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Quentin Tarantino: 7 misteri dei suoi film che non verranno mai risolti

Quentin Tarantino è uno dei registi più completi che operano nel cinema da diverso tempo. Uno di quelli con la capacità di tenere dentro una sala un pubblico molto eteorgeneo, poiché regala sempre storie stratificate, capaci di essere decodificate a livelli, in base al tipo di spettatore che si è. Ogni sua pellicola contiene perciò una trama – nella maggior parte dei casi – definita e completa, piena di omaggi e reference ai grandi generi, come il western o le arti marziali. Ciò non vuol dire però che le sue opere non siano esenti da misteri o piccole lacune. È capitato, in alcuni suoi film, che qualche personaggio venisse lasciato in sospeso, oppure qualche dettaglio del racconto non trovasse soluzione o svelamento. Considerato poi che il regista non fa sequel (Kill Bill è un’eccezione), ci sono alcune narrazioni rimaste indefinite, le quali contribuiscono ad alimentare teorie e domande dei fan. Di seguito, tutti i misteri che non verranno mai risolti.

Il periodo di Vincent e Vic Vega ad Amsterdam

LE IENE

Per quelli che non lo sapessero, alcuni film di Quentin Tarantino hanno fra loro dei collegamenti. Quello che potrebbe considerarsi il più famoso riguarda Vic Vega, alias Mr. Blonde di Le iene (primo lungometraggio del regista) e Vincent Vega di Pulp Fiction. Mentre dirigeva Bastardi senza gloria, a Tarantino venne l’idea di produrre una pellicola che avesse come protagonisti proprio i due fratelli, intitolata Double V Vega, la quale doveva fungere da crossover/spin-off tra i due film sopracitati. La storia avrebbe seguito i Vega nel loro periodo trascorso ad Amsterdam, di cui si ha un accenno proprio in Pulp Fiction. In una scena, infatti, Vincent dice di essere appena tornato dalla città olandese, nella quale stava facendo qualcosa per il suo capo, Marsellus Wallace. Purtroppo, però, Double V Vega fu cancellato dal regista, indi per cui quel periodo rimane un mistero.

Hugo Stiglitz: perché i nazisti non lo riconoscono?

Bastardi senza gloria

Uno dei film più soddisfacenti di Quentin Tarantino non può che essere Bastardi senza gloria. Il regista, come sempre d’altronde, fornisce una sua versione sul periodo del nazismo, quasi come se fosse un “what if…”, portando sullo schermo una folle squadra di sicari con l’obiettivo di uccidere quanti più nazisti possibili. Essa è capitanata da Aldo Raine, il quale ad un certo punto recluta un ex soldato dell’esercito tedesco, Hugo Stiglitz. Del suo background sappiamo che Stiglitz ha ucciso 13 ufficiali della Gestapo, ma invece di essere ucciso a sua volta, viene rispedito a Berlino e imprigionato come esempio per gli altri soldati. Il volto di Stiglitz, perciò, appare su tutti i giornali e questo lo rende, in un certo senso, famoso. Soprattutto per i tedeschi. Perciò risulta abbastanza strano il fatto che non venga riconosciuto da nessuno quando entra nella taverna Wicki e Hicox per incontrare Bridget von Hammersmark, dato che è piena di soldati nazisti.

La figlia di Vernita Green si vendicherà?

kill bill

Quentin Tarantino ama il mash-up di generi e gli omaggi al grande cinema, e tutti i film ne sono prova. Kill Bill: Vol.1 (ma anche il Vol. 2) è l’esempio perfetto. Il regista gioca molto sia con il western, regalando inquadrature memorabili, che con il Kung Fu, di cui la protagonista, Black Mamba, ne conosce ogni mossa. Al centro delle due pellicole c’è una donna, chiamata anche La Sposa, in cerca di vendetta contro coloro che volevano ucciderla il giorno delle nozze. È questo il motore della storia, che spinge Black Mamba a intraprendere un viaggio alla ricerca “dei suoi sicari”. La prima con cui si confronta è Vernita, con la quale inizia una lotta a suon di coltelli, interrotta ad un certo punto dalla figlia della prima, Nikki. Vernita cerca in quell’occasione di uccidere la Sposa con una pistola nascosta nei cereali, salvo poi venire uccisa da quest’ultima che, proprio davanti alla figlia, le ficca un coltello nel petto. Nikki, perciò, è testimone dell’atroce atto commesso, tanto che ad un certo punto Black Mamba le si avvicina dicendole che, quando sarà cresciuta, quasi certamente vorrà vendicarsi della morte della madre. Se Kill Bill Vol. 3 avesse visto la luce, una delle sue linee narrative sarebbe potuta essere questa, ma non essendo mai stato realizzato non si saprà mai.

Che fine fa Elle Driver?

Kill Bill Vol.2 Elle Driver

Passiamo a Kill Bill Vol. 2 e prendiamo in analisi il combattimento fra Elle Driver e Black Mamba. Proprio come nel caso di Vernita, anche lei è un suo bersaglio. Le due donne si affrontano nella roulotte di Budd, altro obiettivo della Sposa, e la sequenza costruita da Quentin Tarantino è più che fenomenale. Sappiamo che entrambe sono state addestrate da Pai Mei, indi per cui il loro scontro è uno dei più avvincenti ed emozionanti (quanto è suggestiva la scena in cui la Sposa le strappa l’altro occhio?). Vinta la battaglia, Black Mamba lascia la rivale nel dolore e nelle urla, e neanche da sola. Il serpente che Elle Driver ha usato per uccidere Budd è ancora lì, e potrebbe essere un pericolo anche per lei. Solo attraverso i titoli di coda ci viene data la conferma che il suo destino rimane sconosciuto, e non essendoci, come dicevamo, un Kill Bill Vol. 3, anche questo rimarrà un mistero.

Che fine fa Mr. Pink?

Le iene Mr Pink

Riavvolgiamo il nastro e torniamo a Le iene. Fra i rapinatori che riescono a tornare al magazzino dopo la sparatoria iniziale c’è Mr. Pink (a cui dà pelle e voce Steve Buscemi) il quale, in seguito allo stallo messicano tra Eddie, Joe Cabot e Mr. White, in cui sembrano tutti morti, riesce a prendere i diamanti e scappare. Dopodiché si sente Mr. Pink avere un diverbio con la polizia fuori dal magazzino, tutto in fuori campo, ma lo spettatore alla fine non conoscerà il suo destino. Viene colpito? Arrestato? Muore? Il dubbio nascente ha fatto sì che si creasse una teoria secondo la quale Mr. Pink sarebbe il cameriere di Jack Rabbit Slim in Pulp Fiction, sempre interpretato da Buscemi.

Hans Landa riconosce Shosanna al ristorante?

Hans Landa

La prima opening di Bastardi senza gloria può considerarsi una delle migliori fra i film di Quentin Tarantino. In una campagna francese, Hans Landa, dopo una conversazione spinosa con il proprietario, uccide una famiglia ebrea nascosta sotto le tavole di legno dell’abitazione. L’unica che riesce a scappare è Shosanna che, guardata da lontano dal colonnello tedesco, la si vede correre incontro alla libertà con le lacrime agli occhi. Dopo alcuni anni, la donna assume un’altra identità, prendendo il nome di Emmanuel Mimieux. Un giorno, corteggiata da un soldato nazista, Fredrick Zoller, si imbatte in Hans Landa quando il primo la porta in un ristorante per incontrare Joseph Goebbels, il quale vuole che il loro nuovo film venga proiettato in anteprima nel cinema di Shosanna, ereditato dagli zii. La tensione comincia a crescere quando ad un certo punto Landa inizia a fissarla nel bel mezzo di una conversazione, affermando subito dopo di aver dimenticato cosa stesse per domandare. Questo momento, insieme ad altri dettagli come, ad esempio, l’ordinazione del colonnello di un bicchiere di latte per la donna, hanno portato il pubblico a chiedersi se l’avesse o meno riconosciuta. Purtroppo, però, rimarrà sempre un mistero.

Cosa c’era nella valigetta di Pulp Fiction?

Jules-And-Vincent-Pulp-Fiction

Concludiamo con il mistero forse più grosso e intrigante dei film di Quentin Tarantino, contenuto in Pulp Fiction: il contenuto della valigetta di Marsellus. Nelle due occasioni in cui viene aperta, da essa esce solo una luce arancione, e noi spettatori possiamo solo vedere le reazioni dei personaggi sullo schermo, che ne restano ipnotizzati. Purtroppo, però, il regista non ha mai rivelato cosa ci fosse al suo interno e, ancora una volta, questo ha dato modo di specularci sopra. Alcune teorie sostengono che ci fossero i gioielli della rapina de Le iene, altri invece hanno pensato che ci fosse Dio. Il regista, pur ammettendo che la valigetta fosse un MacGuffin, non è mai riuscito a spegnere la curiosità sul suo contenuto.

Io Capitano vince il Premio Francesco Pasinetti assegnato dal SNGCI

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Va a Io Capitano di Matteo Garrone (Venezia 80) il Premio Francesco Pasinetti assegnato a Venezia, come tradizione, dai Giornalisti Cinematografici (SNGCI) che lo hanno scelto tra tutti i film italiani presentati in concorso e nelle diverse sezioni della Mostra 2023.

Lo annuncia il Direttivo del Sindacato sottolineando l’importanza della sperimentazione e della ricerca di una selezione veneziana generalmente ricca di novità ma soprattutto l’alta qualità delle sei proposte italiane in concorso. Scelte che confermano, con l’avvio di una produzione decisamente più ambiziosa e in grado di dialogare di più con i mercati internazionali, anche l’impegno del cinema più autoriale di voler recuperare il rapporto col pubblico.

LA MOTIVAZIONE

Io Capitano è un film importante, di straordinaria potenza emotiva e visiva. Racconto di formazione e insieme cronaca, anche intima, di un viaggio verso il sogno che diventa dramma e violenza, offre allo spettatore la visione di una realtà per la prima volta svelata dal cinema attraverso due protagonisti che conquistano per la purezza del loro sguardo.

Il racconto in lingua originale aggiunge verità e continue emozioni in un film che fa riflettere e appassiona e che merita un’attenzione speciale anche per le difficoltà di integrare la macchina del cinema con la realtà nell’incontro con un mondo mai raccontato così da vicino.

Io Capitano è un film di Matteo Garrone, scritto da Garrone, Massimo Ceccherini, Massimo Gaudioso, Andrea Tagliaferri. Una coproduzione internazionale Italia Belgio, una produzione Archimede con Rai Cinema e Tarantula con Pathé, Logical Content Ventures con il supporto del Ministero della Cultura, con la partecipazione di Canal+, Ciné+ in coproduzione con TRBF (Belgian Television), Voo-Be Tv e Proximus, ha già iniziato il suo viaggio nelle sale cinematografiche ieri, 7 settembre distribuito da 01 Distribution.

Monarch: Legacy of Monsters: il teaser trailer della serie Apple Tv+

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Apple TV+ ha svelato il primo teaser di Monarch: Legacy of Monsters, l’attesissima serie di dieci episodi in arrivo il 17 novembre. Basata sul Monsterverse della Legendary e interpretata da Kurt Russell, Wyatt Russell, Anna Sawai, Kiersey Clemons, Ren Watabe, Mari Yamamoto, Anders Holm, Joe Tippett ed Elisa Lasowski, Monarch: Legacy of Monsters farà il suo debutto con i primi due episodi, seguiti da un episodio ogni venerdì, fino al 12 gennaio.

Dopo la fragorosa battaglia tra Godzilla e i Titani che ha raso al suolo San Francisco e la scioccante rivelazione che i mostri sono reali, Monarch: Legacy of Monsters segue la vicenda di due fratelli che ricalcano le orme del padre per scoprire il legame della loro famiglia con l’organizzazione segreta nota come Monarch. Gli indizi li conducono nel mondo dei mostri e, infine, nella tana del coniglio dell’ufficiale dell’esercito Lee Shaw (interpretato da Kurt Russell e Wyatt Russell), in un arco temporale che va dagli anni ’50 fino a mezzo secolo dopo, quando la Monarch è minacciata da ciò che Shaw sa. La drammatica saga – che abbraccia tre generazioni – rivela segreti sepolti e i modi in cui eventi epici e sconvolgenti possono riverberarsi nelle nostre vite.

Prodotto dalla Legendary Television, Monarch: Legacy of Monsters è co-sviluppata e prodotta esecutivamente da Chris Black e Matt Fraction. Matt Shakman dirige i primi due episodi e funge da produttore esecutivo insieme a Joby Harold e Tory Tunnell, per conto di Safehouse Pictures, Andy Goddard, Brad Van Arragon e Andrew Colville. Hiro Matsuoka e Takemasa Arita producono esecutivamente per conto della Toho Co., Ltd., proprietaria del personaggio di Godzilla. La Toho ha concesso i diritti alla Legendary per “Monarch: Legacy of Monsters” come naturale conseguenza del loro rapporto a lungo termine con il franchise cinematografico.

Il Monsterverse di Legendary Entertainment è un epico universo di intrattenimento con storie interconnesse che riuniscono le più titaniche forze della natura della cultura popolare. Il pubblico assiste alla più grande battaglia per la sopravvivenza dell’umanità, in lotta per salvare il nostro mondo da una nuova realtà catastrofica: i mostri dei nostri miti e delle nostre leggende sono reali. Iniziato nel 2014 con “Godzilla” e proseguito con “Kong: Skull Island” del 2017, “Godzilla: King of the Monsters” del 2019 e “Godzilla vs. Kong” del 2021, il Monsterverse ha accumulato quasi due miliardi di dollari ai botteghini di tutto il mondo ed è in continua espansione, con l’attesissimo sequel “Godzilla x Kong: The New Empire”.

La serie si aggiunge all’offerta in espansione di Apple TV+ di dramedy sulla costruzione del mondo, tra cui la serie di successo globale “Silo”; “Foundation”, basata sui pluripremiati romanzi di Isaac Asimov e creata da David S. Goyer; “Invasion”, la serie fantascientifica dei produttori Simon Kinberg e David Weil, nominati agli Oscar® e due volte agli Emmy, e altro ancora.

Jessica Chastain presenta Memory a Venezia: “Il film va oltre i cliché”

Memory è il film del regista messicano Michel Franco in Concorso a Venezia 80. Il tema centrale del film che da anche il titolo al lungometraggio è ovviamente la memoria che fa da filo conduttore tra le storie: “Non sapevo di stare girando un film sulla memoria fin quando non l’ho finito. Mentre scrivevo e facevo ricerche ho realizzato che il concetto della memoria continuava a ritornare in tutte le pagine ed è poi il titolo che ho dato al film”, ha iniziato Michel Franco. La memoria viene trattata in tutte le sue forme, anche quando si tratta di perdita di memoria e in particolare della demenza. “La mia più grande paura è perdere la memoria, la mia mente. Se non sai chi sei, sei sempre te stesso ma se non ti ricordi da dove vieni è quella la cosa che mi fa più spaventare”, continua il regista.

Jessica Chastain e Peter Sarsgaard in Memory

Memory tratta della demenza che colpisce il personaggio di Peter Sarsgaard. L’attore si è commosso oggi parlando di suo zio che soffriva di CTE (encefalopatia traumatica cronica) ed è morto durante la Covid. “Si tratta di una persona che è stata molto importante nella mia vita, quindi ho sentito come una cosa magica il fatto che mi sia stato chiesto di interpretare qualcuno che ha avuto la demenza – a 52 anni, mio zio l’ha avuta a 48… Il suo spirito di positività e amore e grazia e perdono, anche fino alla fine. Ho pensato che fosse bellissimo“.

Jessica Chastain ha dichiarato di essere stata colpita dalla sceneggiatura di Memory e “dall’assenza di qualsiasi cliché. Mi ha commosso molto la storia di questa donna che ha vissuto il trauma della sua vita davanti a sé… e questo l’ha chiusa al mondo. In sostanza, ha smesso di vivere. È stato bellissimo assistere al suo viaggio per imparare a vivere di nuovo“.

Lo sciopero

Ero molto nervosa all’idea di venire“, ha detto la Chastain, che indossava la maglietta nera in supporto allo sciopero SAG-AFTRA, rivelando che “in realtà alcune persone del mio team mi avevano sconsigliato di farlo. Sono molto consapevole di quanto sono fortunato. È una professione meravigliosa quella che possiamo svolgere come attori. Ci viene fatto credere di dover stare zitti per proteggerci. E spesso ci viene detto e ricordato quanto dovremmo essere grati. Questo è l’ambiente che, a mio avviso, ha permesso che gli abusi sul posto di lavoro restassero incontrollati per molti decenni. Ed è anche l’ambiente che ha imposto ai membri del mio sindacato contratti ingiusti”, continua l’attrice premio Oscar.

Sono qui perché la SAG-AFTRA è stata esplicitamente chiara sul fatto che il modo di sostenere lo sciopero è quello di postare sui social media, camminare sui picchetti e lavorare e sostenere i progetti di accordo interinale. È quello che il nostro consiglio nazionale e la nostra leadership ci hanno chiesto di fare. E quando i produttori indipendenti, come quelli qui presenti, firmano questi accordi provvisori, fanno sapere al mondo e all’AMPTP che gli attori meritano un compenso equo, che le protezioni dell’AI devono essere implementate e che ci deve essere una condivisione dei ricavi dello streaming”, conclude.

Woman Of: recensione del film di Malgorzata Szumowska e Michal Englert #Venezia80

Con il titolo originale di Kobieta Z, Malgorzata Szumowska e Michal Englert presentano il loro film in Concorso a Venezia 80. Una storia di accettazione e identificazione in tre atti, metaforici, dove la protagonista Aniela si mette a nudo. Woman Ofquesto il titolo internazionale, ripercorre quattro decenni di storia a partire da un momento molto particolare vissuto in Polonia durante la guerra. Un racconto ampio e commovente che ha richiesto molti anni di lavoro e di incontri con persone transgender.

Protagonista è Aniela (Małgorzata Hajewska-Krzysztofik), che ha vissuto per quasi la metà della sua vita come un uomo in una città di provincia e nel film compie il suo faticoso viaggio verso la libertà. Lo stesso viaggio e transizione che affronta diversi cambiamenti passando dal comunismo alla dipendenza dalla Russia alla libertà. La città diventa lo specchio di questi protagonisti in Woman Of, che sarà distribuito in Italia da I Wonder Pictures.

Woman Of, la trama

Ambientato nel contesto della trasformazione della Polonia dal comunismo al capitalismo, Woman Of ripercorre 45 anni di vita di Aniela Wesoły, che vive più della metà della sua vita adulta in una città polacca provinciale come uomo. Il viaggio di Aniela alla ricerca della libertà personale come donna trans rivela difficoltà nel matrimonio e nella genitorialità, relazioni familiari tese e atteggiamenti complicati nel suo ambiente, che la pongono costantemente in situazioni impossibili. Quali scelte dovrà fare Aniela? Sarà pronta a sacrificare tutto per diventare chi è veramente?

Nel racconto di Malgorzata Szumowska e Michal Englert la vita Aniela è divisa in tre atti. Cresciuto durante la guerra il giovane Andrej è stato scartato dall’esercito per lo smalto ai piedi ma fino alla mezza età questa cosa non lo aveva colpito quanto avrebbe dovuto. O forse più che altro non sapeva come gestire la cosa. Andrej sposa Iza, una giovane donna di cui si innamora perdutamente e all’istante. Nel primo atto si ripercorrono dunque velocemente le scene del loro corteggiamento e matrimonio fino ad arrivare a una inquadratura fissa, dove tutti sono di spalle e festeggiano il compleanno di Andrej. “Esprimi un desiderio”, sempre lo stesso per 45 anni.Woman of film

Identificazione

Attraversando varie fasi della vita di Aniela passiamo anche per tappe storiche importati in Polonia. Mentre lo schermo segna come data il 1989 vediamo che anche Andrej inizia a cambiare: il periodo di forte libertà dato dalla caduta del Muro di Berlino porta alla luce il vero io di Andrej. Contestualmente però i rapporti con la moglie, prima focosi, iniziano a spegnersi. Non siamo ancora entrati nel secondo atto, siamo ancora alla fase di negazione e rassegnazione dove Aniela lotta contro sé stessa per trovare la sua vera identità. In questo caso cercherà il parere di tutti i medici per capire cosa c’è di sbagliato in lei, come possono aiutarla. Non riscontrando nulla che non va inizia così una prima fase di accettazione da parte di Andrej verso la sua nuova identità che è ancora offuscata ai suoi occhi.

Cresciuto negli anni della guerra, quando i sentimenti e le pulsioni andavano represse, la nuova fase della vita di Andrej si apre dunque alla sperimentazione. Mentre cerca di esplorare la sua nuova identità nella privacy di casa sua Andrej ruba gli indumenti della moglie e di nascosto davanti lo specchio cerca sé stessa. E si vede. Si riconosce. Inizia la transizione in un periodo in cui ancora in Polonia tutto quello che usciva fuori dai ranghi canonici veniva associato alla schizofrenia.

Diventare autentici

Il percorso di transizione è iniziato e così anche Aniela attraversa il secondo atto della sua vita. Un atto di consapevolezza del proprio corpo. Il cambiamento avviene anche tra le mura domestiche perché Woman Of non si adatta alle norme sociali di una famiglia tradizionale perché Aniela non si sente a casa propria nel suo Paese, lo stesso che ha delle regole rigidissime sulle pratiche di transizione. E ancora una volta la storia si riflette simbolicamente nella storia della Polonia quando il film riflette su quanto possa essere difficile comprendere un mondo in rapida evoluzione.

Un film che sicuramente farà discutere per i temi trattati e per la presenza così forte di questa Polonia ancora così indietro cercando di opporsi all’introduzione di cambiamenti che da tempo sono diventati la norma in altre parti del mondo. Così una volta superato il nuovo millennio entriamo nel terzo atto della vita di Aniela, quella della completa accettazione e ritorno alla situazione di partenza. Come un viaggio dell’eroe, la situazione si ristabilizza ma inevitabilmente i personaggi ne escono cambiati. La moglie e la famiglia imparano ad accettare la nuova identità di Aniela che non ha più desideri da esprimere al suo compleanno perché ha già tutto quello che ha sempre desiderato.

Hors Saison: tra disillusione e amore nel film di Stéphane Brizé

Hors Saison: tra disillusione e amore nel film di Stéphane Brizé

L’80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia sta per giungere al termine e quest’oggi il regista francese Stéphane Brizé ha presentato in anteprima alla stampa il suo nuovo film Hors Saison. La trama di questo suo nuovo progetto ruota attorno a Mathieu (Guillaume Canet), che vive a Parigi, e ad Alice (Alba Rohrwacher) in una piccola località di mare nella Francia occidentale. Lui è un famoso attore in procinto di compiere cinquant’anni, lei un’insegnante di piano sulla quarantina. Innamorati quindici anni fa, successivamente separati. Il tempo è passato. Ciascuno ha preso la propria strada e le ferite si sono lentamente rimarginate. Quando Mathieu va in una spa per cercare di superare la malinconia che lo attanaglia, si imbatte in Alice.

Brizé ha svelato come mai, dopo essersi cimentato con vari film d’impianto sociale, si sia dedicato a un film sull’amore: “La stessa domanda mi era stata posta prima della trilogia Avevo gia affrontato tematiche sentimentali esistenziali, il rapporto madre figlia, ad esempio, come tutti gli esseri umani sono fatti di fasi diverse nella vita e sento il bisogno di raccontare fasi diverse a seconda del tempo che passa. Ho condiviso lo stato d’animo dei miei personaggi nel provare una profonda disillusione, che mi ha molto provato sia sul piano emotivo che fisico e sentivo la necessita di respirare come loro. Tutti noi abbiamo vissuto l’esperienza di una pandemia che ha costretto noi esseri umani, portati naturalmente al movimento, a stare fermi, chiusi nelle noste case, a fare i conti con quesiti esistenziai che ci hanno dato un senso di vertigine. Un momento della vita molto vero che io ho sentito la necessita di raccontare“.

In Hors Saison, è evidente che il regista ha apportato modifiche stilistiche rispetto alla maniera in cui è abituato a girare, pensando alla macchina a spalla dei film della trilogia: “Il film è fatto anche dai movimenti della macchina da presa e si prestava a una fissità delle inquadrature che sono comunque di formato diverso, campi molto larghi e personaggi piccoli rispetto al contesto in cui si trovano, quasi a deridere le loro vicissitudini umane“, ha spiegato.

Alba Rorhwacher ha invece ricordato il suo primo incontro con la sceneggiatura del film: “Quando ho letto la sceneggiatura la storia mi ha molto coinvolto: ho trovato un’aderenza nel modo in cui lui scriveva con la mia vita. Mi ha coninvolta, fatto piangere e ridere allo stesso momento. Il copione era molto potente e poi, durante questo film, ho incontrato un grandissimo regista con una visione molto precisa di quello che raccontava e io mi sono totalmente affidata nelle sue mani perche sentivo che erano delle mani che mi potevano reggere. Io che ho paura, sempre, non ho avuto paura. I confini miei si sono confusi con quelli del personaggio in totale armonia. La ricerca di Stéphane è la ricerca di una verità che io raramente trovo nel mio lavoro, mi è sembrato un miracolo e mi sono perduta. Anche Guillaume si è perduto nel lavoro di Stéphane e questo è il miracolo che accade nel nostro mestiere, raramente, per cui io dico ‘ecco perche lo faccio’“.

L’attrice ha poi raccontato come è stato lavorare assieme a Guillaume Canet: “Guillaume è un’anima gentile, abbiamo fatto un viaggio assieme dentro le mani di Stéphane. Ricordo la sua pazienza, il suo sguardo sempre attento, quando ieri ho rivisto il film mi ha straziato il ritratto che ha fatto del suo personaggio, la grazia con cui con poco ha raccontato questo residuo interiore enorme per lui e cosi quasi sciocco per altri. Ci siamo entrambi affidati a Stéphane e siamo diventati quello che lui ci ha chiesto di diventare. Quando succede questo è un qualcosa di unico che poi rimane nel lavoro. Io ieri ho guardato questo lavoro per la prima volta e ne ho riconosicuto la grandezza del processo lavorativo in quello che è diventato il film“.

Infine, Brizé si è esposto su una tematica attualissima e che rispecchia anche l’atmosfera in cui la trama del suo film prende piede: gli scioperi della SAG-AFTRA e della WGA: “Trovo assolutamente straordinario questo sciopero in un paese che fatica ad avere una rappresentaza sindacale, il fatto che un’industria come quella dello spettacolo si blocchi in un paese come gli Stati Uniti è un qualcosa di straordinario. Valgono tutte le regole di qualsiasi sciopero, anche Alba e io siamo operai artigiani nella scrittura e nella recitazione. Chiaro che diventa uno sciopero spettacolare perchè coinvolge un’azione che è emblematica della mercificazione del nostro mondo, affondata da in criterio di reddittività e profitto, ed è un’aberrazione che ha raggiunto livelli insostenibili. Siamo di fronte sicuramente uno sciopero potente, ci vuole coraggio come in tutte le altre forme di sciopero. Il mio sogno sarebbe che questo sciopero arrivasse a coinvolgere il mondo intero e tutti i settori industriali del capitalismo“.

Daaaaaali!, recensione del film di Quentin Dupieux #Venezia80

Daaaaaali!, recensione del film di Quentin Dupieux #Venezia80

Un regista che definiremmo “surrealista” come Quentin Dupieux, paradossalmente, firma con Daaaaaali! il suo film più riflessivo, seppur stravagante dal punto di vista formale e narrativo. Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2023, Daaaaaali! è un “non-film” sul padre del surrealismo Salvador Dalí, in cui l’impossibilità di raccontare la vita dell’artista si fonde perfettamente con la tendenza di Dupieux a sminuzzare il racconto cinematografico, a rielaborarne le forme e sregolarlo. Nel cast, Anaïs Demoustier, Gilles Lellouche, Édouard Baer, Jonathan Cohen, Pio Marmaï, Didier Flamand, Romain Duris.

Daaaaaali!: un’intervista impossibile

Nel corso di Daaaaaali! seguiamo una giornalista senza nome (interpretata da Anaïs Demoustier) che vuole intervistare quest’artista poliedrico, con l’intenzione di girare un film sulla sua vita e le sue idee. Tuttavia, ogni incontro, ogni tentativo di far parlare il maestro si rivela inutile: scappa l’artista e scappa anche il film, proponendosi come un loop infinito, una caccia al tesoro senza meta che dà le vertigini: Dalí è ovunque e in nessun luogo. Il film di Quentin Dupieux è un racconto che indaga la figura di Dalì più che altro come genio della comunicazione, oltre il Dalì artista, rifacendosi direttamente al modo in cui egli cercava costantemente di sfuggire alla sua immagine giocando con essa.

Ci troviamo davanti a un non-film su Dalí per un uomo che non avrebbe mai voluto e non è mai stato possibile incasellare: Dalí come un’utopia scomparsa, sia come uomo che come artista, appartenente a un modo in cui l’arte occupa una posizone centrale, gli artisti sono sulle pagine dei giornali e in televisione. Non hanno paura di essere provocatori, assurdi, anche imbarazzanti. Tuttavia, l’arte è scomparsa dalla nostra vita moderna e Dalí rimane un ricordo del subconscio potenziato. È stato uno dei primi artisti ad assumere e promuovere la sua libertà come forma d’arte. C’è una sorta di sincerità nella sua follia, Dalì non rispetta nessuna regola, cerca, inventa, a volte fallisce, ma sempre in maniera inedita: un modus operandi che rispecchia in qualche modo anche quello di Dupieux, che cerca di avvicinarsi a questo aspetto di laboratorio nel suo personale parco giochi cinematografico. Evocando Dalí, Dupieux si è concesso il diritto di lasciare che l’inconscio prendesse il controllo della scrittura. Daaaaaali! è un film molto scritto, molto strutturato ma libero dalla necessità di “raccontare“: un film che si metamorfizza, in cui l’immagine racconta la storia.

Jonathan Cohen come Dalì nel film Daaaaaali! (2023)

Si può ancora parlare di surrealismo?

La giornalista senza nome (Anaïs Demoustier) si definisce normale, abbastanza noiosa, eppure sarà l’interlocutrice di una figura straordinaria che, vessandola e sminuendo il suo lavoro, la porrà sul gradino dell’attenzione, qualcosa a cui non era mai stata abituata. Dalìmuore di sete“, sete di vita e sete egocentrica di un artista vanesio oltre ogni limite. Si fa attendere, ci mette ore a percorre il corridoio dell’hotel in cui verrà intervistato dal personaggio della Demoustier, perché la sua figura non si adatta a nessun tempo e luogo in cui siano presenti altre persone.

Quello di Quentin Dupieux è un Salvador Dalì mutaforma, che non sopporta che gli venga fatto perdere tempo, lo stesso concetto su cui ha plasmato gran parte delle sue opere più conosciute. A un certo punto farà tutto al contrario, andrà avanti e indietro nel tempo per cercare di trattenere la sua immagine, fermarla nel tempo, come la firma con cui si appropria di un dipinto non suo pensando che basti a identificarla per sempre come “un Dalì“.

Emerge l’idea che il surrealismo non abbia più significato nel mondo attuale: all’epoca di Dalí era una battaglia, un desiderio di cambiare il mondo, un modo di guardarlo in modo diverso. Oggi, il termine “surreale” si è sostituito o amalgamato a tanti altri per definire qualcosa di fuori dagli schemi o che fatichiamo a comprendere. Daaaaaali! è un gioco, un esperimento, un tentativo di fare cinema in modo diverso, un modo di evocare Dalí e rifiutarsi di prendere le cose troppo sul serio, nel tentativo di proporre l’arte nel suo aspetto più fisico e irrazionale.

Avengers: Secret Wars, Sam Raimi sarebbe la scelta numero uno per dirigere il film

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I Marvel Studios devono ancora annunciare un regista per quello che potrebbe rivelarsi il più grande film del MCU di tutti i tempi, Avengers: Secret Wars, ma una nuova voce ora sostiene che Kevin Feige potrebbe affidare la regia di quel titolo ad un regista dietro un recente sequel del MCU. Un precedente rapporto indicava infatti che lo studio starebbe cercando registi con una certa esperienza per garantire che i prossimi progetti, estremamente ambiziosi, siano in mani sicure. Tra i nomi ad oggi fatti spiccano Jon Favreau (Iron Man) e Ryan Coogler (Black Panther).

Si dice che anche il regista di Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli, Destin Daniel Cretton, che dirigerà Avengers: The Kang Dynasty, sia tenuto in grande considerazione. Tuttavia, secondo ComicBookMovie.com, Sam Raimi, regista di Doctor Strange nel Multiverso della Follia è ad ora emerso come la “migliore scelta” dello studio per il film conclusivo della Multiverse Saga. Il sequel di Doctor Strange è infatti stato accolto con recensioni piuttosto buone (73% su Rotten Tomatoes) e, sebbene si sia rivelato un po’ controverso tra i fan dell’MCU, ha incassato oltre 950 milioni di dollari in tutto il mondo.

Naturalmente, Raimi è noto per aver anche diretto la trilogia originale di Spider-Man, ancora oggi considerata in modo estremamente positivo tra i fan. Non ci sono però ancora conferme a riguardo, mentre sappiamo che lo sceneggiatore di Doctor Strange nel Multiverso della Follia Michael Waldron è stato assunto per scrivere la sceneggiatura alla fine dell’anno scorso, ma non abbiamo idea di quanti progressi siano stati fatti da allora, e una voce recente indicava che in realtà egli si sia separato dal progetto.

L’attore Danny Masterson condannato a 30 anni di carcere per stupro

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Come riportato da Variety, l’attore Danny Masterson è stato condannato a 30 anni di carcere dopo essere stato giudicato colpevole di stupro all’inizio di quest’anno. Masterson, meglio conosciuto per aver recitato nella sitcom di successo della Fox “That 70’s Show” e in “The Ranch” di Netflix, stava da tempo affrontando una potenziale condanna da 30 anni all’ergastolo, cosa che si è poi concretizzata.

L’attore, che sostiene la sua innocenza, è stato condannato per due delle tre accuse di stupro forzato lo scorso maggio. Masterson è stato accusato di aver violentato tre donne nella sua casa di Hollywood Hills tra il 2001 e il 2003, durante il periodo in cui era in “That 70’s Show“. La giuria lo ha dunque condannato per aver violentato due donne nel 2003, ma non è riuscita a raggiungere un verdetto su un’accusa del novembre 2001 che coinvolgeva un’ex fidanzata, sebbene i giurati abbiano votato a favore della condanna.

Entrambi i processi hanno inoltre gettato luce sulla Chiesa di Scientology, di cui Masterson è membro, con il verdetto che ha dunque segnato una sorprendente caduta per uno dei membri più importanti di Scientology. Tutte e tre le vittime erano a loro volta membri della chiesa al momento delle aggressioni, ma da allora hanno dichiarato di non farne più parte.

Le tre hanno inoltre affermato – sia durante la sentenza che nelle testimonianze – che la chiesa le ha dissuase dal denunciare Masterson alla polizia. I pubblici ministeri hanno sostenuto durante tutto il processo che Masterson aveva approfittato della sua posizione nella chiesa per violentare le donne senza timore di ripercussioni e che la chiesa proibiva alle donne di rivolgersi alla polizia per denunciare una violenza sessuale.

Dopo la sentenza, l’avvocato di Masterson ha detto ai giornalisti fuori dal tribunale che intende presentare appello contro la sua condanna. “Gli errori che si sono verificati in questo caso sono sostanziali e sfortunatamente hanno portato a verdetti non supportati da prove“.

Sciopero a Hollywood: i sindacati chiedono sussidi per i lavoratori in sciopero

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La Writers Guild of America e la SAG-AFTRA stanno spingendo i legislatori della California a concedere sussidi di disoccupazione ai lavoratori in sciopero. In California, i lavoratori attualmente non ricevono l’indennità di disoccupazione quando sono in sciopero. Ma i legislatori statali stanno lavorando a un disegno di legge, SB 799, che estenderebbe i benefici ai lavoratori che sono in sciopero da almeno due settimane.

Se convertito in legge, il disegno di legge entrerebbe in vigore il 1° gennaio. Se gli scioperi WGA e SAG-AFTRA fossero risolti entro quella data, il disegno di legge non avrebbe alcun effetto su questi membri del sindacato. Ma potrebbe avere un ruolo negli scioperi futuri, sia a Hollywood che in altri settori.

Il senatore Anthony Portantino, l’autore principale, ha sostenuto in un’intervista che il disegno di legge aiuterà l’economia e estenderà la sicurezza ai lavoratori, livellando al tempo stesso il campo di gioco tra lavoro e management.

I sindacati di Hollywood hanno tenuto una manifestazione giovedì fuori alla sede di Amazon a Culver City per esprimere sostegno al disegno di legge. Hanno notato che New York e New Jersey già estendono i sussidi di disoccupazione ai lavoratori in sciopero. “Quattro mesi senza lavoro sono emotivamente brutali e finanziariamente disastrosi”, ha affermato Meredith Stiehm, presidente della WGA West. “Le aziende ovviamente lo sanno e hanno sfruttato l’insicurezza economica e l’ansia personale dei nostri membri”.

Kayla Westergard-Dobson, coordinatrice del lotto WGA presso Sony, ha sostenuto che l’Alleanza dei produttori cinematografici e televisivi si è rifiutata di negoziare un contratto equo, costringendo i membri a scioperare. “Anche se siamo disoccupati, nessuno di noi può accedere alla disoccupazione”, ha detto. “Sono passati quasi 130 giorni e sto andando in rovina. I miei risparmi si sono ridotti quasi a zero. Faccio affidamento sull’aiuto finanziario della mia famiglia e visito le banche alimentari per fare la spesa”.

“Questa assicurazione dovrebbe essere lì per noi quando non possiamo lavorare”, ha detto. “Che senso ha il fatto che non vi abbiamo accesso ora che ne abbiamo più bisogno? Se potessi ottenere un impiego durante questa interruzione del lavoro, proprio come qualsiasi altra pausa o periodo trascorso senza lavoro, lo stress dello sciopero non peserebbe così pesantemente. Non dovrei rimandare le visite dal dentista, o portare il mio gatto dal veterinario o anche solo tagliarmi i capelli. Non dovrei vedere i miei risparmi toccare il fondo mentre devo ancora pagare l’affitto.”

L’AMPTP ha rifiutato di commentare. La Motion Picture Association, che rappresenta gli interessi degli studi cinematografici a Sacramento, ha rivolto domande alla Camera di commercio della California. In un’udienza della scorsa settimana, un rappresentante della Camera ha sostenuto che il disegno di legge potrebbe portare a centinaia di milioni di dollari in pagamenti ai lavoratori in sciopero.

Il rappresentante, Robert Moutrie, ha sostenuto che ciò eserciterebbe ulteriore pressione sul programma statale di disoccupazione, che già deve al governo federale più di 18 miliardi di dollari a causa della pandemia, e costringerebbe le imprese californiane nel loro complesso a farsi carico del conto sotto forma di premi più alti.

Moutrie ha affermato che anche i lavoratori in sciopero si trovano in una situazione diversa rispetto ai lavoratori che ottengono benefici perché sono stati licenziati. “Qualcuno che è in sciopero ha un lavoro e sceglie di non lavorare per creare pressione economica sul proprio datore di lavoro”, ha detto Moutrie. “Si tratta di una situazione fondamentalmente diversa rispetto a quella di qualcuno che viene lasciato andare e non ha idea di quando o se lavorerà di nuovo”.

Secondo un’analisi dello staff dell’Assemblea, tra il 2012 e il 2022 in California si sono verificati 56 scioperi, di cui solo due sono durati più di due settimane. Il SAG-AFTRA è iniziato il 14 luglio e tiene il punto ormai da otto settimane, mentre lo sciopero della WGA è alla sua diciannovesima settimana.

Il disegno di legge è stato approvato giovedì dalla Commissione per gli stanziamenti dell’Assemblea e dovrà essere approvato da entrambe le camere della legislatura entro il 14 settembre. Il governatore Gavin Newsom non ha specificato se lo trasformerà in legge.

Un disegno di legge simile, che avrebbe concesso l’indennità di disoccupazione dopo tre settimane di sciopero, è stato approvato dall’Assemblea nel 2019 ma per due voti mancanti non è passato al Senato statale.

Fonte

Oscar 2024: Governor Awards posticipati a gennaio a causa degli scioperi WGA e SAG-AFTRA

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I Governor Awards dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences si sposteranno dal 18 novembre al 9 gennaio nel contesto degli scioperi WGA e SAG-AFTRA in corso. Angela Bassett, Mel Brooks, la montatrice Carol Littleton e Michelle Satter del Sundance Institute saranno premiati al Fairmont Century Plaza Hotel di Los Angeles. La cerimonia di martedì avrà luogo due giorni dopo i Golden Globes.

I Governors Awards sono una produzione sindacale, quindi l’Academy sta lavorando con WGA e SAG-AFTRA per monitorare la situazione. Il Premio Onorario, una statuetta dell’Oscar, viene assegnato “per onorare una straordinaria distinzione nella carriera, contributi eccezionali allo stato delle arti e delle scienze cinematografiche o per un servizio eccezionale all’Academy”.

Satter riceverà il Jean Hersholt Humanitarian Award, anch’esso una statuetta Oscar, che viene assegnato “a un individuo nel campo delle arti e delle scienze cinematografiche i cui sforzi umanitari hanno dato credito all’industria”.

Mel Brooks, 97 anni, è attualmente solo una delle 18 persone esistenti al mondo ad aver ottenuto lo status di EGOT (ottenendo vittorie competitive da Emmy, Grammy, Oscar e Tony Awards).

Angela Bassett ha ricevuto la sua prima nomination all’Oscar come migliore attrice per la sua interpretazione di Tina Turner in What’s Love? e ha ottenuto la sua seconda nomination come attrice non protagonista per il ruolo della Regina Ramonda in Black Panther: Wakanda Forever.

Carol Littleton ha ottenuto una nomination all’Oscar per il miglior montaggio cinematografico per E.T. l’Extraterrestre oltre ad aver montato molti film che hanno fatto la storia di Hollywood, come Va e uccidi (The Manchurian Candidate).

Michelle Satter è la fondatrice e direttrice senior dei programmi per artisti del Sundance Institute e per più di 40 anni ha promosso le carriere di registi famosi e pluripremiati all’interno dell’organizzazione no-profit, molti dei quali provenienti da comunità sottorappresentate.

Il corvo: il remake con Bill Skarsgard sarà distribuito dalla Lionsgate

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15 anni dopo l’inizio dello sviluppo del film, il remake di Il Corvo di Rupert Sanders sembra aver finalmente trovato una casa di distribuzione domestica nella Lionsgate. Secondo The Hollywood Reporter, la Lionsgate si occuperà infatti del rilascio sul territorio statunitense del tanto atteso rifacimento del film, con Bill Skarsgard nel ruolo principale. Secondo quanto riferito, CAA Media Finance ha concluso l’accordo per la distribuzione e Charlotte Koh, vicepresidente esecutivo, acquisizioni e coproduzioni della Lionsgate, supervisionerà il processo di rilascio di Il corvo alla Lionsgate.

La stessa Koh ha recentemente parlato del profondo apprezzamento della troupe del remake per il film originale e i suoi personaggi, affermando che il film in uscita reinventerà la famosa storia nel modo più rispettoso possibile. “Apprezziamo ciò che il personaggio del Corvo e il film originale significano per legioni di fan e crediamo che questo nuovo film offrirà al pubblico una reinterpretazione autentica e viscerale del suo potere emotivo e della sua mitologia“, ha affermato Koh.

Il corvo di Sanders si baserà sulla sceneggiatura di Zach Baylin e Will Schneider e seguirà Eric Draven, un musicista deceduto e poi resuscitato, mentre si vendica di una banda per la sua morte prematura e quella della sua fidanzata. Proprio come il film di Alex Proyas del 1994, anche questo remake sarà basato sull’omonimo fumetto di James O’Barr, che ha debuttato nel 1989. Skarsgard assumerà dunque il ruolo leggendario di Eric Draven/Il Corvo, interpretato nel film originale dal compianto Brandon Lee, rimasto ucciso in seguito a un tragico incidente sul set nel 1993.

La cantante FKA Twigs sembra interpreterà invece La fidanzata di Eric, Shelly Webster. Altri membri del cast confermati includono Danny Huston, Isabella Wei, Laura Birn, Sami Bouajila e Jordan Bolger. Victor Hadida, Molly Hassell, John Jencks, il defunto Samuel Hadida e il defunto Edward R. Pressman sono invece accreditati come i produttori di Il corvo. “Rupert ha magistralmente portato nuove dimensioni per creare un universo contemporaneo per questa saga senza tempo di amore eterno, e non vediamo l’ora di condividere questa visione con il pubblico cinematografico”, hanno dichiarato i produttori. Con l’ingresso della Lionsgate nel progeto, si attende ora solo una data di uscita ufficiale.

Venezia 80, le foto dal red carpet di Daaaaaali! con Gilles Lellouche

Si è tenuta questa sera la proiezione ufficiale di Daaaaaali! (recensione), il nuovo film di Quentin Dupieux presentato fuori concorso Venezia 80, l’80esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Sul red carpet il regista accompagnato dal cast, Anaïs Demoustier, Gilles Lellouche, Édouard Baer.

In merito al film il regista ha commentato “Per scrivere e dirigere questo tributo, mi sono connesso con la coscienza cosmica di Salvador Dalí e mi sono lasciato guidare, a occhi chiusi. Per prima cosa, il Maestro mi ha ordinato di reclutare diversi attori brillanti a cui affidare il suo personaggio (troppo complesso per un solo uomo); poi insieme abbiamo fatto visita a Buñuel per carpire alcune immagini e idee; successivamente mi ha condotto a forza nelle profondità della sua angoscia morbosa e nei suoi sogni per guidarmi; e infine ho quasi ritrovato il controllo del mio film, per farne semplicemente una dichiarazione d’amore nei confronti di quest’uomo. Come ha detto lo stesso Dalí, la sua personalità è stata probabilmente il suo più grande capolavoro. Il mio film racconta modestamente questa storia.”

Venezia 80: le foto dal red carpet di Lubo di Giorgio Diritti

Venezia 80: le foto dal red carpet di Lubo di Giorgio Diritti

Si è tenuta questa sera la proiezione ufficiale di Lubo (recensione), il nuovo film di Giorgio Diritti presentato in concorso Venezia 80, l’80esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Sul red carpet il regista accompagnato dal cast, Franz Rogowski, Christophe Sermet, Valentina Bellè, Noemi Besedes, Cecilia Steiner, Joel Basman.

Il regista ha commentato: “La lettura del romanzo Il seminatore di Mario Cavatore mi ha svelato vicende poco conosciute accadute in Svizzera per cinquanta anni, portandomi a riflettere sul senso di giustizia, sulle istituzioni, sul senso dell’educare e dell’amare. Ne è nato il film Lubo, da cui nello svolgersi degli eventi emerge quanto principi folli e leggi discriminatorie generino un male che si espande come una macchia d’olio nel tempo, penetrando nelle vite degli uomini, modificandone i percorsi, i valori, generando dolore, rabbia, violenza, ambiguità… ma anche un amore per la vita e per i propri figli che vuole sopravvivere a tutto e riportare giustizia.” Di seguito tutte le foto dal red carpet.

Lubo è un nomade, un artista di strada che nel 1939 viene chiamato nell’esercito elvetico a difendere i confini nazionali dal rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo dopo scopre che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di portare via i loro tre figli piccoli, che, in quanto Jenisch, sono stati strappati alla famiglia, secondo il programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada (Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse). Lubo sa che non avrà più pace fino a quando non avrà ritrovato i suoi figli e ottenuto giustizia per la sua storia e per quella di tutti i diversi come lui.

Domina, recensione della seconda stagione con Kasia Smutniak

Domina, recensione della seconda stagione con Kasia Smutniak

Domina è una serie tv andata in onda con otto puntate per la prima volta su Sky e NOW a maggio del 2021 e di cui uscirà la seconda stagione l’8 settembre sempre sulle stesse piattaforme.

Ideata e diretta da Simon Burke, sceneggiatore e regista che era già stato creatore nel mondo della serialità alla fine degli anni 90 con il titolo di Liverpool One, è prodotta dall’inglese Tiger Aspect Productions e Sky ed è interamente girata negli Studios di Cinecittà a Roma con ogni location ricostruita fedelmente e con gran realismo.

Domina seconda stagione, la trama

La storia infatti riprende aderendo in maniera piuttosto credibile ai fatti realmente accaduti. Ci troviamo nel 44 a.C., Cesare è stato da poco assassinato e Gaio Ottavio ne è il principale erede in quanto figlio adottivo. Ma il racconto, questa volta, non s’incentra su una delle figure più potenti dell’antichità, anzi: pone l’accento, il titolo e la sua stessa trama sulla donna che gli è stata accanto per quasi tutta la vita e, che per la sua personalità tenace, astuta e intrepida, è ricordata ancora dopo millenni.

Livia Drusilla Claudia (Kasia Smutniak) è la “domina” del nome della serie, cioè la “signora” in latino, quella che nelle case di uomini potenti aveva accesso a lusso, gioielli e molto rispetto, certamente, ma da parte della servitù. Livia, grazie a un’educazione ricevuta da sua padre che generalmente era concessa solo ai ragazzi, diventa esperta di politica, intuitiva, sviluppa un senso critico e, soprattutto, grazie a uno spirito di sopravvivenza spiccato e dirompente, impara a farsi strada cogliendo le scelte giuste da fare e il momento perfetto in cui compierle.

Una serie che ruota attorno al fascino della protagonista

Domina segue dunque la vita della ragazza a partire dai suoi quindici anni, quando viene data in sposa a Tiberio Claudio Nerone (antenato di quello che pare abbia appiccato l’incendio più famoso della storia) e come tenta di divincolarsi dalla sua brutalità, cosa che poi determinerà l’inizio della sua ascesa.

Domina seconda stagioneTutti gli aspetti che si discostano dalla verità degli eventi, riguardano specialmente le svolte nelle quali viene attribuita una sfumatura maggiore sull’iniziativa di Livia anziché dell’uomo di turno. La serie di Simon Burke vuole in realtà ruotare attorno al personaggio di Livia e respirarne il fascino, le fatiche e le guerre. Dove normalmente un racconto che leggeremmo sui libri di scuola parla di centinaia di battaglie combattute da uomini, Domina si apre con Livia che brandisce un’arma di fortuna.

Un intero cast che intesse intrighi e cospirazioni

A supportare gli infiniti intrighi messi in scena puntata dopo puntata, è anche il cast di attori piuttosto efficaci nei loro ruoli, uno su tutti Matthew McNulty nel ruolo di Gaio, Ben Batt in quello del suo fidato amico Agrippa, Claire Forlani e Christine Bottomley nelle tremende parti di Ottavia e Scribonia. Le prime due puntate della seconda stagione vedono quindi tutti riuniti più o meno lì dove li avevamo lasciati – al netto di qualche inevitabile e sorprendente variazione, ovviamente – con l’immensa domus dell’imperatore che ospita cospirazioni e maneggi come solo la natura umana può tirar fuori quando è spinta dagli istinti primari.

E in tutto ciò Livia che tira sempre i fili e le trame, cerca di salvare i suoi amori, tenere alta la testa e rimanere incisa nella memoria della Roma antica. Perché, lo ricordiamo, in quegli anni si stava costruendo quell’incredibile periodo che venne poi denominato come Pax Romana, durante il quale l’impero raggiunse un’estensione che mai più si verificò per nessun altro e che racchiudeva un numero altissimo di popoli di culture e lingue diverse. E pensare al ruolo che una donna possa aver giocato in un’operazione di questa portata, non è certo cosa da poco. Domina sicuramente non lascia a bocca aperta, perché è molto semplice il modo in cui la narrazione viene condotta, ma fa bene il suo mestiere per trasmettere l’evidente messaggio che vuole lasciare.

Lawmen: la storia di Bass Reeves, il teaser trailer della serie antologica Paramount+

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Paramount+ ha presentato oggi il teaser trailer dell’attesissima serie originale Lawmen: la storia di Bass Reeves, che debutterà in esclusiva sul servizio con due episodi domenica 5 novembre in tutti i mercati internazionali Paramount+. La serie antologica è interpretata dal produttore esecutivo e candidato agli Emmy Award David Oyelowo, Lauren E. Banks, Demi Singleton, Forrest Goodluck, Barry Pepper, il vincitore dell’Oscar onorario Donald Sutherland e il candidato agli Emmy Award Dennis Quaid.

Svelando la storia mai raccontata del più leggendario uomo di legge del vecchio West, LAWMEN: LA STORIA DI BASS REEVES segue il viaggio di Reeves (Oyelowo) e la sua ascesa dalla schiavitù alle forze dell’ordine come primo U.S. Marshal nero a ovest del Mississippi. Nonostante abbia arrestato oltre 3.000 fuorilegge nel corso della sua carriera, il peso delle responsabilità derivanti dal suo incarico diventa sempre più oneroso mentre affronta le sfide emotive ed etiche connesse al suo lavoro e alle implicazioni che comporta per la sua amata famiglia. LAWMEN: LA STORIA DI BASS REEVES è una nuova serie antologica a sé stante e le future produzioni seguiranno altri iconici uomini di legge e fuorilegge che hanno influenzato la storia.

Il cast include Shea Whigham e Garrett Hedlund come guest star oltre a Joaquina Kalukango, Lonnie Chavis, Grantham Coleman, Tosin Morohunfola, Dale Dickey, Rob Morgan, Ryan O’Nan, Margot Bingham, Mo Brings Plenty, Justin Hurtt-Dunkley e Bill Dawes.

Creata per la televisione dal produttore esecutivo e showrunner Chad Feehan, la serie è prodotta anche dal candidato all’Oscar Taylor Sheridan, David Oyelowo, David C. Glasser, Jessica Oyelowo, David Permut, Christina Alexandra Voros, Ron Burkle, Bob Yari e David Hutkin. La serie è prodotta da MTV Entertainment Studios, 101 Studios, Bosque Ranch Productions di Sheridan e Yoruba Saxon di Oyelowo in esclusiva per Paramount+.

LAWMEN: LA STORIA DI BASS REEVES è l’ultima novità nel crescente panel di contenuti di Sheridan su Paramount+, che comprende 1923, 1883, MAYOR OF KINGSTOWN, TULSA KING, SPECIAL OPS: LIONESS e la serie prossimamente in arrivo LAND MAN.

Ballistic: trama e cast del film con Antonio Banderas

Ballistic: trama e cast del film con Antonio Banderas

Non solo i bei film diventano dei cult nel tempo, ma anzi numerosi sono i casi di opere massacrate alla loro uscita che acquistano poi un proprio seguito. Il più delle volte ciò avviene per motivi non preventivati e distanti da quelli sperati, ma permettono ugualmente a questi film di vivere una loro popolarità. Tra questi si colloca anche Ballistic, thriller d’azione del 2002 diretto da Wich Kaosayananda e scritto da Alan McElroy.Tra spionaggio, tecnologie avanzate e grandi sequenze d’azione, il film si configura come un caotico racconto tra generi diversi, regalando anche alcuni elementi di fascino.

Prima di vedere la luce, Ballistic dovette però attendere molto tempo. La sceneggiatura venne infatti scritta nel 1986, subendo poi numerosi rimaneggiamenti nel corso del tempo. Originariamente, infatti, la storia prevedeva sequenze d’azione ancor più complesse, come anche un tono molto più cupo e violento. Ad essere aggiunta è invece stata la linea narrativa relativa alle nanotecnologie, così da poter cavalcare l’onda del successo di Matrix, a cui Ballistic si è inevitabilmente ispirato. Con queste modifiche, il film riuscì così a concretizzarsi, andando però incontro ad una disastrosa rovina.

Massacrato dalla critica, Ballistic è ancora oggi considerato uno dei peggiori film mai realizzati, nonché uno di quelli a poter vantare lo 0% di gradimento sul sito Rotten Tomatoes. Proprio questo disastro, lo ha però portato negli anni a guadagnare un proprio seguito, divenendo così uno scult a tutti gli effetti. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Ballistic: la trama del film

Protagonista del film è l’agente FBI Jeremiah Ecks, un tempo tra i migliori del suo dipartimento e ora caduto in profonda depressione in seguito alla morte della moglie Vinn, avvenuta sette anni prima. Nonostante egli non sia più in servizio, il suo capo Julio Martinez cerca di aiutarlo ad uscire da quel momento di crisi assegnandogli una missione molto complessa e importante. Nell’ambiente dello spionaggio internazionale circola un pericoloso micro-robot in grado di provocare la morte istantanea se impiantato nel corpo di un essere umano. Ecks dovrà recuperare il portentoso marchingegno rubato all’agente segreto, Robert Gant.

Questi, per commercializzare illecitamente l’arma ha utilizzato suo figlio Michael, impiantando direttamente su di lui il dispositivo. Il rapimento di suo figlio per mano dell’agente esperta di arti marziali Sever, tuttavia, ha infranto i suoi piani. Dietro il gesto della donna, c’è il desiderio di vendicare un torto subito anni prima proprio da Gant. Ecks deve così prima di tutto mettersi sulle tracce di Sever, cercando di ottenere il pericoloso marchingegno. Nel corso della sfida, tuttavia, emergeranno una serie di verità che mineranno i rapporti fino a quel momento vigenti. Ben presto, sarà difficile sapere di chi potersi davvero fidare.

Ballistic cast

Ballistic: il cast del film

Originariamente, per i ruoli di Ecks e Sever erano stati considerati gli attori Wesley Snipes e Jet Li. Successivamente si considerarono Vin Diesel e Sylvester Stallone. Ad ottenere il ruolo di Ecks fu però infine l’attore spagnolo Antonio Banderas, il quale si disse particolarmente interessato alle tematiche trattate. Durante le riprese del film, però, l’attore visse anche un brutto momento, che quasi lo portò a subire gravi ustioni. In una scena dove era prevista un esplosione, i tecnici calcolarono male la portata di questa, che arrivò molto vicina a Banderas. Fortunatamente, l’attore riuscì ad uscirne soltanto con alcune bruciature minori.

Il ruolo di Sever, invece, fu riscritto come personaggio femminile. Per questo, Banderas suggerì l’attrice Lucy Liu, con la quale aveva già lavorato in Incontriamoci a Las Vegas. Fu così lei ad ottenere il ruolo, sottoponendosi per questo ad una lunga preparazione fisica. Così facendo ha potuto interpretare molte delle scene d’azione per lei previste. Nei panni dell’agente Rober Gant, invece, si ritrova l’attore Gregg Henry, mentre Aidan Drummond è suo figlio Michael Gant. Il capo di Ecks, Julio Martinez, è interpretato da Miguel Sandoval, noto per la serie Medium. L’attore e stuntman Ray Park, celebre per essere stato Darth Maul nella saga di Star Wars, è invece l’agente Ross. Talisa Soto compare infine nei panni di Vinn, la moglie di Ecks.

Ballistic: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Ballistic è infatti disponibile nei cataloghi di Infinity e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 7 settembre alle ore 21:00 sul canale Iris.

Fonte: IMDb

 

Wolfman: trama, cast e curiosità sul film

Wolfman: trama, cast e curiosità sul film

Il cinema horror ha negli anni regalato innumerevoli iconici personaggi, molti dei quali entrati ormai nell’immaginario collettivo. Tra i più amati di sempre vi sono però quelli portati sul grande schermo a partire dagli anni Trenta, in particolare con i film prodotti dalla Universal. Dracula, Frankenstein, la mummia, l’uomo invisibile e l’uomo lupo sono i principali tra questi, più volte riproposti nel corso dei decenni con rifacimenti e modernizzazioni. Proprio l’ultimo qui elencato è tornato al cinema nel 2010 con il film Wolfman (qui la recensione), diretto da Joe Johnston e scritto da Andrew Kevin Walker e David Self.

Il film riporta così sul grande schermo il celebre personaggio che da L’uomo lupo del 1941 in poi ha vantato una lunga e ricca filmografia. Oltre ad essere un remake di quel classico, però, questo rifacimento ha l’obiettivo di dar vita ad una storia molto più cupa e spaventosa delle precedenti, che facesse ampio riferimento alle leggende riguardanti la creatura. Per dar vita a questa, poi, i produttori hanno deciso di affidare il trucco al leggendario Rick Baker, che grazie al suo lavoro qui ha vinto il suo settimo Oscar. Il risultato fu infatti straordinario e contribuì a donare ulteriore fascino al film.

Wolfman tuttavia non riuscì ad affermarsi come un buon successo al box office, anche a causa del suo elevato budget. Negli anni ha però guadagnato un buon seguito, divenendo un cult che ripropone elementi e personaggi dal continuo fascino, nonostante il passare del tempo. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Wolfman: la trama del film

Ambientato nell’Inghilterra del 1891, il film ha per protagonista Lawrence Talbot, attore teatrale, che torna nella sua casa natìa in seguito alla scomparsa di suo fratello Ben. Qui viene accolto dall’anziano padre John e da Gwen, la fidanzata del defunto. La morte di questi si presenta da subito come particolarmente controversa e misteriosa, poiché ad averlo ucciso sarebbe stata una bestia dalle dimensioni particolarmente imponenti. Deciso ad indagare sulla cosa, Lawrence inizia a ricostruire quanto può essere accaduto nelle ultime ore di vita del fratello. Così facendo, scopre di leggende che sembrano non essere poi tanto irrealistiche.

Secondo la gente del luogo, infatti, la zona è minacciata da un lupo mannaro, che strazia i corpi di quanti gli capitano a tiro durante le notti di luna piena. Per tentare di abbattere la bestia viene ingaggiato anche l’ispettore Aberline, il quale dà vita ad una spietata caccia al mostro. Lawrence cerca di tenersi lontano da tutto ciò, proseguendo la sua ricerca, che lo porterà a scontrarsi con segreti tanto antichi quanto pericolosi. Prima che la luna piena torni a splendere nel cielo e la bestia si scateni di nuovo, Lawrence e quanti vicino a lui dovranno essere pronti a difendersi come possibile.

Wolfman cast

Wolfman: il cast del film

Quando seppe che la Universal stava per realizzare un nuovo film sull’uomo lupo, l’attore premio Oscar Benicio del Toro fece di tutto per ottenere la parte del protagonista Lawrence Talbot. Egli è notoriamente un grandissimo fan del personaggio e un grande collezionista di memorabilia relativi a questo. Ottenuta la parte, egli si preparò riguardando i film Il segreto del Tibet, il primo realizzato sulla creatura, e L’implacabile condanna. La sua devozione nei confronti del personaggio gli permise di sopportare anche le tre ore giornaliere richieste per applicare il pesante trucco da lupo mannaro.

Nel ruolo di sir John Talbot vi è invece il due volte premio Oscar Anthony Hopkins, il quale ha contribuito molto alla caratterizzazione del personaggio. Emily Blunt, attrice nota per Sicario e A Quiet Place, è invece Gwen Conliffe, la fidanzata del fratello di Lawrence. Nel ruolo del detective Abberline, personalità realmente esistita e nota per aver indagato sul caso di Jack lo squartatore, doveva inizialmente esserci l’attore Antonio Banderas. Nel momento in cui questi abbandonò il film, la parte passò a Hugo Weaving. Nel film compare poi anche Geraldine Chaplin nel ruolo della zingara Maleva.

Wolfman: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Wolfman è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten Tv, Google Play, Apple TV, Now e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 7 settembre alle ore 21:15 sul canale Italia 2.

Fonte: IMDb

Jupiter – Il destino dell’universo: trama e cast del film con Mila Kunis

Divenute celebri grazie alla trilogia di Matrix (di cui è però in lavorazione un quarto capitolo), le sorelle Lana e Lilly Wachowski hanno poi continuato ad esplorare il genere a loro congeniale, quello della fantascienza, attraverso altri noti blockbuster. Da Speed Racer a Cloud Atlas, hanno così continuato ad imporre il loro personalissimo stile in quel di Hollywood. Attualmente, la loro ultima regia cinematografica è stata quella per il film Jupiter – Il destino dell’universo. Nato da una loro idea originale, il lungometraggio è poi arrivato al cinema nel 2015, presentando dalla sua un grande cast e un grande budget. Si tratta inoltre del primo film delle sorelle realizzato con l’utilizzo della tecnica 3D.

Al di là dei grandi effetti speciali utilizzati, il film ha alla base della sua storia anche delle notevoli fonti d’ispirazione letteraria e cinematografica. Per le due registe, infatti, tutto nasce dal desiderio di dar forma ad un incontro tra l’Odissea e Il mago di Oz. Le Wachowski basarono il personaggio della protagonista sulla Dorothy del film del 1939. Loro desiderio era quello di dar vita ad un differente tipo di eroe, che supera gli ostacoli grazie alla sua intelligenza. Il tutto è stato poi naturalmente condito dalle grandi invenzioni visive tipiche delle due registe, che hanno così reso particolarmente personale il film.

Al momento della sua uscita in sala il film ricevette un’accoglienza critica non particolarmente entusiasmante. In particolare, ad essere indicata come principale difetto dell’opera è stata la sua sceneggiatura, secondo molti priva dell’epica necessaria a tale racconto. Tiepido fu anche il risultato al box office. A fronte di un budget stimato di quasi 200 milioni di dollari, molti dei quali utilizzati per gli effetti speciali, Jupiter – Il destino dell’universo riuscì ad incassare soltanto circa 183 milioni. Nonostante tali risultati, nel giro di breve è diventato uno dei titoli di riferimento per molti fan del genere, i quali ritrovavano qui una protagonista lontana dai classici stereotipi.

Jupiter – Il destino dell’universo: la trama del film

Il film è ambientato in un futuro non troppo lontano, ed ha per protagonista la giovane Jupiter Jones. Questa è un’immigrata russa, la quale lavora insieme alla madre come donna delle pulizie. Per quanto avverta una strana forza in sé, sentendosi come destinata a qualcosa di più grande, Jupiter è però convinta che la sua vita non cambierà mai, e che sarà sempre destinata a ricoprire un ruolo marginale nella società. Tutto cambia nel momento in cui, improvvisamente, assiste ad un tentato omicidio ad opera di alcuni alieni. In questa occasione si ritrova salvata da Caine, un guerriero interplanetario inviato per rivelarle le sue vere origini.

Jupiter viene infatti a conoscenza di una potente dinastia aliena, la quale domina gran parte dei pianeti abitabili. Questi sono da loro stati colonizzati milioni di anni prima, lasciandovi sopra forme di vita complesse, tra cui quella umana. La dinastia corre però ora il rischio di finire nelle mani del malvagio Balem Abrasax, il quale vuole sterminare gli umani per poter generare dal loro materiale biologico un potente siero della giovinezza. Per la giovane ha così un viaggio intergalattico, che la porterà a prendere coscienza dei suoi poteri. Con questi sarà chiamata a salvare l’intero universo, scoprendosi anche proprietaria dell’intero pianeta terra. Per poter dar vita a tutto ciò, però, Jupiter dovrà dimostrare di essere pronta all’avventura.

Jupiter cast

Jupiter – Il destino dell’universo: il cast del film

Note per la loro collaborazione con alcuni tra i maggiori interpreti di Hollywood, le sorelle Wachowski si sono anche in questo caso affidate ad alcuni tra i principali attori del momento. Il ruolo della protagonista Jupiter era da loro stato inizialmente offerto all’attrice Natalie Portman, la quale però rifiutò. Si considerò allora Rooney Mara, ma la scelta ricadde infine su Mila Kunis, nota attrice ucraina naturalizzata statunitense. Per poter dar vita al personaggio, però, l’attrice si trovò a doversi sottoporre a diverse ore di allenamento al giorno. Ciò le permise di prendere parte alle complesse sequenze previste dal copione, senza la necessità di avvalersi in modo continuo di controfigure. L’attrice, inoltre, ha affermato di essersi ritrovata molto in Jupiter, condividendo origini e una storia famigliare simili alle sue.

In ruoli di rilievo sono poi presenti anche altri noti interpreti. Channing Tatum è Caine, il quale aiuterà la protagonista nel corso del suo viaggio. Per poter interpretare il ruolo, l’attore ha dovuto portare una protesi alla mascella, al fine di conferirvi un aspetto diverso. Questa è però stata una vera scomodità per lui, che ha avuto problemi a chiudere la bocca e parlare. Il premio Oscar Eddie Redmayne, invece, interpreta il malvagio Balem Abrasax. La sua interpretazione però non fu particolarmente apprezzata, e gli fece infatti vincere un Razzie Awards come peggior attore non protagonista. Sono poi presenti anche Sean Bean, nel ruolo di Stinger Apini, Douglas Booth, nei panni di Titus Abrasax, Vanessa Kirby in quelli di Katharine Dunlevy e James D’Arcy come Max Jones.

Jupiter – Il destino dell’universo: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Per gli appassionati del film, o per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali piattaforme streaming oggi disponibili. Jupiter – Il destino dell’universo è infatti presente su Rakuten TV, Google Play, Apple TV+, Prime Video e Now. Per poter usufruire del film, sarà necessario sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film. In questo modo sarà poi possibile vedere il titolo in tutta comodità e al meglio della qualità video, senza limiti di tempo. Il film è inoltre in programma in televisione per giovedì 7 settembre alle ore 21:00 sul canale 20 Mediaset.

Fonte: IMDb

“L’arte non è criticabile moralmente”, Luca Barbareschi presenta il suo film The Penitent a Venezia

Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, The Penitent – A Rational Man è il nuovo film da regista di Luca Barbareschi, presente al Lido anche in qualità di produttore di The Palaceil film di Roman Polanski presentato anch’esso nella sezione Fuori Concorso. Intervistato per presentare la sua nuova fatica da regista, Barbareschi spiega innanzitutto il perché abbia scelto di adattare per il grande schermo un testo del drammaturgo David Mamet, da lui già portato in teatro.

In esso si racconta di uno psichiatra di nome Carlos David Hirsh, che vede deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento e instabile che ha causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una reazione a catena esplosiva, che costringerà Hirsh a dover lottare per la verità.

“Ho scelto questo testo perché racchiude, grazie all’opportunità di un fatto di cronaca, tutta l’imbecillità e la violenza che c’è nei confronti di un pensiero diverso, che non dico che sia giusto ma penso che tutti abbiano idee diverse e non per questo siano necessariamente meglio o peggio, anzi è interessante avere un’idea diversa – spiega Barbareschi. “Questo film doveva farlo un altro attore, ma alla fine Mamet mi ha detto “secondo me sei più bravo tu, perché non lo fai?” e a quel punto mi sono trovato a confrontarmi con un personaggio in cui mi sono ritrovato moltissimo”.

“Proprio come capita al protagonista, tante volte è capitato anche a me di essere stato linciato dalla stampa e ho visto quanta sofferenza questo tipo di situazioni provoca. Alla fine non c’era più differenza tra quello che dicevo e quello che facevo e questo film è uno dei rari privilegi in cui il meccanismo della finzione, della rappresentazione, dà un’opportunità di offrire una restituzione affettiva allo spettatore, mediata da una realtà dei fatti molto forte”.

Mostra del Cinema di Venezia, tra omologazione e controversie

Barbareschi passa poi a parlare più in generale della Mostra di quest’anno, dove sono presenti autori controversi come il già citato Polanski e Woody Allen con Coup de Chance. Proprio durante il red carpet di quest’ultimo si è svolto un piccolo evento di protesta per la presenza del regista newyorkese. “Vedere insultato in quel modo Woody Allen mi ha fatto male al cuore. Se in quel gruppo ci fosse stato Gabriel Garcia Marquez, Joyce e Dante Alighieri, allora sarebbe stata un’interessante sfida ermeneutica tra giganti della letteratura che danno del mascalzone ad uno dei più grandi registi della terra”. 

“Invece erano un branco di imbecilli a cui la stampa ufficiale dà voce. Il giornalismo è importante se mantiene il sacerdozio della sua funzione, cioè della responsabilità”, continua a spiegare Luca Barbareschi. “Non ci può essere un giudizio morale sull’artista, peggio ancora un avviso di garanzia al passato. L’arte non è criticabile moralmente. Alberto Barbera penso abbia preso seriamente questa cosa e ha avuto il coraggio di presentare in questa Mostra, ovvero un’esibizione di arte, registi provocatori”.

“Io vorrei fosse ancor più provocatoria in realtà, vorrei essere stupito, anche disturbato! Sono cresciuto vedendo film dove non si capiva nulla ma uscivi dalla sala e sapevi di esserti confrontato con qualcosa che dice effettivamente delle cose. Troppo spesso invece il cinema si omologa, così come si è omologata la critica”.

Il ruolo della critica cinematografica

Luca Barbareschi passa allora a parlare della critica cinematografica, affermando che: “un tempo la critica proponeva dei saggi così precisi e chiari da riuscire davvero ad influenzare il pubblico. Nel tempo lo spazio per questo tipo di scrittura si è però ridotto, si è corrotto, si è mercificato e si è autoreferenzializato”.

“Nel momento in cui tu ti metti davanti al film, tu crei uno stallo per cui non è più importante il quadro, è importante il fatto che io guardi il quadro. – continua a spiegare il regista – Diventa più importante chi guarda dell’artista. Questo nella critica cinematografica è grave. Tu puoi parlar male di un film, ma non puoi dire “è peggio di Vanzina”, perché allora sei un imbecille, perché primo devi rispettare Polanski e poi analizzare il film se sei capace di farlo. Liquidare un’opera con poco svilisce la critica, la delegittima e alla fine è un danno per tutti”.

Io credo che nessuno sappia le differenze tra le lenti che ho usato per The Penitent – A Rational Man. Se non lo sai vedi sfocata l’immagine sullo schermo e pensi sia un errore, mentre l’obiettivo era quello di tenere apposta una sfocatura per dare un senso di destabilizzazione. Questa è sapienza narrativa, io ho studiato per usare queste robe qua. Mi andrebbe bene che mi dicessero “Luca perché usi questo tipo di lenti che è come fare un errore sintattico?”, allora ti rispetto. Se no non ha valore il tuo giudizio, a quel punto tanto vale che ci leviamo la giacca e veniamo alle mani”, conclude Luca Barbareschi.

Tutta la luce che non vediamo: un video dal backstage della miniserie Netflix

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Netflix rilascia un video che svela i dietro le quinte e interviste esclusive di Tutta la luce che non vediamo, la rivoluzionaria miniserie tratta dall’omonimo romanzo best seller e vincitore del Premio Pulitzer di Anthony Doerr, diretta da Shawn Levy e scritta da Steven Knight. La miniserie in quattro episodi sarà disponibile solo su Netflix, in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo, dal 2 novembre 2023.

La protagonista Marie-Laure LeBlanc è interpretata dalle attrici esordienti Aria Mia Loberti e Nell Sutton (Marie-Laure da giovane). Al loro fianco Mark Ruffalo (Daniel LeBlanc), Hugh Laurie (zio Etienne), Louis Hofmann (Werner), Lars Eidinger (Von Rumpel) e Marion Bailey (Madame Manec).

La miniserie è prodotta da Shawn Levy, Dan Levine e Josh Barry per 21 Laps Entertainment (Stranger Things, The Adam Project, Tenebre e Ossa, Arrival, Free Guy). Anche Steven Knight è produttore esecutivo, mentre Joe Strechay (See, The OA) è produttore associato e consulente per la cecità e l’accessibilità.

Tutta la luce che non vediamo, la trama

Tratta dal romanzo vincitore del Premio Pulitzer, Tutta la luce che non vediamo è una miniserie che segue la storia di Marie-Laure, una ragazza francese cieca, e di suo padre, Daniel LeBlanc, che fuggono dalla Parigi occupata dai tedeschi con un diamante leggendario per impedire che finisca nelle mani dei nazisti. Braccati senza sosta da un crudele ufficiale della Gestapo che vuole impossessarsi della pietra preziosa per il suo interesse personale, Marie-Laure e Daniel trovano presto rifugio a St. Malo, dove vanno a vivere con uno zio solitario che diffonde le trasmissioni clandestine per la resistenza. In questa cittadina sul mare una volta idilliaca, il percorso di Marie-Laure incrocia inevitabilmente quello di un’improbabile anima gemella: Werner, un adolescente brillante arruolato dal regime di Hitler per rintracciare le trasmissioni illegali, che invece possiede un legame segreto con Marie-Laure e con la sua fiducia nell’umanità e la sua speranza. Intrecciando abilmente le vite di Marie-Laure e Werner nel corso di un decennio, Tutta la luce che non vediamo racconta la storia dell’incredibile potere dei legami tra le persone, un faro di luce che può guidarci anche nei tempi più bui.

Holly: recensione del film di Fien Troch #Venezia80

Holly: recensione del film di Fien Troch #Venezia80

Fien Troch, regista belga, presenta Holly in Concorso a Venezia 80. Un racconto di crescita che mescola mito e realtà dove tutto è nelle mani di una giovane ragazza di 15 anni, alla quale forse si chiede troppo. Dopo aver già trionfato nella sezione Orizzonti con il precedente Home, la regista belga prende le redini di questo progetto cercando un po’ più di libertà creativa, cosa che sicuramente si ritrova in questo ultimo lungometraggio. La capacità di osare per abbattere barriere e spingersi oltre. Durante il processo creativo del film, infatti, c’è stata la volontà di rendere Holly un film corale ma è stata abbandonata immediatamente mettendo al centro questa protagonista problematica e complessa anche nella sua messa in scena.

Una ragazza normalissima che improvvisamente viene accreditata di un talento speciale, in una comunità che è molto ricettiva nei confronti di qualcosa di “soprannaturale” a causa di un evento tragico che fa da premessa al film. Una favola moderna che per citare un film italiano sempre presenta a Venezia negli anni passati ricorda La santa piccola per impostazione e soggetti della trama.

Holly, la trama

La quindicenne Holly chiama la scuola per dire che resterà a casa per tutto il giorno. Poco dopo, nella scuola scoppia un incendio che uccide diversi studenti. La comunità, toccata dalla tragedia, si riunisce per cercare di guarire. Anna, un’insegnante, incuriosita da Holly e dalla sua strana premonizione, la invita a unirsi al gruppo di volontariato che gestisce. La presenza di Holly sembra portare tranquillità, calore e speranza a coloro che incontra. Ma presto le persone iniziano a cercare Holly e la sua energia catartica, chiedendo sempre di più alla giovane ragazza.

Fede e mito: due facce della stessa medaglia. Holly si muove su questo confine senza mani sfociare nell’uno o nell’altro. L’elemento paranormale che dà però il via alla premessa del film e tiene chiara la linea della trama fino alla fine mistica della pellicola. Cathalina Geeraerts interpreta Holly in modo enigmatico e complesso, l’attrice riesce a trasmettere allo spettatore il disagio di portare avanti questo “lavoro” che quasi immediatamente diventa ancora più tortuoso per la giovane adolescente. È come, infatti, se per tutto il film si portasse avanti anche la crescita di lei come giovane donna in un mondo in cui le persone sono sempre pronte ad approfittarsi di te.

Holly film

La strega

Nella premessa del film scopriamo come la famiglia di Holly, in particolare lei e il fratello, vengano bullizzati a scuola, etichettati come gli strambi del liceo. L’incidente a scuola non fa altro che aumentare queste voci solo che le persone della comunità di Holly hanno toccato con mano il suo potere. Il potere di riuscire a far sorridere le persone anche solo per un attimo e donare loro il buon umore. Ma Holly non fa solo questo agisce anche in modo diretto su persone colpite da malattie, la impongono anche contro la sua volontà come una specie di giovane profeta, una santa, quando il suo soprannome a scuola era “la strega”. Nonostante il film giochi molto sul tema dei miracoli, la fede non viene mai menzionata. Anche l’associazione inglese tra il nome Holly e Holy (santa) richiama questo dualismo che Fien Troch tende a portare in scena.

A questo racconto si contrappone una sorta di fanatismo religioso. Le persone si vogliono approfittare di Holly e del suo potere soprannaturale al punto che lei arriva a farsi pagare per le sue prestazioni. Un film che tende molto a rimarcare questo aspetto quando la macchina da presa si sofferma sui gioielli e sulle scarpe che Holly compra con questi soldi. Poi però, come prosciugata da questa vita, il suo umore cambia. Come se si aspettare ancora che qualcosa di terribile stia per accadere. Anche il finale lascia comunque parecchi punti in sospeso per un film dalla trama parecchio semplice e poco articolata.

Lubo, il “film nomade” di Giorgio Diritti presentato a Venezia 80

Alla Mostra del Cinema di Venezia 2023, oggi è il giorno di Lubo di Giorgio Diritti. Nel film, Franz Rogowski interpreta il nomade Lubo, un artista di strada che nel 1939 viene chiamato nell’esercito elvetico a difendere i confini nazionali dal rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo dopo scopre che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di portare via i loro tre figli piccoli, che, in quanto Jenisch, sono stati strappati alla famiglia, secondo il programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada (Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse). Lubo sa che non avrà più pace fino a quando non avrà ritrovato i suoi figli e ottenuto giustizia per la sua storia e per quella di tutti i diversi come lui.

La stesura di Lubo

Alla conferenza stampa tenutasi questo pomeriggio, il regista ha raccontato dell’incontro con questo libro e di come ha deciso di trarne una sceneggiatura: “Un po’ di anni fa un’amica mi ha parlato di questo romanzo di Mario cavatore che parlava di questa vicenda particolare e ho avuto occasione di incontrare Mario con cui ho anche condiviso tante serate in compagnia fin quando c’è stato il romanzo mi ha colpito perché raccontava di questa vicenda un po’ particolare avvenuta in Svizzera in un paese che nell’immaginario comune e simbolo di democrazia e grande civilita. Questa storia è specchio dell’incapacità dell’uomo di capire la diversità che a mio avviso è invece di grande valore“.

Rispetto al romanzo ho scelto un percorso differente sono stato molto di più sul protagonista perché mi sembrava interessante vivere con lui uomo che vive la sua normalità di artista di strada e a cui viene addosso qualcosa di molto drammatico che gli modificherà la vita. Importante sentire risvolti di questo in un uomo che vive l’angoscia della solitudine ma lotta comunque per avere un futuro. I protagonisti e le vicende parlano anche a noi in fondo i film sono dei viaggi un po’ onirici che spesso toccano anche la nostra coscienza ed è una delle grandi magie del cinema darci occasione di ripensare al valore della vita è degli altri“.

L’interpretazione di Rogowski

Franz Rogowski, internazionalmente noto come un interprete camaleontico, ha poi approfondito il suo lavoro sulle varie identità del personaggio e in che maniera questa storia lo ha toccato personalmente. “Questo carattere e una combinazione della storia nostra, della nostra identità europea. Collaborazione di costume, quello che è scritto, crei ogni giorno un piccolo pezzo di questa vita e diventa quasi sempre qualcosa che non ti aspettavi ma e il risultato della vita che hai avuto con questi artisti attorno. Ho studiato il testo, tre lingue che non sono le mie, un sacco da preparare in modo tecniche“.

Valentina Bellè è Margherita

Valentina Bellè ha espresso la sua gratitudine a Diritti per averla coinvolta in un progetto di tale rilevanza: “Ci siamo incontrati con Giorgio un anno fa e abbiamo fatto una lunghissima chiacchierata in cui ho avuto l’impressione che cercasse la persona prima del personaggio. Sul set nasce poi effettivamente quello che si vedrà e ti sorprende sempre non puoi mai prevedere cosa succcede. Tutti e due hanno subito il contesto della guerra in modi diversi. Margherita e una possibilità di amore sincero e tenerezza“.

L’internazionalità di Lubo

L’internazionalità è sicuramente la caratteristica produttiva che più identifica Lubo. I produttori del film hanno, a questo proposito, sottolineato come “il cinema italiano guarda oltre i suoi confini, è stato come scalare una montagna. Il film ha una grande complessità in più lingue, location storiche. Anche noi siamo diventati come il carro di LUBO, persi in un itinerario in cui era impossibile incastrare clima, riprese e necessità“. “Un film nomade pieno di eroi un sacco di lingue avventura straordinaria gestazione lunga e grazie alla tenacia di Giorgio come Rai cinema siamo molto orgogliosi e ringraziamo Giorgio“.

Infine, una riflessione sulle istituzioni e sulla violenza che ne deriva quando le leggi sono sbagliate: “Siamo molto vicini a una guerra che dura da tanto e di cui si raccontava qualche mese fa di bambini ucraini rapiti dai russi. Uno dei limiti dell’umanità malgrado gli sforzi e che gli errori ritornano. Ho avvertito la necessita di raccontare storia legata anche al cercare di dare un significato politico nel senso di sensibilizzare raccontando per che le persone abbiano un atteggiamento vigile nei confronti di tutti quegli elementi che portano a fare qualcosa contro la vita. In un ambiente di violenza subita spesso nasce una reazione il nostro protagonista ha un grande onore di farsi carico di una scelta responsabile per fare qualcosa per quei famigliari che sono ancora a lui vicini“.

Film di Settembre in sala: il ritorno di The Nun, Garrone e Una storia vera

Dopo un mese di agosto che, contrariamente alle tradizioni nostrane, ha visto le sale piene grazie a Oppenheimer, uscito il 23 agosto, e alla lunga coda di Barbie, il prossimo settembre in sala si preannuncia altrettanto interessante, con diversi titoli e novità che abiteranno gli schermi italiani. Tra questi, c’è uno dei film italiani più attesi della stagione, presentato alla 80esima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, un restauro importantissimo, e tanti titoli nuovi.

Vediamo insieme le novità in sala dal 7 settembre

Una storia vera

La Cineteca di Bologna riporta sul grande schermo la pellicola del 1999 Una storia vera, in originale The Straight Story, di David Lynch realizzato da StudioCanal. Dopo i restauri di Eraserhead, The Elephant Man, Mulholland Drive e Strade perdute è il momento per gli amanti del cinema d’autore di riscoprire la lunga traversata di Richard Farnsworth in sella al suo trattore. La trama è il viaggio di un uomo anziano che vuole raggiungere suo fratello per far pace con lui è l’unico modo per raggiungerlo è attraversare gli Stati Uniti guidando un piccolo automezzo agricolo. Questo si può ritenere un road movie rurale e il ribaltamento di quello che si mostrava in Cuore selvaggio uno dei cult della filmografia del creatore della serie tv I segreti di Twin Peaks.

The Nun II

Dal 6 settembre è già disponibile in sala il secondo capitolo della saga horror spin-off di The Conjuring. The Nun II è diretto da Michael Chaves e vede il ritorno della diabolica suora Valak sempre interpretata da Bonnie Aarons. Questo sequel è ambientato nella Francia del 1956, dove un prete viene trovato morto e suor Irene Palmer, ancora una volta l’attrice Taissa Farmiga, indaga su quanto accaduto. Durante le sue ricerche la sorella Irene capisce che dovrà affrontare ancora una volta la demoniaca suora.

Il più bel secolo della mia vita

Presentato in anteprima al 53° Giffoni Film Festival, dove è stato eletto miglior film nella sezione Generator +18, arriva in sala da questo primo giovedì del mese Il più bel secolo della mia vita. Questo film è tratto dall’omonima pièce teatrale di Alessandro Bardani e Luigi Di Capua, di cui lo stesso Bardani si è occupato della regia del suo primo film. Una dramedy che racconta di una legge in Italia che impedisce a un figlio non riconosciuto alla nascita di sapere l’identità dei propri genitori biologici prima del compimento del suo centesimo anno di età. I personaggi principali di questa folle storia di sono il centenario Gustavo e Giovanni che sono interpretati da Sergio Castellitto e il comico Valerio Lundini qui al suo debutto come protagonista di un lungometraggio.

Io capitano

Direttamente dal Festival del cinema di Venezia 80 e in concorso per il Leono d’oro, arriva in tutti i cinema italiani il nuovo film di Matteo Garrone. Io capitano è l’odissea contemporanea dei giovani Seydou e Moussa che lasciano il Senegal per raggiungere l’Europa. Ovviamente sappiamo tutti che il cammino di questi ragazzi non sarà facile, anzi rischieranno la vita tutti i giorni e forse non arriveranno mai alla loro tanto desiderata meta per realizzare i loro sogni. Il regista romano non si risparmia e mostra la verità del loro lungo viaggio dall’insidie del deserto, dagli orrori dei centri di detenzione in Libia e l’attraversata a bordo di fatiscenti barche nel Mare Mediterraneo.

Tell It Like a Woman

Tell It Like a Woman è una pellicola che si declina interamente in chiave femminile. I vari segmenti che la compongono sono diretti da registe donne provenienti da diverse parti del mondo, girati tra Italia, India, Giappone e l’America e spaziano attraverso diversi generi, dal dramma alla commedia, passando per il documentario e per il cinema d’animazione. Nonostante ognuna di loro sia diversa dalle altre, tutte hanno una cosa in comune: si ritrovano a dover affrontare una dura sfida nella loro esistenza. Nel cast corale troviamo volti noti come Margherita Buy, Cara Delevingne, Marcia Gay Harden, Eva Longoria, Jennifer Hudson e Pauletta Washington.

Uomini da marciapiede

Siamo in giugno e i tifosi più appassionati si preparano ai trenta giorni di partite degli Europei di calcio 2021. I protagonisti di Uomini da marciapiede sono un gruppo di squattrinati che per sbarcare il lunario si mettono a fare il mestiere più antico del mondo per mogli e fidanzate annoiate alla ricerca di qualche avventura facile. Il cast di questa commedia italiana è composto da Francesco Albanese, che si occupa anche della regia, dal comico Paolo Ruffini, Luigi Luciano, Clementino, Rocío Muñoz, Francesco Pannofino, Serena Grandi e Ilaria Spada. 

Austin Butler e Tom Hardy protagonisti del trailer di The Bikeriders

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Austin Butler e Tom Hardy interpreteranno dei motociclisti in uno dei loro prossimi film diretto da Jeff Nichols. 20th Century Studios ha diffuso un nuovo trailer per The Bikeriders, film è ambientato in una città immaginaria negli anni ’60 e atteso nelle sale USA per il 1° dicembre. Il trailer inizia con Johnny (Hardy) che ricorda a Benny (Butler) di aver fondato il club di motociclisti chiamato The Vandals, e di come sia diventato una famiglia. Poi mostra Kathy (Jodie Comer) che incontra Benny e si innamora di lui. I due si innamorano e si sposano rapidamente, con Kathy che spera di riuscire a convertirlo e ad abbandonare i suoi modi violenti. Tuttavia, il trailer mostra Benny che litiga in un bar, il che porta Johnny e The Vandals a allontanarlo.

Durante tutto il trailer, la banda di motociclisti continua a dedicarsi ad attività sempre più pericolose e illegali. Il trailer mostra anche Johnny che dice a Kathy che non riuscirà mai a convincere Benny a smettere di essere un motociclista.

The Bikeriders è stato diretto da Jeff Nichols. Sebbene il film racconti una storia di fantasia, The Bikeriders è stato ispirato dall’omonimo libro fotografico del 1968 di Danny Lyon. All’inizio di questa settimana, il film ha debuttato al Telluride Film Festival ottenendo recensioni entusiastiche. A ottobre sarà proiettato al London Film Festival.

Nel cast, oltre a Hardy, Comer e Butler, c’è anche Michael Shannon che interpreta un membro dei Vandals. Shannon ha lavorato con Nichols in numerosi film, tra cui Midnight Sun e Take Shelter del 2011. Nel film saranno presenti anche Mike Faist, Boyd Holbrook e Norman Reedus.

Venice kids anteprima: nasce una nuova casa per bambine e bambini

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Il 6 settembre è stata una data importante per le Giornate degli Autori: in collaborazione con Isola Edipo e 100autori si è presentato il progetto Venice Kids, uno spazio interamente pensato per i più giovani alla Mostra del Cinema. Nel 2024 si aprirà infatti un luogo-laboratorio dedicato alle bambine e ai bambini alla  scoperta del cinema, della creatività, del gioco e della fantasia. Non sarà un semplice Kinderheim a disposizione di genitori e figli, degli ospiti della Mostra e degli abitanti del Lido, ma una vera “casa” voluta dalla sezione indipendente degli autori (promossa da ANAC e 100autori) per gli spettatori di domani.

I dettagli del programma Venice Kids, che partirà in coincidenza con la XXI edizione delle Giornate degli Autori, sono stati svelati alle 11.30 di mercoledì 6 settembre in Sala Laguna (Via Pietro Buratti 1) con la partecipazione di testimonial d’eccezione e una folta platea di bambine e bambini.

A guidare il giovanissimo pubblico alla scoperta della fantasia creativa – che è poi il tratto distintivo del progetto – è arrivato a Venezia un protagonista d’eccezione: il regista d’animazione Enzo d’Alò, che alla Mostra è legato da uno  storico (e ricambiato) affetto, fin dal film d’esordio (La freccia azzurra,  1996) e poi con La Gabbianella e il Gatto sino al coloratissimo Pinocchio, che nel 2012 apriva le Giornate degli Autori.

Alla vigilia del suo nuovo lavoro, Mary e lo spirito di mezzanotte, liberamente tratto dal romanzo di Roddy Doyle, in uscita solo al cinema con BIM il 9 novembre prossimo, Enzo d’Alò così racconta la sua adesione al progetto Venice Kids: “Prima del mio esordio nel lungometraggio avevo lavorato alla creazione di cortometraggi d’animazione per più di dieci anni con bambini e adolescenti, costruendo un percorso narrativo che mi ha poi accompagnato in tutta la carriera. Vorrei raccontare questo fil rouge che caratterizza la dimensione creativa, condividendo con i giovani spettatori di Venezia alcuni esempi tratti dal dietro le quinte del mio ultimo film. Mi piacerebbe illustrare il percorso creativo di un film d’animazione: dal soggetto alla sceneggiatura, dalla sceneggiatura alla ricerca grafica (mostrando lo studio dei personaggi principali), dalla ricerca degli ambienti e dei suoni fino alla costruzione dell’universo grafico del mio cinema”.

Per l’occasione le Giornate degli Autori, Isola Edipo e 100autori desiderano ringraziare i produttori e il distributore BIM per la presentazione in anteprima di una sequenza del film e del trailer di Mary e lo spirito di mezzanotte; siamo tutti riconoscenti ai testimonial della giornata e specialmente a Enzo d’Alò per aver condiviso questo sogno con noi alla vigilia del suo compleanno, alla mezzanotte del 6 settembre.

Il vecchio e il muro, presentato a Venezia 80 il cortometraggio di Antonio Palumbo

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In occasione della consegna del Sorriso Diverso Venezia Award, che si è tenuta il 6 settembre 2023, presso l’Hotel Ecxelsior di Venezia Lido, durante la 80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è stato presentato, in apertura, il cortometraggio Il vecchio e il muro, diretto dal regista e attore Antonio Palumbo.

Il cortometraggio è stato scelto in quanto vincitore assoluto del Festival Tulipani di Seta Nera 2023, promosso da Rai per il sociale per una proiezione in apertura della cerimonia di consegna del premio collaterale.

La potenza di questo cortometraggio è evidente – afferma Claudia Pastorelli, Vicario della Direzione regionale Inail Puglia, che ha sostenuto la realizzazione del film – parlano le immagini, la musica e i silenzi: narrano di malattia, una delle patologie professionali in crescita negli ultimi anni, ma parlano anche e soprattutto di prevenzione. Dalla nostra parte la certezza di aver promosso un progetto ben costruito, ben realizzato e assolutamente innovativo: un modo di parlare di sicurezza sul lavoro instaurando un dialogo diretto con lo spettatore, con i lavoratori. Una strada di successo che continueremo a percorrere.”

Madrina della Cerimonia l’attrice Giovanna Sannino di Mare Fuori. L’evento è organizzato da Diego Righini, direttore del Festival Tulipani di Seta Nera.

Gen V: il primo trailer della serie spin-off di The Boys

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Gen V: il primo trailer della serie spin-off di The Boys

Prime Video ha svelato il trailer ufficiale dell’attesissima serie Original Gen V, dal mondo di The Boys. La serie debutterà in esclusiva su Prime Video in oltre 240 Paesi e territori nel mondo venerdì 29 settembre con i primi tre episodi, seguiti da nuovi ogni settimana fino all’epico finale di stagione di venerdì 3 novembre.

Ambientato nel mondo diabolico di The Boys, Gen V espande l’universo della Godolkin University, il prestigioso college per soli supereroi dove gli studenti si esercitano per diventare una nuova generazione di eroi, preferibilmente con sponsorizzazioni lucrative. Non tutti, però, scelgono la strada della corruzione. Oltre al classico caos universitario, oltre alla ricerca della propria identità e alle feste, questi ragazzi si troveranno ad affrontare situazioni letteralmente esplosive. Mentre si contendono popolarità e buoni voti, è chiaro che la posta in gioco è molto più alta quando sono coinvolti dei super poteri. Quando il gruppo di giovani dai poteri soprannaturali scopre che qualcosa di più grande e sinistro sta succedendo a scuola, saranno messi alla prova: sceglieranno di diventare gli eroi o i cattivi delle loro storie?

Il cast della serie include Jaz Sinclair, Chance Perdomo, Lizze Broadway, Shelley Conn, Maddie Phillips, London Thor, Derek Luh, Asa Germann, Patrick Schwarzenegger, Sean Patrick Thomas e Marco Pigossi. In Gen V vedremo anche Clancy Brown e Jason Ritter nel ruolo di guest star, oltre alla partecipazione straordinaria di Jessie T. Usher, Colby Minifie, Claudia Doumit e P.J. Byrne negli stessi ruoli che interpretano in The Boys.

Michele Fazekas e Tara Butters sono showrunner ed executive producer della serie. Eric Kripke, Seth Rogen, Evan Goldberg, James Weaver, Neal H. Moritz, Ori Marmur, Pavun Shetty, Ken Levin, Jason Netter, Garth Ennis, Darick Robertson, Craig Rosenberg, Nelson Cragg, Zak Schwartz, Erica Rosbe e Michaela Starr sono executive producer anche dello spinoff della serie. Nel ruolo di co-executive producer troviamo Brant Englestein, Sarah Carbiener, Lisa Kussner, Gabriel Garcia, Aisha Porter-Christie, Judalina Neira e Loreli Alanís. La serie è prodotta da Sony Pictures Television e Amazon Studios, in collaborazione con Kripke Enterprises, Point Grey Pictures e Original Film.

Virgin River 5, la recensione del primo volume su Netflix

Virgin River 5, la recensione del primo volume su Netflix

Bentornati a Virgin River, la cittadina romantica e fittizia situata nel nord della California nata dalla penna di Robyn Carr e trasposta sul piccolo schermo da Sue Tenney, la quale per la quinta stagione cede le redini a Patrick Sean Smith, nuovo showrunner dello show. Sembra che Netflix abbia deciso di far diventare la divisione in parti delle sue serie un “marchio di fabbrica”, perché anche Virgin River 5 si presenta in due volumi. Quello di settembre, con i dieci e principali episodi, e che apre lentamente le porte all’autunno, e quello di fine novembre, che inizierà il periodo natalizio con gli ultimi due episodi in festa. A differenza di The Witcher 3, questa potrebbe rivelarsi una scelta interessante, poiché avvolge uno specifico periodo, il Natale, e perciò ha il potenziale per rivelarsi una bella chicca, un regalo che la produzione fa ai suoi fidati sostenitori in vista delle vacanze. Per la quinta season, ritroviamo il cast principale: Alexandra Breckenridge, Martin Henderson, Colin Lawrence, Annette O’Toole, Tim Matheson, Benjamin Hollingsworth, più quattro new entry, Kandyse McClure, Susan Hogan, Elise Gatien e Paolo Maiolo.

Virgin River 5, la trama

Iniziamo da dove eravamo rimasti. La quarta stagione di Virgin River si concludeva con la rivelazione di Charmaine (Lauren Hammersley) a Mel (Alexandra Breckenridge) e Jack (Martin Henderson,) che i gemelli non sono in realtà figli di quest’ultimo. Come in ogni season, il cliffhanger finale non funge da attacco al primo episodio della stagione successiva, ma solo da ponte per una storia che riprenderà dopo di esso. Ed è così che inizia Virgin River 5: Jack e Mel devono fare i conti con le menzogne di Charmaine e sul tempo che hanno sprecato per starle accanto, decidendo di godersi a pieno la loro love story una volta chiusi i ponti con la donna. Intanto, Doc (Tim Matheson) è alle prese con una malattia degenerativa che ha colpito i suoi occhi e minaccia il suo futuro allo studio medico. Hope (Annette O’Toole) deve invece confrontarsi con una cittadina che inizia a mettere in dubbio le sue capacità come sindaco e avrà bisogno di tutto il sostegno delle sue amiche per non crollare e lasciarsi abbattere. Sullo sfondo dei problemi quotidiani di Virgin River, uno spaccio di fentanil, a causa del quale Brady (Benjamin Hollingsworth) e Mike (Marco Grazzini) si metteranno in serio pericolo…

Virgin River Alexandra Breckenridge

Bentornati a Virgin River!

Pur essendo cambiato lo showrunner, Virgin River 5 non perde il suo animo romance, e ci apre di nuovo le porte della cittadina bucolica circondata da foreste, fiumi e laghi da sogno. Sono proprio i luoghi che avvolgono i personaggi, vivendo i loro stessi drammi, ad essere una delle carte vincenti dello show, da quando è nato nel 2019. Posti in cui è immediato perdersi fra le bellezze paesaggistiche, e che permettono di staccare la spina dalla realtà, per tuffarsi in un momento di leggerezza e spensieratezza. Gli stessi che, grazie ai tournage panoramici, riescono a condurci subito dentro il racconto, negli incastri della favola. Perché in fondo, Virgin River, è sempre stato questo: una fiaba impiantata nel mondo reale, che non ha troppe pretese se non quelle di regalarci qualche attimo di pausa e relax. Certo, i plot twist imprevedibili non mancano. Così come i cliffhanger, i quali caratterizzano l’intera serie e dei quali essa vive, e che tracciano molto spesso i sentieri della soap opera senza però mai davvero trasformarsi nel genere.

Ma comunque, questo, non è mai stato un punto a sfavore, e non lo è neppure per Virgin River 5, che sembra, in questa prima e principale parte, sbottonarsi ancor di più sugli eventi narrativi, alzando di conseguenza il suo livello drammaturgico. Gli episodi centrali sono infatti quelli più significativi e contengono la sfida più importante con cui i protagonisti si interfacciano; una scelta da una parte audace, dall’altra segno di un leggero cambio di rotta per quanto concerne alcune soluzioni della storyline principale, la quale svela l’intento di voler confrontarsi con situazioni che contribuiscono, in modo sostanzioso, al glow up di tutti i protagonisti. E dello show stesso. Unica sbavatura, che continua ad essere uno dei tasselli più difettosi, sono alcune sub-trame, come quella di Preacher o di Jack (per quest’ultimo inerente solo ai suoi traumi passati), che – pur intrecciate al contesto – risultano essere linee narrative o ripetitive o insapori. Un appesantimento della storia che, qualora venisse eliminato, darebbe a Virgin River solo giovamento.

Un tocco di magia

Cio che però rende davvero speciale la serie, e quindi anche Virgin River 5, è sia il modo in cui essa affronta ogni cruccio o problema dei suoi personaggi, molto attento e premuroso, sia la sua capacità di restituirci una dimensione idilliaca in grado di cullarci. Ma andiamo con ordine. Intanto, anche questa season ci pone dinanzi ad alcuni main character – quali Mel, Jack, Hope e Doc – alle prese con situazioni sempre più intricate della loro vita. Il primo a “risolversi” (per fortuna) è Jack, cedendo più spazio ad una Mel che, pur vivendo l’ennesimo shock, apprezziamo vederla risorgere dalle sue ceneri. Una crescita consapevole che non arriva dal nulla, ma è fonte del lavoro svolto sul personaggio sin dalla prima stagione, e del quale non è stato tralasciato alcun dettaglio o punto sospeso. Capire, affrontare, soffermarsi ad analizzare: sono questi i tre atti con cui lo show si è sempre approcciato ai suoi personaggi, esplorandone la loro psicologia e permettendo così uno sviluppo credibile di ognuno di loro. Pur essendo a volte circondati da avvenimenti un po’ troppo irrealistici.

Virgin River 5, nonostante si ammanti di più drama, non va però a snaturarsi: entra sempre in campo la speranza, il senso di comunità, il motto del “l’unione fa la forza”, mai stato più valido come in questa season, e che da sempre è motore della storia. Non mancano poi le solite atmosfere e fotografie calde, il melieu accogliente, lo spirito combattivo e fiducioso di ogni singolo protagonista, tutti elementi che rendono Virgin River una realtà confortevole, in cui tutto sembra possibile da superare, pur impiantando al suo interno tematiche intense, come l’aborto di Mel, lo stupro di Brie, la perdita di Jack e la malattia di Doc. Ma è forse questa la sua dote: riuscire ad essere un posto sicuro, piacevole, dal tempo sospeso, senza precludersi la possibilità di essere profondo. Ed è così che va guardata anche questa prima parte di Virgin River 5: non avendo pretese, mossi solo dal desiderio di lasciarsi fare una carezza. A volte, la magia la si può trovare anche in show poco elaborati, ma dal grande cuore e dalle buone intenzioni. Per cui, alla fine, gli si può perdonare anche qualche ridondanza.

Housekeeping for Beginners, recensione del film di Goran Stolevski #Venezia80

Il giovanissimo e talentuoso regista Goran Stolevski ha presentato in anteprima a Venezia 80 il suo Housekeeping for Beginners, terzo lungometraggio a cui si è dedicato dopo You Won’t Be Alone (2022) e Of an Age (2023), passati entrambi per il Sundance Film Festival. Con questa nuova prova registica, Stolevski unisce uno stile da cinema verità, performance attoriali credibilissime e un controllo dell’immagine notevolissimo per raccontare una storia quanto mai attuale. Nel cast, Anamaria Marinca, Alina Serban, Samson Selim, Vladimir Tintor, Dzada Selim, Mia Mustafa, Sara Klimoska, Rozafa Celaj, Ajshe Useini.

Housekeeping for Beginners: madre in divenire

Una storia che esplora le verità universali della famiglia, sia quella in cui nasciamo che quella che ci scegliamo da soli. Dita non ha mai voluto essere madre, ma le circostanze la costringono a crescere le due figlie della sua ragazza, la piccola combina guai Mia e l’adolescente ribelle Vanesa. Una battaglia di volontà si scatena quando le tre continuano a scontrarsi e diventano una famiglia improbabile che deve lottare per rimanere unita.

Nonostante le molte crisi che affrontano – morti, scomparse, abusi – Housekeeping for Beginners non è un film guidato dalla trama, quanto più incentrato su questo complesso intreccio di personaggi interpretati in maniera incredibilmente verosimili. La truppa è guidata da Marinca, che offre una performance estremamente convincente nei panni della forte Dita, ma tutti gli attori sono all’altezza della situazione, persino la giovane Mia.

Cinema veritè per “non sentirsi soli”

La scelta di uno stile veritiero, che include dialoghi sovrapposti, camera a mano, illuminazione naturalistica, inquadrature strette ma volutamente caotiche e profondità ridotta, ha permesso a Stolevski di creare un’atmosfera di grande impatto che eleva Housekeeping for Beginners. In maniera molto simile a quanto già sperimentato nel precedente film Of an age, è la musica che colma i vuoti: quando i personaggi non si confrontano con qualche canzone di sottofondo, la colonna sonora composta da Alen e Nenad Sinkauz rievoca il conflitto razziale che emerge costantemente ai margini della storia. Violini e fisarmoniche suonano ritmi avvincenti, creando un mix di allegria e malinconia che sottolinea le innumerevoli discussioni all’interno della famiglia.

In You Won’t Be Alone lo spirito stregonesco che è la creatura protagonista del film non viene mai lasciato solo: diventa un mutaforma, che si deve scontrare con le difficoltà di legami sociali primitivi mentre tenta di elaborare una personale concezione dell’umanità. Mutare forma, essere il corpo degli altri, diventa il veicolo principale per la conoscenza del se. Stolevski porta avanti un simile discorso anche in Housekeeping for Beginners, presentandoci dei personaggi che devono tenere in considerazione, e anche scontrarsi, con altri punti di vista e, in questa famiglia così fluida e composita, scoprono ancora meglio le loro individualità. Basando la narrazione su questo dialogo così umano, Stolevski si conferma una delle giovani voci registiche più interessanti e promettenti della contemporaneità.

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