin quando scopre i nascondigli di armi e la formula magica di Norman.

Nella prossima trilogia, Spider-Man potrebbe affrontare l’ennesimo Goblin ma in una veste completamente nuova. Sarebbe interessante vedere Hobgoblin in azione sul grande schermo: sicuramente, l’indagine live-action per scoprire chi si cela sotto la maschera sarebbe super avvincente!

Man-Wolf

Spider-Man Comics

In No Way Home, J. Jonah Jameson assume un ruolo prevalentemente comico e di supporto alla storia, ma sarebbe bello vedere il personaggio maggiormente coinvolto nella prossima trilogia.

E se John Jameson assumesse l’identità di Man-Wolf? Sarebbe divertente vedere l’eroe in azione, il personaggio potrebbe addirittura collegarsi alla trama di Werewolf by Night! Anche senza essere il cattivo principale, in una trilogia di Spider-Man Man-Wolf potrebbe comunque svolgere un ruolo significativo.

Jean DeWolff

Jean Spider-ManInizialmente, nei fumetti Spider-Man e il capo polizia del NYPD Jean DeWolff hanno un rapporto ostile, principalmente a causa delle storie di J. Jonah Jameson su The Daily Bugle. In seguito, i due diventano stretti alleati. Quando Jean viene tragicamente uccisa dal Mangia Peccati, Peter si reca nel suo appartamento per cercare degli indizi: qui scopre che la donna nutriva dei sentimenti nei suoi confronti.

La storia tra i due nei fumetti è complessa e memorabile ma, nonostante ciò, fino ad ora nessun film di Spider-Man l’ha realmente affrontata. Vedere una fitta rete di relazioni tra l’agente della polizia e Spider-Man sarebbe qualcosa di nuovo e permetterebbe ad una donna forte e avvincente di entrare nell’MCU.

Lo Sciacallo

Jackal

Uno degli aspetti più avvincenti dell’immaginario di Spider-Man: Far From Home è la lotta tra Spidey e i suoi duplicati. I Marvel Studios potrebbero sfruttare questa linea narrativa e introdurre Lo Sciacallo o Ben Reilly.

Vista la complessa storia del personaggio, Miles Warren potrebbe presentarsi come una sorta di alleato per Spider-Man e cambiare le sue intenzioni durante la trilogia. O ancora, una scena post-credits di Spider-Man 4 potrebbe mostrare un doppelganger di Peter, ponendo così le basi per il debutto live-action di Ben. Più tardi, il franchise potrebbe approfondire approfondire la storia di Ben Reilly.

Ezekiel Sims

Ezekiel

Nei fumetti, Spider-Man si scontra con un misterioso uomo più anziano che possiede i suoi stessi poteri e conosce la sua identità segreta. Successivamente, Ezekiel Sims rivela a Peter che i suoi poteri non sono di natura scientifica ma magica. Nonostante sia scettico, Spidey si affida a Ezekiel e diventa suo amico, almeno fino a quando non scopre che il personaggio vuole in realtà sacrificarlo per salvarsi.

Ezekiel s’inserirebbe perfettamente nel sequel di No Way Home: in quanto nuovo mentore potrebbe sostituire Zio Ben e fornirebbe un rinfrescante cambiamento di ritmo. Sfortunatamente, sembra che il personaggio sia destinato a debuttare nell’MCU come nemico di Madame Web.

Morlun

Morlun Spider-Man

Anche un personaggio come Morlun potrebbe essere un grande cattivo per la prossima trilogia di Spider-Man. Il personaggio è stato introdotto all’inizio degli anni 2000 ed è uno dei nemici più potenti di Spidey.

Morlun arriva sulla scena quando Peter scopre l’origine magica dei suoi poteri. Il cattivo segue incessantemente Spider-Man attraverso New York e inizia ad uccidere i civili ogni volta che l’eroe si nasconde per riposare. Successivamente, torna a tormentare Peter insieme al resto della sua famiglia in una battaglia che attraversa il Multiverso. La tecnologia è una parte importante delle avventure MCU di Peter: grazie a Morlun, nella prossima trilogia il franchise potrebbe approfondire un altro lato dei poteri dell’eroe.

Scorpione

Scorpion Spider-Man

Scorpione è uno dei nemici classici di Spider-Man. Anche se forse non è ai livelli del Goblin Verde, la sua storia si adatterebbe perfettamente al grande schermo. In realtà, il personaggio è già apparso in Homecoming. Non ci stupiremmo se, nella versione live-action della storia, Jameson assumesse un ex detenuto che porta rancore nei confronti di Spidey.

Nei fumetti, Jonah assume il detective privato Mac Gargan per scoprire l’identità segreta di Spidey. Il detective fallisce e, nel tentativo di ricevere le abilità necessarie per abbattere l’eroe, impazzisce. Alla fine, uno Scorpione vendicativo finisce per colpire sia Spider-Man che Jameson.

Gwen Stacy

Gwen Spider-Man

Sarebbe bello vedere una nuova interpretazione del personaggio di Gwen Stacy sul grande schermo. Nell’MCU, Gwen potrebbe essere reinventata proprio com’è successo a MJ.

Non ci stupiremmo se, all’inizio della prossima trilogia di Spider-Man, Peter fosse ancora innamorato di MJ. Tuttavia, è probabile che Spidey provi ad andare avanti e incontri una nuova ragazza. E se questa fosse proprio Gwen? Ammettiamolo: i fan non aspettano altro che vedere un’interpretazione MCU di questa iconica love story.

Un mondo perfetto: trama, cast e frasi del film di Clint Eastwood

Dopo aver regalato al mondo uno dei suoi capolavori, il crepuscolare western Gli spietati, vero e proprio film spartiacque nella sua carriera, il premio Oscar Clint Eastwood ha dato vita nel 1993 a Un mondo perfetto. Avventura on the road tra un bambino e il criminale che l’ha preso in ostaggio, personaggi tra cui nascerà un profondo legame in grado di cambiare il loro animo per sempre. Scritto da John Lee Hancock, il film è oggi ricordato come uno dei più belli e dolci nella filmografia di Eastwood, riconfermatosi una volta di più regista ricco di sfumature e qualità. Lo stesso Eastwood ha affermato di considerare questo come uno dei suoi film preferiti.

Mentre si trovava impegnato nella campagna promozionale del western succitato, il regista e attore si imbatté nella sceneggiatura di Un mondo perfetto, innamorandosene subito. Eastwood decise così che quello sarebbe stato il suo progetto successivo, facendo in modo di iniziare quanto prima le riprese. Queste si svolsero nelle suggestive terre del Texas, tra le città di Austin e Martindale. Accolto particolarmente bene dalla critica, il titolo venne lodato in particolare per la grande costruzione psicologica dei personaggi, quanto per l’interpretazione degli attori principali.

Anche al momento dell’arrivo in sala il film ottenne grande successo, incassando globalmente circa 135 milioni di dollari a fronte di un budget di soli 30. Un mondo perfetto si affermò così come uno dei maggiori risultati economici di Eastwood. Prima di intraprendere una visione di tale opera, può certamente essere utile approfondire ulteriormente alcuni dettagli relativi alla trama e cast. Proseguendo nella lettura sarà qui possibile ritrovare tutto ciò, come anche alcune delle più belle frasi del film. Infine, si elencheranno le piattaforme streaming dove è possibile ritrovare il il titolo per una comoda visione casalinga.

Un mondo perfetto: la trama del film

Protagonista della storia è il detenuto Butch Haynes, il quale insieme a Terry Pugh riesce ad evadere dalla sua prigione e intraprendere una spericolata fuga verso la libertà. Riusciti ad arrivare in città, i due si mettono in cerca di un’auto con cui potersi allontanare più rapidamente. Prima di ciò, si introducono però in un appartamento in cerca di un nascondiglio. Qui tentano di opporsi alle resistenze della donna lì residente, decidendo però poi di fuggire portando via con sé il figlio di questa. Il bambino ha 8 anni e si chiama Philip, e si ritrova ora catapultato in una situazione impensabile, costretto a seguire come ostaggio i due criminali.

Butch però inizia a sviluppare un certo legame con il piccolo, decidendo di salvaguardarlo dalla follia del socio Terry. Nel frattempo, sulle loro tracce si pone il Texas Ranger Red Garnett, pressato dai piani alti per una rapida conclusione del caso, poiché manca pochissimo alla visita ufficiale a Dallas del presidente Kennedy. Aiutato dal federale Bobby Lee e dalla criminologa Sally Gerber, questi intraprende così la ricerca del bambino rapito. Philip, dal canto suo, vive la cosa come una grande avventura, libero di fuggire dalle rigide regole della madre e ritrovando in Butch il padre mai avuto. Per l’uomo, a sua volta, Philip appare sempre più come un figlio da proteggere.

Un mondo perfetto cast

Un mondo perfetto: il cast del film

Reduce dal doppio ruolo di regista e interprete per Gli spietati, Eastwood espresse la volontà di rimanere soltanto dietro la macchina da presa per questo nuovo film. A fargli cambiare idea fu però l’attore Kevin Costner, il quale affermò che il personaggio di Red Garnett sembrava perfetto per Eastwood. Convintosi, questi si approcciò al personaggio ricercando elementi in comune con personaggi simili precedentemente interpretati. Egli compare nel film per un totale di soli 26 minuti, mentre nel primo montaggio del film la sua presenza era di 43 minuti. Per il ruolo del detenuto dal cuore d’oro Butch, il regista aveva inizialmente considerato l’idea di affidare il ruolo all’attore Denzel Washington.

Fu però proprio Costner ad ottenere la parte, dando vita ad una delle interpretazioni migliori della sua carriera. Come Eastwood, anche l’attore aveva da poco vinto un Oscar come miglior regista, per Balla coi lupi. Un mondo perfetto è così l’unico film della storia a veder recitare insieme due attori vincitori di tale premio. Nel film è poi presente l’attrice premio Oscar Laura Dern, nei panni della criminologa Sally Gerber, e Bradley Whitford in quelli del federale Bobby Lee. Keith Szarabajka è invece il criminale Terry Pugh, mentre Bruce McGill è Paul Saunders. Il piccolo Phillip è invece interpretato da T. J. Lowther, divenuto celebre grazie a tale ruolo ma oggi ritiratosi dalla recitazione.

Un mondo perfetto: le frasi, il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile vedere o rivedere tale film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Un mondo perfetto è infatti disponibile nel catalogo di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Infinity, Apple iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà semplicemente iscriversi, in modo del tutto gratuito alla piattaforma. Si avrà così modo di guardare il titolo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà a disposizione un determinato limite temporale entro cui effettuare la visione. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno venerdì 21 ottobre alle ore 21:00 sul canale Iris.

Qui di seguito si riportano invece alcune delle frasi più belle e significative pronunciate dai personaggi del film. Attraverso queste si potrà certamente comprendere meglio il tono del film, i suoi temi e le variegate personalità dei protagonisti. Ecco dunque le frasi più belle del film:

  • La macchina funziona un po’ come la macchina del tempo: dietro di te c’è il passato che ti sei lasciato alle spalle; davanti a te c’è il futuro. Puoi accelerare per farlo realizzare prima o, come preferisci, puoi rallentare. Goditi il presente fin che puoi! (Butch Haynes)
  • In un mondo perfetto l’avremmo già preso da tanto tempo… In un mondo perfetto non sarebbe neanche successo. (Red Garnett)
  • Quelli come noi, Phillip, devono stare da soli per correre dietro al destino. Tu mi hai capito, vero? (Butch Haynes)
  • Probabilmente non gli avrei nemmeno sparato… Vedi Phillip, io ho ucciso solamente due persone: una per salvare mia madre l’altra per salvare te. (Butch Haynes)
  • Non sono un brav’uomo, ma nemmeno il peggiore. (Butch Haynes)

Fonte: IMDb

Marco Bellocchio apre la 72° edizione di Linea d’Ombra Festival

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Sabato 22 ottobre parte la 27ma edizione di Linea d’Ombra Festival che si apre alle 18:30 con la proiezione di Klondike (Maryna Er Gorbach / Ucraina / 2022 / 100’), in perfetta contemporanea con la Festa del Cinema di Roma. A Salerno saranno presenti i profughi ucraini e russi, grazie alla Fondazione Progetto Arca e al Forum Terzo Settore. Il film sarà disponibile on line il 23 ottobre, dalle 18:30 e per 4 ore, su mymovies.it/ondemand/lineadombrafestival. Dopo l’apertura con Klondike, la sala Pasolini di Salerno accoglierà il primo grande ospite di quest’anno. 

Sarà Marco Bellocchio, alle 21.30, a salire sul “Ring” per incontrare il pubblico di Linea d’Ombra in conversazione con il co-direttore artistico Boris Sollazzo. 

 Marco Bellocchio è un maestro. Non solo di cinema. Il suo percorso artistico ha attraversato e raccontato i conflitti del nostro paese, politici, religiosi, umani, con una lucidità intellettuale e una potenza emotiva rare, anzi uniche nel panorama mondiale. Da I pugni in tasca a Esterno Notte, ci ha donato capolavori che hanno guardato senza paura negli abissi, nelle ombre più scure di un paese, con la forza della sua rabbia sempre giovane, senza mai rinunciare a sfide per altri impossibili. Ci ha insegnato che Marx può aspettare, che Dio e l’io sono interlocutori necessari alla nostra crescita. E che in noi, come privati e comunità, la linea d’ombra è la strada maestra per essere uomini e artisti. L’evento sarà trasmesso anche in diretta streaming. Ma la prima giornata del festival offre molte altre suggestioni.

Alle 18.30 nella Chiesa dell’Addolorata “Borzaya”, “Before After”, “Agosto in Pelliccia” e “Work it class!” daranno il via alla sezione “CortoEuropa”. Alle 19  al Piccolo Teatro Porta Catena LineaDoc avrà il suo start con “Quarries”, “Aribada” e “The BLACK ChristS. Far From Justice. Alle ore 20 la Chiesa dell’Addolorata ospiterà i primi sei lavori in concorso per “VedoAnimato” (Tête-bêche, Stone Heart, Mosaicos, Bananas for Ice Cream, Night e If You Meet a Coyote). Alle ore 21, sempre nella Chiesa dell’Addolorata, per VedoVerticale ci sarà la proiezione di I Woke Up On A Little Planet, Vertical, Plastic Words, The WindowReborn in Fire.

Alle 21.30 al Piccolo Teatro Porta Catena andranno i replica i film della sezione “CortoEuropa”; mentre alle 22 nella Chiesa dell’Addolorata per il “Quinto elemento” si parlerà di cinema e videogame: con Eline Soumeru e Luuk Van Huet l’incontro dal titolo “Quando il videogioco si fa festival”. A moderare Franco Cappuccio L’incontro è realizzato con il sostegno dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi.

Infine da non dimenticare il primo appuntamento con le CINECENE ® format ideato dalla chef Kaba Corapi e Boris Sollazzo, che si svolgeranno al Ristorante Didattico  “Al Virtuoso”, un convivio che unisce il piacere della cucina gourmet con la storia del cinema. Evento promosso e realizzato in esclusiva con Fondazione Cassa Rurale Battipaglia – Banca Campania Centro in collaborazione con IPSEOA – R. VIRTUOSO Salerno

IL FESTIVAL. 150 film in concorso provenienti da 47 paesi, 6 location (Sala Pasolini, Piccolo Teatro Porta Catena, Chiesa dell’Addolorata, Palazzo Fruscione e Campus UNISA), 11 eventi al giorno da sabato 22 ottobre 2022 a sabato 29 ottobre 2022.

2500 sono stati i film visionati in selezione tra gli iscritti alla piattaforma Filmfreeway e i diversi festival internazionali, per poi stilare la lista delle opere in concorso a Salerno nelle sei sezioni: Passaggi d’Europa, LineaDoc, CortoEuropa, VedoAnimato, VedoVerticale e Unifest. Interessante anche quest’anno il singolare connubio del cinema con le altre arti: il videogioco, la musica, la danza, la realtà virtuale, la gastronomia, gli audiovisivi e le tecnologie digitali.

Conflitti è il tema di questa edizione. “Mai ci saremmo aspettati –  scrivono Peppe D’Antonio e Boris Sollazzo, nel testo di presentazione del festival – che poche settimane dopo l’annuncio della parola d’ordine di questa edizione saremmo stati squassati dal terrore e poi dall’evidenza di una guerra, quella tra Russia e Ucraina, che ha spazzato via definitivamente le certezze un po’ grottesche e le presunte conquiste del secolo breve e ci ha gettato nel terrore e nell’incapacità di discernere, per molti, posizioni, diritti, ragioni. A questa ferita del mondo tributiamo l’esordio del festival e del concorso dei lungometraggi”.

Angelina Jolie sarà Maria Callas per Pablo Larraín

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Angelina Jolie sarà Maria Callas per Pablo Larraín

Angelina Jolie reciterà nel prossimo film del regista candidato all’Oscar Pablo Larraín, un film biografico sulla famosa cantante lirica Maria Callas. Il film sarà intitolato semplicemente Maria, e la logline recita: “racconta la storia tumultuosa, bella e tragica della vita della più grande cantante d’opera del mondo, rivissuta e reimmaginata durante i suoi ultimi giorni nella Parigi degli anni ’70”. Steven Knight (Spencer, Peaky Blinders, La promessa dell’assassino) ha scritto la sceneggiatura.

“Avere la possibilità di unire le mie due passioni più profonde e personali, il cinema e l’opera, è stato un sogno tanto atteso”, ha detto Larraín. “Fare questo con Angelina, un’artista estremamente coraggiosa e curiosa, è un’opportunità affascinante. Un vero dono”.

“Prendo molto sul serio la responsabilità della vita e dell’eredità di Maria. Darò tutto quello che posso per affrontare la sfida. Pablo Larraín è un regista che ammiro da tempo. Avere la possibilità di raccontare di più sulla storia di Maria con lui, e con una sceneggiatura di Steven Knight, è un sogno”, ha detto Jolie.

Pablo Larraín non è nuovo ai film biografici. Ha infatti diretto Kristen Stewart in Spencer, film che ha reimmaginato la storia di Diana Spencer, e ha diretto Natalie Portman nello splendido Jackie, su Jackie Kennedy. Il caso vuole che Jackie e Maria siano state riva.li in amore, in vita, dal momento che Callas aveva una storia con il miliardario greco Onassis, quando questo si innamorò di Jackie vedova Kennedy e la sposò, spezzando il cuore di Maria Callas. Sia Stewart che Portman hanno ricevuto una nomination agli Oscar nella categoria principale. L’acclamato regista ha anche ricevuto una nomination all’Oscar come miglior film in lingua straniera per il suo dramma storico cileno del 2012 No, la prima volte per il Cile.

Maria è prodotto da Juan de Dios Larraín per Fabula Pictures, Lorenzo Mieli per The Apartment Pictures, una Fremantle Company, e Jonas Dornbach per Komlizen Film.

Fonte

Aftersun: recensione del film con Paul Mescal

Aftersun: recensione del film con Paul Mescal

Con Aftersun, debutto registico delicato nella messa in scena ma esplosivo nella sua introspezione, Charlotte Wells aggiunge un tassello degno di nota alle produzioni targate A24. Presentato ad Alice nella città, dopo il passaggio al Festival di Cannes 2022 in una sezione parallela, oltre ad altri festival indipendenti, il film di Wells restituisce la complessità del rapporto padre-figlia, affidandone l’indagine alla funzione spettatoriale: tra ricordi effettivi e manipolazioni volontarie, Paul Mescal e l’esordiente Frankie Corio ci guidano alla ricerca di un qualcosa che vorremmo sapere ma di cui riconosciamo l’inafferrabilità.

La vacanza in cui vive il ricordo

Durante una vacanza in Turchia, l’undicenne Sophie fa tesoro del tempo che trascorre con il padre amorevole e idealista. Vent’anni dopo, una Sophie adulta ricorda la loro ultima vacanza insieme e cerca di comprendere la distanza tra il padre e l’uomo che non ha sempre conosciuto.

Due strade che si sono, in un qualche modo, separate si aprono a molteplici letture da parte dello spettatore. Di solito, quando cerchiamo di ricordare cerchiamo anche di capire, e ricordare le persone significa anche cercare di capire cosa siamo diventati. Sophie è in un momento della sua vita in cui deve tornare alla memoria di suo padre per capire cosa significhi davvero essere genitore e, forse, cercare di guarire alcune ferite del passato. Allo stesso tempo, potrebbe anche trovare sollievo in quel ricordo. Non sappiamo quali ricordi siano effettivamente aderenti alla realtà di ciò che è accaduto e quali no, perché è la stessa narratrice ad essere inaffidabile, a manipolare l’intera narrazione. L’immagine del padre è spesso sfocata, sono molti i frangenti in cui Sophie vede il suo profilo attraverso uno specchio: ora l’adulta è lei, il compleanno è il suo, e forse ha capito per la prima volta cosa significa essere una donna proprio nella vacanza in Turchia col padre.

Aftersun: cercare la presenza nell’assenza

Padre che sicuramente aveva a che fare con demoni interiori, con una sofferenza lontana dalla comprensione di una bambina ma non dai suoi occhi. Eppure, a Sophie non è mancato nulla durante le vacanze in Turchia, sceglie di ricordarsi la presenza, non l’assenza: anche se la memoria è offuscata e non sapremo mai veramente cosa è successo oltre quelle circostanze, c’è una specificità in quel ricordo, a cui Sophie ha bisogno di aggrapparsi.

Non importa come sia avvenuto il distacco: il film potrebbe funzionare perfettamente anche se il padre di Sophie fosse morto serenamente a novanta anni, lasciandone intatta l’universalità del messaggio. Quando lasciamo andare qualcuno, c’è sempre una porzione di spazio in cui cerchiamo di capire chi abbiamo perso e di trovare un senso dove in realtà sappiamo che non ne troveremo.

Con un Paul Mescal sempre più lanciato nei ruoli dalla forte carica drammatica e una giovanissime esordiente che lascia senza parole, Aftersun procede per frammenti, trova nelle ellissi narrative e nelle cesure di montaggio la propria vena stilistica, che non è facile da accettare: in tanti frangenti vorremmo sapere molto di più, vorremmo andare oltre, ma siamo costretti a fermarci alle modalità di comprensione di una bambina, perché certe parti del ricordo devono rimanere intatte, per proteggerci dalla consapevolezza della realtà adulta in cui, durante il processo di crescita, ci troviamo immersi.

Sotto lo stesso cielo, nel ricordo

Racconto che potrebbe assumere e suddiversi nella forma di polaroid, istantanee dal valore sempreterno anche nel presente, Aftersun cerca di andare addirittura oltre quello che Sophie ricorda o vorrebbe ricordare, provando a soddisfare le esigenze dello spettatore di carpire qualche dettaglio in più, che il nostro bambino interiore potrebbe avere lasciato da parte. Ci abbandoniamo all’umana tentazione di voler comprendere l’inconoscibile e Wells sfrutta ogni mezzo a suo favore, soprattutto fotografia e montaggio, per enfatizzare l’angosciante senso di disperazione che porta con sè il tempo in cui chi abbiamo perduto era ancora chi ci ricordavamo fosse.

Resta solo la nostra “little mind camera”, in cui abbiamo registrato ciò che i cicli della vita non possono scalfire: gli attimi in cui gioia e dolore si compenetrano, in cui proviamo a lasciare andare con serenità nella difficoltà di un abbraccio che è anche il provare ad agguantare definitivamente l’unica forma di conoscenza possibile tra passato e futuro: il ricordo.

The Watcher: la vera storia dietro la serie Netflix

The Watcher: la vera storia dietro la serie Netflix

Il regista e produttore televisivo Ryan Murphy ha portato su Netflix il suo ennesimo prodotto seriale dopo i successi di I diari di Andy Warhol e Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer. Si tratta di The Watcher (qui la recensione), di genere thriller e composta da 7 episodi. La storia qui narrata è quella di Nora e Dean Brannock, i quali si trasferiscono nella casa dei loro sogni per poter vivere la vita che tanto attendevano. Il sogno si trasforma però in un incubo nel momento in cui iniziano ad essere tormentati da lettere minacciose, strani vicini e pericolose minacce.

Protagonisti nei ruoli dei due coniugi sono gli attori Naomi Watts e Bobby Cannavale, a cui si aggiungono Mia Farrow nei panni di Pearl Winslow, Terry Kinney in quelli di Jasper Winslow e Jennifer Coolidge in quelli di Karen Calhoun. The Watcher offre dunque grande intrattenimento, buone interpretazioni e forte tensione. Quest’ultima diventa ancor più tagliente nel momento in cui si scopre che quella raccontata è una storia ispirata ad eventi realmente accaduti. Murphy e il co-ideatore della serie Ian Brennan si sono infatti basati sull’articolo The Haunting of a Dream House, di Reeves Wiedeman, per scrivere la serie.

The Watcher: la vera storia dietro la serie Netflix

L’Osservatore scrive alla famiglia Broaddus

La vicenda di The Watcher, disponibile dal 13 ottobre su Netflix, è dunque basata su eventi reali che hanno avuto luogo nel 2014. In quell’anno, i coniugi Derek e Maria Broaddus avevano acquistato un’abitazione con sei stanze situata al 657 Boulevard, a Westfield, nel New Jersey. I due meditavano quell’acquisto da tempo, avendo individuato in quella casa la residenza dei loro sogni, dove poter crescere la famiglia che hanno sempre sognato. I problemi iniziarono però ancor prima che i due e i loro tre figli poterono trasferirvisi ufficialmente.

Derek si era infatti impegnato in alcuni lavori di ristrutturazione ed era nella casa quando ricevette la prima di tante lettere. In questa, che recava come firma un semplice L’Osservatore, si raccontava della storia della casa appena acquistata dai coniugi, ma l’elemento più inquietante era dato dal fatto che chi scriveva conosceva bene i Broaddus, fornendo come prova una descrizione accurata dei tre bambini. L’anonimo scrivente dimostrava dunque di conoscere bene i nuovi inquilini, di averli osservati a lungo, concludendo poi la lettera con le parole “Che la festa abbia inizio”.

The-Watcher-netflix

Le indagini su L’Osservatore

Derek e sua moglie si rivolsero alla polizia, la quale però suggerì di non diffondere ulteriori voci sulla cosa. Si rivolsero in seguito ai precedenti proprietari dell’appartamento, i quali dissero di aver ricevuto una lettera simile al momento del loro trasloco, ma nulla più. Per i Broaddus, invece, ulteriori lettere continuarono ad arrivare e ognuna di essere dava prova di quanto L’Osservatore fosse vicino loro e studiasse ogni movimento e abitudine. I due coniugi decisero a quel punto di assumere dei detective privati. Tra le teorie emerse su chi potesse essere l’Osservatore si pensava a un acquirente che non era riuscito ad accaparrarsi la casa.

Tra gli altri sospettativi vi era però anche Michael Langford, un uomo di circa sessant’anni che risiedeva nella casa accanto a quella dei Broaddus, insieme ai suoi fratelli e alla madre novantenne. Giudicati come “strani” dall’intero vicinato, i Langford e in particolare Michael furono per un periodo sotto stretta sorveglianza per via di quanto stava accadendo. Michael fu anche sentito dalla polizia a riguardo ma l’inconcludenza delle prove spinse ad abbandonare anche quella pista.

Le conclusioni della vicenda

Nonostante ciò, dopo diverse false piste e teorie sempre meno fondate, sia la polizia sia gli investigatori privati decisero di abbandonare le indagini già nello stesso anno. Sfiniti da quella vicenda, i Broaddus decisero di non trasferirsi più in quella casa, rivendendola infine solamente nel 2019 a 400 mila dollari in meno rispetto a quanto l’avevano acquistata. L’identità dell’Osservatore non è mai stata svelata e tutt’oggi rimane dunque il mistero su quella vicenda. La notorietà di quella storia ha portato in diversi ad occuparsi dell’accaduto, tra cui Wiedeman, dal cui articolo è poi stata tratta la serie.

Nel mentre, i nuovi residenti della casa sembrano essere stati più fortunati. Wiedeman ha raccontato di non sapere molto di loro, in quanto si sarebbero rifiutati di essere sentiti a riguardo, ma che da quando si trovano lì non hanno ricevuto nessuna strana lettera. Ciò ha spinto in molti a sospettare che i Broaddus si siano inventati tutto quanto, scrivendo loro stessi le lettere. Dalle indagini condotte, però, anche tali accuse si sono rivelate infondate. Il caso riguardo L’Osservatore non è comunque chiuso, ma si trova invece in uno stato di inattività. I Broaddus sperano ancora che l’identità di chi li spiava possa essere svelata.

Fonte: TheCut

In prima tv su Sky Cinema dal 24 ottobre Sonic 2 – Il Film

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In prima tv su Sky Cinema dal 24 ottobre Sonic 2 – Il Film

Debutterà Lunedì 24 ottobre alle 21.15 su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand Sonic 2 – Il Film. Il riccio blu più amato al mondo torna con una nuova avventura un film di Jeff Fowler con James Marsden e Jim Carrey e le voci di Idris Elba e Ben Schwartz.

Dopo il grande successo al botteghino, il riccio più veloce del mondo arriva in prima tv su Sky con Sonic 2 – Il Film, lunedì 24 ottobre alle 21.15 su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand.

Il secondo capitolo cinematografico della storia basata sul videogioco dal successo planetario targato SEGA vede di nuovo alla regia Jeff Fowler. E tornano nel cast James Marsden, Tika Sumpter, Natasha Rothwell, e Jim Carrey, ancora nei panni del malvagio Eggman. Con loro anche la new entry Shemar Moore. Ad impreziosire questa avventura animata anche le voci di Ben Schwartz per Sonic, Idris Elba per Knuckles e Colleen O’Shaughnessey per Tails. La sceneggiatura è di Pat Casey, Josh Miller e John Whittington.

La trama del film

Il riccio blu più amato del mondo è tornato per una nuova e spettacolare avventura. Dopo essersi stabilito a Green Hills, Sonic non vede l’ora di dimostrare che ha tutto ciò che serve per essere un vero eroe.

La nuova sfida non si fa attendere: il Dr. Robotnik è tornato con un nuovo alleato, Knuckles, che lo aiuterà nella ricerca di uno smeraldo che ha il potere di distruggere la civiltà. Con il suo nuovo compagno d’avventura Tails, Sonic intraprende un viaggio in giro per il mondo per trovare lo smeraldo prima che cada nelle mani sbagliate.

SONIC 2 – IL FILM, lunedì 24 ottobre alle 21.15 su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e disponibile on demand. 

UCI Cinemas festeggia Halloween con Cut! Zombi contro Zombi

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UCI Cinemas festeggia Halloween con Cut! Zombi contro Zombi

Dal 31 ottobre al 2 novembre nelle multisala del Circuito UCI Cinemas arriva Cut! Zombi contro Zombi, la commedia irresistibilmente dissacrante distribuita da Nexo Digital, diretta dal Premio Oscar Michel Hazanavicius e interpretata da Romain Duris e Bérénice Bejo.

Il lungometraggio porta gli spettatori sul set di un film horror a basso costo, dove tutto pare virare verso il disastro. Circondato da tecnici stanchi e attori disinteressati, il regista sembra essere l’unica persona dotata dell’energia necessaria per dare vita a un altro film sugli zombi. Ma mentre si prepara a girare una scena decisamente poco entusiasmante, ecco che compaiono dei veri morti viventi! Un film inaspettato, divertentissimo e imprevedibile dove al centro di tutto c’è l’amore per il cinema, in tutte le sue forme e le sue ossessioni, in tutte le sue favolose, ammalianti, irriverenti stranezze. Un’occasione per unire amanti del brivido e della risata nella celebrazione della festa più paurosa dell’anno, Halloween.

Le multisala che proietteranno Cut! Zombi contro Zombi dal 31 ottobre al 2 novembre alle 22:00 sono UCI Bicocca (MI), UCI Luxe Campi Bisenzio (FI), UCI Meridiana Casalecchio di Reno (BO), UCI Casoria (NA),  UCI Montano Lucino (CO), UCI Curno (BG), UCI Ferrara (FE), UCI Firenze (FI), UCI Lissone (MB), UCI Cinepolis Marcianise (CE), UCI Luxe Marcon (VE), UCI MilanoFiori (MI), UCI Molfetta (BA), UCI Moncalieri (TO), UCI Orio (BG), UCI Parco Leonardo (RM), UCI Piacenza (PC), UCI Porta di Roma (RM), UCI Reggio Emilia (RE), UCI Romagna Savignano sul Rubicone (RN), UCI RomaEst (RM), UCI Sinalunga (SI), UCI Verona (VR) e UCI Torino Lingotto (TO).

A UCI Casoria, UCI Cinepolis Marcianise e UCI Molfetta il costo del biglietto è di 10 euro per l’intero e 8 euro per il ridotto, nelle restanti multisala è pari a 11 euro per l’intero e 9 euro per il ridotto. È possibile acquistare i biglietti per presso le casse delle multisala del Circuito coinvolte, tramite App gratuita di UCI Cinemas per dispositivi Apple e Android e sul sito. I biglietti paper-less acquistati tramite App e i biglietti elettronici acquistati tramite sito danno la possibilità di evitare la fila alle casse con –FILA+FILM. Il pubblico può comunque acquistare i biglietti anche tramite il call center (892.960) e le biglietterie automatiche self-service presenti sul posto.

Ripartono Le Domeniche Mattina del Cinema 4 Fontane

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Ripartono Le Domeniche Mattina del Cinema 4 Fontane

Dopo il grande successo dello scorso anno, il cinema 4 fontane riprende i suoi abituali appuntamenti cinematografici della domenica mattina: anteprime, incontri e grandi classici (all’interno della rassegna XX Secolo).

Si parte domenica 23 ottobre con 2 attesissime anteprime: il film vincitore della Palma d’Oro a Cannes Triangle of Sadness di Ruben Östlund (a cui verrà dedicata una retrospettiva al cinema Nuovo Olimpia a partire da giovedì 27 ottobre) e il nuovo film di Roberto Andò La Stranezza con Toni Servillo, Salvo Ficarra, Valentino Picone.

Anteprima – TRIANGLE OF SADNESS – VOS – ore 10:30 

Triangle of Sadness
Foto di Tobias Henriksson – Per gentile concessione di Teodora Film

Regia: Ruben Östlund Cast: Charlbi Dean, Harris Dickinson, Woody Harrelson, Zlatko Burić, Henrik Dorsin, Iris Berben, Sunnyi Melles, Dolly De Leon, Vicki Berlin

Vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, Triangle of Sadness di Ruben Östlund e presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma, si annuncia come uno dei titoli più attesi, controversi ed eclatanti della stagione, è una satira irresistibile dove ruoli sociali, stereotipi di genere e barriere di classe vanno in frantumi.

Una coppia di modelli, Carl e Yaya (Harris Dickinson e Charlbi Dean), partecipa a una crociera di lusso insieme a un bizzarro gruppo di super ricchi e a un comandante (Woody Harrelson) con un debole per gli alcolici e Karl Marx. Tutto all’inizio sembra piacevole e “instagrammabile”, ma un evento catastrofico trasforma il viaggio in un’avventura in cui ogni gerarchia viene capovolta.

Anteprima LA STRANEZZA ore 11:00

La Stranezza film 2022Regia: Roberto Andò Cast: Toni Servillo, Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Renato Carpentieri, Donatella Finocchiaro, Luigi Lo Cascio, Galatea Ranzi, Fausto Russo Alesi

Dopo Una storia senza nome, Andò continua a mescolare invenzione e storia, finzione e realtà, teatro e vita. Facendo interagire attori amatissimi dagli spettatori ma che finora non si sono mai incontrati: Toni Servillo nella parte di Pirandello, Ficarra e Picone in quelle di Onofrio e Sebastiano, al centro di un cast eccezionale. Il ritorno in Sicilia di Luigi Pirandello (Toni Servillo) e l’incontro con due teatranti amatoriali, Nofrio (Valentino Picone) e Bastiano (Salvatore Ficarra), che di mestiere fanno i becchini.

Lo scrittore è ossessionato da un’idea strana e ancora indefinita, la creazione di una nuova commedia, ma allo stesso tempo non riesce ad essere indifferente al fascino singolare dei due. Ne spia le prove e assiste alla prima della loro nuova farsa. Nel teatrino si è infatti radunato l’intero paese e quando un evento imprevisto costringe Nofrio e Bastiano a interrompere la rappresentazione l’atmosfera vira dal comico al tragico. Repentinamente, lo spettacolo si trasforma in una resa dei conti totale in cui a confrontarsi sono platea ed attori. Pirandello spia ogni minima parola, ogni minimo gesto di quella comunità dolente e ne sembra insieme divertito e turbato. Roma, 1921. Al Teatro Valle si tiene la prima dei Sei personaggi in cerca d’autore. In platea, ci sono anche Nofrio e Bastiano. La recita inizia e i due assistono sorpresi e rapiti al susseguirsi di situazioni paradossali, inconsapevoli che ciò che li aspetta è un finale ancora più imprevedibile.

Programmazione domenica mattina 23 ottobre:

  • ore 10:30 TRIANGLE OF SADNESS (in versione originale sottotitolata)
  • ore 11:00 LA STRANEZZA

Biglietti: 8,50€

I Viaggiatori: trailer del film Sky Original in arrivo su SKY

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I Viaggiatori: trailer del film Sky Original in arrivo su SKY

È stato diffuso oggi il trailer de I Viaggiatori, film Sky Original di Ludovico Di Martino, prodotto da Sky Studios e Groenlandia, che dal 21 novembre sarà in esclusiva su Sky Cinema e in streaming solo su NOW e che sarà presentato in anteprima ad Alice nella città il 22 ottobre.

I Viaggiatori è una storia d’avventura che vede come protagonisti un gruppo di ragazzi che, grazie a una strana macchina del tempo, viaggeranno fino al 1939, nella Roma fascista di Benito Mussolini. Nel cast, Matteo Schiavone nel ruolo di Max, Fabio Bizzarro nei panni di Flebo, Andrea Gaia Wlderk in quelli di Greta, Francesca Alice Antonini in quelli di Lena, Gianmarco Saurino nel ruolo di Beo e Federico Tocci nel ruolo di Vulcano. Con la partecipazione di Fabrizio Gifuni nel ruolo di Luzio e con Vanessa Scalera nei panni della Dottoressa Sestrieri.

Il soggetto e la sceneggiatura sono di Ludovico Di Martino e Gabriele Scarfone. Il distributore internazionale è NBCUniversal Global Distribution per conto di Sky Studios.

La trama del film I Viaggiatori

Beo Fulci, un giovane ricercatore di fisica quantistica, è scomparso assieme al suo capo in circostanze misteriose. Suo fratello Max, 14 anni, ragazzino svelto dall’intelligenza vivace, trova conforto nei due amici più cari che ha – Flebo, 14 anni, impacciato e ansioso, appassionato di videogiochi e di tecnologia, e Greta, 15 anni, giovane donna coraggiosa – nonostante il dolore di quella perdita l’abbia reso sfuggente. Una sera i tre finiscono per scoprire una strana macchina del tempo e il modo per farla funzionare, trovandosi così nel 1939 in una Roma scossa dalle leggi razziali. Dovranno salvare il mondo dalla minaccia di un’arma con cui si vuole cambiare il corso della Storia.

Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa, recensione del film di Michel Ocelot

Michel Ocelot torna a dedicarsi all’animazione quattro anni dopo il suo ultimo film, Dililì a Parigi (2018), con Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa, presentato nell’ambito di Alice nella Città in occasione della Festa del Cinema di Roma. Con questa sua ultima prova, il regista fa ritorno allo stile narrativo che ha sempre prediletto: il segmento breve, a cui ha dato forma tramite serie televisive e cortometraggi solo in secondo luogo inglobati in lungometraggi diventati ormai celebri, tra cui Principi e Principesse (2000) e I Racconti della Notte (2011).

Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa: la trama

Ai tempi dell’Antico Egitto, un giovane re diventa il primo faraone nero a meritare la mano della sua amata. Nel Medioevo francese, un misterioso ragazzo selvaggio ruba ai ricchi per dare ai poveri. Nella Turchia del XVIII secolo, un principe che cucina meravigliose frittelle e la principessa delle rose fuggono dal palazzo per vivere il loro amore.

Con questa nuova opera di Ocelot, ci distacchiamo dalla sperimentazione di Kirikù e la strega (1998), vero e proprio spartiacque nell’animazione francese o Azur e Asmar (2006), per fare ritorno a un progetto audiovisivo che vede nella suddivisione per racconti il mezzo perfetto per unire la tradizione orale del racconto ai mezzi di fruizione tipici della contemporaneità.

Non ci sono gli ormai iconici proiezionisti, ma una narratrice-cantastorie che ravviva l’atmosfera di un cantiere di lavoro catturando gli operai con racconti esoterici, lontani nel tempo e nello spazio, parentesi ludiche in cui rifugiarsi dalle fatiche di ogni giorno. Per Ocelot, le storie sono soprattutto questo: il ponte tra passato e presente, l’attimo di sperimentazione inafferrabile in cui possiamo diventare chi vogliamo, vestirci con gli abiti che più ci affascinano e confidare sempre nella giustizia di un lieto fine.Il Farone il Selvaggio e la Principessa

Poca attualità ma un’immensa bellezza visiva

Siamo di fronte a un’opera meno ambiziosa di Didilì a Parigi, sicuramente più convenzionale nel modo in cui si aggancia alla tradizione stilistica del regista, ma non per questo meno interessante. Laddove è possibile tracciare delle chiavi di lettura comuni tra i tre segmenti narrativi, fulcri tematici archetipici delle fiabe e della filmografia di Ocelot – la parabola di riscatto, la perseveranza che conduce agli obiettivi, il bigottismo genitoriale contrapposto all’intraprendenza giovanile – ogni storia presentataci si differenzia per registro linguistico e linee di disegno, adattandosi perfettamente all’atmosfera in cui è inserita.

L’animazione 2D portata avanti con orgoglio da Ocelot si rivela il mezzo perfetto per sondare le potenzialità grafiche di ogni racconto; dalla bidimensionalità quasi geroglifica de “Il faraone” si passa alle tonalità cupe e alle architetture gotiche de “Il selvaggio”, episodio ambientato nel medioevo, per culminare con le linee arabeggianti de “La principessa”, un tripudio di colori e scenografie dinamiche.

Il richiamo all’attualità, la capacità di adattamento a un’universo animato che sta dando tanto negli ultimi anni – è doveroso citare il Cartoon Saloon di Tomm Moore, Paul Young e Nora Twomey – ne Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa è forse più debole rispetto ad altre opere di Ocelot. Sembra difficile trovare una collocazione adatta a questa micro raccolta di racconti, quando il mezzo animato è ormai diventato uno dei canali privilegiati per la riscoperta della pluralità culturale di tantissime aree geografiche, distanziandolo dall’attinenza fiabesca che gli è sempre stata affibbiata e piegandolo a un’urgenza creativa che ha indubbiamente a che fare con l’oggi.

Nonostante ciò, la qualità tecnica del cinema di Ocelot rimane indubbia: Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa è uno spettacolo per gli occhi e sfrutta ogni potenzialità circostanziale per delineare al meglio uno scenario visivo e narrativo in cui la fiaba vuole ancora, prepotentemente, esistere. In cui è ancora un veicolo di comunicazione, non importa se tra lo ieri e l’oggi, se tra noi e gli altri o se tra tradizioni culturali differenti, che trovano nelle analogie caratteriali dei loro protagonisti il modo migliore per garantirne l’ascolto.

Liam Gallagher – Knebworth 22: il docu-film evento in sala solo il 17 e 18 novembre

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Trafalgar Releasing, Warner Music Entertainment e MTV Entertainment Studios sono liete di annunciare l’arrivo nelle sale cinematografiche di tutto il mondo del docu-film Liam Gallagher – Knebworth 22, che debutterà nei cinema italiani solo il 17 e il 18 novembre (prevendite aperte da oggi, 21 ottobre. Elenco sale su nexodigital.it). Le proiezioni in sala saranno arricchite da due canzoni aggiuntive tratte dall’esibizione di Knebworth che verranno suonate in chiusura del docu-film:un contenuto esclusivo per le sale cinematografiche che non apparirà in nessun’altra uscita del film e che i fan potranno godersi sul grande schermo solo in questa occasione.

All’inizio di quest’anno Liam Gallagher ha superato ogni aspettativa ed è tornato a Knebworth, circa 26 anni dopo gli storici concerti degli Oasis del 1996. L’evento ha coinciso con la pubblicazione del terzo album da solista, C’mon You Know, che è valso la conquista del suo terzo numero uno nella classifica degli album in UK.

Liam Gallagher – Knebworth 22, diretto da Toby L (Foals – Rip Up The Road / Olivia Rodrigo – Sour Prom / Tonight With Arlo Parks / Bastille – ReOrchestrated / Rihanna – 777), è un documentario che riporta Liam Gallagher nel luogo delle esibizioni più importanti della sua ex band, con interviste inedite, dietro le quinte e filmati dei concerti ripresi da 20 camere. Ma il docu-film si spinge anche oltre, alla ricerca di storie e punti di vista di collaboratori e fan di diverse generazioni provenienti da tutto il mondo, confrontando il contesto emotivo e sociale degli spettacoli degli anni ’90 rispetto al tumulto della nostra epoca attuale.

Racconta Liam Gallagher: “Sono ancora sotto shock per il fatto di aver potuto suonare a Knebworth due sere, 26 anni dopo averci suonato con gli Oasis. Sto ancora cercando di capacitarmene. Aver suonato per più generazioni nello stesso luogo a così tanti anni di distanza è stato biblico, anzi qualcosa di più. Sono felice di averlo documentato. Per me Knebworth è stato e sarà sempre una celebrazione dei fan e della musica. Godetevi il film e rifacciamolo tra altri 26 anni“.

Il regista Toby aggiunge: “Volevamo aggiungere un altro livello alla storia di Liam Gallagher, celebrando il suo ritorno in un luogo così sacro come artista solista, ma anche condividendone la luce con coloro che rendono Knebworth un luogo così importante: le persone. Pochi spettacoli raggiungeranno mai una tale portata e pochi momenti preziosi come quello vissuto all’inizio dell’estate possono significare tantissimo per  tante persone. In un momento in cui è facile sentirsi impotenti di fronte al peso del mondo che ci circonda, speriamo che questo film possa essere un piccolo promemoria di ciò che siamo in grado di superare. È una lettera d’amore alla musica dal vivo e all’essere di nuovo insieme“.

Kate Shepherd, Managing Director di Warner Music Entertainment UK, ha dichiarato: “Liam è all’apice delle sue capacità e per noi era davvero importante catturare non solo la sua incredibile performance, ma anche i fan multigenerazionali che hanno reso questo momento così fondamentale. Questo film dimostra che Liam è una delle più grandi rockstar britanniche di sempre e che la portata del suo lavoro è più forte che mai“.

In Italia il docu-film è distribuito in esclusiva da Nexo Digital in collaborazione con i media partner Radio DEEJAY, MYmovies.it e Live Nation.

VASCO LIVE ROMA CIRCO MASSIMO, il trailer del film evento

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VASCO LIVE ROMA CIRCO MASSIMO, il trailer del film evento

Dopo il tour dei record e in attesa delle date del Vasco Live Tour 2023, arriva in anteprima solo al cinema per tre giornate esclusive VASCO LIVE ROMA CIRCO MASSIMO, il film concerto per la regia di Pepsy Romanoff girato durante le due notti di  live al Circo Massimo.

Il film sarà un modo per ripercorrere le due notti in cui il popolo dei 140.000 ha scatenato l’inferno, e per far vivere a chi c’era e a chi non c’era i momenti salienti dell’incredibile festa. Prodotto da Universal Music Italy con Adler Entertainment e Ela Film in collaborazione con Giamaica, VASCO LIVE ROMA CIRCO MASSIMO sarà in anteprima solo al cinema il 14, 15 e 16 novembre distribuito da Adler Entertainment. I biglietti saranno acquistabili a partire da oggi sui normali canali. Il film uscirà anche in Blu-ray e dvd, in pre-order sul sito di Universal Music.

Noir in Festival 2022: Paolo Bacilieri per il poster della 32° edizione

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Il Noir in Festival torna a Milano dal 3 all’8 dicembre 2022 con un programma ricchissimo di film e letteratura che renderà omaggio, nel trentesimo anniversario de Le Iene, al genio di Quentin Tarantino. A cominciare dall’esplosivo manifesto della 32edizione, firmato da un fuoriclasse del fumetto italiano, Paolo Bacilieri.

Tra i più noti artisti di graphic novel, con all’attivo prestigiose collaborazioni (da Coconino press a Rizzoli, da Panini Comics a Casterman, da Hollow Presse a Sergio Bonelli Editore), e numerosi riconoscimenti, tra cui il Gran Guinigi a Lucca Comics 2006, il Premio Boscarato miglior libro italiano 2012 a TrevisoComics e il Premio Micheluzzi 2015, Paolo Bacilieri è stato scelto per realizzare l’immagine del 32° Noir in Festival, unendosi al parterre di talentuosi disegnatori che si sono succeduti nel corso di oltre trent’anni, da Gigi Cavenago a Lorenzo De Felici, da Mario Alberti ad Alessandro Baronciani e Marco Galli, passando per nomi del calibro di Hugo Pratt, Lorenzo Mattotti, Bill Plympton, Charles Schultz e Mojmir Jezek.

Noir in Festival 2022: il poster di Paolo Bacilieri

All’artista veronese, che nel 2021 ha realizzato per Panini Comics Bob 84, poliziottesco scritto da Vincenzo Filosa, è toccato quest’anno l’arduo compito di rivisitare uno dei film più iconici di sempre, quel Le iene che nel 1992 aprì la carriera di Quentin Tarantino, ospite d’eccezione della prima edizione del Noir in Festival a Viareggio, dove il film fu presentato in anteprima italiana, dopo aver sorpreso la critica al Sundance Film Festival e al Festival di Cannes. Da allora sono passati trent’anni in cui il cinema di Tarantino da un lato e il Noir dall’altro non hanno perso la loro carica sovversiva: ecco dunque che il manifesto del Noir in Festival si trasforma nella tavola di un fumetto, dentro la quale Bacilieri si è divertito a raccontare il film, frammentandolo in momenti e personaggi divenuti cult attraverso un suo personale mosaico di forme, immagini e colori squisitamente pop.

“Per la 32edizione”, dichiarano i direttori Giorgio Gosetti e Marina Fabbri, “non volevamo limitarci a citare il capolavoro di Tarantino, che ha segnato la storia del Noir e del festival, volevamo un’immagine capace di giocare con il passato e che risultasse al contempo attuale. Interpretando alla perfezione questa mission, Paolo Bacilieri e  il suo inconfondibile tratto hanno compiuto un’eccellente “evasione” dai confini del canonico manifesto, trasformatosi per l’occasione in fumetto ispirato a sua volta a un film parte del nostro immaginario. Ecco servito il cortocircuito sensoriale della postmodernità, del cinema di Tarantino e del Noir stesso, cui rendiamo omaggio in un’edizione ispirata come non mai alla commistione dei linguaggi.”

Proprio seguendo la pista delle ibridazioni artistiche, un anno fa si è conclusa sulle pagine della prestigiosa rivista “Linus” la rivisitazione a fumetti in chiave contemporanea che Bacilieri ha fatto del primo romanzo di Giorgio Scerbanenco,  Venere Privata, del 1966, ora riproposto in un libro edito da Oblomov Edizioni, presentato in anteprima a Lucca Comics & Games e nelle librerie dal 4 novembre.  E il Noir in festival,  che nel nome di Scerbanenco ospita dal 1997 il più ambito riconoscimento letterario per la miglior opera di narrativa italiana noir dell’anno, ha deciso di dedicare un incontro a questa collaborazione tra i fumetti e la scrittura noir, che vedrà confrontarsi sul tema Cecilia ScerbanencoPaolo Bacilieri ed Elisabetta Sgarbi (editrice de La Nave di Teseo che pubblica tutta l’opera di Scerbanenco e direttrice di “Linus”). Appuntamento presso l’Università IULM, martedì 6 dicembre.

In attesa di scoprire passo dopo passo le novità del programma 2022, vi lasciamo in compagnia di un ricordo tratto dal diario del Noir in Festival del 1992, a cura di Marina Fabbri: “L’avvenimento più straordinario di quell’anno fu la comparsa sul pianeta Noir di quell’alieno di talento che è Quentin Tarantino. Dopo la visione de Le iene al festival di Cannes, che ci lasciò insonni a progettare di averlo in anteprima, mi misi a caccia di Tarantino per mezza Europa, dove il giovane regista stava passando l’estate dopo la Costa Azzurra, e alla fine riuscii miracolosamente ad averlo al telefono da Amsterdam. A convincerlo a venire bastarono la presenza di Dassin, la retrospettiva di Curtiz e gli incontri sul giallo italiano. Arrivò a Viareggio con il suo camicione a quadri da boscaiolo e il suo mento alla Totò, braccia e gambe troppo lunghe. Sempre infilato al cinema, ne usciva soltanto per venire nei nostri uffici e dirci, ridendo forte: “Thank you, thank you, thank you!”. Era felice come un bambino di stare in mezzo a film che adorava, non era ancora nessuno, davvero, ma per noi era Shakespeare con una cinepresa in mano.”

Piove: la recensione del film di Paolo Strippoli

Piove: la recensione del film di Paolo Strippoli

Cosa si nasconde dietro la violenza improvvisa e che porta al verificarsi di quei casi di cronaca nera che ascoltiamo distrattamente alla televisione o alla radio? Il film Piove, diretto da Paolo Strippoli (già co-regista di A Classic Horror Story) e basato su un soggetto originale di Jacopo Del Giudice vincitore del Premio Solinas alla Sceneggiatura, si propone di offrire una risposta in chiave horror a questa domanda. Presentato nel Panorama Italia di Alice nella Città, sezione parallela e autonoma della Festa del Cinema di Roma, è questo un film che presenta dunque vicende quotidiane ma raccontate attraverso le metafore del genere e pertanto attraverso punti di vista nuovi.

La vicenda si concentra infatti sulla famiglia Morel, composta da Thomas (Fabrizio Rongione), Enrico (Francesco Ghenghi) e la piccola Barbara (Aurora Menenti). Manca la moglie e madre Cristina (Cristiana Dell’Anna), rimasta uccisa in un incidente causato dallo stesso Enrico. Da quando tale triste evento si è abbattuto su di loro, i rapporti tra i rimanenti membri della famiglia non sono più stati gli stessi. In particolare, padre e figlio provano acuto risentimento l’uno per l’altro, rinfacciandosi colpe e mancanze. Nel mentre, la pioggia che cade incessantemente su una grigia Roma fa risalire dai tombini un vapore proveniente da una misteriosa melma grigiastra, la quale sembra condurre alla follia chiunque vi entri in contatto.

La violenza latente dell’essere umano

Il film di Strippoli si apre con una sequenza dei titoli di testa che mostra atti di violenza appartenenti ad ogni epoca, da quella degli antichi romani sino a quella dei giorni nostri. Di questo parla apertamente Piove, di quegli atti d’ira improvvisa e incontrollabile che si verificano e diffondono come un’epidemia. Quante volte ascoltando notizie di questo tipo al telegiornale ci siamo ritrovati a dire “la gente sta diventando sempre più pazza”? Piove vuole allora andare a ricercare le cause di questa pazzia, ammesso che ve ne siano. Per farlo si avvale di una metafora quale la melma poc’anzi citata, che emette un vapore che rende chi lo respira particolarmente rabbioso.

Una causa da film di fantascienza, dunque, che va però in realtà a stressare ulteriormente persone e situazioni già al limite della tollerabilità. Tutti i rancori, le delusioni e le frustrazioni che a ogni individuo può capitare di provare nell’arco di una giornata vengono dunque fatte esplodere da questo vapore, che diventa un vero e proprio un virus. Non vengono fornite indicazioni sulla provenienza o la natura di questa melma, essa ha unicamente la funzione di portare alla luce quella violenza che da sempre e per sempre sembra essere latente nell’essere umano, in attesa di essere svegliata e sfogata.

La ripartizione in tre capitoli, o atti, del film porta dunque a confrontarsi con stadi diversi di questa malattia, dal contatto alla sua diffusione fino alla sua inequivocabile manifestazione. Allo stesso tempo, il film offre uno sguardo tanto sul micro quanto sul macro. Se il focus rimane sempre la famiglia Morel e le dinamiche tra di loro, viene però anche raccontato quanto avviene intorno a loro, con situazioni di contorno che mostrando diversi altri scenari di violenza contribuiscono al portare avanti la metafora alla base del film. Tutto ciò è accompagnato da un’evidente ricerca estetica, mirata a dar vita ad immagini ammalianti ma dietro le quali sembra nascondersi un’ulteriore senso di pericolo.

Piove-Paolo-Strippoli

Un horror dall’atmosfera kinghiana

Guardando Piove, si potrebbe in più occasioni avere la sensazione di star assistendo ad un adattamento di un romanzo di Stephen King. Questo racconto, incentrato su degli specifici personaggi ma con vicende che riguardano tutta la città intorno a loro e con una forza maligna e ultraterrena che genera la più totale follia, sembra rimandare in più occasioni ad alcune opere di King com L’ombra dello scorpione, Cell o al suo capolavoro It. Vi è dunque un’atmosfera particolarmente lugubre che attraversa tutto il film e che anticipa un climax particolarmente cruento.

La sceneggiatura, scritta da Del Giudice insieme a Strippoli e Gustavo Hernández costruisce dunque un senso di attesa, svelando le proprie carte una per volta. Non sempre in realtà la costruzione narrativa risulta convincente, specialmente nel momento in cui si giunge ad un terzo atto che si affida troppo a dinamiche prevedibili e trattandole in modo sbrigativo. Per quanto la risoluzione ultima possa generare qualche perplessità, viene però lasciato spazio anche ad un’ambiguità che è certamente un valore aggiunto in un panorama di conclusioni sempre troppo didascaliche.

Return to Silent Hill: tutti i dettagli del nuovo film

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Return to Silent Hill: tutti i dettagli del nuovo film

Durante l’evento dedicato al franchise di Silent Hill, Konami oltre ai nuovo videogiochi ha annunciato che un nuovo film, intitolato Return to Silent Hill che entra ufficialmente in produzione. Questo nuovo film probabilmente rientrerà nella strategia di Sony Pictures di proseguire il cammino intrapreso con Uncharted nel produrre nuove iterazioni delle sue sage originali videoludiche.

Return to Silent Hill sarà diretto da Christophe Gans, che ha anche diretto il  film Silent Hill del 2006. Durante il video è stata mostrata una varietà di storyboard e concept art, offrendo ai fan una breve occhiata al tipo di film che possono aspettarsi. Gans ha rivelato che stanno “tornando al meglio di queste storie… riferendosi a  Silent Hill 2 “, il che implica che il film trarrà molto da questo gioco. Il produttore Victor Hadida si unisce a Gans per discutere della collaborazione tra Konami e i registi, seguito dai due che discutono di cosa sia  Silent Hill, un franchise così attraente e duraturo. Dai un’occhiata  al video annuncio di Ritorno a Silent Hill  di seguito:

Incapace di accettare il fatto che sua figlia stia morendo, Rose decide di portare la ragazza da un guaritore di fede“, recita la sinossi del film originale di Gans del 2006 su Silent Hill. “Durante il viaggio, la coppia guida attraverso un portale in realtà, che porta a una città inquietante chiamata Silent Hill. La città è circondata da una potente oscurità e i sopravvissuti umani combattono una battaglia persa contro di essa.”

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