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A Working Man: la spiegazione del finale del film

A Working Man: la spiegazione del finale del film

L’ultima collaborazione tra Jason Statham e David Ayer, A Working Man (qui la recensione), prende spunto da altri film della serie “one man revenge” come Taken e John Wick in un divertente adattamento del romanzo di Chuck Dixon del 2014 Levon’s Trade. Il film ha debuttato con un buon punteggio su Rotten Tomatoes, continuando così la striscia positiva di Statham, e anche se non otterrà alcuna nomination agli Oscar, è un’iterazione ben eseguita del tipico genere d’azione per cui questo attore è ormai noto. Il film è interpretato anche da Michael Peña e David Harbour, mentre Sylvester Stallone ha sviluppato la sceneggiatura con Ayer e partecipa come produttore al film.

Come molti dei personaggi di Statham, Levon Cade svolge una nuova professione nonostante un passato decorato come soldato paramilitare d’élite. In A Working Man, è un apprezzato caposquadra di un’impresa edile che lavora per un uomo d’affari (Peña), a cui è fedele e che è a conoscenza del suo passato professionale. Viene chiamato in azione quando la figlia del suo capo viene rapita da trafficanti di esseri umani e inizia a farsi strada a colpi di pistola e pugni in una setta locale della mafia russa alla ricerca di informazioni.

Tuttavia, manipolando e abbattendo i mafiosi, provoca l’ira della Confraternita, l’entità mafiosa più grande che sovrintende ai traffici e alle operazioni di droga che Levon ha interrotto. Questo li spinge a mandare i loro maniaci sicari a cercarlo, portando a una resa dei conti tra Levon e la forza combinata degli spacciatori e dei sicari locali nella casa-trappola dove è tenuta prigioniera la figlia del suo capo.

A Working Man jason statham

Perché la Confraternita ha lasciato vivere Levon

Mentre Leon uccideva indiscriminatamente i mafiosi, ha sconvolto l’attività complessiva della setta mafiosa locale. Pur non nascondendo di essere alla ricerca solo di Jenny Garcia, interpretata da Arianna Rivas, ha ucciso un numero sufficiente di scagnozzi di basso e medio livello da meritare l’attenzione dei vertici della Confraternita. È stata loro la decisione di inviare Nestor e Karp, i due assassini in trench, sulle tracce di Levon; sono loro a rintracciare la sua identità e a collegarlo alla casa del suocero, che bruciano nel tentativo di farlo uscire allo scoperto.

Tuttavia, una volta che l’ex militare ha ucciso non solo i due sicari nella casa-trappola, ma anche tutti gli altri associati ai mafiosi russi, la Confraternita dice a Yuri al telefono di lasciare andare Levon. Ora che ha salvato la ragazza che cercava, non c’è motivo di perseguirlo ulteriormente. La vendetta non ha senso, soprattutto se si tratta di una persona che si è dimostrata pericolosa come Levon, quindi era nell’interesse dell’organizzazione lasciare che vivesse in pace invece di “cancellare la sua intera discendenza”, come gli è stato promesso.

Tuttavia, tra le persone che Levon uccide, ci sono il sottocapo che schiaffeggia e annega nella sua stessa piscina (Jason Flemyng) e i due teppisti che uccide nel retro del furgone, i quali si rivelano essere direttamente legati a Yuri (suo fratello e i suoi figli, per la precisione). Nelle scene finali di A Working Man, quindi, Yuri fa sapere alla dirigenza della Confraternita che intende ancora dare la caccia a Levon per vendicare i membri della sua famiglia morti e portare a termine l’uccisione di Levon e dei suoi cari.

Perché Jenny Garcia è stata rapita?

L’insolito modus operandi del traffico di Dimi ha portato al rapimento di Jenny. Viper e Artemis sono responsabili di scattare foto e video di giovani ragazze nel locale in cui Jenny e i suoi amici si stavano divertendo, e inviano queste immagini a potenziali acquirenti che scelgono le ragazze che vogliono. Da lì, Viper e Artemis eseguono quindi il rapimento in silenzio e le ragazze scompaiono.

Arianna Rivas e Jason Statham in A Working Man

Jenny è stata scelta dallo sciatto signor Broward, che ha notato che gli ricordava una donna che aveva visto in un quadro. Questo era l’unico motivo: non aveva nulla a che fare con suo padre, con i suoi affari o con qualsiasi altro legame significativo. Fortunatamente, Jenny è riuscita a respingere Broward al primo incontro, mordendolo al volto e sfigurandolo, e Broward è stato poi ucciso da Levon prima che potesse avere una seconda possibilità di tormentarla.

 

Come il finale di A Working Man prepara un sequel

Il romanzo da cui è tratto A Working Man è in realtà parte della serie di Dixon che segue le imprese di Levon Cade, non diversamente dalla serie Jack Reacher di Lee Childs. C’è dunque molto altro materiale di partenza su cui lavorare se il film dovesse avere un successo al botteghino tale da giustificare un sequel. Se questo è stato il caso del precedente film d’azione di Ayer e Statham, The Beekeeper, resta da vedere se anche A Working Man avrà lo stesso successo di pubblico.

Fortunatamente, il film ha già gettato i semi per un franchise. Mentre la Fratellanza potrebbe non voler più avere a che fare con Levon Cade, Yuri è chiaramente ancora in cerca di sangue. Sembra abbastanza ovvio che un sequel diretto si concentrerebbe sulla ricerca di Levon Cade da parte di Yuri. Sembra scontato che cercherà di dare la caccia anche a sua figlia Merry, visto che Levon ha ucciso i suoi figli e suo fratello.

Cosa ha detto il regista sul finale di A Working Man

In un’intervista con ScreenRant, lo sceneggiatore/regista David Ayer ha spiegato esattamente cosa distingue A Working Man da altre avventure d’azione simili. Secondo Ayer, dare a Levon un legame emotivo e familiare con personaggi realistici è ciò che rende speciale l’intero film. Come ha detto il regista, “dargli una motivazione emotiva, dargli questa famiglia adottiva che si è presa cura di lui e che lui può restituire il favore e prendersi cura di lui, voglio dire, questo è il film per me”.

Ayer ha anche parlato del potenziale futuro del franchise, specificando che Levon Cade potrebbe avere “questioni in sospeso”, in un chiaro riferimento alla vendetta di Yuri. Ha anche accennato al suo interesse per il personaggio secondario di David Harbour, Gunny, l’ex compagno di squadra cieco di Levon che funge da “sommelier delle armi” in A Working Man. Sebbene non sia stato ancora annunciato nulla, Ayer ha accennato al fatto che un sequel o un prequel incentrato su Gunny potrebbe essere interessante.

 

Il vero significato di A Working Man

Mentre alcuni film di genere sono metaforici nel comunicare i loro temi, A Working Man è simile a film d’azione di questo tipo in quanto non c’è molta profondità. La lealtà verso la propria famiglia è un filo conduttore, come anche l’idea che la famiglia si presenta in tutte le forme; Levon considera Gunny suo fratello perché hanno prestato servizio insieme, mentre considera i Garcia la sua famiglia perché hanno rischiato su di lui e gli hanno dato un modo per guadagnarsi da vivere nonostante il suo precedente percorso professionale e il relativo trauma. Questa fedeltà familiare guida Levon in A Working Man, ed è destinata a guidare Yuri in un potenziale sequel.

Carrie di Mike Flanagan ha scelto la sua Sue Snell

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Carrie di Mike Flanagan ha scelto la sua Sue Snell

La serie TV “Carrie” di Mike Flanagan ha già un ruolo chiave. Variety ha appreso in esclusiva che Siena Agudong si è unita all’adattamento Amazon dell’iconico romanzo di Stephen King nel ruolo fisso di Sue Snell. Si unirà a Summer H. Howell che, come avevamo riportato, si caricherà il compito di interpretare la protagonista.

Inizialmente, la serie sarebbe dovuta essere in lavorazione su Amazon nell’ottobre 2024. Al momento non c’è stato alcun annuncio ufficiale di un’eventuale acquisizione, ma si ritiene che ciò avverrà a breve. Secondo alcune fonti, le riprese di “Carrie” si stanno preparando per quest’estate a Vancouver.

La sinossi della serie la descrive come una “rivisitazione audace e attuale della storia della liceale disadattata Carrie White (Howell), che ha trascorso la sua vita in isolamento con la madre autoritaria. Dopo la morte improvvisa e prematura del padre, Carrie si ritrova a dover affrontare il panorama alieno del liceo pubblico, uno scandalo di bullismo che sconvolge la sua comunità e l’emergere di misteriosi poteri telecinetici”.

Nel romanzo e nel successivo adattamento cinematografico, Sue inizialmente si unisce ai bulli che tormentano Carrie, ma in seguito decide di cercare di fare amicizia con lei. Amy Irving ha interpretato il personaggio nel film originale e nel sequel “The Rage: Carrie 2”, con Kandyse McClure e Gabriella Wilde che la interpretano nei successivi film di “Carrie”.

Mike Flanagan adatterà Carrie di Stephen King

Flanagan è diventato una delle voci più influenti nel genere horror degli ultimi anni. Ha ricevuto notevoli elogi per i suoi programmi TV “The Haunting of Hill House“, “Midnight Mass” e “The Fall of the House of Usher” su Netflix, così come per film come “Doctor Sleep” e “Gerald’s Game“, un altro adattamento del romanzo di King. Più di recente, Flanagan ha adattato il racconto del 2020 di King “The Life of Chuck” in un film con Tom Hiddleston.

Carrie” è stato il primo romanzo di King ed è stato originariamente pubblicato nel 1974. Il libro è diventato un best seller ed è stato successivamente adattato in un film nel 1976 con Sissy Spacek nel ruolo del titolo. Diretto da Brian DePalma, il film ha incassato oltre 30 milioni di dollari con un budget dichiarato inferiore ai 2 milioni di dollari. È ampiamente citato come uno dei migliori film horror di tutti i tempi.

Nel 1999 è uscito un sequel intitolato “The Rage: Carrie 2“, senza nessuno del cast originale, seguito da un remake per la TV nel 2002 e da un altro remake nel 2013 con Chloe Grace Moretz.

30 notti con il mio ex: Edoardo Leo e Micaela Ramazzotti “imparano a ascoltarsi” nel nuovo film di Guido Chiesa

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Arriva il 17 aprile in sala 30 notti con il mio ex, la nuova collaborazione tra Guido Chiesa e Colorado che per questa volta lavora con PiperFilm che seguirà anche la distribuzione. Il film, con protagonisti Edoardo Leo e Micaela Ramazzotti, racconta una storia di diversità e stranezza, in cui bisogna imparare ad ascoltarsi e a starsi vicini anche in situazioni che esulano dalle regole della società.

La storia è quella di Terry, una donna con disturbi mentali che, dopo un periodo di comunità deve reinserirsi nel tessuto sociale e per farlo chiede al suo ex marito, Bruno, dal quale ha avuto una figlia, Emma, di essere ospitata per 30 giorni per una sorta di esperienza ponte che dovrebbe condurla nella sua nuova vita.

Nonostante il tema molto serio, Guido Chiesa sceglie il linguaggio della commedia, con una Ramazzotti a suo agio nei panni di Terry: “Ho interpretato tante pazzerelle al cinema. In questo caso sono un personaggio affamato di vita e di mondo”.

Guarda il trailer di 30 notti con il mio ex

Secondo il regista, il film racconta principalmente “una coppia distrutta. Si racconta la difficoltà che tutti abbiamo di relazionarci con l’altro in ogni ambito. Il nostro limite è che vorremmo che l’altro fosse come siamo noi. In questa storia, invece, due persone che si vogliono molto bene riescono poco per volta a dialogare mettendosi nei panni l’uno dell’altro. Volevamo seguire il linguaggio della commedia, con una protagonista che sembra svampita, ma dice la verità un po’ come Marilyn Monroe. D’altronde penso che il modo migliore per parlare del disagio psicologico sia quello di ascoltare e ridere insieme a queste persone. Proprio come fanno al teatro patologico con spettacoli come Io sono un po’ matto… e tu?, nel quale tra l’altro ha lavorato anche Edoardo Leo”.

“La cosa più difficile dello stare insieme è trovare un punto di equilibrio – interviene Leo – Tutti siamo stati amati da qualcuno con il quale è stato difficile convivere. Il mio personaggio è ingabbiato nelle regole di una presunta normalità e per questo con il tempo si è intristito. La sua ex moglie invece infrange quelle regole sociali.”

Per Micaela Ramazzotti, la sua Terry è una mente brillante, pura e onesta, “sente le voci interne e esterne e questo le genera una grande confusione. Non bisogna avere paura della malattia mentale, ma bisogna affrontarla e raccontarla. E Terry è una che ha fatto coming out con la sua malattia. La mente umana è fatta di paure e fragilità e se ne deve parlare.”

Completano il cast Gloria Harvey, Claudio Colica e Francesca Valtorta, e la partecipazione di Beatrice Arnera, Andrea Pisani e Anna Bonaiuto.

Death of a Unicorn, recensione del film con Jenna Ortega e Paul Rudd

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L’unicorno, creatura leggendaria dal fascino eterno, ha attraversato millenni di mitologia, dall’antica Persia al Rinascimento, fino ai gadget di My Little Pony. Simbolo di purezza, potere curativo e indomabilità, è un’icona riconoscibile quanto idealizzata. È curioso, quindi, che in Death of a Unicorn, debutto registico di Alex Scharfman, l’unicorno stesso sia l’elemento più bizzarro e meno convincente di un film che vorrebbe essere al tempo stesso una commedia nera, un monster movie e una satira sociale. Presentato in anteprima al SXSW e prodotto da A24, il film lascia lo spettatore in bilico, interdetto tra un sorriso, un sospiro di sollievo e un modo di incredulità.

Di cosa parla Death of a Unicorn?

La trama parte da un incipit tanto assurdo quanto accattivante: Elliot (Paul Rudd), avvocato aziendale, è in viaggio con la figlia Ridley (Jenna Ortega), studentessa universitaria disillusa, verso un ritiro nelle Montagne Rocciose canadesi, ospiti del suo capo miliardario Odell Leopold (Richard E. Grant). Durante il tragitto, Elliot investe accidentalmente un unicorno. Ridley, orfana di madre e in cerca di senso, sviluppa un legame spirituale con l’animale ferito. Elliot, invece, lo uccide con una chiave inglese, scoprendo poco dopo che il sangue viola della creatura ha proprietà miracolose: guarisce le allergie, l’acne… e perfino il cancro.

Il cadavere dell’unicorno diventa immediatamente oggetto di sfruttamento da parte della famiglia Leopold – un’arrogante parodia del capitalismo farmaceutico, ispirata ai Sackler – e la trama si trasforma in una corsa al profitto, mentre nuove creature mitologiche emergono assetate di vendetta.

Death of a Unicorn – Jenna Ortega e Paul Rudd – Cortesia I Wonder Pictures

Scharfman tenta di collocare il suo film nel filone delle satira anti-élite alla Triangle of Sadness, Glass Onion o Succession, ma l’intento si arena presto nella prevedibilità. Ogni personaggio ricopre un ruolo già visto: il patriarca morente e coloniale (Grant), la moglie superficiale (Téa Leoni), il figlio idiota (un godibile Will Poulter), e il servitore sfinito (Anthony Carrigan, sempre efficace). Ortega, purtroppo, è poco sfruttata, ridotta a incarnare lo stereotipo della “Gen Z saggia e disillusa” alla quale vengono affidate battute scolpite per meme come: “La filantropia è il riciclaggio di reputazione per l’oligarchia”.

Il cast è il vero punto di forza del film

A salvare Death of a Unicorn dal tracollo totale è il cast. Ogni attore comprende perfettamente il tono grottesco della storia. Rudd, in modalità “papà imbarazzante”, regge bene il ruolo dell’uomo mediocre schiacciato tra doveri familiari e ambizione. Poulter, in particolare, brilla nel dare vita a un erede tossico e ridicolo, perfetto esempio di quanto l’avidità possa essere grottesca. Carrigan, nei panni del maggiordomo Griff, strappa risate sincere con un semplice sguardo.

Visivamente, però, il film è altalenante. Se da un lato Scharfman omaggia i monster movie anni ’70 e ’80 con uccisioni splatter e atmosfere da John Carpenter, dall’altro gli effetti speciali – soprattutto nella prima parte – sono poveri, quasi incompleti. Gli unicorni, invece di incutere timore o fascino, sembrano modelli 3D usciti dalla versione beta di un videogioco. Solo nel terzo atto la CGI migliora, rendendo più credibile la furia vendicativa delle creature.

Death of a Unicorn – cast – Cortesia I Wonder Pictures

Narrativamente, il film si perde tra troppe ambizioni. Vuole essere al tempo stesso una riflessione sulla perdita, una denuncia del capitalismo predatorio, una parodia dei ricchi e un horror mistico. Ma ogni linea tematica rimane superficiale. Il legame tra Ridley e l’unicorno – potenzialmente potente come metafora del lutto – è appena accennato, e non basta a dare profondità emotiva. Lo stesso messaggio “i ricchi sono cattivi” suona ormai stanco, privo di freschezza o originalità.

Il coraggio del film si sveglia troppo tardi

C’è un barlume di poesia nel finale, quando Scharfman lascia intravedere un’interpretazione più intima: l’unicorno come manifestazione del dolore, del bisogno di connessione, del tentativo di comprendere l’incomprensibile dopo una perdita. In quei brevi minuti, il film tocca qualcosa di autentico, ma è troppo poco e troppo tardi per redimere un’opera che resta impantanata tra l’assurdo e il prevedibile.

In definitiva, Death of a Unicorn ha tutte le carte in regola per essere una gemma di culto: un concept assurdo, un cast azzeccato, il marchio A24. Ma manca il coraggio di osare davvero, di scegliere tra parodia e critica, tra commedia e dramma. Non basta chiamare in causa creature mitologiche per fare mitologia. E per quanto si travesta da unicorno raro, questo film è più simile a un cavallo di cartapesta.

In moto verso casa: il trailer della nuova serie di avventure motociclistiche con Ewan McGregor

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Apple TV+ ha pubblicato il trailer dell’attesa nuova stagione della serie di avventure motociclistiche “In moto verso casa”. Prodotto e interpretato da Ewan McGregor e Charley Boorman, questo viaggio in 10 episodi riaccende il famoso spirito di viaggio del duo, portandolo questa volta un po’ più vicino a casa.

Di cosa parla In moto verso casa?

In moto verso casa” segue Ewan e Charley alla guida di moto d’epoca rimesse a nuovo in un viaggio dalla casa di Ewan, in Scozia, a quella di Charley, in Inghilterra. Al posto del percorso più breve, scelgono la strada più lunga, attraversando il Mare del Nord fino alla Scandinavia, salendo fino al Circolo Polare Artico e poi giù fino ai Paesi Baltici e attraverso l’Europa continentale, prima di tornare indietro passando per la Manica due mesi dopo. È un’avventura che li porterà in più di quindici Paesi, attraverso scenari spettacolari e lungo alcune delle strade più belle del mondo. Durante il percorso si immergeranno nella cultura di ogni Paese, incontreranno la gente del posto e si cimenteranno in attività uniche ed eclettiche.

La serie, nominata agli Emmy, è prodotta esecutivamente da Ewan McGregor e Charley Boorman, insieme ai collaboratori storici David Alexanian e Russ Malkin, che ne curano anche la regia. La nuova stagione di “In moto verso casa” segue le precedenti avventure di Ewan e Charley in “In moto in giro per il mondo”, “In moto verso Sud” e “In moto verso Nord”, disponibili su Apple TV+.

Salvate il soldato Ryan: la storia vera dietro il film di Steven Spielberg

Dopo Schindler’s ListSteven Spielberg è tornato a raccontare la guerra con Salvate il soldato Ryan, un classico che ha ricevuto 11 nomination agli Oscar e ne ha vinti cinque. Dalla leggendaria sequenza di apertura del D-Day ai momenti più piccoli e intimi che Spielberg cattura nel profondo delle trincee, questo lungometraggiio è sia un’epopea d’azione che un profondo studio del costo umano della guerra.

La sceneggiatura di Robert Rodat è stata inizialmente ispirata dalla lettura del bestseller di Stephen E. Ambrose, D-Day June 6, 1944: The Climactic Battle of World War II, regalatogli dalla moglie. Il film segue il capo della Compagnia C, il capitano John H. Miller (Tom Hanks), e il suo equipaggio (tra cui Edward Burns, Tom Sizemore, Giovanni Ribisi e Vin Diesel), in missione per trovare e salvare il soldato James Francis Ryan (Matt Damon).

All’insaputa del soldato Ryan, egli è l’unico figlio sopravvissuto della sua famiglia, dato che i suoi tre fratelli sono stati uccisi in diverse battaglie. Il compito della compagnia è quindi quello di trovare Ryan e riportarlo a casa in conformità con la politica dell’unico sopravvissuto. Mentre la storia di Rodat è in gran parte romanzata, il Ryan di Damon è effettivamente ispirato a uno dei fratelli Niland realmente esistiti. In questo approfondimento andiamo alla scoperta di tutto quello che c’è da sapere sulla vera storia di Salvate il soldato Ryan.

Matt Damon in Salvate il soldato Ryan
Matt Damon in Salvate il soldato Ryan. Foto di Amblin Entertainment – © 1998

La vera storia dei fratelli Niland

I quattro fratelli Niland – Edward, Preston, Robert e Fritz – sono cresciuti a nord di New York (Tonawanda, vicino a Buffalo), con i genitori Michael e Augusta e due sorelle, Clarice e Margaret. Tutti e quattro hanno prestato servizio nella Seconda guerra mondiale, ma Edward è stato l’unico fratello a non partecipare allo sbarco in Normandia. Infatti, fu dichiarato “disperso in azione” pochi mesi prima del D-Day quando il suo aereo fu abbattuto sopra la Birmania. Si presumeva che fosse morto in quella circostanza.

Nel frattempo, Robert fu ucciso in azione il 6 giugno 1944, in Normandia, durante un pesante scontro a fuoco mentre si paracadutava a Neuville-au-Plain. Preston fu ucciso il giorno successivo, il 7 giugno 1944, a Utah Beach, il nome in codice di una delle cinque zone di sbarco degli Alleati nella Francia occupata dai tedeschi. Si ritiene dunque che Fritz, l’ispirazione libera per il soldato Ryan, sia l’unico fratello Niland sopravvissuto. Dopo che il suo aereo fu colpito dal fuoco nemico, Fritz si paracadutò prima di raggiungere l’obiettivo e si separò dal suo plotone dietro le linee nemiche.

I genitori Niland ricevettero la notizia della morte di tre dei loro figli nello stesso periodo. Un’altra lettera che ricevettero in quel periodo fu però quella di Fritz. Ignaro della sorte dei suoi fratelli, scrisse: “Le storie sulla guerra ispano-americana di papà dovranno passare in secondo piano quando tornerò a casa”, secondo i ritagli di giornale. Sulla scia di queste molteplici tragedie, a Fritz fu quindi ordinato di tornare a casa. Riuscì a tornare sano e salvo nel 1944 e prestò servizio nella polizia militare di New York per il resto della guerra.

Poi, nel maggio 1945, Edward fu ritrovato vivo quando un campo di prigionia birmano fu liberato dalle forze britanniche. Era stato tenuto prigioniero dai giapponesi per quasi un anno ed era ridotto in condizioni di salute estremamente precarie. Lo smantellamento del campo, dove sarebbe certamente morto prima o poi, fu dunque la sua salvezza. Quello stesse mese ebbe così modo di tornare a casa come secondo fratello Niland sopravvissuto.

Tom Hanks, Matt Damon, Tom Sizemore, Adam Goldberg, Max Martini e Demetri Goritsas in Salvate il soldato Ryan
Tom Hanks, Matt Damon, Tom Sizemore, Adam Goldberg, Max Martini e Demetri Goritsas in Salvate il soldato Ryan. Foto di Amblin Entertainment – © 1998

L’ordine di salvare l’unico superstite di una famiglia

Tale direttiva esisteva e fu messa in atto nel 1942, circa due anni prima degli eventi raccontati nel film di Steven Spielberg. Tutto ebbe inizio con i cinque fratelli SullivanGeorge, Francis, Joseph, Madison e Albert – che si erano arruolati nella Marina degli Stati Uniti dopo che un loro amico comune era stato ucciso a Pearl Harbor. I cinque chiesero di prestare servizio insieme, una pratica che all’epoca non era né comune né scoraggiata. Tragicamente, tutti furono uccisi durante la battaglia navale di Guadalcanal, nel Pacifico meridionale, quando i siluri giapponesi affondarono il loro incrociatore, la USS Juneau, la mattina del 13 novembre 1942.

Almeno uno dei Sullivan, forse tre, sopravvisse all’esplosione iniziale e riuscì a raggiungere una zattera di salvataggio, ma morì nei successivi otto giorni. I registri mostrano che i Sullivan non erano gli unici fratelli sulla Juneau: ce n’erano almeno 30, tutti autorizzati a prestare servizio insieme per mantenere alto il morale delle loro famiglie. Questa catastrofe, insieme a una manciata di situazioni simili, spinse il Dipartimento della Guerra degli Stati Uniti a proteggere altre famiglie dal subire lo stesso livello di perdita e dolore. Fu così che nacque la politica del 1942 per i soli sopravvissuti, in seguito ribattezzata Direttiva 1315.15 Politiche speciali di separazione per i sopravvissuti.

Quanto il personaggio di Matt Damon rispecchia il vero Fritz Niland?

Sebbene il soldato Ryan sia stato ispirato da Fritz Niland, molti dettagli su di lui e sul suo salvataggio sono stati inventati. Come Niland, Ryan ha tre fratelli che sono stati tutti uccisi in azione. E come Ryan nel film, il vero Niland avrebbe voluto rimanere in battaglia quando gli fu ordinato di tornare a casa. Ma a parte questo, il film di Steven Spielberg si prende molte libertà creative. Per cominciare, Niland non poteva opporsi a un ordine diretto, quindi fu prontamente rimandato a casa. Il Ryan di Damon rimane invece sul campo di battaglia più a lungo, partecipando volontariamente a una battaglia fittizia alla fine del film nella città fittizia di Ramelle.

La storia vera ci dice poi che nessun soldato ha dovuto sacrificare la propria vita per riportare Niland a casa. Infatti, l’intera “missione con equipaggio” per localizzare Niland è un’invenzione del film. In realtà, l’esercito conosceva la posizione di Niland, che era tornato con il suo reggimento, quindi non è stata necessaria alcuna pericolosa “missione di salvataggio”. Le ricerche storiche dimostrano inoltre che un’operazione così pericolosa, che mette a rischio la vita di otto uomini, non sarebbe stata né probabile né plausibile.

Salvate il soldato Ryan D-Day
La scena del D-Day in Salvate il soldato Ryan. Foto di Amblin Entertainment – © 1998

L’accuratezza di Salvate il soldato Ryan sul D-Day

Di Salvate il soldato Ryan si ricordano in particolare le scene iniziali del film che descrivono lo sbarco a Omaha Beach il 6 giugno 1944, la “più grande invasione marittima della storia”, secondo la Biblioteca del Congresso. Si tratta indubbiamente di uno dei risultati più impressionanti della carriera di Steven Spielberg, che non solo ha fissato un livello altissimo per i film di guerra, ma si è anche guadagnato il plauso dei sopravvissuti al D-Day e degli storici della Seconda Guerra Mondiale.

Salvate il soldato Ryan ha utilizzato autentici mezzi da sbarco della Seconda Guerra Mondiale: 10 LCVP e due LCM. Anche se non si trattava dei veri LCA britannici utilizzati negli sbarchi (a differenza del film, non erano gli americani a guidare i mezzi, ma i militari britannici), erano comunque fedeli all’epoca. Un altro dettaglio di produzione che ha contribuito al realismo è stata la scelta di Spielberg di utilizzare 20-30 persone amputate nella sequenza per rappresentare i soldati feriti durante gli sbarchi. Altrove, tutto il mal di mare e il disorientamento – fino al suono dei proiettili e ai nomi in codice dei settori di Omaha Beach – erano in realtà ineccepibili.

Sebbene il film si concentri sui soldati americani, anche altri Paesi, tra cui la Gran Bretagna e il Canada, parteciparono agli sbarchi. Per quanto riguarda le location, la produzione non ha potuto visitare la spiaggia di Omaha Beach in Normandia, che ora è un punto di riferimento storico. Spielberg ha invece girato le scene dell’invasione in Irlanda, a Curracloe Beach e Ballinesker Beach. I soldati che vengono colpiti mentre sono sott’acqua sono un altro abbellimento fittizio utilizzato per l’effetto drammatico. I proiettili non funzionano in questo modo, in quanto perdono slancio quando colpiscono l’acqua.

Il personaggio di Tom Hanks è basato su una persona reale?

Il John H. Miller di Tom Hanks è invece un personaggio completamente inventato. Per cominciare, la Compagnia C era comandata dal capitano Ralph Goranson e questi non fu l’uomo che strappò Fritz Niland alla guerra e lo rimandò a casa. Nella vita reale, a farlo fu padre Francis L. Sampson, il cappellano del reggimento di Niland. All’epoca 32enne, era un cappellano volontario. In seguito alla guerra fu nominato per la Medaglia d’Onore e gli fu conferita la Distinguished Service Cross, la seconda più alta onorificenza dell’esercito, per aver assistito ed evacuato i soldati durante il periodo in cui fu catturato dai tedeschi.

Murderbot: il trailer della serie comedy thriller con Alexander Skarsgård

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Apple TV+ ha presentato oggi il trailer di “Murderbot”, l’attesa serie comedy thriller creata dai premi Oscar® Chris e Paul Weitz e interpretata dal vincitore dell’Emmy Alexander Skarsgård, che è anche produttore esecutivo. La serie fantascientifica farà il suo debutto su Apple TV+ il 16 maggio con i primi due episodi dei dieci totali seguiti da nuovi episodi ogni venerdì, fino all’11 luglio.

Basata sulla serie di libri “The Murderbot Diaries” di Martha Wells, vincitrice dei premi Hugo e Nebula, “Murderbot” è una comedy thriller di fantascienza che racconta di un cyborg in grado di auto-hackerarsi e che ha orrore delle emozioni umane, ma che è attratto dai suoi vulnerabili clienti. Interpretato da Skarsgård, Murderbot deve nascondere il suo libero arbitrio e portare a termine un incarico pericoloso quando in realtà vuole solo essere lasciato in pace a guardare soap opera futuristiche e a capire quale sia il suo posto nell’universo.

Il cast comprende anche Noma Dumezweni, David Dastmalchian, Sabrina Wu, Akshay Khanna, Tattiawna Jones e Tamara Podemski.

“Murderbot” proviene dai Paramount Television Studios. I fratelli Weitz hanno scritto, diretto e prodotto con il loro marchio Depth of Field. Anche Andrew Miano è produttore esecutivo per Depth of Field, mentre David S. Goyer è produttore esecutivo insieme a Keith Levine per Phantom Four. Martha Wells funge da produttore consulente.

47 Ronin: la storia vera dietro il film con Keanu Reeves

47 Ronin: la storia vera dietro il film con Keanu Reeves

Ambientato nel Giappone tardo-medievale, il dramma d’azione fantasy del 2013 47 Ronin (qui la recensione) ha come protagonista Keanu Reeves nel ruolo di Kai, membro di un vero gruppo di samurai che continua a essere immortalato nel folklore giapponese. Il film ruota attorno al gruppo di ronin (samurai erranti che non appartengono a nessuno) del titolo che si mettono in viaggio per vendicare la morte del loro padrone per mano di un crudele shōgun (sovrano militare). Questa ardua ricerca fa sì che Kai e i suoi compagni di guerra si imbattano anche in streghe e in un drago, proponendo dunque una miscela di storia e fantasia.

Nonostante l’insuccesso economico con cui si è scontrato, 47 Ronin è comunque interessante per chi vuole saperne di più sulla storia giapponese. La sua vicenda centrale è stata reinterpretata in diversi film e spettacoli, ma questo film si distingue per la posta in gioco più alta e le sfumature mitologiche. Mentre l’eroe metà giapponese e metà inglese di Reeves è un personaggio di fantasia, molti altri membri del cast interpretano figure realmente esistite. Hiroyuki Sanada nel ruolo del leader dei ronin Yoshio Oishi e Min Tanaka nel ruolo del loro ex maestro Lord Asano Naganori ne sono un esempio, il che rende 47 Ronin in un certo senso basato su una storia vera.

La vera storia dei 47 Ronin

Come ha rivelato il regista di 47 Ronin, Carl Rinsch, il film è sempre stato ispirato a una vera storia giapponese. Si tratta della storia di un vero gruppo di 47 samurai senza padrone che un tempo servivano il daimyo (signore feudale) Asano Naganori. Ma quando quest’ultimo attaccò l’influente funzionario di corte Yoshinaka Kira in un impeto di rabbia, l’atto disonorevole costrinse Naganori a compiere un rituale noto come seppuku e a togliersi la vita. Rimasti senza padrone, i samurai di Naganori escogitarono un elaborato piano per vendicare la sua morte un anno dopo. I 47 guerrieri raggiunsero poi il loro obiettivo uccidendo Kira. Questo atto li aiutò finalmente a ri-ottenere l’onore del loro maestro.

Keanu Reeves, Shû Nakajima, Hiroyuki Sanada e Masayoshi Haneda in 47 Ronin
Keanu Reeves, Shû Nakajima, Hiroyuki Sanada e Masayoshi Haneda in 47 Ronin © 2013 – Universal Pictures

La cronologia di questi eventi, tuttavia, non è specificata e ci sono più fonti per determinare l’anno esatto. Citando Rinsch, “47 Ronin è un evento storico. È realmente accaduto, [nel] 1702 o nel 1703, a seconda dello studioso a cui si crede“. William E. Deal, nel libro di saggistica Handbook to Life in Medieval and Early Modern Japan, aggiunge che anche se l’attacco contro Kira sarebbe avvenuto il 13 gennaio, i giapponesi commemorano l’evento ogni anno il 14 dicembre. Rinsch ha anche ricordato che il 14 dicembre “è un giorno importante”, in cui i giapponesi chiudono scuole e banche e rendono omaggio alle tombe dei 47 Ronin.

La fine dei 47 Ronin

Alla fine del film 47 Ronin, Kai e il resto dei samurai vengono condannati a morte per l’omicidio di Kira, poiché era stato loro proibito da uno shōgun di vendicare il loro defunto maestro. Tuttavia, viene deciso che i guerrieri seguivano ancora il codice morale dei samurai noto come bushido. Questo permette loro di morire in modo onorevole, eseguendo tutti insieme un suicidio rituale. Questo è in effetti il tragico destino che i veri 47 Ronin dovettero subire dopo aver ottenuto la loro vendetta. Con il sostegno dell’opinione pubblica a favore dei Ronin, le autorità giapponesi furono costrette a offrire loro una morte onorevole invece di punirli come criminali.

Questa storia vera del seppuku in cui furono coinvolti i samurai divenne il racconto morale perfetto per gli anni a venire. Simboleggiando la lealtà incrollabile e l’onore a cui le persone dovrebbero aspirare, la popolarità di questa storia continuò a crescere fino all’era Meiji della storia giapponese (1868-1912). Anche se in quel periodo il Paese si stava modernizzando e stava subendo cambiamenti culturali radicali, la storia dei 47 Ronin contribuì a mantenere l’orgoglio della cultura e dell’identità nazionale. Commentando i temi filosofici del loro sacrificio, Carl Rinsch aggiunge: “Ha una vera risonanza emotiva per quella cultura. Noi in Occidente ne sappiamo molto poco“.

Kai è un personaggio immaginario

Ciò che alcuni potrebbero non sapere di Keanu Reeves è la sua etnia mista. Il padre dell’attore canadese ha origini hawaiane, cinesi, inglesi, irlandesi e portoghesi. Allo stesso modo, il protagonista di 47 Ronin, Kai, viene trattato come un emarginato dai giapponesi per le sue origini miste. Questo aspetto razziale e il personaggio stesso di Kai sono stati creati esclusivamente per il film. In realtà, non c’era nessun guerriero samurai mezzo bianco nel gruppo. Come è ovvio, anche gli elementi della stregoneria e delle bestie simili a draghi sono punti di trama fittizi che servono solo a drammatizzare la narrazione originale.

Shû Nakajima, Hiroyuki Sanada e Takato Yonemoto in 47 Ronin
Shû Nakajima, Hiroyuki Sanada e Takato Yonemoto in 47 Ronin © 2013 – Universal Pictures

I veri personaggi di 47 Ronin

Il film che il regista Carl Rinsch descrive come “Kurosawa sotto anfetamine” è in definitiva un’opera di storia alternativa con dettagli pesantemente inventati, proprio come il dramma dell’era Meiji L’ultimo samurai ha cambiato la sua vera storia. Va comunque notato che molte altre figure storiche sono ritratte accuratamente nel film. Ciò che esso non cambia è l’inclusione del leader del gruppo, Yoshio Oishi, e del loro capo morto, Asano Naganori, insieme allo shōgun Tokugawa Tsunayoshi. Era stato questo shōgun a bollare i samurai come Ronin e a proibire loro di cercare vendetta. Naturalmente, anche il bersaglio principale dei ronin, Yoshinaka Kira, compare in modo significativo nel film.

La storia dei 47 Ronin ha dato vita a un genere a sé stante

Nonostante la narrazione di fantasia, 47 Ronin non è la prima versione romanzata della storia originale; alcuni dei migliori film giapponesi sui samurai l’hanno già sceneggiata in passato. In effetti, la storia vera ha raggiunto uno status leggendario nel Paese, tanto che le sue rivisitazioni romanzate nella letteratura e nella cultura popolare sono collettivamente etichettate come Chūshingura (che letteralmente si traduce con Il Tesoro dei Fedeli Servitori). Il classico giapponese in bianco e nero del 1928 Chūkon giretsu: Jitsuroku Chūshingura fu il primo film a raccontare la storia dei 47 Ronin. A questo sono seguiti numerosi altri film e spettacoli televisivi. Gli adattamenti in inglese includono un altro film con Keanu Reeves: Last Knights.

Per Carl Rinsch, il suo film del 2013 è molto simile a Chūshingura, poiché reinterpreta l’evento storico proprio come hanno fatto altri film giapponesi sui 47 Ronin. “Chūshingura non è solo una storia storicamente accurata. È prenderla e farla propria. C’è il Chūshingura di Hello Kitty, hanno raccontato il ‘47 Ronin’ con tutte donne“, ha detto Rinsch, ricordando anche come i registi giapponesi abbiano creato prequel e sequel della storia vera. Sebbene 47 Ronin non sia riuscito a creare un impatto al cinema, la storia di quei coraggiosi 47 guerrieri del Giappone del XVIII secolo continua quindi a vivere nel mondo moderno.

Operazione Vendetta, recensione del film con Rami Malek

Operazione Vendetta, recensione del film con Rami Malek

Iniziamo la nostra analisi del thriller diretto da James Hawes con una nota di demerito per la scelta del titolo italiano. Può anche starci che la traduzione letterale dell’originale Operazione Vendetta non fosse particolarmente appetibile per intrigare il pubblico nostrano, ma scegliere un titolo così eclatante e, ancor peggio, tutto sommato fuorviante rispetto all natura stessa del film, appare a nostro avviso una decisione discutibile. Perché a conti fatti quello che la storia e il robusto arco narrativo del protagonista rappresentano con pienezza è proprio quanto sia complesso, a livello psicologico ed emotivo, mettere in atto la vendetta stessa.

La trama di Operazione Vendetta

La trama di Operazione Vendetta, ispirata dal romanzo omonimo scritto da Robert Littell, vede l’analista della CIA Charlie Heller (Rami Malek) perdere la sua amata moglie Sarah (Rachel Brosnahan) in seguito a un attentato terroristico nel cuore di Londra. Quando l’uomo capisce che l’agenzia non sta adoperando tutti i propri mezzi a disposizione per catturare i colpevoli dell’omocidio, Heller decide di tentare da solo di scovare i colpevoli e far loro pagare il prezzo delle azioni sanguinose…

Rami Malek e Rachel Brosnahan in Operazione Vendetta – Cortesia di 20th Century Studios

Se Operazione Vendetta si rivela un lungometraggio decisamente sopra la media di questo tipo di produzioni è perché molti degli elementi che lo compongono sono stati sviluppati con evidente lucidità. A parte qualche sbavatura di verosimiglianza e uno showdown finale che contiene un momento non plausibile, la sceneggiatura funziona davvero bene; a partire da una trama che non rinuncia alla complessità della classica spy-story ambientata in diverse parti del mondo ma al tempo stesso si tiene aggrappata alla delineazione interessante di un personaggio tutt’altro che scontato.

Charlie Heller è una figura in chiaroscuro

Charlie Heller infatti è un uomo che segue i propri impulsi anche quando sono fuorvianti, se non addirittura sbagliati, Invece di essere il freddo calcolatore che cerca soltanto sangue e vendetta è un uomo che si lascia trasportare dal dolore, il quale una volta osservato il colore del sangue sulle proprie mani inizia a interrogarsi riguardo le proprie azioni. Insomma, non siamo di fronte al solito eroe che stravolge la propria mentalità e il proprio stile di vita perché é tutto sommato giusto adoperare il concetto di “occhio per occhio” nei confronti di criminali, quanto piuttosto a un uomo che ogni volta sceglie di ribadire le proprie intenzioni anche dopo aver capito quanto siano discutibili, se non contraddittorie.

E questo rende Heller una figura in chiaroscuro con cui non si può necessariamente essere d’accordo, ma che si comprende soprattutto quando mostra le proprie fragilità. Altra scelta azzeccata di conseguenza si rivela quella di Rami Malek come protagonista, attore che non possiede a nostro avviso una gamma troppo ampia di timbri ma sa molto bene come evidenziare le “zone grigie” di un ruolo, rendendole plausibili. Quando poi il cast di supporto è composto anche dalla Brosnahan, da Laurence Fishburne, Holt MccAllany, Julianne Nicholson, Caitriona Balfe, Jon Bernthal e Michael Stuhlbarg, ecco che Operazione Vendetta eleva il proprio livello anche grazie agli attori che lo interpretano.

Lawrence Fishburne in Operazione Vendetta – Cortesia di 20th Century Studios

Altro punto a favore del thriller è la regia di Hawes, sempre controllata anche quando deve necessariamente mettere in scena lo spettacolo del genere. Il regista dimostra un pieno controllo del proprio lungometraggio, che non si fa quasi mai gratuito, e questo nel cinema mainstream contemporaneo è un gran pregio.

Un tono pessimistico

Ultimo e forse più importante pregio di Operazione Vendetta, soprattutto nella prima parte, è il tono pessimistico con cui mette in scena le macchinazioni ordite da coloro che detengono un enorme potere e lo adoperano nell’ombra, indisturbati. Ci sono dei momenti in cui il film ricorda, anche se ovviamente alla lontana, un capolavoro come I tre giorni del Condor di Sydney Pollack, altro thriller spionistico che in qualche modo raccontava il periodo storico in cui era stato realizzato, di certo non facile per l’America post Watergate.

Ecco, Operazione Vendetta sembra volere in filigrana farci vedere che oggi l’America è retta da istituzioni più o meno legittime e trasparenti di cui è lecito dubitare. Se anche questo, oltre ovviamente a fornire un intrattenimento intelligente e non scontato, era l’intento alla base del progetto, allora la nostra ammirazione nei confronti del film di Hawes non può che accrescersi…

The Last of Us rinnovato per la terza stagione

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The Last of Us rinnovato per la terza stagione

HBO ha acquisito The Last Of Us per una terza stagione. L’annuncio arriva prima dell’atteso debutto della seconda stagione il 14 aprile in Italia. Deadline ha appreso che non è stata ancora presa una decisione se la terza stagione sarà l’ultima della serie.

I creatori Neil Druckmann e Craig Mazin avevano precedentemente dichiarato a Deadline di stare prendendo in considerazione fino a quattro stagioni totali per raccontare la storia suddivisa in due videogiochi. La seconda stagione è composta da sette episodi e il duo ha cercato fin dall’inizio di dissipare ogni timore dei fan di concludere il colosso The Last of Us Parte II in così poco tempo.

La seconda stagione di The Last of Us

In questo secondo capitolo della serie, cinque anni dopo gli eventi della prima stagione Joel (Pedro Pascal) ed Ellie (Bella Ramsey) saranno trascinati in un conflitto fra di loro e contro un mondo persino più pericoloso e imprevedibile di quello che si erano lasciati alle spalle.

La seconda stagione, in sette nuovi episodi, vede di nuovo protagonisti Pedro Pascal e Bella Ramsey nei panni, rispettivamente, di Joel ed Ellie, insieme a Gabriel Luna che interpreta Tommy e Rutina Wesley nel ruolo di Maria. Le già annunciate new-entry nel cast sono invece Kaitlyn Dever che vestirà i panni di Abby, Isabela Merced nel ruolo di Dina, Young Mazino in quello di Jesse, Ariela Barer interpreterà Mel, Tati Gabrielle sarà Nora, Spencer Lord vestirà i panni di Owen, Danny Ramirez sarà Manny e Jeffrey Wright interpreterà invece Isaac. Catherine O’Hara è guest star della nuova stagione.

Basata sull’acclamato franchise videoludico sviluppato da Naughty Dog per le console PlayStation, “The Last of Us” è scritta e prodotta esecutivamente da Craig Mazin e Neil Druckmann. La serie è una co-produzione con Sony Pictures Television ed è prodotta esecutivamente anche da Carolyn Strauss, Jacqueline Lesko, Cecil O’Connor, Asad Qizilbash, Carter Swan ed Evan Wells. Società di produzione: PlayStation Productions, Word Games, Mighty Mint e Naughty Dog.

Assassinio sul Nilo: le differenze tra il libro e il film

Assassinio sul Nilo: le differenze tra il libro e il film

Assassinio sul Nilo (qui la recensione) del 2022 è un adattamento diretto del romanzo di Agatha Christie, ma cosa cambia rispetto al libro originale? Il film di Kenneth Branagh è stato accolto da recensioni decisamente contrastanti dopo la data di uscita dell’11 febbraio 2020, con molti critici che hanno citato l’insistenza del film nell’utilizzare uno stile antiquato in contrasto con un vivace cast di star contemporanee. Di conseguenza, Assassinio sul Nilo di Branagh introduce diversi cambiamenti radicali rispetto al materiale originale della Christie, che cospirano a smorzare l’effetto di una storia altrimenti classica.

Uscito per la prima volta il 1° novembre 1937, Morte sul Nilo della Christie è considerato uno dei suoi romanzi più belli di una lunga e illustre carriera di scrittrice di gialli. È il diciottesimo dei romanzi su Hercule Poirot della Christie e vede il detective titolare dedurre una serie di omicidi a bordo del Karnak mentre viaggia lungo il fiume Nilo. Oltre alla rivisitazione di Branagh, tale romanzo ha ricevuto diversi altri adattamenti, tra cui il sorprendente film di John Guillermin del 1978, un adattamento radiofonico della BBC, una graphic novel e persino un videogioco a tema.

Nonostante l’evidente affinità con l’iconica storia della Christie, come già detto il regista Branagh apporta comunque modifiche sostanziali alla sua versione di Assassinio sul Nilo. Le maggiori deviazioni dall’originale libro giallo arrivano sotto forma di modifiche ai personaggi, con diversi volti nuovi a bordo della Karnak oltre a due omissioni degne di nota. Ecco dunque tutti i cambiamenti che il film apporta al romanzo originale di Agatha Christie, oltre a ciò che il film di Branagh ha riproposto fedelmente.

LEGGI ANCHE: Assassinio sul Nilo, la spiegazione del finale: chi è l’assassino?

Kenneth Branagh e Tom Bateman in Assassinio sul Nilo
Kenneth Branagh e Tom Bateman in Assassinio sul Nilo. Foto di © 2020 Twentieth Century Fox Film Corporation. All Rights Reserved.

Il personaggio di Bouc

Uno dei maggiori cambiamenti rispetto alla storia è il personaggio di Bouc (Tom Bateman), che non compare affatto nel romanzo originale. Il personaggio è invece qui stato ripreso da Assassinio sull’Orient Express del 2017. Secondo quanto riferito, il regista di origine britannica è rimasto così colpito dall’interpretazione di Bateman nel suo primo film di Poirot che ha scritto una parte per lui in Assassinio sul Nilo. Nel contesto della storia, l’ingresso di Bouc ha portato alla sostituzione del personaggio di Tim Allerton, presente invece nel libro.

Ciò ha permesso a Bateman di riprendere il ruolo di spalla che aveva interpretato in modo così convincente nel precedente film. Tuttavia, i cambiamenti nel ruolo di Bouc non si fermano qui: Bouc è anche l’ultima vittima della follia omicida di Simon Doyle (Armie Hammer) e Jacqueline de Bellefort (Emma Mackey). Bouc subentra in questo ruolo poco invidiabile a Salome Otterbourne (Sophie Okonedo), l’ultima vittima del finale della storia originale di Christie.

Il ruolo di Salome Otterbourne

Salome Otterbourne è un altro importante cambiamento del personaggio rispetto al libro originale della Christie: la versione della Okonedo è una cantante jazz. Questo è un netto distacco dalla storia originale di Morte sul Nilo, in cui Otterbourne è un’ubriacona lasciva che ostacola accidentalmente le indagini di Poirot. In origine, Otterbourne è anche l’ultima vittima dell’omicidio di Doyle e de Bellefort, anche se nel film di Branagh del 2022 le viene concessa la sua dignità e la sua vita, chiudendo il film cantando per un Poirot senza baffi e riaccendendo la loro nascente storia d’amore.

Kenneth Branagh in Assassinio sul Nilo
Kenneth Branagh in Assassinio sul Nilo. Foto di © 2020 Twentieth Century Fox Film Corporation. All Rights Reserved.

La relazione tra Van Schuyler e Bowers

Nel tentativo di sfruttare le iconiche doti comiche di Dawn French e Jennifer Saunders, il film di Branagh vede la signora Bowers e Marie Van Schuyler vivere una relazione romantica come coppia lesbica. Il film mantiene il precedente lavoro della Bowers come infermiera di Van Schulyer dal libro originale, ma elevando la loro relazione permette un esilarante avanti e indietro tra le due amanti segrete che il libro originale della Christie non contiene. Sebbene molti dei cambiamenti apportati da Branagh ai personaggi siano stati criticati, questa è una modifica per la quale il regista merita elogi.

Un’esplorazione del passato di Poirot

Uno dei contrasti più evidenti tra Assassinio sul Nilo di Branagh e il libro originale di Agatha Christie è quanto il film dsi addentri nei demoni del passato di Poirot. Il film esplora infatti l’origine degli iconici baffi dell’investigatore, nonché il trauma del suo passato di soldato nella Prima Guerra Mondiale. Inoltre, inserisce Poirot in diverse conversazioni e situazioni di cui non era a conoscenza nel libro originale, consentendo alla storia di essere raccontata quasi interamente dalla prospettiva di Poirot, come il libro di Christie non può fare.

L’aggiunta di Euphemia

Oltre a Bouc che attraversa l’universo condiviso di Poirot per recitare in Assassinio sul Nilo, anche sua madre Euphemia (Annette Bening) è un personaggio completamente nuovo pensato per il film. Viene utilizzata come veicolo per la narrazione dell’adattamento del 2022: la sua natura soffocante è un fattore chiave nella morte di Bouc, che viene colpito alla gola dopo essersi allontanato dalla loro discussione. È anche la vernice rossa di Eufemia che permette a Simon di fingere una ferita (al contrario dello smalto rubato nel libro originale), consentendogli di evitare la cattura più a lungo di quanto avrebbe fatto altrimenti contro il perspicace Poirot.

Gal Gadot e Emma Mackey in Assassinio sul Nilo
Gal Gadot e Emma Mackey in Assassinio sul Nilo. Foto di © 2020 Twentieth Century Fox Film Corporation. All Rights Reserved.

Ciò che Assassinio sul Nilo adatta fedelmente dal libro

Anche se i cambiamenti radicali alla storia originale non sono sempre in meglio, il film di Branagh traduce con successo l’elemento migliore del libro della Christie. Assassinio sul Nilo fa infatti un lavoro fenomenale nell’intrecciare il mistero originale della Christie attraverso i suoi nuovi personaggi, pur mantenendo i punti chiave della trama che hanno reso il giallo della Christie un tale successo nel 1937. Jacqueline e Simon rimangono i cattivi intriganti che tentano di rubare i soldi di Linnet in una riproduzione quasi perfetta del giallo di Agatha Christie.

Jacqueline finge ancora di sparare a Simon alla gamba durante una discussione, dando a Simon il tempo di sgattaiolare via, uccidere Linnet e poi spararsi (questa volta sul serio) per consolidare il suo alibi. Con Jacqueline in carcere per aver sparato a Simon e quest’ultimo presumibilmente ferito nel momento in cui Linnet è stata uccisa, entrambi vengono scagionati dai sospetti. Questa svista di Poirot permette a Simon e Jacqueline di uccidere altre due volte per coprire le loro tracce, proprio come nella storia della Christie, uccidendo prima la cameriera di Linnet per aver tentato di ricattarli, e poi un terzo testimone che si rivela essere Bouc nello svelamento finale.

Assassinio sul Nilo di Branagh riesce anche a infondere nella sua narrazione lo stesso misticismo e lo stesso stupore che hanno reso il romanzo della Christie una lettura così avvincente nel 1937. Ambientato in uno scenario di tensione prebellica alla fine degli anni Trenta, il film riesce perfettamente a tradurre l’opulenza, la paura e il contrasto di ricchezza tra i personaggi di Karnak e il resto della popolazione, oltre a presentare l’Egitto come una proposta quasi ultraterrena per i visitatori stranieri dell’epoca. Morte sul Nilo di Branagh non è assolutamente un film perfetto, ma cattura accuratamente l’essenza del fondamentale libro giallo di Christie.

È Colpa Nostra? il teaser e le prime immagini!

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È Colpa Nostra? il teaser e le prime immagini!

Prime Video ha svelato il teaser trailer ufficiale di È Colpa Nostra?, l’attesissimo film Original spagnolo che porterà all’epica conclusione di Culpables, la trilogia di best-seller del New York Times firmata da Mercedes Ron. Il debutto del film è previsto in esclusiva per questo ottobre in oltre 240 Paesi e territori nel mondo. Il film segue il successo senza precedenti dei suoi predecessori: È Colpa Mia?, che ha raggiunto la top 10 in oltre 190 Paesi, e È Colpa Tua?, che è diventato il film Original internazionale più visto su Prime Video al momento del lancio.

Il matrimonio di Jenna e Lion prepara il terreno per la tanto attesa reunion tra Noah e Nick, che avviene qualche tempo dopo la loro rottura. L’incapacità di Nick di perdonare Noah crea tra loro un muro apparentemente insormontabile. Lui, ormai erede dell’impero imprenditoriale del nonno, e lei, che ha appena dato inizio alla sua carriera, si rifiutano di riaccendere la fiamma che è ancora viva dentro di loro. Ma adesso che le loro strade si sono incrociate di nuovo, l’amore si rivelerà più forte del rancore?

In È Colpa Nostra?, Nicole Wallace (Skam Spagna, Parot) e Gabriel Guevara (Domani è oggi – Mañana es hoy, Hit) riportano in vita un’ultima volta i loro amati personaggi, Noah e Nick. Chiudono questa indimenticabile capitolo della saga Culpables insieme al cast completo, che vede il ritorno di Marta Hazas (Quando meno te lo aspetti – Días mejores, Piccole coincidenze – Pequeñas coincidencias), Iván Sánchez (Bosé, Hospital Central), Victor Varona (Cielo grande, Dani Who?), Eva Ruiz, Goya Toledo (Amores perros, Veneno), Gabriela Andrada (Los protegidos ADN, Gli eredi della Terra – Los herederos de la tierra), Álex Béjar (Élite, Al fondo hay sitio), Javier Morgade (Desaparecidos, Delfines de plata), Felipe Londoño (Entrevías, Profilo falso), accogliendo la new entry Fran Morcillo (La casa di carta) nel ruolo di Simon.

È Colpa Nostra? Cortesia di Prime Video

È Colpa Nostra? è stato diretto da Domingo González, che ritorna anche come autore insieme a Sofía Cuenca, prodotto da Pokeepsie Films (Banijay Iberia) (Veneciafrenia – Follia e morte a Venezia, 30 coins – Trenta denari, The bar) con Álex de la Iglesia e Carolina Bang come producer.

Corti d’Argento 2025: tutti i nominati

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Corti d’Argento 2025: tutti i nominati

Più commedie e molta sperimentazione, soprattutto nell’animazione, per la prima volta anche attraverso l’utilizzo (dichiarato) dell’intelligenza artificiale, nella selezione, dei ‘Corti d’Argento 2025’, una ventina di titoli – scelti tra  260 opere di fiction e 25 di animazione distribuiti dopo un debutto nelle rassegne specializzate e nei grandi festival tra i quali saranno premiati i cortometraggi vincitori lunedì prossimo 14 Maggio al Cinema Caravaggio di Roma. Si tratta di cortometraggi realizzati da autori anche giovanissimi tra i quali spiccano l’impegno di nuove registe e molte interessanti performance di una nuova generazione di interpreti.

I DIECI FINALISTI dei Corti d’Argento 2025

In ‘cinquina’ per il miglior corto di finzione Marcello di Maurizio Lombardi, La confessione di Nicola Sorcinelli, già vincitore nel 2017 di un Nastro d’Argento per Moby Dick e Majoneze di Giulia Grandinetti  (finalisti anche al David di Donatello) e ancora Mignolo di Gianluca Granocchia e Pinocchio Reborn di Matteo Cirillo.  Per l’animazione a confronto cinque autori che siglano esperienze molto diverse tra loro: Playing God di Matteo Burani, dove prendono vita inquietanti sculture di argilla, Dagon di Paolo Gaudio ispirato ad un racconto di Lovercraft, Dark Globe di Donato Sansone, videomaker e artista in questi giorni protagonista a Torino di un’originale performance con i suoi ‘Metaversi’ e, infine, due delicate sperimentazioni al femminile, con Nè una nè due di Lucia Catalini e Supersilly di Veronica Martiradonna.

 ANCHE I ‘NASTRI d’ARGENTO’ IN SALA CON ‘CORTO, CHE PASSIONE!’

Una selezione dei Corti d’Argento sarà in sala a Maggio grazie all’iniziativa della FICE, Federazione Italiana Cinema d’Essai, dell’ANEC Associazione Nazionale Esercenti Cinema, di Rai Cinema e di Alice nella Città, che (in collaborazione con l’Italian Short Film Association, con il sostegno della Direzione generale Cinema e audiovisivo del MiC e di Deluxe Digital) hanno finalmente acceso ben 100 schermi dei cinema italiani per promuovere il cinema breve. Un’iniziativa preziosa alla quale i Nastri d’Argento hanno aderito con entusiasmo unendosi, come il David di Donatello, a quest’esperimento che ogni secondo martedì del mese, proporrà in tutt’Italia una selezione sempre nuova di cortometraggi, portando sul grande schermo il meglio di un mondo sempre  più aperto al talento, alla creatività e alla sperimentazione.

Un’occasione unica per valorizzare il “formato breve” e farlo conoscere al grande pubblico grazie al supporto dei principali player del settore cinematografico che godrà anche della collaborazione dell’AFIC – Associazione Festival italiani di cinema, che si unisce al progetto come U.N.I.T.A. (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo) e il Collettivo under 35 (100autori, WGI, Anac), che parteciperanno  anche con la loro presenza in molte sale  per incoraggiare e lanciare gli autori di domani.

A seguire i 10 titoli finalisti e i 15 cortometraggi della selezione ufficiale fiction

Le ‘CINQUINE’ FINALISTE

FICTION

  • MARCELLO di Maurizio Lombardi
  • LA CONFESSIONE di Nicola Sorcinelli
  • MAJONEZE di Giulia Grandinetti
  • MIGNOLO di Gianluca Granocchia
  • PINOCCHIO REBORN di Matteo Cirillo

ANIMAZIONE

  • PLAYING GOD di Matteo Burani
  • DAGON di Paolo Gaudio
  • DARK GLOBE di Donato Sansone
  • NÈ UNA NÈ DUE di Lucia Catalini
  • SUPERSILLY di Veronica Martiradonna

LA SELEZIONE UFFICIALE

FICTION

  • BILLI IL COWBOY di Fede Gianni
  • LA BUONA CONDOTTA di Francesco Gheghi
  • LA CONFESSIONE di Nicola Sorcinelli
  • MAJONEZE di Giulia Grandinetti
  • MARCELLO di Maurizio Lombardi
  • MERCATO LIBERO di Giuseppe Cacace
  • MIGNOLO di Gianluca Granocchia
  • PHANTOM di Gabriele Manzoni
  • PINOCCHIO REBORN di Matteo Cirillo
  • RENÈ VA ALLA GUERRA di Luca Ferri, Morgan Menegazzo, Mariachiara Pernisa
  • SHARING IS CARING di Vincenzo Mauro
  • SORVEGLIANZE di Guido Pontecorvo
  • SPOTLIGHT di Lorenzo Lamberti
  • STUDIES FOR A CLOSE UP di Nicolò Bressan Degli Antoni
  • UN LAVORETTO FACILE FACILE di Giovanni Boscolo

Hugh Jackman torna Wolverine… in una maniera inaspettata!

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Hugh Jackman torna Wolverine… in una maniera inaspettata!

Il Wolverine di Hugh Jackman torna in modo inaspettato attraverso un nuovo video Marvel. L’attore ha debuttato nel Marvel Cinematic Universe lo scorso anno in Deadpool & Wolverine, che ha infranto diversi record al botteghino, diventando uno dei film di maggior successo del franchise. Per questo motivo, tutti gli occhi sono puntati sulla possibilità che Jackman possa interpretare di nuovo Logan in un sequel di Deadpool & Wolverine o in altri progetti del MCU, come Avengers: Doomsday, che ha confermato la presenza di molti attori della trilogia originale degli X-Men della Fox. Tra le voci di corridoio, il Wolverine di Jackman è tornato, ma non nel modo in cui tutti si aspettavano.

Su YouTube, la Marvel ha pubblicato un video di 8 ore e mezza intitolato “Wolverine Breathing Exercise” per il Mese nazionale della consapevolezza dello stress.

A metà del video, la Marvel inserisce una sorpresa quando Wolverine interpretato da Jackman assume una posa iconica (tramite Phase Hero/Twitter) resa famosa da Logan nei fumetti.

Il personaggio tira fuori gli artigli dalla mano destra mentre chiama lo spettatore con l’indice della mano sinistra, il tutto mentre mostra un sorriso esilarante e un sopracciglio alzato. Finora, la prossima apparizione di Jackman in Wolverine non è ancora stata annunciata, ma ci sono buone probabilità che uno dei prossimi film dell’MCU includa Logan.

Daredevil: Rinascita, come mai Punisher compare così poco?

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Daredevil: Rinascita, come mai Punisher compare così poco?

Nonostante l’influenza di Frank Castle sulla storia del MCU di Matt Murdock, Punisher è stato completamente assente da Daredevil: Rinascita. Nel periodo tra la fine della seconda stagione di The Punisher e Daredevil: Rinascita, molti membri del Dipartimento di Polizia di New York hanno cooptato l’iconografia del Punitore per rappresentare i loro violenti metodi di lotta al crimine. Lo stesso Frank Castle sembra essersi preso una lunga pausa dalla sua vita da vigilante, e alcuni individui non identificati lo hanno impersonato per commettere crimini come l’omicidio di Hector Ayala, alias Tigre Bianca, e l’attribuzione della colpa di crimini gravi a civili innocenti.

L’episodio 4 di Daredevil: Rinascita non ha rivelato cosa abbia fatto esattamente Frank Castle dalla seconda stagione di The Punisher, dove ha rifiutato un’offerta di lavorare per le autorità e ha deciso di continuare a combattere il crimine da solo. Da allora dev’essere successo qualcosa di grave, visto che Frank Castle sembra più stanco che mai del vigilantismo. Eppure, il Punitore non ha abbandonato la sua fede nei metodi brutali di lotta al crimine, considerando le dure parole scambiate con Matt Murdock. Ora, la domanda più importante è dove sia stato il Punitore per gran parte di Daredevil: Rinascita.

Perché Frank Castle è scomparso da Daredevil: Rinascita dall’episodio 4

L’assenza di Frank Castle può essere spiegata dentro e fuori dallo schermo

Il Punitore di Jon Bernthal è tornato nell’episodio 4 di Daredevil: Rinascita, in cui Matt Murdock si è rivolto a lui per chiedere consiglio dopo l’omicidio di Hector Ayala e l’ascesa al potere di Wilson Fisk. Frank Castle ha affrontato Matt Murdock, riconoscendo la rabbia repressa di Matt e il suo desiderio di tornare ai suoi giorni in Daredevil. A quanto pare Frank Castle aveva ragione, e Matt Murdock è presto tornato nei panni di Daredevil, più violento che mai. Tuttavia, il Punitore è completamente assente da quel momento in poi, e nessun altro episodio ha fatto riferimento alla sua posizione.

Il Punitore non è tornato in Daredevil: Rinascita a causa del disaccordo tra Frank Castle e Matt Murdock sull’uso della forza letale. Più di un decennio dopo il loro primo incontro nella seconda stagione di Daredevil, Frank e Matt si scontrano ancora sull’etica dell’omicidio e non riescono a raggiungere una conclusione sulle conseguenze della morte di Hector Ayala. Dal punto di vista logistico, il Punitore di Jon Bernthal non appariva nella versione originale della serie. Dopo la revisione creativa di Daredevil: Rinascita, Frank Castle è stato aggiunto, ma solo come personaggio minore in un paio di episodi.

Per esclusione, Punisher deve tornare nel finale di stagione

C’è ancora altro materiale sul Punitore da vedere in Daredevil: Rinascita

Daredevil: Rinascita
Daredevil: Rinascita da DISNEY ITALIA

Frank Castle è apparso solo in una scena sfoggiando capelli lunghi e una folta barba. Mentre il Punitore e Daredevil sembrano separarsi definitivamente nell’episodio 4, il Punitore probabilmente tornerà almeno un’altra volta prima della fine della serie. Il Punitore di Bernthal è stato incluso in trailer e clip, sfoggiando il suo tradizionale look con capelli corti e senza barba, e combattendo al fianco di un Daredevil completamente in costume. Pertanto, è quasi certo che il Punitore apparirà nell’episodio 9.

Jude Law: i suoi film più rappresentativi in attesa di Eden

Jude Law: i suoi film più rappresentativi in attesa di Eden

Arriva al cinema il 10 aprile con 01 Distribution il nuovo film di Ron Howard, Eden (qui la recensione), che vede protagonista Jude Law. L’attore inglese, icona di stile e sex symbol transgenerazionale mette a segno così una nuova prestigiosa collaborazione con il regista premio Oscar, affiancandosi, nel film, a un gruppo di superstar tra cui: Vanessa Kirby, Daniel Brühl, Sydney Sweeney e Ana de Armas.

Ma quali sono i suoi ruoli migliori, o per meglio dire, quali sono i ruoli che Jude Law ha interpretato e che hanno ridefinito la sua immagine e la sua carriera? Eccoli di seguito:

Eden di Ron Howard

Eden recensione film
Jude Law e Vanessa Kirby in Eden. Foto di Jasin Boland © Cortesia 01 Distribution

Ron Howard, regista premio Oscar, dirige Jude Law in Eden al fianco di Vanessa Kirby, Daniel Brühl e Ana de Armas. Distribuito da 01 Distribution, il film sarà nelle sale italiane dal 10 aprile.

Il film segue le vicende di Friedrich Ritter, medico tedesco, e della sua compagna Dora, che approdano sull’isola di Floreana nel 1929 con l’obiettivo di costruire una nuova vita lontano dalla società. Il loro esperimento attira ben presto l’attenzione internazionale e, nel tempo, altre persone decidono di unirsi a loro, tra cui la famiglia Wittmer e una misteriosa baronessa austriaca accompagnata da due amanti. Quella che doveva essere un’utopia si trasforma però in un microcosmo teso e instabile, dove le tensioni, le gelosie e le ambizioni personali portano a una serie di eventi oscuri e mai completamente chiariti. Eden mette in scena questa vicenda con uno stile visivo potente e una narrazione che fonde dramma psicologico e mistero.

A.I. – Intelligenza artificiale di Steven Spielberg

Film del 2001, ha contribuito a definire il racconto fantascientifico e, con il senno di poi, ha dato vita a una narrazione proiettata decisamente nel futuro su un argomento delicato e attuale come l’Intelligenza Artificiale.

Nel film, Jude Law interpreta Gigolò Joe, un mecha prostituto che è in fuga per essere stato incastrato per l’omicidio di una cliente che farà da compagno di viaggio al giovane magnetico protagonista, interpretato da Haley Joel Osment. Facendo leva sulla sua straordinaria bellezza, Law tratteggia un personaggio intenso e memorabile, uno dei primi della sua carriera.

Closer di Mike Nichols

Nessuna coppia dovrebbe guardare Closer insieme, a meno che non sia esattamente consapevole del suo stadio di serenità e fiducia reciproca. Il film di Nichols è diventato a ragione un culto per il genere, romantico ma anche da psicoterapia diretta, una montagna russa di emozioni in cui Jude Law interpreta Dan, un giornalista di necrologi aspirante scrittore, che si fidanza con Alice, una giovane spogliarellista americana in cerca di fortuna a Londra. Poi però conosce la fotografa Anna, si innamora di lei ed è disposto a tutto pur di averla. Chattando sotto falsa identità con un dermatologo e, fingendosi proprio Anna, Dan spinge il dottor Larry tra le braccia dell’ignara donna.

Un rapporto a quattro intricato e magnetico in cui Jude Law, insieme a Natalie Portman, Julia Robert e Clive Owen, riscrive le regole delle relazioni di coppia.

L’amore non va in vacanza di Nancy Meyer

L'amore non va in vacanza filmSi tratta della commedia romantica natalizia più amata di sempre, insieme a Love Actually, in cui il biondo e sbarazzino Graham Simpkins di Jude Law fa perdere la testa a Amanda Woods/Cameron Diaz. Il film non ha certo bisogno di presentazioni e in questo caso, rispetto ai titoli citati fino a questo momento, Law ha la possibilità di brillare in un ruolo leggero, lontano da toni drammatici o cupi, dimostrando di essere versatile e ugualmente indimenticabile.

Completano il cast Kate Winslet e Black Jack. Si parla da tanto di un sequel che però non è stato ancora mai ufficializzato.

Sherlock Holmes di Guy Ritchie

Sherlock Holmes filmNel 2009 l’estro di Jude Law viene messo al servizio di Guy Ritchie che gli assegna un ruolo molto importante e prestigioso per un attore britannico: John Watson, coinquilino e braccio destro di Sherlock Holmes (Robert Downey Jr.). Anche in questo caso, Law ricopre il ruolo alla perfezione, compensando l’esuberanza del compagno di set con un Watson misurato, elegante ma anche letale se necessario.

Il film ha avuto anche un sequel, nel 2011, e ancora aspettiamo il terzo capitolo!

Anna Karenina di Joe Wright

Deve essere stato difficile per Jude Law calarsi nei panni letterari di un uomo che non è certo avvenente o desiderabile, ma nonostante il suo sex appeal, l’attore riesce a dare vita a un Aleksej Karenin algido nell’Anna Karenina di Joe Wright, con buona pace dell’appassionata eroina del titolo (Keira Knightley) che scappa dalla sua quotidianità per rifugiarsi tra le braccia del conte Vronskij, un altro Aleksej ma con esito decisamente differente.

Nel ruolo dell’antagonista, Jude Law conferma talento e presenza scenica, regalandoci una nuova versione di sé e arricchendo notevolmente la sua già affollata galleria di ritratti.

Captain Marvel di Anna Boden e Ryan Fleck

Jude-Law-in-Captain-Marvel
Jude Law in una scena di Captain Marvel

Yon-Rogg è un villain e per Jude Law deve essere stato divertentissimo interpretare il cattivo in uno dei film di maggiore successo degli ultimi anni, in cui ha avuto la possibilità di sperimentare con gli stunt, gli effetti visivi e tanto altro ancora, trovandosi di fronte una Brie Larson/Carol Danver agguerritissima.

A differenza di altri personaggi nel mondo dei cinecomic, il suo personaggio sembra destinato a un one shot, ma chissà che più avanti non si trovi il modo di riportarlo in gioco!

Premi David di Donatello al Salone del libro di Torino 2025

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Premi David di Donatello al Salone del libro di Torino 2025

Saranno il regista Silvio Soldini, la produttrice Cristiana Mainardi e la scrittrice Rosella Postorino i protagonisti dell’evento speciale dell’Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello al Salone Internazionale del Libro di Torino 2025. Insieme racconteranno l’avventura artistica e produttiva di portare al cinema il romanzo di Rosella Postorino Le assaggiatrici (Feltrinelli): un percorso iniziato proprio da una lettura appassionata su un treno, ancora prima che il libro vincesse il Premio Campiello nel 2018. Un impegno produttivo lungo sei anni che è diventato il primo film in costume di Silvio Soldini, da sempre narratore appassionato della contemporaneità al cinema. Con questo evento speciale il David di Donatello festeggia anche due anniversari importanti: la 70ma edizione del Premio, che si terrà a Cinecittà il 7 maggio 2025, e i 25 anni dalla vittoria di Pane e tulipani di Soldini, uno dei film più premiati nella storia del David con ben 9 statuette. L’incontro, condotto da Elisa Grando, si terrà al Salone domenica 18 maggio alle ore 16:15 in Sala blu, al Lingotto di Torino.

Silvio Soldini ha vinto tre David di Donatello miglior film, miglior regia e migliore sceneggiatura per Pane e tulipani (2000) e ha ricevuto altre cinque candidature per miglior film, regia e sceneggiatura per Giorni e nuvole (2008) nonché miglior film e miglior regia per Brucio nel vento (2002), tratto dal romanzo Ieri di Agota Kristof. Tra i suoi titoli più famosi Le acrobate (1997), Agata e la tempesta (2004), Giorni e nuvole (2007), Cosa voglio di più (2010), Il colore nascosto delle cose (2017). Con Le assaggiatrici, tratto dal romanzo di Rosella Postorino, racconta la storia della giovane Rosa Bauer (Elisa Schlott) che, nell’autunno 1943 in Germania, raggiunge un piccolo paese isolato vicino al confine orientale. Nella foresta vicina Hitler ha il suo quartier generale, la Tana del Lupo: Rosa viene presto prelevata, insieme ad altre donne del villaggio, e costretta ad assaggiare i pasti preparati per il Führer, ossessionato dall’idea di essere avvelenato. Divise tra la paura di morire e la fame, le assaggiatrici stringono tra loro alleanze, amicizie e patti segreti.

David di Donatello 70: tutti i nominati

Cristiana Mainardi è giornalista, sceneggiatrice e produttrice con Lumière & Co. Per il suo impegno nella promozione del contrasto alla violenza di genere, nel 2023 ha ricevuto dal Comune di Milano L’Ambrogino d’oro. Sullo stesso tema ha diretto con Silvio Soldini il docufilm Un altro domani, vincendo un Nastro D’Argento. Oltre a Le assaggiatrici, tra gli altri titoli ha prodotto Il comandante e la cicogna, Il colore nascosto delle cose e 3/19 sempre di Soldini, Un giorno devi andare di Giorgio Diritti, Latin Lover e Tornare di Cristina Comencini. È al lavoro come regista del documentario sul Maestro Mauro Pagani Andando dove non so e come produttrice sul prossimo film di Michela Cescon, Desiderio, ispirato all’omonimo romanzo di Giorgio Montefoschi.

Rosella Postorino vive e lavora a Roma. Con Le assaggiatrici (2018) ha vinto il Premio Campiello e altri 9 premi, tra i quali, per l’edizione francese, il Prix Jean-Monnet. Con Mi limitavo ad amare te (2023) è stata finalista al Premio Strega. Ha pubblicato anche La stanza di sopra (2007), L’estate che perdemmo Dio (2009), Il corpo docile (2013), Il mare in salita (2011) e, nella narrativa per ragazzi, Tutti giù per aria (2019), Io, mio padre e le formiche (2022) e Piangiolina (2024). Il suo ultimo libro è Nei nervi e nel cuore (2024). È tradotta in tutto il mondo.

L’incontro con Silvio Soldini, Cristiana Mainardi e Rosella Postorino prosegue la collaborazione tra l’Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello, presieduta da Piera Detassis, e il Salone Internazionale del Libro di Torino, diretto da Annalena Benini, per raccontare le connessioni tra cinema e letteratura, tra immagini e scrittura nell’arte della narrazione. Il primo appuntamento, nel 2020, è stato con la lezione speciale di Saverio Costanzo, vincitore nel 2005 del David di Donatello come Miglior regista esordiente per Private, il secondo nel 2021 con Giorgio Diritti, vincitore del David di Donatello 2021 per la Miglior Regia e Miglior Film con Volevo nascondermi, il terzo nel 2022 con i Manetti Bros., vincitori del David di Donatello 2018 al Miglior Film per Ammore e Malavita, il quarto nel 2023 con Alessandro Borghi, premiato con il David di Donatello per Miglior Attore Protagonista nel 2019 nei panni di Stefano Cucchi in Sulla mia pelle. Lo scorso anno la protagonista dell’evento David al Salone è stata Emanuela Fanelli, vincitrice per due anni consecutivi come Miglior attrice non protagonista per Siccità nel 2023 e C’è ancora domani nel 2024.

Adolescence, stagione 2: Plan B di Brad Pitt in trattative per il seguito

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La casa di produzione di Brad Pitt, Plan B Entertainment, ha rivelato di essere in trattative preliminari per realizzare quella che potrebbe diventare una seconda stagione di Adolescence, dopo il successo della serie su Netflix. Nella loro prima intervista dopo il successo di Adolescence il mese scorso, i co-presidenti di Plan B, Dede Gardner e Jeremy Kleiner, hanno dichiarato a Deadline di essere in contatto con il regista Philip Barantini per la “prossima iterazione” della serie, interpretata e co-creata da Stephen Graham.

Gardner ha affermato che stanno pensando a come “ampliare l’orizzonte, rimanere fedeli al suo DNA e non essere ripetitivi“, ma non ha voluto rivelare troppo sui loro piani. Kleiner ha aggiunto che sperano che Graham e Jack Thorne, lo sceneggiatore britannico di Adolescence, possano tornare a collaborare al progetto. Warp Films è stata la co-produttrice.

È probabile che le conversazioni siano accolte con favore da Netflix e dai milioni di persone che hanno guardato la serie, che racconta la storia di un adolescente di 13 anni (interpretato dal promettente Owen Cooper) accusato di aver accoltellato a morte una compagna di classe dopo essere stato coinvolto nella manosfera online. Adolescence si trova ora al quarto posto nella classifica dei programmi TV in lingua inglese più popolari di Netflix, dopo aver totalizzato 114,5 milioni di visualizzazioni dalla sua uscita il 13 marzo.

Orgoglio e pregiudizio di Netflix: Jack Lowden potrebbe essere il nuovo Mr. Darcy

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Il dramma romantico di Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio, è una storia senza tempo. Ogni generazione ha la sua versione di Elizabeth Bennet e Fitzwilliam Darcy che definiscono l’amore e il desiderio per loro. L’anno scorso, Netflix ha annunciato il suo adattamento del romanzo classico e i fan hanno atteso pazientemente fino ad ora un ulteriore aggiornamento. Sembra che la serie abbia trovato il suo Mr. Darcy, dato che alcune indiscrezioni suggeriscono che la star di Slow Horses, Jack Lowden, sia in trattative per l’iconico ruolo.

Orgoglio e pregiudizio fonde perfettamente distinzione di classe e romanticismo. La storia secolare continua ad avere un grande successo tra i fan e sempre più amanti dei libri scoprono il romanzo, mantenendolo tra i migliori. Quindi, Dolly Alderton, sceneggiatrice di Everything I Know About Love, che ha scritto la sceneggiatura della prossima serie, ha il difficile compito di adattare la storia per una nuova generazione. Per quanto riguarda Lowden, che ha al suo attivo titoli come Guerra e pace sul piccolo schermo e film come Dunkirk, Maria Regina di Scozia e Benediction, si adatterà perfettamente al genere storico.

rosamund-pike-orgoglio-e-pregiudizioOrgoglio e pregiudizio è l’opera più famosa di Jane Austen

Il romanzo più famoso di Austen, “Orgoglio e pregiudizio“, segue l’intelligente ma testarda Elizabeth Bennet mentre scopre che l’amore è più potente dell’orgoglio o del pregiudizio attraverso la sua relazione con Mr. Darcy, un uomo che inizialmente non le piace ma di cui alla fine si innamora. Il libro, originariamente pubblicato nel 1813, è stato adattato più volte per lo schermo. Le due trasposizioni più famose sono certamente quella della miniserie della BBC del 1995 con Colin Firth e Jennifer Ehle e il film di Joe Wright, del 2005, con Keira Knightley e Matthew Macfadyen.

Alderton è nota soprattutto per il suo bestseller del 2018 Everything I Know About Love, che ripercorre la sua esperienza dei suoi 20 anni ed è diventato una specie di bibbia per le donne della generazione Y e della generazione Z. È stato adattato in una serie di sette episodi da Alderton per BBC One e Peacock nel 2022. Il libro più recente di Alderton, “Good Material“, un romanzo di fantasia che segue un comico in difficoltà alle prese con le conseguenze di una rottura, è uscito l’anno scorso con recensioni positive.

È stata una grande settimana per Jane Austen sullo schermo: mercoledì, la BBC ha annunciato una serie spin-off di “Orgoglio e pregiudizio” sulla sorella di Elizabeth Bennet, Mary. Intitolata “The Other Bennet Sister“, la serie è realizzata dal produttore di “Doctor Who” Bad Wolf. Seguiranno sicuramente aggiornamenti in merito.

Daredevil: Rinascita, Episodio 8: Ayelet Zurer commenta il colpo di scena di Vanessa

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La star del Marvel Cinematic Universe Ayelet Zurer analizza la traiettoria di Vanessa Fisk dopo gli eventi dell’episodio 8 di Daredevil: Rinascita. Con il ritorno di Matt Murdock nell’ultimo episodio, arrivano anche tutti i personaggi della serie TV Daredevil di Netflix. Uno dei personaggi il cui potere è cresciuto nel corso di questa prima stagione è Vanessa, che ora ha le mani più che mai ricoperte di sangue.

L’episodio 8 di Daredevil: Rinascita si è concluso con Vanessa che ha ucciso Adam e rimosso l’ostacolo al suo matrimonio con Wilson Fisk. ScreenRant ha incontrato Zurer per un’intervista esclusiva per discutere delle scioccanti azioni del suo personaggio. Alla domanda su quali siano le probabilità che Vanessa affronti le conseguenze dell’omicidio di Adam prima o poi, Zurer ha anticipato quanto segue:

Ayelet Zurer: Ci saranno conseguenze per ogni cosa, perché questa è la serie: tutti hanno delle conseguenze, ma in particolare per quello che hai chiesto, credo che per Vanessa, in questa stagione, si tratti di conquistare la fiducia, per lei e per lui, immagino. Perché la legge innata è che si amano e sono così [si stringe le mani] intrecciati e inseparabili. Quindi sarà straziante vedere cosa dovrà fare per guadagnarsi la fiducia, ma allo stesso tempo è inevitabile.

Tuttavia, l’uccisione di Adam da parte di Vanessa non è stato l’unico grande colpo di scena emerso dall’episodio 8, dato che Matt ha messo insieme i pezzi del puzzle e ha concluso che è stata Vaness a dare la morte a Foggy Nelson. A Zurer è stato chiesto se avesse seguito qualcuna delle grandi teorie del MCU secondo cui Foggy è ancora vivo e come si complicherebbe la situazione per Vanessa se il migliore amico di Daredevil non fosse morto.

Ayelet Zurer: Di nuovo, le conseguenze arriveranno. Ci sono sempre conseguenze nella serie per tutti, le azioni di ognuno avranno delle conseguenze. Quindi è inevitabile. Devo dire che, quando l’ho letto, ho dovuto metterlo da parte, e ho in un certo senso represso il fatto che Vanessa fosse coinvolta in tutto questo, e non ho affrontato il problema fino alla fine. Perché semplicemente non ce l’ho fatta. È un momento così triste e infelice vederlo andare via, e poi avere quel legame con lei in qualche modo.

Queste parole potrebbero anticipare che Vanessa potrebbe morire? Cosa si intende per “pagare il prezzo delle proprie azioni” quando sei la moglie del Sindaco di New York? L’ultimo episodio della serie in onda la prossima settimana ci aiuterà a scoprirlo!

Il cast di Daredevil: Rinascita

Matt Murdock (Charlie Cox), un avvocato cieco con abilità elevate, lotta per la giustizia attraverso il suo vivace studio legale, mentre l’ex boss della mafia Wilson Fisk (Vincent D’Onofrio) persegue i suoi sforzi politici a New York. Quando le loro identità passate iniziano a emergere, entrambi gli uomini si ritrovano su un’inevitabile rotta di collisione.

La serie Daredevil: Rinascita vede la partecipazione anche di Margarita Levieva, Deborah Ann Woll, Elden Henson, Zabryna Guevara, Nikki James, Genneya Walton, Arty Froushan, Clark Johnson, Michael Gandolfini, con Ayelet Zurer e Jon Bernthal. Dario Scardapane è lo showrunner.

Gli episodi sono diretti da Justin Benson e Aaron Moorhead, Michael Cuesta, Jeffrey Nachmanoff e David Boyd; e i produttori esecutivi sono Kevin Feige, Louis D’Esposito, Brad Winderbaum, Sana Amanat, Chris Gary, Dario Scardapane, Christopher Ord e Matthew Corman, e Justin Benson e Aaron Moorhead.

Daredevil: Rinascita debutta su Disney+ il 4 marzo 2025.

Semaine de la Critique 2025: Rodrigo Sorogoyen presidente di giuria

Il regista spagnolo Rodrigo Sorogoyen, i cui crediti recenti includono As Bestas e serie come Riot Police e Dieci Capodanni, sarà il presidente di giuria per l’edizione di quest’anno della Semaine de la Critique di Cannes.

Sarà affiancato dall’attore britannico premio Oscar Daniel Kaluuya per Judas and the Black Messiah, dalla giornalista marocchina Jihane Bougrine, dalla direttrice della fotografia franco-canadese Josée Deshaies e dalla produttrice indonesiana Yulia Evina Bhara.

La sezione parallela di Cannes dedicata ai talenti emergenti e alle opere prime e seconde si terrà dal 14 al 22 maggio di quest’anno. “La Semaine de la Critique dimostra inequivocabilmente il suo impegno nel sostenere e credere nei giovani registi”, ha dichiarato Sorogoyen.

Una selezione parallela che accetti solo cortometraggi e opere prime o seconde rappresenta un trampolino di lancio unico per lanciare e consolidare la carriera dei giovani registi. Senza questi spazi, continueremmo a premiare, proiettare e dare voce solo a chi ha già un percorso consolidato, trascurando preoccupazioni e forme emergenti.

Sorogoyen e la sua giuria assegneranno il Gran Premio AMI Paris de La Semaine de la Critique per il Miglior Lungometraggio, il Premio French Touch della Giuria, il Premio Stella Nascente della Fondazione Louis Roederer per il Miglior Attore o Attrice e il Premio Leitz Cine Discovery per il Miglior Cortometraggio.

Di noi 4: recensione della commedia di Emanuele Gaetano Forte

Di noi 4: recensione della commedia di Emanuele Gaetano Forte

A dieci anni ti chiedi cosa scrivere nella letterina di Natale. A venti quale strada seguire per dare un senso al futuro. A trenta cerchi un lavoro che non sia solo uno stipendio, ma anche una direzione. Poi si avvicinano i quaranta, e con loro il tempo che accelera, insieme alla consapevolezza che costruire qualcosa di autentico, magari una famiglia, è ormai più un desiderio che un progetto. È a questa fase della vita che guarda Di noi 4, una commedia delicata e profonda, al cinema dal 31 marzo.

Diretto da Emanuele Gaetano Forte, al suo secondo lungometraggio, Di noi 4 è un’intensa opera indipendente, nata da un processo creativo collettivo e partecipato. La scrittura e il lavoro sul set hanno coinvolto anche gli attori-autori Giovanni Anzaldo e Giulia Rupi, che insieme a Forte compongono il collettivo MUMBLE GROUP. Insieme, hanno dato vita a un ritratto sincero e commovente della generazione millennial italiana: sospesa tra aspettative ereditate e sogni propri, tra un’infanzia che resiste nei ricordi e un’età adulta che incalza senza più attendere.

Foto tratta dal film Di Noi 4 di Emanuele Gaetano Forte.
Foto tratta dal film Di Noi 4 di Emanuele Gaetano Forte.

Cosa racconta Di noi 4?

Le feste di compleanno possono essere momenti imbarazzanti e persino angoscianti, sia per chi deve spegnere le candeline, sia per chi si ritrova a cantare Happy Birthday con un sorriso di circostanza. Alda (Giulia Rupi), Pier (Elio D’Alessandro), Giamma (Giovanni Anzaldo) e Rachel (Roberta Lanave) sono due coppie di amici storici che si riuniscono una sera per cena, proprio in occasione del compleanno di Alda. Tra una bottiglia di vino e l’altra, la conversazione si sposta presto su sogni e desideri, come quello, semplice eppure oggi complicatissimo, di avere un figlio.

Un desiderio che, nella loro realtà fatta di precarietà e instabilità economica, sembra sempre più lontano. I quattro, trentacinquenni e disillusi, vivono in una società che non li sostiene, anzi, spesso li respinge, lasciandoli sospesi in un limbo di insoddisfazione, frustrazione e sogni infranti. Eppure, in mezzo a tutto questo, c’è qualcosa che resiste: la loro amicizia, così solida e profonda da sembrare una famiglia… una famiglia alternativa, rivoluzionaria, costruita da quattro genitori e, forse, un unico possibile figlio.

Di noi 4 - In foto a sinistra Alda (Giulia Rupi) e a destra Rachel (Roberta Lanave).
Di noi 4 – In foto a sinistra Alda (Giulia Rupi) e a destra Rachel (Roberta Lanave).

Il ritratto di una generazione, davanti e dietro la macchina da presa

In una società che ci chiede di essere sempre più veloci e prestanti, cosa richiede davvero più coraggio: accontentarsi di un lavoro che non si ama, o inseguire i propri sogni nonostante la precarietà e la speranza incerta? Alda, Pier, Rachel e Giamma rappresentano una fetta consistente dei millennials di oggi: Alda fatica a ottenere finanziamenti per i suoi progetti, Pier è un musicista indipendente che non scrive tormentoni, ma poesie (e chi ricorderebbe delle poesie?); Rachel è una laureata disoccupata che disprezza i figli degli altri, nascondendo il desiderio di averne uno tutto suo; Giamma, infine, è un’aspirante giornalista che scrive articoli che a stento riescono a suscitare l’interesse della sua stessa compagna.

Per rafforzare ancora di più questo senso di precarietà diffusa e di sogni che arrancano, Emanuele Gaetano Forte trasforma la sua stessa opera in una metafora vivente: un figlio difficile da far nascere, ostacolato dalla mancanza di fondi. Di noi 4, infatti, è un film privo di colonna sonora, non per scelta estetica, ma per necessità economica. La musica è assente, se non fosse per un espediente tanto semplice quanto poetico: alcune didascalie suggeriscono la canzone che avrebbe dovuto accompagnare la scena, lasciando così spazio alla libera immaginazione dello spettatore.

Di noi 4 - In foto a sinistra Giamma (Giovanni Anzaldo) e a destra Pier (Elio D’Alessandro).
Di noi 4 – In foto a sinistra Giamma (Giovanni Anzaldo) e a destra Pier (Elio D’Alessandro).

Ma non è tutto. Come racconta lo stesso Forte, non solo i mezzi a disposizione sono stati ridotti al minimo, ma anche la troupe è stata essenziale: “un solo fonico, un direttore della fotografia che ha ricoperto anche il ruolo di operatore, un focus puller e un aiuto regista tuttofare”. E come se non bastasse, l’intero film – fatta eccezione per una breve scena finale – è stato girato all’interno di quattro mura: una piccola casa in cui lo spettatore è invitato a entrare, ad accomodarsi e a lasciarsi coinvolgere da poco più di un’ora di realtà cruda, disperata e onesta. Il tutto ripreso a camera a mano, una scelta che restituisce ancora di più l’intimità e la fragilità delle emozioni in gioco, oltre a evidenziare l’artigianalità del prodotto.

La forza e i limiti di Di noi 4

Con originalità, autoironia e dolcezza, Di noi 4 si impone come un’opera autoriale, libera e leggera che vuole dare voce ed espressione a quell’universale sentimento di inadeguatezza e insoddisfazione che accomuna la generazione dei neoadulti di oggi; quella che vede la propria vita come una perenne corsa ad ostacoli in cui inciampare e indietreggiare sembra quasi inevitabile. Una generazione che vive di promesse malinconiche, asfissianti ritardi e continua ricerca di trovare il proprio posto nel mondo, oppure di inventarselo. Una generazione a cui sono più le possibilità negate che quelle date.

È così che Alda, Pier, Rachel e Giamma divengono l’incarnazione delle paure, delle frustrazioni, delle illusioni e disillusioni di tutti i millennials. Sono i volti di una generazione che, nonostante tutto, continua a coltivare speranze e attese, anche quando sembrano sfuggire di mano. Quelli che, di tanto in tanto, aprono ancora il cassetto dei sogni non del tutto dimenticati, cercando di non lasciarli andare, pur sapendo che il mondo che li circonda spesso non offre le risposte e le possibilità sperate.

Forte firma quindi una pièce teatrale per il grande schermo che cattura inevitabilmente l’attenzione del pubblico, riuscendo a trasmettere con decisione i sentimenti dei suoi personaggi. Sentimenti che non si limitano al desiderio di genitorialità, ma che abbracciano anche il più profondo bisogno di costruire sé stessi, di trovare un senso e un ruolo all’interno della società che li circonda.

Di noi 4. In foto (da sinistra a destra) Alda (Giulia Rupi), Giamma (Giovanni Anzaldo), Rachel (Roberta Lanave) e Pier (Elio D’Alessandro).
Di noi 4. In foto (da sinistra a destra) Alda (Giulia Rupi), Giamma (Giovanni Anzaldo), Rachel (Roberta Lanave) e Pier (Elio D’Alessandro).

Al di là della travolgente recitazione, degli apprezzabili espedienti tecnici e narrativi, che emergono dalla necessità di lavorare con un budget limitato e dalla scelta di raccontare una storia originale e autentica, Di noi 4 manca però di quel pathos travolgente o di quella spigliata dose di ilarità che avrebbero potuto trasformarlo in un’opera davvero indimenticabile. Il film, pur restando un prodotto interessante e con una forte capacità di comunicare il suo messaggio, non riesce a raggiungere quell’intensità emotiva che avrebbe dato la spinta per diventare veramente incisivo e memorabile.

L’opera di Forte si configura come un film dalla forte essenza e dal messaggio resiliente, capace di trattare temi universali con sincerità e chiarezza, ma che, purtroppo, non riesce a scalfire davvero le emozioni più profonde dello spettatore.

A working man: recensione del nuovo film con Jason Statham

A working man: recensione del nuovo film con Jason Statham

Dopo The Beekeeper, l’accoppiata Jason Statham (Lee Christmas nella saga I mercenari) e David Ayer ritorna in sala con un nuovo action movie. A working man, diretto da Ayer e scritto in collaborazione con Sylvester Stallone, è un adattamento del romanzo Levon’s trade di del fumettista Chuck Dixon. L’idea originaria dello stesso Stallone era in realtà una serie, che poi però è stata riadattata. Il film presenta un cast di figure già ampiamente note nel panorama cinematografico internazionale. Oltre a Statham nel ruolo del protagonista Levon, Michael Peña (Collateral beauty, Ant-man) interpreta Joe Garcia, padre della giovane Jenny, mentre David Harbour (il capitano Jim Hopper in Stranger Things, Un fantasma in casa) è nel ruolo del cieco Gunny, amico di Levon. A working man ha già ottenuto dei risultati superiori alle previsioni nel primo week end nelle sale, incassando 15,2 milioni di dollari, arrivando al primo posto per incassi negli Stati Uniti.

A working man: un uomo nuovo

Levon lavora come capo cantiere in un’azienda a conduzione familiare: nonostante la sua forza e le sue grandi abilità nel combattere, ha dei solidi valori e cerca di proteggere tutte le persone a cui tiene. Levon cerca di nascondere il suo passato nell’esercito britannico, sta cercando di costruirsi una nuova vita e di diventare una persona diversa, onesta. Il  suo interesse per una vita più tranquilla deriva anche dal desiderio di voler essere più presente per la figlia, la quale vive con il nonno dopo il suicidio della madre, moglie di Levon. Il suocero lo colpevolizza del suicidio della donna, e, considerandolo pericoloso e violento, vuole tenergli lontano la bambina.

Quando Jenny, la figlia del suo capo, scompare misteriosamente, Levon non riesce a restare a guardare: con la sua attrezzatura da soldato e il suo addestramento, è l’unico che può ritrovarla e salvarla. Ma Jenny è rimasta coinvolta in un traffico molto più grande di lei, e per ritrovarla Levon dovrà affrontare tutta la mafia russa presente nella zona.

A working man: il supereroe

A working man si mostra fin da subito per ciò che è veramente: un tipico film d’azione, genere su cui Jason Statham ha costruito la sua intera carriera. E’ certamente logico trovare elementi in comune in vari film appartenenti allo stesso genere, tuttavia in questo film sembra non esserci spazio per un guizzo di novità o di originalità, ma si tratta solo ed esclusivamente di un prodotto di puro e semplice intrattenimento.

La presenza di una trama semplice e abbastanza scontata, come il salvataggio della ragazza in pericolo, uniti a tante scene di combattimento con effetti speciali rendono A working man una pellicola semplice da seguire e abbastanza appariscente agli occhi di uno spettatore inesperto.

Tutte le vicende ruotano attorno allo stesso Levon, presentato come una sorta di supereroe moderno, un sicario a fin di bene. Levon è un combattente così abile da poter sconfiggere, nel bar di Dutch, almeno una decina di grossi scagnozzi contemporaneamente e, durante l’inseguimento in moto, da non essere colpito da neanche un dei tantissimi colpi che gli venivano sparati addosso. Sembra chiaro quindi che la logica non è particolarmente considerata in questo film, ma alla fine sono anche queste scene che lo dovrebbero rendere avvincente, creando suspense.

Il  rapporto padre-figlia

Tema centrale in A working man è proprio il rapporto padre-figlia, presentato in duplice forma tra Levon e la sua bambina e di Joe con la figlia rapita Jenny. Levon sembra essere disposto a ritrovare la ragazza scomparsa proprio in virtù dell’amicizia con Joe e del sentimento paterno di protezione.

Un sentimento simile sembra essere molto nobile ma poco plausibile, considerando le vicende: per ritrovare Jenny, Levon finirà per uccidere decine di persone. In molti casi questi vengono presentati come i super cattivi della mafia russa, non facendo porre alcuna domanda allo spettatore sulla questione se sia giusto o meno ucciderli. Ma poi, al preludio dello scontro finale, lo stesso Levon si ritrova a freddare quello che sembra essere solamente un cameriere, uscito dal locale per una pausa.

A Working Man jason stathamA working man: la polizia corrotta

Altro cliché fin troppo datato è proprio la presenza delle forze di polizia corrotte: come nel far west, non ci si può fidare di nessuno, e a fare giustizia deve essere proprio Levon. Proprio per comprovare la mancanza di rispetto di qualsiasi legge, il sicario supereroe, dopo aver fatto una strage nella mafia russa, resta impunito da tutti, sia dalla giustizia penale che dalla giustizia privata dei russi.

In poche parole, nel vedere A working man sembra essere catapultati all’interno di un videogame in cui si ammazza chiunque pur di arrivare all’obiettivo, e non tutto deve avere necessariamente senso perché alla fine è un gioco. Anche i titoli di testa sembrano proprio ricordare videogiochi come GTA: la differenza sta proprio nel fatto che un prodotto cinematografico, proprio perché strutturato attorno ad una trama, dovrebbe mantenere una maggiore coerenza.

Il Turco: recensione della prima parte della serie con Can Yaman

Il Turco: recensione della prima parte della serie con Can Yaman

Dopo un lungo periodo di gestazione, cambi di programmazione e piattaforme, Il Turco è finalmente arrivato in Italia. Prodotta da Madd Entertainment e Ay Yapım, la serie televisiva – acquistata da Mediaset e trasmessa su Canale 5 – segna il ritorno sul piccolo schermo di Can Yaman, scomparso dai radar dopo l’ultima messa in onda di Viola come il mare 2, avvenuta nell’aprile dello scorso anno.

L’attore turco, ormai di casa in Italia, è stato impegnato sul set di Sandokan, produzione firmata Lux Vide che dovrebbe debuttare su Rai 1 entro la fine del 2025. Intanto, sta promuovendo Il Turco, un progetto a cui ha dedicato anima e corpo. La miniserie, diretta da Uluç Bayraktar, è stata girata tra Budapest e la zona di Moena, in Trentino, e vanta un cast internazionale. Tra i protagonisti spiccano l’italiana Greta Ferro, nei panni di Gloria, e l’inglese William Kemp, che interpreta l’antagonista Mete/Marco Benedetti da Vicenza.

Diviso in due parti, in onda l’8 e il 15 aprile, Il Turco si ispira al romanzo El Turco: Un’avventura inedita durante il secondo assedio di Vienna di Orhan Yeniaras.

La trama delle prime 3 puntate de Il Turco

Nel XIV secolo nasce un corpo militare privato messo a disposizione del sultano Orhan I: sono i giannizzeri, soldati strappati da bambini alle famiglie cristiane, convertiti e addestrati per servire l’Impero ottomano. Nel 1683, durante il secondo assedio di Vienna, molti di questi uomini combattono sotto il comando del Gran Visir Kara Mustafa.

Tra loro c’è Hasan Balaban, uno dei più forti giannizzeri, che viene accusato di tradimento. Per evitare la condanna a morte, sceglie l’esilio e, dopo essere stato ferito, trova riparo nel piccolo paese di Moena, in Trentino. Qui viene accolto da Gloria, una donna che vive ai margini del villaggio e che, per la sua forza e il suo pensiero libero, viene considerata una strega.

Nel corso delle prime tre puntate si scopre che il vero traditore dell’Impero non è Balaban, ma Mete – anche noto come Marco Benedetti da Vicenza – anch’egli un ex giannizzero, ora deciso a vendicarsi e a conquistare potere dopo essere stato sottratto alla sua famiglia da bambino. Mete dichiara guerra proprio a Moena, dove si trova Balaban, che si unisce a Gloria e agli abitanti per difendere il villaggio dall’oppressione.

Il Turco serie tv
© Mediaset Infinity

Can Yaman, la prova di un attore in continua crescita

Sin dalla prima inquadratura, in cui Hasan Balaban è sospeso fra la vita e la morte, è evidente il salto di qualità compiuto da Can Yaman sul piano attoriale. Le sue precedenti interpretazioni – dalle dizi turche alle fiction italiane – avevano sempre conservato un tono leggero, romantico, tipico delle commedie. Con Il Turco cambia tutto: qui c’è la guerra, il sangue, la sofferenza che tempra corpo e mente. E c’è la grande Storia del Seicento, che arricchisce la profondità narrativa della serie.

Il lavoro fatto da Yaman su se stesso è tangibile, non solo fisicamente, ma anche a livello espressivo. I primi piani che la regia gli dedica esaltano il suo impegno e la volontà di dimostrare i progressi raggiunti negli ultimi anni. L’attore ha documentato spesso sui social i suoi allenamenti, necessari per affrontare le scene action presenti nel racconto, e il risultato si vede. Anche nelle sequenze più complesse, Yaman si muove con sicurezza, ritmo, passione. Un’intensità che emerge molto meno nella prima puntata, ma che esplode nella terza, sia nel flashback iniziale sia durante l’arrivo all’accampamento dei soldati di Mete.

Donne libere, fratelli risentiti, doppiaggi mal riusciti

Se l’interpretazione di Can Yaman nei panni di Hasan Balaban è tra le più riuscite della sua carriera – e ci dà un assaggio di ciò che potrebbe essere il suo Sandokan – non si può dire lo stesso per la sua partner su schermo. Greta Ferro, che incarna la lotta femminile contro un mondo patriarcale pronto a etichettare come “streghe” le donne libere e autonome, porta avanti un messaggio forte e attuale. Il suo lavoro è buono, ma l’efficacia emotiva risulta penalizzata da un doppiaggio poco armonioso, che ne attenua la forza espressiva.

Più coinvolgente è invece il rapporto tra Balaban e Mete: un conflitto che va oltre la semplice vendetta e mette in scena lo scontro tra due culture e due destini in fondo simili. Mete, diventato Marco, è il risultato del trauma vissuto nell’infanzia: strappato dalla sua famiglia, convertito all’Islam e addestrato come giannizzero, incarna il lato oscuro dell’Impero, quello che annulla l’identità e genera mostri.

Molto apprezzate le location naturali, che insieme alle scenografie contribuiscono a rendere ancora più vivido e credibile il contesto della narrazione, immerso nel paesaggio montano.Nel complesso, perciò, a parte qualche scena di combattimento un po’ macchinosa all’inizio e alcuni passaggi narrativi meno efficaci, Il Turco, per le prime tre puntate, si posiziona come una miniserie valida.

Death of a Unicorn: la spiegazione del finale del film con Jenna Ortega

Il film Death of a Unicorn – diretto da – si concentra in gran parte sulle creature fantastiche del titolo e dopo che uno di loro viene colpito e apparentemente ucciso da una coppia di umani che si sta recando in una villa remota nella foresta, gli unicorni si scatenano per trovare il cucciolo e ripristinarlo con la loro magia. Ironia della sorte, le due persone che hanno colpito l’animale in realtà si legano a queste creature. La cosa porta ad un finale in cui i due unicorni ripristinano un Elliot (Paul Rudd) morto insieme al loro cucciolo, sollevando però anche alcune grandi domande sul destino di questi personaggi.

In ogni caso, la conclusione del film è un momento dolce che viene poi sovvertito quando la polizia arriva sulla scena e arresta prontamente Elliot e Ridley (Jenna Ortega). Questo crea i momenti finali del film, che si concludono con una nota leggermente controversa: gli unicorni sembrano cercare di aiutare i loro nuovi amici con un metodo perfettamente brutale. Sebbene sia un modo divertente per chiudere il film, la natura ambigua del finale di Death of a Unicorn ha lasciato alcuni spettatori a chiedersi cosa sia successo a Elliot, Ridley e persino al vicino Griff (Anthony Carrigan).

La trama di Death of a Unicorn

Death of a Unicorn è incentrato su un padre e una figlia che inavvertitamente investono un unicorno con la loro auto mentre si recano alla villa isolata del capo di lui. Dopo che il conglomerato scientifico inizia a studiarne la biologia e le proprietà curative, il gruppo si ritrova ad essere il bersaglio dei letali genitori della creatura. Nel corso del film, Ridley cita spesso la leggenda di una fanciulla dal cuore puro in grado di far addormentare un unicorno e impedirgli di causare ulteriore distruzione. Lo Shep di Will Poulter, desideroso ddi trarre profitto da questa scoperta, lo mette alla prova nel momento culminante del film, minacciando di ucciderla a meno che non faccia da esca per lui.

Death Of A Unicorn
Paul Rudd e Jenna Ortega in Death Of A Unicorn. Cortesia di A24

Sebbene inizialmente riesca a tranquillizzarli, Elliot accoltella Shep prima che possa legare completamente gli unicorni genitori, e Shep lo accoltella a sua volta prima di essere ucciso con un calcio in faccia da uno di loro. Mentre Ridley piange la morte del padre, gli unicorni portano il corpo di Elliot su quello del loro cucciolo, unendo le loro corna per rianimare non solo il proprio simile, ma anche il personaggio di Rudd, che ritorna potentemente dalla morte tenendo in mano uno dei corni degli unicorni genitori e vedendo ciò che il personaggio di Ortega ha visto prima nel film.

Death of a Unicorn si conclude con una nota volutamente ambigua

Il finale di Death of a Unicorn è una battuta volutamente ambigua che lascia il destino di Ridley, Elliot, Griff e degli unicorni un mistero per il pubblico. Dopo essere sopravvissuti alla furia delle creature nel complesso Leopold, Ridley ed Elliot si trovano in una posizione scomoda quando Griff torna con la polizia. I due vengono arrestati, ma il film lascia intendere che le abilità legali di Elliot li scagioneranno da qualsiasi reato. Tuttavia, mentre sono sul sedile posteriore dell’auto della polizia, si accorgono di essere seguiti dal trio di unicorni che hanno incontrato (e che hanno contribuito a rendere liberi).

Uno degli unicorni incrocia brevemente lo sguardo di Elliot, dandogli un avvertimento silenzioso in tempo per permettere a Ridley ed Elliot di prepararsi. Il film si conclude con gli unicorni che attaccano l’auto e la costringono a uscire di strada, un’improvvisa e ultima esplosione di azione (e di violenza) dopo un film pieno di uccisioni raccapriccianti. Dopo un film in cui gli unicorni agiscono di propria iniziativa e con poca moderazione, è un modo appropriato per concludere Death of a Unicorn. Tuttavia, il film si interrompe prima di poter rivelare il destino dei personaggi.

Death Of A Unicorn A24
Téa Leoni, Paul Rudd, Jessica Hynes, Will Poulter, Anthony Carrigan e Jenna Ortega in Death of a Unicorn. Cortesia di A24

Cosa ha detto il regista di Death of a Unicorn sulla scena finale

Sebbene gli unicorni abbiano apparentemente accolto Ridley ed Elliot a causa della connessione cosmica che condividevano con loro, il loro approccio altrimenti spietato nei confronti degli umani significa che è rimasta la possibilità che abbiano semplicemente ucciso i personaggi sopravvissuti fuori dallo schermo. Tuttavia, sebbene l’ambiguità sia stata voluta dal regista/scrittore Alex Scharfman, la storia vuole anche sottintendere che Elliot e Ridley se la caveranno. Scharfman ritiene addirittura che Griff, che non ha stretto un legame con gli unicorni, alla fine sopravviva all’incontro finale con le creature.

Nel corso di un’intervista, Scharfman ha confermato che, grazie al loro ritrovato legame, Elliot e Ridley hanno “una connessione continua e permanente” con gli unicorni. Secondo Scharfman, l’ambiguità e la brutalità sono state pensate per riflettere la natura animale delle creature, ma i loro sforzi sono volti ad aiutare Elliot e Ridley. Scarfman ha spiegato che la loro motivazione in quella scena è che “sono un po’ come se dicessero: ‘Sì, ok, fantastico’. [Elliot e Ridley] sono tenuti prigionieri, distruggiamo la macchina e vediamo cosa succede”. Ma certamente, non comprendendo necessariamente le implicazioni sociali [della fuga] o gli [elementi] meccanici“.

Per quanto riguarda il motivo per cui ha permesso a Elliot di sopravvivere, Scharfman ha ritenuto che la sua rinascita fosse importante per il “viaggio del personaggio dall’egoismo all’altruismo”. “La bugia che deve superare è che il suo egoismo è in realtà altruistico, che lo sta facendo per sua figlia e che sta cercando di costruire una vita migliore”. “Accoltellando Shep nel finale, perde moltissimo dal punto di vista finanziario, avrebbe potuto essere miliardario per il resto della sua vita e fare tutte le fortune e altro ancora che cercava nel weekend, ma rifiutando, in un certo senso, mette al primo posto qualcosa di più importante, ovvero il riconoscimento della struttura di valori che sua figlia ha cercato di imporgli per tutto il film“.

Sunita Mani in Death of a Unicorn
Sunita Mani in Death of a Unicorn. Cortesia di A24

Death of a Unicorn avrà un sequel?

Il fatto che il finale di Death of a Unicorn sia in qualche modo aperto solleva immediatamente la questione se stia o meno lasciando la porta aperta a un sequel. Tuttavia, la realtà è un’altra. L’arco emotivo del film tra Ridley ed Elliot si risolve alla fine della storia, e il loro rapporto padre/figlia è riparato dall’esperienza condivisa di vedere l’intera portata cosmica dell’universo. Anche se i destini di Riley, Elliot e Griff rimangono grossomodo sconosciuti dopo il film, le loro storie sono risolte. Non c’è quindi bisogno di continuare la loro storia.

Anche se non viene mostrato l’esatto destino finale dei personaggi principali, è infatti facile supporre che torneranno alle loro vite con un senso migliore di loro stessi. È anche un buon promemoria del fatto che gli unicorni non possono essere trattenuti, nemmeno dalla loro fedeltà nominale a certe persone. Si tratta di un finale appropriatamente duro per un film in cui gli unicorni fanno a pezzi le persone e le squarciano con le loro corna, sottolineando come, anche quando sono d’aiuto, queste creature siano pericolose. Tuttavia, è bello avere chiarezza da parte del regista di Death of a Unicorn e la certezza che gli eroi del film siano sopravvissuti alla storia.

Insospettabili sospetti: il film è tratto da una storia vera?

Insospettabili sospetti: il film è tratto da una storia vera?

Il famoso attore di Scrubs Zach Braff è anche un apprezzato regista che sa come raccontare una storia, come emerge dal film di rapine del 2017 Insospettabili sospetti (Going In Style). Inoltre, con i leggendari attori Morgan Freeman, Michael Caine, Alan Arkin e Christopher Lloyd a guidare il cast, il film si rivela accattivante e altamente comico. La storia vede un trio di pensionati ritrovarsi con le spalle al muro quando le loro pensioni vengono bruscamente cancellate. Tuttavia, poiché hanno ancora una famiglia a cui badare, il trio tenta di mettere a segno un’audace rapina.

L’anzianità è dunque decisamente un valore aggiunto in questa commedia d’azione, che nasconde i temi della famiglia e della gerontologia dietro una veste isterica e presentabile. Il film ha ottenuto un buon riscontro da parte dei fan ma un’accoglienza contrastante da parte della critica, che ha tenuto a sottolineare come il film non si discosti troppo dagli schemi. Tuttavia, ci si può chiedere se il film sia basato su una storia reale di pensionati indigenti che reclamano ciò che è loro di diritto. In questo caso, indaghiamo sulla credibilità della storia.

Insospettabili sospetti è basato su una storia vera?

La risposta a questa domanda è che no, Insospettabili sospetti non è basato su una storia vera. Braff ha diretto il film da una sceneggiatura di Theodore Melfi, che ha tratto la storia dall’omonimo film di Martin Brest del 1979, scritto da Edward Cannon. Nel XXI secolo abbiamo assistito a numerosi remake di titoli classici, il che dimostra l’importanza di essi nella cultura e nell’immaginario popolare. Nell’ottobre 2012, New Line Cinema e Warner Brothers avevano infatti reso noto che stavano opzionando il remake della commedia del 1979. Tony Bill, co-produttore del film originale, è anche produttore esecutivo di questo remake.

Morgan Freeman, Alan Arkin, Michael Caine e John Ortiz in Insospettabili sospetti
Morgan Freeman, Alan Arkin, Michael Caine e John Ortiz in Insospettabili sospetti. Foto di Atsushi Nishijma – © 2017 – Warner Bros. Entertainment Ic

Tuttavia, il film aggiorna la trama del film precedente per offrire una conclusione più felice. Melfi ha insistito su questo putno, dal momento che i protagonisti muoiono o finiscono in prigione nel finale del film del 1979. Non si tratta affatto di un lieto fine e Melfi ha pensato che oggigiorno non avrebbe voluto vedere un film con un finale tragico dopo due ore in cui gli spettatori avevano fatto il tifo per gli eroi. Cercò quindi di fare in modo che gli eroi mettessero a segno una rapina perfetta e si allontanassero con i soldi verso il tramonto, e i produttori furono d’accordo con lui. È così che è nata la storia del film del 2017.

Il discorso che Joe fa dopo il trapianto di reni di Willie e Al sembra quasi un discorso funebre, anche se poi si rivela essere un discorso nuziale. Questa scena è stata scritta in omaggio al film precedente, dove i personaggi di Willie e Al muoiono di vecchiaia poco dopo la rapina. La sceneggiatura di Melfi è stravagante e adrenalinica e Braff ha affermato che il cast di veterani è stato coinvolto dopo il loro apprezzamento della sceneggiatura. Sir Michael Caine dirà in seguito che questo è stato uno dei film più felici della sua lunga carriera di attore.

Le riprese si sono svolte durante le vacanze estive e la star ha potuto raddoppiare il programma come una vacanza in famiglia. Portò con sé la famiglia, trovò un alloggio vicino al set e si godette le vacanze con la famiglia. Tornando all’aspetto dell’aderenza con la realtà, gli attori veterani hanno eseguito da soli la maggior parte delle acrobazie e le controfigure non hanno dovuto fare molto. Secondo il regista, gli attori erano fin troppo felici di eseguire l’azione vera e propria perché possedevano una sorprendente scarica di adrenalina. Inoltre, Joey King ha trascorso settimane con un vero e proprio allenatore di softball per realizzare le sue scene con questo sport.

Morgan Freeman, Alan Arkin e Michael Caine in Insospettabili sospetti
Morgan Freeman, Alan Arkin e Michael Caine in Insospettabili sospetti. Foto di Atsushi Nishijma – © 2017 – Warner Bros. Entertainment Ic

Anche il veicolo della rapina risulta piuttosto realistico. Il team di produzione ha preso in considerazione diversi veicoli per la loro interpretazione, tra cui la Mystery Machine di “Scooby-Doo”. La banca fittizia, chiamata Williamsburg Savings Bank (WSB), forse è un po’ meno fittizia di quanto si pensi. Una banca con questo nome è infatti esistita fino a quando la HSBC Bank ha rilevato le operazioni. Le scene sono state girate anche nella vecchia sede della WSB nel quartiere di Brooklyn.

Durante la rapina, Joe, Al e Willie nascondono le loro identità indossando le maschere rispettivamente di Frank Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis Jr.. Conosciuti collettivamente come il “Rat Pack”, l’iconico trio ha recitato nell’originale “Ocean’s 11”. Un altro film di rapine a cui si fa riferimento nel film è “Quel pomeriggio di un giorno da cani” di Sidney Lumet, un classico del genere. Considerando tutti gli aspetti, il film è abbastanza consapevole dei suoi predecessori e, anche se non è così realistico e non propone una storia realmente avvenuta, regala decisamente più di una bella risata.

Eden, la storia vera dietro al film di Ron Howard

Eden, la storia vera dietro al film di Ron Howard

Eden (qui la recensione), il nuovo film diretto da Ron Howard, arriva nelle sale italiane distribuito da 01 Distribution e si presenta come un intenso dramma storico ispirato a una vicenda realmente accaduta. Ambientato sull’isola vulcanica di Floreana, nell’arcipelago delle Galápagos, Eden racconta l’incredibile storia di un gruppo di coloni europei che, negli anni Trenta, decisero di abbandonare la civiltà per cercare un’esistenza alternativa in un paradiso incontaminato. Tra i protagonisti della pellicola troviamo un cast stellare guidato da Jude Law nel ruolo del dottor Friedrich Ritter, Vanessa Kirby nel ruolo di Dora Strauch Ritter, e Daniel Brühl nei panni di Heinz Wittmer. Accanto a loro Sydney Sweeney, Jonathan Tittel, Ana de Armas, Richard Roxburgh, Toby Wallace e Felix Kammerer danno vita a una storia fatta di sogni, tensioni e segreti sepolti sotto la superficie.

Il film segue le vicende di Friedrich Ritter, medico tedesco, e della sua compagna Dora, che approdano sull’isola di Floreana nel 1929 con l’obiettivo di costruire una nuova vita lontano dalla società. Il loro esperimento attira ben presto l’attenzione internazionale e, nel tempo, altre persone decidono di unirsi a loro, tra cui la famiglia Wittmer e una misteriosa baronessa austriaca accompagnata da due amanti. Quella che doveva essere un’utopia si trasforma però in un microcosmo teso e instabile, dove le tensioni, le gelosie e le ambizioni personali portano a una serie di eventi oscuri e mai completamente chiariti. Eden mette in scena questa vicenda con uno stile visivo potente e una narrazione che fonde dramma psicologico e mistero.

Il sogno di una nuova vita su un’isola deserta

Nel 1932, l’Isola di Floreana, situata nell’arcipelago delle Galápagos, divenne il teatro di una delle storie più incredibili e tragiche della colonizzazione. La terra, famosa per la sua natura incontaminata e selvaggia, sembrava rappresentare un paradiso ideale per un gruppo di coloni europei, attratti dal sogno di una vita libera dai vincoli e dalla miseria del continente. Tra di loro, il dottor Friedrich Ritter e la sua compagna Dora Strauch, ma anche altri uomini e donne, inclusi la famiglia Wittmer, avevano grandi speranze di costruire una comunità autosufficiente in quel luogo remoto. Ma la realtà si sarebbe rivelata ben diversa.

La Nascita della Colonia: Coloni europei si stabiliscono sull’Isola di Floreana

Eden Ana De Armas

Nel 1932, il gruppo di coloni che si stabilì su Floreana partì con un sogno di indipendenza e autarkia. Il dottor Ritter, un uomo idealista e intraprendente, pensava di poter creare una nuova comunità agricola che avrebbe dato vita a una vita migliore lontano dalle convenzioni europee. La famiglia Wittmer, composta dal padre Heinz, la madre Margret e i figli, giunse poco dopo, seguita da Eloise Bosquet, una donna con un passato misterioso. L’isola, sebbene avesse le risorse per sostenere una comunità, era ostile e inospitale. Le difficoltà di adattamento e la carenza di risorse cominciarono presto a mettere alla prova la resistenza dei coloni.

Tensioni e Difficoltà: I conflitti tra i coloni e la lotta per la sopravvivenza

Nonostante la loro visione utopica, le difficoltà pratiche si rivelarono insormontabili. I coloni dovettero fare i conti con l’isolamento, la scarsità di risorse e il difficile adattamento al nuovo ambiente. I conflitti tra i coloni, già presenti fin dall’inizio, divennero sempre più intensi. Friedrich Ritter, che si era autoproclamato leader della comunità, finì per scontrarsi con gli altri, specialmente con Eloise Bosquet, una figura misteriosa che si stabilì sull’isola poco dopo. Il clima di sospetto e di rivalità aumentò, e i coloni furono costretti a fronteggiare anche la crescente difficoltà nel mantenere il loro sogno di autarkia.

La Tragica Morte di Eloise: Il punto di non ritorno per la comunità

Nel 1934, il clima di tensione culminò con la morte misteriosa di Eloise Bosquet. Alcuni sospettano che sia stata uccisa da uno degli altri coloni, mentre altri credono che sia morta di morte naturale. La sua morte segnò un punto di non ritorno per la colonia. Con il passare del tempo, le difficoltà di sopravvivenza sull’isola divennero insormontabili. Le lotte tra i coloni e le crescenti difficoltà economiche contribuirono a distruggere il fragile equilibrio che esisteva inizialmente. La morte di Eloise, un evento che rimase avvolto nel mistero, divenne simbolo della fine di quel sogno di vita autonoma e pacifica su Floreana.

La Fine di un Sogno: La morte di Friedrich Ritter e il collasso della colonia

Nel 1935, la morte di Friedrich Ritter segnò la fine definitiva della colonia. Ritter, che aveva dedicato la sua vita a creare una nuova società lontano dalla civiltà europea, morì di malattia. La sua morte rappresentò la fine di un sogno, e la colonia, priva di un vero leader, collassò. I coloni rimasti furono costretti a fare i conti con la realtà di un’isola che non offriva la possibilità di sopravvivere senza l’aiuto della civiltà. Gli ultimi abitanti dell’isola, tra cui la famiglia Wittmer, furono costretti a lasciare Floreana, segnando la fine di quella che era stata una delle esperimentazioni più ambiziose della colonizzazione isolata.

Testimonianze di Sopravvissuti: La fine della colonizzazione di Floreana

La storia della colonia di Floreana è stata raccontata da coloro che sopravvissero e da coloro che tornarono indietro per raccontare la tragedia. Tra questi, la testimonianza di Margret Wittmer, l’unica sopravvissuta della famiglia Wittmer, ha avuto un’importanza fondamentale nel raccontare gli eventi che portarono al collasso della colonia. Le sue memorie, piene di dolore e sofferenza, raccontano non solo le difficoltà pratiche ma anche il profondo cambiamento emotivo che subirono i coloni nel confrontarsi con la dura realtà. La sua testimonianza è una delle poche fonti dirette che ci permette di capire l’entità della tragedia che si consumò su Floreana.

La Storia di Floreana e il Loro Impatto sul Film

La vicenda realmente accaduta della colonia di Floreana è stata una delle storie più affascinanti e tragiche della storia della colonizzazione isolata. Con il film Eden, Ron Howard e il suo cast danno vita a questa drammatica realtà, esplorando le dinamiche interpersonali, i sogni infranti e le difficoltà che hanno segnato il destino di questi pionieri. La rappresentazione cinematografica dei personaggi e degli eventi che si sono svolti su Floreana riesce a far rivivere il dramma della colonizzazione e a dare visibilità alle esperanze e alle illusioni di quei coloni, che desideravano creare una nuova società lontano dalle convenzioni e dalle difficoltà del mondo moderno.

Il film non si limita a raccontare gli eventi storici, ma li esplora anche sotto il profilo emotivo, mettendo in risalto il desiderio di riscatto e il conflitto tra l’ideale e la dura realtà. L’interpretazione di Jude Law nel ruolo di Friedrich Ritter e di Vanessa Kirby nei panni di Dora Strauch sono impeccabili nel mostrare le sfumature di una coppia idealista e la lotta per mantenere viva una visione che si sta sgretolando. Allo stesso modo, le performance di Daniel Brühl e Sydney Sweeney aggiungono profondità ai personaggi coinvolti in un dramma sempre più difficile da contenere.

Riflessioni sulla Storia e l’Eredità della Colonia di Floreana

La storia della colonia di Floreana e dei suoi abitanti rimane una lezione di speranza, determinazione e tragica consapevolezza dei limiti umani. La morte dei coloni, le loro lotte interne e le sfide naturali sono un monito che ricorda quanto sia complesso e difficile tentare di “domare” la natura e di vivere lontano dalla società. Oggi, con il film Eden, questa storia trova una nuova forma di narrazione, rivelando il lato umano di una vicenda che potrebbe sembrare lontana e distante, ma che in realtà parla di valori universali come la sopravvivenza, il sogno di un futuro migliore e la sfida contro l’imprevisto.

Il Messaggio del Film

Con Eden, Ron Howard ci regala una riflessione profonda su cosa significa cercare di costruire una nuova vita, confrontandosi con i propri limiti e quelli imposti dal mondo che ci circonda. La storia della colonia di Floreana, che ha visto sogni spezzati e aspirazioni naufragate, ci invita a riflettere sulla fragilità dei progetti umani e sull’importanza di non perdere mai di vista l’essenza della comunità e dei legami umani, soprattutto in tempi di difficoltà.

Con l’uscita del film nelle sale il 10 aprile 2025, Eden non è solo una ricostruzione storica ma anche un invito a riscoprire il valore della speranza e della resilienza, qualità che permangono vive in ogni epoca, e che sono fondamentali per costruire un futuro migliore.

Daredevil: Rinascita Episodio 8: la scioccante rivelazione sul destino di Foggy

SEGUONO SPOILER SULL’episodio 8 di Daredevil: Rinascita

L’episodio 8 di Daredevil: Rinascita si è concluso con un colpo di scena epocale, che ha rivelato che la morte di Foggy Nelson è avvenuta su richiesta di un altro personaggio importante. Il finale dell’episodio 7 ha apparentemente concluso definitivamente la trama di Muse. E ora, il ritorno di Benjamin Poindexter, alias Bullseye, ha riportato in primo piano i tragici eventi degli episodi 1 e 2 di Daredevil: Rinascita, a cui Matt dà finalmente una spiegazione: la morte di Foggy non è stato un tragico incidente ma il risultato di una missione calcolata, richiesta da un personaggio importante della serie.

Matt scopre che Vanessa Fisk ha ingaggiato Bullseye per uccidere Foggy

Vanessa è al centro della regnatela, non Kingpin

Nell’episodio 8 di Daredevil: Rinascita, viene rivelato che Vanessa è stata l’artefice della morte di Foggy. Inizialmente, Matt – e tutti gli altri – davano per scontato che la furia di Bullseye fosse il risultato della sua follia squilibrata, con il cattivo in cerca di vendetta contro Matt, Karen e Foggy per il loro ruolo nella sua caduta nella terza stagione di Daredevil. Tuttavia, Matt ha scoperto che non era vero, grazie a un suggerimento della sua vecchia amica: Josie. L’episodio vede Matt raggiungere l’apice della sua crisi che dura da una stagione, tornando da Josie dopo aver capito che i suoi sforzi basati sulla legge sono solo un “fare da babysitter al caos”.

Lì, Josie insiste perché lei, Matt e Cherry finiscano un bicchiere di O’Melveny’s. O’Melveny’s è il whisky che Foggy e Matt per loro tradizione bevevano dopo aver vinto una causa, e Matt è confuso sul motivo che aveva spinto Foggy a ordinarlo la notte in cui è morto. Matt capisce che era perché Foggy stava festeggiando in anticipo per un caso per il suo cliente, Benny, anche lui ucciso da Bullseye la stessa notte. Foggy avrebbe festeggiato in anticipo solo se fosse stato convinto oltre ogni dubbio di vincere la sua causa, il che era collegato alle minacce ricevute da Benny per un riferimento al progetto di Red Hook.

Red Hook è il nome di un porto di Brooklyn, direttamente legato ai progetti di Fisk come sindaco di New York e al suo ex impero criminale. Come rivelato nell’episodio 8 di Daredevil: Rinascita, il cliente di Foggy era in qualche modo coinvolto in tutto questo, eppure l’abile avvocato era fiducioso di una vittoria. Bullseye viene quindi ingaggiato per cambiare le cose, uccidendo Benny e mettendo a tacere Foggy. Naturalmente, la supposizione immediata di Matt è che Wilson Fisk sia stato colui che ha assoldato Bullseye per uccidere Foggy, ma un piccolo dettaglio nell’episodio cambia le cose.

Dopo essere stata avvisata che Bullseye è evaso di prigione, Vanessa dice a Wilson di avere qualcosa da dirgli. Matt ascolta e, dopo aver sentito il suo battito cardiaco accelerare, capisce che è stata Vanessa a decidere l’assassinio di Foggy, non Wilson. Questo ha certamente senso, dato che Vanessa era responsabile delle attività criminali di Fisk mentre lui era assente all’inizio di Daredevil: Rinascita. La rivelazione porta a un breve confronto in cui Matt chiede a Vanessa perché abbia fatto uccidere Foggy, prima di essere interrotto da un Bullseye ancora una volta infuriato.

Perché Vanessa voleva Foggy morto

Foggy era coinvolto negli affari di Red Hook

L’episodio 8 di Daredevil: Rinascita termina prima che Matt possa ottenere risposte da Vanessa, ma vuole sapere le stesse cose che vogliamo noi: perché Vanessa ha ordinato a Bullseye di uccidere Foggy? Come ho accennato, la risposta sta al centro del caso di Foggy con il suo cliente, Benny. Benny era in qualche modo legato a Red Hook, il che, prima dell’apparentemente benevola campagna elettorale di Fisk per la carica di sindaco, era parte integrante dell’infrastruttura del suo impero criminale e di Vanessa.

La precoce celebrazione del caso da parte di Foggy significava che era sicuro di assolvere Benny da qualsiasi accusa per cui avesse bisogno di un avvocato difensore, il che avrebbe senza dubbio fatto una pessima figura sui Fisk. Per non far emergere queste rivelazioni, Vanessa ha usato Bullseye, uccidendo diversi passanti, come mezzo per nascondere gli omicidi di Benny e Foggy come obiettivi. Sebbene i dettagli generali di questo caso siano sconosciuti, sembra una ragione valida quanto qualsiasi altra per cui Vanessa volesse la morte di Foggy.

Oltre a questo, Vanessa avrebbe potuto semplicemente prendere due piccioni con una fava, per così dire. Mettere a tacere Foggy era chiaramente una delle motivazioni per l’omicidio di Vanessa, ma la vendetta avrebbe potuto essere un’altra. Foggy è stato fondamentale nella caduta di Wilson Fisk nella terza stagione di Daredevil, cosa che ha reso i problemi coniugali di Vanessa e il loro impero meno efficaci di quanto non fossero un tempo. Questo, e l’azione di Matt nei panni di Daredevil, avrebbe potuto spingere Vanessa a uccidere Foggy per punire lui, Matt e Karen, il tutto mentre cercava di nascondere i suoi affari illeciti a Red Hook.

Cosa significa per Daredevil: Rinascita l’uccisione di Foggy da parte di Vanessa

La storia della serie è stata alterata per sempre

Charlie Cox e Vincent D’Onofrio in Daredevil: Rinascita. Cortesia di DISNEY ITALIA

Come previsto, la rivelazione del coinvolgimento di Vanessa nella morte di Foggy è fondamentale per Daredevil: Rinascita. In termini di conseguenze immediate, avrà ripercussioni sul finale della prima stagione. Matt è stato colpito a causa del tentativo di Bullseye di uccidere Fisk, il che significa potenzialmente che persino Poindexter non sapeva che era stata Vanessa ad assumerlo, invece di Wilson stesso. Tutto questo verrà probabilmente affrontato nel finale, con ogni elemento che si ricollega al piano di Vanessa.

In termini più ampi, il tentato assassinio di Vanessa potrebbe essere collegato a una teoria di massa secondo cui la morte di Foggy sarebbe stata simulata in Daredevil: Rinascita. Foggy è uno dei personaggi più intelligenti della serie, ed è difficile immaginarlo coinvolto in un caso che coinvolge i Fisk senza saperlo. Di conseguenza, Foggy avrebbe potuto sapere che la sua vita era in pericolo e in qualche modo aver simulato la sua morte, ma al momento si tratta solo di congetture. Ciononostante, un omicidio casuale renderebbe una finzione più difficile da realizzare rispetto a un omicidio premeditato di cui Foggy era a conoscenza.

Infine, le azioni di Vanessa avranno senza dubbio un impatto sulla rinascita sia di Daredevil che di Kingpin. Matt sarà sicuramente sul piede di guerra ora che sa che Vanessa è coinvolta nella morte di Foggy, il che lo metterà successivamente in conflitto con Wilson. La rinascita di Daredevil continuerà ora che Matt ha una causa per cui combattere, il che a sua volta porterà Kingpin a incontrarlo in futuro, soprattutto se Vanessa sarà in pericolo.

Tutto questo promette un enorme cambiamento nello status quo della serie. Prima d’ora, la morte di Foggy era stata trattata come un incidente casuale, con l’attenzione della serie rivolta a fattori esterni che avrebbero portato Matt e Fisk a tornare alle loro vecchie abitudini e a riaccendere la loro faida. Ora che Vanessa è stata confermata come l’artefice della morte di Foggy, Daredevil: Rinascita ha dato ai suoi personaggi principali un interesse molto più personale nel caos crescente che Matt sta continuamente cercando di gestire senza l’aiuto dell’Uomo Senza Paura.

Predator: Killer of Killers, il primo trailer del film d’animazione di Dan Trachtenberg

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20th Century Studios ha annunciato che Predator: Killer of Killers, un film d’azione e avventura animato originale ambientato nell’universo di Predator, debutterà il 6 giugno 2025 in esclusiva su Hulu. Ora abbiamo la possibilità di vedere il primo trailer del film che è diretto da Dan Trachtenberg (Prey).

La storia antologica segue tre dei più feroci guerrieri della storia umana: una predatrice vichinga che guida il suo giovane figlio in una sanguinosa ricerca di vendetta, un ninja nel Giappone feudale che si rivolta contro il fratello samurai in una brutale battaglia per la successione e un pilota della Seconda Guerra Mondiale che decolla per indagare su una minaccia ultraterrena alla causa degli Alleati. Tuttavia, sebbene tutti questi guerrieri siano degli assassini a pieno titolo, sono solo prede del loro nuovo avversario: l’assassino degli assassini per eccellenza.

Predator: Killer of Killers è diretto dal regista di Prey, Dan Trachtenberg, con Josh Wassung, della casa di animazione The Third Floor, come co-regista. Il film è stato scritto da Micho Robert Rutare da una storia di Trachtenberg e Rutare, basata sui personaggi creati da Jim Thomas e John Thomas. I produttori sono John Davis, Dan Trachtenberg, p.g.a., Marc Toberoff, Ben Rosenblatt, p.g.a., con Lawrence Gordon, James E. Thomas, John C. Thomas e Stefan Grube come produttori esecutivi.

Questo è il primo di due film di Predator in arrivo nel 2025, il prossimo sarà il live-action Predator: Badlands. Il film è ambientato nel futuro, su un pianeta remoto, dove un giovane Predator, emarginato dal suo clan, trova un’improbabile alleata in Thia (Elle Fanning) e intraprende un viaggio pericoloso alla ricerca dell’avversario definitivo.

Daredevil: Rinascita, perché quando Bullseye è in scena, la luce diventa blu?

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Le capacità sovrumane di Bullseye potrebbero aver ricevuto un potenziamento visivo in Daredevil: Rinascita dopo la sua integrazione nel MCU vero e proprio. Benjamin Poindexter, alias Bullseye, ha dato il via agli eventi della prima serie MCU di Daredevil assassinando Foggy Nelson nell’episodio 1. Dopo che Bullseye ha ucciso Foggy, è quasi morto quando Daredevil si è vendicato ed è stato condannato all’ergastolo, e poi la serie si è spostata su trame incentrate su Muse, Wilson Fisk e la task force di polizia di Fisk.

Bullseye ritorna nell’episodio 8 di Daredevil: Rinascita, dove escogita un piano per evadere dalla prigione, a partire solo con un dente rotto. Sebbene Bullseye non occupi molto spazio nell’episodio, semina il caos nella vita di tutti i personaggi principali. Contro ogni previsione, Matt Murdock salva Wilson Fisk dallo stesso destino di Foggy Nelson quando Bullseye gli spara (qui la spiegazione di quel gesto). Ancora una volta, Daredevil neutralizza la mira perfetta di Bullseye con una mossa inaspettata, ma questa volta potrebbe costargli la vita.

La luce blu di Bullseye in Daredevil: Rinascita cita i fumetti

L’alter ego di Bullseye, interpretato da Benjamin Poindexter, è l’opposto del personaggio di Daredevil interpretato da Matt Murdock

Daredevil: Born Again
Charlie Cox nei panni di Matt Murdock in “Daredevil: Born Again”. © MARVEL

Guardando l’episodio 8 di Daredevil: Rinascita, si nota che ogni volta che Bullseye è pronto a esercitare la sua mira infallibile, la luce dell’inquadratura diventa tutta blu. Nella serie, Matt Murdock è accompagnato da delicate tonalità di rosso, che simboleggiano il suo alter ego di Daredevil che riemerge. Allo stesso modo, l’illuminazione blu di Benjamin Poindexter rappresenta la sua inarrestabile personalità di Bullseye che emerge, apparentemente ogni volta che si sente sotto pressione o pronto a dare sfogo ai suoi desideri violenti.

Le tonalità blu di Benjamin Poindexter sono anche un omaggio alle sue origini fumettistiche. Il classico costume di Bullseye nei fumetti è blu, in contrasto con il classico costume rosso di Daredevil. Daredevil: Rinascita introduce un effetto specifico che suggerisce che l’alter ego di Ben Poindexter, Bullseye, si risvegli in determinati momenti, ma la terza stagione di Daredevil di Netflix aveva già collegato Bullseye al colore blu: la maggior parte delle scene di Benjamin Poindexter nella terza stagione di Daredevil presentano un’illuminazione blu fredda.

Bullseye avrà mai un costume fedele ai fumetti nell’MCU?

Benjamin Poindexter potrebbe essere vicino a ottenere il suo classico costume dei fumetti

Benjamin Poindexter, interpretato da Wilson Bethel, ha indossato un nuovo costume nel primo episodio di Daredevil: Rinascita, anni dopo aver impersonato Daredevil nella terza stagione di Daredevil su Netflix. Questo costume è chiaramente ispirato a quello che inizia a indossare in Daredevil #20 della Marvel Comics, il momento più vicino in cui il personaggio di Wilson Bethel è arrivato a indossare il suo iconico costume blu dei fumetti. L’illuminazione blu di Bullseye nell’episodio 8 di Daredevil: Rinascita suggerisce che indosserà un costume più fedele ai fumetti al suo ritorno. Dopotutto, la seconda stagione di Daredevil: Rinascita darà finalmente a Daredevil il suo emblema sul petto.

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