Presentato in
Concorso a Venezia 80, Origin di Ava DuVernay racconta in modo emozionante la
storia di Isabel Wilkerson. La scrittrice vinse un
Pulitzer per il reportage individuale per il suo lavoro sulle
inondazioni del Midwest e su un bambino di 10 anni che si prende
cura dei suoi fratelli. Durante la presentazione ha parlato della
genesi di questo progetto: “Ho letto il libro e sono rimasta
affascinata da tutto quello che Isabel Wilkerson ha messo al suo
interno. L’ho letto tre volte per capirlo realmente e già alla
seconda lettura ho iniziato a vedere lei, la donna che lo ha
costruito. Ho iniziato a pensare alla storia cercado di adattarla
nel modo in cui lui l’ha vissuta e traumatizzata. Tutto quello che
riguarda la sua storia che non è presente nel libro me l’ha
raccontato lei di persona. Abbiamo parlato per un anno, ci sono
stati così tanti incontri e si è aperta molto con me è stata
generosa”.
Ava DuVernay è la prima donna afroamericana ad
arrivare in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia: “Ai
registi neri viene detto che le persone che amano i film in altre
parti del mondo non si interessano alle nostre storie e non si
interessano ai nostri film. Questo è qualcosa che ci viene detto
spesso: non potete partecipare ai festival internazionali, non
verrà nessuno“, ha detto DuVernay. “La gente non verrà
alle conferenze stampa, non verrà alle proiezioni. Non saranno
interessati a vendere i biglietti. Potreste anche non entrare in
questo festival, non fate domanda. Non so dirvi quante volte mi
hanno detto: “Non fare domanda a Venezia, non entrerai. Non
succederà”. E quest’anno è successo qualcosa che non era mai
accaduto in otto decenni: una donna afroamericana in concorso.
Quindi ora questa è una porta aperta che confido e spero che il
festival mantenga aperta“.
Il cast di Origin
Oltre a
Ellis-Taylor e Bernthal,
Origin è interpretato anche da Niecy Nash-Betts,
Vera Farmiga, Audra McDonald,
Nick Offerman, Blair Underwood, Connie Nielsen, Emily Yancy,
Jasmine Cephas-Jones, Finn Wittock,
Victoria Pedretti, Isha Blaaker e Myles
Frost. “La collisione tra gli attori e protagonisti
del mondo reale è interessante perché è stata una esperienza
lavorare con persone realmente esistite: la bibliotecaria a Berlino
per esempio. Non credo che avremmo avuto il cast che abbiamo avuto
se fosse rimasto nel sistema degli studios“, ha detto
DuVernay. “Il sistema degli studios è un luogo in cui ho
lavorato e realizzato progetti di cui sono orgogliosa, ma c’è
davvero un aspetto di controllo su chi interpreta cosa. E c’è
l’idea di chi fa soldi, di chi attira l’attenzione e a volte questo
è in contrasto con chi potrebbe essere la persona migliore per la
parte. Aunjanue Ellis-Taylor era la persona migliore per questa
parte“.
Le immagini riguardanti l’arrivo
degli immigrati africani che vediamo ogni giorno nei telegiornali
ci mostrano uomini, donne e bambini ai quali troppo facilmente si
appiccicano etichette con cui definirli senza che neanche li si
conosca. Sono persone senza nome, senza identità, la cui storia
rimane avvolta nella leggenda, nell’esagerazione o, troppo spesso,
nell’ignoranza. Con il suo nuovo film, dal titolo Io
capitano, il regista Matteo
Garrone(Gomorra, Dogman, Pinocchio) si pone dunque
l’obiettivo di fornire un’identità e una voce a chi troppo spesso
non ce l’ha. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia, il film porta dunque lo spettatore ad
intraprendere l’odierna Odissea dei migranti.
Per Garrone si tratta quasi di un
controcampo sul suo film d’esordio, Terra di
mezzo, del 1996, articolato in tre episodi
distinti che raccontano le storie di emarginazione di alcuni
stranieri immigrati in Italia. Se lì il focus era dunque su come
queste persone vengono recepite nel nuovo contesto raggiungo, con
Io Capitano si va invece all’origine del viaggio, a ciò
che lo ha motivato, come anche a tutti gli orrori e gli ostacoli
che si è dovuto superare per poter arrivare dove desiderato.
Raccontare tutto ciò è un obiettivo ambizioso, ma Garrone sa come
approcciarsi alle sfide più ostiche, traendone il meglio.
Io Capitano, la trama del film
In
Io Capitano si racconta dunque il viaggio avventuroso di
Seydou (Seydou Sarr) e
Moussa (Moustapha Fall), due
giovani cugini che decidono segretamente di lasciare Dakar,
capitale del Senegal, per raggiungere l’Europa, con l’obiettivo di
poter inseguire il sogno di diventare celebrità nel campo della
musica. Lasciandosi alle spalle le proprie famiglie, per i due ha
così inizio un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del
deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli
del mare. Quando ormai sarà troppo tardi per tornare indietro, i
due ragazzi si troveranno a dover proseguire il percorso, scoprendo
quanto quel paese dei balocchi promesso sia meno splendente e
colorato del previsto.
Odissea nel deserto
L’immigrazione è uno degli argomenti
più scottanti e delicati tra quelli presenti sul tavolo delle
discussioni odierne. Nel farlo, si può facilmente banalizzare,
fraintendere o peggio ancora distorcere ciò che lo riguarda. Ecco
perché il regista Matteo Garrone ha atteso a lungo
prima di decidersi a realizzare questo film, convinto di non avere
il diritto di raccontare una storia che non gli è propria e come la
maggior parte degli italiani e degli europei vive principalmente
attraverso le immagini proposte dai media. Fortunatamente, però, si
può scegliere di voler andare oltre le comuni convinzioni, gli
stereotipi, e svolgere ricerche necessarie a far emergere la verità
di queste situazioni.
Così ha fatto Garrone, circondatosi
di collaboratori che in prima persona hanno vissuto gli orrori di
questa Odissea nel deserto, con interminabili traversate nel
deserto, senza riparo dal sole o dalle intemperie, con il rischio
di essere catturati e posti in stato di schiavitù nei centri di
detenzione libici. A partire da queste testimonianze, Garrone segue
dunque i due personaggi protagonisti nel loro scontrarsi con queste
tappe di cui poco o nulla si sa fino a quando non ci si scontra
personalmente con esse. Avviene dunque una vera e propria
trasformazione nel corso di Io Capitano, con i due
protagonisti che passano dall’essere spensierati giovani a
sopravvissuti ormai privati della loro innocenza.
A sua volta, anche il film si
trasforma, passando da una prima parte più colorata, allegra,
spensierata nei toni e nelle atmosfere, coerentemente con lo stato
di Seydou e Moussa in quel dato momento. Quando però ha inizio il
viaggio, piano piano il film si incupisce sempre di più,
l’atmosfera si fa pesante, spaventosa e non c’è più posto per
quanto si era visto fino a quel momento. È a questo punto che
Garrone non si risparmia alcune immagini particolarmente crude,
ritrovabili naturalmente all’interno delle carceri libiche. Se
dunque il tutto inizia come una fiaba sulla scia di quel filone del
regista che ha prodotto fantasy come Il racconto dei
racconti e Pinocchi, ben presto si giunge in
territori più dark, propri di un film come Gomorra.
Seydou Sarr in una scena di Io Capitano. Foto di Greta De
Lazzaris.
Matteo Garrone infonde verità ed emozione nel racconto
Il modo in cui Garrone sceglie di
costruire il racconto ha dunque l’obiettivo di ricercare una certa
spontaneità e sincerità, necessarie per coinvolgere il pubblico e
renderlo partecipe di questa problematica tanto grande. Talmente
grande che non è facile dare delle risposte a riguardo, motivo per
cui al regista si rinfaccerà il suo non aver proposto una versione
più politica di tale argomento, ma di essersi tenuto invece più
dalle parti del racconto d’avventura. Un racconto che però
giustifica la propria semplicità – che talvolta può essere confusa
con un certo didascalismo – con l’intenzione di raggiungere un
pubblico molto ampio, possibilmente di ragazzi, da sensibilizzare
su tali vicende.
Per farlo il
regista si muove dunque consapevolmente sopra un confine molto
esile tra la retorica e la sincerità, riuscendo grossomodo a
rimanere nell’area di quest’ultima e portando a compimento un film
particolarmente emozionante. Il merito è da riconoscere però anche
a Seydou Sarr, il giovane protagonista esordiente,
che dà vita ad un’interpretazione convincente, che acquista
intensità di pari passo con la crescita emotiva del suo
personaggio. Seyoud ci appare inoltre come una sorta di Pinocchio
migrante, alla ricerca di una terra dei balocchi che scoprirà
essere tutt’altro che paradisiaca. E terminando lì dove iniziano le
immagini dei telegiornali, Io Capitano ci offre dunque un
controcampo a cui non si dovrebbe rimanere indifferenti.
Apple TV+ ha svelato oggi
il trailer del nuovo documentario evento in quattro parti
“The Super Models” che accende i fari sulle
straordinarie carriere di Naomi Campbell, Cindy Crawford,
Linda Evangelista e Christy
Turlington.
Ogni episodio della docuserie, in
uscita il 20 settembre su Apple
TV+, presenta contributi inediti di alcuni dei più grandi nomi
della moda e della cultura, tra cui Fabien Baron, Jeanne Beker,
Emily Bierman, Tim Blanks, Martin Brading, Paul Cavaco, Carlyne
Cerf De Dudzeele, Grace Coddington, Sante D’orazio, Charles Decaro,
Arthur Elgort, Edward Enninful, David Fincher, Tom Freston, John
Galliano, Garren, Robin Givhan, Tonne Goodman, Michael Gross,
Bethann Hardison, Marc Jacobs, Kim Jones, Donna Karan, Calvin
Klein, Michael Kors, Rocco Laspata, Suzy Menkes, Isaac Mizrahi,
Michael Musto, François Nars, Todd Oldham, Hal Rubenstein, Anna
Sui, Annie Veltri, Donatella Versace e Vivienne Westwood.
“The Super Models” ripercorre gli
anni ’80, quando quattro donne provenienti da diversi angoli del
mondo si unirono a New York. Già forti di per sé, la gravitas che
raggiunsero insieme trascendeva l’industria stessa. Il loro
prestigio era così straordinario che permise alle quattro di
superare la fama dei marchi che presentavano, rendendo i nomi di
Naomi, Cindy, Linda e Christy tanto importanti, quanto gli stilisti
che le vestivano. Oggi, le quattro supermodelle restano in prima
linea nel contributo alla cultura grazie all’attivismo, alla
filantropia e all’abilità negli affari. Mentre l’industria della
moda continua a ridefinire se stessa – e i ruoli delle donne al suo
interno – questo documentario racconta la storia di come quattro
donne si sono riunite per rivendicare il loro potere, aprendo la
strada a quelle successive.
“The Super Models” è prodotto per
Apple TV+ da Imagine Documentaries e One Story Up, con i produttori
esecutivi Brian Grazer, Ron Howard, Sara Bernstein, Justin Wilkes,
Barbara Kopple, Roger Ross Williams e Geoff Martz, insieme a Naomi
Campbell, Cindy Crawford, Linda Evangelista e Christy Turlington
Burns.
A circa sette anni dalla
sua prima apparizione nella serie e un lustro dopo l’uscita del
primo film, la Blumhouse torna a mettere al centro
del suo ultimoThe Nun
2 la suora malvagia che i fan del The Conjuring
Universe conoscono molto bene. In sala a
settembre, distribuito da Warner Bros. Pictures, il film
diretto da Michael Chaves (The Conjuring – Per
ordine del diavolo,
La llorona) si collega direttamente al The Nun – La vocazione del male del
2018 e ai suoi personaggi, di nuovo interpretati da Taissa Farmiga e Jonas
Bloquet (Io
sono tuo padre).
The
Nun 2, la trama
Sono loro la suor Irene e
il “Francese” Maurice scampati allo scontro finale del
precedente capitolo, anche se non senza conseguenze. Quelle delle
quali continuiamo a scontare gli effetti letali nella Francia del
1956, a Tarascon, dove prete muore bruciato nella sua stessa
chiesa. Ma è solo l’ennesima dimostrazione di quanto il male si
stia ormai diffondendo, uno dei casi sui quali la giovane sorella è
chiamata a investigare, seguendo una traccia che la porterà
nuovamente faccia a faccia conil demoniaco
Valak.
Il
franchise continua, un sequel con pregi e
difetti
Ormai una presenza
ricorrente e caratteristica della serie, l’apparizione della
inquietante versione ecclesiastica del demone creato da
Jason
Blum era stata di tale impatto da rendere quasi
inevitabile continuare a sfruttarla. Soprattutto considerato che
The Nunè
a tutt’oggi il primo per incassi mondiali dei titoli del franchise
di The Conjuring (366 milioni di dollari
contro i 320 dei primi due capitoli). Un record che difficilmente
verrà scalfito – o anche solo impensiero – dal film con cui
continua questa deriva della serie, prossima a toccare quota dieci
film con l’annunciato The Conjuring 4.
Purtroppo, il ritorno
della Suor Irene di Taissa Farmiga difficilmente verrà ricordato.
E probabilmente i vari Gary Dauberman, Carey Hayes, David
Leslie Johnson e James Wan non lasceranno
più le loro creature agli autori (Ian Goldberg e Richard Naing, qui
affiancati da Akela Cooper, padre della storia in questione oltre
che di M3GAN e Malignant) di una sceneggiatura tanto
confusa.
NUN2
The
Dangerous Lives of Altar Boys
Questa volta sono
chierichetti e giovinette in età da collegio le vittime preferite
di questa manifestazione del Male, che resta nell’ombra più di
quanto il buon senso o l’equilibrio consiglierebbero. Una scelta
che evidentemente segue l’encomiabile intenzione di dare più
risalto alle diverse linee narrative che si intrecciano sullo
schermo (ma sarebbe bastato semplificare quelle esistenti,
soprattutto quella ‘familiare’ del Francese, la Kate di Anna
Popplewell e la piccola Sophie di Rose Downey), ma
che sul lungo fa sentire la mancanza della protagonista più attesa
(che lo stesso regista sembra accennare potremmo ritrovare nel
prossimo The Conjuring: Last Rites).
Uno dei diversi autogol
che subisce il film che, dopo un inizio promettente e intrigante,
sembra affidarsi maggiormente alla cura formale della confezione e
a una inusuale cura dell’aspetto visivo (quasi patinato) e delle
location che alla gestione equilibrata di comportamenti e azioni.
Soprattutto quelli di interpreti tendenti all’eccesso o poco
convincenti (nessuno escluso), nel primo caso, e quelle di demoni
particolarmente distratti e innocui.
Un peccato, visto che nel
“lot of fun stuff” promesso dall’onesto Chaves non mancano
scene meritevoli, dall’interessante trovata di mascherare il
necessario spiegone ‘per chi non avesse visto le puntate
precedenti’ da leggenda alle scene dello scontro a colpi di
aspersorio o dell’edicola da strada scelta da Valak per palesarsi.
Momenti rinfrancanti e illusori in un lungo combattimento con il
senso di certe scelte e gli strappi immotivati di una backstory fin
troppo fantasiosa e forzata. E che aumentano il rammarico per il
tentativo fallito di fare qualcosa di più del solito, puntando su
sogni e visioni – poco thriller e minacciose – più che le usuali
apparizioni o un abuso di jumpscare.
New Line Cinema
presenta il thriller horror The Nun
2, il secondo capitolo della saga di
The Nun, l’opera di maggior successo dell’universo
The Conjuring, che ha incassato più di 2
miliardi di dollari. Taissa Farmiga (“The Nun”,
“The Gilded Age”) torna nel ruolo di Suor
Irene, affiancata da Jonas Bloquet (“Tirailleurs”,
“The Nun”), Storm Reid (“The Last of Us”, “The Suicide Squad”), Anna Popplewell
(“Fairytale”, la trilogia de “Le cronache di Narnia”)
Bonnie Aarons (al suo ritorno in “The Nun”) e da
un cast di star internazionali.
In The Nun 2 Un
prete viene assassinato. Un male si sta diffondendo. Il sequel del
film campione d’incassi segue le vicende di Suor Irene, quando
viene a trovarsi nuovamente faccia a faccia con Valak, la suora
demoniaca. Michael Chaves (“The Conjuring:
The Devil Made Me Do It”) dirige da una sceneggiatura di Ian
Goldberg & Richard Naing (“Eli”, “The Autopsy of Jane Doe”) e Akela
Cooper (“M3GAN”, “Malignant”). Da una storia di Akela Cooper,
basata sui personaggi creati da James Wan & Gary Dauberman.
Il film è prodotto dalla Safran
Company di Peter Safran e dalla Atomic Monster di James Wan che
danno seguito alle passate collaborazioni nei precedenti film della
saga “Conjuring”. Produttori esecutivi di “The Nun II” sono,
Richard Brener, Dave Neustadter, Victoria Palmeri, Gary Dauberman,
Michael Clear, Judson Scott e Michael Polaire. Nel team creativo
che ha affiancato il regista Michael Chaves troviamo il direttore
della fotografia Tristan Nyby (“The Conjuring: The Devil Made Me Do
It”, “The Dark and the Wicked”), lo scenografo Stéphane Cressend
(“Les Vedettes”, “The French Dispatch”), il montatore Gregory
Plotkin ( “Scream” 2022 e “Get Out”), la produttrice degli effetti
visivi Sophie A. Leclerc (“Finch”, “Lucy”), la costumista Agnès
Béziers (“Oxygen”, “The Breitner Commando”), e il compositore Marco
Beltrami ( “Scream” del 2022 e ”Venom: Let There Be Carnage”)
autore della colonna sonora.
L’universo “The
Conjuring” rappresenta la saga horror di maggior
successo nella storia al box office con un incasso complessivo
globale di 2 miliardi di dollari. A livello mondiale, quattro dei
titoli di “The Conjuring” hanno incassato ciascuno oltre 300
milioni di dollari nel mondo (“The Nun” $366 million; “The
Conjuring 2” $322 million; “The Conjuring” $320 million;
“Annabelle: Creation” $307 million), e ogni titolo della saga ha
incassato non meno di 200 milioni di dollari. “The Nun” è al
vertice di questa classifica, con i suoi oltre 366 milioni di
dollari nel mondo. New Line Cinema presenta, una produzione Atomic
Monster / Safran Company, “The Nun II” che sarà nelle sale italiane
a settembre distribuito da Warner Bros. Pictures.
Sono davvero “deludenti” gli
aggiornamenti che James
Gunn offre, di prima mano, ai suoi fan, in merito a
Superman:
Legacy e al costume del nuovo Uomo
d’Acciaio. Mentre è stato già annunciato che il film vedrà
protagonisti David
Corenswet nei panni di Clark Kent e Rachel
Brosnahan nei panni di Lois Lane e che il film
mostrerà anche altri eroi DC, molti dettagli sono ancora nascosti,
uno dei quali è il nuovo costume di Superman: Legacy.
Su Instagram, Gunn ha rivelato che i
fan della DC dovranno aspettare ancora a lungo prima che il costume
di Superman: Legacy che indosserà Corenswet venga
svelato.
Dopo che un fan ha chiesto a Gunn se
poteva già “pubblicare la foto del costume di Superman”, lo
sceneggiatore/regista ha risposto con un aggiornamento deludente,
dicendo: “Nemmeno lontanamente vicino a farlo”. Bisognerà
aspettare ancora a lungo…
Superman: Legacy, tutto quello che sappiamo sul
film
Superman: Legacy, scritto e
diretto da James Gunn, non
sarà un’altra storia sulle origini, ma il Clark Kent che
incontriamo per la prima volta qui sarà un “giovane reporter” a
Metropolis. Si prevede che abbia già incontrato Lois Lane e,
potenzialmente, i suoi compagni eroi (Gunn ha detto che
esistono già in questo mondo e che l’Uomo di domani non è il primo
metaumano del DCU). Il casting,
come già detto, ha portato alla scelta degli attori David Corenswet
e Rachel
Brosnahan come Clark Kent/Superman e Lois Lane.
Il film è stato anche descritto come
una “storia
delle origini sul posto di lavoro“, suggerendo che una
buona parte del film si concentrerà sull’identità civile di
Superman, Clark Kent, che è un giornalista del Daily Planet.
Secondo quanto riferito, Gunn ha consegnato la prima bozza della
sua sceneggiatura prima dello sciopero degli sceneggiatori, ma ciò
non significa che la produzione non subirà alcun impatto in
futuro.
“Superman: Legacy è il vero
fondamento della nostra visione creativa per l’Universo
DC. Non solo Superman è una parte iconica della tradizione DC,
ma è anche uno dei personaggi preferiti dai lettori di fumetti,
dagli spettatori dei film precedenti e dai fan di tutto il
mondo”, ha detto Gunn durante l’annuncio della lista DCU. “Non vedo
l’ora di presentare la nostra versione di Superman, che il pubblico
potrà seguire e conoscere attraverso film, film d’animazione e
giochi”. Superman:
Legacy uscirà nelle sale l’11 luglio 2025.
Le nuove action figure dedicate a
Aquaman e il
regno perduto mostrano un assaggio di quello
che sarà il costume di Orm, ovvero Orm Marius,
noto anche come The Ocean Master, fratellastro di Aquaman e il
prossimo in linea di successione al trono di Atlantide. Nei
fumetti, l’iconico elmo alettato con gli occhi rossi di Orm lo ha
sempre fatto risaltare nella galleria dei cattivi di Aquaman,
tuttavia, soltanto verso il finale del primo film abbiamo visto il
personaggio, interpretato da Patrick Wilson, indossare quel costume argento
e viola che rendeva omaggio alla sua rappresentazione nei
fumetti.
Grazie alla foto di una action figure
di Aquaman e il
regno perduto, vediamo ora che
Orm non avrà più un costume così accurato rispetto ai fumetti.
Questa figura mostra Orm che indossa un’elegante tuta da
combattimento per tutto il corpo con sfumature viola e nere. È
certamente un miglioramento rispetto all’aspetto trasandato di Orm
rivelato nelle foto dal set di Aquaman 2, l’abito scuro sembra
pratico e minaccioso, il che significa che Arthur Curry ha ancora
molto di cui preoccuparsi per quanto riguarda il suo malvagio
fratellastro.
Jason Momoa è atteso di nuovo nei panni dell’eroe in
Aquaman e il
regno perduto, sequel del film che ha rilanciato
in positivo le sorti dell’universo cinematografico DC. In questo
seguito, diretto ancora una volta da James
Wan (Insidious, The Conjuring), torneranno
anche Patrick
Wilson nei panni di Ocean Master, Amber
Heard, nei panni di Mera, Dolph Lundgren che sarà ancora una volta
Re Nereus, il padre di Mera, e ancora Yahya
Abdul-Mateen II nei panni di Black Manta,
che abbiamo visto riapparire nella scena post-credit del primo
film.David Leslie Johnson-McGoldrick,
collaboratore ricorrente di Wan, scriverà la
sceneggiatura del film, mentre il regista e Peter
Safran saranno co-produttori.
Una scena cancellata di Thor: Love and
Thunder rivela che uno dei cattivi del Marvel Cinematic Universe avrebbe
avuto la sua redenzione nel film. Il Thor di Chris
Hemsworth ha percorso un lungo viaggio nel MCU,
così come il suo franchise, che ha modificato completamente il suo
tono per arrivare a trasformarsi del tutto, al suo quarto
capitolo.
Ora, William
Groebe, l’artista dello storyboard di Love and
Thunder, ha condiviso una sequenza di storyboard
del film che includono un nuovo sguardo alla scena di Jeff
Goldblum nei panni del Gran Maestro, che purtroppo non è
sopravvissuta alla sala di montaggio.
Gli storyboard di Thor: Love and
Thunder con il Gran Maestro fanno parte
della sequenza cancellata “Moon of Shame”, che avrebbe
visto il cattivo del MCU rivelarsi dotato di appendici robotiche.
Thor, Jane Foster e Valkyrie avrebbero combattuto Gorr il
Macellatore di Dei e i suoi mostri ombra e il Gran Maestro di
Goldblum e Korg – con la testa attaccata a un piccolo carro armato
– sarebbero arrivati per aiutare gli eroi.
Si è spento a 93 anni
Giuliano Montaldo, regista, sceneggiatore e attore
genovese che ha contribuito a rendere grande il nome del cinema
italiano nel mondo. Lascia la moglie, Vera Pescarolo, la figlia
Elisabetta e i suoi due nipoti Inti e Jana Carboni.
Ha iniziato la sua carriera da
attore, negli anni Cinquanta, e all’inizio degli anni Sessante
debutta come regista con Tiro al Piccione (1961). Nel corso
della sua carriera ha diretto oltre 20 film, tra cui Gli
Intoccabili (1969), Sacco e
Vanzetti (1970), Giordano
Bruno (1973), L’Agnese Va A Morire (1976)
e Gli Occhiali d’Oro (1987).
Tuttavia, uno dei suoi più recenti
riconoscimenti è stato attribuito alle sue doti di interprete
davanti alla macchina da presa: nel 2018 ha ricevuto il
David di Donatello come miglior attore non protagonista
nel film Tutto quello che vuoi (2017),
di Francesco Bruni. Per Giuliano
Montaldo era il secondo, visto che nel 2007 gli era stato
assegnato quello alla carriera.
Succession è
riuscita a diventare una delle serie televisive più acclamate di
tutti i tempi grazie alla sua scrittura implacabile e ai suoi
personaggi splendidamente ideati e interpretati.
Di tutta la splendida quarta
stagione, un punto però è risultato oscuro tanto agli spettatori
quanto ai protagonisti. Nelle ore immediatamente successive alla
morte di Logan Roy, viene ritrovato un suo testamento
che riporta un segno sul nome di Kendall, un segno che non si
capisce se indica una sottolineatura o una cancellatura del nome.
Alla luce di tutto quello che Kendall ha tentato di fare per
detronizzare il padre mentre era ancora in vita, il magnate e
capofamiglia Roy ha deciso di punirlo estromettendolo dal
testamento oppure ha visto in lui un degno successore privo di
scrupoli?
Ebbene, la serie non dà risposte, ma
il suo creatore, Jesse Armstrong, ha rilasciato
una dichiarazione che potrebbe aver sciolto il dubbio sulle ultime
volontà di Logan Roy. Durante la sua partecipazione a un evento del
Financial Times a Londra (registrato
dal giornalista Cassam Looch), ad Armstrong è stato chiesto di
valutare se il nome di Kendall fosse sottolineato o cancellato. Pur
evitando di rispondere a una domande del genere durante la messa in
onda dello spettacolo, Armstrong ha spiegato di sentirsi più libero
di commentare il significato di certe scene ora che non ci sono più
segreti da nascondere al pubblico e che la serie si è conclusa.
“Se dovessi cancellare un nome,
non inizieresti tracciando una linea dal basso, vero?” ha
detto Armstrong al pubblico, suscitando applausi quando i membri
del pubblico si sono resi conto che intendeva dire che Logan aveva
sottolineato il nome.
In effetti, sebbene lo show si sia
basato molto su colpi di scena e decisioni imprevedibili, il
sorriso beffardo di Logan Roy di fronte ai tradimenti del figlio
maggiore (sarà sempre considerato tale, con buona pace del povero
Connor) sono sempre sembrati una specie di investitura a rivale
degno. E ora ne abbiamo la conferma. Peccato che, alla fine,
nessuno dei figli di Roy avesse i nervi e la caratura (sebbene
declinata al male) del padre, tale da prendere le redini della
società.
Succession è una
delle serie con il maggior numero di nomination che gareggia ai
prossimi Emmy. Il premio verrà assegnato a gennaio
2024.
In occasione dell’uscita in sala di
Il più bel secolo della mia vita, ecco la
nostra intervista al regista Alessandro Bardani, e
ai protagonisti Valerio Lundini e Sergio Castellitto. Il più bel secolo
della mia vita esce il 7 settembre distribuito da Lucky
Red.
Nel cast anche Carla Signoris,
Antonio Zavatteri, Elena Lander, Marzio El Moety con Betti Pedrazzi
nel ruolo di Suor Grazia e con l’amichevole partecipazione di
Sandra Milo Nel film è presente il brano inedito “La vita com’è” di
Brunori SAS Una produzione Goon Films, Lucky Red con Rai Cinema In
collaborazione con Prime Video. Il film sarà presentato in anteprima
assoluta al 53 Giffoni Film Festival nella sezione Generator +18 il
prossimo 23 luglio 2023 e al cinema il 7 Settembre 2023.
La trama del film
Un’assurda legge ancora in vigore
in Italia impedisce a Giovanni, figlio non riconosciuto alla
nascita, di sapere l’identità dei suoi genitori biologici prima del
compimento del suo centesimo anno di età. Per riuscire ad attirare
l’opinione pubblica, la sua unica speranza è ottenere la complicità
di Gustavo, unico centenario non riconosciuto alla nascita in vita.
Il solo che avrebbe il diritto di avvalersi di questa normativa ma
che sembra non aver alcun interesse a farlo. Il più bel
secolo della mia vita racconta l’incontro tra un
centenario proiettato nel futuro e un giovane ancorato al passato e
del loro viaggio alla riscoperta delle proprie origini.
Cinefilos.it offre
la possibilità di vedere al cinema, gratis, NINA DEI LUPI,
presentato alle Giornate degli Autori 2023 e
diretto da Antonio Pisu, con Sergio Rubini, Sara Ciocca, Sandra Ceccarelli,
Cesare Bocci, Davide Silvestri, in uscita il 31 agosto
distribuito in Italia da Genoma Films.
Ecco le città in cui sarà possibile
partecipare alle anteprime:
ROMA
CINEMA GIULIO CESARE
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
CINEMA GREENWICH
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
BOLOGNA
CINEMA ODEON
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
TORINO
CINEMA GIULIO NAZIONALE
venerdì 8 settembre – 10 biglietti
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
MILANO
CINEMA CENTRALE
venerdì 8 settembre – 10 biglietti
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
I biglietti saranno validi per qualsiasi spettacolo dall’8 al 10
settembre e potranno essere richiesti, fino ad esaurimento,
inviando una email a[email protected]in
cui andranno specificati
il giorno
in cui si intende utilizzare i biglietti e un
secondo giorno alternativo
nel caso per il giorno prescelto non ci sia più disponibilità di
posto.
I biglietti dovranno essere richiesti improrogabilmente
entro e non oltre l‘8
settembre e non saranno prese in considerazioni
eventuali richieste formulate successivamente alla suddetta data.
L’oggetto
della e-mail deve contenere il titolo del
film.
NB: riceveranno risposta solo
gli assegnatari dei biglietti.
Gli orari delle proiezioni andranno consultati direttamente sui
siti dei cinema.
È di fondamentale importanza che nell’email venga evidenziato
che si sta chiedendo l’invito via CINEFILOS.
I biglietti potranno essere ritirati direttamente alla cassa dei
cinema presentando la email di conferma ricevuta unitamente ad un
documento di identità.
Questa è la seconda collaborazione
di Liam
Neeson con Robert Lorenz dopo
The Marksman nel 2019 e il primo ruolo da
protagonista importante di Kerry Condon dalla sua
nomination all’Oscar come migliore attrice non protagonista per
Gli Spiriti dell’Isola.
In the Land of Saints and
Sinners, la trama
Irlanda, anni ’70. Desideroso di
lasciarsi alle spalle il suo oscuro passato, Finbar Murphy (Liam
Neeson) conduce una vita tranquilla nella remota città costiera di
Glen Colm Cille, lontano dalla violenza politica che attanaglia il
resto del paese. Quando arriva una minacciosa banda di terroristi,
guidata da una donna spietata di nome Doireann (Kerry Condon),
Finbar scopre presto che uno di loro ha abusato di una giovane
ragazza del posto. Coinvolto in un gioco sempre più feroce del
gatto col topo, Finbar deve scegliere tra rivelare la sua identità
segreta o difendere i suoi amici e vicini.
Debuttano il 6 settembre
su
Disney+ i nuovi 5 cortometraggi che formano la
seconda stagione di I Am Groot, la serie
d’animazione in CGI ambientata nel Marvel Cinematic Universe
che ci mostra la vita del piccolo alberello alle prese con le sfide
di tutti i giorni in una galassia bizzarra, piena di animali buffi,
situazioni insolite e piccoli ostacoli da superare.
Proprio come la prima
stagione, anche in questo caso Kirsten Lepore, sceneggiatrice e
regista della prima stagione, ritorna nella stessa veste per
raccontare le nuove avventura di Baby Groot, che
questa volta agisce completamente in solitaria, senza interagire
con nessuno dei personaggi del MCU che conosciamo, con l’eccezione
per dell’Osservatore, di nuovo doppiato da Jeffrey Wright, come accaduto in What
If…?, oltre ovviamente a Vin Diesel, ormai indissolubile dalla sua
controparte arborea animata.
Il viaggio di Groot
questa volta tocca 5 luoghi (o situazioni) molto diverse che
trovano sempre il modo di mostrare un aspetto diverso della
colorata personalità del personaggio. Dall’amicizia con un pulcino
di una strana specie pennuta, fino al tentativo di comprare del
gelato nello spazio, passando per un pianeta innevato,
un’esperienza olfattiva molto intensa e un’avventura in stile
Indiana Jones, il piccolo alberello che fa parte
della squadra ufficiale di Guardiani della Galassia
dovrà affrontare molte avventure, potendo contare solo sulle sue
forze.
I Am Groot, la recensione della seconda stagione
Divertenti e con un
protagonista irrimediabilmente simpatico, data la mescolanza tra
dolcezza e furbizia con cui agisce in ogni circostanza, i
cortometraggi riscuoteranno sicuramente grande successo,
specialmente di fronte al pubblico dei più piccoli, che sono poi
anche i principali destinatari dell’infinita fabbrica di
merchandise che questo personaggio genera.
Con un preciso pubblico
di riferimento, le pillole di I Am Groot si
inseriscono senza fatica in un quadro più ampio e complesso che
fino a questo momento è stato il Marvel Cinematic
Universe. Da una parte confermando la potenza delle
storie, che vanno sulle proprie gambe anche divincolate da limiti e
argini di continuity, dall’altra smascherando in maniera
impietosa la necessità disumana della piattaforma di realizzare
contenuti per un pubblico ormai bulimico, sempre in cerca di nuovi
prodotti e imbarazzato di fronte alla scelta infinita proposta
dagli streamer, I Am Groot sembra un fiacco
esercizio di stile, senza nessun guizzo né ricercatezza tecnica,
fallendo anche nella possibilità di rappresentare un banco di prova
per affinare e arricchire gli strumenti che sono a disposizione dei
Marvel Studios.
Oltre a Kirsten
Lepore, che scrive e dirige, lo staff di I Am
Groot è composto anche dal supervising producer,
Danielle Costa; i produttori, Craig
Rittenbaum e Alex Scharf; i produttori
esecutivi, Brad Winderbaum, Kevin Feige, Louis
D’Esposito, Victoria Alonso e
Kirsten Lepore, e Dana
Vasquez-Eberhardt che ricopre il ruolo di co-produttrice
esecutiva. I Am Groot
sarà disponibile su
Disney+ dal 6 settembre.
Presentato in Concorso a
Venezia 80, Enea è il
secondo film di
Pietro Castellitto da regista. Ecco di seguito le foto
dal red carpet della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
della Biennale di Venezia 2023. Nel cast del film
Pietro Castellitto,
Benedetta Porcaroli, Chiara Noschese, Giorgio
Montanini, Adamo Dionisi, Matteo Branciamore, Sergio
Castellitto.
Enea
è un gangster movie senza la parte gangster. Una storia di genere
senza il genere. La componente criminale del film viaggia
silenziosa su un binario nascosto, e sopraggiunge improvvisa nelle
fessure dei rapporti quotidiani, sconvolgendo i protagonisti
ignari. L’idea era quella di creare una narrazione in cui il punto
di vista dello spettatore combaciasse con quello di chi subisce il
narcotraffico: all’improvviso si può vincere e all’improvviso si
può morire, e nessuno saprà mai il perché. I protagonisti sono
mossi dal mistero della giovinezza. Non fanno quello che fanno né
per i soldi né per il potere, ma forse per vitalità, per testare
il cuore, per capire fino a che punto ci si possa sentire vivi
oggi, all’alba di questo nuovo millennio, saturo di guerre
raccontate e di attentati soltanto visti.
Gli
Attassati è su Prime Video dal
31 agosto ed è il secondo film della coppia di
comici siciliani Matranga e Minafò, dopo il loro
esordio del 2020 intitolato Un pugno di amici e diretto da Sergio
Colabona.
Tony Matranga e Emanuele
Minafò si sono incontrati agli inizi degli anni 2000 lavorando
insieme come animatori in villaggi turistici, occasione propizia
per dare avvio a una vocazione condivisa e da cui è sorto un
sodalizio che li ha portati fino alle piattaforme.
Una carriera
decollata nelle trasmissioni comiche
Il loro percorso inizia
tra serate nei locali e su reti regionali in cui definiscono i
cavalli di battaglia che poi manterranno, consolidando il profilo
umoristico che li caratterizza tutt’oggi. Approdano anche a Made
in Sud che fa allargare la loro conoscenza verso il grande
pubblico e gli crea il bacino a cui attingere per gran parte del
cast di Un pugno di amici. Lanciano due pezzi musicali dal
titolo S’inzuppa il biscottino e Tutto il 2020 in una
canzone e l’anno scorso sono stati persino ospiti di Stasera
tutto è possibile.
La loro carriera è quindi
piuttosto delineata. O, almeno, per quel che concerne il territorio
di un certo tipo di comicità in Italia. Prodotto da Lungta Film,
Vision Distribution e Sicilia Social Star – che aveva già
finanziato Un pugno di amici – Gli Attassati è
diretto da Lorenzo Tiberia che esordisce al cinema con questo film,
a differenza dei suoi attori. Noto sul web per una massiccia serie
di lavori satirici e non, insieme ad un gruppo da lui fondato con
il nome di Actual, Tiberia ha infatti affrontato anche temi di una
certa profondità: a partire dai soprusi subiti dai più deboli in
vari settori della società da parte di chi ricopre ruoli che, al
contrario, dovrebbero tutelare.
La regia de
Gli Attassati è dunque gestita con un buon
impegno, anche rispetto all’uso delle musiche, le luci e la
macchina da presa. Di nuovo Matranga e Minafò tentano la strada
dell’heist movie, esplicitando in più momenti riferimenti a Il
buono, il brutto, il cattivo o a Ocean’s eleven, e lo
fanno con tanta simpatia: tutto il cast ci mette del suo con più di
una scena che strappa qualche sorriso.
Gli Attassati, la
trama
Ad essere
Attassati, e cioè riempiti di debiti fino al collo, sono gli
abitanti di un paese del sud in cui il direttore di Equitù
(Maurizio Bologna), un’agenzia senza scrupoli di recupero crediti,
è in combutta con il sindaco (Alfonso Postiglione) per racimolare
più soldi possibili e appianare buchi di bilancio accumulati nel
tempo, per poi far carriera in politica. I nostri scalcagnati eroi
dovranno perciò penetrare all’interno degli uffici di Equitù e far
sparire tutte le cartelle esattoriali incriminate.
La banda che viene messa
insieme dai due protagonisti è piuttosto ben assortita, sia per
quanto riguarda la scelta dei profili che la resa degli attori che
danno bene l’idea di raffazzonamento del colpo che devono
organizzare. La base, cioè il soggetto della storia, è sinceramente
concepiti con grande entusiasmo e inventiva, ma il risultato finale
è fragile e vagamente piatto.
Le gag non bastano a
portare avanti un racconto
Il duo di comici mette
tutta la propria passione nel caricare le gag e inserirle in ogni
scena, ma non può essere sufficiente a costruire e – soprattutto –
portare avanti un racconto. Condurre i passaggi e le svolte di una
narrazione omogenea, con le variazioni necessarie ad accompagnare
lo spettatore, non possono essere gestite se tutta l’energia viene
dedicata agli scambi di battute, incuranti (o poco più) da quello
che deve accadere prima e dopo. Così, il prezzo da pagare è
inevitabilmente la forza dell’intero film che scricchiola e diventa
infantile.
Il nuovo film con
Gerarld Butler è per la regia di Ric Roman
Wugh, che l’aveva già diretto in Attacco al potere
3 e Greenland, di cui per entrambi sta lavorando a un
prossimo capitolo. Il regista, che ha fatto anche lo stuntman
durante gli anni 80 e i 90, è stato tra l’altro ingaggiato per un
sequel di Cliffhanger, che aveva vissuto in quel periodo
proprio dal punto di vista della controfigura, pur non avendo
partecipato al progetto, ma empatizzando profondamente con la mole
di allenamento che aveva comportato.
Per Operazione
Kandahar resta sul genere action a cui, appunto, è
tanto affezionato, aggiungendo un’intensa quota di spionaggio
internazionale ficcandosi nelle spire della violenza del terrorismo
islamico.
La sceneggiatura è
infatti ad opera di Mitchell LaFortune, un ex ufficiale della
Defense Intelligence Agency e analizzatore per i servizi segreti
dell’esercito degli Stati Uniti che ha redatto la storia dietro ad
Operazione Kandahar intitolandola inizialmente Burn
Run. Gli eventi si basano sulla sua esperienza vissuta nel 2013
in Afghanistan durante la quale ci fu una pericolosa fuga di
notizie da parte del consulente informatico americano Edward
Snowden che diffuse dati altamente riservati di proprietà della
National Security Agency.
Operazione Kandahar,
la trama
Qui Gerard Butler è Tom
Harris, un agente della CIA sotto copertura che sta portando avanti
una delicata missione in Medio Oriente per cui deve impiantare dei
virus nei sistemi di sicurezza arabi e metterli – per così dire –
fuori uso. La sua vita privata è ovviamente a gambe all’aria e,
ultimato il suo compito, cerca quindi di partire sbrigativamente
per tornare a casa. Ma, mentre cerca di prendere il volo del
ritorno, ritrova un vecchio amico (Travis Fimmel, l’attore di
Vikings la cui carriera aveva visto le luci della ribalda
agli inizi degli anni 2000 in uno spot per Calvin Klein, non
dimentichiamolo mai) che gli affida una nuova missione che lui
accetta. Tom si ritrova però improvvisamente braccato e in fuga nel
deserto arabo insieme al suo interprete Mohammad Doud (Fahim Fazli)
in una situazione spaventosa e sanguinaria che non gli lascerà
tregua nemmeno per un attimo.
La descrizione delle
violenze e i disastri lasciati in Medio Oriente
Il film di Ric Roman
Waugh è un thriller di guerra a tensione continua, che ansima
continuamente e a tratti dispera. Il regista indugia nel mostrare
la violenza (anche se non esplicita) e i disastri lasciati in Paesi
come l’Iran e l’Afghanistan dove le dinamiche di collaborazione con
i nuclei terroristici esistono e sussistono anche tra le nazioni
occidentali che fingono di non vedere finché la situazione permette
loro un vantaggio. La struttura stessa delle riprese descrive
perfettamente questa dinamica: da una plancia di comando, due alte
cariche della CIA seguono i movimenti dei protagonisti osservandoli
su un maxi schermo da cui si vede ogni cosa ripresa dall’alto, come
se un drone seguisse sempre i protagonisti.
Esattamente come in
un videogame
Il quadro che si vede
alla fine è un po’ di più rispetto a una sola successione di
sequenze d’azione. Certo, nell’andare in profondità non si spinge
chissà quanto oltre, ma risulta interessante il modo in cui Waugh
mette in scena quello che vuole raccontare. La CIA resta a guardare
quello che succede: attacchi, violenze, torture, la scoperta dei
covi di chi comanda e guadagna da una terra inzuppata del sangue
dei civili, e non fa mai nulla. Gli uomini sembrano essere come
insetti le cui vite non contano nulla.
La bravura dell’ex agente
Mitchell LaFortune nel scrivere la storia e del regista nel
tradurla in immagini, è per aver fatto una descrizione molto chiara
di un’atmosfera attinente con la (terribile) realtà, all’interno di
un film dal ritmo serrato e incalzante.
Circa trent’anni fa la regista
Agnieszka Holland (regista
recentemente di In Darkness e Charlatan – Il potere
dell’erborista) ha realizzato quello che ancora oggi è uno
dei suoi film più famosi, dal titoloEuropa
Europa, dove con tale ripetizione si puntava a
proporre una riflessione sulle due identità dell’Europa quale luogo
di civiltà e rispetto delle leggi ma anche di crudeli crimini
contro l’umanità. Non molto sembra essere cambiato da quel film,
con la seconda delle due identità che sembra però aver prevalso
sulla prima e a mostrarcelo è la stessa Holland con il suo nuovo
lungometraggio Zielona granica (Green
Border), presentato in concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia.
Un film che spicca tra gli altri
titoli in corsa per il Leone d’oro per la sua capacità di sbattere
in faccia allo spettatore una tragica realtà troppo spesso
sottovalutata, quella dei migranti al confine tra Biellorussia e
Polonia, sorretta da una costruzione drammaturgia che permette non
solo di entrare nel vivo di questa crisi umanitaria ma anche di
confrontarsi con i molteplici punti di vista in gioco in tale
dinamica. Zielona granica (Green Border) è dunque cinema
politico al suo meglio, frutto di un’autrice che all’età di 74 anni
sfoggia una lucidità e un controllo del mezzo cinematografico
sbalorditivi.
La trama di Zielona granica (Green Border)
La vicenda si svolge dunque nelle
insidiose foreste paludose che costituiscono il cosiddetto “confine
verde” tra Bielorussia e Polonia, dove i rifugiati provenienti dal
Medio Oriente e dall’Africa che cercano di raggiungere l’Unione
Europea si trovano intrappolati in una crisi geopolitica
cinicamente architettata dal dittatore bielorusso
Aljaksandr Lukašėnko. Nel tentativo di provocare
l’Europa, i rifugiati sono infatti attirati al confine dalla
propaganda che promette un facile passaggio verso l’UE. Pedine di
questa guerra sommersa, le vite di Julia,
un’attivista di recente formazione che ha rinunciato a una
confortevole esistenza, di Jan, una giovane
guardia di frontiera, e di una famiglia siriana si intrecciano.
Accanto ai migranti, per cogliere la loro realtà
Inutile nasconderselo, l’idea di
vedere un film polacco in bianco e nero della durata di due ore e
mezza, può far pensare ad un’esperienza a dir poco ostica,
riservata ai soli cinefili amanti di questo genere di
cinematografie. La realtà, come ci dimostra la stessa regista con
il racconto di questo film, è spesso però differente da come la
immaginiamo. Perché quando il film ha inizio ci si rende conto in
breve tempo di trovarsi davanti ad un’opera estremamente dinamica,
rapida nei tempi e senza mezzi termini nel proporre anche le
situazioni più difficili. Un’opera, dunque, che vede la sua regista
porsi con la sua macchina da presa direttamente accanto ai migranti
per cogliere la loro realtà.
Lo spettatore viene allora chiamato
a vivere la fame, la sete, la paura e il dolore, ma anche la
consapevolezza che riuscire ad attraversare il confine non equivale
ad aver trovato la libertà. Il bosco pullula infatti di militari e
forze dell’ordine, pronte a rispedire i migranti al di là del
confine solo per dar vita ad una possibilmente infinita situazione
di stallo. Il film si svolge dunque praticamente tutto in questo
ambiente naturale che si rivela però tutt’altro che amico di chi vi
è incastrato dentro. La Hollan riprende tutto ciò senza
preoccuparsi troppo dell’estetica, perché non vi è tempo per
preoccuparsene davanti all’orrore che, come riportato dalle
didascalie a fine film, avviene ogni giorno, anche ora mentre si
sta leggendo questa recensione.
Zielona granica (Green
Border) è il cinema che pone domande
Non c’è dunque pathos né eroismo nel
modo in cui si presentano i personaggi e si raccontano le loro
storie. Vengono invece raffigurati semplicemente come esseri umani
vittime di situazioni sociali e politiche insostenibili e
attraverso l’impiego di tre ben distinti punti di vista è possibile
avere un quadro completo e preciso di ciò che accade in quei luoghi
ma anche nel corpo e nell’anima di chi è direttamente coinvolto. La
Holland segue tutti questi personaggi trovando un magnifico
equilibrio tra opera di fiction e documentario, fornendo così al
suo film una forza comunicativa davvero sorprendente. Tale
molteplicità di sguardi finisce talvolta con il presentare alcune
vicende che si sarebbero potute asciugare un po’, specialmente
nella seconda ora del film.
Zielona granica (Green
Border) avrebbe potuto probabilmente essere un eccellente film
di due ore, ma ciò non gli toglie di essere uno dei film più forti,
cinematograficamente e politicamente parlando, visti quest’anno
alla Mostra del Cinema. Lo è anche grazie al suo abbagliante bianco
e nero, che risulta significativo in quanto da un lato è coerente
con lo stato d’animo dei protagonisti, i quali metaforicamente
vivono una vicenda priva di colori, ma dall’altro sembra voler
richiamare alla mente i vecchi war movie e ribadire che
quella mostrata qui è a tutti gli effetti una situazione di guerra,
resa ancor più grave dal consapevole impiego di esseri umani quali
“proiettili viventi”, come verranno definiti ad un certo punto del
film gli immigrati.
Zielona granica (Green
Border) non è un film perfetto né vuole esserlo, avendo come
primario obiettivo quello di ricordarci che il cinema è un mezzo
estremamente potente, che chiama in questo caso a confrontarsi
nuovamente con realtà troppo drammatiche perché vengano ignorate.
Pone domande alle quali non conosciamo le risposte, ma è solo
ponendole che si può tentare di dare un po’ più di senso al mondo.
La Holland fa proprio questo con il suo film, spingendo lo
spettatore a chiedersi perché quanto qui mostrato debba
verificarsi, perché silenziosamente la storia tenda a ripetersi. È
a partire da film come questo che, scossi nell’animo, si può
iniziare a cercare risposte a queste domande, che la regista non
vuole assolutamente rimangano irrisolte.
La Universal
Pictures ha diffuso in rete il secondo trailer di The Exorcist: Believer, in
Italia distribuito come L’esorcista:
Il credente. Si tratta di un nuovo sequel del
lungometraggio del 1973, diretto dal regista della nuova trilogia
di HalloweenDavid
Gordon Green. Sebbene il film horror fungerà da sequel
diretto de L’esorcista, è stato
comunicato che gli altri film esistenti nel franchise rimarranno
canonici. Il trailer, della durata di ben 3
minuti, introduce gli spettatori all’atmosfera, alle
vicende e ai personaggi del film, promettendo tanto richiami
all’opera originale quanto nuovi sconvolgenti orrori.
L’esorcista – Il credente, tutto quello che sappiamo
sul film
L’esorcista:
Il credente si concentrerà sul padre di una
bambina posseduta, che in cerca di aiuto entrerà in contatto con
Chris MacNiel (Ellen Burstyn).
La Burstyn riprenderà il suo ruolo de L’esorcista, dove
era la madre di Regan (interpretata da Linda Blair),
per aiutare a combattere il possesso della bambina e di una sua
amica. Oltre alla Burstyn, il cast di L’esorcista – Il
credente include Leslie Odom Jr.
(Hamilton), Ann Dowd (The Handmaid’s
Tale), Raphael Sbarge (C’era una
volta) e la cantante Jennifer Nettles.
Con un cast di talento riconoscibile
che dà vita al film, L’esorcista:
Il credentesta prendendo forma
come un degno seguito di
L’esorcista. La decisione di avere tutti i film nel
canone di indica inoltre che ci saranno riferimenti anche agli
altri quattro titoli della serie. Il nuovo film, però, segna anche
l’inizio di una nuova trilogia di sequel,
similmente a quanto fatto anche con i sequel di Halloween,
di cui appunto Green è stato regista.
Resta però da vedere come questo
nuovo film si affermerà presso il grande pubblico. Mentre Green si
è dimostrato un talentuoso regista slasher con Halloween,
i suoi sequel Halloween Kills e
Halloween Ends non sono
stati particolarmente apprezzati né dal pubblico né dalla critica.
Tuttavia, con L’esorcista – Il credente, che
crea una nuova storia all’interno dell’universo di
L’esorcista, il film potrebbe svelare nuovi entusiasmanti
aspetti degni di essere raccontati.
Richard Linklater
ha presentato in anteprima a Venezia 80 Hit Man,
commedia brillante interpretata da Glen
Powell, anche co-autore della sceneggiatura. La trama
del film ruota attorno a Gary Johnson (Powell), il
killer professionista più richiesto di New Orleans. Per i suoi
clienti è come se fosse uscito da un film: il misterioso sicario
da ingaggiare. Ma se lo si assolda per fare fuori un marito
infedele o un boss violento, è bene stare in guardia, perché lui
lavora per la polizia. Quando infrange il protocollo per aiutare
una donna disperata che cerca di scappare da un fidanzato violento,
si ritrova ad assumere una delle sue false identità: si
innamorerà della donna e accarezzerà l’idea di diventare lui
stesso un criminale.
Hit Man, genesi e tematiche del nuovo film di Richard
Linklater
Il regista di Boyhood si è soffermato sulla genesi di Hit Man,
raccontando: “Nella primavera 2020 Glen mi ha chiamato,
dicendomi di aver letto l’articolo di Skip Hollandsworth sul Texas
Monthly. lo gli ho risposto, “la conosco da quando portavi il
pannolino!’ e così abbiamo iniziato a parlarne. Dalle basi reali
della storia di Gary Johnson, ci siamo domandati cosa sarebbe
potuto succedere se l’incontro tra lui e il personaggio di Madison
si fosse tramutato in una dinamica contorta e oscura“.
“Penso di avere un punto di
vista molto da dark-comedy nella vita in generale, così sono
riuscito ad avvertire il potenziale comico anche in una storia in
realtà molto seria. Ho spaziato tra più generi perchè credo che il
mondo moderno sia molto più complesso di quello del passato, tra
identità instabili e la disinformazione che permettono con più
facilità alle persone di presentarsi come ciò che non sono
davvero“.
Linklater ha poi
svelato cosa lo ha attirato el fare un film su un hitman,
un sicario: “Il fatto che non esistano veramente. Come società,
penso che porteremo avanti questo mito, ma è un mito nato dal
cinema ed è incredibilmente divertente“. “Anche questo mio
film ruota attorno all’eterna e antica domanda che ci facciamo, se
le persone possano o meno cambiare. Tutti noi vogliamo essere delle
persone migliori, c’è questo istinto naturale, e io voglio parlarne
perchè mi spaventa l’idea di un mondo passivo dove questo non
accade e le persone non riescono a scindere il vero dal
falso“.
L’opinione sugli scioperi della SAG-AFTRA e della WGA
Richard Linklater
ha dichiarato di credere che gli scioperi della SAG-AFTRA e della
WGA negli Stati Uniti si risolveranno “presto“, perché
“qualcosa deve cedere“. Il regista statunitense ha
rivelato che spera di riprendere le riprese di Merrily We
Roll Along, il suo progetto ventennale con Paul Mescal,
“molto presto, se possibile“. Non ha fornito date precise
per la ripresa delle riprese. Il film è prodotto dalla Blumhouse
Productions.
Rispondendo a una domanda sugli
scioperi posta durante la conferenza stampa per il suo titolo in
concorso a Venezia, Hitman, Linklater ha detto: “Tutti lo
sentono, nessuno è felice. Questo è il problema quando sei in
un’industria e improvvisamente nessuno è contento; forse è il
momento di ricalibrare e proporre alcune cose che potrebbero essere
giuste per tutti“. “Penso che qualcosa debba cedere“,
ha continuato il regista. “Non sono tanto al centro della
questione; sono in sciopero, sono un fiero membro del sindacato, di
un paio di sindacati. Si risolverà tutto“.
Gli scioperi sono un processo
necessario dell’evoluzione del mercato del lavoro, suggerisce il
regista. “È uno di quei momenti cruciali che si verificano di
tanto in tanto – siamo qui perché 60 anni fa la gente ha
scioperato. Il lavoro è sempre progredito attraverso questo, quindi
ogni tanto è il momento di fare una correzione per il futuro.
Sembra che sia arrivato adesso; non credo che sia stato previsto in
questa misura, ma di tanto in tanto“. “E tutti noi ci
stiamo sentendo a nostro agio, non sappiamo nemmeno quale sarà la
situazione in futuro. Ognuno di noi sta affrontando la situazione
nel miglior modo possibile“.
Progetti futuri
Il regista ha dichiarato che sarebbe
aperto a un altro capitolo della sua popolare trilogia Before, che ha prodotto tre episodi a
intervalli di nove anni: Before Sunrise del 1995,
Before Sunset del 2004 e Before Midnight del
2013. “Qualche anno fa abbiamo mancato l’appuntamento con i
nove anni; ma finché siamo qui, non si sa mai”, ha detto Linklater.
“Non lo faremo solo per farlo; per quanto sarà divertente, dobbiamo
avere qualcosa da dire sulla vita in quella fase“.
La collaborazione con Glen Powell
Linklater ha anche
parlato con affetto di Powell, che ha incontrato
per la prima volta quando l’attore un adolescente e si è assicurato
un ruolo nel film di Linklater Fast Food Nation del 2006.
“C’è una qualità alla [Matthew] McConaughey“, ha detto
Linklater, ricordando un altro talento statunitense a cui ha dato
una grande opportunità, in Dazed And Confused. “Il
grande salto che [Powell] ha fatto quando è arrivato per Everybody
Wants Some – a quel punto era un uomo. Era così intelligente,
divertente e affascinante. È ovviamente una star, così come Adria
Arjona. È stato divertente avere queste parti per persone di
quell’età. Sono entrambi così talentuosi. Glenn è speciale – se il
mondo non lo sa ancora, spero che Hit Man lo dimostri“.
Arriva nelle sale
il 5 ottobre il film diretto dal regista russo
Kirill Serebrennikov, La moglie di Tchaikovsky,
con Alyona Mikhailova, Ekaterina
Ermishina, Odin Lund Biron,
Nikita Elenev.
Serebrennikov torna
dietro la macchina da presa dopo aver diretto film molto apprezzati
da critica e pubblico (Parola di Dio, Summer, Petrov’s
flu), ospitati nei più importanti festival di tutto il mondo,
per raccontare una storia vera. La moglie di
Tchaikovsky è ambientato nella seconda metà del XIX secolo
in una Russia ancora fortemente imperiale e racconta la turbolenta
relazione tra uno dei più grandi compositori russi, Pyotr Ilyich
Tchaikovsky (Odin Lund Biron), e sua moglie Antonina Ivanovna
Miliukova (Alyona Mikhailova). I due protagonisti sono stati
sposati dal 1877 fino alla morte del compositore, avvenuta nel
1893: un matrimonio complesso e foriero di troppi compromessi che
Antonina non ha mai accettato. Dal genio di Kirill Serebennikov, un
sorprendente racconto di amore, ossessione e musica diretto con
maestria e meticolosa cura del dettaglio.
Russia, seconda
metà dell’Ottocento. In un’epoca in cui le donne non sono altro che
un nome scritto sul passaporto dei mariti, Antonina Ivanovna,
aspirante musicista, si innamora perdutamente del compositore Pyotr
Ilyich Tchaikovsky e lo convince a sposarla. Ma questo nuovo legame
rischia di distruggere entrambi: Tchaikovsky, infatti, non ha mai
amato una donna, e non inizierà certo con lei.
La moglie
di Tchaikovsky sarà nei cinema italiani dal 5 ottobre con Arthouse,
la label di I Wonder
Pictures dedicata al cinema d’autore più innovativo, in
collaborazione con Unipol Biografilm Collection.
Presentato in Concorso a Venezia 80, Enea è l’opera seconda di Pietro Castellitto dopo I Predatori. Due opere molto distanti ma con dei
tratti in comune. in Enea viene infatti descritta una
borghesia italiana con una lenta diversa: “Enea è un film sul
desiderio di sentirsi vivi. Enea vuole sentire dentro di sé il
movimento della vita. Tutti i personaggi a loro modo provano a
sentirsi vivi e da qui si genera un conflitto. Se le immagini di
ristoranti e i luoghi che frequenta Enea possono sembrare elitari
c’è però quel desiderio e quella vitalità incorruttibili non è
elitario, è trasversale a tutti i giovani di qualsiasi epoca.
Volevo svincolarmi dal conflitto borghese, dall’idea di famiglia
borghese apatica che genera dei figli nichilisti. Enea invece è un
eroe romantico, la famiglia è piena di vita“.
Nel film questo conflitto viene
descritto bene dai due protagonisti Valentino ed
Enea: “Valentino ed Enea cercano di creare un
modo dove possono sentirsi vivi e creare un mondo dove i baci
possano tornare a esistere. Per fare questo sono quasi disposto a
tutto“. Lo stesso regista ha definito il suo film “un
gangster movie senza gangster“, una ricerca di scrittura che
alla fine colloca Enea come un eroe romantico moderno: “Il
punto di vista che più mi interessava raccontare sono le
conseguenze del sottobosco criminale nella vita di tutti i giorni.
È come se sottotraccia si muovesse il genere gangster ma non appare
mai del tutto“.
Enea è il 100° film di
Sergio Castellitto
Tra l’emozione di presentare il film
in un contesto come quello di Venezia Pietro racconta l’esperienza
di aver diretto per la prima volta il padre Sergio Castellitto: “Ho provato in tutti i
modi a non fare un film con mio padre, per quanto sapessi che il
personaggio di Celeste si muove su una frequenza ironica che
nessuno come mio padre avrebbe intercettato. Ho cercato altre
strade ma poi una sera mi sono convito e l’ho chiamato“.
Presente in conferenza stampa anche
Sergio Castellitto che continua il racconto:
“Tempo prima che mi chiamasse Pietro sono andato su IMDB e ho
scoperto che ero accreditato per 99 titoli. Enea sarebbe stato il
mio 100° e l’ho considerato un segno del destino. È stata una
relazione molto tranquilla, ho fatto questo film obbedendo al
disegno del regista ma come ho fatto anche altre volte ho anche
messo dei miei accorgimenti che sorprendono chi sta dietro la
macchina da presa“.
Anche Benedetta Porcaroli, presente nel film come
interesse amoroso di Enea, racconta la sua esperienza sul
set: “È stato un lavoro per me molto felice, è stato un film
complicato e coraggioso e devo dire che mi sono affidata al quadro
di Pietro, preciso e sfumato. Penso che sia un film emozionante con
una stratificazione di storie. Enea ci fa vivere questo conflitto e
questa difficoltà a fare i conti con la vita. La Roma che viene
raccontata nel film è una Roma inedita che ho amato anche se
difficile e claustrofobica“.
Maledetta primavera
Un ruolo chiave nella narrazione di
Enea lo ha la colonna sonora – a opera di Niccolò
Contessa de I Cani. Oltre alle canzoni originali ci sono
due brani appartenenti al panorama pop italiano: Spiagge e
Maledetta primavera: “Quando devi scegliere i brani del film
inevitabilmente devi anche seguire il tuo istinto. Soprattutto a
Maledetta primavera ho legati tanti ricordi della mia gioventù, è
una canzone che si canta allo stadio quando gioca la Roma. invece,
Spiagge racconta benissimo lo stato d’animo dei protagonisti
suggellato dalla fine dell’estate“.
Un uomo se ne sta appoggiato alla
porta del bagno delle donne, dal quale esce poi una distinta
signora che capiamo essere la madre di lui. Prima di tornare sulla
pista da ballo del locale in cui si trovano, l’uomo blocca la donna
e con fare amorevole le pulisce il naso da un velo di cocaina che
le era sfuggito. Inizia così El paraíso,
il nuovo film di Enrico Maria
Artale presentato nella sezione
Orizzonti della Mostra del Cinema di
Venezia. Una prima scena che ci descrive già con
grande precisione il rapporto intenso, a tratti morboso, esistente
tra la madre e il figlio protagonisti.
Sulla loro relazione si costruisce
dunque un film che Artale scrive ricercando percorsi inaspettati ed
emozioni sincere, con l’obiettivo di indagare la sottile linea che
distingue amore e follia, ma anche semplicemente di offrire una
buona storia, che dimostri la forza di rimanere nella mente dello
spettatore ben oltre la visione. E di momenti particolarmente
toccanti ce ne sono in El paraíso, che piano piano porta
alla luce le proprie vere intenzioni e si rivela essere un’opera di
genere che utilizza il melodramma e la telenovelas sudamericana
come punti di partenza per identificare le emozioni dei propri
personaggi.
El paraíso, la trama del film
Proagonista del film è Julio
Cesar (Edoardo Pesce), un uomo di quasi
quarant’anni che vive ancora con sua madre (Margarita Rosa
De Francisco), una donna colombiana dalla personalità
trascinante. I due condividono praticamente tutto: una casetta sul
fiume piena di ricordi, i pochi soldi guadagnati lavorando per uno
spacciatore della zona, la passione per le serate di salsa e
merengue. Un’esistenza ai margini vissuta con amore, al tempo
stesso simbiotica e opprimente, il cui equilibro precario rischia
però di andare in crisi con l’arrivo di Ines
(Maria Del Rosario), giovane colombiana reduce dal
suo primo viaggio come “mula” della cocaina.
Ossessioni e possessioni
A partire dall’arrivo di questa
figura estranea, dunque, si sviluppa una crescente gelosia che da
una parte porta alla luce tutta l’ossessione della madre nei
confronti del figlio, mentra dall’altra permette a Julio Cesar di
assaporare una libertà che gli è nuova. Ines risulta dunque essere
il mezzo di contrasto per far emergere tutta una serie di non
detti, segreti, ossessioni, paure ma, soprattutto, sentimenti.
Perché El paraíso vuole prima di tutto essere questo, un
film di emozioni ricercate e raccontate con sincerità, provate da
personaggi che non sanno come esprimerle e nel cercare di farlo
sono pronti anche a sbagliare.
Proprio per via di questa loro
incapacità nel gestire le proprie emozioni, ciò che li circonda
sembra venire in loro soccorso, dando forma al loro mondo emotivo
attraverso colori, luci, sapori e odori. Artale ha infatti rivelato
di aver concepito la messa in scena del film non solo come un
richiamo ad un contesto altro, la Colombia, sempre nei pensieri dei
protagonisti per svariati motivi, ma anche per raccontare
attraverso le immagini ciò che essi non sanno dirsi. Assistiamo
dunque ad un film dai toni molto caldi, talvolta acidi, che ci
descrivono bene il senso di ossessione che si sviluppa tra Julio
Cesar, sua madre e Ines, senza che debbano esternarlo loro a
parole.
I corpi tragici di El paraíso
Ma se è vero che i personaggi non
comunicano davvero tra loro, di certo lo fanno i loro corpi. Artale
mantiene una certa vicinanza nei loro confronti, ma non stringe mai
troppo su di loro così da lasciargli libertà di movimento ed
espressione. Ed è così che i protagonisti hanno modo di trovare la
loro dimensione nello spazio, nella casa angusta e labirintica
costruita per loro. I loro corpi parlano, si esprimono, manifestano
intenzioni ed impulsi, come si può notare ad esempio dal lavoro
compiuto dall’attrice Margarita Rosa De Francisco,
che con il ruolo della madre dà vita ad una grande prova
attoriale.
I corpi dunque comunicano molto più
delle parole in El paraíso, ma sono anche lo strumento
attraverso cui si esprime il più forte dei legami possibili, che
non manca di manifestarsi in un paio di scene che si assesteranno
come duri colpi per stomaci deboli. Probabilmente ad essere
ricordate saranno in particolare questo tipo di scene, che lo
stesso regista ha affermato essere state le immagini da cui si è
poi costruito il racconto dell’intero film, ma in El
paraíso c’è molto di più, a partire da una generale atmosfera
di malinconia, data dal cambiamento più sù descritto e che ci
presenta una madre e suo figlio in tutta la loro tragicità di
esseri umani.
Duncan
Crabtree-Ireland, negoziatore chiave del SAG-AFTRA, ha
aspramente criticato gli studios di Hollywood per aver rifiutato le
proposte di colloquio con il sindacato. Mentre il fine settimana
del Labor Day volge al termine, lo sciopero SAG-AFTRA dura ormai da
53 giorni. Dopo quasi
due mesi di sciopero, il sindacato continua a lottare per
salari equi, pagamenti residui e tutele mentre i principali studios
di Hollywood sembrano opporsi a qualsiasi tipo di accordo.
In un articolo su Variety, il direttore
esecutivo nazionale di SAG-AFTRA, Duncan
Crabtree-Ireland, ha espresso la sua rabbia per la
reazione degli studi cinematografici allo sciopero. Come raccontato
da Crabtree-Ireland, il 12 luglio il sindacato ha detto agli studi
che erano “disposti a continuare a negoziare”, ma ha incontrato
resistenza da parte degli studi. Gli studi hanno affermato che
avrebbero avuto bisogno di tempo prima di poter incontrare il
sindacato per trattare, ma hanno comunque rifiutato. Pur elogiando
la continua “resilienza, unità e solidarietà” contro la loro
opposizione, il capo negoziatore ha etichettato il comportamento
degli studios di Hollywood come uno “sforzo deliberato per
prolungare lo sciopero”, dicendo:
“L’intransigenza e il silenzio
dell’AMPTP sono irrazionali. L’unico modo per risolvere uno
sciopero è attraverso il dialogo tra le parti. Il loro rifiuto
anche solo di parlare con noi sembra uno sforzo deliberato per
prolungare lo sciopero e infliggere il massimo dolore. Alcuni
economisti stimano che le perdite economiche che ne deriveranno
saranno pari a circa 5 miliardi di dollari. O forse il loro
obiettivo finale è, come ha detto a un giornale un anonimo
dirigente di uno studio, lasciare che lo sciopero “si trascini
finché i membri del sindacato non inizieranno a perdere i loro
appartamenti e le loro case”.
L’interruzione della produzione avrà
sicuramente delle ripercussioni sulla lunga durata, e non si tratta
solo dei festival autunnali senza star, cosa che già sta pagando il
Festival di Venezia in svolgimento in questo momento al Lido.
Apre ufficialmente la
vendita dei biglietti di TOGETHER, edizione Lucca Comics &
Games 2023: dopo gli oltre 80.135 ingressi venduti in
modalità early bird – pensata per dare opportunità
agevolate ai più fedeli visitatori del festival –
daoggi alle ore 15.00 sarà possibile
acquistare biglietti giornalieri e abbonamenti fino al
raggiungimento di un massimo di 80.000 biglietti al
giorno.
Numerose le novità di questa
edizione, pensate per migliorare l’esperienza di tutti i
partecipanti, dei gruppi e delle famiglie, garantendo un’esperienza
di acquisto dedicata.
I gruppi e le comitive
composte da almeno 20 persone possono accedere al sito
dedicato comitive.luccacomicsandgames.com
per l’acquisto a prezzo ridotto e l’invio con un’unica spedizione –
effettuata al/alla responsabile del gruppo – dei biglietti
giornalieri e dei relativi braccialetti. Al raggiungimento delle 20
persone sarà fornito un biglietto omaggio (il 21esimo). Con questa
modalità non sarà necessario accedere ai Welcome Desk per il ritiro
dei braccialetti.
Le persone con
disabilità possono ricevere anticipatamente i biglietti
omaggio (giornalieri), accedendo al sito
senzabarriere.luccacomicsandgames.com.
Nel sito dovrà essere inserita la documentazione richiesta che
attesta l’invalidità e sarà possibile accedere a diverse
opzioni:
omaggio giornaliero con stampa a casa
(print@home), oppure omaggio giornaliero con stampa a
casa (print@home) e acquisto di un ridotto per
l’accompagnatore (queste opzioni prevedono il ritiro del
braccialetto presso i Welcome Desk durante i giorni del
festival),
omaggio giornaliero in modalità Salta il Welcome Desk,
oppure omaggio giornaliero in modalità Salta il Welcome
Desk e acquisto di un ridotto per l’accompagnatore (queste
opzioni prevedono l’invio di biglietto/i e braccialetto/i
direttamente a casa, pagando il prezzo della spedizione indicato
sul sito).
Questa opportunità si aggiunge alla
possibilità, durante i giorni del festival, di richiedere
direttamente in loco – presso le biglietterie o la Croce Verde di
Lucca – i biglietti giornalieri omaggio per le persone con
disabilità e l’eventuale ridotto per chi accompagna.
Questa opzione sarà sempre garantita anche qualora gli 80.000
biglietti giornalieri previsti fossero esauriti.
I bambini nati dal 1°
gennaio 2014 entrano gratuitamente, accompagnati da almeno un
adulto provvisto di biglietto/abbonamento e braccialetto.
Durante il festival, presso i Welcome Desk e il Family Palace, sarà
possibile ritirare gratuitamente un braccialetto speciale
pensato per i bambini sotto i 10 anni, con indicato il
numero della protezione civile.
I Welcome Desk saranno
6 e saranno visibili nella mappa che sarà pubblicata nel
sito www.luccacomicsandgames.com nelle prossime settimane.
Chi ha acquistato un abbonamento o biglietti singoli per
più giornate, potrà ritirare tutti i relativi braccialetti
direttamente al primo passaggio presso i Welcome Desk,
senza necessità di tornare i giorni successivi. Ogni
giornata sarà identificata da un braccialetto di uno specifico
colore, necessario per entrare in tutte le aree a
pagamento del festival.
Nei prossimi giorni saranno
attivati anche i servizi di prenotazione dei
parcheggi gestiti dalla società Metro, con cui
Lucca Comics & Games collabora,
tramite il sito eventi.parcheggilucca.it
Resta valida anche nel 2023
l’opzione Eventi in Bus, che prevede di
poter acquistare il biglietto giornaliero abbinato al viaggio
da/per Lucca. Questa opzione include anche il relativo
braccialetto, senza necessità di passare dai Welcome Desk. Il sito
dedicato è
www.eventinbus.com/artisti/lucca-comics-games_296.html
Continua anche la vendita dei
biglietti dei concerti serali, la LC&G Music
Tent(la nuova venue dedicata esclusivamente al
programma Music) ospiterà un programmapomeridiano e serale, per tutti i cinque giorni di
manifestazione.
Nel pomeriggio si potrà accedere
agli spettacoli solo con il biglietto del festival, mentre per i
concerti serali – con accesso dalle 20.30 e inizio
spettacolo alle 21.30 – sono previsti ticket a parte, acquistabili
fino ad esaurimento posti, conuno sconto per chi entrerà in
possesso di un titolo di accesso a Lucca Comics &
Games 2023.
I possessori dei biglietti
Early Bird (i biglietti di Lucca Comics &
Games 2023 acquistati in promozione tra il 10 e il 24
luglio) potranno godere dello sconto sul costo del
biglietto del concerto: per maggiori informazioni basterà
inviare una mail all’indirizzo
[email protected]
Chiunque volesse acquistare il
biglietto del concerto in modalità stampa@casa in combo con il
biglietto del festival potrà scegliere di acquistare anche il
servizio Salta il Welcome Desk e ricevere
a casa il biglietto del concerto, il biglietto di Lucca Comics &
Games e il braccialetto.
I biglietti dei concerti,
ovviamente, potranno essere acquistati separatamente, a prezzo
intero in modalità stampa@casa o ETicket, senza necessità di
acquistare il biglietto del festival.
Marvel Studios ha diffuso un nuovo
trailer di LOKI
2, la seconda stagione della serie Disney+ che vede protagonista
Tom Hiddleston accanto
a Sophia DiMartino che tornerà nel panni di
Silvie e a
Owen Wilson che invece torna in quelli di Mobius.
L’appuntamento è a partire dal 6 ottobre su Disney+.
Loki 2, tutto quello che sappiamo sulla seconda
stagione
LOKI 2 sarà la
“prima seconda stagione in assoluto” dello studio, e che
tornerà a raccontare le imprese del Dio dell’Inganno e dei
suoi tentativi di preservare l’integrità del Multiverso. La sinossi
ufficiale rilasciata dalla Disney recita: “la seconda stagione
di Loki riprende all’indomani dello scioccante finale di stagione,
quando Loki si ritrova coinvolto in una battaglia per l’anima della
Time Variance Authority. Insieme a Mobius, Hunter B-15 e a una
squadra di personaggi vecchi e nuovi, Loki naviga in un Multiverso
in continua espansione e sempre più pericoloso alla ricerca di
Sylvie, Judge Renslayer e Miss Minutes per comprendere su cosa
significhi possedere il libero arbitrio e uno scopo
glorioso“.
Tom Hiddleston
interpreterà naturalmente il Dio dell’inganno, mentre è confermato
anche il ritorno di
Owen Wilson e Sophia DiMartino,
così come l’arrivo della new entry Ke Huy Quan, reduce
dalla vittoria dell’Oscar per Everything Everywhere All
at Once.
Jonathan Majors tornerà invece nel ruolo di Kang,
anche se il suo personaggio non viene citato nel sinossi. La
seconda stagione di Loki, infatti, dovrebbe fornire
agli spettatori maggiori indizi su quello che sarà il suo futuro
nell’MCU. Il debutto
della nuova stagione è previsto su Disney+ per il
6 ottobre.
Netflix rilascia
il teaser trailer di Galline in fuga: L’alba dei
nugget, il sequel del film in stop-motion che vede il
ritorno di Melisha Tweedy, meglio conosciuta come la signora
Tweedy, l’arcinemica di Gaia. Le immagini permettono di dare
una prima occhiata alla signora Tweedy, doppiata nella versione
originale da Miranda Richardson, attrice teatrale,
cinematografica e televisiva.
Al cast si unisce anche
l’attore, comico, regista e sceneggiatore britannico Peter
Serafinowicz che dà la voce a Reginald Smith, un uomo d’affari
privo di senso dell’umorismo che insieme a Tweedy rappresenta una
nuova e più grande minaccia per i pennuti.
Il regista Sam
Fell afferma: “Si dice che un film sia ben riuscito
quanto lo è il suo cattivo, e la nemesi di Gaia, la signora Tweedy,
è uno dei villain migliori, decisa in L’alba dei Nugget ad attuare
una vendetta senza precedenti. Lavorare con Miranda Richardson per
trasformarla nella super cattiva anni Sessanta Melisha Tweedy
è stato un piacere. Miranda riesce a equilibrare perfettamente
dramma e commedia, facendoti ridere e allo stesso tempo spaventare.
A completare il nostro fantastico cast Peter Serafinowicz che
interpreta Reginald Smith, un uomo d’affari un po’ disorientato in
visita alla gigantesca fabbrica di nugget della signora Tweedy.
Serve un particolare genio comico per fare da contraltare
all’incredibilmente spaventoso super villain di Miranda Richardson.
Peter ci riesce con naturale raffinatezza”.
The Aardman Animations Picture, pluripremiata agli Oscar e ai
BAFTA (Creature Comforts, Wallace e
Gromit e Shaun, Vita da pecora) in
collaborazione con il regista premio Oscar e candidato ai BAFTA Sam
Fell (ParaNorman e Giù per il tubo) presentano Galline in
fuga: L’alba dei nugget, il tanto atteso sequel del
popolare film in stop motion con il maggiore incasso di sempre,
Galline in fuga.
Galline in fuga: L’alba dei nugget, la
trama
Essendo riuscita a fuggire per il rotto della cuffia
dalla fattoria dei Tweedy, Gaia ha finalmente trovato un posto da
sogno: un tranquillo rifugio su un’isola per l’intero pollaio,
lontano dai pericoli causati dall’uomo. Quando lei e Rocky danno
alla luce una pulcina di nome Molly, il lieto fine sembra vicino.
Ma sulla terraferma, l’intera razza dei gallinacei deve affrontare
una nuova e terribile minaccia. Per Gaia e la sua gang la tanto
agognata libertà potrebbe essere a rischio, ma questa volta non si
fermeranno davanti a nulla!
Regista: Sam Fell
Produttori: Steve Pegram, p.g.a. e Leyla Hobart,
p.g.a.
Sceneggiatori: Karey Kirkpatrick & John O’Farrell e
Rachel Tunnard
Storia di: Karey Kirkpatrick & John O’Farrell
Montatore: Stephen Perkins BFE
Musiche di: Harry Gregson-Williams
Produttori Esecutivi: Peter Lord, Nick Park, Carla
Shelley, Sam Fell, Paul Kewley, Karey Kirkpatrick
Cast: Thandiwe Newton (Gaia), Zachary Levi (Rocky),
Bella Ramsey (Molly), Imelda Staunton (Tantona), Lynn Ferguson
(Mac), David Bradley (Cedrone), Jane Horrocks (Baba), Romesh
Ranganathan (Frego), Daniel Mays (Fetcher), Josie Sedgwick-Davies
(Frizzle), Peter Serafinowicz (Reginald Smith), Nick Mohammed (Dr
Fry), Miranda Richardson (signora Tweedy)
Anna Magnani è la protagonista dell’immagine ufficiale
della diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, che si
svolgerà dal 18 al 29 ottobre 2023 presso l’Auditorium Parco
della Musica “Ennio Morricone” con la direzione artistica di
Paola Malanga, prodotta dalla Fondazione Cinema per Roma presieduta da
Gian Luca Farinelli, Direttore Generale
Francesca Via.
La foto è un omaggio a una
delle più grandi e amate attrici del cinema italiano e
internazionale, scomparsa cinquant’anni fa. L’immagine la ritrae
sorridente e circondata dai fotografi nel corso della conferenza
stampa indetta nel 1956 dopo la vittoria del Premio Oscar® per la
sua straordinaria interpretazione nel film La rosa
tatuata di Daniel Mann. Anna Magnani, che mostra all’obiettivo
un fazzoletto su cui è appunto raffigurata una rosa, è stata la
prima attrice italiana a ottenere il prestigioso riconoscimento
assegnato dall’Academy. La Festa del Cinema di Roma ricorda così
una donna forte, determinata e affascinante, indimenticabile
simbolo del nostro cinema nel mondo.
Nel filone di drammi ecologici
recenti, tra
Alcarràs (Carla Simòn), Costa
Brava Lebanon (Mounia Akl) e How
to Blow Up a Pipeline (Daniel Goldhaber),
arriva in concorso a Venezia 80 il film Evil Does Not
Exist, del regista giapponese Ryusuke
Hamaguchi, che ha ottenuto la fama internazionale con
Drive My Car, vincitore dell’Oscar al miglior
film straniero nel 2022. Questo suo nuovo progetto è una
riflessione sui comportamenti che l’essere umano assume se
riportato in uno stato di natura, un perimetro dalla bellezza
apparentemente incontrastata ma che risveglia istinti latenti in
chi cerca di imporvisi.
Evil Does Not Exist: la minaccia
del “glamping”
Takumi e sua figlia
Hana vivono nel villaggio di Mizubiki, vicino a
Tokyo. Come le generazioni che li hanno preceduti, vivono una vita
modesta secondo i cicli e l’ordine della natura. Un giorno, gli
abitanti del villaggio vengono a conoscenza di un progetto per la
costruzione di un sito glamping vicino alla casa di Takumi, che
offrirà agli abitanti della città una comoda “fuga” nella natura.
Quando due rappresentanti di un’azienda di Tokyo arrivano nel
villaggio per tenere una riunione, diventa chiaro che il progetto
avrà un impatto negativo sull’approvvigionamento idrico locale,
causando disordini. Le intenzioni sbagliate dell’agenzia mettono in
pericolo sia l’equilibrio ecologico dell’altopiano che il loro
stile di vita, con conseguenze che colpiscono profondamente la vita
di Takumi.
Con una durata limitata – appena
un’ora e trenta di girato – Hamaguchi mette a
punto un film dal tono mutevole, che passa dalla satira anche
piuttosto ironica, all’angoscia e al respiro affannoso di un
predatore. Come l’acqua del villaggio che scorre verso il basso, il
film di Hamaguchi procede lentamente, seguendo i
ritmi della comunità isolata, e culminando in un finale in cui la
violenza è latente in ogni immagine, ma si è ormai insediata
ovunque, dopo che l’uomo moderno ne ha contaminato
inconsapevolmente il ritmo.
Un eco-dramma preciso nello svolgimento
Evil Does Not Exist
è un film di preoccupazioni, confronti e punti di vista: due parti,
investitori e locali, devono capire come procedere di pari passo
nel presente, dopo essersi resi conto della loro incompetenza, i
primi, e aver messo in chiaro le priorità della comunità, i
secondi. Ingenuità e consapevolezza continuano a scontrarsi in
dialoghi sinceri, che mai nascondono le ragioni dei personaggi e
fanno presagire un punto di rottura fin dall’inizio, che si palesa
quando il rappresentante del glamping manifesta la sua arroganza
credendo di poter provare a diventare un uomo interessante
imparando a vivere nella natura. In mezzo a questo scontro a due
armi, vi è la figlia di Takumi, enigmatico
personaggio i cui occhi sono anche il nostro primo ingresso nella
riserva naturale. Un personaggio che continua a vagare per i boschi
e le strade in cui i bambini possono ancora giocare senza
supervisione, almeno fino all’arrivo degli uomini di città. Da
allora, il sindaco della comunità inizierà ad avvertirla di non
recarsi nel bosco da sola: un monito inedito per la piccola che,
nella sua inconsapevolezza dell’esistenza di regole di vita altre,
lascerà questo consiglio inascoltato.
Ryusuke
Hamaguchi porta in concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia 2023 un film dal respiro estremamente attuale, che sviscera
la complessità dell’animo umano con cambi di tono e di stile
precisissimi. La durata contenuta, la direzione dell’attore e,
soprattutto, una notevole agilità di scrittura, lo consacrano
definitivamente come una delle firme internazionali più
interessanti.
Ecco cinque clip di Doggy
Style, l’insolita commedia diretta da Josh
Greenbaum (Barb e Star vanno a Vista Del Mar), scritta da
Dan Perrault (Players, American Vandal), al cinema
dal 14 settembre.
Si dice che il cane sia il
migliore amico dell’uomo, ma se l’uomo in questione fosse un vero
bastardo? In questo caso, potrebbe essere il momento di una dolce
vendetta, da cani. Quando Reggie (Will Ferrell),
un Border Terrier innocente ed inesorabilmente ottimista, viene
abbandonato dal suo spregevole padrone per le pericolose strade
cittadine, Doug (Will Forte; The Last Man on Earth, Nebraska),
Reggie è sicuro che il suo amato padrone non lo abbandonerebbe mai
di proposito.
Ma quando Reggie si imbatte in Bug
(il premio Oscar Jamie Foxx), un Boston Terrier logorroico e
poco elegante, un randagio che ama la sua libertà e non crede nella
bontà dei padroni, finalmente si rende conto di che spregevole uomo
senza cuore sia Doug e di che amore tossico avesse per lui.
Determinato ad avere la
sua vendetta, Reggie insieme a Bug e ai suoi amici – Maggie
(Isla
Fisher; Now You See Me, 2 Single a nozze), un
intelligentissimo Pastore Australiano rimpiazzato dal suo padrone
con un nuovo cucciolo, e Hunter (Randall Park; Finché forse non vi
separi, Aquaman), un ansioso Alano stressato dal suo lavoro come
animale da supporto emotivo – escogitano un piano e iniziano
un’avventura epica per aiutare Reggie a ritrovare la via di
casa… e a farla pagare a Doug mordendogli quell’estremità di
sé stesso che più ama (Indizio: non è il suo piede).
Doggy
Style non è il solito film sui cani a cui siamo abituati.
È diretto da Josh Greenbaum (Barb e Star vanno a
Vista Del Mar) e scritto da Dan Perrault (Players, American
Vandal), è una commedia divertente vietata ai minori sulle
complicazioni dell’amore, l’importanza delle grandi amicizie e gli
inaspettati vantaggi di flirtare con un divano.
Con le voci italiane di:
Massimo De Ambrosis (Reggie), Pino Insegno (Bug), Federica De
Bortoli (Maggie), Federico Di Pofi (Hunter), Michele D’Anca (Doug),
Dario Oppido (Rolf). Doggy Style è prodotto dal fondatore e
amministratore delegato di Picturestart Erik Feig (La ragazza più
fortunata del mondo, Cha Cha Real Smooth), da Louis Leterrier
(regista di Fast X, Scontro tra Titani), da Dan Perrault (Players,
American Vandal) e da Phil Lord e Chris Miller (Spider-Man: Un
nuovo universo, The Lego Movie 2: Una nuova avventura) e Lord
Miller presidente di Film Aditya Sood (Sopravvissuto, Cocainorso).
Produttori esecutivi: Jessica Switch, Nikki Baida e Julia
Hammer.