Hanno portato al cinema
Benedetta Follia nella scorsa stagione
cinematografica, e, ospiti all’Ischia Film Festival 2018 nella
sezione Best of, Carlo Verdone e
Nicola Guaglianone hanno parlato del loro lavoro e
delle difficoltà del cinema italiano oggi.
In che modo i luoghi dove
ambientate le storie influiscono sulle storie stesse?
Nicola Guaglianone:
“Quando passeggio per Roma ad agosto all’EUR e sento solo il
frinire delle cicale, non posso fare a meno di pensare ai
personaggi di Carlo. Quella è l’ambientazione che rispecchia lo
stato d’animo dei suoi personaggi comici, tutti che nascondono una
profonda fragilità e tristezza. Questa è la Roma che amo vedere, e
infatti con Benedetta Follia siamo tornati nel Centro Storico, con
tutti i personaggi, i comprimari, persone reali che vedevo nei film
di Carlo e che ho conosciuto quando abitavo a Campo de’ Fiori. Per
quanto riguarda i miei film, ho sempre scelto delle location di
carne a sangue, sono luoghi che interpretano un altro protagonista,
perché per Indivisibili o Lo Chiamavano Jeeg Robot, per esempio, ho
raccontato storie che avevano degli elementi fantastici
all’interno, e dovevano essere equilibrati e resi credibili con un
contesto iperrealista. Per forza, quindi, sono andato in quei mondi
dove si cade in tutte le trappole sociali possibili e questa scelta
mi è servita per rendere credibile qualcosa che credibile non
era.”
E questi film testimoniamo
anche una certa elasticità, tra un genere e l’altro.
Nicola Guaglianone:
“Io sono cresciuto con la televisione, con i manga giapponesi.
La mia generazione, più che la precedente, è cresciuta con le
immagini. E quando poi ti trovi a scrivere, queste immagini
riemergono. Quello che ho sempre amato fare era unire i vari mondi,
contaminarli. Unire Germi con Mazinga o con gli zombie. Io voglio
fare un film di zombie con Carlo da anni.”
In che stato è il cinema nel
momento in cui esistono adesso tanti altri mezzi per vedere un
film?
Carlo Verdone:
“Il cinema è in un momento di difficoltà, e non conosco le
soluzioni. Dipende molto dai produttori e dai distributori, ma io
posso parlare per gli autori e dire che tutto ciò che possiamo fare
è solo cercare di scrivere bene i film. Non vedo altre soluzioni.
Una volta fare 15 milioni di euro era un incasso di successo,
adesso ci siamo assestati intorno agli 8, 9 milioni, per dire che
un film è andato bene. Sarebbe davvero un peccato perdere la sala
cinematografica come posto per il cinema perché si perde anche un
luogo di aggregazione, mentre guardare i film a casa da soli sembra
un modo di fruire il cinema autistico, sembra che più nessuno abbia
voglia di condividere le esperienze. È il rapporto umano che è
cambiato.”
Se da un punto di vista
distributivo ed economico il cinema è in difficoltà, da un punto di
vista creativo non si registra un certo fermento?
Carlo Verdone:
“La cosa incredibile è che ci sono film molto buoni, ma vengono
visti da poche persone. Per esempio Indivisibili, è un film bello,
poetico, è stato visto e premiato, ma meritava molto di più. La
gente non ha più la sensibilità, e questo mi dispiace, perché
perdiamo qualcosa di importante nelle nostre esperienze.”
Nicola Guaglianone:
“Credo che ci siano degli autori molto bravi adesso, quest’anno
per esempio ho amato molto A Ciambra di Jonas Carpignano. Io credo
che paghiamo il prezzo di anni e anni di assistenzialismo, in cui
venivano elargiti dei soldi senza pensare a quella che era la
qualità della scrittura, c’era un rispetto verso l’autore che
poteva fare come gli pareva e così si realizzavano dei film senza
capo né coda, e l’autore considerava poi ignorante lo spettatore
che non lo capiva, invece di farsi delle domande su come aveva
lavorato. La presunzione ha allontanato il pubblico dalle sale per
quanto riguarda il cinema d’autore. La crisi del cinema, se c’è, è
dovuta a diversi fattori. Da una parte ai produttori, che hanno la
presunzione di sapere cosa piace al pubblico, ma questo è
difficilissimo da prevedere. L’idea dovrebbe essere quella di
creare il desiderio di un cinema nuovo. Un altro problema è quello
delle sale; spesso la gente guarda i film a casa, molte nostre sale
sono vecchie e non attrezzate. Bisognerebbe creare un’esperienza in
sala insostituibile con qualsiasi altro modo di vedere un film. Un
altro problema importante sono le scuole di cinema, che non
insegnano un mestiere, ma a sentirsi poeti. In questo modo tutti si
sentono autori ma nessuno sa fare un lavoro, almeno per quanto
riguarda le categorie di sceneggiatori e registi. e il risultato è
che si diplomano classi di disoccupati.”