Il
Diritto di opporsi, un dramma illuminante che porta sul
grande schermo una delle storie più importanti del nostro tempo,
con protagonisti Michael B. Jordan e i premi Oscar Jamie Foxx (“Ray”, “Baby Driver – Il genio
della fuga”, “Django: Unchained”) e Brie Larson (“Room”, “Short Term 12” e
“Captain Marvel”), arriva in DVD e Blu-Ray
dal 10 settembre.
Il
premiato regista Destin Daniel Cretton (“Il castello di vetro”,
“Short Term 12”) ha diretto il film da una sceneggiatura che ha
co-scritto, tratta dal pluripremiato best-seller di memorie ad
opera di Bryan Stevenson.
Il Diritto di opporsi, il
film
Il
Diritto di opporsi si basa sulla vera storia, potente e
stimolante, del giovane avvocato Bryan Stevenson (Jordan) e la sua
storica battaglia per la giustizia. Dopo essersi laureato ad
Harvard, Bryan avrebbe potuto scegliere fin da subito di svolgere
dei lavori redditizi. Al contrario, si dirige in Alabama con
l’intento di difendere delle persone condannate ingiustamente, o
che non avevano una rappresentanza adeguata, con il sostegno
dell’attivista locale Eva Ansley (Larson). Uno dei suoi primi casi,
nonché il più controverso, è quello di Walter McMillian (Foxx), che
nel 1987 viene condannato a morte per il famoso omicidio di una
ragazza di 18 anni, nonostante la preponderanza di prove che
dimostrano la sua innocenza, e il fatto che l’unica testimonianza
contro di lui è quella di un criminale con un movente per mentire.
Negli anni che seguono, Bryan si ritroverà in un labirinto di
manovre legali e politiche, di razzismo palese e sfacciato, mentre
combatte per Walter, e altri come lui, con le probabilità – e il
sistema – contro. Disponibile in DVD e Blu-Ray in tutti i
negozi e su Amazon.it
È il 1978 quando gli spettatori dei
cinema statunitensi si ritrovano a seguire gli spostamenti di un
personaggio non meglio identificato. Condividendo il proprio punto
di vista con il pubblico in sala, questi lo conduce attraverso le
stanze di una silenziosa abitazione. Un coltello affilato viene
preso da un cassetto, delle ripide scale vengono salite gradino
dopo gradino fino al giungere nella stanza dove si trova un’ignara
ragazza, prima vittima del mostro che ha ora un nome: Michael.
Michael Myers.
Con Halloween – La notte delle
streghe, capolavoro di John Carpenter, prende
così vita quello che tutt’oggi è uno dei più famosi e spaventosi
personaggi del cinema horror. Energumeno silenzioso e mascherato,
Myers è una macchina infernale, il cui unico scopo è quello di
uccidere senza pietà le proprie vittime. Protagonista di dieci film
usciti tra il 1978 e il 2018, il personaggio continua ancora oggi a
spaventare intere generazioni di spettatori. La saga a lui dedicata
non è tuttavia ancora conclusa, e Myers tornerà presto a spargere
sangue sul grande schermo.
Ecco 10 cose che non sai di
Michael Myers.
Michael Myers: i film in cui
compare
10. È il villain principale
della saga a lui dedicata. Il personaggio di Michael Myers
arriva al cinema con il film Halloween – La notte delle
streghe, con protagonista Jamie Lee
Curtis. Dato il grandissimo successo del film, nasce
una vera e propria saga horror dedicata al personaggio. Egli torna
così sul grande schermo come principale minaccia dei film
Halloween II – Il signore della morte (1981),
Halloween 4 – Il ritorno di Michael Myers (1988),
Halloween 5 – La vendetta di Michael Myers (1989),
Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers (1995), con
Paul
Rudd, Halloween – 20 anni dopo (1998), con
Michelle
Williams, e Halloween – La resurrezione
(2002).
9. Sono stati realizzati
alcuni remake e sequel con il personaggio. Con
Halloween – La resurrezione si è conclusa ufficialmente la
serie di sequel, più o meno fortunati, del primo film. Nel 2007,
invece, ha preso vita il primo remake dell’originale del 1978.
Questo è intitolato Halloween – The Beginning, e segna un
nuovo inizio per le vicende di Michael Myers al cinema. Il film ha
poi avuto un sequel, intitolato Halloween II (2009). Nel
2018, tuttavia, con la benedizione di
Carpenter, arriva al cinema Halloween.
Questo si pone come sequel diretto dell’originale, ignorando gli
eventi di tutti gli altri film realizzati nel corso del tempo.
Questo viene annunciato come il primo capitolo di una nuova e
conclusiva trilogia, che comprenderà dunque anche Halloween Kills
(2021) e Halloween Ends (2022).
Michael Myers: gli attori del
personaggio
8. Nick Castle è il suo più
celebre interprete. Nel corso degli anni sono molti gli
attori alternatisi nei panni del personaggio. Complice anche
l’utilizzo della maschera, era infatti possibile affidarsi a
persone diverse senza che la cosa fosse troppo evidente. Il più
celebre di tutti, nonché l’originale, è però Nick
Castle. Questi venne scelto per il ruolo quasi per caso,
essendo un amico del regista trovatosi a curiosare sul set. Le
indicazioni fornitegli da Carpenter per interpretare l’assassino
furono minime, e l’attore venne pagato soltanto 25 dollari al
giorno. Castle si è però sempre dichiarato legato al personaggio, e
ne ha ripreso i panni in occasione del film del 2018.
7. È stato interpretato da
un noto wrestler. Per i film Halloween – The
Beginning e Halloween II, il ruolo di Myers è stato
interpretato dall’attore Tyler Mane. Questi è in
particolare noto per essere stato un wrestler nella federazione WCW
con il nickname Nitro. Ad oggi, con i suoi oltre 2 metri di
statura, Mane è il più alto attore ad aver dato vita al
personaggio. Venne scelto proprio per questa sua caratteristica
fisica, che permise di incutere reale timore negli altri attori del
cast.
6. Quasi ogni film ha avuto
un interprete diverso per il personaggio. Oltre a Castle e
Mane, per gli altri film della saga sono stati contattati sempre
attori diversi per dar vita al celebre assassino. Dick
Warlock lo interpreta in Halloween II – Il signore
della morte, mentre George Wilbur in
Halloween 4 e Halloween 6. Don
Shanks è invece Myers in Halloween 5, mentre in
Halloween – 20 anni dopo il personaggio è interpretato da
Chris Durand. Brad Loree gli dà
invece vita in Halloween – La resurrezione. Nei nuovi
film, invece, Castle alterna il personaggio con l’attore
James Jude Courtney.
Michael Myers: la sua
maschera
5. Vi è una buffa storia
dietro la maschera del personaggio. Avendo a disposizione
un budget estremamente ridotto, Carpenter dovette arrangiarsi in
molti modi per metter su il suo film, andando quanto più possibile
a risparmio. Fondamentale era però la scelta della maschera che
avrebbe indossato il mostro. Nell’ideare questa, Carpenter raccontò
di non essersi sprecato in riflessioni eccessivamente contorte. Il
regista si recò semplicemente in un negozio di maschere, dove ne
acquistò una del capitano Kirk, personaggio della saga di Star
Trek. Questa venne poi colorata e gli occhi furono ingranditi.
Nacque così la leggendaria e spaventosa maschera di Michael
Myers.
Michael Myers in Dead by
Daylight
4. È il personaggio di un
noto videogioco. Michael Myers compare come personaggio
giocabile nel videogioco Dead by Daylight, di genere
survival horror. Qui è possibile vestire i suoi panni alla
ricerca di sopravvissuti da uccidere brutalmente. Allo stesso
tempo, è possibile assumere anche il ruolo di Laurie Strode, la
giovane protagonista di alcuni dei film di Halloween, che
si ritrova a dover scappare dal mostro. I due personaggi sono
disponibili insieme alla mappa che riproduce la cittadina di
Haddonfield.
Michael Myers: da bambino
3. La sua malvagità ha
origini antiche. Il pubblico rimase particolarmente
sconvolto nel vedere che il terribile omicida della prima sequenza
del film del 1978 era un semplice bambino. Negli anni, tuttavia,
l’infanzia di Michael Myers si è arricchita di dettagli che hanno
permesso di ritrovare già nella sua tenera età i segni di quello
che sarebbe diventato il minaccioso omicida. Il bambino, infatti,
ha da sempre manifestato segni di squilibrio psichico, che negli
anni sono andati accentuandosi. Approfondendo la storia della sua
famiglia, si è poi scoperto che già il suo bisnonno era stato un
terribile omicida, guidato probabilmente da antiche e malvagie
forze oscure.
Michael Myers: la storia vera
2. Non è un personaggio
realmente esistito. Per quanto nell’ideazione del
personaggio Carpenter possa essersi ispirato a qualche reale serial
killer, il personaggio di Michael Myers non è realmente esistito.
Al regista venne infatti chiesto di ideare un nuovo personaggio
horror che potesse funzionare al cinema, e fu così che egli arrivò
a dar vita ad un essere apparentemente umano ma con aspetti
mostruosi e sovrumani. Per il nome del personaggio, Carpenter
scelse quello dell’omonimo distributore europeo che lo aveva
aiutato a portare in sala il suo precedente film, Distretto 13
– Le brigate della morte.
Michael Myers l’altezza del
personaggio
1. È un vero e proprio
gigante. L’altezza complessiva di Myers non è mai stata
realmente stabilita, e negli anni questa è anche parzialmente
variata in base all’interprete che ne vestiva i panni.
Nell’immaginario comune, ad ogni modo, il personaggio si è
affermato come un vero e proprio gigante, la cui altezza, anche in
relazione agli altri personaggi che lo circondano, supera
facilmente i due metri. L’imponenza di Myers è infatti il suo
aspetto più spaventoso.
Serena Rossi e
Stefano Accorsi sono i protagonisti di
Lasciami Andare, il nuovo film di Stefano
Mordini. Eccoli che raccontano il film in occasione della
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
di Venezia, dove viene presentato come film di chiusura.
Marco (Stefano Accorsi) e Anita
(Serena Rossi) scoprono di aspettare un
figlio. Finalmente un raggio di luce nella vita di Marco,
messa duramente alla prova dal dolore per la scomparsa di Leo, il
suo primogenito avuto con la prima moglie Clara (Maya Sansa).
Improvvisamente però, nella vita di Marco e della sua ex moglie,
irrompe Perla (Valeria Golino), la nuova proprietaria della casa
dove la coppia abitava fino al tragico incidente. La misteriosa
donna sostiene di sentire costantemente una strana presenza e la
voce di un bambino che tormenta sia lei che suo figlio. Marco
si ritrova così combattuto tra i legami del passato e un futuro
ancora da scrivere.
La Warner Bros ha posticipato
l’uscita di Wonder Woman
1984 al giorno di Natale 2020. Lo studio, insieme alla
Legendary Pictures, ha invece mantenuto invariata la data d’uscita
di Dune,
al 18 dicembre, appena una settimana prima del film di
Patty Jenkins. La scelta, condizionata
naturalmente dalla lenta riapertura delle sale dopo la chiusura
totale della scorsa primavera/estate, posiziona due grossi
blockbuster a distanza ravvicinata.
In Wonder Woman 1984, è rapido balzo
fino agli anni ’80 nella nuova avventura per il grande schermo di
Wonder Woman, che si troverà ad affrontare un nemico del tutto
nuovo: The Cheetah. Sono iniziate le riprese del film che riprende
le avventure della supereroina, dopo il primo film campione
d’incassi della scorsa estate “Wonder Woman” della Warner Bros.
Pictures che ha incassato 822 milioni di dollari al box office a
livello mondiale. Come il precedente, anche “Wonder Woman 1984”
sarà diretto dall’acclamata regista Patty Jenkins e la protagonista
sarà ancora una volta Gal Gadot. Wonder Woman
1984” è ispirato al personaggio creato da William Moulton Marston e
pubblicato nei fumetti dalla DC Entertainment.
Con il ritorno di Patty
Jenkins alla regia e di Gal Gadot nel
ruolo principale, “Wonder Woman 1984” è il seguito della Warner
Bros. Pictures del primo film campione d’incassi sulla supereroina
DC, “Wonder Woman” del 2017, che ha incassato 822 milioni di
dollari a livello mondiale. Nel film recitano anche Chris
Pine nel ruolo di Steve Trevor,
Kristen Wiig nel ruolo di The Cheetah, Pedro
Pascal in quello di Max Lord,
Robin Wright nei panni di Antiope e
Connie Nielsennei panni di Hippolyta
È stato assegnato venerdì
11 settembre alle ore 17.00 presso la
Sala degli Stucchi dell’Hotel Excelsior, alla presenza di
Alberto Barbera, Direttore della 77. Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica, Piera Detassis, Presidente
Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello,
Mario Lorini, Presidente ANEC e Mariella
Andreatta, Presidente Comitato UNICEF
Veneto, Maria Pia Ammirati, Presidente
Istituto Luce – Cinecittà. La cerimonia di
premiazione del Leoncino d’Oro, istituito da
AGISCUOLA nel 1989 e quest’anno in collaborazione
con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo,
con il Ministero dell’Istruzione, l’Accademia del Cinema Italiano
Premi David di Donatello e l’Associazione Nazionale Esercenti
Cinema.
Giunto alla 32° edizione, il
Leoncino è divenuto nel tempo uno dei premi collaterali più
importanti e significativi della Mostra del Cinema di Venezia. In
questa particolare edizione i giovani giurati provenienti da tutta
Italia hanno anche assegnato – in seguito ad un accordo siglato con
il Comitato Italiano per l’UNICEF – il prestigioso premio
Segnalazione Cinema For UNICEF, riconoscimento
istituito dal Comitato Italiano per l’UNICEF presso la Mostra sin
dal 1980.
Durante la cerimonia Il Premio
Leoncino d’Oro della 77. Mostra d’arte
cinematografica di Venezia è stato assegnato al film
Nuevo Orden di Michel
Franco alla presenza del regista, con la seguente
motivazione:
“Le disturbanti immagini di un
futuro distopico si rincorrono in un violento crescendo che porta
alla caduta della società nel baratro del caos. Per aver mostrato
scenari inquietanti, proprio perché plausibili, per aver
magistralmente diretto un’opera indispensabile, che si presenta
come un severo monito per lo spettatore e per aver lanciato un
messaggio universale sulla necessità di agire prima che sia troppo
tardi.”
La Segnalazione Cinema For
UNICEF è stata assegnata al film
Notturno di Gianfranco
Rosi, presente alla premiazione, con la seguente
motivazione:
“Le nitide istantanee di una
guerra quotidiana, fatta di silenzi e di parole impossibili da
pronunciare, raccontano una verità che esplode come assordanti
colpi di fucile. Per aver mostrato una realtà dove anche i bambini
parlano il linguaggio della sofferenza e aver riunito in un lungo
viaggio interi territori accomunati dagli echi di un conflitto
statico e senza fine.”
I vincitori del Leoncino d’Oro Agiscuola
1989 SCUGNIZZI di Nanni Loy
1990 UN ANGELO ALLA MIA TAVOLA di Jane Campion
1991 LA LEGGENDA DEL RE PESCATORE di Terry Gilliam
1992 UN CUORE IN INVERNO di Claude Sautet
1993 FILM BLU di Krzysztof Kieslowski
1994 PRIMA DELLA PIOGGIA di Milcho Manchewski
1995 L’UOMO DELLE STELLE di Giuseppe Tornatore
1996 HOMMES FEMMES: MODE D’EMPLOI di Claude Lelouch
1997 OVOSODO di Paolo Virzì
1998 GATTO NERO GATTO BIANCO di Emir Kusturica
1999 JESUS’ SON di Alison MacLean
2000 I CENTO PASSI di Marco Tullio Giordana
2001 ABRIL DESPERAÇADO di Walter Salles
2002 L’UOMO DEL TRENO di Patrice Leconte
2003 BUONGIORNO, NOTTE di Marco Belloccio
2004 BINJIP – FERRO 3 di Kim Ki-duk
2005 SIMPATHY FOR LADY VENGEANCE di Park Chan-Wook
2006 EJPHORIJA (Euphoria) di Ivan Vyrypaev
2007 THE DARJEELING LIMITED di Wes Anderson
2008 IL PAPA’ DI GIOVANNA di Pupi Avati
2009 CAPITALISM: A LOVE STORY di Michael Moore
2010 LA VERSIONE DI BARNEY di Richard J. Lewis
2011 CARNAGE di Roman Polaski
2012 PIETA’ di Kim ki-Duk
2013 SACRO GRA di Gianfranco Rosi
2014 BIRDMAN di Alejandro G. Inarritu
2015 L’ATTESA di Piero Messina
2016 NA MLIJEČNOM PUTU (On the Milky Road) di Emir Kusturica
2017 THE LEISURE SEEKER (Ella & John) di Paolo Virzì
2018 WERK OHNE AUTOR (OPERA SENZA AUTORE) di Florian Henckel von
Donnersmarck,
2019 IL SINDACO DEL RIONE SANITA’ di Mario Martone
Tra i dieci film in concorso l’opera
prima KITOBOY (The Whaler Boy) di
Philip Yuryev è il vincitore del GdA
Director’s Award 2020 nella diciassettesima edizione delle
Giornate degli Autori.
L’opera è stata premiata dalla
giuria presieduta dal regista israeliano Nadav
Lapid e composta dai giovani europei del progetto
27 Times Cinema, ventisette spettatori provenienti
ognuno da un diverso Paese dell’Unione Europea.
Tutte le riunioni di giuria sono
state moderate da Karel Och, direttore del
festival di Karlovy Vary, che ha condotto le discussioni
accompagnando Lapid e i suoi giovani colleghi a decretare il
vincitore.
Questa la motivazione con la quale
hanno sostenuto la scelta: “Il vincitore del GdA Director’s
Award è The Whaler Boy di Philipp Yuryev. Era uno dei tre
film selezionati, assieme a Residue di Merawi Gerima,
ritratto intimo e sperimentale della comunità black a
Washington DC, e Conference di Ivan I. Tverdovskiy,
analisi non convenzionale della paura e del dolore, ambientata in
Russia durante una cerimonia in commemorazione di un attacco
terroristico. La giuria ha ritenuto che The Whaler Boy di
Yuryev fosse la prova cinematografica migliore, combinando il
genere drammatico e quello comico, pur mantenendo una forte visione
estetica. Questa opera prima del regista è una storia di
“coming-of-age” che ritrae un mondo mai esplorato prima con tanta
precisione e sapienza filmica. La decisione di avvalersi di attori
non professionisti ha conferito maggiore autenticità e la giuria ha
ritenuto che questo film meritasse di essere premiato.”
Il GdA Director’s Award ha un valore di 20.000 euro: metà
destinata al regista, metà al venditore internazionale del film,
per aiutarne la circolazione.
Leshka vive in un villaggio
sperduto sullo Stretto di Bering che divide la Russia dagli
Stati Uniti, tra il circondario autonomo della Čukotka e
l’Alaska. È un adolescente ed è anche un cacciatore di balene,
come la maggior parte delle persone nel paese. Da poco, è possibile
accedere a Internet. L’unico momento di conforto per i ragazzi è
diventata una video chat erotica che si interrompe continuamente.
Il buffering, comunque, non impedisce di osservare giovani donne
che vivono a migliaia di chilometri di distanza. Per tutti sembra
essere poco più che un passatempo divertente, per Leshka invece si
trasforma in una cosa seria quando si imbatte in una ragazza che
gli cambia la vita. Al mattino presto, Leshka ruba un motoscafo, un
binocolo e un arpione, e parte. Si prospetta un viaggio folle.
Arriverà in Alaska?
Senza alcuna esperienza
cinematografica, Philipp Yuryev (Mosca,
1990) è stato ammesso all’Università Statale Russa di
Cinematografia. Con il suo primo cortometraggio realizzato durante
gli studi, Utro drugimi glazami, si è aggiudicato
numerosi premi internazionali. Eguale successo ha ottenuto
con Vidoizmenennyy landshaft. Il suo film di
diploma, Pesnya mekhanicheskoy ryby, è stato
selezionato al Sundance e al Festival di
Clermont-Ferrand. Kitoboy è la sua opera
prima.
“L’idea di questo film mi è
venuta durante un viaggio nell’estremo nord della Russia,
ricorda il regista, “Arrivati in un piccolo villaggio di
pescatori, notammo che le donne più giovani erano partite per
frequentare le scuole estive in città. Quell’esodo fu una vera
tragedia per i ragazzi locali che dovettero trascorrere tre lunghi
mesi da soli. Di fatto, circondati da una tundra senza fine, quei
giovani furono totalmente abbandonati dalle donne, anche perché le
ragazze del villaggio più vicino non potevano spostarsi per una
semplice visita. La connessione alla Rete era scadente. L’unico
modo per osservare delle ragazze era una video chat erotica che
peraltro si interrompeva spesso. È stato proprio in quel momento
che ho scritto la prima versione di questa storia. Ho deciso di
trasferire la storia a Čukotka, in un piccolo villaggio popolato da
cacciatori di balene. Il protagonista, Leshka, sperimenta i tipici
problemi adolescenziali legati alla solitudine, il desiderio di
trovare l’amore e il sentirsi incompreso dai suoi amici. Sono
proprio esperienze del genere a rendere universale questa
storia.”
Emma Dante con Le
sorelle Macaluso,premiato anche per l’intero cast
femminile, e Alessandro
Gassmann, per la migliore interpretazione maschile
nell’opera prima di Mauro Mancini Non
odiare, in concorso alla SIC – Settimana
Internazionale della Critica – sono i vincitori dei
Premi Francesco Pasinetti 2020 assegnati
alla Mostra di Venezia dai Giornalisti Cinematografici
SNGCI.
Lo annuncia il Direttivo del
Sindacato che, come sempre, ha scelto i vincitori tra tutti i
film italiani presentati nelle diverse sezioni, insieme ai
componenti del suo Consiglio Nazionale accreditati alla
Mostra. Si tratta di scelte che confermano – pur di fronte
alla qualità e alle originalità delle proposte italiane nelle
diverse sezioni (e in particolare nella ‘rosa’ di scelte di
Venezia 77) – la particolare attenzione che il Sindacato
ha scelto di dedicare quest’anno soprattutto al cinema di fiction,
anche per sostenere la ripresa del cinema in sala.
In un’edizione difficile che la
Mostra 77 ha superato con successo, nonostante le difficoltà, i
Giornalisti Cinematografici esprimono un particolare apprezzamento
per l’attenzione che – tra i titoli delle diverse sezioni – la
selezione ha quest’anno riservato al cinema del reale.
Sottolineano, in particolare, l’importanza che ancora una volta il
Concorso, che mai come quest’anno ha segnalato il talento
femminile, abbia accolto l’eccellenza di un grande
documentario come Notturno di Gianfranco Rosi e
che la Mostra 2020 – fino alla selezione autonoma delle Giornate
degli Autori e della Settimana Internazionale della Critica – e
consegni alla storia di quest’edizione ‘miracolosa’, di
fronte alle difficoltà e ai rischi del Covid, un ventaglio di
titoli che esprimono un’attenzione speciale alla cronaca e al
sociale così come alla memoria del cinema.
Al film “Notturno”
di Gianfranco Rosi, in concorso alla 77a
mostra del cinema di Venezia, è andato il “Green drop award” 2020
di Green Cross Italia, patrocinato dal ministero dell’Ambiente e
dall’Enea. Ha ritirato il premio – la goccia di vetro di Murano
realizzata dal maestro Simone Cedese che quest’anno contiene la
terra di Forada, a testimonianza della catastrofe climatica che
colpì il pianeta cinquantasei milioni di anni fa e monito a non
ripeterla – la produttrice Donatella
Palermo di Stemal Entertainment.
La cerimonia di premiazione si è
svolta stamattina all’hotel Excelsior nella Sala della Fondazione
dello Spettacolo, al Lido di Venezia. Sono intervenuti il
presidente del Gse Francesco Vetrò, il responsabile documentari Rai
Cinema Gabriele Genuino, Gianluca Farinelli, direttore della
Cineteca di Bologn, direttore generale ANEC Simone Gialdini, il
presidente di Green Cross Italia Elio Pacilio, il direttore del
Green drop award Marco Gisotti, il co-ideatore del premio Maurizio
Paffetti.
“Secondo Bernard Tavernier, il primo
film ad aver ripreso una catastrofe ambientale è un rullo dei
fratelli Lumiere girato a Baku in Azerbaigian nel 1896, dove una
torre petrolifera veniva avvolta dai suoi stessi fumi – si legge
nella motivazione del premio. Nel film ‘Notturno’, in concorso alla
77a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia,
vediamo sullo sfondo svettare le moderne torri estrattive figlie
delle stesse industrie di oltre un secolo fa. Sono solo un
paesaggio, ma molte immagini del film in concorso del regista
Gianfranco Rosi, insieme alla documentazione diretta del dramma
personale e politico dei suoi protagonisti, compongono un’opera la
cui urgenza è incarnata nei principi che da sempre ci hanno mosso
nell’assegnare il Green Drop Award alla produzione cinematografica
che nel corso della Mostra ‘abbia interpretato i valori
dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile, con particolare
attenzione alla conservazione del pianeta e dei suoi ecosistemi per
le generazioni future, agli stili di vita e alla cooperazione fra i
popoli’. I giovani di tutto il pianeta invocano giustizia
ambientale, giustizia sociale e diritti umani non più
procrastinabili. Per vincere questa sfida e aprire gli occhi
servono opere come ‘Notturno’ di Gianfranco Rosi. A lui e alla
coraggiosa produzione va la nostra gratitudine e per queste ragioni
il Green drop award 2020 viene assegnato al film”.
“Ringrazio anche a nome di
Gianfranco Rosi per questo importante premio che mette al centro
l’umanità. Lo stesso fa Rosi con il suo cinema capace di
avvicinarci emotivamente a delle realtà nascoste nelle pieghe della
grande Storia”, ha dichiarato Donatella
Palermo, produttrice del film, ritirando il Premio.
“Come ha affermato lo stesso
Rosi – ha osservato il
presidente Pacilio -, in
‘Notturno’ è raccontata la quotidianità di chi vive lungo il
confine che separa la vita dall’inferno. Se non agiamo ora
contro i cambiamenti climatici, come ci ricorda la terra di Forada
contenuta nella goccia di vetro di Murano di quest’anno che abbiamo
consegnato alla produttrice del film, il futuro del pianeta
potrebbe essere un inferno. Non c’è un piano B: dobbiamo agire
tutti ora, per un futuro più sostenibile”.
Della giuria di questa nona edizione
del “Green Drop Award” hanno fatto parte, oltre a Green Cross
Italia, esponenti dell’Enea, del Gse, dell’Anec e delle Film
Commission.
CHE COS’E’ IL GREEN DROP
AWARD
Il Green Drop Award è il premio
istituito da Green Cross Italia, ONG internazionale fondata
da Mikhail Gorbaciov, e assegnato durante la
Mostra del Cinema di Venezia al film in gara nella selezione
ufficiale del festival che rappresenta meglio i valori ambientali e
della cooperazione. La prima “goccia” è stata consegnata nel 2012.
Quella 2020 è la nona edizione.
L’edizione 2020 è realizzata con
il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio e del Mare e
di ENEA – Ente per le nuove tecnologia, l’energia e
l’ambiente – e la collaborazione
della Sardegna Film Commission.
E’ Claudio
Giovannesi il presidente della giuria che, nell’ambito di
Venezia 77, sarà incaricata di premiare la migliore opera prima
della selezione ufficiale della Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica edizione 2020. Ecco le sue parole sul suo
lavoro e sul suo approccio al cinema, mentre ricorda la sua prima
volta dietro alla macchina da presa.
L’ultimo film del regista,
presentato al Festival di Berlino 2019 è
La Paranza dei Bambini, apprezzato sia all’estero che
in Italia, dove ha portato a casa diverse nomination ai David di
Donatello 2020.
Entrata a far parte
dell’immaginario collettivo grazie alla serie Baywatch,
Pamela Anderson è tutt’oggi considerata una vera e
propria sex symbol, capace di stregare con il suo fascino senza
tempo. La sua figura con indosso il celebre costume rosso da
bagnina è una delle immagini più celebri della televisione, che ha
fatto sognare intere generazioni di spettatori.
Al di là dell’attività da modella e
attrice, inoltre, la Anderson si è resa celebre per le sue numerose
campagne in difesa dei diritti per gli animali, come anche dei suoi
numerosi e turbolenti matrimoni. Con una vita tanto intensa come la
sua, era infatti difficile che l’attrice non rimanesse ancora oggi
in cima all’elenco dei nomi più chiacchierati di Hollywood.
Ecco 10 cose che non sai di
Pamela Anderson.
Parte delle cose che non sai
sull’attrice
Pamela Anderson: i suoi film e le
serie TV
10. Ha recitato in noti
lungometraggi. L’attrice debutta al cinema con un piccolo
ruolo in Rapina del Secolo a Beverly Hills (1991), per poi
apparire in Snapdragon – Il fiore che uccide (1993),
Soli contro il crimine (1994), Barb Wire (1996) e
Trapped – Identità nascoste (1996). Torna al cinema nel
2002, ricoprendo il ruolo di sé stessa in Scooby-Doo,
con Rowan
Atkinson, per poi apparire in Scary Movie 3 – Una
risata vi seppellirà (2003), Borat (2006), con
Sacha Baron
Cohen, e Superhero – Il più dotato fra i
supereroi (2008), con Kevin
Hart. Negli ultimi anni ha invece recitato in film
poco conosciuti come Hollywood & Wine (2011), The
People Garden (2016) e The Institute (2017), con
James
Franco. Nel 2017 è invece apparsa nel film
Baywatch, con Dwayne
Johnson, riprendendo il suo celebre ruolo.
9. È nota per i suoi ruoli
televisivi. La Anderson intraprende la propria carriera in
televisione recitando in alcuni episodi di serie come
Babysitter (1990), Sposati con figli (1991), e
Il tempo della nostra vita (1992). La consacrazione arriva
però grazie alla serie Baywatch, dove recita dal 1992 al
1997 nel ruolo di C. J. Parker. Parallelamente, ha poi recitato in
Quell’uragano di papà (1991-1997), e in seguito in
V.I.P. Vallery Irons Protection (1998-2002), Baywatch
– Matrimonio alle Hawaii (2003), Una pupa in libreria
(2005-2006), Package Deal (2013) e Sur-Vie
(2017).
8. Si è distinta come
produttrice. Nel corso della sua carriera la Anderson non
si è cimentata solo nella recitazione, ma ha anzi fatto valere il
proprio solido status all’interno dell’industria per affermarsi
anche come produttrice. Ha così intrapreso tale ruolo per la serie
action comedy V.I.P. Vallery Irons Protection, di cui è
stata anche protagonista, partecipando alla produzione di
circa 77 episodi. Successivamente, ha supportato la serie Una
pupa in libreria, a cui è stata molto legata. Negli ultimi
anni ha invece prodotto il documentario This Changes
Everything (2015), incentrato sulle problematiche del
cambiamento climatico, e The Game
Changers (2018), trattante l’utilizzo delle proteine da
parte di vari atleti.
Pamela Anderson e Adil Rami
7. È stata sposata con il
noto calciatore. Ad oggi la Anderson è stata sposata per
ben cinque volte, e il più delle volte i suoi matrimoni sono durati
particolarmente poco. Tra questi, è noto quello con il calciatore
Adil Rami, quarto marito dell’attrice e noto per
aver anche giocato nel Milan tra il 2014 e il 2015. I due si erano
conosciuti nel 2017 e avevano in breve intrapreso una relazione che
li ha portati al matrimonio nel 2018. Nel giugno del 2019,
tuttavia, l’attrice annuncia tramite il proprio profilo Instagram
la fine del rapporto con Rami, scrivendo di aver scoperto dei
ripetuti tradimenti di lui.
Pamela Anderson è su
Instagram
6. Ha un account
personale. L’attrice è presente sul social network
Instagram, dove possiede un account verificato seguito da 1,1
milioni di persone. Qui, con oltre duemila post, la Anderson è
solita condividere suoi scatti da modella, più o meno recenti, e
che provano l’indiscutibile fascino mai perso negli anni. Diversi
sono però anche le immagini relative a momenti di svago, in
compagnia di amici o colleghi, come anche i post contenenti
curiosità sulle sue attività più recenti.
Parte delle cose che non sai
sull’attrice
Pamela Anderson in Baywatch
5. Non era ben vista dal
protagonista della serie. Al momento di scegliere
l’interprete che avrebbe dato vita al personaggio di C. J. Parker
in Baywatch, il protagonista assoluto David
Hasselhoff si dichiarò contrario al casting della
Anderson. Questi, infatti, temeva che il seno prosperoso
dell’attrice avrebbe finito con il distogliere l’attenzione degli
spettatori dagli altri membri del cast. Fortunatamente, i
produttori non gli diedero retta e affidarono il ruolo alla
Anderson. Questa divenne poi uno dei personaggi più amati, ma i
timori di Hasselhoff non si verificarono, e l’attore si scusò per
aver esagerato a riguardo.
4. Avrebbe dovuto essere il
personaggio d’azione della serie. I piani originali
prevedevano che quello di C. J. Parker dovesse essere il
personaggio femminile dedito ad azioni spericolate e grandi
imprese. Anche per questo venne scelta la Anderson, la quale già di
suo presentava un fisico molto allenato. Tuttavia, tale ruolo
all’interno della serie venne lentamente affidato ai personaggi
Stephanie Holden e Neely Capshaw. Ciò è dovuto dal fatto che la
Anderson si ritrovò ad essere incinta nel 1995 e poi nuovamente nel
1997, e non potendo pertanto svolgere quanto inizialmente
previsto.
3. Possiede ancora
l’iconico costume. In recenti interviste, l’attrice ha
rivelato di essersi portata a casa dal set il celebre costume rosso
da bagnina che ha fatto sognare intere generazioni. La Anderson ha
inoltre affermato di avere grande cura nei confronti di questo, e
di indossarlo ancora di tanto in tanto in memoria dei bei tempi. In
particolare, sembra essere solita utilizzarlo per farsi la doccia,
o ancora per mostrarlo a quanti la vanno a trovare nella sua
abitazione.
Pamela Anderson: le sue
misure
2. È nota per il suo corpo
formoso. Da sempre l’attrice è famosa anche per le
generose curve del suo corpo, con misure come 91-60-92. Tale
caratteristica le ha permesso di diventare una delle più popolari
modelle degli anni Novanta. Celebri sono infatti le copertine di
note riviste in cui appare più o meno vestita, e particolarmente
nota è la sua collaborazione con Playboy. All’inizio della
sua carriera, tuttavia, l’attrice si era sottoposta ad un
intervento di mastoplastica additiva, arrivando però a rimuovere le
protesi con un secondo intervento nel 1999.
Pamela Anderson: età e
altezza
1. Pamela Anderson è nata a
Ladysmith, in Canada. L’attrice è alta complessivamente
170 centimetri.
Affiancano Margot Robbie, Mary Elizabeth Winstead (“10 Cloverfield
Lane”, “Fargo” in TV) nel ruolo di Huntress; Jurnee
Smollett-Bell (“True Blood” della HBO) nei panni di Black
Canary; Rosie Perez (“Fearless- Senza paura”,
“Pitch Perfect 2”) in quelli di Renee Montoya; Chris
Messina (“Argo”, “Sharp Objects” in TV) è Victor Zsasz; ed
Ewan McGregor (“Doctor Sleep”, i film
“Trainspotting”) è Roman Sionis. Fa il suo esordio sul grande
schermo Ella Jay Basco, nel ruolo di Cassandra
“Cass” Cain.
Birds of Prey, il film
Avete mai sentito la
storia della poliziotta, dell’uccello canterino, della psicopatica
e della principessa mafiosa? “Birds of Prey (e la fantasmagorica
rinascita di Harley Quinn)” è una storia contorta raccontata
dalla stessa Harley, come solo lei sa fare. Quando il malvagio
narcisista di Gotham, Roman Sionis, e il suo zelante braccio
destro, Zsasz, prendono di mira la piccola Cass, la città viene
messa sotto sopra per trovarla. Le strade di Harley, Huntress,
Black Canary e Renee Montoya si incrociano, e l’improbabile
quartetto non avrà altra scelta che allearsi per sconfiggere
Roman.
Diretto da
Cathy Yan da una sceneggiatura di Christina Hodson
(“Bumblebee”), il film è basato sui personaggi della DC Comics.
Margot Robbie ha anche prodotto la pellicola assieme a
Bryan Unkeless e Sue Kroll. I
produttori esecutivi del film sono Walter Hamada, Galen
Vaisman, Geoff Johns, Hans Ritter e David
Ayer. Disponibile in DVD, Blu-Ray, 4K UHD e Steelbook
Blu-ray in tutti i negozi e su Amazon.it
Durante la Fase 1 dell’Universo Cinematografico
Marvel, c’era solo una donna tra i Vendicatori e soltanto
pochissimi altri personaggi femminili che potevano davvero
considerarsi influenti all’interno dell’ampia narrazione. Nel corso
degli anni, le cose sono cambiante e molte altre donne hanno avuto
la possibilità di splendere sotto i riflettori e dimostrare il loro
valore tanto come personaggi quanto come eroi.
Con Avengers:
Endgame che lo scorso anno ha ufficialmente concluso la
Fase 3 e, in generale, la Saga dell’Infinito, i fan sono ansiosi di
vedere cosa hanno in serbo i Marvel Studios per il futuro. E sono proprio i
personaggi femminili ad avere il maggior numero di occhi puntati
addosso, dal momento che ci si aspetta che la tendenza al rialzo
dell’ascesa al potere delle supereroine continui.
Screen Rant ha stilato una classifica delle eroine che
potrebbero avere un futuro ancora più promettenti della Fase
4:
Nebula
Dopo essere stata uno dei
due soli personaggi del gruppo dei Guardiani della Galassia a
sopravvivere allo schiocco di suo padre in Avengers:
Infinity War, Nebula è diventata una sorprendente aggiunta
al team dei Vendicatori durante il time heist di Avengers:
Endgame. Quando hanno riportato indietro tutti
quelli persi a causa dello schiocco, Nebula si unisce ai Guardiani
e a Thor nelle loro avventure nello spazio.
Dal momento che
Guardiani
della Galassia Vol. 3 potrebbe arrivare anche dopo la Fase
4, il futuro di Nebula nel MCU non è ancora chiaro, ma è certo
che non ha più bisogno di essere limitata ai film sui Guardiani.
Potrebbe anche apparire in Thor: Love and
Thunder insieme al suo nuovo compagno di squadra, o è
anche possibile che, dopo aver formato un’alleanza al limite
dell’amicizia con Tony Stark durante il tempo trascorso nello
spazio, possa essere coinvolta in qualche modo con la sua ex
squadra.
Yelena Belova
Il tanto atteso film
solista di Natasha Romanoff, Black
Widow, dovrebbe uscire a Novembre ed inaugurare
ufficialmente la Fase 4. È noto da tempo che nel film ci sarà anche
Yelena Belova, con la regista Cate Shortland che recentemente ha
confermato che il film vedrà Natasha passare il testimone al
personaggio di
Florence Pugh, che diventerà la nuova Vedova Nera del MCU.
La rappresentazione di Vedova Nera
nel MCU, sebbene acclamata per certi
aspetti, è stata anche pesantemente criticata per essere stata
troppo spesso messa da parte, ma anche per essere stata
eccessivamente sessualizzata e sminuita rispetto agli altri
Vendicatori originali (cosa evidente anche dal fatto che il suo
film da solista – atteso da tempo – non è stato rilasciato fino
alla morte del personaggio avvenuta in Avengers:
Endgame). Possiamo quindi dedurre che
Black
Widow, al di là se renderà o meno giustizia al personaggio
di Natasha, potrebbe sicuramente essere un buon inizio per la lunga
carriera nel MCU di Yelena (o almeno, ce lo
auguriamo!).
Valkyria
Dopo che Avengers:
Endgame ci ha mostrato Thor in uno stato tutt’altro che
stabile, alla fine del film lo abbiamo visto lasciare il suo posto
di Re di Asgard alla guerriera Valkyria. I due avevano combattuto
fianco a fianco contro Hela in Thor:
Ragnarok, e già all’epoca sembrava che l’eroina stesse
mantenendo gli affari della Nuova Asgard in assenza di un sovrano
più presente a se stesso.
È stato anche teorizzato che
Valkyria avrebbe assunto il titolo di Dio del Tuono prima che fosse
ufficializzato che sarà la Jane Foster di
Natalie Portman a diventare Mighty Thor. Fortunatamente,
Tessa Thompson è già stata confermata in Thor: Love and
Thunder.
Sharon Carter
Introdotta in Captain America: The Winter Soldier come vicina di
Steve, poi come Agente 13 dello SHIELD che era stata incaricata di
tenerlo d’occhio, c’era ancora un’altra bomba sul “non
un’infermiera” Sharon che doveva ancora venire. Al funerale di
Peggy Carter in Captain
America: Civil War, Sharon pronuncia il suo elogio e
rivela di esserne la nipote.
Nonostante Steve la lasciò indietro
negli anni ’40, Peggy avrebbe continuato ad impegnarsi per lasciare
la sua eredità. La sua memoria è stata influente su tutto l’arco
narrativo di Steve, ma la cosa più importante è che Peggy è
diventata non solo una delle fondatrici dello SHIELD, ma anche uno
dei suoi primi direttori. La tardiva rivelazione della relazione di
Sharon con una figura così importante nel MCU potrebbe indicare che gli
sceneggiatori hanno dei piani più grandi per lei in futuro, il che
sembra ancora più probabile considerando il suo ruolo che avrà
nella serie
The Falcon and the Winter Soldier.
Pepper Potts
Nessuno può mettere in
dubbio l’enormità del contributo di Iron Man al MCU, ma qualcuno che forse è stato
trascurato è la donna che è stata al suo fianco per tutto questo
tempo. Dal primo Iron Man fino ad Avengers:
Endgame, Pepper goffre supporto a Tony attraverso
la creazione della sua identità di supereroe, ma anche per quanto
riguarda la formazione degli Avengers e le conseguenze dello
schiocco di Thanos, durante il quale i due hanno anche una
bambina.
Sebbene il MCU l’abbia finora mostrata solo in
relazione al suo capo (e, in seguito, marito), la Fase 4 sarebbe
l’opportunità perfetta per mostrare Pepper come personaggio
indipendente. Il debutto del suo alter ego Rescue in Endgame rende
la cosa ancora più interessante, in quanto adesso ha tutte le carte
in regola per diventare un supereroe a pieno titolo.
Shuri
Dopo il finale di
Avengers:
Infinity War, è stato confermato che Shuri,
insieme a suo fratello T’Challa, è rimasta vittima dello schiocco
di Thanos. Nonostante la sua età relativamente giovane, Shuri era
impressionante non solo per il suo lignaggio reale, ma anche come
direttrice del Wakandan Design Group, il programma di innovazione
scientifica della nazione che, sotto la sua guida, divenne la
residenza di alcune delle tecnologie più avanzate nel mondo.
Suki ha mostrato quale ruolo
strumentale ha assunto in Wakanda grazie a Black
Panther e anche ad Infinity
War. È probabile che giocherà un ruolo chiave
anche nel ripristinare Wakanda dopo il suo ritorno in Avengers:
Endgame, o magari nel sequel del
cinecomic di Ryan Coogler, vista la tragica scomparsa di Chadwick
Boseman.
Okoye
A
differenza di Shuri, Okoye è sopravvissuta allo schiocco di Thanos.
Tuttavia, dal momento era in giro per affrontare le conseguenze di
Avengers:
Infinity War e per collaborare con i Vendicatori per
cercare di riportare indietro coloro che erano scomparsi, il
Generale potrebbe essere ancora più determinante nel futuro di
Wakanda.
Dopo il suo debutto
in Black
Panther, che l’ha mostrata come abile comandante
e inestimabile alleata di T’Challa e l’ha resa uno dei
personaggi preferiti dai fan, ci si aspetta che interpreterà
un ruolo ancora più grande nel sequel e possibilmente in altri film
sui Vendicatori.
Jane Foster
Nonostante
sia stato riconosciuta come l’interesse amoroso di Thor, il
brillante astrofisico Jane Foster non è stato più avvisto dal suo
secondo film in solitaria,
Thor: The Dark World, tranne un breve cameo in Avengers:
Endgame. Jane, tuttavia, tornerà per un ruolo
importante in Thor: Love and
Thunder, durante il quale – alla fine – assumerà
il ruolo di nuovo Dio del Tuono e difensore di Asgard.
Poco ancora è stato
ancora rivelato su come avverrà questo passaggio di eredità, ma
alcuni fan ipotizzano che il film di
Taika Waititi le darà un particolare arco comico, e che Jane
potrebbe anche diventare una Valchiria. Sebbene non sia stato
confermato, la maggior parte dei fan è entusiasta all’idea di
rivedere Jane nel MCU dopo la sua lunga
assenza.
Scarlet Witch
Fin dalla
sua introduzione alla fine di Captain America: The Winter Soldier, e dal
suo debutto formale in Avengers:
Age of Ultron, Wanda ha fatto girare la testa sia ai fan
che agli altri personaggi. Con le abilità fornite dalle Gemme
dell’Infinito, è uno dei personaggi più potenti che abbiamo mai
incontrato nel MCU. Sebbene sia giovane e sia
stata probabilmente poco sfruttata finora nella serie di film, si
prevede che Wanda giochi un ruolo molti più importante nelle fasi
imminenti.
Una nuvola di
mistero circonda ancora il suo show su Disney+,
WandaVision, ma sappiamo che la serie la vedrà ritornare
formalmente nel ruolo di Scarlet Witch. Inoltre, sappiamo che il
personaggio avrà un ruolo di rilievo anche in Doctor Strange in
the Multiverse of Madness.
Captain Marvel
Al suo debutto tra Avengers:
Infinity War ed Avengers:
Endgame, Carol Danvers sembrava quasi
uscita dal nulla. Tuttavia, Captain
Marvel ha mostrato quanto sia stata importante per la
formazione degli Avengers. La sua apparizione in Endgame,
soprattutto nella resa dei conti finale, dimostra il potere che
Carol può portare alla squadra e quanto sarà una risorsa preziosa
per la prossima ondata di Vendicatori.
È in corso un sequel di
Captain
Marvel, con lo studio che ha già trovato uno sceneggiatore
in Megan McDonnell e un regista in Nia DaCosta. L’uscita del film è
prevista per il 2022.
Jasmine Trinca
racconta la sua esperienza da regista per il cortometraggio
Being My Mom con Alba Rohrwacher
e la piccola Maayane Conti.
In una torrida giornata d’estate, in
una Roma deserta, una madre e una figlia camminano senza sosta,
trascinando una grande valigia. Si cercano, si sfuggono, sembrano
ribaltare continuamente i propri ruoli naturali. Finché, in un solo
gesto, si disvela davanti a loro l’epifania inaspettata di
quell’amore.
BMM – Being My Mom è una
passeggiata metaforica nell’esistenza di due donne, una madre e una
figlia, due protagoniste che protagoniste non sono se non della
loro vita. Le osserviamo con sguardo accidentale, creature che
partecipano dell’esistenza, inessenziali al mondo, essenziali l’una
per l’altra. Un’indagine sulle strade luminose e oscure della
maternità e di ogni figliolanza.
Nello scegliere le due attrici,
la giovane Maayane Conti racchiude nei suoi occhi tutta la
meraviglia del mondo così come un residuo di selvaticità resistente
ai tempi moderni che molto mi ricorda me bambina. Mentre Alba
Rohrwacher… che dire… è un’attrice eccezionale, libera, pazza,
malinconica. Una Buster Keaton con la sensualità di una pantera.
Che grazie al suo talento generoso mi ha permesso di riabbracciare
mia madre.
Arriva in sala il 17 settembre
La Piazza della mia Città, di Paolo
Santamaria, con Lo stato Sociale, e con
la partecipazione di Morandi, Carboni, Gioli tra gli altri. Ecco
una clip in esclusiva dal film.
Bologna, giugno 2018. Il concerto in
Piazza Maggiore de Lo Stato Sociale, la band che ha portato l’indie
italiano sul palco del Festival di Sanremo, diventa la colonna
sonora per raccontare una delle piazze più iconiche d’Italia e la
città magica che si muove intorno. Grazie ad un cast di star di
primissimo piano del mondo dello spettacolo, la musica diventa
protagonista di un indimenticabile documentario diretto da Paolo
Santamaria che racconta aneddoti, curiosità e ricordi legati a
Bologna, alla storia d’Italia e ai suoi personaggi.
Neve Campbell
ritorna in SCREAM,
nell’iconico ruolo di Sidney Prescott protagonista dei quattro film
precedenti della fortunata serie cinematografica che ha incassato
oltre 600 milioni di dollari in tutto il mondo. Campbell si unisce
ai membri del cast già annunciati, David Arquette e Courteney Cox
che torneranno nei panni di Dewey Riley e Gale Weathers, così come
ai nuovi membri del cast Jack Quaid (“The
Boys”), Melissa Barrera (“In The Heights”) e Jenna Ortega (
“Tu”). Questo nuovo capitolo, prodotto da Paramount Pictures, sarà
distribuito al cinema da Eagle Pictures nel 2022.
“Non vedo l’ora di ricominciare nel
ruolo di Sidney Prescott e tornare a Woodsboro – ha detto l’attrice
– . I produttori e il cast tecnico hanno mostrato un tale amore per
il franchise che non potevo non esserci”. Scream è diretto
da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett del gruppo di registi
Radio Silence, il film nasce da una sceneggiatura di James
Vanderbilt (Murder Mystery, Zodiac, The Amazing Spider-Man) e Guy
Busick (Pronto o no, Castle Rock). Il creatore
Kevin Williamson e il terzo membro del trio di Radio Silence, Chad
Villella, sono produttori esecutivi con Vanderbilt di Project X
Entertainment, Paul Neinstein e William Sherak come produttori.
Resa celebre dalla sua
partecipazione nella serie tv “Party of Five”, Neve Campbell ha
ricoperto ruoli importanti in film come The Craft e
Three to Tango. Ha recitato e prodotto The
Company, diretto da Robert Altman, e partecipato alla serie
“House of Cards”. Più di recente, ha recitato nel thriller d’azione
Skyscraper, nella commedia drammatica politica Hot
Air e nel dramma Castle in the Ground.
È disponibile dal 10 settembre su
Starzplay High Fidelity, il nuovo adattamento
dell’omonimo romanzo di Nick Hornby, dopo il film
di Stephen Frears con John Cusack. Questa volta Rob ha il volto di
Zoe Kravitz, stella in continua ascesa del
panorama cinematografico e artistico statunitense, che porta al
personaggio una dolcezza e una caratterizzazione molto
personali.
La storia è però la stessa: Rob ha
un negozio di dischi, declina la sua vita a ritmo di musica, sempre
ricercata e mai scontata, divide le sue giornate con gli amici, la
rumorosa e vivacissima Cherise (Da’Vine Joy
Randolph) e l’ex boyfriend che si è scoperto gay Simon
(David H. Holmes), la sua fata madrina è Debbie
Harry e, nelle sue giornate, cerca di metabolizzare il dolore per
Mac, l’uomo della sua vita che l’ha lasciata di punto in
bianco.
La serie è quindi un racconto a
ritroso, una serie di scene che ricostruiscono pezzetto dopo
pezzetto, disco dopo canzone, quella storia e come è finita, un
modo per il pubblico di accompagnare Rob nel suo percorso di
guarigione.
Le showrunner, Sarah
Kucserka e Veronica West, si affidano ad un team di
superstar del piccolo schermo, tra cui Natasha Lyonne (Russian
Dolls) e realizzano un prodotto dalla forte personalità,
che si ritaglia un proprio sound e si distanzia dal romanzo e dal
film, non solo perché la protagonista è una donna, ma anche perché
la sua voce è insolita. Personale, ironica eppure disfattista.
High Fidelity con protagonista Zoe Kravitz
La verità è che la Rob di Zoe Kravitz brilla della luce della sua
interprete. Sembrano molto lontani gli anni in cui la si
identificava come “figlia di”, essendo nata dalla splendida unione
di Lenny Kravitz e Lisa Bonet (che ha partecipato al film di
Frears), la giovane Kravitz si è ritagliata un posto tutto suo,
grazie anche al successo di Big Little Lies e alla
sua futura partecipazione a The Batman nei panni di
Catwoman. Ad essere bella, è bella, ma in High
Fidelity una volta di più, Kravitz mette da parte il
glamour e la seduzione che trasuda da ogni sguardo e si trasforma
completamente nella scombussolata Rob, dimessa e schiacciata dai
rimuginamenti sulla sua vita amorosa.
Gli amanti della musica e quelli
dei drammi sentimentali troveranno in High
Fidelity un posto felice, un habitat naturale rassicurante
e a suo modo seducente che si culla sulle note di gracchianti
vinili, con un ritmo urbano e giovanile.
Halle Berry ha ricordato la sua esperienza sul
set di Catwoman. Uscito nel 2004 e diretto da Pitof,
il film era incentrato sulle avventure di Patience Phillips e si
distaccava completamente dalla storia originale del personaggio dei
fumetti DC. Il film è stato universalmente stroncato dalla critica,
ha ottenuto sette nomination ai Razzie Awards e per anni si è
portato dietro la fama di essere uno dei peggiori film mai
realizzati (attualmente detiene una valutazione del 9% su Rotten
Tomatoes).
Catwoman è stato ampiamente criticato
soprattutto per la trama e per le scelte dietro alcuni personaggi.
Nonostante i produttori avessero a disposizione una vasta gamma di
materiali tra cui poter scegliere, soprattutto considerando la
lunga storia di Selina Kyle nei fumetti DC e il suo complicato
rapporto con i malviventi dell’universo di Batman, il film ha
invece il personaggio di Patience scontrarsi e affrontare la
minaccia dietro un’azienda di cosmetici. Lo stesso regista ha
ammesso di non aver mai considerato i fumetti originale durante la
lavorazione del film, dal momento che il suo intento era quello di
dare vita ad un’iterazione della celebre ladra totalmente
nuova.
In un’intervista
rilasciata a
Variety (la
stessa in cui ha parlato del suo rapporto col regista Bryan Singer
sul set dei film della saga di X-Men), Halle Berry ha spiegato che la sua
esperienza con Catwoman è stata una forza trainante dietro al
motivo che l’ha spinta a voler debuttare come regista. L’attrice ha
spiegato di aver accettato quel ruolo perché voleva avere la
possibilità di interpretare una supereroina di colore; tuttavia, si
è subito pentita della decisione non appena ha messo piede sul set,
ammettendo che “la storia non le sembrava del tutto
giusta”. Nello specifico, Berry ha fatto riferimento
all’intera trama legata al personaggio di Patience e all’azienda di
cosmetici. Secondo l’attrice, anche la sua Catwoman doveva essere
in grado di affrontare il tipo di minacce che eroi come Batman e
Superman affrontano regolarmente, ma pare che all’epoca la sua idea
non venne accolta; come spiegato da Berry: “Ero solo l’attrice,
avevo pochissima voce in capitolo sulla direzione del
film.”
Il debutto dietro la macchina da
presa di Halle Berry è avvenuto col film
Bruised, che debutterà in anteprima al Toronto Film
Festival. L’attrice premio Oscar per Monster’s Ball – L’ombra
della vita ha spiegato che è stata proprio l’esperienza sul
set di Catwoman ha farle desiderare di avere maggiore
voce in capitolo nei progetti in cui veniva coinvolta, definendo
l’esperienza alla regia come qualcosa di “totalizzante”,
che finalmente le ha permesso di avere il pieno controllo in merito
a qualsiasi aspetto della realizzazione di un film.
Zack Stentz, co-sceneggiatore del
primo Thor,
ha rivelato che il personaggio di Hela avrebbe
dovuto fare un’apparizione nel film di
Kenneth Branagh. Introdotta per la prima volta in Thor:
Ragnarok di
Taika Waititi, Hela, interpretata dal premio Oscar
Cate Blanchett, è in realtà la figlia segreta di
Odino, bandita da Asgard dopo essere diventata troppo assetata di
potere.
Alla fine, il Dio
del Tuono è riuscito a sconfiggerla e a riprendersi il trono di
Asgard. Tuttavia, è notizia recente che, in una delle prime bozze
della sceneggiatura di Thor del
2011, includeva anche una breve apparizione di Hela. Attraverso il
suo account
Twitter, infatti, Stentz – che ha scritto la sceneggiatura del
film insieme a Ashley Edward Miller e Don Payne – ha spiegato che
la Dea della Morte asgardiana sarebbe dovuta apparire in un breve
cameo durante la scena dell’incoronazione di Thor. Alla fine Miller
gli ha chiesto di eliminare la scena, anche se Stentz non ha
spiegato il perché.
Sfortunatamente, come molti cattivi
del MCU, il personaggio di Hela, anche
in base a quando visto alla fine di Ragnarok, non sembra essere
destinato a fare ritorno. Certo, è ancora possibile che i Marvel Studios decidano di trovare un modo per
farla tornare, anche perché il film non mostra esplicitamente il
modo in cui il personaggio muore.
Il successo di Thor all’interno del MC
Sempre via
Twitter, Stentz ha anche rivelato che quando venne
ingaggiato per occuparsi dello script del film,
non sapeva assolutamente nulla dei fumetti originali basati sui
personaggi della mitologia nordica. Nonostante le scarse conoscenze
di Stentz, però, alla fine il ritratto di Thor nel primo film non è
stato così disastroso. Certo, i primi due film del franchise
dedicato al Dio del Tuono non sono i più apprezzati dell’intero
universo condiviso, ma il film del 2011 ha comunque contribuito a
lanciare il MCU e a trasformare il Dio del
Tuono in uno dei personaggi più popolari e amati della saga.
A quanto pare, film con
Morbius,
Venom: Let
There Be Carnage e Spider-Man
3 potrebbero non arrivare al cinema durante
l’emergenza Coronavirus, nonostante ci siano già delle date di
uscite fissate per ognuno dei titoli citati. È quanto lasciato
intendere da Tony Vinciquerra, presidente di Sony Pictures
Entertainment, in una recente intervista.
La pandemia di Coronavirus ha
causato danni all’economia di tutto il mondo, con l’industria
cinematografica (non soltanto quella hollywoodiana) che rientra tra
i settori più colpiti dall’emergenza. Le produzioni sono state
bloccate a metà Marzo, con la maggior parte che sono ripartite
negli ultimi mesi o si apprestano a farlo a breve. I calendari di
uscita delle più importanti major sono stati letteralmente
stravolti, e tantissimi film sono stati posticipati di uno o due
anni, mentre altri sono stati rilasciati direttamente in streaming
nel periodo in cui tutti i cinema del mondo era praticamente
chiusi.
Adesso la Sony Pictures starebbe
valutando ancora più seriamente la questione. In occasione della
Bank of America 2020 Media, Communications & Entertainment
Conference, il presidente Vinciquerra ha confermato che lo
studio non rischierà di far uscire film ad alto budget in un
momento in cui i cinema stanno ancora risentendo della pandemia di
Covid-19. Vinciquerra ha affermato che sarebbe un “errore”
far uscire film costosi ora come ora, ma molto più ragionevole
farlo solo quando la situazione tornerà alla normalità e i cinema
saranno nuovamente al massimo delle loro capacità.
Grazie al report di
The Wrap si legge: “Quello che non faremo è commettere
l’errore di rendere disponibile sul mercato un film da 200 milioni
di dollari, quindi molto, molto costoso, a meno che non siamo
sicuri che i cinema siano aperti e funzionino a capacità
significativa. Vedremo accadere molte cose strane nei prossimi sei
mesi, su come i film verranno rilasciati, come verranno programmati
in sala, come verranno commercializzati. Una volta tornati alla
normalità avremo imparato molto. Ho scoperto modi per fare cose in
maniera diversa e, si spera, migliori. Abbiamo un film in apertura
questo fine settimana, The Broken Hearts Gallery, un piccolo film,
che penso andrà abbastanza bene.”
Gli effetti del Coronavirus sui
grandi blockbuster Sony, da Spider-Man 3 a Venom 2
Vinciquerra ha aggiunto che non solo
la pandemia ha influenzato il modo in cui i film vengono
sponsorizzati e distribuiti, ma anche il modo in cui i film
verranno realizzati in futuro è cambiato per sempre. Citando i
nuovi protocolli di sicurezza che sono in atto sui set, il
presidente della Sony Pictures ha affermato che le produzioni
saranno “più costose” a causa dell’aumento dei test, ma
che saranno anche più “efficienti” proprio a causa della
necessità di avere meno persone sul set, che diventerà un requisito
fondamentale.
Non è chiaro cosa significhino –
nello specifico – le parole di Vinciquerra in riferimento ai grandi
blockbuster Sony in arrivo, come Morbius, Venom: Let There Be
Carnage, Spider-Man
3 ma anche Ghostbusters:
Legacy. I film sono già stati posticipati a causa del
Coronavirus: se le cose non dovessero tornare completamente alla
normalità entro la prossima estate, non è escluso che la Sony
decida di optare per una strategia distributiva alternativa.
Le nuove foto dal set di Avatar 2 ci mostrano Sigourney Weaver impegnata a girare
alcune scene attraverso l’impiego della motion capture e
suggeriscono che l’attrice potrebbe interpretare un Na’vi nei
sequel. Le riprese dei sequel sono ufficialmente ripartite ormai da
diverse settimane in Nuova Zelanda, dopo lo stop prolungato a causa
del Coronavirus.
Secondo quanto riferito, James Cameron e il suo team hanno girato i
sequel utilizzando una nuova tecnologia inventata apposta per
l’universo di Avatar che, mescolata al massiccio impiego
di CGI, dovrebbe consentire alle riprese subacquee di restituire
allo spettatore durante la visione un effetto assolutamente
realistico. Avatar 2 è soltanto il primo dei quattro
sequel del franchise già in cantiere e arriverà al cinema nel
2022.
Adesso, attraverso l’account
Twitter ufficiale della saga, sono state condivise due nuove
immagini dal backstage del film che ci mostrano Sigourney Weaver intenta a girare alcune
scene. Nelle foto l’attrice è impegnata sott’acqua,
nell’ormai ben nota vasca piena di palline usata per le scene
subacquee, mentre indossa i sensori tipici della motion capture sul
viso. Oltre ad essere un’impressionante dimostrazione della
destrezza di Weaver (che per le suddette scene non ha impiegato
alcuna controfigura), le foto sembrano anche confermare che
l’attrice possa interpretare un Na’vi nei sequel.
Avatar
2debutterà
il 17 dicembre 2021, seguito dal terzo
capitolo il 22 dicembre 2023. Per il quarto e
quinto capitolo, invece, si dovrà attendere ancora qualche
anno: 19 dicembre 2025 e 17
dicembre 2027.
Il cast della serie di film è
formato da Kate
Winslet, Edie
Falco, Michelle Yeoh, Vin
Diesel, insieme ad un gruppo di attori che
interpretano le nuove generazioni di Na’vi. Nei film torneranno
anche i protagonisti del primo film, ossia Sam
Worthington, Zoe
Saldana, Stephen
Lang, Sigourney
Weaver, Joel David
Moore, Dileep
Rao e Matt Gerald.
In una recente intervista rilasciata
a
Vanity Fair in occasione della promozione del suo nuovo film
Ammonite (in cui recita al fianco di
Saoirse Ronan e che verrà presentato in anteprima al Toronto
Film Festival), l’attrice ha parlato della sua esperienza con
Polanski e Allen e del fatto che sia stato proprio il lavoro con
Francis Lee (regista di
Ammonite) ad averle aperto gli occhi sul ruolo della donna
nell’industria cinematografica e, soprattutto, sul modo in cui
viene rappresentata nei film.
“Ammonite mi ha reso davvero
consapevole a dovermi impegnare di più per onorare ciò che le donne
vogliono dire per se stesse nei film e come vogliamo davvero essere
ritratte, indipendentemente dall’orientamento sessuale”, ha
spiegato Winslet. “Perché la vita è breve e mi piacerebbe fare
del mio meglio quando si tratta di dare un buon esempio alle donne
più giovani. Stiamo offrendo loro un mondo piuttosto incasinato,
quindi mi piacerebbe fare la mia parte per avere una certa
integrità.”
Parlando nello specifico di Polanski
e Allen, ha aggiunto: “Ad esempio, a cosa diavolo pensavo
quando ho lavorato con Roman Polanski e Woody Allen? È
incredibile come quegli uomini godessero di una così alta
considerazione nell’industria cinematografica per tutto quel tempo.
È vergognoso! E devo assumermi la responsabilità del fatto che ho
lavorato con entrambi. Non posso tornare indietro nel tempo. Faccio
i conti con il mio rimpianto, ma cosa posso fare se non dire
sinceramente come la penso su tutta questa vicenda?”
Ricordiamo che in una vecchia
intervista con il
New York Times rilasciata proprio in occasione dell’uscita de
La ruota delle meraviglie,Kate Winslet aveva assunto una presa di
posizione totalmente differente nei confronti dei due cineasti:
“Da attore devi essere in grado di mettere tutto da parte,
ammettere di non conoscere la verità e concentrarti solo sul tuo
lavoro. Woody Allen è un regista incredibile, così come Roman
Polanski. La verità è che ho avuto un’esperienza lavorativi
straordinaria con entrambi.”
Thor: Love
and Thunder utilizzerà le stesse tecniche di
produzione virtuale impiegate nell’acclamata serie The
Mandalorian. Il film sarà la quarta avventura in solitaria
con protagonista il Dio del Tuono interpretato da
Chris Hemsworth. Naturalmente, l’attesa è parecchio alta, non
solo perché la pellicola riunirà Hemsworth con
Taika Waititi dopo l’esperienza di
Thor: Ragnarok, ma anche perché
Natalie Portman ufficialmente tornerà nei panni di Jane Foster,
personaggio che non appare nel MCU dal 2013, anno di uscita di
Thor: The Dark World.
In Love and
Thunder vedremo Jane assumere il ruolo di Mighty
Thor, proprio come accaduto nei fumetti. Oltre a ciò, sono stati
rivelati pochissimi dettagli sulla trama, anche se in passato
Waititi aveva descritto il film come “molto romantico”.
Nel cast ci sarà anche il premio Oscar Christian Bale, che interpreterà l’antagonista
principale non ancora reso noto. In origine Love and
Thundersarebbe dovuto arrivare al cinema a
Novembre del prossimo anno, ma la pandemia di Coronavirus ha
costretto la Marvel a ridistribuire quasi tutte
le date dei film appartenenti alla Fase 4. Di conseguenza, l’uscita
nelle sale è stata posticipata a Febbraio 2022.
Ulteriori informazioni sulla
lavorazione di Thor: Love
and Thunder sono emerse grazie ad un nuovo report di
THR, secondo cui il film utilizzerà le stesse tecniche di
The
Mandalorian, la serie di successo Disney+. La Industrial Light & Magic,
azienda della Lucasfilm specializzata negli effetti speciali
digitali, amplierà i suoi servizi di produzione virtuale per
supportare vari progetti, tra cui anche Love and
Thunder. A quanto pare, presso la sede australiana dei Fox
Studios verranno installati nuovi supporti per la StageCraft,
tecnica all’avanguardia ideata per sostituire il green screen che
consiste nella proiezione di un autentico set in virtuale. Già in
precedenza Waititi aveva utilizzato la produzione virtuale quando
aveva diretto un episodio della serie ambientata nell’universo di
Star Wars.
Quando partiranno le riprese di Thor: Love and Thunder?
Vale la pena ricordare che una delle
15 nomination agli Emmy ricevute da The
Mandalorian riguarda proprio agli effetti visivi, cosa che
potrebbe far ben sperare per Thor: Love
and Thunder. In effetti, sarà interessante
vedere in che modo funzionerà questa tecnologia ora che verrà
applicata ad un grande blockbuster, soprattutto ad uno destinato ad
avere delle sequenze cosmiche davvero epiche. Si dice che la
produzione del film inizierà nei primi mesi del 2021, sebbene il
recente avvistamento di Portman in Australia abbia spinto a
chiedersi se la produzione non possa cominciare prima.
Thor: Love and
Thunder è il titolo ufficiale del quarto capitolo
sulle avventure del Dio del Tuono nel MCU, ma ad impugnare il Mjolnir
stavolta sarà Jane Foster, interpretata di nuovo
daNatalie
Portman, come confermato sabato durante il
panel dei Marvel Studios al Comic-Con. L’uscita nelle
sale è fissata invece al 11 febbraio 2022.
Taika Waitititornerà alla regia di un film dei
Marvel Studios
dopo Thor:
Ragnarok, così come Chris
HemswortheTessa
Thompson riprenderanno i rispettivi ruoli di Thor
e Valchiria dopo l’ultima apparizione in Avengers:
Endgame. L’ispirazione del progetto arriva dal
fumetto “The Mighty Thor”, descritto da Waititi come “la
perfetta combinazione di emozioni, amore, tuono e storie
appassionanti con la prima Thor femmina dell’universo“.
Era da un po’ di tempo che si
parlava della possibilità che parte del nuovo Fast and Furious
9 potesse essere ambientata nello spazio, come
anticipato in passato – in maniera del tutto involontaria – da uno
dei membri del cast, ossia Ludacris, interprete di Tej Parker.
Adesso è stata Michelle Rodriguez (interprete di Letty Ortiz)
a confermare che, effettivamente, nel film ci saranno alcune scene
ambientate nello spazio. Ospite del Jess Cagle Show su Sirius MX, è
stato chiesto all’attrice di confermare le voci avanzate proprio
grazie alle passate dichiarazioni del collega. “Non ci credo.
Come avete fatto a scoprirlo?”, ha dichiarato l’attrice.
“Vedete cosa succede? Le persone iniziano a parlare dietro le
quinte. Quando un film non esce e lo si dimentica, le cose iniziano
a saltare fuori. Nessuno doveva saperlo…”
Stando alle parole di Rodriguez,
però, le sequenze ambientate nello spazio non coinvolgeranno il suo
personaggio in prima persona: “Comunque no, non sono così
fortunata da andare nello spazio, ma almeno abbiamo avuto una
sceneggiatrice e ci è stato mostrato un sacco di amore per questo
film. E tutto questo grazie a… Justin Lin. Siamo riuscite ad
ottenere maggiore attenzione per le ragazze nel film. Spero davvero
che ciò si evinca dal risultato finale.”
Tutto quello che c’è da sapere su Fast and Furious 9
La regia sarà firmata
da Justin Lin, già regista di numerosi
capitoli del franchise, mentre la release del film è stata spostata
all’aprile 2021(inizialmente il film sarebbe
dovuto arrivare al cinema nel 2020).
Ricordiamo che il decimo capitolo
della saga è già in pre-produzione. Secondo quanto riferito, il
capitolo numero 10 della saga concluderà definitivamente la serie
principale Fast
and Furious, a seguito degli eventi che vedremo nel
nono capitolo. Questa informazione ci fa pensare che alla fine del
franchise si sia pensato più a un dittico di chiusura che a due
film separati.
Arriva oggi in concorso
Frances McDormand con il film Nomadland
diretto da Chloé Zhao e con protagonista la
Frances McDormand in veste di interprete e produttore. Nel cast
anche David Strathairn, Linda May, Swankie.
Nomadland è
prodotta da Highwayman Films (Chloé Zhao), Hear/Say Productions
(Frances McDormand), Cor Cordium Production (Peter Spears), Mollye
Asher, Dan Janvey.
Il commento del regista:
Nell’autunno del 2018, mentre giravo Nomadland a
Scottsbluff, Nebraska, vicino a un campo ghiacciato di
barbabietole, mi ritrovai a sfogliare Desert
Solitaire di Edward Abbey, un libro che mi aveva regalato
qualcuno incontrato sulla strada. Sfogliandolo incappai in questo
passaggio: “Gli uomini vanno e vengono, le città nascono e
muoiono, intere civiltà scompaiono; la terra resta, solo
leggermente modificata. Restano la terra e la bellezza che strazia
il cuore, dove non ci sono cuori da straziare… a volte penso,
senz’altro in modo perverso, che l’uomo è un sogno, il
pensiero un’illusione, e solo la roccia è reale. Roccia e
sole” (Edward Abbey, Desert solitaire. Una stagione nella
natura selvaggia, trad. Stefano Travagli, Baldini & Castoldi,
2015). Per i successivi quattro mesi, mentre ci spostavamo per
girare il film, fu un continuo andirivieni di nomadi; molti di essi
conservavano rocce raccolte durante le peregrinazioni a bordo delle
loro case su ruote alimentate dal sole. Dispensavano storie e
saggezza davanti e dietro l’obiettivo della telecamera. Essendo
cresciuta in città cinesi e inglesi, sono sempre stata
profondamente attratta dalla strada aperta, un’idea che trovo
tipicamente americana: la continua ricerca di ciò che sta
oltre l’orizzonte. Ho tentato di catturarne uno scorcio in questo
film, sapendo che non è possibile descrivere veramente la
strada americana a un’altra persona. Bisogna scoprirla da soli.
La trama di NOMADLAND
Dopo il crollo economico di una città aziendale nel Nevada rurale,
Fern carica i bagagli nel suo furgone e si mette sulla strada alla
ricerca di una vita al di fuori della società convenzionale, come
una nomade dei tempi moderni. Nomadland vede la partecipazione dei
veri nomadi Linda May, Swankie e Bob Wells nella veste di guide e
compagni di Fern nel corso della sua ricerca attraverso i vasti
paesaggi dell’Ovest americano.
Sarà presentata in anteprima
mondiale fuori concorso la serie tv HBO Europa
30 COINS diretta dal Leone d’Oro Álex de
la Iglesia e prodotta da HBO Nordic AB (Antony Root,
Miguel Salvat, Steve Matthews), Production Services provided by
Pokeepsie Films (Álex de la Iglesia, Carolina Bang).
Protagonisti un cast tutto spagnolo
composto da Eduard Fernández, Megan Montaner, Miguel Ángel
Silvestre, Macarena Gómez, Pepón Nieto, Manolo Solo.
Il commento del regista:
“Analizzare logicamente l’idea di Dio conduce a molte eresie.
Questo concetto è alla base della nostra storia. C’è chi crede che
se Dio comprende ogni cosa, la sua essenza debba contenere anche
l’idea del male. Dio e il Diavolo possono essere considerati
aspetti della stessa entità che in sé è molto più complessa. Questo
è l’elemento costitutivo della nostra storia: nella stessa chiesa,
alcuni credenti sostengono modi diversi di intendere la materia
divina. Dio è Vita, ma anche Morte.”
30 COINS, la trama
Benvenuti in un
mondo in cui nulla è ciò che sembra e non ci si può
fidare di nessuno. Vergara è un esorcista, pugile ed ex
detenuto spedito a fare il parroco in un remoto paesino. Vuole
dimenticare ed essere dimenticato, ma i suoi nemici lo troveranno
presto. Accadono cose strane. Una bizzarra squadra formata dal
sindaco Paco e da Elena, la veterinaria, cerca la verità, mentre la
realtà viene distorta da una moneta maledetta che è al
centro di una cospirazione globale.
Veterano della Prima guerra
mondiale con disturbo da stress post-traumatico, alcolista cronico,
un matrimonio distrutto alle spalle: è un Perry
Mason inedito e sorprendente quello raccontato nella
nuova miniserie HBO in partenza venerdì 11
settembre alle 21.15 su Sky Atlantic e
NOW TV. Prodotta da Robert Downey Jr. e sua moglie Susan Downey,
la serie sarà disponibile con tutti i suoi otto episodi
dallo stesso giorno on demand su Sky e in streaming su NOW
TV.
Il leggendario avvocato dei romanzi
di Erle Stanley Gardner, fra i personaggi più celebri del mondo
della letteratura e del piccolo schermo, rivive così, più oscuro
che mai e con le fattezze di Matthew Rhys (The
Americans) – anche produttore, in questo raffinato noir che il
Guardian ha definito “intenso, sbalorditivo e macabro” e che per
Indiewire è, addirittura, “un noir di lusso che è probabilmente la
miglior serie tv mai realizzata”. Ambientata nella Los Angeles
degli anni successivi alla Grande Depressione, la serie racconta
gli inizi della carriera di Mason, rappresentato per la prima volta
nei panni di investigatore privato e non ancora di avvocato. Nello
straordinario cast, insieme a Rhys, anche l’attrice vincitrice
dell’Emmy Tatiana Maslany (Orphan
Black) nei panni di Sorella Alice; John
Lithgow che interpreta l’avvocato E.B. Jonathan,
Chris Chalk (When They See Us) nel ruolo
del poliziotto Paul Drake, Shea
Whigham(Boardwalk Empire) e Juliet
Rylance (The Knick).
In una fredda notte del 1931, nella
frenetica Los Angeles degli anni successivi alla Grande
Depressione, un bambino – Charlie Dodson, pochi mesi di vita –
viene rapito e ucciso. Perry
Mason (Matthew Rhys), veterano di guerra che vive alla
giornata lavorando come investigatore privato, viene assunto dal
rinomato avvocato E.B. Jonathan (John Lithgow) per scoprire la
verità sul caso. La sua indagine avrà importanti conseguenze per
tutta la città.
Tormentato dai ricordi della guerra
in Francia e dal fallimento del suo matrimonio, Mason diventerà
sempre più coinvolto nel caso e con l’aiuto di Pete Strickland
(Shea Whigham) e dell’assistente di E.B., Della Street (Juliet
Rylance), cercherà di scoprire la verità con ogni mezzo a sua
disposizione. Nel frattempo, la vicinanza dei genitori del
bambino assassinato alla Radiant Assembly of God e alla
sua leader, la predicatrice evangelica Sorella Alice (Tatiana
Maslany), aumenterà esponenzialmente l’attenzione mediatica sul
caso. Mentre Mason porta avanti le sue ricerche, Paul Drake (Chris
Chalk), un poliziotto con un grande talento investigativo, si
ritroverà, suo malgrado, al centro dell’indagine, mentre dovrà fare
i conti con un dipartimento di polizia razzista e corrotto.
Nel cast anche Nate
Corddry (Mindhunter) e Gayle
Rankin (GLOW) rispettivamente nei panni di
Matthew ed Emily Dodson, i genitori del bambino assassinato;
Veronica Falcón (Queen of the South) nel
ruolo di Lupe, amante occasionale di Mason; Lili
Taylor (American Crime) che interpreta Birdy
McKeegan, la madre di Sorella Alice; Andrew Howard
(Watchmen) e Eric Lange
(Unbelievable) nei panni dei detective Ennis e Holcomb. E
ancora Robert Patrick (Terminator 2 – Il
giorno del giudizio) che interpreta di Herman Baggerly, il
milionario membro della stessa chiesa dei Dodsons che assume E.B. e
Mason per indagare sul caso, e Stephen Root
(Barry) nel ruolo del procuratore distrettuale Maynard
Barnes.
La serie è diretta dal veterano
delle serie TV HBO Tim Van Patten – regista
dell’episodio pilota de Il Trono di
spade, ha firmato episodi de I Soprano,
Boardwalk Empire, Sex and the City, The
Wire, The Pacific, Roma e Deadwood
– e da Deniz Gamze Ergüven (Mustang) che
dirige il quarto, il quinto e il sesto episodio. Tim Van Patten è
anche produttore esecutivo della serie insieme agli showrunner Ron
Fitzgerald (Westworld) e Rolin Jones (Boardwalk
Empire), a Robert Downey Jr., Susan Downey, Amanda Burrell, e
Joe Horacek. Aida Rodgers è co-produttore esecutivo.
Perry Mason –
Dall’11 settembre alle 21.15, ogni venerdì su Sky atlantic e in
streaming su NOW TV. Tutta la serie sarà disponibile da subito in
binge su Sky e NOW TV
Dopo diversi anni di presenza alla
Berlinale, Malgorzata Szumowska e Michal
Englert vengono selezionati nel
concorso di Venezia 77 con il loro ultimo film, Never
Gonna Snow Again, che Szumowska scrive e dirige
mentre Englert, come da tradizione nella loro lunga collaborazione
artistica, fotografa, apportando il suo contributo alla scrittura e
alla regia. La storia è definita un dramma fantastico e ruota
completamente intorno a Alec Utgoff, attore ucraino naturalizzato
inglese conosciuto a Hollywood e dintorni per vari ruoli tra cui
l’ultimo nella serie TV Stranger Things, e qui nei panni di
un massaggiatore ucraino che va a Varsavia e lavora per la
borghesia della città.
La trama di Never Gonna Snow Again
Un massaggiatore entra nelle case e
nelle vite dei cittadini di un ricco quartiere residenziale, i cui
abitanti, a dispetto della loro ricchezza, trasudano tristezza
interiore e desiderio. Le mani del misterioso nuovo arrivato hanno
proprietà curative, i suoi occhi penetrano le loro anime. Alle loro
orecchie, il suo accento russo suona come una melodia del passato,
un ricordo di un’infanzia più sicura e protetta. Zhenia, questo è
il suo nome, cambierà le loro vite.
Il film si muove sul filo della
metafora geopolitica. Il protagonista è nato nel cuore del
fallimento dell’Unione Sovietica, a Pryp”jat’, città fantasma
teatro del disastro della centrale di Chernobyl. Dalle ceneri di
questa cittadina, il russo arriva in Polonia, sempre più proiettata
verso l’Europa e distaccatasi dalla Russia, e diventa un simbolo
con molteplici vesti.
L’uomo che viene dal freddo risveglia lo spirito
Zhenia porta ai ricchi borghesi
annoiati il risveglio del corpo: i suoi massaggi sono un toccasana,
le donne che lo chiamano sono tutte bramose del suo aitante giovane
corpo, le sue mani compiono miracoli. Ma Zhenia risveglia anche il
loro spirito: attraverso l’ipnosi li rimette in contatto con se
stessi, svelandone tutte le debolezze, i desideri, le pulsioni
nascoste. Lo fa con un tocco delicato, etereo, come la fotografia
del film, tenue eppure ricca di guizzi di luce.
La metafora geopolitica sembra
raccontare allo spettatore che il sogno della Russia appartiene ad
un passato antico e percepito come saggio e taumaturgico, ma che è
destinato a scomparire, così come la neve nel titolo misterioso.
Non cadrà più la neve, come una bambina spiega a Zhenia nel film,
ma questo fenomeno rappresenta davvero un bene per un uomo che
viene proprio dalla terra del freddo?
Never Gonna Snow
Again è un ritratto metaforico di una società che,
annoiata dal suo status, fatica a ritrovarsi e il protagonista
rappresenta proprio la necessità di ricongiungersi con ciò che c’è
di primigenio ma che è destinato a scomparire, proprio come accade
a lui.
Mentre si aspetta il verdetto della
Giuria della Mostra Internazionale di Cinema di Venezia, il
Notturno di Gianfranco Rosi
si offre al giudizio del pubblico italiano con una uscita in sala
coraggiosa. Come coraggioso è stato il progetto che per tre anni ha
portato il regista e la sua crew ad attraversare il Medio Oriente,
costantemente sui confini fra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano.
In quelle zone si svolge il film, un
documentario sui generis, forse troppo costruito e ricercato per
essere considerato tale. Non certo un reportage di guerra, quanto
più il tentativo di raccontare “la quotidianità che sta dietro
la tragedia continua di guerre civili, dittature feroci, invasioni
e ingerenze straniere, sino all’apocalisse omicida dell’ISIS”,
come dichiarano le note di produzione. E l’umanità di alcune delle
tante persone incontrate dal regista, lontano dalla linea di fuoco,
ma mai senza rischi… e comunque sempre osservando il dolore e la
speranza di personaggi che non faticheranno a imprimersi nella
nostra immaginazione.
Soldati, donne,
bambini
La prima scena è subito emblematica:
siamo in una zona di esercitazioni militari e nell’inquadratura –
fissa – entrano ed escono squadre di soldati che lanciano versi
gutturali, di guerra, mentre corrono intorno a un campetto. In
questa ripetizione c’è molto della situazione che Rosi racconta, e
che questa parte di Medio Oriente vive da sempre. Un continuo
ritorno, della guerra, delle sue conseguenze, un circolo vizioso
che sembra impossibile da spezzare e nel quale ogni speranza sembra
svanire.
Anche il cacciatore notturno di
anatre, che incontriamo all’inizio e alla fine del film regala
spunti di riflessione. Nella sua ‘missione’ solitaria c’è il
tentativo di sopravvivere, anche attraverso l’inganno, anche a
scapito di altri esseri viventi. Anche in questo caso senza posa,
senza cambiamenti sostanziali, sia che intervenga la morte di
qualcuno dei coinvolti sia che nulla succeda lasciando chiudersi la
giornata nell’attesa della prossima.
Sono personaggi che non hanno una
casa, un luogo di appartenenza, a volte nemmeno un nome, per una
precisa scelta del regista che spersonalizzando gli oggetti
dell’osservazione punta a renderli universali, a farne parti di un
affresco più grande. E drammatico. A emergere sono in pochi, su
tutti il piccolo Alì, ragazzino che si vende a giornata come cane
da caccia. E che ogni mattina lascia il proprio salotto, tappezzato
di stuoie e materassi dove trovano posto fratelli e familiari, per
andare sulla strada ad adescare uno dei tanti che fanno
dell’uccidere un divertimento.
Immagini forti e
curatissime
A rendere indimenticabili certe
figure sono anche le immagini, ovviamente, poche volte come in
questo caso curate e costruite. Un ‘dettaglio’ che sembra aver
scatenato molti detrattori, dimentichi – nonostante le polemiche
sollevate recentemente dai fortunati film di Michael
Moore e la stessa storia del documentario, forma
cinematografica paradossale per antonomasia – dell’impossibilità (o
quasi) di mostrare su uno schermo la vita vera, non mediata, ‘senza
filtri’.
Dietro ogni tableau, ogni
storia, c’è una preparazione certosina, minuziosa, paziente da
parte di Rosi, che ha dichiarato più volte di cercare la
naturalezza dei suoi ‘protagonisti’ con un metodo che anche qui ha
applicato. Alla scelta dell’inquadratura seguono quella del
soggetto da inserirvi e del momento in cui farlo: un metodo che
richiede tempi lunghi, ma che assicura una spontaneità da parte
dell’osservato che gli viene dall’essersi abituato a quello che lo
circonda, in questo caso il regista e la macchina da presa.
È abbastanza per soddisfare i
puristi? Non lo sarà mai? Potrebbe mai esserlo? Domande capziose e
piuttosto inutili che nulla tolgono al totale della composizione.
Perfettamente riuscita e fin troppo bella da vedere. Il rischio è
certo che tanta estetizzazione possa distrarre, o allontanare a
livello emotivo, ma abbandonando le proprie aspettative e una forma
preconcetta di osservazione, sarà più facile anche oltrepassare
quei confini e accettare la realtà che ci viene raccontata e che in
molti casi non avremmo mai conosciuto.
Il primo film italiano presentato in
concorso a Venezia 77 è Padrenostro di
Claudio Noce con Pierfrancesco Favino,
Barbara Ronchi e i promettenti giovani attori
Mattia Giraci e Francesco Gheghi.
Per la prima volta sullo schermo anche la piccola di casa Favino,
Lea.
Il film di Noce trae spunto da una
dolorosa esperienza personale dello stesso regista. Figlio del
vicequestore Alfonso Noce che fu ferito in un attentato sotto la
sua abitazione il 14 dicembre 1976. Erano gli anni di piombo e la
lotta tra lo stato e i gruppi di contestatori di ogni fazione erano
purtroppo all’ordine del giorno. Nell’attentato ai danni di Noce,
ad opera dei Nuclei Armati Proletari, persero la vita l’agente di
polizia Prisco Palumbo e il terrorista Martino Zicchitella.
Padrenostro, una biografia a metà
Claudio Noce si
rifà alla sua esperienza senza ricalcare però fedelmente la realtà.
Sceglie di cambiare i nomi dei personaggi reali, a parte quello del
padre che rimane Alfonso anche se di cognome fa La Rosa, e ci
trasporta in una storia che vuole mettere al centro non tanto il
fatto di cronaca ma le conseguenze che ne derivano. Si approccia
alla storia del nostro paese raccontandone una più intima e
personale, un rapporto fittizio tra due ragazzini Valerio e
Christian. Il primo figlio di La Rosa, il secondo, come scopriremo
solo nel finale collegato anch’egli all’attentato. Valerio, 10 anni
biondissimo con gli occhi azzurri e Christian quattordicenne alto e
moro; non sono agli antipodi solo fisicamente e nonostante questo
instaureranno un forte legame da subito.
All’inizio del film Valerio, adulto,
vede per caso Christian in metropolitana a Roma, lo rincorre prima
con lo sguardo e poi per le scalinate che portano fuori dalla
stazione, non sappiamo ancora nulla di loro ma i loro occhi sono
carichi di emozione. Parte da qui il lungo flashback che occuperà
tutta la durata del film.
I protagonisti sono dunque i due
ragazzi e il loro rapporto di reciproco supporto. Ad una prima
parte più lenta corrisponde una seconda più viva che coincide con
il viaggio in Calabria e i primi contrasti tra i due amici che
sembrano contendersi l’attenzione del padre Alfonso.
La chiave del film nel finale
Padrenostro è un
film che assume maggiore valore proprio in virtù del suo finale.
Nonostante la possibile presa di posizione unilaterale, visto il
coinvolgimento personale dell’autore, il film stupisce e commuove
proprio perché prende in considerazione tutti i punti di vista,
tutte le vittime di un evento così fortemente traumatico. Le
vittime finiscono, in qualche modo, seppure solo
nell’immaginazione, a consolarsi a vicenda e a reggere insieme il
fardello del dolore ritrovando la voglia di vivere.
Una delle sequenze più forti del
film è, senza dubbio, quella in cui il giovane Valerio spiega
all’amico Christian come è avvenuto l’attentato a cui lui ha
assistito dal balcone di casa. Utilizzando dei gessetti colorati il
giovane disegna in modo compulsivo il tutto sull’asfalto. In una
fotografia dominata dal seppia, il rosso degli spari e del sangue
risalta e sconvolge, primo fra tutti il padre Alfonso (Favino),
giunto sul luogo, che si rende finalmente conto che il figlio ha
visto tutto e non ha per niente metabolizzato l’accaduto.
La regia di Noce non sempre riesce
ad andare di pari passo con le emozioni come vorrebbe e manca di
mordente proprio nel voler mostrare i rapporti con quel
“Padrenostro” che resta più figura che sostanza.
Dopo la straordinaria partecipazione
all’evento in streaming dello scorso luglio, arriva ora per il
pubblico la possibilità unica di apprezzare IDIOT PRAYER –
NICK CAVE ALONE AT ALEXANDRA PALACE al cinema grazie
all’evento ideato per sale di tutto il mondo, in programma in
Italia per il 16, 17, 18 novembre (elenco su
www.nexodigital.it). L’uscita
cinematografica di questo straordinario film evento sarà seguita il
20 novembre dalla pubblicazione dell’album, che sarà disponibile su
vinile, CD e in streaming.
IDIOT PRAYER – NICK CAVE
ALONE AT ALEXANDRA PALACE è stato registrato a giugno
2020, mentre il Regno Unito usciva lentamente dal lockdown ed è
stato concepito come una risposta alla reclusione e all’isolamento
dei mesi precedenti. Inizialmente era stato immaginato come un
evento unicamente web, ora invece i fan potranno finalmente trovare
il film al cinema nella sua versione estesa con quattro brani
inediti.
Subito dopo, il 20 novembre, verrà
pubblicato un doppio album con lo stesso nome, in vinile, CD e
streaming, con tutte le 22 canzoni del film originale.
In IDIOT PRAYER,
Cave suona le sue canzoni da solo al pianoforte in una forma
minimalista proposta di rado, dalle prime formazioni con Bad Seeds
e Grinderman fino al più recente album di Nick Cave & the Bad
Seeds, Ghosteen.
La performance è stata filmata dal
pluripremiato direttore della fotografia Robbie
Ryan (The Favorite, Marriage Story, American Honey) nella
splendida West Hall di Alexandra Palace. Il montaggio è stato
curato da Nick Emerson (Lady Macbeth, Emma, Greta). La musica è
stata registrata da Dom Monks.
Idiot Prayer è il quarto film che
Nick Cave ha distribuito in collaborazione con Trafalgar Releasing,
dopo Distant Sky – Live in Copenhagen del 2018 diretto da
David Barnard, One More Time With Feeling del 2016 diretto
da Andrew Dominik e il pluripremiato 20,000 Days on Earth
diretto da Iain Forsyth e Jane Pollard.
Spiega Nick Cave: “L’idea di
questo film è nata dai miei eventi ‘Conversations With…’. Amavo
suonare versioni destrutturate delle mie canzoni in questi
spettacoli, distillandole nelle loro forme essenziali. Sentivo che
stavo riscoprendo di nuovo quelle canzoni e a un certo punto, ogni
volta che avevo del tempo a disposizione, ho iniziato a pensare di
entrare in uno studio e registrare queste versioni reinventate. Poi
è arrivata la pandemia: il mondo è entrato in lockdown ed è
precipitato in un silenzio inquietante e riflessivo. È stato in
questo silenzio che ho iniziato a pensare all’idea non solo di
registrare le canzoni, ma anche di filmarle. Abbiamo lavorato con
il team dell’Alexandra Palace – un luogo in cui avevo già suonato e
che adoro – per scegliere un giorno per filmare non appena fosse
stato permesso di riaprire l’edificio. Il 19 giugno 2020,
circondati da funzionari anti-Covid con termometri, operatori con
le mascherine, tecnici dall’aspetto nervoso e contenitori di gel
per le mani, abbiamo creato qualcosa di molto particolare e molto
bello che parlava in questo tempo incerto, pur non essendo in
nessun modo soggiogato ad esso. Da quel film è nato anche un album.
È una preghiera nel vuoto – da solo all’Alexandra Palace – un
ricordo di un momento strano e precario della storia. Spero che vi
piaccia“.
Idiot Prayer – Nick Cave
Alone è distribuito in Italia da Nexo Digital con i media
partner Radio Capital, MYmovies.it e Rockol.it. Le prevendite
dell’evento al cinema apriranno a partire dal 10 settembre su
nexodigital.it e su nickcave.com/idiotprayer. Per
ordinare l’album: nickcave.com/idiotprayer.
Nick Cave & The Bad Seeds saranno in
tour in Europa nella primavera/estate 2021. Info e biglietti su
nickcave.com.