Freschi di 4 nomination a gli Oscar
2018, sono arrivati a Roma Armie Hammer,
Timothée Chalamet e il regista Luca
Guadagnino per presentare il film Chiamami
col tuo nome.
“Sono felice e orgoglioso”
commenta sorridendo Luca Guadagnino le nomination
a gli Oscar nelle categorie Miglior Film, Miglior Sceneggiatura Non
Originale (di James Ivory), Miglior Attore
Protagonista (Timothée Chalamet) e Miglior
Canzone (“Mistery of Love” di Sufjan Stevens):
“Voglio condividere queste nomination con la mia troupe e tutti
gli attori. Quello di Chiamami con il tuo nome” è stato un percorso
pacato, minimale e che ci insegna di come la passione e
l’inaspettato corrano insieme. Ma all’Oscar non ci penso, sono già
contento così. Anzi, una volta a 20 anni ci ho pensato: era sul bus
64 tornando a casa con una mia amica, quando le disse ‘Non potrei
mai diventare Papa, ma forse una nomination all’Oscar sì!”
Al cinema in Italia dal 25
gennaio per Warner Bros. Italia, in
ritardo rispetto al resto del mondo (scelta ponderata da
Guadagnino), il film è riuscito a farsi notare nei più importanti
festival collezionando oltre 150 nomination in giro per il mondo e
a rendere famosa la storia d’amore tra Oliver e Elio, proprio quel
tipo di “buzz”, come dicono gli americani, che ha fatto parlare del
film ancora prima di vederlo.
“Non penso che questo sia un
film su una storia d’amore gay ma dell’aurora di un ragazzo che lo
trasforma e improvvisamente lo definisce come persona. Mi piace
pensare anche che sia un film sul desiderio, che non conosce
definizione di genere e infine è anche un film sulla famiglia. Ho
molto pensato che questo potesse essere il mio primo passo verso un
canone che ammiro profondamente da sempre, che è il canone
Disneyano, dove intendiamo un certo tipo di racconto emotivo in cui
il gruppo famiglia è un luogo dove ci si migliora a vicenda, come
nella trilogia di Toy Story.” commenta così Luca
Guadagnino sulle intenzioni di Chiamami col tuo
nome.
Ma questo tipo di
famiglia, esiste? È possibile? “Secondo me l’utopia è la
pratica del possibile, quindi si che esiste. Il 1983 è un anno
storicamente importante, se Elio è all’aurora della sua vita, al
contempo è anche il tramonto di un epoca il cui risultato lo
vediamo ancora oggi. Quindi forse quella capacità di essere così
aperti a livello intellettuale e livello emotivo, che la
generazione degli anni 70 aveva portato con se a partire dal ’68,
si è trasformata in una sorta di inarticolazione che quasi ci
spaventa. Per questo ci sembra così strano che ci siano dei
genitori che hanno quella capacità di trasmettere il sapere e anche
il sapere emotivo ai propri figli, ma è veramente questa la ragione
per la quale ho deciso infine di fare questo film.”
“La cosa che mi ha attirato di
più di questo progetto era il desiderio di lavorare con Luca. Alla
mia giovane età questi tipo di ruoli sono veramente rari e trovare
un ruolo del genere con un regista come Luca è ancora più raro ed è
stato davvero ispirante.” commenta Timothée
Chalamet, che nel film interpreta Elio, giovane ragazzo
alla scoperta dei suoi sentimenti e della sessualità, “Parlavo
con un regista raccontando di quanto fosse stato importante per me
il monologo del padre alla fine, perché in quella scena in
particolare per me, si capisce che il film sia come una guida su
come affrontare l’amore e come dobbiamo rapportarci con il nostro
istinto ad amare e istinto verso la sessualità. Ma questo regista
mi ha detto che secondo lui invece la scena trattava del dolore e
come affrontarlo. E non l’avevo mai pensata da quel punto di vista
e l’ho trovato interessantissimo. È la mia parte preferita del film
e la mia parte preferita del libro. Pensate che la scorsa settimana
ho ritrovato la mia copia originale del libro, quella che comprai 5
anni fa all’inizio di questo progetto e quel monologo era tutto
sottolineato, perché per me quella è la parte più potente della
storia e quella da cui possiamo imparare qualcosa. Questa idea che
quando stiamo soffrendo nella vita, che abbiamo il cuore spezzato o
stiamo malissimo, stiamo facendo tutto nel modo giusto.”
Chiamami col tuo
nome, recensione del film
di Luca Guadagnino
Per quanto riguarda la lavorazione
del film a livello registico, Guadagnino commenta:
“Ho imparato nel tempo che la cosa più importante è il
movimento all’interno del quadro ovvero come prende vita la scena a
partire dai singoli elementi che la compongono, a partire
dall’umano che si muove nello spazio. E quindi sostanzialmente ho
imparato che a me piace, insieme ai miei attori, dimenticare la
sceneggiatura e ricominciare da capo e insieme tessere la tela
della sequenza della scena. Ma quella è solo la prima fase, poi
arriva il montaggio, con il mio caro amico Walter
Fasano. Quello è il momento in cui noi abbiamo il compito
di fare in modo che questa tela venga esaltata al massimo, la
verità del lavoro degli attori venga portato fuori e reso
scintillante. Io e Walter abbiamo una certa passione per un
immaginario decostruttivista, quindi ci piace più la dissonanza
dell’assonanza e forse una sorta di ricerca di trovare un armonia
della dissonanza che è una cosa un po’ complicata, ma abbiamo il
privilegio di poterlo fare.”
Armie Hammer
ricorda con grande entusiasmo l’esperienza sul set, esaltando
soprattutto la libertà che aveva come attore: “Luca è dotato di
una grande capacità di equilibrio. A volte è difficile lavorare con
registi ingombranti che dicono spostati un po’ più a sinistra o vai
più a destra, mentre invece con lui si può lavorare in
straordinaria libertà. Aggiungo anche che la scelta di lavorare con
un unico obbiettivo da 35mm e con una cinepresa, ci ha permesso di
muoverci liberamente nello spazio. Era possibile per noi esprimerci
nel modo in cui noi pensavamo più giusto in quel momento, toccare o
prendere in mano oggetti, muoverci nello spazio della stanza. Se
questo equilibrio veniva raggiunto e funzionava nell’ambito dei
tempi del regista e se era credibile come azione, allora si andava
avanti senza interruzioni, altrimenti Luca interveniva ma sempre
con un tocco leggero, con domande che miravano proprio a riportarti
in questa realtà e a farti ritrovare il giusto senso
dell’equilibrio. Chiedeva cose che raramente un attore si sente
chiedere come ‘In questo momento, dove ti trovi? Dove stai con la
tua testa?’, ecco questo per me indica una qualità rara e come
attore, quando arrivano indicazioni del genere, era chiarissimo il
suo intento.”
“Sono pieno di gratitudine, è
molto incoraggiante per i giovani ricevere segnali come questi che
ti fanno capire di continuare a credere nella propria carriera. È
come se mi dicessero che ho fatto un buon lavoro e adesso ho la
responsabilità di godermi questo momento.”
A soli 22 anni,
Timothée Chalamet è ancora incredulo di essere in
lizza per premio come Miglior Attore a gli Oscar 2018, felicissimo
però racconta anche di quanto questo ruolo lo abbia
arricchito anche nel modo di rapportarsi con l’amore: “La cosa
che mi fa ridere, pensando a me stesso in relazione con questo film
e che penso sia anche l’esperienza che hanno avuto molte persone
guardandolo, è che io non ho mai avuto una storia d’amore così
piena di passione, così piena di scadenze e romanticismo. Quindi
per me è stata come una lezione su come muovermi e come capire le
persone che si ritrovano al centro di relazioni così intense per
quanto riguarda l’amore, senza far conto del sesso. Potrebbe essere
un amore omosessuale, un amore eterosessuale o un amore per le
pesche! Quella è una delle mie parti preferite nel film, perché ci
insegna che l’amore non ha confini, più manteniamo l’amore in modo
organico e più possiamo riuscire a mantenerlo senza definizioni e
lontano dalle classificazioni di genere. Meno viviamo secondo
quelle definizione e più saremo liberi e capaci, come Oliver e
Elio, di amare e soffrire.”