Dopo la presentazione in anteprima mondiale all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia e dopo 4 mesi di permanenza su Prime Video, Argentina, 1985 di Santiago Mitre arriva anche in sala. Per presentare al meglio questo evento che porta al cinema uno dei migliori film dell’anno, nominato anche agli Oscar 2023 come Miglior film internazionale, il regista ha incontrato la stampa romana.
Il film è ispirato alla vera storia dei procuratori Julio Strassera e Luis Moreno Ocampo, che nel 1985 vennero incaricati di indagare e perseguire i responsabili della fase più sanguinosa della dittatura militare argentina. Senza lasciarsi intimidire dall’ancora notevole influenza che l’esercito aveva sulla loro fragile, nuova democrazia, Strassera e Moreno Ocampo formarono un giovane team legale di improbabili eroi per ingaggiare la loro battaglia di Davide contro Golia. Costantemente minacciati, insieme alle loro famiglie, lottarono contro il tempo per dare giustizia alle vittime della giunta militare.
Argentina, 1985 racconta quindi una pagina gloriosa e dolorosa della storia del Paese, che in pochissimo tempo è riuscita a riconquistare la democrazia usurpata e a punire i colpevoli: “Il processo e le sentenze che ci sono state nel 1985 siano state una tappa fondamentale per la democrazia e per il rafforzamento delle istituzioni in Argentina – spiega Mitre – Per noi argentini, il fatto che a un anno dalla fine di questa dittatura sia stato possibile celebrare questo processo è stato fondamentale ed è stato la base per mettere in chiaro quali fossero i pilastri di quella che sarebbe poi stata la nostra democrazia e il sistema della giustizia argentino.”
La giustizia è quindi stata un balsamo per le ferite inflitte dalla dittatura ai cittadini? “Nel caso di questo processo non so se è riuscita a curare le ferite inflitte dalla dittatura, ma sicuramente ha creato un paradigma per quanto riguarda questo particolare tipo di crimini. Quando abbiamo cominciato a lavorare al film, la prima cosa fatta da me e dal mio co-sceneggiatore, Mariano Llinás, è stato proprio verificare quanto la gente sapesse ancora di questi fatti, quanto ricordassero, chi li ricordasse. Quanto di quello che era successo era rimasto nella memoria collettiva, e quindi quanto i giovani sapessero di quello che era accaduto, quanto era stata importante quella fase per recuperare la democrazia. Abbiamo scoperto che la memoria di quei fatti era andata perduta e che soprattutto i più giovani non sapevamo nulla. E quindi questi giovani che non sapevano e che non capivano la portata storica di quanto accaduto sono diventati i nostri interlocutori.”
Il processo è stato uno degli episodi più importanti della storia del Paese, a Mitre ne era perfettamente consapevole, già in fase di ricerca e studio: “Sicuramente decidendo di raccontare questa storia ci siamo presi una responsabilità enorme, per la Storia, per quello che era successo e per le persone coinvolte. Abbiamo lavorato con un gruppo di ricercatori e abbiamo studiato per due anni tutto quello che era disponibile, andando anche a parlare con i testimoni, i giudici e tutti quelli coinvolti in prima persona nel processo. Mi sono scontrato con una realtà molto dolorosa, ho imparato molto, sia di ciò che è accaduto sia su me stesso.”
Argentina, 1985 si caratterizza non solo per la storia importante e dolorosa ma anche per un tono particolarmente efficace che mette in equilibrio un’ironia pungente e costante dei protagonisti con il dolore e i terribili fatti reali che vengono raccontati, una scelta che è nata dalla ricerca, come spiega Santiago Mitre: “La prima cosa che abbiamo dovuto fare per scrivere il film è stata guardare i filmati del processo, è stato molto duro, drammatico. Poi abbiamo incontrato i funzionari del tribunale, le persone in carne e ossa, e ci siamo accorti che pur raccontandoci cose molto tristi e serie, ogni tanto ridevano, gli scappava un sorriso, e quindi abbiamo capito che forse si poteva raccontare questa storia utilizzando anche l’ironia. A volte è un meccanismo di difesa, come quando si raccontano le barzellette a un funerale. Poi abbiamo scoperto la personalità di Strassera, aveva un senso dell’umorismo molto forte, nonostante potesse apparire burbero. Questo ci ha dato fiducia nell’usare un tono così ironico. Poteva essere una maniera per stemperare la tensione della storia, avevamo paura di raccontare un film troppo cupo. Il Festival di Venezia è stato il primo test, perché lì per la prima volta abbiamo visto la reazione del pubblico che rideva e piangeva, si emozionava, e abbiamo finalmente capito che avevamo fatto la scelta giusta.”

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Ed è un vero peccato poiché quando si ha a disposizione un cast del genere ci si aspetta giustamente che ogni attore riesca a dare spessore al proprio ruolo, non semplicemente tentare di “riempire” i vuoti creati da sceneggiature incapaci di elevarsi rispetto alle ovvietà del genere stesso. Se avere un solo regista al comando aiuta Liaison a mantenere una certa coerenza estetica, bisogna al tempo stesso ammettere che Stephen Hopkins davvero nulla aggiunge alla qualità della produzione, con una messa in scena che si limita alla lezione calligrafica senza sfruttare a dovere almeno un paio di situazioni che avrebbero richiesto di lavorare con originalità sul montaggio e sugli effetti speciali.
Vincent Cassel, elettrico e ambiguo



Ma c’è soprattutto l’uso inaspettato dell’emotività in maniera adulta, che guida i protagonisti verso scelte mature non spinte da capricci adolescenziali, ma da desideri profondi, frutto della crescita vissuta durante l’arco narrativo. I personaggi cambiano loro stessi e gli altri attraverso le decisioni che prendono all’interno della squadra, e anche questa sarà una battuta del piccolo Sekhem. L’evoluzione di ognuno è perciò innescata da un altro e ne beneficiano entrambi. Dunque, la componente piacevole di Mummie – A spasso nel tempo non è solo la simpatia, che comunque risulta piuttosto semplice nella sua esecuzione, delegata principalmente al delizioso coccodriletto Cocco, ma la trasformazione degli obiettivi dei personaggi che passano dall’essere individualistici e indifferenti agli altri, a farsi arricchire proprio dalle relazioni instaurate che danno valore aggiunto a quegli stessi obiettivi.