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Mad Bills to Pay: recensione dell’esordio di Joel Alfonso Vargas – #RoFF20

“Don’t ever stop me if I’m fucking up. If I am a dickhead let me know please.”
(“Non fermarmi mai se sto sbagliando. Se mi comporto da stronzo, per favore, dimmelo.”)

Con questa scritta, diretta e vulnerabile, si apre Mad Bills to Pay (or Destiny, dile que no soy malo), l’esordio alla regia di Joel Alfonso Vargas, che firma una delle opere più autentiche e vibranti presentate nella sezione Progressive Cinema della Festa del Cinema di Roma. Ambientato nel Bronx, il film racconta la crescita improvvisa e dolorosa di un ragazzo che deve imparare a diventare adulto e imparare dai propri errori prima del tempo.

Mad Bills to Pay: una storia di crescita tra spiaggia e cemento

Rico (Juan Collardo), diciannovenne di origini ispaniche, vive con la madre e la sorella Sally (Nathaly Navarro). Trascorre le giornate vendendo “Nutties” – drink artigianali e illegali, ottenuti mischiando alcol e succhi – sulla spiaggia libera di Orchard Beach. Tutto cambia quando scopre che Destiny (Destiny Checo), una ragazza di sedici anni con cui ha avuto una relazione occasionale, è incinta.

Juan Collado e Destiny Checo in Mad Bills To Pay 2025
Cortesia della Festa del Cinema di Roma

Rico accoglie la notizia con una sorprendente serenità: decide di prendersi cura di Destiny, la porta a vivere in casa nonostante le resistenze della madre e della sorella, e si convince che il bambino sarà un maschio. “Voglio essere il padre che non ho avuto”, afferma con disarmante semplicità. È questo il cuore del film: il desiderio di riscatto di un giovane che tenta di costruire, in mezzo al caos, una nuova idea di famiglia.

Crescere prima del tempo

Vargas racconta una storia di formazione maschile, coming of age, con una sensibilità inconsueta, lontana da qualsiasi retorica machista o da cliché del cinema urbano americano. Il Bronx non è rappresentato come un inferno sociale, ma come un ecosistema complesso e pieno di contraddizioni: le case popolari, i murales, la musica reggaeton che si mescola alle urla dei bambini e al rumore dei treni sopraelevati.

Rico si muove in questo ambiente con un misto di ingenuità e determinazione, oscillando tra i sogni e la necessità. Vuole smettere di bere, trovare un lavoro, e diventare un punto fermo per Destiny, che nel frattempo sogna di studiare in futuro economia al college. Il loro conflitto – lui che immagina un futuro familiare ma ha difficoltà a mettersi sulla buona strada, lei che teme di rinunciare al proprio – è il motore emotivo del film. Il sottotitolo, Destiny, dile que no soy malo (“Destiny, digli che non sono cattivo”), diventa una supplica universale: il bisogno di essere visti come migliori di ciò che si è stati.

Lo sguardo di Vargas in Mad Bills to Pay: tra realismo e poesia urbana

La regia di Alfonso Vargas colpisce per il suo equilibrio tra spontaneità e consapevolezza visiva. Nativo del Bronx, la sua visione scenica permette allo spettatore di passeggiare nelle vie che hanno segnato la sua giovinezza. L’inquadratura è spesso ampia, quasi grandangolare, includendo nei margini lo spazio urbano che ingloba i personaggi. Rico e Destiny appaiono piccoli tra i palazzi e le spiagge, frammenti di un mondo che li osserva ma non li ascolta. Questa scelta visiva traduce perfettamente il tema del film: la difficoltà di affermare la propria voce in un contesto che tende a soffocarla.

Nathaly Navarro Mad Bills To Pay 2025
Cortesia della Festa del Cinema di Roma

Vargas adotta una fotografia calda e naturale, prediligendo la luce del tardo pomeriggio, come se la storia si svolgesse costantemente in una zona di transizione – tra infanzia e maturità, tra giorno e notte, tra illusione e responsabilità. Il montaggio fluido accompagna il ritmo della crescita di Rico, alternando scene di quotidianità a momenti di pura introspezione.

Un debutto che promette

Mad Bills to Pay (or Destiny, dile que no soy malo) è un racconto di formazione intimo e universale, che cattura con sincerità la fragilità dei primi passi verso l’età adulta. Alfonso Vargas firma un esordio che sorprende per maturità narrativa e per la capacità di fondere realismo e tenerezza.

Rico non è un eroe, ma un ragazzo che tenta di non “sbagliare più”, come nella frase iniziale del film: una confessione, ma anche una promessa.

Fast and Furious 11: Vin Diesel fornisce un promettente aggiornamento

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Dopo mesi di preoccupazioni che l’ultimo capitolo della saga potesse essere cancellato del tutto, Fast and Furious 11 sembra finalmente essere sulla buona strada. La serie principale di film dovrebbe concludersi dopo l’undicesimo capitolo, che riprenderà dal finale sospeso di Fast X, in cui Dom e Little B sono rimasti intrappolati in una delle trappole di Dante, mentre Gisele è tornata dalla morte per salvare Letty e Cipher, e Hobbs, interpretato da Dwayne Johnson, è diventato il nuovo obiettivo di Dante.

Nonostante il piano in due parti, però, Fast and Furious 11 ha avuto numerosi problemi di sviluppo negli ultimi due anni, inizialmente sospeso a causa degli scioperi della Writers Guild of America e della SAG-AFTRA, prima di subire un altro ritardo a causa della riscrittura della sceneggiatura. Più recentemente, sono circolate voci secondo cui l’ultimo capitolo previsto sarebbe stato completamente cancellato, poiché il modesto successo al botteghino di Fast X ha spinto la Universal a cercare un modo per produrre il prossimo film in modo più economico dopo il budget di produzione di 378,8 milioni di dollari del decimo film.

Ora, in un nuovo post di Vin Diesel sulla sua pagina Instagram, lo si vede visitare la sede della Universal Pictures con il Chief Marketing Officer dello studio, Michael Moses. Il produttore/protagonista indossa una maglietta con la scritta “Fast X Part 2 Los Angeles Production 2025” e lo si vede non solo passeggiare per il backlot e uno dei suoi teatri con Moses, ma anche il dirigente della Universal affermare che stavano “pianificando tutto” e “risolvendo la questione”, indicando che i ritardi nella produzione del film sono stati appianati.

Sebbene le dichiarazioni di Moses siano sicuramente motivo di grande sollievo per i fan della serie, non significano necessariamente che Fast and Furious 11 abbia ottenuto il via libera ufficiale dallo studio. Solo poche settimane prima della stesura di questo articolo era stata diffusa la notizia che la Universal voleva ridurre il budget necessario per la sceneggiatura definitiva del film di ben 50 milioni di dollari, rendendo necessario tagliare alcuni personaggi e mantenere la produzione nazionale anziché internazionale.

La posizione di rilievo di Moses all’interno dello studio crea una sorta di incoraggiamento sul fatto che Diesel e la Universal abbiano finalmente trovato un accordo per Fast and Furious 11. Dato che lo studio era già nelle prime fasi di sviluppo di altri titoli spin-off, tra cui Hobbs & Reyes, il progetto con protagoniste femminili e una storia autonoma ancora sconosciuta, è possibile che alcune delle idee narrative per l’undicesimo film siano state trasferite agli altri film. Con l’obiettivo precedente di un’uscita nell’aprile 2027, però, l’ultimo Fast & Furious dovrà correre presto in produzione o rischiare un altro ritardo.

È Colpa Nostra? spiegazione del finale: Chi è Simon?

Il finale di È Colpa Nostra?, o Culpa Nuestra di Prime Video, è così affrettato che sembra che i realizzatori abbiano voluto racchiudere il resto della vita di Noah e Nick in questo unico film per soddisfare i fan. Come avevamo previsto, Nick si ritrova impegnato a Londra mentre Noah finisce gli studi e volta pagina dopo un amore che non perdona. Lei rimpiangerà per sempre quella notte con Michael, ma Nick non le permetterà mai di dimenticarlo. Nonostante abbia lasciato un messaggio in cui dice che sarà sempre la sua luce nell’oscurità, Nick e Noah sono ben lontani dall’essere insieme all’inizio di È Colpa Nostra?.

Nick ora sta con Sofia, che ha intenzione di trasferirsi a Londra, mentre Noah incontra un bel ragazzo sul volo per Ibiza (dove Lion e Jenna si sposano) quattro anni dopo il finale di È Colpa Nostra?. Noah non è ansiosa di vedere Nick, ma ovviamente lui è il migliore amico dello sposo, quindi non c’è modo di evitarsi. Questo porterà a un amore ritrovato o finiranno per ferirsi di nuovo a vicenda? Scopriamolo nel finale di È Colpa Nostra?.

Cosa succede al matrimonio?

Il film inizia con la riunione di Nick e Noah al matrimonio di Jenna e Lion. Entrambi sono infelici, ma i loro migliori amici sono desiderosi di tenerli vicini perché sanno cosa è meglio per loro. Noah non vuole fare da damigella d’onore, ma non può nemmeno tirarsi indietro, quindi, nonostante lo stress e il desiderio di stare lontani, finiscono per andare a letto insieme la notte del matrimonio. Quando Nick si sveglia, però, è una persona completamente diversa. È notte fonda e dice a Noah che in realtà non è interessato a tornare insieme. Non l’ha perdonata per quello che ha fatto con Michael (anche se è stato lui a baciare Sofia per primo). Così Noah si dedica a lavori occasionali in attesa di trovare quello giusto, mentre Nick si impegna a fare lo stronzo nell’ufficio di Londra (scherzo).

Chi è Simon?

E' Colpa Nostra
È Colpa Nostra? – Cortesia Prime Video

L’azienda non sta andando molto bene e qualunque cosa Nick stia cercando di fare non funziona. La gente protesta contro l’azienda e qualcuno cerca persino di uccidere William, il padre di Nick (e il patrigno di Noah, oops). Ma Nick è determinato a fare le cose in modo diverso. D’altra parte, Noah trova finalmente un lavoro interessante in un’azienda tecnologica guidata nientemeno che dal pilota Simon. Simon non ha esitato a chiedere a Noah di uscire con lui a Ibiza quando il loro volo è atterrato. Ma lei allora ha detto di no. Tuttavia, ora che lavorano insieme e lei deve chiaramente superare la storia con Nick, decide di dare una possibilità a questo ragazzo, ma con calma e senza fretta. Allo stesso tempo, per salvare la faccia dell’azienda, Nick dice a Sofia che dovrebbero annunciare di avere una relazione “seria”. Ma poi Nick finisce per rilevare l’azienda di Simon (un’altra strana iniziativa per aiutare a ripulire la loro immagine?) e quando vede Noah lì, perde un po’ la testa. Non solo è apertamente detestabile nei confronti di Simon, ma proibisce persino le relazioni sentimentali in ufficio, sapendo che Simon e Noah stanno insieme. Ma questo non fa alcuna differenza perché Simon afferma di essere così innamorato di Noah che non gli importa della sua azienda (aspetta, cosa?).

Cosa riavvicina Noah e Nick?

È Colpa Nostra? – Cortesia Prime Video

Ci sono così tante cose casuali che accadono in questo film che mi sembra di parlare di cose diverse. Ora, Maggie, la sorella di Nick, dovrebbe andare a trovarlo perché ha bisogno di passare più tempo con suo padre, ma sia lei che Will trovano molto difficile farlo. Invece, lei passa la maggior parte del tempo con Noah, che vomita la torta all’agave che lei mangia. Comunque, Noah è il migliore con Maggie, e l’ostinazione di Nick non gli permette di perdonare sua madre o suo padre per il loro passato, il che significa che non ha modo di aiutare nemmeno Maggie. Inoltre, veniamo improvvisamente colpiti dalla notizia che la madre di Nick sta morendo di leucemia, quindi la custodia di Maggie ora spetta a Will (eh?). Nick dice a Noah che non sa come fare senza di lei, che è un’abitudine a cui continua a tornare. Finiscono per andare a letto insieme (di nuovo) perché lui non vuole stare da solo. Ma subito dopo Noah se ne va. Lei però scopre con stupore di essere incinta. A quanto pare, è di Nick perché potrebbe essere successo al matrimonio (non capisco la cronologia di questo film).

A una festa con Sofia e Simon, Nick bacia di nuovo Noah, dicendole che non può lasciarla andare. Lei lo ferma e ha bisogno di riposare, quindi lui la porta a casa, lasciando Sofia infastidita e Simon troppo ubriaco per preoccuparsene. Ora Noah è visibilmente incinta, ma in qualche modo nessuno se ne accorge. Comunque, lei dice a Nick che lui sarà felice sposando Sofia, e che lei sarà un’ottima madre per i suoi figli. Lui le dice che lei sarebbe meglio, ma lei risponde che come può essere la madre dei suoi figli se lui non riesce a perdonarla (ragazza? Sei già incinta.

Alla fine, è al funerale della madre di Nick che Noah insegna a Maggie che dovrà accettare Will come suo padre perché lei ha fatto lo stesso e gli dà persino un abbraccio davanti a tutti. Maggie la segue. Parla anche di come, quando succedono cose del genere, di solito non è “colpa” di una sola persona. D’altra parte, c’è ancora un altro grattacapo da affrontare. Michael viene licenziato dall’ospedale dove lavora perché Nick ha detto loro che è andato a letto con una studentessa mentre era consulente. Ma quando Noah incontra Michael, lui le dice di stare lontana da lui perché gli ha rovinato la vita. Lei va da Sofia per chiedere aiuto, e Sofia muove alcune leve, ma alla fine Michael vuole ancora vendicarsi e sa che Noah è incinta perché ha messo le mani sulla sua cartella clinica.

È Sofia a dire a Nick che lui non sa come lasciar andare il risentimento. Gli ricorda che tutti quelli che lo circondano possono perdonarlo, tranne lui. Gli fa anche capire che Noah è l’unica persona che è davvero lì per lui, e che lui è riuscito ad allontanare anche lei. Sofia rimane sola, ma c’è ancora speranza per lei, e non c’è rancore tra lei e Nick.

Chi è il grande cattivo?

È Colpa Nostra? – Cortesia Prime Video

Il grande colpo di scena in È Colpa Nostra? non ha nulla a che vedere con i protagonisti. Si tratta invece del fatto che Michael è ancora in contatto con Briar, che ha bisogno dell’aiuto di un medico, ma invece viene curata da uno psicopatico squilibrato. Ora Michael sta già lavorando su Briar, ma il suo piano entra in azione in ritardo perché Nick, che ritrova Noah, il quale ha deciso di andarsene per sempre, viene colpito dallo stesso uomo che ha cercato di uccidere suo padre all’inizio del film. Noah e Nick stavano finalmente per tornare insieme, e lui pensava che il bambino fosse di Simon, ma gli andava comunque bene (wow, quell’uomo è cresciuto dopo quella conversazione). Ma ovviamente era felicissimo di sapere che era suo figlio. Nick si risveglia dal coma dopo la nascita del loro bambino, e sembra che Nick e Noah stiano finalmente vivendo il loro lieto fine, ma non è così. Briar si presenta, prende il bambino e sostiene che dovrebbe tenerlo perché ha perso un bambino a causa di Nick: occhio per occhio, bambino per bambino, capite? Ne segue una lotta, e Noah combatte Michael come una vera dura e alla fine prende a pugni Briar in faccia dopo averle strappato il bambino. Mamma Noah è piuttosto tosta, eh? Farebbe qualsiasi cosa per i suoi due ragazzi.

Nel finale di È Colpa Nostra?, Nick e Noah si sposano e partono verso il paradiso nella loro auto nuova di zecca, per la quale Noah dovrà pagare il mutuo per il resto della sua vita (voglio dire, è sposata con Nick, quindi no). Il film ha un lieto fine e i fratellastri finiscono per diventare marito e moglie, anche con l’approvazione dei loro genitori (oops).

James Gunn non intende introdurre a breve Darkseid nel DCU

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L’universo DC di James Gunn è appena agli inizi, ma il pubblico non dovrebbe aspettarsi di vedere un certo famoso cattivo nel prossimo futuro. Durante una nuova intervista con New Rockstars, a Gunn è infatti stato chiesto se Darkseid fosse stato preso in considerazione come il grande cattivo della serie DCU. Tuttavia, il co-CEO della DC Studios ha commentato: “Usare Darkseid come grande cattivo ora non è necessariamente la cosa giusta da fare… perché Zack l’ha fatto in modo così fantastico a modo suo e a causa di Thanos e della Marvel”.

Come noto, Darkseid compare – seppur brevemente – in Zack Snyder’s Justice League del 2021 e dunque per Gunn sarebbe troppo presto per prendere in considerazione di introdurlo nel DCU. Allo stesso tempo, avvalersi di un personaggio di quel tipo rischierebbe di dare una sensazione di già visto, generando ovvi paragoni con il Thanos del MCU. È dunque probabile che, quando un primo grande villain del DCU si paleserà, questo rappresenterà una decisa novità rispetto a ciò che attualmente ci si può aspettare.

Tutto quello che sappiamo su Man of Tomorrow

Le riprese principali di Man of Tomorrow dovrebbero iniziare nella primavera del 2026, con una data di uscita fissata per il 9 luglio 2027. David Corenswet riprenderà il ruolo nel sequel al fianco di Lex Luthor, interpretato da Nicholas Hoult, poiché i due si alleeranno contro questo nuovo nemico, come ha dichiarato il regista.

James Gunn ha infatti affermato: “È una storia in cui Lex Luthor e Superman devono collaborare in una certa misura contro una minaccia molto, molto più grande. È più complicato di così, ma questa è una parte importante. È tanto un film su Lex quanto un film su Superman. Mi è piaciuto molto lavorare con Nicholas Hoult. Purtroppo mi identifico con il personaggio di Lex. Volevo davvero creare qualcosa di straordinario con loro due. Adoro la sceneggiatura”.

Gunn annunciato Man of Tomorrow sui social media il 3 settembre. Nel suo annuncio, lo sceneggiatore e regista ha incluso un’immagine tratta dal fumetto in cui Superman è in piedi accanto a Lex Luthor nella sua Warsuit. Nei fumetti DC, Lex crea la tuta per eguagliare la forza e le abilità di Superman. Mentre l’immagine teaser suggeriva che Lex e Superman sarebbero stati di nuovo in contrasto, ora sembra che Lex userà la sua Warsuit per poter essere allo stesso livello di Superman per qualsiasi grande minaccia si presenti loro. Al momento, è confermata la presenza della Lois Lane di Rachel Brosnahan.

Il film è stato in precedenza descritto come un secondo capitolo della “Saga di Superman”. Ad oggi, Gunn ha affermato unicamente che “Superman conduce direttamente a Peacemaker; va notato che questo è per adulti, non per bambini, ma Superman conduce a questo show e poi abbiamo l’ambientazione di tutto il resto della DCU nella seconda stagione di Peacemaker, è incredibilmente importante”.

Don’t Say a Word: la spiegazione del finale del thriller con Michael Douglas

Uscito nel 2001 e diretto da Gary Fleder, Don’t Say a Word (Non dire una parola) è un thriller psicologico che intreccia tensione familiare, trauma e avidità in un racconto che si muove tra la mente e la colpa.

Interpretato da Michael Douglas, Brittany Murphy, Sean Bean e Famke Janssen, il film segue la storia del dottor Nathan Conrad, uno psichiatra newyorkese costretto a decifrare la mente di una giovane paziente traumatizzata per salvare la vita della propria figlia rapita. Il finale, tanto teso quanto rivelatore, svela il vero significato del titolo e chiude la storia su un doppio piano: quello della giustizia e quello della redenzione emotiva.

Il segreto di Elisabeth e la chiave nascosta

Gran parte della tensione del film ruota attorno al personaggio di Elisabeth Burrows (Brittany Murphy), una ragazza ricoverata in una clinica psichiatrica che da anni non parla con nessuno. Nathan, interpretato da Michael Douglas, viene incaricato di occuparsi del suo caso, ma presto scopre che dietro il mutismo della giovane si nasconde un segreto che ha a che fare con una rapina di diamanti avvenuta dieci anni prima.

I rapitori della figlia di Nathan, guidati da Patrick Koster (Sean Bean), credono che Elisabeth sia l’unica a sapere dove è nascosto il diamante rubato. Il titolo Don’t Say a Word (“Non dire una parola”) è allo stesso tempo un comando e un trauma: Elisabeth ha mantenuto il silenzio per sopravvivere, dopo aver assistito all’omicidio del padre, uno dei ladri coinvolti nel colpo.

La rivelazione: il diamante e il trauma infantile

Nella parte finale del film, Nathan riesce a guadagnare la fiducia di Elisabeth, scoprendo che la chiave del mistero è letteralmente una chiave – un oggetto che la ragazza conserva come simbolo di protezione e che conduce al luogo dove il diamante è nascosto.
Questo oggetto rappresenta l’unico legame tra la sua infanzia traumatizzata e il presente.

La svolta arriva quando Elisabeth ricorda il numero di una tomba, il luogo dove il padre aveva nascosto il diamante prima di essere ucciso da Koster. Nathan si reca al cimitero, recupera la pietra preziosa e la usa come merce di scambio per liberare la figlia, Jessie, tenuta prigioniera in casa sotto gli occhi della madre, immobilizzata a letto.

Il confronto finale e la caduta di Koster

Il climax del film si consuma nel confronto tra Nathan e Koster. Lo psichiatra riesce a consegnargli il diamante, ma in un colpo di scena tipico del thriller anni 2000, Elisabeth stessa decide di intervenire. Determinata a vendicarsi per la morte del padre, la ragazza inganna Koster portandolo con sé in un terreno paludoso, dove lo spinge nel fango e lo lascia annegare.

La scena, girata con toni cupi e quasi onirici, è la vera chiusura psicologica del film: Elisabeth rompe il suo silenzio, non più come vittima ma come soggetto attivo della propria vendetta. “Don’t say a word” – la frase che l’ha condannata al silenzio – diventa paradossalmente la chiave della sua liberazione.

Il significato del finale: la parola come cura

Nel finale, Nathan riesce a salvare la figlia e a riportare l’equilibrio nella sua famiglia.
Ma la vera guarigione avviene dentro la mente di Elisabeth, che finalmente parla. Le sue ultime parole, rivolte a Nathan, suggellano il tema centrale del film: la parola come strumento di salvezza. Dopo anni di silenzio, la ragazza può finalmente nominare il proprio dolore, trasformandolo in ricordo invece che in prigione.

Gary Fleder costruisce qui un epilogo dal tono catartico. L’inquadratura finale mostra Elisabeth seduta in una stanza d’ospedale, illuminata da una luce morbida. Il suo volto è sereno, privo della tensione che lo aveva attraversato per tutto il film. La parola non è più pericolosa: è diventata terapia.

Giustizia e trauma: due piani paralleli

Il film non si limita a risolvere la trama poliziesca. Il finale infatti mette in parallelo due percorsi di guarigione: quello fisico e familiare di Nathan, che recupera la figlia e la serenità domestica, e quello psicologico di Elisabeth, che riesce a riappropriarsi della propria identità.

La chiusura del film suggerisce che il trauma, se condiviso e ascoltato, può trovare una via d’uscita. Nathan, come terapeuta, non solo decifra il codice di un caso criminale, ma diventa simbolicamente colui che restituisce la parola a chi non la possedeva più.

Il messaggio finale: il silenzio non è protezione

Il titolo Don’t Say a Word assume quindi una doppia valenza: da un lato è la minaccia imposta dal carnefice, dall’altro il trauma interiorizzato dalla vittima. Alla fine, rompere il silenzio significa rompere il potere di chi ha causato la violenza. Il film, pur restando un thriller di intrattenimento, si muove su un terreno più profondo: il linguaggio come salvezza e verità.

L’ultimo sguardo di Elisabeth, rivolto verso la finestra, è l’immagine della libertà: una giovane donna che ha ritrovato la voce, e con essa la possibilità di vivere.  Nathan, intanto, osserva la figlia dormire al sicuro — un simbolo di equilibrio ritrovato, ma anche di un male che, se non affrontato, può sempre riaffiorare. Così Don’t Say a Word si chiude non con la vendetta, ma con la riconquista della parola: la più semplice, e insieme la più potente, forma di giustizia.

Robin Hood – L’origine della leggenda, la spiegazione del colpo di scena dello sceriffo di Nottingham

La nuova versione di Robin Hood – L’origine della leggenda del regista Otto Bathurst, con Taron Egerton nel ruolo dell’affascinante ladro dal cuore d’oro, si conclude con un colpo di scena piuttosto importante riguardante Will Scarlet (Jamie Dornan) e lo sceriffo di Nottingham. Dopo che Robin e Little John (Jamie Foxx) riescono a uccidere lo sceriffo originale (Ben Mendelsohn), impiccandolo in una chiesa, un nuovo sceriffo assume il suo ruolo. Quello sceriffo non è altro che Will, uno dei fedeli Merry Men di Robin nelle storie originali, che nel film di Bathurst diventa suo nemico mortale.

Quando incontriamo Will Scarlet per la prima volta nel film, entra in scena da sinistra e si avvicina per baciare Lady Marian (Eve Hewson), che è stata ingannata dallo sceriffo facendogli credere che Robin fosse morto durante le Crociate. Robin è naturalmente devastato alla vista di questa scena e, su richiesta di John, trascorre gran parte del film tenendo Marian a distanza, senza rivelarle la sua vita segreta come “il Cappuccio”. Nella battaglia finale del film, tuttavia, Robin e Marian si riconciliano e si scambiano un bacio appassionato… a cui Will Scarlet assiste sfortunatamente.

Will, furioso, ferito e sfigurato durante il combattimento, si rifiuta di fuggire nei boschi con Robin e gli altri Merry Men. Robin e Marian lo lasciano a malincuore e se ne vanno con le ricchezze che hanno rubato allo sceriffo di Nottingham. Tuttavia, proprio quando sembra che tutto stia per concludersi in modo soddisfacente, Friar Tuck (Tim Minchin) ritorna in voce fuori campo per rivelare che questo finale perfetto non è proprio come sembra. Il film passa a Will che ha un incontro clandestino con il Cardinale (F. Murray Abraham), che aveva cospirato con lo sceriffo di Nottingham per sabotare lo sforzo bellico. Con lo sceriffo originale fuori dai giochi, il Cardinale ha bisogno di un nuovo uomo a Nottingham dalla sua parte, e Will odia Robin abbastanza da accettare il lavoro.

Si tratta di un bel cambiamento per Will, che per tutto il film ha fatto da portavoce del popolo, cercando di guidare i minatori di Nottingham in una pacifica opposizione alla tirannia dello sceriffo. Si potrebbe obiettare che è piuttosto inverosimile che Will rinneghi tutte le sue convinzioni e diventi un cattivo sfregiato solo perché ha visto qualcuno baciare la sua ragazza.

Tuttavia, si potrebbe anche sostenere che Robin stesso abbia creato questo mostro convincendo Will ad abbandonare i suoi piani di ritiro pacifico a favore di un attacco totale agli uomini dello sceriffo.

Il colpo di scena di Robin Hood – L’origine della leggenda  è ovviamente pensato per preparare il terreno a un sequel che vedrà Robin contro Will Scarlet… anche se, dato che Robin Hood dovrebbe incassare solo 15 milioni di dollari nel weekend del Ringraziamento, quel sequel probabilmente non ci sarà. È davvero un peccato; Dornan non aveva molto da fare come terzo vertice di un triangolo amoroso, ma interpretare Will Scarlet non solo come un cattivo, ma come il più grande nemico di Robin Hood, avrebbe dato una svolta molto interessante a una storia familiare.

La Warner Bros. Discovery è ufficialmente in vendita

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A seguito di precedenti fusioni e ristrutturazioni, Warner Bros. Discovery è ora ufficialmente in vendita. Negli ultimi mesi sono apparse diverse notizie relative all’acquisizione del colosso hollywoodiano, tra cui una riguardante un’offerta rifiutata da Paramount.

“Continuiamo a compiere passi importanti per posizionare la nostra attività in modo da avere successo nell’odierno panorama mediatico in continua evoluzione, portando avanti le nostre iniziative strategiche, riportando i nostri studi alla leadership del settore e espandendo HBO Max a livello globale. Abbiamo compiuto il passo coraggioso di prepararci a separare la Società in due aziende mediatiche distinte e leader, Warner Bros. e Discovery Global, perché eravamo fermamente convinti che questa fosse la strada migliore da seguire”.

David Zaslav ha sottolineato che “non sorprende che il valore significativo del portafoglio [della Warner Bros.] stia ricevendo un crescente riconoscimento da parte degli altri operatori del mercato”. Il capo dello studio ha confermato che “dopo aver ricevuto manifestazioni di interesse da più parti, [essi] hanno avviato una revisione completa delle alternative strategiche per identificare la strada migliore da seguire per sbloccare il pieno valore delle [loro] attività”.

Samuel A. Di Piazza Jr., che ricopre la carica di presidente del consiglio di amministrazione di WBD, ha ulteriormente spiegato: “La nostra decisione di avviare questa revisione sottolinea l’impegno del consiglio di amministrazione a considerare tutte le opportunità per determinare il miglior valore per i nostri azionisti”. Ciò avviene solo pochi mesi dopo l’annuncio, il 9 giugno 2025, della scissione di Warner Bros. e Discovery in due entità separate.

Di Piazza ha commentato come continuino a sostenere questa decisione, affermando: “Continuiamo a credere che la nostra separazione pianificata per creare due società mediatiche distinte e leader creerà un valore interessante. Detto questo, abbiamo deciso che intraprendere queste azioni per ampliare il nostro raggio d’azione è nel miglior interesse degli azionisti”. La separazione dovrebbe comunque essere completata entro aprile 2026.

Al momento della stesura di questo articolo, per quanto riguarda il processo delle alternative strategiche dell’azienda, non esiste una scadenza fissata o un “calendario definitivo” per la nuova iniziativa. Warner Bros. inoltre “non intende fare ulteriori annunci in merito alla revisione delle alternative strategiche”, ma lo farà solo quando “il Consiglio approverà una transazione specifica o determinerà in altro modo che un’ulteriore divulgazione è appropriata o necessaria”.

Secondo un rapporto di Puck del 19 settembre 2025, Netflix starebbe valutando la possibilità di presentare un’offerta per Warner Bros. Discovery. Tuttavia, Greg Peters, CEO di Netflix, ha fornito un commento molto vago il 9 ottobre riguardo alla possibilità che il popolare servizio di streaming stia effettivamente valutando tale opzione. Se uno qualsiasi degli altri grandi colossi di Hollywood dovesse acquisire lo studio e le attività di Zaslav, potrebbe inaugurarsi una nuova importante era di proprietà intellettuali riunite sotto lo stesso tetto. Dopo che l’interesse per la vendita è diventato ufficiale, il futuro di Warner Bros. Discovery sarà una delle più grandi storie aziendali nel mondo dell’intrattenimento.

Il coraggio di Blanche: la spiegazione del finale del film con Virginie Efira

Diretto da Valérie Donzelli e interpretato da Virginie Efira e Melvil Poupaud, Il coraggio di Blanche (L’amour et les forêts, titolo internazionale Just the Two of Us) è uno dei film francesi più intensi e discussi degli ultimi anni, presentato in anteprima al Festival di Cannes 2023 nella sezione Cannes Première. Tratto dal romanzo omonimo di Éric Reinhardt, il film affronta il tema della violenza psicologica e del controllo in una relazione di coppia con una delicatezza e una lucidità rare nel cinema contemporaneo.

Il finale, aperto e sospeso, rappresenta il punto culminante del percorso interiore della protagonista: non una vittoria, ma una presa di coscienza. Un epilogo che trasforma Il coraggio di Blanche in un racconto sulla libertà femminile, sulla ricostruzione di sé e sull’impossibilità di dimenticare del tutto chi ci ha fatto del male.

Un amore che diventa prigione

All’inizio del film, Blanche (Virginie Efira) incontra Grégoire Lamoureux (Melvil Poupaud), un uomo carismatico e apparentemente premuroso. Innamorata, lo sposa e si trasferisce in un’altra città, lontano da tutto ciò che conosceva. Ma la passione iniziale si trasforma presto in un meccanismo di controllo psicologico e isolamento: Grégoire diventa geloso, possessivo, invadente.

La regista mette in scena questa progressiva prigionia con uno stile sobrio e claustrofobico: le inquadrature si stringono, gli spazi si chiudono, la luce scompare. Nel corso del film, lo spettatore assiste a una lenta discesa nell’abuso, resa ancora più inquietante dall’apparente normalità del quotidiano. Il finale arriva come un atto di ribellione, ma anche come un momento di dolorosa consapevolezza.

La fuga e il confronto finale

Negli ultimi minuti, Blanche riesce a fuggire dalla relazione. Con le sue due figlie si trasferisce in un piccolo appartamento e tenta di ricostruire la propria vita. Ma il passato non si cancella facilmente: Grégoire continua a perseguitarla, inviando messaggi, comparendo all’improvviso, manipolando ogni tentativo di autonomia.

Quando i due si ritrovano faccia a faccia, il film raggiunge il suo momento più teso. Non c’è violenza esplicita, ma un silenzio pieno di significato. Blanche lo guarda con calma, quasi con pietà. È un gesto semplice, ma rivoluzionario: non ha più paura.

La scena finale — Blanche di spalle che cammina con le figlie lungo una spiaggia — è insieme un addio e una rinascita. Nessuna colonna sonora enfatica, nessun lieto fine: solo il silenzio di chi ha trovato la forza di andare avanti, anche senza aver ottenuto giustizia.

Il significato simbolico del finale

Il titolo Il coraggio di Blanche racchiude la chiave interpretativa del film. Il coraggio non è la ribellione clamorosa, ma la capacità di sopravvivere e ricominciare. La foresta — elemento ricorrente del romanzo di Reinhardt — diventa la metafora dell’inconscio, il luogo dove Blanche si perde per poi ritrovarsi. Nel finale, il suo cammino nella natura o lungo la spiaggia rappresenta il ritorno alla vita, una purificazione interiore.

Valérie Donzelli trasforma la fuga in un rito di liberazione: non la vittoria sul carnefice, ma la riappropriazione del proprio corpo, del proprio sguardo e del proprio nome.
La libertà, nel film, non è assenza di dolore ma riconciliazione con esso.

La doppia Blanche e il tema dell’identità

Un elemento centrale del racconto è la presenza della sorella gemella di Blanche, anch’essa interpretata da Virginie Efira. Le due donne sono opposte e complementari: una fragile, l’altra decisa; una vittima, l’altra osservatrice. Nel finale, le due figure sembrano fondersi, come se la protagonista avesse finalmente integrato le sue parti più divise: la paura e il coraggio, la dipendenza e la libertà.

La “seconda Blanche” rappresenta la voce interiore della protagonista, quella che non ha mai smesso di parlarle anche nei momenti più bui. Quando Blanche accetta la propria vulnerabilità e smette di definirsi attraverso lo sguardo dell’altro, le due identità diventano una sola. È in questo gesto invisibile che avviene la vera guarigione.

Un finale realistico, non consolatorio

Il film evita il moralismo e il sentimentalismo. Non c’è una punizione per Grégoire, né una risoluzione totale. Ma Blanche, ora consapevole, non è più la stessa. La sua camminata verso il mare, accompagnata dalle figlie, diventa un gesto di resistenza quotidiana: un inno sommesso ma potente alla vita dopo la violenza.

Valérie Donzelli chiude il film con uno sguardo lucido e compassionevole, senza enfasi melodrammatica. Come in molte opere del cinema francese contemporaneo, la salvezza non è un traguardo ma un percorso: lento, incerto, ma reale.

Il messaggio finale: la libertà come memoria

Il finale di Il coraggio di Blanche racchiude la sua essenza più intima: la libertà non è dimenticare, ma ricordare senza più paura. Blanche porta con sé il trauma, ma anche la consapevolezza di averlo attraversato. La spiaggia finale, con la luce che si apre sul mare, non è una via di fuga ma una soglia — quella tra il passato e la possibilità di un futuro diverso.

Virginie Efira, in una delle interpretazioni più intense della sua carriera, riesce a trasformare la sofferenza in forza.  Il suo volto, nell’ultima inquadratura, è quello di una donna che ha perso tutto ma ha ritrovato sé stessa. E questo, nel cinema come nella vita, è il vero coraggio.

La mummia – Il ritorno: la spiegazione del finale del film

Uscito nel 2001 e diretto ancora una volta da Stephen Sommers, La mummia – Il ritorno riprende le avventure di Rick e Evelyn O’Connell dopo il grande successo del primo film del 1999. Ambientato quasi dieci anni dopo gli eventi de La mummia, il sequel espande notevolmente l’universo narrativo introducendo nuovi personaggi, creature mitologiche e un respiro ancora più epico. Tra le principali novità spiccano il figlio della coppia, Alex, e soprattutto la figura del Re Scorpione, interpretato da Dwayne “The Rock” Johnson, al suo esordio cinematografico. Un capitolo più ambizioso, che mescola azione, mitologia e avventura in un racconto visivamente travolgente.

Come il suo predecessore, La mummia – Il ritorno si inserisce nel solco dei grandi film d’avventura hollywoodiani ispirati ai mostri classici della Universal, ma accentua l’aspetto spettacolare e fantastico, avvicinandosi al cinema d’azione moderno. Sommers costruisce un ritmo serrato fatto di inseguimenti, magie e battaglie, sostenuto da effetti speciali all’avanguardia per l’epoca. Il risultato è un film che unisce il fascino retrò dei serial anni ’30 con l’energia dei blockbuster contemporanei, trasformando la leggenda di Imhotep in una saga più ampia, dal tono mitologico e quasi da epopea.

Tematicamente, il film approfondisce il legame familiare, la reincarnazione e il destino, contrapponendo l’amore eterno di Rick ed Evelyn alla brama di potere di Imhotep e Anck-su-namun. L’avventura si spinge così oltre l’orrore soprannaturale, per diventare una riflessione sulla vita, la morte e l’immortalità. Nel resto dell’articolo, ci concentreremo proprio su questo: la spiegazione del finale de La mummia – Il ritorno, analizzando il modo in cui conclude la storia e chiude il cerchio aperto dal primo capitolo.

Brendan Fraser e Rachel Weisz in La mummia - Il ritorno
Brendan Fraser e Rachel Weisz in La mummia – Il ritorno

La trama di La mummia – Il ritorno

Dieci anni dopo aver rimandato l’immortale mummia Imhotep nel mondo dei morti, Rick O’Connell (Brendan Fraser) e sua moglie Evelyn (Rachel Weisz) vivono a Londra con il loro figlioletto Alex. Sempre alla ricerca di reperti del passato, i due durante un’esplorazione in un antico tempio a Tebe, trovano il misterioso bracciale di Anubi. Rientrati in patria, la coppia decide però di abbandonare quella vita pericolosa e restare a Londra. Nel frattempo, Alex, infilandosi il bracciale all’insaputa dei genitori, ha una mistica visione dell’oasi di Ahm Sher e subito dopo un’oscura setta egiziana attacca la famiglia.

La setta cerca il bracciale, che è però sigillato al polso del bambino. Il culto, guidato dal curatore del British Museum e da una donna di nome Meela Nais (Patricia Velasquez), che è la reincarnazione dell’amore di Imhotep Anck-su-namun, vuole far risorgere nuovamente l’antica mummia e usare il suo potere per sconfiggere il Re Scorpione, dandogli il comando dell’esercito di Anubi per conquistare il mondo. Rick ed Evelyn accompagnati dal pauroso fratello di lei, Johnatan (John Hannah), e dal guerriero Medjai, Ardeth Bay devono dunque impedire il ritorno della mummia e salvare Alex, che nel frattempo è stato rapito.

La spiegazione del finale del film

Nel terzo atto de La mummia – Il ritorno i protagonisti arrivano all’oasi di Ahm Shere, luogo mitico in cui giace il potere di Anubis e dove il Re Scorpione può essere risvegliato. Dopo una lunga serie di inseguimenti e battaglie, Rick riesce a salvare il figlio Alex, ma la situazione precipita quando Evelyn viene uccisa da Anck-su-namun. Mentre Imhotep entra nella piramide per evocare l’esercito di Anubis, Rick e Jonathan si uniscono per salvare sia la moglie sia l’umanità intera. All’interno della piramide, Imhotep perde i suoi poteri, trovandosi costretto ad affrontare il Re Scorpione in forma mortale. Rick, guidato dai geroglifici, scopre che il bastone di Jonathan è in realtà la leggendaria Lancia di Osiride, l’unica arma in grado di uccidere la creatura.

La battaglia finale si trasforma in un intreccio di duelli e sacrifici. Evelyn viene riportata in vita grazie al Libro dei Morti, mentre all’esterno l’esercito dei Medjai affronta eroicamente le orde infernali di Anubis. Rick affronta il Re Scorpione in uno scontro violento e spettacolare, riuscendo infine a trafiggerlo con la lancia e a rimandare il suo esercito negli inferi. Con la morte del Re Scorpione, la piramide comincia a crollare, trascinando con sé tutto ciò che resta dell’oasi. Imhotep e Rick restano sospesi sul bordo di un abisso, ma mentre Evelyn rischia la vita per salvare il marito, Anck-su-namun fugge abbandonando Imhotep al suo destino. Devastato dal tradimento, il sacerdote sceglie di lasciarsi cadere nell’oltretomba, ponendo così fine alla sua eterna maledizione.

Brendan Fraser e Arnold Vosloo in La mummia - Il ritorno

Il finale di La mummia – Il ritorno completa idealmente l’arco narrativo iniziato nel primo capitolo, contrapponendo due amori di natura opposta: quello puro e disinteressato tra Rick ed Evelyn e quello egoista e distruttivo tra Imhotep e Anck-su-namun. L’eroe e la sua compagna rappresentano la forza del legame umano, capace di sconfiggere la morte e il male, mentre la coppia di antagonisti incarna la corruzione dell’amore quando diventa possesso. La decisione di Evelyn di rischiare la vita per Rick segna il culmine emotivo del film e suggella il valore del sacrificio, in netto contrasto con la codardia di Anck-su-namun, che invece preferisce fuggire piuttosto che salvare l’uomo che diceva di amare.

Da un punto di vista simbolico, la caduta di Imhotep è la chiusura perfetta del suo arco tragico. Dopo due film passati a inseguire l’immortalità e il potere, il suo destino si compie nella consapevolezza che nulla di eterno può nascere dal male. Il suo ultimo sguardo verso Rick ed Evelyn suggerisce un momento di lucidità, quasi un riconoscimento della superiorità dell’amore sincero su quello ossessivo. La distruzione dell’oasi e della piramide simboleggia la fine del ciclo della maledizione e la liberazione delle anime imprigionate da Anubis, restituendo un equilibrio tra mondo dei vivi e mondo dei morti.

Alla fine, La mummia – Il ritorno ci lascia un messaggio chiaro: l’amore e la lealtà sono più forti della morte e del potere. Rick ed Evelyn, sopravvissuti insieme alla furia degli dei e ai capricci dell’immortalità, incarnano la resilienza umana di fronte a forze sovrannaturali. L’avventura, pur nel suo tono spettacolare e mitologico, diventa così una riflessione sulla natura del legame umano, sul coraggio di affrontare l’ignoto e sulla necessità di lasciare andare ciò che non può durare in eterno. Un epilogo avventuroso e romantico che, tra azione e sentimento, chiude degnamente una delle saghe più amate del cinema d’avventura moderno.

Il coraggio di Blanche: il film è tratto da una storia vera?

Il film Il coraggio di Blanche (qui la recensione) è una produzione francese del 2023 diretta da Valérie Donzelli, regista nota per le sue opere che esplorano con delicatezza profonda le dinamiche emotive e relazionali. In questo caso, Donzelli affronta un tema tanto attuale quanto drammatico: la violenza psicologica all’interno della relazione di coppia. Il racconto porta lo spettatore nel quotidiano apparentemente tranquillo di Blanche Renard, che crede di aver trovato l’amore della vita ma si troverà invischiata in una spirale di controllo, manipolazione e isolamento. È una vicenda intima che si apre al sociale, un thriller psicologico in cui l’orrore non viene da mostri sovrannaturali ma da chi appaia normale.

Il genere del film può essere definito drammatico/thriller relazionale: non un action, non un horror, bensì un’analisi cinematografica della fragilità individuale e della violenza subdola. La regia di Donzelli sceglie uno stile sobrio, che privilegia sguardi, silenzi, spazi chiusi e l’isolamento della protagonista, più che colpi di scena e gesti eclatanti. Virginie Efira interpreta Blanche con intensità e vulnerabilità, mostrando passo dopo passo il progressivo logoramento della sua libertà personale e della sua identità. Il film si distingue per la sua capacità di rendere visibile ciò che spesso rimane invisibile: il controllo psicologico, la gelosia insidiosa, la rottura dell’io.

Dal punto di vista dei temi, Il coraggio di Blanche esplora l’amore tossico, la manipolazione affettiva e la difficoltà di uscire da una relazione che appare rassicurante all’inizio ma diventa una prigione. La trama evidenzia come l’isolamento – fisico e mentale – sia utilizzato come strumento di dominio e come la protagonista debba trovare in sé il coraggio di reagire. L’impatto del film è forte: presentato al Festival di Cannes 2023 nella sezione “Cannes Première”, ha ricevuto riconoscimenti e ha aperto un dibattito importante sulle dinamiche di abuso che spesso restano invisibili. Nel resto dell’articolo ci soffermeremo sulla domanda centrale: il film è tratto da una storia vera o meno?, per capire in che misura la vicenda di Blanche rispecchia una realtà documentata.

Il coraggio di Blanche spiegazione finale film

La trama di Il coraggio di Blanche

Il film racconta la storia di Blanche Renard (Virginie Efira), che dopo aver incontrato Greg Lamoureux (Melvil Poupaud), è convinta di aver trovato l’uomo della sua vita. Poco dopo, però, Greg inizierà a mostrare il suo lato possessivo e pericoloso, tant’è che i due si trasferiranno lontano dalla famiglia di Blanche. È così la donna si ritrova coinvolta in una relazione tossica e morbosa, vergognandosi di rivelare la vera natura del suo nuovo compagno. Quando però capirà che la sua vita è messa in serio pericolo, dovrà decidere se rimanere in silenzio per sempre od opporsi all’uomo da cui credeva di essere amata.

La storia vera dietro il film

Il film Il coraggio di Blanche non è direttamente tratto da una storia vera, ma si basa sul romanzo L’amore e le foreste (L’amour et les forêts) scritto da Éric Reinhardt e pubblicato nel 2014. L’autore, noto per la sua attenzione ai rapporti di potere e alle nevrosi della società contemporanea, si è ispirato a testimonianze reali raccolte nel corso della sua vita, ma senza raccontare un caso specifico. Il libro nasce dal bisogno di dare voce a quelle donne che, come la protagonista, vivono relazioni segnate dalla manipolazione psicologica, dalla perdita di autonomia e da una violenza che si consuma nell’intimità domestica, lontano dagli occhi del mondo.

Reinhardt ha raccontato in più interviste che il personaggio di Blanche è stato ispirato da una lettrice che gli aveva scritto una lunga lettera dopo la pubblicazione di un suo romanzo precedente. In quella lettera, la donna gli narrava la propria storia di matrimonio tossico e di distruzione personale. Quella testimonianza, unita ad altre simili, ha spinto lo scrittore a creare un personaggio simbolico più che realistico, rappresentativo di molte donne intrappolate in relazioni abusanti. Dunque, L’amore e le foreste non racconta un caso realmente accaduto, ma è il risultato di un mosaico di esperienze autentiche e di osservazioni sociali che restituiscono un quadro estremamente realistico della violenza psicologica.

Il coraggio di Blanche. Credit: © 2023 RECTANGLE PRODUCTIONS FRANCE 2 CINEMA LES FILMS DE FRANCOISE. Ph: Christine Tamalet

Nel portare sullo schermo il romanzo, Valérie Donzelli ha scelto di rimanere fedele allo spirito dell’opera di Reinhardt, accentuandone però la dimensione visiva e sensoriale. Il film amplifica la percezione di oppressione attraverso l’uso della luce, dei silenzi e della messa in scena claustrofobica, permettendo allo spettatore di vivere dall’interno la lenta discesa della protagonista in un rapporto distruttivo. Donzelli evita l’enfasi melodrammatica e privilegia l’autenticità psicologica, affidandosi alla straordinaria interpretazione di Virginie Efira, capace di restituire con delicatezza il trauma invisibile di chi è vittima di coercizione emotiva.

Nel complesso, Il coraggio di Blanche risulta un film di grande realismo emotivo, anche se non racconta una storia vera nel senso stretto del termine. La regista e l’autore condividono l’intento di rendere visibile ciò che spesso resta nascosto: la violenza che non lascia lividi, ma consuma dall’interno. Il film mostra con accuratezza la progressione tipica dell’abuso psicologico — dall’idealizzazione all’isolamento, dalla colpa alla paura — offrendo uno spaccato credibile e profondamente umano. Pur non essendo documentaristico, Il coraggio di Blanche restituisce una verità universale: quella di tante donne che, come Blanche, trovano la forza di riconoscere la propria prigionia e di lottare per riappropriarsi di sé stesse.

Leggi anche: Il coraggio di Blanche: la spiegazione del finale del film

Shrinking – Stagione 3: le prime immagini della nuova stagione Apple Tv

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Oggi Apple TV ha svelato le prime immagini di Shrinking – Stagione 3, l’amata comedy, acclamata dalla critica e nominata agli Emmy, con protagonisti Jason Segel e Harrison Ford insieme agli amati co-protagonisti Christa Miller, la candidata agli Emmy Jessica Williams, Luke Tennie, il candidato agli Emmy Michael Urie, Lukita Maxwell e Ted McGinley.

Creata dai vincitori dell’Emmy Bill Lawrence e Brett Goldstein, insieme a Segel, Shrinking – Stagione 3 farà il suo debutto su Apple TV il 28 gennaio 2026 con il primo episodio degli 11 totali, seguito da un nuovo episodio ogni mercoledì fino all’8 aprile.

“Shrinking” segue le vicende del terapeuta Jimmy (interpretato da Jason Segel) che inizia a infrangere le regole col dire ai suoi clienti esattamente quello che pensa, ignorando così la sua formazione e la sua etica e ritrovandosi a causare tumultuosi cambiamenti nella vita delle persone… compresa la sua.

Oltre al cast storico, la terza stagione di “Shrinking” vede il ritorno delle guest star Goldstein, Damon Wayans Jr., Wendie Malick e Cobie Smulders, insieme alle new entry Jeff Daniels e il pluripremiato attivista Michael J. Fox.

La serie è prodotta per Apple TV+ da Warner Bros. Television, con cui Lawrence e Goldstein hanno un accordo globale, e dalla Doozer Productions di Lawrence. Lawrence, Segel, Goldstein, Neil Goldman, James Ponsoldt, Jeff Ingold, Liza Katzer, Randall Winston, Annie Mebane, Rachna Fruchbom, Brian Gallivan, Ashley Nicole Black e Bill Posley sono i produttori esecutivi.

“Shrinking” segna la terza collaborazione tra Apple, Lawrence e Warner Bros. Television, dopo la serie di successo e pluripremiata agli Emmy “Ted Lasso” e “Bad Monkey”, recentemente rinnovata per una seconda stagione. La serie segna anche l’ultima collaborazione tra Apple TV e Goldstein dopo il film Apple Original “All of You”, ora disponibile in streaming su Apple TV. Segel ha già collaborato in precedenza con Apple TV nel ruolo da protagonista nel film Apple Original “Il cielo è ovunque”.

Toni, mio padre: il trailer del film di Anna Negri

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Wanted è lieta di svelare il trailer di Toni, mio padre, il film diretto da Anna Negri che è stato presentato in anteprima mondiale alle Giornate degli autori, sezione autonoma e parallela della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, all’interno delle Notti Veneziane in accordo con Isola di Edipo.

Un dialogo intimo tra una figlia e suo padre, tra memoria privata e Storia collettiva. Con TONI, MIO PADRE, Anna Negri sceglie di raccontare l’eredità complessa di suo padre, il filosofo e pensatore Toni Negri, figura centrale della contestazione degli anni ’70.

Quando Anna aveva 14 anni, Toni Negri fu arrestato con l’accusa di essere il capo occulto del terrorismo italiano, un’accusa dalla quale verrà poi prosciolto. Dopo quattro anni di carcere e quindici di esilio, Negri è divenuto un pensatore di fama mondiale, soprattutto dopo la pubblicazione del saggio Impero (2000).

Dietro la dimensione pubblica si nasconde una frattura intima e familiare che il film porta alla luce con delicatezza e radicalità.

Girato tra Venezia, la Sardegna e Parigi, TONI, MIO PADRE intreccia materiali eterogenei – archivi di famiglia interviste, fotografie, Super8 e repertori televisivi – per dar vita a un racconto stratificato, in cui biografia e autobiografia, memoria privata e Storia ufficiale, ideologia e affetti si sovrappongono in un corpo a corpo emotivo e dialettico.

Anna Negri accompagna il padre negli ultimi mesi della sua vita: un percorso di riconciliazione e di scoperta reciproca, in cui si sciolgono nodi irrisolti e si affrontano temi universali come il rapporto tra ideali politici e vita quotidiana, tra generazioni, tra etica e violenza, tra sconfitta e possibilità di riscatto.

“Ho voluto raccontare una vita attraversata dalla Storia, cercando i tratti essenziali di una mentalità rivoluzionaria. Ma al centro resta la relazione tra padre e figlia: un dispositivo narrativo che permette di far emergere conflitti universali e al tempo stesso intimi.” – Anna Negri

Dopo l’esordio con In principio erano le mutande (Forum, Berlino 1999) e il successo internazionale di Riprendimi (Sundance 2008), fino alle serie Netflix Baby e Luna Park, Anna Negri torna al documentario con un’opera che è allo stesso tempo film politico e racconto intimo, indagine storica e riflessione personale.

Prodotto da MIR Cinematografica, Videa Group e Mediaart, in collaborazione con Home Movies, AAMOD e Lab 80 Film, TONI, MIO PADRE ha ricevuto il Premio Valentina Pedicini – Premio Solinas 2021, il Premio FIPADOC al Bio2B Biografilm Festival 2023 e il Premio Ateliers/MFN 2024 e sarà nelle sale cinematografiche con Wanted Cinema il 10, l’11 e il 12 novembre.

La trama di TONI, MIO PADRE

Anna e Toni si ritrovano a Venezia, dove Anna è nata, dove la sua famiglia viveva quando era piccola e dove è sepolta sua madre. Sono entrambi di fronte alla macchina da presa, filmati da un amico. Toni sa che vede questa città per l’ultima volta, morirà sei mesi dopo, e Anna, che non ha mai vissuto con lui da quando è stato arrestato, lo accompagna con emozione, cercando di recuperare il tempo perduto. È in questa nuova dimensione di viaggio e di reciproca scoperta, ridotti a pochi gesti e a parole essenziali, che vediamo sciogliersi gli ultimi nodi, i dubbi, i significati di due vite tanto complesse.

Everything Everywhere All at Once, la spiegazione del finale

Il finale di Everything Everywhere All at Once spiegato in dettaglio rivela il vero significato della commedia fantascientifica del 2022. Scritto e diretto da Dan Kwan e Daniel Scheinert (alias i Daniels), il film di maggior incasso della A24 esplora il multiverso con la famiglia apparentemente normale di Evelyn Wang (Michelle Yeoh) e suo marito Waymond (Ke Huy Quan). Il finale di Everything Everywhere All at Once presenta il multiverso in un modo che fa impallidire il Marvel Cinematic Universe. Oltre al successo commerciale e alla rilevanza culturale del film, i 7 Oscar Everything Everywhere All At Once ha vinto nel 2023 includono Miglior Film e Miglior Sceneggiatura Originale, cosa che il suo finale stratificato ha senza dubbio contribuito a garantire.

In EEAAO, Evelyn Wang è una stressata proprietaria di una lavanderia a gettoni che sta affrontando una verifica fiscale. La sua vita sta iniziando a vacillare, con un divorzio imminente e sua figlia Joy (Stephanie Hsu) che si sente inaspettatamente tradita dalla madre. Quando viene catapultata in una battaglia esistenziale per il destino di tutto il creato contro Jobu Tupaki, una versione di Joy, deve affrontare tutti questi problemi per salvare il multiverso. Il finale vede Evelyn abbracciare ogni versione di se stessa nel multiverso e tirare fuori sua figlia dall’oscurità. Il finale di Everything Everywhere All at Once ha molti livelli che spiegano i temi del film, le regole del multiverso e altro ancora.

Spiegazione dell’Alphaverse e del Verse-Jumping

Everything Everywhere All At Once ha una visione unica del multiverso

Il finale di Everything Everywhere All at Once porta il concetto di multiverso all’estremo, esplorando i vari mondi infiniti che si basano su ogni decisione umana mai presa. Per ogni scelta, viene creato un nuovo universo, che si ramifica nella propria versione della realtà. La cosa interessante della versione del multiverso di Everything Everywhere All At Once è che ogni universo non sembra essere stato creato simultaneamente. Piuttosto, gli universi che si diramano sono determinati dalla decisione di un individuo e da come questa influisce sul suo percorso di vita. L’Alphaverse, come suggerisce il nome, è al vertice della catena multiversale perché è stato il primo a scoprire l’esistenza del multiverso.

Gli abitanti dell’Alphaverse sono stati in grado di capire come è nato ogni universo e le decisioni che ogni persona ha preso per arrivare al proprio posto attuale nella vita. L’Alphaverse è anche l’unico ad aver creato una tecnologia per comunicare con altre parti del multiverso Everything Everywhere All at Once, compreso il salto tra i versi, che consiste nell’attingere a un’altra versione di sé stessi per prendere in prestito le loro abilità o abitare la loro mente per un po’. Evelyn e Alphaverse-Waymond sono in grado di separare le loro coscienze facendo qualcosa di strano; per Evelyn, questo comporta cambiare le scarpe da un piede all’altro.

Tuttavia, Alphaverse-Waymond ha anche un altro asso nella manica. Per abitare completamente il marito di Evelyn, Waymond, nel suo universo, la versione Alphaverse deve fare qualcosa di completamente bizzarro prima di premere le cuffie BlueTooth per essere trasportato nella coscienza di un altro. Questo potrebbe essere qualsiasi cosa, dall’infilarsi un oggetto appuntito nel sedere a Evelyn che dichiara il suo amore per Deirdre, l’agente del fisco che lei odia. Più è scandaloso, più è facile saltare da un universo all’altro.

Perché Evelyn era la scelta perfetta per salvare il multiverso

Ke-Huy-Quan-Everything-Everywhere-All-at-Once

La realtà di Evelyn rifletteva la natura del multiverso

Nel finale di Everything Everywhere All at Once, i doppelgänger di Evelyn nel multiverso erano tutti abbastanza realizzati in un modo o nell’altro. Come minimo, avevano scelto una strada e l’avevano seguita, mentre la vita di Evelyn era incerta e spesso poco chiara. Fondamentalmente, la vita di Evelyn è caotica proprio come gli eventi del multiverso, perché ha tutto questo potenziale inespresso. Mentre tutte le altre Evelyn si sono sistemate nella loro vita, la Evelyn principale del film è piena di rimpianti per le decisioni che non ha preso.

Conduce una vita che non aveva necessariamente immaginato per sé stessa e i suoi sentimenti di inadeguatezza – di non essere all’altezza delle aspettative di suo padre – continuano a tormentarla, influenzando le relazioni di Evelyn con Waymond e Joy. Alpha-Waymond sceglie Evelyn per salvare il multiverso perché è “così incapace in tutto” da essere “capace di tutto”.

Nessun’altra Evelyn poteva capire cosa stesse passando il cattivo Jobu Tapaki di Everything Everywhere All at Once, perché i loro sentimenti di desolazione non erano così forti.

Inoltre, l’Evelyn di Jobu Tupaki era molto severa con sua figlia, cosa che Evelyn può capire perché lei stessa si è comportata allo stesso modo con Joy. Porta anche il trauma di essere stata ripudiata dal proprio padre dopo aver sposato Waymond, ed è proprio grazie a queste emozioni che riesce ad affrontare Jobu Tupaki su un piano di parità. Bastava credere che Evelyn fosse in grado di fare qualcosa di straordinario – cosa che Alpha-Waymond ha fatto, vedendo oltre ciò che lei vedeva in se stessa – per renderla la scelta perfetta per aiutare il multiverso e riportare l’equilibrio perduto.

Perché Jobu Tupaki ha creato il bagel “Everything”

Stephanie Hsu Everything Everywhere All at Once

Il bagel è una metafora nichilista della modernità

Tra tutti i personaggi di Everything Everywhere All At Once, Jobu Tupaki è il più tragico. È la versione Alphaverse di Joy, la cui madre, anch’essa Evelyn, l’ha spinta troppo a fondo per attingere al multiverso. Ha saltato così tanto da versetto che qualcosa nella sua mente si è frantumato, con Jobu Tupaki che ha sperimentato l’intero multiverso contemporaneamente. Questo ha portato Jobu Tupaki a essere in grado di incarnare qualsiasi versione di Joy senza dover eseguire nessuno dei trucchi Alphaverse che gli altri dovevano fare per saltare da un versetto all’altro.

Questa è una metafora diretta della natura opprimente della società moderna, dove così tante cose – eventi globali, social media, questioni sociali e difficoltà della vita personale – richiedono attenzione. La mente di Jobu Tupaki è divisa in questo modo, tirata in così tante direzioni diverse al punto da diventare troppo. Jobu Tupaki non aveva nulla da perdere dopo quello, sentendo il peso del multiverso che la opprimeva, così decise di vedere cosa sarebbe successo se avesse gettato esperienze, pensieri e praticamente tutto ciò che le veniva in mente su un bagel.

Jobu Tupaki voleva scoprire cosa sarebbe successo se tutto il caos fosse stato in un unico posto, soprattutto perché avrebbe potuto sperimentarlo tutto in una volta. Ciò che Jobu Tupkai ha scoperto alla fine è che, nonostante l’intero multiverso e tutto ciò che conteneva, niente aveva davvero importanza. È per questo che voleva soccombere al potere del bagel “everything”, che la attirava verso il suo vuoto. Una parte importante del viaggio di Jobu Tapaki è stata imparare che c’è ancora speranza e che, anche se nulla ha importanza, ci sono alcune cose, come il rapporto madre-figlia, per cui vale ancora la pena lottare.

Il vero significato del finale di Everything Everywhere All At Once

Everything Everywhere All At Once film recensione
Michelle Yeoh, Jamie Lee Curtis Photo Credit: Allyson Riggs

Il finale di EEAAO riguarda le relazioni umane che danno uno scopo alla vita

Il finale di Everything Everywhere All at Once vede Evelyn cercare di fare ammenda con Joy, che è stanca di cercare di compiacere sua madre. Evelyn ha vissuto un momento importante quando ha affrontato suo padre riguardo alla relazione di Joy con la sua ragazza, ma è stato un momento nato dal bisogno di Evelyn di sfidare suo padre. Joy, sentendosi incapace di soddisfare le aspettative di sua madre, crolla, ed è solo allora che Evelyn si rende conto che, se non altro, il rapporto che ha con sua figlia, per quanto teso e complicato possa essere, conta più di ogni altra cosa. Il multiverso di Everything Everywhere All at Once si basa sulla dinamica stratificata tra un genitore e il proprio figlio.

Evelyn e Joy provano molto dolore a causa dei loro rapporti familiari, ma provano anche molto amore. Quando Evelyn rivela di voler stare sempre con Joy, indipendentemente da dove si trovino, è l’inizio di un processo di guarigione per entrambi i personaggi dal dolore inflitto in precedenza. Questa è la chiave per superare i traumi di entrambi e rompere il ciclo generazionale che causa una frattura tra genitori e figli. Al centro del film c’è il messaggio che la famiglia è importante, purché si sia disposti ad ascoltare e ad affrontare le cose con cuore aperto.

Oltre ad affrontare il trauma familiare, il film esplora come una persona possa essere intrappolata tra tante aspettative, percezioni e il costante bombardamento di cose nella vita che richiedono tanta attenzione. È anche una riflessione sulla società e su quanto l’era digitale abbia cambiato il modo in cui le persone consumano praticamente tutto.

Jobu Tupaki ha accesso a innumerevoli versioni di se stessa e al multiverso in generale, e l’afflusso di informazioni era così intenso e faticoso per la mente che non riusciva più a sopportarlo.

Come suggerisce il finale di Everything Everywhere All at Once, si può iniziare a pensare che nulla abbia davvero importanza. Joy ed Evelyn avevano bisogno di allontanarsi dalle pressioni del mondo e rendersi conto che entrambe, nonostante tutti gli ostacoli, alla fine ne valevano la pena. Nei momenti di difficoltà e oscurità, si può ancora trovare la speranza.

Come Evelyn è cambiata grazie al finale di EEAAO — Secondo Michelle Yeoh

L’attrice che ha interpretato Evelyn ha portato tutta la sua esperienza di vita nel ruolo

Le recensioni positive del finale di Everything Everywhere All at Once sono dovute al fatto che è ricco di sfaccettature e significati — e l’attrice Michelle Yeoh lo ha affrontato senza sforzo. Infatti, la performance della Yeoh nei panni della stanca Evelyn è stata così forte da valerle il Golden Globe come Miglior Attrice (categoria Musical/Commedia) e un rivoluzionario Oscar come Miglior Attrice nel 2023. Ciò è particolarmente impressionante dato che la Yeoh non interpretava un solo ruolo, ma tutte le versioni di Evelyn nel multiverso dei Daniels. Affrontare qualcosa di così complesso non è un’impresa facile, e la performance della Yeoh è stata allo stesso tempo accattivante in tutti i suoi difetti e stimolante di fronte alle sue difficoltà.

Ci vuole una figura forte per poter incarnare un personaggio che deve esplorare e abbracciare ogni intricato dettaglio di sé stesso e delle proprie scelte, e la Yeoh ovviamente lo ha fatto alla perfezione. Senza dubbio uno dei motivi del successo record al botteghino di Everything Everywhere All at Once, l’attrice Michelle Yeoh si è aperta in un’intervista (tramite Vanity Fair) sul ruolo e sui temi generali del film. Fin dall’inizio, Yeoh ammette: “Credo che i miei 40 anni di esperienza siano stati come una lunga prova generale per questo film”. Yeoh ha studiato a fondo il personaggio prima di affrontare il film, cambiando persino il modo di camminare di Evelyn per esprimere esternamente i suoi sentimenti sulla vita.

L’attrice ha anche riflettuto molto sull’aspetto di Evelyn, cercando di mostrare al meglio aspetti come il fatto che il personaggio vive alla giornata o aggiungendo ciocche grigie ai capelli per rappresentare visivamente lo stress familiare e finanziario a cui Evelyn è chiaramente sottoposta. Detto questo, al centro del film c’è la discussione sul trauma generazionale e sul rapporto madre-figlia. Everything Everywhere All at Once non è la prima volta che Michelle Yeoh interpreta una madre disapprovante, dato che ha già interpretato il ruolo di Eleanor Young in Crazy Rich Asians.

In particolare, il successo al botteghino di Crazy Rich Asians e Everything Everywhere All At Once parla da sé. Detto questo, a differenza di Crazy Rich Asians, i temi che circondano il rapporto madre-figlia presenti in Everything Everywhere All at Once, come discute Yeoh con Vanity Fair, sono problemi che sfidano i confini culturali (ed economici) e possono essere identificabili da chiunque.

Sebbene il finale di Everything Everywhere All at Once non risolva in modo definitivo il rapporto tra Joy ed Evelyn, c’è un pezzo del puzzle che è chiaro a Yeoh: “È come se dovessimo fare un passo indietro e dire: ‘Vogliamo esserci l’una per l’altra. Non sappiamo ancora come esprimerlo, ma non rinunciamo l’una all’altra’”.

Cosa succede a Jobu Tupaki dopo Everything Everywhere All At Once

Il finale di Everything Everywhere All At Once non chiarisce in modo esplicito cosa succede a Jobu Tupaki, né se la figlia di Evelyn sia davvero tornata ad essere semplicemente Joy. Interpretando i rispettivi ruoli di ogni versione di Evelyn e Joy Wang nel multiverso, Michelle Yeoh e Stephanie Hsu sono state entrambe nominate agli Oscar, con il film che ha ottenuto un totale di 11 nomination. Il meritato riconoscimento riflette il modo in cui il cast e la troupe di Everything Everywhere All At Once sono riusciti a realizzare questa storia unica, fantascientifica e assurda sulla famiglia, l’amore e il significato della vita, lasciando comunque al pubblico domande e misteri su cui riflettere.

Tra questi c’è il destino di Everything Everywhere All At Once villain Jobu Tupaki, la versione Alpha-Verse della figlia di Evelyn, Joy. Dopo che Evelyn e Joy hanno risolto i loro problemi attraverso un confronto tra tutte le versioni di se stesse nel multiverso, Jobu Tupaki è stata vista per l’ultima volta mentre Evelyn le impediva di eseguire il suo piano per porre fine all’insignificanza di tutta l’esistenza.

Tuttavia, dopo che Evelyn e la famiglia di Joy si sono completamente riconciliate, non è chiaro cosa succeda a Jobu Tupaki. Ecco tutto ciò che gli spettatori devono sapere sul destino di Jobu Tupaki nel finale di Everything Everywhere All At Once.

Prime Joy e Jobu Tupaki potrebbero essersi fusi

Durante uno dei primi scontri tra Evelyn e Jobu Tupaki, la cattiva mostra il suo potere e dice di essere ogni versione di Joy, sottintendendo che non c’è una differenza sostanziale tra Joy e Jobu Tupaki. In effetti, durante tutto il film viene suggerito che lo stesso vale per ogni persona, anche per i residenti dell’Alpha-Verse di Everything Everywhere All At Once. Ciò è anche coerente con il funzionamento del salto tra i versi. Come spiegato dalla versione Alpha-Verse del marito di Evelyn, Waymond (Ke Huy Quan), non importa quanto potente sia una persona, in qualsiasi universo alternativo può accedere solo alla propria coscienza.

In realtà, è proprio l’assoluta insignificanza dell’essere Everything Everywhere All At Once che spinge Jobu Tupaki a cercare di distruggere il multiverso con il bagel tutto in primo luogo. Il film non mostra cosa sia successo a Jobu Tupaki dopo lo scontro finale tra Evelyn e Joy perché non era necessario.

Mentre coloro che provengono dall’Alpha-Verse sono considerati il meglio del meglio, Joy è un’estensione di Jobu Tupaki tanto quanto il cattivo lo è di Joy. Alla fine, è ragionevole supporre che si siano completamente fusi, soprattutto dopo che Evelyn ha aiutato Joy a trovare un po’ di catarsi e pace mentale per ogni versione di se stessa.

Everything Everywhere All At Once suggerisce il ritorno di Prime Joy

Stephanie Hsu Everything Everywhere All at Once

Non più armata del bagel né vestita in modo elegante come Jobu Tupaki, Prime Universe Joy sembra essere tornata completamente se stessa nel finale, senza tracce visibili dell’influenza del cattivo. Oltre a vestirsi più come una normale adolescente, altri indizi rivelatori del ritorno di Prime Joy includono non solo la presenza della sua ragazza, ma anche il fatto che la loro relazione sia stata apertamente accettata dal nonno Gong Gong Wang (James Hong), sebbene attraverso l’intervento inizialmente sgradito di Evelyn. Alla fine, Joy aiuta persino l’intera famiglia a risolvere i propri problemi fiscali e incontra Deirdre Beaubeirdra (Jamie Lee Curtis) nel mezzo.

Jobu Tupaki non si abbasserebbe mai a trovare soddisfazione nella banalità della vita normale, quindi tutti gli indizi indicano che Prime Joy ha il pieno controllo di sé stessa. Everything Everywhere All At Once termina con Joy che si riconcilia non solo con Evelyn, ma con tutta la sua famiglia, il che è una prova più che sufficiente per concludere che nelle scene finali del film è Prime Joy e non Jobu Tupaki. Vedendo la saggezza nella visione di Evelyn di trovare un significato nella totale insignificanza del multiverso, Joy è contenta di essere semplicemente se stessa, almeno per ora.

Infatti, anche se Prime Joy potrebbe essere tornata, la realtà è che Jobu Tupaki può riprendere il controllo in qualsiasi momento in futuro. Questo a causa della natura e dello scopo narrativo della relazione tra Joy e Jobu Tupaki nel film. Inoltre, ciò sottolinea anche il significato più profondo dietro le motivazioni dei personaggi che provengono dall’Alpha-Verse.

Se Prime Joy ritorna, dov’è Jobu Tupaki?

Ke-Huy-Quan-Everything-Everywhere-All-at-Once

Come suggerisce il titolo, Jobu Tupaki, come Joy, rimane Everything Everywhere All At Once. È importante capire che le Everything Everywhere All At Once‘s assurde battute, gli elementi fantascientifici e l’intenso dramma multiversale sono allegorie volte a svelare le complesse relazioni tra Evelyn, Joy, Waymond e Gong Gong e il modo in cui la loro famiglia elabora il trauma intergenerazionale.

Mentre Waymond dell’Alpha-Verse rappresenta la potenziale competenza e saggezza che si possono acquisire vivendo una vita piena e senza rimpianti, Joy dell’Alpha-Verse o Jobu Tupaki è l’altra faccia della medaglia: i pericoli di soccombere al nichilismo dopo aver raggiunto ogni possibile obiettivo personale.

Senza Jobu Tupaki, l’Alpha-Verse o gli elementi multiversali di Everything Everywhere All At Once, la storia della famiglia Wang sarebbe un racconto autonomo di amore, guarigione e accettazione. In combinazione con questi elementi simbolici che rivelano ulteriormente i conflitti interni di ciascun personaggio, i loro rimpianti di una vita, le loro speranze e i loro sogni, gli spettatori possono vedere molto di più e comprendere meglio perché la famiglia Wang è così com’è. Interpretando versioni multiple e alternative di se stessi, il cast di Everything Everywhere All At Once è in grado di rivelare più facilmente gli aspetti rilevanti e le motivazioni dei rispettivi personaggi nella trama principale o nell’universo primario.

Il fatto che Everything Everywhere All At Once finisca con Joy al comando non significa che Jobu Tupaki sia scomparsa: lei rimane un aspetto di Joy che può emergere in qualsiasi momento, il che non è necessariamente una cosa negativa. Jobu Tupaki è un monito contro l’indulgenza nei confronti degli impulsi nichilisti e, in ultima analisi, egoistici e autodistruttivi, ma è anche il lato più esperto, creativo e ben vestito di Joy. In effetti, Jobu Tupaki e Joy sono la stessa persona, e sta a loro decidere se continuare a usare i loro doni per la creazione o per la distruzione totale della loro famiglia e del multiverso, sottolineando il vero significato di Everything Everywhere All At Once.

Everything Everywhere All At Once: la spiegazione del multiverso

Il multiverso di Everything Everywhere All at Once  spicca in qualche modo in un’epoca in cui i multiversi sono diventati fin troppo comuni. Scritto e diretto da Dan Kwan e Daniel Scheinert (noti collettivamente come i Daniels), il film approfondisce il concetto di multiverso, scatenando il caos sulla sua ignara protagonista e sconvolgendo il suo mondo. L’avventura fantascientifica è stata elogiata dalla critica per la sua trama, i suoi personaggi e la sua rappresentazione visiva di come potrebbero essere i multiversi. Infatti, Michelle Yeoh ha vinto il Golden Globe 2023 come migliore attrice in un film commedia o musicale per il suo ruolo da protagonista come Evelyn Wang in Everything Everywhere All At Once, mentre Ke Huy Quan ha ottenuto la sua prima nomination come migliore attore in un film.

Everything Everywhere All at Once ha vinto due premi ai Golden Globe 2023 ed è stato nominato per molti altri, a sottolineare l’efficacia e l’unicità con cui affronta il multiverso, un concetto che è stato trattato in una miriade di media. Il concetto stesso si basa su un’ipotesi: che esistano più universi contemporaneamente, ciascuno dei quali è composto dagli stessi elementi che compongono il nostro mondo.

La teoria del multiverso ha messo radici nelle opere di fantascienza, con film, serie TV e fumetti che attingono al concetto per creare le proprie regole e variazioni sui multiversi immaginari. Everything Everywhere All at Once pone il multiverso al centro della sua storia su Evelyn Wang, una donna cinese-americana che viene scelta per salvare il multiverso dalla potenziale distruzione grazie alla doppelgänger di sua figlia, Jobu Tupaki (Stephanie Hsu). La versione del multiverso del film ha molte regole proprie e introduce alcuni modi affascinanti per consentire ai suoi personaggi di spostarsi da un piano dell’esistenza all’altro.

Spiegazione dell’Alpha-Verse di Everything Everywhere All At Once

Nel multiverso di Everything Everywhere All at Once, l’Alpha-Verse è il fiore all’occhiello. Gli abitanti dell’Alpha-Verse sono quelli che conoscono meglio il multiverso, le sue regole e come attingere a ciascuno di essi, perché sono stati i primi a scoprirne l’esistenza. Fondamentalmente, l’Alpha-Verse è stato il primo a sviluppare la tecnologia per tracciare la direzione degli altri universi, nonché la capacità di attingere mentalmente alle altre parti del multiverso. È possibile che l’Alpha-Verse fosse l’universo originale prima che avvenissero tutte le altre divisioni, in modo simile alla Sacred Timeline dell’MCU. Dopotutto, ogni universo parallelo viene creato dopo che qualcuno ha preso una decisione che poi si ramifica, quindi è probabile che l’Alpha-Verse sia uno degli universi più antichi.

La loro tecnologia è stata creata, tuttavia, per tracciare, osservare e conoscere il multiverso senza interferire con il suo equilibrio. L’origine dell’Alpha-Verse in Everything Everywhere All at Once offre una spiegazione migliore del perché sia l’universo principale tra i tanti. Nei fumetti Marvel e DC, invece, il sistema multiverso è numerato e non viene fornita alcuna motivazione sul perché gli universi principali, come Earth-Prime della DC, siano quelli primari. In effetti, i Daniels hanno realizzato un film che permette al pubblico di comprendere il processo mentale alla base dell’Alpha-Verse e perché è considerato l’universo primario. Questo è uno dei motivi per cui Everything Everywhere All At Once è considerato uno dei migliori film di fantascienza del 2022.

Come funziona il multiverso di Everything Everywhere All At Once

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Il multiverso di Everything Everywhere All At Once, come in ogni buona avventura fantascientifica, è governato da regole particolari. Everything Everywhere All at Once può avere un multiverso esteso, ma i personaggi non possono fare tutto ciò che vogliono a loro piacimento. Con l’uso della tecnologia Alpha-Verse, le persone sono in grado di saltare da un universo all’altro, ma non è esattamente come sembra. Waymond di Alpha-Verse, ad esempio, non può semplicemente saltare da un universo all’altro tramite teletrasporto, né può fisicamente passare da un multiverso all’altro a suo piacimento. Piuttosto, il salto tra i versi è la capacità di attingere alla coscienza di un doppelgänger proveniente da un altro universo parallelo e di assumerne il controllo per un breve periodo di tempo. Questo avviene senza che l’altra persona se ne renda conto, motivo per cui Waymond non ricorda nulla dopo che la sua controparte Alpha-Verse ha abbandonato la sua coscienza ed è tornata nella propria.

Questo è simile al dreamwalking di Scarlet Witch e Doctor Strange in varianti di altri universi e, proprio come il dreamwalking, il salto tra i versi nel multiverso di Everything Everywhere All At Once richiede un certo sforzo. I saltatori di versi devono trovare un modo per lanciare la loro mente attraverso il multiverso e nella coscienza di cui hanno bisogno in quel momento. La tecnologia dell’Alpha-Verse calcola con precisione ciò che è necessario; di solito, il saltatore di versi deve fare qualcosa di abbastanza strano e ridicolo per riuscirci. Dichiarare il proprio amore al nemico o infilarsi un oggetto appuntito nel sedere sono solo alcune delle strane situazioni in cui si trovano i personaggi. Inoltre, Evelyn, Alpha-Verse Waymond, Everything Everywhere All At Once il cattivo Jobu Tupaki, così come altri personaggi, devono aspettare che i loro dispositivi per il salto tra i versi, simili a cuffie, diventino verdi prima di poter saltare, per garantire un ingresso completo e sicuro nella coscienza del doppelgänger. Altrimenti, come Evelyn ha capito rapidamente, il salto tra i versi sconvolgerà la sua mente e confonderà i confini tra ogni salto.

Perché Joy ed Evelyn sono state in grado di accedere a così tanti universi

Everything Everywhere All At Once film recensione
Michelle Yeoh, Jamie Lee Curtis Photo Credit: Allyson Riggs

Alpha-Verse Joy è la prima a poter accedere al multiverso a piacimento perché Alpha-Verse Evelyn ha spinto sua figlia a sperimentare il salto tra i versi. Quando la situazione è diventata insostenibile, la mente di Alpha-Verse Joy (o Jobu Tapaki) non è riuscita a guarire tra un salto e l’altro e ha diviso la sua coscienza nel multiverso, permettendole di saltare tra i versi a piacimento e di attingere contemporaneamente alle menti dei suoi doppelgänger. La mente di Evelyn è tornata alla normalità alla fine di Everything Everywhere All At Once. Dopo aver saltato così spesso da un universo all’altro, senza essere completamente pronta e senza permettere alla sua mente di riprendersi dai salti precedenti, anche la coscienza di Evelyn si è divisa mentre attingeva a tutte le versioni di se stessa nel multiverso.

Come il multiverso di Everything Everywhere All At Once si confronta con quello di Marvel e DC

Jamie Lee Curtis Everything Everywhere All at Once

Il multiverso è un concetto che è stato esplorato in diversi media, tra cui fumetti, programmi televisivi e altri film. La serie animata Rick and Morty ha affrontato il tema del multiverso, mostrando i suoi personaggi principali interagire con diverse versioni di se stessi. Anche Spider-Man: Into the Spider-Verse ha esplorato con successo un piano multiversale che ha visto il suo protagonista, Miles Morales, interagire con varie iterazioni del suo alter ego supereroistico. Più recentemente, Spider-Man: No Way Home ha aperto le porte al multiverso dopo che l’incantesimo di Doctor Strange è andato storto, portando diversi cattivi che conoscevano l’identità di Spider-Man. Nel mondo dei fumetti, come tipicamente accade anche nelle loro controparti live-action, non tutti gli universi hanno una serie di doppelgänger. Un’altra terra potrebbe essere proprio questo, un’altra terra, con persone diverse e un’estetica diversa, ma tutte esistenti all’interno della stessa bolla.

Ciò che distingue il multiverso di Everything Everywhere All at Once dai tipici film di supereroi/fantascienza è la spiegazione alla base della sua esistenza. Il mondo nel film è principalmente causa ed effetto. Ogni mondo parallelo è uguale sotto molti aspetti, ma ogni volta che qualcuno fa una scelta che devia da una certa traiettoria si forma un nuovo universo. Kung Fu Evelyn è diventata un’attrice perché ha scelto di non lasciare i suoi genitori per sposare Waymond; l’universo degli hot dog esiste a causa di un cambiamento evolutivo nel passato dell’umanità. Questo è uno dei motivi principali per cui il multiverso di Everything Everywhere All At Once è senza dubbio migliore sia dell’MCU che del DCEU. Non è che i vari mondi del multiverso esistano separatamente o siano specchi esatti, ma sono tutti nati in connessione con un mondo precedente. Inoltre continua a crescere, come un albero e i suoi rami, collegati tra loro dalle radici. Questo conferisce a Everything Everywhere All at Once una visione unica, poiché guarda al multiverso e alle sue molteplici sfaccettature con occhi nuovi.

Everything Everywhere All At Once era solo una parodia della fantascienza popolare?

Jobu Tupaki dopo Everything Everywhere All At Once

Anche se a prima vista potrebbe sembrare che il multiverso di Everything Everywhere All at Once sia una satira dell’ossessione della fantascienza e del fantasy popolari per l’idea dei multiversi, in realtà non è inteso come una parodia. Insieme a Rick and Morty, The Witcher, e ai film Marvel e DC, Everything Everywhere All At Once fa parte di un’ondata di media contemporanei che utilizzano il concetto di multiverso come espediente narrativo. Tuttavia, rispetto a tutti questi altri film e serie TV, Everything Everywhere All At Once ha un significato più profondo perché è un film girato in un’unica ripresa e a basso budget che riesce in qualche modo a realizzare l’esplorazione più avvincente del multiverso nella storia recente.

Sebbene l’umorismo alla base del film lo faccia sembrare una parodia, Everything Everywhere All At Once è un film serio sulla ricerca di un significato nella vasta insignificanza delle infinite possibilità del multiverso. In definitiva, il film si distingue nella fantascienza/fantasy contemporanea perché utilizza abilmente l’idea dei multiversi per creare una storia divertente ma sincera che arriva al cuore del motivo per cui scienziati e filosofi hanno concepito l’idea del multiverso in primo luogo: la ricerca infinita dell’umanità del significato della vita. In effetti, Everything Everywhere All At Once non è una parodia del multiverso/linee temporali alternative dell’MCU o di qualsiasi altra popolare storia multiversale mainstream, ma i generi supereroistico e fantascientifico possono sicuramente imparare qualcosa dal modo in cui i Daniels hanno utilizzato il multiverso per raccontare una storia in cui ogni famiglia può identificarsi.

Six jours ce printemps-là: recensione del nuovo film di Joachim Lafosse – #RoFF20

Dopo A silence, Joachim Lafosse ritorna alla festa del cinema di Roma con Six Jours ce printemps-là, un dramma che affronta i temi delle disparità economiche e dei disagi familiari. Il film ha avuto la sua premiere alla 73esima edizione del San Sebastián Film Festival lo scorso settembre, dove ha vinto due premi come miglior regia e miglior sceneggiatura, per poi essere presentato all’Odesa International Film Festival e alla Festa del cinema di Roma. Il cast è formato principalmente da figure note prevalentemente nel panorama cinematografico nazionale: Eye Haïdara (Patriot) qui interpreta Sana, una madre divorziata che cerca di conciliare la propria vita privata con la necessità di crescere e mantenere al meglio i suoi due figli. Al suo fianco ritroviamo Jules Waring (Colonia) nei panni di Jules, nuovo compagno di Sana ed ex allenatore di calcio dei suoi due bambini.

Six jours ce printemps-là: delle vacanze felici

Il film ha inizio in un tetro e squallido appartamento di città: qui vivono Sana con i suoi due figli. Sana è una madre single, e fa due lavori per poter far quadrare tutto, un lavoro da ufficio durante il giorno e la cameriera la sera. Sono in arrivo però le vacanze e l’idea è proprio di riposarsi insieme a Jules, nuovo compagno ancora segreto di Sana.

Non potendosi permettere un albergo e non potendo stare da Jules, tutti e quattro si recano a Saint-Tropez: qui entrano in una magnifica villa, appartenente ai nonni dei due bambini, dal lato paterno. Sana, avendo divorziato dal marito, non potrebbe più recarsi in tale casa, ma lo fa ugualmente, pur rischiando una denuncia e soprattutto la perdita della custodia dei figli. Tutto pur di regalare dei meritati momenti di gioia e spensieratezza ai bambini e a sé stessa.

Sana e i suoi figli, insieme a Jules, trascorrono degli splendidi giorni al mare, ma, nonostante tutte le precauzioni prese da Sana, la loro presenza non passerà totalmente indisturbata.

Six jours ce printemps-là: le ingiustizie economiche

Tema focale di Six jours ce printemps-là è certamente la disparità economica che pone a confronto, da un lato, Sana, e dall’altro l’ex marito e la sua famiglia. Mentre Sana ha difficoltà a garantire il minimo indispensabile per sé stessa e i propri figli, i suoceri vivono nel lusso più sfrenato; ed è proprio perché anche lei sente propria questa ingiustizia, che è disposta a rischiare anche tanto pur di permettere ai bambini di avere le vacanze che meritano.

I motivi per cui la donna si addossa un tale rischio sono quindi principalmente per l’amore dei figli e, certamente, per un sentimento di risentimento nei confronti dei suoceri che l’hanno totalmente tagliata fuori dalla propria famiglia nel momento della separazione dall’ex marito.

Un divorzio silenzioso

Altro elemento interessante in Six jours ce printemps-là è proprio il fatto che non vengono spiegate in alcun modo le ragioni o le dinamiche della separazione tra Sana e l’ex marito. Anzi, è interessante notare come le informazioni sul legame tra la donna, i bambini e la lussuosa vita di Saint-Tropez si rivelino pian piano allo spettatore.

Molto però è lasciato in Six jours ce printemps-là alla libera interpretazione del pubblico: è probabile che l’unione tra Sana e l’ex marito sia stata osteggiata dalla famiglia di lui, proprio perché chiaramente la donna non proveniva da una condizione sociale ed economica agiata come la loro. È oltretutto possibile che la separazione sia stata burrascosa per motivi legati a tradimenti: Sana potrebbe aver intrapreso una relazione con Jules già prima di lasciare il marito. Tutto sembra poter essere possibile; ciò che però è chiaro nel finale è un forte classismo e risentimento che anima i suoceri, tanto da dare un finale drammatico e ingiusto a questa storia.

Non è neanche possibile se oltre all’elemento del classismo vi sia anche una forma di razzismo, in quanto l’ex marito e i suoceri non sono mai propriamente mostrati nel film: restano delle persistenti voci da fuori campo.

Six jours ce printemps-là è un dramma abbastanza potente, che sottolinea l’importanza per tutti di un po’ di meritata spensieratezza, nonostante le difficoltà della vita quotidiana.

Dreams: recensione del nuovo film con Jessica Chastain – #RoFF20

Amore, sesso e potere nelle relazioni talvolta si confondono, creando un intreccio poi difficile da districare. Dreams, nuova pellicola scritta e diretta da Michel Franco, porta sul grande schermo della Festa del cinema di Roma proprio questa tematica. Il film è stato presentato in anteprima mondiale al Festival internazionale del cinema di Berlino lo scorso febbraio, dove era in lizza per l’Orso d’oro. Il ruolo dei due protagonisti viene affidato a Jessica Chastain (Interstellar, The help), la quale aveva già collaborato con Franco in Memory nel 2023, e al ballerino messicano Isaac Hernandez (Qualcuno deve morire). Altre figure frequenti in Dreams sono interpretate da Rupert Friend (Orgoglio e pregiudizio, La trama fenicia) e Marshall Bell (Stand by me- Ricordo di un’estate, Nessuno di speciale).

Dreams: l’amore oltre i confini

Jennifer McCarthy proviene da una ricca famiglia filantropica di San Francisco: dedica la propria vita a gestire la McCarthy Foundation a nome del padre. Tra le attività intraprese dalla fondazione c’è un’accademia di danza in Messico: è qui che Jennifer incontra Fernando, un talentuoso e affascinante ballerino classico. I due intraprendono una relazione appassionata, contrastata dall’impossibilità di lui di potersi stabilire legalmente negli Stati Uniti.

Così, il giovane intraprende un’estenuante e pericoloso viaggio nascosto in un camion per oltrepassare il confine e poter tornare dalla propria amata. Jennifer, nella paura che lui possa essere nuovamente deportato e dell’opinione pubblica, tende a nascondere Fernando. Quando quest’ultimo cercherà di trovare da solo la propria strada, entrando in un’altra compagnia di ballo, gli equilibri di potere si romperanno tra i due e le verità nascoste non tarderanno a venire a galla. La passione così focosa tra i due non potrà che portarli ad un finale burrascoso e quasi sadico, denso di vendetta.

Dreams: un amore di sacrifici

Fin dalle prime scene del film, è visibile in Dreams come Fernando sia effettivamente disposto a sacrificare molto per poter vivere negli Stati Uniti con Jennifer: intraprende un pericoloso e sicuramente costoso viaggio per oltrepassare illegalmente la frontiera con il Messico, percorrendo lunghi tratti a piedi senza cibo ne acqua. Questo mostra certamente un certo attaccamento alla giovane americana: se lui è disposto a sacrificare così tanto, lo stesso non sembra valere per lei.

Crediti Teorema

Jennifer, infatti, sente da subito la difficoltà di mantenere la propria relazione con Fernando, la quale, pur regalandole tanti momenti felici e di passione, è comunque per lei motivo di vergogna, considerando la sua posizione sia economica che sociale. Anche quando Fernando fa ritorno in Messico, lei non riesce propriamente ad abbandonare tutto, o almeno qualcosa, per vivere li con lui.

Passione e potere

Tema focale di Dreams è certamente il rapporto di forte passione che lega Fernando e Jennifer. Sarebbe facile pensare che si tratti di amore: magari nella prima parte del film, osservando i sacrifici di uno e il forte attaccamento dell’altra, il sentimento che lega i due potrebbe essere considerato amore, ma chiaramente non lo è. Ciò è molto più chiaro col decorrere degli eventi: ciò che lega i due è certamente una forte passione, un’irresistibile tensione sessuale e forse qualcosa in più.

Quello che emerge nell’ultima parte del film è un rapporto di potere, dove Jennifer cerca di controllare le condizioni della sua relazione con Fernando, tenendolo all’oscuro delle sue azioni. Allo stesso modo Fernando cercherà, in una maniera quasi sadica, di imporsi su Jennifer, in un miscuglio di sete di potere e di vendetta nei confronti della donna.

A rimarcare maggiormente questi rapporti di potere, prima che questi vengano esplicitati nel finale, il regista colloca anche diverse scene con intensi e lunghi sguardi. Un esempio è la scena in cui Jennifer porta a Fernando i biglietti per un balletto: i due si incontrano pubblicamente nel bar in cui lui lavora e, non potendo propriamente interagire, si fissano per un lasso di tempo che sembra infinito, come se nessuno dei due volesse distogliere lo sguardo per primo.

Il balletto che unisce e divide

La danza è ciò che ha unito in prima battuta Jennifer e Fernando, portandoli a conoscersi e innamorarsi. Durante tutto Dreams il balletto sembra essere un personaggio latente, un qualcosa in più che crea la giusta atmosfera di passione, finendo però per non essere sviluppato magari a pieno.

Da elemento di unione, la danza diverrà poi nell’ultima scena proprio il definitivo elemento di frattura tra i due.

Dreams, pur mantenendo un intreccio semplice, racchiude in sé una perfetta rappresentazione di passione e mostra cosa l’essere umano è disposto a fare per essa.

Jennifer Lawrence incanta alla Festa di Roma con un look Dior da red-carpet

La star hollywoodiana Jennifer Lawrence ha illuminato il red carpet della Festa del Cinema di Roma 2025 lunedì 20 ottobre, in occasione della première di Die, My Love. Sul tappeto all’Auditorium Parco della Musica, l’attrice ha fatto un ingresso elegante e raffinato, conquistando l’attenzione tra i fotografi e la folla di fan in attesa.

Lawrence, ambasciatrice da lungo tempo della maison Dior, ha indossato un outfit della collezione Primavera/Estate 2026 firmata dal direttore creativo Jonathan Anderson: un mix sorprendente tra casual e couture, con un maglione color sabbia dal taglio rilassato abbinato a una maxi-gonna in tulle bianco a pois con volume balloon. Scarpe nere a punta, cinturino sottile e dettagli dallo stile aristocratico hanno completato il look perfettamente calibrato tra tradizione e modernità.

La scelta dell’abito segna anche un momento significativo nel percorso dell’attrice: uscita da un periodo di riflessione e attesa, Jennifer Lawrence torna sotto i riflettori in un contesto che unisce glamour, cinema d’autore e stile. La pellicola “Die, My Love” è stata presentata con grande attesa, e il red carpet di Roma è stato il palcoscenico perfetto per segnare questo ritorno in grande stile.

Look, atmosfera e messaggi

  • L’atmosfera dell’evento era elettrizzante: fan in fila ore prima, flash incessanti, e l’attrice che ha sorriso con disinvoltura affrontando l’attenzione mediatica.

  • Il contrasto nel suo outfit — maglione sportivo e gonna couture — è stato interpretato come una dichiarazione di stile, che riflette la dualità dell’attrice tra star globale e interprete impegnata.

  • Il film che presenta, “Die, My Love”, diretto da Lynne Ramsay e tratto da un romanzo di Ariana Harwicz, affronta temi complessi come la maternità e la perdita: una scelta di carriera che combina impegno e figura pubblica.

La presenza di Jennifer Lawrence alla Festa del Cinema di Roma non è stata solo un momento di promozione, ma una vera e propria celebrazione del suo stile e della sua evoluzione professionale. Tra glamour internazionale e cinema d’autore, l’attrice ha saputo trasformare un red carpet in una dichiarazione di intenti.

Re-Creation, recensione del film di Jim Sheridan -#RoFF20

Presentato in concorso nella sezione Progressive Cinema alla Festa del Cinema di Roma 2025, Re-Creation segna il ritorno di Jim Sheridan, sei volte candidato all’Oscar, autore di capolavori come Nel nome del padre e In America. Questa volta il regista irlandese, insieme al co-regista Merriman, si confronta con una storia vera – l’omicidio di Sophie Toscan du Plantier, avvenuto nel 1996 nella contea di Cork – e con l’enigma che per quasi trent’anni ha diviso l’opinione pubblica: la colpevolezza o l’innocenza del giornalista Ian Bailey, accusato in Francia ma mai estradato dall’Irlanda.

Sheridan e Merriman immaginano un processo che nella realtà non è mai avvenuto: dodici giurati si riuniscono per discutere il caso, riesaminando prove, testimonianze e contraddizioni. Sheridan stesso interpreta il giurato numero 1, trasformando la finzione giudiziaria in un esperimento morale, quasi teatrale, dove la verità si misura attraverso le coscienze dei personaggi più che con i documenti.

Re-Creation: la giuria come specchio dell’animo umano

Al centro del film si impone Vicky Krieps, giurato numero 8, unica voce dissonante nella prima votazione: quando tutti dichiarano Bailey colpevole, lei sussurra “I have a gut feeling”, un presentimento, una sensazione di pancia che incrina la certezza collettiva. È l’inizio di un percorso di confronto, in cui il dubbio diventa strumento di indagine e di empatia. Dall’altra parte del tavolo, il giurato numero 3, interpretato da John Connors, incarna la rigidità del pregiudizio: convinto della colpevolezza dell’imputato, si aggrappa ai fatti con ostinazione, incapace di separare il giudizio oggettivo dal proprio vissuto.

Attraverso il confronto tra i dodici, Sheridan e Merriman costruiscono una narrazione corale in cui ogni giurato, scavando nel caso, finisce per confrontarsi con i propri traumi, le proprie mancanze, le colpe irrisolte della propria vita. La ricostruzione del delitto si intreccia così con la ricostruzione dell’interiorità dei personaggi: giudicare Bailey diventa un modo per giudicare se stessi.

Crediti Rich Gilligan

Dalla cronaca alla riflessione etica

Re-Creation prende le mosse da un fatto di cronaca, ma la sua forza è nel trasformare il caso giudiziario in una riflessione sulla giustizia e sulla percezione della verità. Sheridan e Merriman mescolano linguaggio documentaristico e introspezione psicologica: le vere prove del caso – filmati, testimonianze, fotografie – vengono integrate nel racconto come materiale d’archivio, ma è l’umanità dei giurati a guidare la narrazione.

L’idea del “ricreare” non è solo un artificio narrativo, ma un atto di responsabilità civile: il tentativo di dare alla vittima, Sophie Toscan du Plantier, il processo che non ha mai avuto in Irlanda. In un’epoca in cui la giustizia sembra spesso piegata alle logiche mediatiche, Re-Creation riporta l’attenzione sul dubbio come fondamento della verità, mostrando come ogni sentenza sia anche un riflesso del nostro modo di vedere il mondo.

Co-regia e stile narrativo in Re-Creation

L’apporto di David Merriman come co-regista e co-sceneggiatore non è solo formale: insieme a Sheridan costruisce un linguaggio visivo che fonde teatro, cinema di camera e documentario. Lo spazio principale è la sala riunioni della giuria – poche scenografie, inquadrature concentrate sui volti, poca mobilità di macchina. Una claustrofobia controllata che restituisce il ritmo intenso delle deliberazioni. La scelta di co-direzione permette un equilibrio tra la voce autorale tradizionale di Sheridan e un tono più contemporaneo, quasi sperimentale, di Merriman: attori che portano la propria storia (come John Connors), momenti in cui la finzione si ferma e lascia posto alla testimonianza.

Questo mix si riflette anche nella struttura del film: la sequenza iniziale funge da “briefing” dei fatti, poi l’atto centrale è il dibattito – più teatrale che cinematografico – e finalizza con momenti di confessione, dubbi e decisioni che restano in sospeso. Il risultato è un film che più che raccontare mostra: mette lo spettatore al centro della stanza, lo invita a giudicare insieme ai giurati.

Crediti Rich Gilligan

Re-creation: una riflessione sulla colpa e sull’identità

Dietro l’apparato giudiziario, Re-Creation è un film profondamente umano. Ogni giurato porta con sé una ferita: la perdita, la violenza, il rimorso. Le discussioni diventano confessioni, e il processo si trasforma in un percorso di consapevolezza. Re-Creation suggerisce che la giustizia non è mai solo istituzionale, ma personale – un atto che richiede ascolto, empatia e il coraggio di cambiare idea.

Il personaggio di Ian Bailey (interpretato da Colm Meaney), mostrato poche volte e senza battute, rimane volutamente ambiguo. Era un giornalista ossessionato dal caso che lo rese celebre? Un manipolatore? O semplicemente un uomo travolto da un sistema incapace di distinguere la verità dal sospetto? Sheridan e Merriman lasciano la domanda aperta, ricordando che la giustizia, come il cinema, non è mai neutra.

Un ritorno maturo per Jim Sheridan

Con Re-Creation, Jim Sheridan firma uno dei suoi lavori più personali e ambiziosi. Dopo anni di silenzio, il regista torna alle sue radici: raccontare l’Irlanda, le sue ferite, le sue verità taciute. La presenza di Vicky Krieps aggiunge grazia e profondità a un film che vive di parole, di pause e di sguardi.

Re-Creation non è un film di certezze, ma di domande: sulla giustizia, sulla memoria, sull’essere umano. Sheridan e Merriman ricreano un processo, ma in realtà mettono sotto processo tutti noi – spettatori, giudici e testimoni di un mondo dove la verità, troppo spesso, resta un verdetto sospeso.

Michael Fassbender protagonista della serie Kennedy di Netflix

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Netflix e Chernin Entertainment hanno annunciato la nuova serie drammatica Kennedy, che esplorerà i trionfi e le tragedie della famiglia Kennedy. Michael Fassbender (The Agency, Black Bag) è stato scelto per interpretare il patriarca Joe Kennedy Sr.

Kennedy è basata sul libro di Fredrik Logevall JFK: Coming of Age in the American Century, 1917-1956, e sarà prodotta da Sam Shaw (Manhattan, Masters of Sex) e diretta da Thomas Vinterberg (Festen, Un altro giro), con tutti e tre nel ruolo di produttori esecutivi.

Secondo la trama ufficiale, la serie di otto episodi rivelerà “le vite intime, gli amori, le rivalità e le tragedie che hanno plasmato la dinastia più iconica della storia moderna e contribuito a creare il mondo in cui viviamo oggi. A partire dagli anni ’30, la prima stagione racconta l’improbabile ascesa di Joe e Rose Kennedy e dei loro nove figli, tra cui il ribelle secondogenito Jack, che lotta per sfuggire all’ombra del fratello maggiore, ragazzo d’oro”.

Kennedy Sr. guidò la dinastia politica dei Kennedy insieme alla moglie Rose, genitori del presidente John F. Kennedy, del senatore Robert F. Kennedy e del senatore Edward “Ted” Kennedy, tra un totale di nove figli. Pur essendo fortemente impegnati nel mondo della politica, la loro vita professionale e personale si intrecciò con quella di Hollywood per diverse generazioni. Prima di aiutare i suoi tre figli a lanciare la loro carriera politica, Joe Kennedy ebbe una carriera governativa di alto profilo. Fu nominato dal presidente Franklin D. Roosevelt primo presidente della SEC (1934-35), primo direttore della Commissione marittima degli Stati Uniti (1936-38) e ambasciatore degli Stati Uniti nel Regno Unito (1938-40) durante i primi anni della seconda guerra mondiale.

L’annuncio della serie sui Kennedy segue il successo di Netflix con la serie drammatica storica The Crown, l’acclamata serie in sei stagioni che racconta il regno della regina Elisabetta II. La serie ha ricevuto 24 Emmy Awards su un totale di 87 nomination, tra cui quello per la migliore serie drammatica per la stagione 4 nel 2021, e numerosi premi per la recitazione. Inoltre, la piattaforma di streaming ha esplorato la vita dell’imperatrice Elisabetta d’Austria nella serie tedesca The Empress nel 2022. Con Devrim Lingnau nel ruolo principale, il cast ha iniziato a lavorare alla terza stagione della serie all’inizio di questo autunno.

Oltre a Shaw, Vinterberg e Logevall, i produttori esecutivi sono Peter Chernin, Jenno Topping e Kaitlin Dahill per Chernin Entertainment, Eric Roth, Lila Byock, Anya Epstein, Dustin Thomason e Anna O’Malley. Fassbender è invece attualmente protagonista della serie Showtime The Agency nel ruolo di Brandon Colby. Prossimamente lo vedremo in Hope, il film scritto, diretto e prodotto da Na Hong-jin in cui recita al fianco della moglie Alicia Vikander, in uscita il prossimo anno.

Spider-Man: Brand New Day, prima immagine di Mark Ruffalo sul set

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Spider-Man: Brand New Day onora la tradizione della precedente trilogia Marvel Cinematic Universe di Tom Holland, poiché un Avenger prenderà parte al quarto capitolo. Dopo essere stato assente dalla timeline MCU dalla fine del 2021, l’Uomo Ragno è a meno di un anno dal suo ritorno sul grande schermo.

Con le riprese ancora in corso, @UnBoxPHD ha rivelato la prima immagine di Mark Ruffalo (la si può vedere qui) nei panni di Bruce Banner dal set di Spider-Man: Brand New Day. Durante una pausa delle riprese, il veterano dell’MCU è stato avvistato con indosso un cappotto verde, in piedi accanto a diversi membri della troupe.

Quello che sappiamo su Spider-Man: Brand New Day

Ad oggi, una sinossi generica di Spider-Man: Brand New Day è emersa all’inizio di quest’anno, anche se non è chiaro quanto sia accurata.

Dopo gli eventi di Doomsday, Peter Parker è determinato a condurre una vita normale e a concentrarsi sul college, allontanandosi dalle sue responsabilità di Spider-Man. Tuttavia, la pace è di breve durata quando emerge una nuova minaccia mortale, che mette in pericolo i suoi amici e costringe Peter a riconsiderare la sua promessa. Con la posta in gioco più alta che mai, Peter torna a malincuore alla sua identità di Spider-Man e si ritrova a dover collaborare con un improbabile alleato per proteggere coloro che ama.

L’improbabile alleato potrebbe dunque essere il The Punisher di Jon Bernthal recentemente annunciato come parte del film – in una situazione già vista in precedenti film Marvel dove gli eroi si vedono inizialmente come antagonisti l’uno dell’altro salvo poi allearsi contro la vera minaccia di turno.

Di certo c’è che il film condivide il titolo con un’epoca narrativa controversa, che ha visto la Marvel Comics dare all’arrampicamuri un nuovo inizio, ponendo però fine al suo matrimonio con Mary Jane Watson e rendendo di nuovo segreta la sua identità. In quel periodo ha dovuto affrontare molti nuovi sinistri nemici ed era circondato da un cast di supporto rinnovato, tra cui un resuscitato Harry Osborn.

Il film è stato recentemente posticipato di una settimana dal 24 luglio 2026 al 31 luglio 2026. Destin Daniel Cretton, regista di Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli, dirigerà il film da una sceneggiatura di Chris McKenna ed Erik Sommers. Tom Holland guida un cast che include anche Zendaya, Jacob Batalon, Mark Ruffalo, Sadie Sink e Liza Colón-Zayas e Jon Bernthal. Michael Mando è stato confermato mentre per ora è solo un rumors il coinvolgimento di Charlie Cox.

Spider-Man: Brand New Day uscirà nelle sale il 31 luglio 2026.

I Play Rocky: prima immagine di Anthony Ippolito nel ruolo di Sylvester Stallone

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Un’immagine tratta da I Play Rocky rivela per la prima volta ufficialmente l’incredibile attore che interpreta Sylvester Stallone in una scena iconica. Diretto da Peter Farrelly (Green Book), il film di prossima uscita racconta la tumultuosa realizzazione del classico film del 1976, Rocky, con Anthony Ippolito nel ruolo del giovane Stallone.

L’immagine (la si può vedere qui) mostra  Stallone, interpretato da Ippolito, che corre sulla spiaggia con il suo cane Butkus, il bull mastiff di Stallone che ha recitato in Rocky. L’immagine riprende una scena iconica di Rocky III (1982), in cui il pugile protagonista corre sulla spiaggia con il suo ex rivale diventato allenatore, Apollo Creed (Carl Weathers). Tuttavia, lo Stallone di Ippolito indossa la tuta da corsa grigia del personaggio dell’originale Rocky.

Su Instagram, la foto è stata accompagnata dalla didascalia: “È in corso la produzione di I PLAY ROCKY, con Anthony Ippolito. Il film racconta la vera storia di Sylvester Stallone e della sua incrollabile convinzione di non essere destinato solo a scrivere Rocky, ma di essere destinato a essere Rocky Balboa”.

Cosa c’è da sapere sul film I Play Rocky

La prima immagine ufficiale arriva pochi giorni dopo la pubblicazione online delle prime foto dal set di I Play Rocky, che mostrano la trasformazione di Anthony Ippolito in Sylvester Stallone. Oltre a Ippolito, il cast include Stephan James nel ruolo di Carl Weathers, AnnaSophia Robb nel ruolo della prima moglie di Stallone, Sasha Czack, e Matt Dillon nel ruolo del padre di Stallone, Frank Stallone Sr.

Nel cast figurano anche P.J. Byrne nel ruolo del produttore di Rocky Irwin Winkler, Toby Kebbell nel ruolo del produttore Robert Chartoff e Jay Duplass nel ruolo del regista John G. Avildsen. Sandy Letts interpreta anche un personaggio che riunisce le caratteristiche di diversi dirigenti degli studi hollywoodiani.

Con una sceneggiatura scritta da Peter Gamble, I Play Rocky esplorerà la storia di come Stallone, un attore ventinovenne in difficoltà, scrisse la sceneggiatura di Rocky in tre giorni e mezzo, ma si rifiutò di venderla a meno che non fosse stato scritturato anche come protagonista. Dopo aver rifiutato diverse offerte a sei cifre, riuscì a produrre il film con meno di un milione di dollari.

I Play Rocky esplorerà dunque la storia dell’outsider che è riuscito a diventare il film di maggior incasso dell’anno e ad essere nominato per 10 premi Oscar, tra cui quello per il miglior film. Il film ha avuto un impatto enorme su Hollywood e ha portato a cinque sequel e alla serie spin-off Creed, che hanno incassato un totale di 1,9 miliardi di dollari.

Black Phone 3 si farà solo a una condizione, rivela il regista della saga

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Dopo che Black Phone 2 ha conquistato il primo posto al botteghino nel weekend di apertura, ponendo fine al calo di incassi della Blumhouse, non sorprende che si stia già parlando di un terzo film della serie horror. Tuttavia, il regista della serie Scott Derrickson ha posto una condizione fondamentale per decidere se Black Phone 3 vedrà la luce.

In un’intervista con Variety avvenuta prima dell’uscita di Black Phone 2 nelle sale cinematografiche il 17 ottobre, a Derrickson è stato chiesto cosa potrebbe riservare il futuro al Grabber (interpretato da Ethan Hawke) in un terzo film. La chiave per Derrickson è che non vuole che un potenziale terzo film sia un “rifacimento” di ciò che la serie ha già fatto. Ha aggiunto:

Quello che posso dire è che il mio atteggiamento nei confronti di un sequel è che non c’è davvero alcuna giustificazione per realizzarne uno, a meno che non si stia sinceramente cercando di realizzare un film migliore del primo. Se si vuole realizzare un terzo film, questo deve essere migliore del secondo, che a sua volta deve essere migliore del primo. Pochissimi film riescono in questo intento.

L’originale The Black Phone, uscito nel 2022, seguiva un giovane adolescente di nome Finney (Mason Thames), rapito da un serial killer chiamato Grabber. Mentre è tenuto prigioniero, Finney scopre di poter sentire le voci delle vittime passate di Grabber attraverso un telefono scollegato. Con questo e l’aiuto di sua sorella, Gwen (Madeleine McGraw), Finney riesce a uccidere Grabber.

In Black Phone 2, tuttavia, Finney e Gwen continuano a essere tormentati dal Grabber, che torna dalla morte e ha una serie di nuovi poteri che lo rendono ancora più spaventoso.

Alcuni indicatori potrebbero mettere in dubbio che Derrickson abbia soddisfatto la sua stessa condizione con Black Phone 2: il sequel è “Certified Fresh” su Rotten Tomatoes, ma è inferiore a The Black Phone sia nella valutazione della critica che in quella del pubblico;.

Derrickson ammette quanto sia difficile realizzare con successo una trilogia che migliori progressivamente. Nell’intervista, afferma che la trilogia Evil Dead di Sam Raimi e la trilogia Night of the Living Dead di George Romero sono gli unici due esempi nella storia del cinema di trilogie in cui tutti e tre i film sono ottimi e migliorano progressivamente.

Resta da vedere se Black Phone 3 avrà la possibilità di entrare in quella lista. È ancora troppo presto per avere un quadro completo degli incassi al botteghino, ma Black Phone 2 ha superato il suo predecessore nel weekend di apertura, con 42,01 milioni di dollari contro i 35,89 milioni di dollari in tutto il mondo. Al momento, però, non c’è alcuna conferma che verrà realizzato un terzo film della serie Black Phone.

Tron: Ares, quanto denaro perderà Disney lo rivela in un nuovo rapporto

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Mentre il tanto atteso sequel continua a faticare a decollare nelle sue prime settimane, i guadagni finanziari di Tron: Ares sembrano molto più scarsi. Il franchise di fantascienza, incentrato sul conflitto tra l’umanità e i programmi simili a gladiatori in una realtà virtuale conosciuta come Grid, si è dimostrato uno dei più famigerati nella storia di Hollywood, sempre elogiato per i suoi effetti visivi, ma sempre criticato per la sua trama.

Lo sviluppo di Tron: Ares è stato anche uno dei più travagliati di Hollywood, con il flop al botteghino di Legacy e alcune altre delusioni della Disney, che hanno portato lo studio a ordinare numerose riscritture prima di essere finalmente messo in pausa e rimodellato per non essere un seguito diretto del sequel del 2010. Con Jared Leto come protagonista, Ares ha avuto un inizio difficile sia con la critica che al botteghino, rimanendo ben al di sotto delle previsioni iniziali.

Ora, secondo un nuovo rapporto di Deadline, Tron: Ares dovrebbe causare una perdita di circa 132,7 milioni di dollari alla Disney. Fonti indicano che il budget per il sequel di fantascienza è in realtà molto più alto dei 170 milioni di dollari precedentemente riportati, con un costo attuale pari a 220 milioni di dollari al netto dei costi. Tuttavia, si nota anche che la cifra della perdita deriva da un incasso finale previsto di 160 milioni di dollari in tutto il mondo per il film.

Per chi ha familiarità con il franchise di Tron, potrebbe non essere una grande sorpresa che Ares stia avendo così tante difficoltà al botteghino. Nessuno dei primi due film è stato tecnicamente un flop, ma sono stati considerati dalla Disney come deludenti in generale, soprattutto se abbinati alle recensioni. Invece, negli anni successivi alla loro uscita, l’originale e Legacy sono diventati più noti come classici di culto, accumulando una base di fan appassionati attraverso i media domestici.

Per quanto riguarda Tron: Ares, però, i problemi al botteghino erano già prevedibili prima dell’uscita del film. Tanto per cominciare, Jared Leto non ha dimostrato di essere più l’attrazione di un tempo, soprattutto quando si tratta di progetti di successo, dato che la sua partecipazione al DC Extended Universe e la sua famigerata interpretazione in Morbius lo hanno rapidamente reso più un meme che un attore amato.

Uno degli altri grandi ostacoli che Ares ha dovuto affrontare nella sua distribuzione nelle sale è stato il fatto che fosse completamente scollegato da Tron: Legacy. A parte il ritorno di Jeff Bridges nel ruolo del protagonista originale Kevin Flynn e le foto d’archivio di Sam (Garrett Hedlund) e Quorra (Olivia Wilde), il film è praticamente un’opera a sé stante, allontanando così i fan del film del 2010 che speravano di vedere il proseguimento della trama.

Dato che il film è solo alla sua terza settimana e attualmente deve competere solo con il già uscito Black Phone 2 e il prossimo Springsteen: Deliver Me from Nowhere, c’è ancora una possibilità che Tron: Ares possa ribaltare la situazione. Tuttavia, dato che sembra essere un’altra grande perdita per la Disney, il desiderio dello studio di tornare a produrre film di franchise potrebbe spingerlo a cercare una proprietà con una storia migliore.

Scarlett Johansson commenta le indiscrezioni sul casting del remake live-action di Rapunzel

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Qualche giorno dopo la diffusione della notizia secondo cui Scarlett Johansson era in trattative per entrare nel cast del remake live-action di Rapunzel, la star del cinema ha finalmente rotto il silenzio sulle speculazioni. Il remake ha incontrato notevoli ostacoli nel suo percorso verso il grande schermo.

Secondo quanto riferito, la Disney avrebbe messo in pausa Rapunzel dopo lo scarso successo al botteghino del live-action Biancaneve.

Tuttavia, il progetto è stato ripreso dopo che un altro remake, Lilo & Stitch, ha riscosso un grande successo tra il pubblico.

Durante un’intervista con ET, alla Johansson è stato chiesto se ci fossero buone possibilità che interpretasse Madre Gothel nel film live-action Rapunzel. Lei ha ammesso che “tutto è possibile”, aggiungendo che l’opportunità di lavorare con il regista Michael Gracey è ciò che la entusiasma di più.

La Johansson ha poi descritto Gracey come uno “straordinario visionario” e ha affermato che qualsiasi attore “adorerebbe” collaborare con lui a Rapunzel o a qualsiasi altro progetto.

C’è una possibilità concreta? Penso che tutto sia possibile. Ciò che mi entusiasma è l’opportunità di lavorare con Michael Gracey, che è stato scelto per dirigere il film, perché è assolutamente un visionario straordinario e qualsiasi attore vorrebbe collaborare con lui.

Gracey ha iniziato la sua carriera nell’industria dell’intrattenimento lavorando a video musicali ed effetti visivi. È noto soprattutto per aver diretto il film musicale di grande successo The Greatest Showman.

Gracey ha anche sfruttato la sua esperienza nei video musicali per dirigere il documentario di Pink All I Know So Far e il film biografico su Robbie Williams Better Man, oltre ad aver ricoperto il ruolo di produttore esecutivo nel film biografico su Elton John Rocket Man.

Se Johansson finisse per firmare il contratto per interpretare Madre Gothel, sarebbe la prima star ad unirsi al remake live-action di Rapunzel. Diverse voci online hanno indicato celebrità come Sabrina Carpenter, Florence Pugh e Gigi Hadid, tra le altre, per il progetto, ma finora non ci sono altri attori a bordo di Rapunzel.

La Johansson è nota soprattutto per aver interpretato Black Widow nei film del Marvel Cinematic Universe come The Avengers, Captain America: The Winter Soldier e Black Widow. Al di fuori dell’MCU, ha recitato in film come Lost in Translation, Vicky Cristina Barcelona e Her. Ha ottenuto nomination agli Oscar per i suoi ruoli in Marriage Story e Jojo Rabbit.

Scarlett Johansson
Scarlett Johansson al Festival di Cannes – Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Secondo quanto riferito, l’ingresso di Johannson nel cast di Tangled segna un importante passo avanti per il remake, basato sull’omonimo film d’animazione del 2010 con Mandy Moore nel ruolo di Rapunzel, Zachary Levi in quello di Flynn Rider e Donna Murphy in quello di Madre Gothel. Tra gli altri doppiatori figuravano Brad Garrett, Ron Perlman, Jeffrey Tambor, Richard Kiel, M. C. Gainey e Paul F. Tompkins.

Tangled è basato sulla classica fiaba Rapunzel, che era matura per un remake live-action dopo che la Disney aveva fatto lo stesso per diversi altri film, tra cui Cenerentola, Maleficent (basato su La bella addormentata nel bosco), Il libro della giungla, La bella e la bestia, Aladdin e La sirenetta. Tuttavia, alcuni dei più recenti film live-action Disney non sono stati accolti altrettanto bene, con Biancaneve che ha ottenuto risultati inferiori alle aspettative.

Il successo del live-action Lilo & Stitch ha invertito questa tendenza al ribasso, spingendo i dirigenti a riconsiderare Rapunzel, uno dei film d’animazione preferiti dai fan della Disney.

Eric Dane torna in tv con un nuovo ruolo che rispecchia la diagnosi nella vita reale

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L’ex attore di Grey’s Anatomy, Eric Dane, ottiene un ruolo da guest star in un’altra serie televisiva di argomento medico, Brilliant Minds della NBC. Il suo personaggio nella serie riceve la stessa diagnosi che ha ricevuto nella vita reale.

Dane ha rivelato nell’aprile 2025 di essere affetto da SLA (sclerosi laterale amiotrofica). Nella serie, interpreterà Matthew, un pompiere che non sa come dire alla sua famiglia della sua malattia e chiede aiuto al dottor Oliver Wolf (Zachary Quinto). L’attore apparirà nella seconda stagione di Brilliant Minds, nell’episodio 9, in onda il 24 novembre 2025.

Dane è stato molto aperto riguardo alla sua battaglia contro la SLA. Continua a esprimere la sua gratitudine per le risorse a cui ha accesso e che molti altri pazienti non hanno. In una precedente dichiarazione ha anche spiegato di sentirsi molto fortunato di poter ancora lavorare e di essere entusiasta di tornare per la prossima stagione di Euphoria.

Mi sento fortunato di poter continuare a lavorare e non vedo l’ora di tornare sul set di Euphoria la prossima settimana. Chiedo gentilmente di rispettare la privacy mia e della mia famiglia in questo momento.

L’attore è anche portavoce di un’organizzazione no profit chiamata I Am ALS, fondata da Brian Wallach, a cui è stata diagnosticata la malattia nel 2017, e da sua moglie, Sandra Abrevaya. Oltre al suo lavoro filantropico, ha anche parlato del suo desiderio di utilizzare la sua grande piattaforma per aiutare le persone.

In un’intervista al Washington Post, Dane ha spiegato quante persone lo hanno avvicinato e gli hanno parlato della perdita di familiari e amici a causa della SLA. Tuttavia, nonostante le tragiche circostanze che lui e innumerevoli altre persone stanno vivendo a causa della SLA, è ancora in grado di vedere le piccole gioie che la vita ha da offrire e come può trascorrere il resto della sua vita aiutando le persone ad affrontare la malattia. “Non per essere eccessivamente morboso, ma sapete, se devo andarmene, lo farò aiutando qualcuno“.

Brilliant Minds è una serie televisiva di genere medico basata su due libri dello scrittore Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello e Un antropologo su Marte, che segue le vicende del neurologo Dr. Wolf e del suo team. La serie si concentra sia sulla loro vita personale che su quella professionale.

Spider-Man: Brand New Day, Charlie Cox smentisce la sua presenza nel film

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Mentre vari eroi del Marvel Cinematic Universe stanno comparendo in Spider-Man: Brand New Day, ci sono state molte domande sul fatto che Daredevil, interpretato da Charlie Cox, apparirà o meno. Dopo aver fatto parte del cast di Spider-Man: No Way Home, c’è stato ancora più interesse nel vedere Matt Murdock collaborare pienamente con l’iconico uomo ragno.

In una nuova intervista al podcast Phase Hero, Cox ha ora affrontato le teorie secondo cui sarebbe pronto ad apparire in Spider-Man: Brand New Day, a causa del suo programma di riprese a Londra. Tuttavia, il veterano dell’MCU ha sottolineato: “So che tutti pensano che io sia in Spider-Man perché sto girando qualcosa a Londra, ma non è così, non sono in Spider-Man”.

In Spider-Man: No Way Home, Cox è apparso nei panni dell’iconico avvocato Marvel per aiutare Peter Parker, interpretato da Tom Holland, più di tre anni dopo che la terza stagione di Daredevil aveva portato alla fine della serie Netflix. Nello stesso anno, prima dell’uscita del film, il co-protagonista di Cox, Vincent D’Onofrio, è tornato nella timeline dell’MCU nei panni di Kingpin nella serie TV Hawkeye.

Quello che sappiamo su Spider-Man: Brand New Day

Ad oggi, una sinossi generica di Spider-Man: Brand New Day è emersa all’inizio di quest’anno, anche se non è chiaro quanto sia accurata.

Dopo gli eventi di Doomsday, Peter Parker è determinato a condurre una vita normale e a concentrarsi sul college, allontanandosi dalle sue responsabilità di Spider-Man. Tuttavia, la pace è di breve durata quando emerge una nuova minaccia mortale, che mette in pericolo i suoi amici e costringe Peter a riconsiderare la sua promessa. Con la posta in gioco più alta che mai, Peter torna a malincuore alla sua identità di Spider-Man e si ritrova a dover collaborare con un improbabile alleato per proteggere coloro che ama.

L’improbabile alleato potrebbe dunque essere il The Punisher di Jon Bernthal recentemente annunciato come parte del film – in una situazione già vista in precedenti film Marvel dove gli eroi si vedono inizialmente come antagonisti l’uno dell’altro salvo poi allearsi contro la vera minaccia di turno.

Di certo c’è che il film condivide il titolo con un’epoca narrativa controversa, che ha visto la Marvel Comics dare all’arrampicamuri un nuovo inizio, ponendo però fine al suo matrimonio con Mary Jane Watson e rendendo di nuovo segreta la sua identità. In quel periodo ha dovuto affrontare molti nuovi sinistri nemici ed era circondato da un cast di supporto rinnovato, tra cui un resuscitato Harry Osborn.

Il film è stato recentemente posticipato di una settimana dal 24 luglio 2026 al 31 luglio 2026. Destin Daniel Cretton, regista di Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli, dirigerà il film da una sceneggiatura di Chris McKenna ed Erik Sommers. Tom Holland guida un cast che include anche Zendaya, Jacob Batalon, Mark Ruffalo, Sadie Sink e Liza Colón-Zayas e Jon Bernthal. Michael Mando è stato confermato mentre per ora è solo un rumors il coinvolgimento di Charlie Cox.

Spider-Man: Brand New Day uscirà nelle sale il 31 luglio 2026.

Colman Domingo sarà il Leone Codardo in Wicked – Parte 2

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Colman Domingo è stato scelto per dare la voce al Leone Codardo in Wicked – Parte 2. L’annuncio è stato dato lunedì sull’account Instagram di “Wicked”, con Domingo che si è nascosto dietro un peluche a forma di leone prima di rivelarsi e dire: “Ci vediamo a Oz!“.

Il regista Jon M. Chu ha recentemente anticipato che i fan sarebbero stati entusiasti di scoprire di chi si trattasse. “Aspettate il red carpet, quando l’attore che ci ha dato la voce del Leone Codardo ci metterà piede. Sarà pazzesco”, ha detto.

Il Leone Codardo era uno dei personaggi principali del classico del 1939 “Il Mago di Oz”. In “Wicked”, è il giovane cucciolo che Elphaba (Cynthia Erivo) e Fiyero (Jonathan Bailey) salvano dopo che il Dottor Dillamond è stato portato via e un nuovo professore porta un leone in gabbia in classe. L’insegnante spiega che, essendo imprigionato, il cucciolo non imparerà mai a parlare. Mentre Elphaba si arrabbia, i suoi poteri creano un momento in cui lei e Fiyero possono afferrare il cucciolo e correre nella foresta per liberarlo.

In Wicked – Parte 2 il cucciolo è ormai adulto e si trasforma nel Leone Codardo, che incolpa Elphaba della sua situazione. Con il sequel che si sovrappone alle linee temporali de “Il Mago di Oz”, il leone viene visto con Dorothy, l’Uomo di Latta e lo Spaventapasseri mentre percorrono la Strada di Mattoni Gialli per incontrare il Mago (Jeff Goldblum). Lo si vede anche durante il numero musicale “La Marcia dei Cacciatori di Streghe”. Tuttavia, come nel musical di Broadway, il personaggio non ha una parte importante.

Wicked – Parte 2 The Soundtrack, annunciata la colonna sonora in uscita il 21 novembre

Il cast di Wicked – Parte Due comprende anche i candidati all’Emmy Bowen Yang e Bronwyn James nei panni degli assistenti di Glinda, Pfannee e ShenShen, e la candidata ai BAFTA e ai Grammy Sharon D. Clarke (Caroline, or Change) come voce della tata di Elphaba, Dulcibear.

Il film è prodotto da Marc Platt, già vincitore di Tony ed Emmy, e da David Stone, più volte vincitore di Tony. I produttori esecutivi sono Stephen Schwartz, David Nicksay, Jared LeBoff, Winnie Holzman e Dana Fox. Il primo film, Wicked, uscito nel novembre 2024, ha ottenuto 10 nomination agli Oscar®, tra cui quella per il miglior film, vincendo gli Oscar® per Migliori Costumi e per la Migliore Scenografia. Ad oggi, il film ha incassato 750 milioni di dollari in tutto il mondo.

Wicked – Parte Due è basato sul musical che ha segnato una generazione, con le musiche e i testi del leggendario compositore e paroliere Stephen Schwartz, vincitore di Grammy e Oscar®, e sul libro di Winnie Holzman, tratto dal romanzo bestseller di Gregory Maguire. La sceneggiatura è di Winnie Holzman e Winnie Holzman & Dana Fox. La colonna sonora del film è di John Powell & Stephen Schwartz, con musiche e testi di Stephen Schwartz.

Star Wars: Adam Driver rivela di un sequel mai realizzato su Kylo Ren

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Secondo Adam Driver, che ha interpretato Kylo Ren, alias Ben Solo, una volta ha proposto un sequel di Star Wars. Il potenziale film avrebbe seguito Solo, ma sfortunatamente la Disney ha rifiutato l’opportunità. In un’intervista con Jake Coyle dell’Associated Press, Driver ha spiegato di essere sempre stato interessato a lavorare ad altri film della saga. L’idea ha cominciato a prendere forma nel 2021 dopo che Kathleen Kennedy, presidente della Lucasfilm, lo ha contattato. L’attore ha rivelato che, purché ci sia un buon team creativo dietro al progetto, lui sarebbe stato pronto in un batter d’occhio.

“Era dal 2021 che parlavo di farne un altro. Kathleen (Kennedy) mi aveva contattato. Ho sempre detto: con un grande regista e una grande storia, sarei pronto in un secondo. Amavo quel personaggio e amavo interpretarlo”.

Driver ha spiegato che il film riprenderebbe dopo gli eventi di L’ascesa di Skywalker, l’ultimo film della trilogia sequel. Voleva che il film esplorasse ulteriormente l’arco di redenzione di Kylo. L’attore riteneva che la storia del suo personaggio fosse incompleta e voleva dare a Ren la conclusione che meritava. Driver ha ricordato di aver portato il suo film (che si sarebbe intitolato The Hunt for Ben Solo) al regista Steven Soderbergh e poi di averlo presentato a Kennedy, al vicepresidente della Lucasfilm Cary Beck e al direttore creativo Dave Filoni. A quanto pare, tutti e tre hanno apprezzato l’idea. Erano così entusiasti che hanno persino coinvolto Scott Z. Burns per scrivere la sceneggiatura.

Tuttavia, una volta presentata a Bob Iger (amministratore delegato della Walt Disney Company) e Alan Bergman (co-presidente della Disney Entertainment), l’idea è stata immediatamente bocciata. I due non riuscivano a superare la morte di Ren e hanno semplicemente affermato che il film non avrebbe avuto alcun senso.

Abbiamo presentato la sceneggiatura alla Lucasfilm. L’idea è piaciuta molto. Hanno capito perfettamente il nostro punto di vista e il motivo per cui lo stavamo facendo. L’abbiamo portata a Bob Iger e Alan Bergman e loro hanno detto di no. Non riuscivano a capire come Ben Solo potesse essere vivo. E così è finita lì.”, ha affermato Driver.

Anche Soderbergh ha rilasciato una dichiarazione. Il regista ha rivelato di essersi divertito molto a immaginare il film nella sua testa ed era deluso dal fatto che i fan di Star Wars non avrebbero mai potuto vederlo. Sebbene The Hunt for Ben Solo di Driver e Soderbergh non sia mai stato realizzato, ci sono molti altri progetti di Star Wars in uscita che i fan possono attendere con ansia. Tra questi ci sono The Mandalorian and Grogu (2026), Star Wars: Starfighter (2027) e un progetto senza titolo di Dave Filoni.

California Schemin’, recensione del film di James McAvoy – #RoFF20

Gavin Bain (Séamus McLean Ross) e Billy Boyd (Samuel Bottomley, visto anche in Anemone) sono due giovani rapper di Dundee con un talento indiscutibile, ma schiacciati da un pregiudizio culturale. Nel Regno Unito dei primi anni Duemila, il loro accento scozzese è motivo di derisione: nessuna etichetta vuole credere che possano avere successo. Così, per sopravvivere e farsi ascoltare, inventano un’altra vita – diventano Silibil N’ Brains, due musicisti californiani dal passato immaginario e dall’accento “perfettamente” costruito.

Da quel momento, la loro esistenza diventa una performance continua: tour, interviste, contratti discografici e puntate su MTV. Il film si apre con la scritta “A true story based on a lie” (Una storia vera basate sulle bugie), sintesi perfetta di una trama in cui la menzogna diventa atto di ribellione e desiderio di riconoscimento. James McAvoy, per la prima volta regista, invita lo spettatore a seguire i due protagonisti lungo il confine fragile tra sogno e inganno, successo e perdita di sé.

California Schemin’: l’industria musicale come specchio distorto

Sotto la superficie brillante della commedia musicale, California Schemin’ nasconde un’analisi affilata del sistema discografico. McAvoy racconta un mondo in cui l’immagine vale più del contenuto, e dove la provenienza geografica – più ancora del talento – decide chi merita di essere ascoltato.

Il cambio di accento diventa un gesto politico e psicologico insieme: fingendo di essere americani, Gavin e Billy riescono a realizzare i loro sogni, ma a costo di smarrire la propria identità. Il regista (anche lui attore, nel ruolo del discografico) ritrae l’industria come un teatro dell’assurdo, popolato da agenti, produttori e giornalisti che si muovono come caricature di un sistema malato di apparenza. L’ironia corrosiva ricorda i toni di The Social Network e Tonya, ma con una leggerezza tutta britannica, che trasforma la critica sociale in uno specchio amaro del mondo contemporaneo.

Tra commedia e malinconia

McAvoy dirige con equilibrio raro, alternando il ritmo elettrico delle sequenze musicali alla quiete fragile dei momenti più intimi. I concerti, le interviste, i party mondani esplodono di energia, ma dietro la frenesia si avverte la solitudine dei due protagonisti, costretti a vivere dentro una maschera. Il risultato è un film che vibra di sincerità, anche quando racconta la finzione.

La commedia non cancella la malinconia, ma la amplifica. Più i due ragazzi conquistano il successo, più la loro verità si sgretola e la bugia assume i tratti di un ricatto emotivo. 

Due volti della stessa illusione in California Schemin’

Le interpretazioni di Séamus McLean Ross e Samuel Bottomley sono il cuore emotivo del film. Ross restituisce la vulnerabilità di Gavin, il suo oscillare tra entusiasmo e colpa; Bottomley incarna l’energia impulsiva e autodistruttiva di Billy, la parte più selvaggia e incosciente del duo. Insieme creano un’alchimia autentica, fatta di amicizia, complicità e disillusione.

McAvoy, al suo esordio dietro la macchina da presa, dimostra una sensibilità notevole nel dirigere gli attori. Il suo sguardo è intimo e partecipe, osserva i personaggi cogliendone la complessità, il loro bisogno di essere “qualcuno” nel mondo musicale. La regia privilegia il dettaglio – un gesto, una pausa, un cambio di sguardo – più che la spettacolarità, e proprio in questa misura trova la sua forza.

Identità e metamorfosi

Uno dei temi più riusciti è la trasformazione linguistica come metafora esistenziale: cambiare accento significa cambiare pelle. Il film suggerisce che l’identità non è una condizione stabile, ma un processo continuo di adattamento – e che la menzogna, a volte, è solo una forma di sopravvivenza.

In questo senso, California Schemin’ è anche un film profondamente politico: racconta il razzismo culturale (o, come afferma il personaggio di Gavin, “scozzismo”) con leggerezza, denunciando la logica di un’industria che premia l’imitazione e punisce l’autenticità. Il talento viene sottoposto alla provenienza, facendo luce a un processo che, si immagina, prosegue tuttora.

California Schemin’: un esordio che convince

Basato sul memoir di Gavin Bain, California Schemin’ racchiude un tocco di verità: i filmati originali girati dai veri Silibil N’ Brains. È un gesto di restituzione, che dissolve la distanza tra finzione e realtà e lascia emergere tutta la malinconia della storia.

James McAvoy firma un debutto sorprendentemente solido: ironico ma mai superficiale, energico ma attraversato da una malinconia autentica. La sua regia è al servizio dei personaggi, non del virtuosismo; e nel racconto di due giovani che fingono per essere ascoltati, emerge un discorso più ampio sull’arte, l’identità e la società dell’immagine.

California Schemin’ è, in fondo, la storia di due bugiardi sinceri — e di un regista che, nel raccontarli, trova la sua verità.