Chiwetel Ejiofor (Rob Peace), Karen
Gillan (Guardiani della Galassia Vol.
3) e Jacob Tremblay (The Toxic Avenger) si
sono uniti al cast di La vita di Chuck, l’ultimo
di molti adattamenti di Stephen King del regista
Mike Flanagan (Doctor Sleep), che ha dato il via
alla produzione del film all’inizio di questo mese in Alabama
grazie a un accordo ad interim. Tom Hiddleston e Mark Hamill guidano l’ensemble del film,
scritto e diretto da Flanagan.
Basato su tre storie interconnesse
dell’antologia di King Se scorre il sangue del
2020, La vita di Chuck esamina l’esistenza del
soggetto Charles Krantz al contrario, iniziando con la sua morte
all’età di 39 anni per un tumore al cervello e terminando con la
sua infanzia in una casa ritenuta infestata dai fantasmi. Flanagan
produrrà l’adattamento cinematografico insieme al suo partner di
lunga data della Intrepid Pictures, Trevor Macy.
Mike Flanagan è reduce dal grande successo di La caduta della
casa degli Usher per Netflix, mentre con La vita di
Chuck segue l’adattamento di
Mr. Harrigan’s Phone, film di John Lee
Hancock e adattamento del primo capitolo della trilogia di
King Se Scorre il sangue.
La Paramount Pictures ha ritardato
l’uscita del prossimo Mission:
Impossible di quasi un anno intero, spostandola dalla
data originale del 28 giugno 2024 al 23 maggio 2025. Come per altri
film di queste dimensioni, anche la produzione dell’ottavo film del
franchise è stata costretta a fermarsi a causa dello sciopero in
corso del SAG-AFTRA e il risultato è che il film non sarà
completato in tempo per un’uscita della prossima estate. È un
destino che si prospetta per molto film con budget elevati, se il
sindacato degli attori e gli studios non troveranno un accordo
nelle prossime settimane.
Come conseguenza di questo
spostamento, lo studio ha deciso di spostare l’uscita di A
Quiet Place: Day One al 28 giugno 2024 invece della data
precedentemente prevista dell’8 marzo 2024. E sempre come
conseguenza di questo slittamento, un nuovo progetto animato sul
francise di SpongeBob è stato posticipato dal 23 maggio 2025 al 19
dicembre 2025.
Ma, tra tanti posticipi, alcuni film
sono invece stati anticipati: IF, del regista
John Krasinski, una commedia fantasy con
Ryan Reynolds, Krasinski, Alan Kim e Phoebe
Waller-Bridge, è stato spostato dal 24 maggio 2024 al 17
maggio 2024. Con la sua collocazione attuale, il film si trova nel
mezzo di una serie di offerte per il Memorial Day, tra cui Furiosa,
Garfield e Il regno del pianeta delle scimmie. Naturalmente, il
calendario sarà fluido finché le principali produzioni rimarranno
chiuse e ci aspetteremo altri cambi.
Sempre per quello che riguarda
l’ottavo Mission: Impossible, Paramount e Skydance
stanno abbandonando l’idea di intitolarlo Dead Reckoning
Parte Due, nonostante l’uscita quest’anno di Mission:
Impossible – Dead Reckoning Part One.
Arriva alla Festa del Cinema di RomaPosso entrare? An Ode to Naples di
Trudie Styler, regista che, insieme
a suo marito Sting, si dice da sempre innamorata
dell’Italia. Il film è allora un viaggio bulimico che vuole tenere
insieme le mille anime di Napoli in un unico racconto, con il mare
sullo sfondo e la fotografia di Dante Spinotti a
creare magie. Arriva in punta di piedi Styler, bussa alla porta e
chiede: posso entrare? Dall’altra parte trova la calorosa
accoglienza napoletana e una voglia di raccontarsi, nel bene e nel
male, che non si esaurisce mai, tra orgoglio, resilienza e
pragmatismo, per usare le parole della regista inglese, nata poco
lontano dalla Stratford – upon – Avon di Shakespeare.
Una densa passeggiata a Napoli con
Trudie Styler
Raccontare in poche righe quanto è
contenuto nel documentario Posso entrare? An Ode to
Naples è impresa ardua. Si può però senz’altro dire
che c’è musica, e come avrebbe potuto essere altrimenti? Si parte
da Clementino, che apre il film con un rap sulla
storia di Napoli, fino ad arrivare all’orchestra dei ragazzi di
Sanitansamble. Ci sono l’impegno civile alla Sanità, cuore pulsante
di Napoli, e non solo lì, di Don Antonio Loffredo
e i progetti cui dà vita nelle sue parrocchie: box, teatro e
quant’altro, per sottrarre i giovani alla criminalità. Intervengono
Roberto Saviano e Alessandra
Clemente. Il primo, da quindici anni sotto scorta, parla
del suo rapporto conflittuale con Napoli. La seconda racconta come
sia riuscita a trasformare la rabbia per la morte della madre –
uccisa da una pallottola vagante durante una sparatoria, quando lei
era una bambina – in carburante per cercare di cambiare in meglio
la sua città.
Ci sono casalinghe, artigiani,
bottegai e ambulanti, che conservano saperi su mestieri antichi e
li portano avanti – Michelle, alias Michelina la guantaia,
l’acquafrescaio Poppò, Immacolatina e Gennaro, il tipografo Carmine
Cervone. Ma vi è anche lo scultore Lello Esposito che con le sue
opere porta Napoli nel mondo. Tradizione e devozione: San Gennaro,
Pulcinella, il presepe e il Vesuvio, immancabile in un racconto di
Napoli. Maradona e la street art di Jorit, la Napoli sotterranea e
il racconto storico: il ricordo del fascismo, della guerra e
dell’insurrezione popolare delle 4 giornate, attraverso il
materiale dell’Istituto Luce. Un caleidoscopio condensato in 107
densissimi minuti.
Troppo materiale senza una
direzione precisa
Il problema di Posso
entrare? An Ode to Naples è che c’è troppo. È una
miscellanea di tutto ciò che è Napoli. Styler non vuole lasciar
fuori niente, ma la scelta di non dare un taglio preciso è
disorientante e dispersiva. Manca un focus. Così, lo spettatore a
volte si perde. Si fa fatica a seguire il discorso per immagini e
parole. Il racconto diventa quasi, per usare una metafora
letteraria, un flusso di coscienza, in cui si salta da un elemento
a un altro senza apparente coerenza logica, ma seguendo un istinto.
In questo suo essere caotico, il lavoro intende forse rispecchiare
l’essenza di Napoli, fatta di molteplici anime, piena di contrasti,
che sembra contenere tutto e il suo contrario.
Tuttavia, il film soffre la mancanza
di una direzione. Anche nello stile Posso entrare? An
Ode to Naples è una miscellanea: video musicale,
documentario con materiale di repertorio, tratto dall’archivio
dell’Istituto Luce, interviste a personaggi contemporanei, noti e
non. Apprezzabile però, che cerchi di stare lontano dai luoghi
comuni. Spesso vi riesce, guardando a ciò che è simbolico, iconico,
in modo diverso e obliquo.
Uno sguardo romantico in Posso
entrare? An Ode to Naples
È evidente in Posso
entrare? An ode to Naples la passione e il trasporto
dello straniero, affascinato dal caleidoscopio frastornante che è
Napoli. Questo elemento ci introduce al lato romantico del lavoro.
Styler, da inglese, sembra guardare a Napoli con gli stessi occhi
dei poeti e degli intellettuali romantici che qui facevano il Grand
Tour. Sono citati espressamente – ad esempio, Shelley, con la sua
Ode to Naples – e richiamati nel titolo stesso del film.
Dal punto di vista visivo, poi, la fotografia di Dante
Spinotti contribuisce a creare atmosfere calde e sognanti,
con tramonti che sembrano quadri di Turner, senza peraltro
dimenticare la chiassosa Napoli dei vicoli e quella grigia delle
periferie. Vi è qualche momento particolarmente intenso. Ognuno
potrà trovare ciò che farà vibrare maggiormente le sue corde. Uno
di questi, però, è sicuramente quello che vede protagonista Sting.
Senza spoiler, possiamo dire che qui Styler vince facile, e lo
sa.
Le contraddizioni e la resilienza
di Napoli
Fortunatamente, la regista vede
anche le contraddizioni della città alle pendici del Vesuvio e non
le mette da parte. Il disincanto coesiste con la fascinazione.
Styler sceglie di mostrare soprattutto chi resiste, chi non
soccombe ai problemi e alle sfide che una città complessa come
Napoli pone ogni giorno. Racconta il sublime e la criminalità, ma
punta su chi si dà da fare per renderla un posto migliore. Sono ad
esempio i ragazzi del NEST, progetto teatrale nato in uno stabile
abbandonato, da un idea di Francesco Di Leva; o i
detenuti che in un laboratorio recuperano il legno delle navi dei
migranti per farne strumenti musicali. Simboli di una resilienza e
di una voglia di riscatto che hanno sempre fatto di Napoli una
città brulicante di vita e, nonostante tutto, di speranza.
Il
regista Matthew Vaughnpensa che
il genere dei supereroi potrebbe aver bisogno di una pausa e di un
po’ di tempo libero per ora.Parlando
con Screen
Rant, al regista – meglio conosciuto per aver
diretto film come
Kick-Ass, X-Men:
L’inizio e l’imminente Argylle –
è stato chiesto se potenzialmente sarebbe tornato nel genere dei
supereroi. Per Vaughn, però, pensa che le persone abbiano bisogno
di “tempo libero” più di ogni altra cosa.
“Sinceramente non so cosa
stia succedendo al [genere] dei supereroi, nel senso che, penso,
forse abbiamo tutti bisogno di un po’ di tempo libero“, ha
detto Vaughn. “Forse qualcuno farà qualcosa di così grande
che ci entusiasmerà di nuovo… I film di supereroi sono film. È
un film che contiene supereroi. Penso che quello che è
successo è che sono diventati dei supereroi, e la parte del film
non era così importante.
Per Matthew Vaughn i
film sui supereroi richiedono più lavoro
Vaughn ha anche parlato del
suo lavoro su X-Men:
L’inizio, riflettendo su come mantenerlo con i
piedi per terra fosse la chiave per assicurarsi che funzionasse
come un film di supereroi, su cui secondo lui di solito devi
lavorare di più.
“Quando realizzi un film
di supereroi, devi lavorare di più perché devi far sì che la gente
ci creda“, ha continuato. “Ecco perché ‘X-Men:
L’inizio‘ era piuttosto fondato. Lo ambientiamo nella
crisi missilistica cubana; avevano problemi umani
riconoscibili. E non si basava sulla CG. Penso che anche
la CG rovini tutto, perché ti sembra di guardare un
videogioco. Non sei con i personaggi. A parte ‘Guardians‘…
penso ancora che
Groot e il procione siano dei fottuti pezzi di genio e provo
così tanto affetto per loro. Quindi sarò
incuriosito. Penso che almeno la DC sia sotto… penso che
James Gunn e Safran abbiano buone possibilità di emergere, e
spero che [Kevin]
Feigetorni a fare meno film e si concentri nel
renderli grandi.“
Infine, Vaughn ha anche
riconosciuto che c’erano stati un sacco di “brutti film di
supereroi” prima del boom del MCU, quindi è curioso di vedere
come andranno le cose da qui in avanti.“Penso che
ci siano stati così tanti brutti film sui supereroi che è come se
fossero western. Ne fai così tanti che poi ti annoi del
genere, non perché il genere sia brutto ma perché i film sono
brutti”, ha aggiunto.“Ero abbastanza grande, purtroppo,
quando uscirono Batman e Robin, ed è stato terribile. Ero un
grande fan di Batman e dicevamo “Ah!” E poi i supereroi si
sono fermati, e poi sono tornati. Ora, sarò curioso di vedere
come se la caverà The
Marvels.”
Alla sua undicesima fatica,
A silence, Joachim Lafosse decide di dipingere
un inquietante e infausto affresco sul silenzio familiare, il quale
nasce da un profondo senso di vergogna scaturito da qualcuno
facente parte dello stesso nucleo. Perché se il silenzio è cifra
dominante, l’albero visibile dell’ultimo film del regista belga, il
disagio provocato da esso, che altri non è che un segreto oscuro
inaccettabile, ne è la radice nascosta. La quale giorno dopo
giorno, anno dopo anno, diventa sempre più fitta, più grossa e più
difficile da estirpare. Lafosse per delineare il suo A
silence parte da una figura esistente, legata a un
fatto di cronaca che sconvolse il Belgio: Marc
Dutroux, soprannominato il Mostro di
Marcinelle, che abusava e seviziava adolescenti per poi
lasciarle morire.
Fra queste c’erano
Julie e Melissa, 8 anni, il cui
avvocato dei genitori che seguiva il caso si scoprì in seguito
essere lui stesso stato condannato per detenzione di immagini
pedopornografiche, e che nel film di Lafosse diventa uno dei
protagonista principali. Un racconto, dunque, non solo disturbante,
ma anche allucinante, che suscita non poche riflessioni su un
sistema nel quale, alla fine dei conti, nessuno è davvero al
sicuro. O tutelato, da quegli stessi paladini della giustizia che
poi si scoprono essere a loro volta carnefici. A
silence è in Concorso alla 18esima edizione della Festa del Cinema di
Roma nella sezione Progressive Cinema, e ha nel cast
Daniel Auteuil, Emmanuelle Devos
e Matthieu Galoux.
A silence, la trama
Astrid è la
moglie di un importante avvocato, François, il
quale sta cercando di ottenere giustizia su un caso che vede
coinvolte due bambine vittime di pedofilia e abusi sessuali, oramai
morte. Attacca perfino il sistema giudiziario, si espone ai
giornalisti inveendo contro il folle criminale che ha commesso
oscenità inaudite. Ma una volta tornato a casa da Astrid e il
figlio adottivo Raphaël, e chiuse le porte, quello
stesso uomo non è chi dice di essere. Non è quello che sembra. Fra
le mura di quella villa c’è un segreto, che la moglie nasconde da
tantissimo tempo, ed è legato alle notti di François.
Egli infatti invece di dormire sta
davanti a un computer e guarda qualcosa che si percepisce essere
indecente. Eppure lei non vuole parlare. Nel frattempo, però, la
figlia maggiore si reca dalla madre per darle una notizia:
Pierre, lo zio, a distanza di venticinque anni
vuole denunciare François per averlo violentato quando era giovane.
Da quel momento in poi, l’equilibrio apparentemente stabile della
famiglia si sgretola. Ma mentre Astrid cerca di tenere insieme i
pezzi, quasi negando la verità a se stessa, Raphaël deciderà di
agire in un altro, duro, modo.
Dentro i silenzi di una donna
sola
Lafosse inizia dalla
fine. Comincia con un breve piano sequenza sugli occhi di
Astrid mentre si reca dalla polizia, gli unici che non possono
mentire come la sua bocca ha fatto per lungo tempo. È uno sguardo
affranto ma al tempo stesso consapevole, il suo. Smarrito,
colpevole, pieno di vergogna. Il silenzio è stato un cancro che
l’ha mangiata viva per ben venticinque anni, ma nel suo cuore
conosce la verità, ed è di questa che ha proprio paura. In fondo,
non è la paura di perdere qualcosa che genera proprio l’atto del
tacere? Deve arrivare una scossa, quella decisiva e assestante, per
rimettere in prospettiva una vita che è andata perdendosi per
proteggere qualcuno che, poi, neanche si conosce o vuole più.
A silence
parte con lei e finisce con lei, perché Astrid è il filo conduttore
del racconto, le sono legati tutti i personaggi i quali,
nell’operazione lenta di disvelamento che avviene fra luci e ombre,
dipendono da lei. Se parla, crolla tutto. Le false certezze su cui
ha costruito castelli di sabbia fragili, un amore tenuto in piedi
solo per timore di rimanere sola (ma lo è già), e la lussuosa casa,
in cui si rifugia per ricordarsi che almeno vive nell’agio, anche
se poi comunque piange. Il regista, con questa scelta, decide
di focalizzarsi, più che sul crimine commesso da François – che fa
comunque da sfondo e da escamotage narrativo – sulle reazioni dei
familiari, sulla rottura degli equilibri interni, e sulla poca
lucidità che si ha verso stessi e gli altri quando questa è figlia
della vergogna.
Forse alcuni passaggi sono un po’
troppo frettolosi considerato il carico drammatico ed emotivo del
film, ma nel suo complesso il dramma funziona e
nel suo rivelarsi diventa sempre più tetro. E poi c’è Emmanuelle
Devos, pilastro principale di A silence,
che con la sua provata e imponente presenza scenica riempie ogni
sequenza e ci permette di accedere allo stato d’animo di una donna
in crisi, combattuta e fragile, che proprio per questo non vuole
accettare la realtà dei fatti. Per allieviare il suo senso di colpa
mente a se stessa, dicendo sia a lei che ai suoi figli che ciò che
è accaduto è oramai nel passato, e la cosa giusta è rimanere in
silenzio per il bene della famiglia.
Ma quando poi è la stessa famiglia a
ribellarsi, a cercare giustizia e in qualche modo farsela, quali
sono le cose che contano davvero? Qual è la scelta giusta da
prendere? Forse nessuna, forse quando la vergogna è troppo grande,
ci dice Lafosse, quello che rimane da fare è lasciarsi andare agli
eventi e far decidere il destino. Ma quando poi si è liberi, come
lo sarà Astrid, ma anche Raphaël, tutto ha un sapore diverso. E
finalmente si può vedere la luce.
Oggi Prime
Video ha annunciato che la nuova attesissima serie
Fallout sarà disponibile dal 12 aprile
2024.
Lo speciale annuncio ha sorpreso i
fan in occasione del 26° anniversario del Fallout
Day, una ricorrenza annuale dedicata a tutto ciò che
riguarda il pluripremiato franchise best-seller di videogiochi.
Inoltre, Amazon Studios ha lanciato i canali social ufficiali della
serie per coinvolgere i fan appassionati di tutto il mondo. I
social sono stati lanciati con un’interfaccia grafica interattiva
Pip-Boy che embedda la data di uscita all’interno del testo
scorrevole per divertire e sorprendere ulteriormente i fan e il
pubblico di tutto il mondo.
Ambientata nella Los Angeles e nel
mondo futuro e post-apocalittico di
Fallout, la serie è una storia
originale basata su Fallout, che farà parte del canone dei
videogiochi. La serie nasce da Kilter Films e dagli executive
producer Jonathan Nolan e Lisa Joy, i creatori di
Westworld. Sarà disponibile in streaming in esclusiva su
Prime Video in oltre 240 Paesi e territori nel
mondo.
Il cast della serie include Ella
Purnell (Yellowjackets), Walton Goggins (The
Hateful Eight), Aaron Moten (Emancipation – Oltre la
libertà), Moisés Arias (Il re di Staten Island), Kyle
MacLachlan (Twin Peaks), Sarita
Choudhury (Homeland), Michael Emerson (Person of
Interest), Leslie Uggams (Deadpool), Frances Turner
(The
Boys), Dave Register (Heightened), Zach
Cherry (Scissione), Johnny
Pemberton (Ant-Man), Rodrigo Luzzi (Dead Ringers –
Inseparabili), Annabel O’Hagan (Law & Order: Unità Vittime
Speciali) e Xelia Mendes-Jones (La Ruota del Tempo).
Geneva Robertson-Dworet e Graham
Wagner sono executive producer, autori e co-showrunner. Jonathan
Nolan e Lisa Joy sono executive producer per Kilter Films sotto il
loro overall deal con Amazon. Athena Wickham di Kilter Films è
anche executive producer insieme a Todd Howard per Bethesda Game
Studios e James Altman per Bethesda Softworks. Amazon e Kilter
Films producono in associazione con Bethesda Game Studios e
Bethesda Softworks. Nolan ha diretto i primi tre episodi di questa
serie epica.
Ancora oggi il regista Joel
Schumacher è ricordato principalmente per i disastrosi
film Batman Forever e
Batman & Robin. Eppure, nella sua filmografia si possono
ritrovare film che dimostrano la sua grandezza come uomo di cinema.
In particolare, si possono citare titoli come St. Elmo’s Fire,
Linea mortale e Un giorno di ordinaria
follia. Tra i suoi più apprezzati film degli anni Novanta
si annovera anche Il cliente, un solido
legal thriller ricordato per la sua complessa vicenda, i
risvolti da puro giallo e interpretazioni ancora oggi tra le
migliori degli attori coinvolti.
Scritto da Robert
Getchell e Akiva Goldsman, il film è
tratto dall’omonimo romanzo del 1993 scritto da John
Grisham. Lo scrittore, dalle cui opere sono stati tratti
anche film come Il rapporto Pelican e
La giuria, è un esperto di gialli giudiziari, avendo lui
conseguito la laurea in legge e aver lavorato per anni come
avvocato. Proprio grazie a questa sua esperienza, i suoi racconti
sono particolarmente solidi e tesi da questo punto di vista,
configurandosi alla perfezione anche per il cinema. Proprio per
questo Il cliente, a fronte di un budget di 45 milioni di
dollari, è arrivato a guadagnarne oltre 117 nel mondo.
Apprezzato dalla critica e dal
pubblico, il film permise di realizzare anche una serie TV omonima,
anch’essa basata sul libro di Grisham e andata in ondata in onda
dal 1995 al 1996. Per tutti gli amanti del thriller, ancora
oggi Il cliente è un titolo da non perdere
assolutamente. Prima di intraprendere una visione del film, però,
sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama e al cast di attori.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Il cliente: la trama del film
Protagonista del film è l’undicenne
Mark Sway, la cui vita è da sempre molto difficile
e priva di controllo. Abbandonato dal padre quando era appena un
bambino, egli vive in una misera roulotte insieme alla madre e al
fratellino. Insieme a questo, Mark è solito avventurarsi nei boschi
in cerca di qualcosa da fare. È proprio qui che un giorno Mark
diventa testimone del suicidio di un avvocato legato alla mafia, il
quale prima di togliersi la vita rivela al ragazzo dov’è sepolto il
corpo di un senatore ucciso dal criminale Barry
Muldano. Sotto shock per l’accaduto, Mark non tarda a
comunicare quanto accaduto, venendo subito raggiunto dall’FBI.
Gli agenti che lo incontrano
vorrebbero fargli rivelare quanti più dettagli possibile circa
quanto da lui visto, ma Mark comprende che, nel caso parlasse,
diventerebbe subito un obiettivo primario da parte della mafia.
Insieme a sua madre, il ragazzino ricerca dunque un avvocato di cui
potersi fidare e lo trova in Reggie Love. La
donna, di indole testarda, si offre da subito di proteggere Mark
dalla polizia federale, dalle grinfie del Reverendo Roy
Foltrigg, procuratore distrettuale, e dallo stesso
Muldano, che cercherà di mettere a tacere il piccolo testimone.
Il cliente: il cast del film
Trovare un interprete per il ruolo
dell’undicenne Mark Sway non fu affatto semplice. Grisham, infatti,
aveva potere decisionale sulle scelte di casting e per tale ruolo
aveva richiesto un bambino che non avesse esperienze pregresse nel
cinema. Egli sosteneva che il film non avrebbe funzionato con un
noto attore bambino dall’accento fasullo nel ruolo e che scegliendo
uno sconosciuto nella parte (preferibilmente dall’area di Memphis,
dove è ambientata la storia) la credibilità del film non sarebbe
stata compromessa. Alla fine fu scelto il compianto Brad
Renfro, che arrivò a battere nella selezione anche
Macaulay Culkin, noto per il film Mamma ho
perso l’aereo.
Per convincere l’attrice
Susan Sarandon ad
accettare la parte dell’avvocato Reggie Love, il regista Joel
Schumacher le ha proposto un “matrimonio cinematografico”,
inginocchiandosi in mezzo a un affollato ristorante di New York.
Davanti a quel gesto, l’attrice accettò e per la sua
interpretazione è poi stata candidata al premio Oscar. Ad
interpretare il duro Reverendo Roy Foltrigg vi è invece l’attore
Tommy LeeJones, acclamato in quegli anni grazie anche
al thriller Il fuggitivo.
Mary-Louise Parker interpreta Dianne Sway, madre
di Mark, mentre Anthony LaPaglia è il mafioso
Barry Muldano. William H. Macy è il dottor
Greenway, mentre J. T. Walsh è l’avvocato Jason
McThune.
Il cliente: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Il
cliente è infatti disponibile nei cataloghi di
Rakuten TV e Disney+. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un
dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è
inoltre presente nel palinsesto televisivo di lunedì 23
ottobre alle ore 21:15 sul canale
La7.
I leoni di
Sicilia, caso letterario del 2020, divenuto presto un
best seller e che ancora oggi è oggetto di continue ristampe
diventa una serie tv in otto episodi diretta da Paolo Genovese.
La famiglia Florio, una famiglia poco convenzionale che con i suoi
pregi e difetti è riuscita a creare un impero di cui ancora
trasudano i palazzi e le tonnare siciliane. La serie, che sarà
disponibile su Disney+ a partire dal 25
ottobre con i primi quattro episodi e dall’1 novembre con i
restanti quattro parte proprio dalla genesi degli affari dei Florio
che da Bagnara, in Calabria, si sono trasferiti a Palermo in cerca
di fortuna. Una fortuna che Paolo Florio ha sempre auspicato per la
sua famiglia, una fortuna che ha costruito lui stesso con le sue
mani. La serie è stata presentata in anteprima alla Festa del Cinema di
Roma nella sezione Freestyle.
I leoni di Sicilia, la
trama
A livello di fedeltà storica e di
fedeltà al romanzo, I leoni di Sicilia diretto da
Paolo Genovese ha tutti gli
elementi al posto giusto. Tutto ci porta in quella Palermo barocca,
dove per le strade si respira aria di spezie di tutti i tipi. Lo
sanno bene i Florio che hanno cominciato il loro impero proprio
come commercianti di curry, zafferano, finocchietto e sesamo. Tutti
sapori antichi di una terra sempre conquistata che ha assorbito le
tradizioni dei popoli di passaggio. In cerca di riscatto sociale, i
Florio giunti a Palermo creeranno un vero e proprio business
complici le idee rivoluzionare di Paolo Florio (interpretato da
Vinicio Marchioni) che tramanderà al figlio,
Vincenzo (interpretato da Michele Riondino).
Paolo Florio è burbero ma si rende
ben presto conto del potere della sua famiglia, per questo a suo
figlio Vincerò insegnerà fin da subito il mestiere del “putiaro”,
del commerciante. Ma Vincenzo cresce, e con lui il mondo cambia. In
Sicilia arriva l’acqua corrente e il commercio non si fa più solo
con le spezie ma anche con i terreni. Su Vincenzo Florio e sulla
sua dinastia, composta dal figlio Ignazio, si concentra I leoni
di Sicilia. Venditore stratega che ha messo in ginocchio tutti
i nobili di Palermo e uomo che viene travolto dall’amore per Giulia
(interpretata da Miriam Leone), donna in contrasto con le
rigide regole della Sicilia del 1800. Proprio con Vincenzo la Casa
Florio acquisterà prestigio di un vero e proprio impero commerciale
e sarà la sua ambizione a portare il buon nome della sua famiglia
in alto, tra gli alti ranghi sociali.
Artefici del proprio destino
Paolo, prima, e Vincenzo, poi,
entrambi artefici del proprio destino. Una fortuna che hanno
costruito con le loro mani solo per non sentirsi mai un passo
indietro a nessuno. Qui la storia familiare si intreccia con la
storia d’amore. La storia della famiglia fin dagli
inizi dell’800 è la parte più interessante perché la serie compie
un viaggio a ritroso e ci accompagna verso la fortuna della
famiglia Florio che passerà inevitabilmente anche da momenti molto
toccanti ed emozionanti come la morte del padre Paolo. Il
personaggio interpretato da Vinicio Marchioni è il capostipite della
dinastia così come la conosciamo oggi ma non è perfetto.
Calpesterebbe chiunque per arrivare al successo e per far vivere la
sua famiglia negli agi. Dall’acquisto della tonnara ad altri
terreni e possedimenti della famiglia Florio, I leoni di
Sicilia parla anche d’amore e in particolare quello tra un
Vincenzo ormai consolidato negli affari e nel nome e Giulia, figlia
di nessuno, ma di cui lui si innamora in modo travolgente. La loro
storia d’amore si intreccerà con la storia di crescita della
famiglia e anche con il periodo storico che stava vivendo l’Italia
verso l’Unità.
La serie si ferma al 1861 quando a
succedere a Vincenzo, e tenere alto il buon nome dei Florio ci sarà
l’unico erede maschio della famiglia, Ignazio. Con Ignazio si apre
un nuovo mondo per i Florio che continueranno ad espandersi sempre
di più fino alla decadenza. In questi episodi visti in anteprima
alla Festa del Cinema di Roma I leoni di Sicilia non
ruggiscono ancora, anzi, sono ancora molto timidi e impacciati ma
sono comunque pronti a raccontare la loro storia. C’è ancora molto
da vedere e da rivedere – come per esempio alcuni brani della
colonna sonora.
Hayao Miyazaki,
uno dei maestri dell’animazione giapponese e uno dei registi più
visionari mai vissuti, torna sul
grande schermo con Il ragazzo e l’airone. Era il 2013
quando, dopo la presentazione alla Mostra di Venezia di Si alza
il vento, il sensei annunciò che si sarebbe ritirato
dall’attività di produzione di lungometraggi d’animazione. Per
fortuna, l’impulso creativo, la necessità di disegnare e di
raccontare storie erano troppo forti, e così, a partire
dall’ispirazione arrivata dal romanzo E voi come vivrete? di Genzaburō Yoshino (che dà
il titolo originale al film) realizza il suo nuovo lungometraggio
che, dopo una serie di proiezioni ai festival e l’uscita in
Giappone e negli USA, arriva nelle sale italiane dal 1° gennaio
2024 distribuito da Lucky Red.
Il ragazzo e
l’airone, la trama
Il ragazzo e l’airone è
un raro caso, nel cinema di Miyazaki, in cui il protagonista della
storia è un uomo, un ragazzo di nome Mahito Maki che, a distanza di
un anno dalla morte della madre in un tragico incendio, combatte
ancora con il dolore della perdita, mentre con il padre lascia il
centro abitato di una Tokyo in guerra, per rifugiarsi in una villa
in campagna, dove va a vivere insieme a sua zia Natsuko, che nel
frattempo è diventata la nuova moglie del padre. In questo luogo
affascinante ma sinistro, dalla storia antica, Mahito incrocia il
suo cammino con un airone cenerino, che si rivelerà essere una
specie di Virgilio, una guida per il ragazzo che sarà costretto ad
attraversare una sorta di inferno, un mondo parallelo a quello in
cui vive, per poter affrontare le sue paure, i suoi dolori, e
ricominciare a vivere.
Sebbene sia volontà
comune affermare che Il ragazzo e l’airone è il capolavoro
della sua filmografia, appare molto più realistico parlare di una
nuova gemma preziosa che il sensei aggiunge al tesoro inestimabile
che è la sua filmografia.
Un nuovo inizio
Dopo il sapore “finale”
(nel senso più vitale del termine) di Si alza il vento, film
che per tanti anni è stato considerato il suo ultimo, era
interessante scoprire cos’altro Miyazaki avesse da dire. La
risposta, forse, è nascosta nella visione della vita, tipica della
cultura giapponese, in cui niente finisce davvero, e ogni esistenza
che trova il suo compimento poi riparte di nuovo da zero, come nel
percorso artistico del grande maestro. Con Il ragazzo e
l’airone, il regista sembra infatti tornare indietro, o meglio,
ripartire dal via, imbastendo una storia ricchissima che si nutre
di simbolismi e metafore, raccogliendo tutti i temi a lui più cari
e raccontando di un personaggio che, mai come in questo caso,
sembra un suo alter ego.
Il canone
miyazakiano
L’elaborazione del lutto
per la madre, l’orrore della guerra, la difficoltà di adattarsi a
un nuovo status, sono tutti elementi che appartengono alla
biografia di Hayao ragazzo e che sono stati sempre presenti nel suo
cinema. Così come l’idea di un mondo fantastico che coesiste in una
realtà parallela o sovrapposta a quella reale, in cui piccole
creature popolano gli anfratti dell’esistenza, insieme a minacce
spaventose, a figure eroiche e creature in continua trasformazione,
come giovanissime donne che controllano il fuoco e bruciano dalla
voglia di vivere, pur conoscendo la loro sorte.
Ne Il ragazzo e
l’airone il piano della realtà è funestato dalla guerra (la
scena d’apertura ricorda molto da vicino
Una tomba per le lucciole di Isao Takahata), è
un mondo in cui Mahito fatica ad adattarsi. L’arrivo dell’airone
cenerino e la porta che questo gli apre sul piano della fantasia,
su un mondo altro, si presenta come un’opportunità di rivedere la
propria madre scomparsa, ma in fondo è anche un tentativo di fuga.
Il giovane protagonista lascia il suo mondo proprio perché quello
in cui vive non gli piace, ma nonostante l’esistenza certa di
spiriti, mostri e parrottini giganti pronti a mangiare chiunque,
nessun sogno, per quanto vivido e confortante è preferibile alla
realtà in cui viviamo e Mahito dovrà capirlo a sue spese, occupando
il suo posto nel nuovo ordine delle cose e accettando il compito
che gli viene affidato di portare equilibrio e nuovo ordine, nuova
vita e speranza nel (suo) mondo dilaniato dalla sofferenza.
Uno spirito creativo in
continuo divenire
Lo stile di Hayao Miyazaki
si conferma, dunque, ricco e composito che sorprende continuamente
sia per le soluzioni narrative che il regista adotta, sia per
l’immaginario che mette in scena, un mondo in continuo divenire,
ricchissimo e pullulante di vita e creatività, proprio come il suo
spirito creativo, la sua voglia di disegnare che gli ha fatto
revocare la “pensione” auto-imposta e lo terrà al lavoro ancora per
molto, ci auguriamo.
Al box office del fine settimana
appena concluso il nuovo film dei Me contro te,
Vacanze in Transilvania, conquista inaspettatamente il
pubblico di grandi e piccini, ottenendo il primo posto nella
classifica incassi. La pellicola ha incassato ben €784.299 a fronte
di un totale di quasi 2 milioni di euro dall’uscita nelle sale il
19 ottobre.
La presenza dei Me contro te come
campione d’incassi nel week end appena concluso può un po’
sconvolgere molti cinefili per via dell’arrivo nei cinema in
contemporanea di una nuova opera di uno dei registi contemporanei
più noti ed apprezzati dal pubblico. Stiamo parlando di
Killer of the flower moon, diretto da Martin
Scorsese con
Leonardo di Caprio e
Robert de Niro. La pellicola, seconda al box office,
ha incassato €532.575 a fronte di un totale che supera il milione e
mezzo di euro dall’uscita il 19 ottobre.
Al terzo posto ritroviamo
L’ultima volta che siamo stati bambini, pellicola
italiana ed esordio alla regia dell’attore Claudio Bisio. Il film
incassa €163.072 nel fine settimana e supera il milione dal suo
approdo nelle sale il 12 ottobre.
Box office: il resto della
classifica
Al quarto e quinto posto si trovano
rispettivamente
Dogman, nuova pellicola di Luc Besson
presentata al festival del cinema di Venezia, e
L’esorcista-il credente, sesta pellicola della saga
cinematografica. Dogman incassa €91.659 su un totale che sfiora il
milione di euro mentre L’esorcista arriva ad un incasso di €89.933
nel week end e di più di 2 milioni e mezzo dall’approdo nelle sale.
Sesto classificato è
Assassinio a Venezia, terzo capitolo della serie
cinematografica di adattamenti dei romanzi di Agatha Christie; il
film incassa €79.594 a fronte di un totale di 8 milioni di euro
dall’uscita nei cinema il 14 settembre.
Al settimo ed ottavo posto si
classificano Paw
Patrol: il super film, pellicola animata per bambini
sequel di Paw Patrol: il film, e Taylor Swift-the eras tour, film concerto
della tappa a Los Angeles fatta dalla cantante. Paw Patrol incassa
71.291 a fronte di un totale di più di 1 milione e mezzo di euro,
mentre Taylor Swift-the eras tour raggiunge un guadagno di €57.467
nel week end e di quasi 1 milione dalla sua uscita il 13
ottobre.
Ultimi due classificati sono
rispettivamente Volevo
un figlio maschio, commedia italiana con Enrico
Brignano, e
Io Capitano, pellicola su tematiche di attualità
diretta da
Matteo Garrone. Volevo un figlio maschio incassa
€52.294 mentre Io Capitano raggiunge un guadagno di €41.294 a
fronte di un totale di 3 milioni e mezzo di euro dalla sua uscita
nei cinema il 7 settembre.
Arriva su Sky COCAINORSO,
survival movie inspirato a un’incredibile storia vera avvenuta nel
1985 a Knoxville in Tennessee, quando un orso morì dopo aver
ingerito una grande quantità di cocaina abbandonata in un bosco da
dei trafficanti. Il film sarà in prima tv mercoledì 25
ottobre alle 21.15 su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e
disponibile on demand. Su Sky il film sarà disponibile on demand
anche in 4K.
Diretto da Elizabeth
Banks e scritto da Jimmy Warden, il film
è interpretato da
Keri Russell, O’Shea Jackson Jr.,Christian
Convery, Alden Ehrenreich, Jesse
Tyler Ferguson, Brooklynn Prince,
Isiah Whitlock Jr., Kristofer
Hivju, Hannah Hoekstra e Aaron
Holliday, oltre alla vincitrice dell’Emmy Margo
Martindale e il compianto vincitore
dell’EmmyRay
Liotta.
La trama del
film
Ispirata alla storia vera del 1985
dell’incidente aereo di un trafficante di droga, della scomparsa
della cocaina e dell’orso nero che se la mangiò, questa commedia
dark e selvaggia vede uno strano gruppo di poliziotti, criminali,
turisti e adolescenti che convergono in una foresta della Georgia
dove un predatore di 500 libbre ha ingerito una quantità
sbalorditiva di cocaina e, su tutte le furie per colpa della droga,
è scatenato, alla ricerca di colpi e sangue.
COCAINORSO– Mercoledì 25 ottobre alle
21.15 su Sky Cinema Uno, in streaming su NOW e disponibile on
demand. Su Sky il film sarà disponibile on demand anche in 4K, per
i clienti Sky Q o Sky Glass con pacchetto Sky Cinema e con servizio
opzione Sky HD/Sky Ultra HD attivo.
Ecco una clip da “Messi
Meets America“, il nuovo documentario in sei parti che
racconta il dietro le quinte di questo nuovo capitolo della
carriera da record di Messi, disponibile su Apple TV+ dall’11
ottobre.
https://www.youtube.com/watch?v=c1ns1C_MUrI
Dopo oltre vent’anni
indimenticabili di eccellenza calcistica, primati inarrivabili
raggiunti tra Barcellona e Paris Saint-Germain, e dopo aver vinto
la Coppa del Mondo FIFA Qatar 2022 con la nazionale di calcio
argentina, Leo Messi ha preso una decisione epocale che ha cambiato
per sempre il volto del calcio in Nord America, unendosi alla Major
League Soccer e all’Inter Miami CF. Grazie a un accesso senza
precedenti a Messi e alla sua nuova famiglia dell’Inter Miami CF,
“Messi Meets America” porta gli spettatori dietro le quinte della
vita e della carriera del più grande giocatore mai sceso in campo,
osservandolo condurre la sua nuova squadra alla conquista del
titolo in Coppa di Lega e oltre.
Dal record di sold
out registrato in tutta l’America a una velocità impressionante,
all’incredibile gol vincente segnato all’ultimo minuto della sua
prima partita, ai momenti trascorsi con i suoi compagni di squadra
dell’Inter Miami CF, la serie racconta l’immersione di Leo in
America, la trasformazione dell’Inter Miami CF e, soprattutto,
l’impatto che sta attualmente avendo sul calcio in Nord America,
mentre la “Messi Mania” attraversa l’intero continente.
I Leoni di
Sicilia, la nuova serie originale italiana
Disney+ diretta da Paolo
Genovese e tratta dall’omonimo bestseller di Stefania Auci, è
stata presentata in anteprima alla diciottesima edizione della
Festa del Cinema di Roma e debutterà
mercoledì 25 ottobre in esclusiva su
Disney+ in Italia con i primi
quattro episodi, mentre i restanti quattro saranno disponibili a
partire dal 1° novembre. La seriesarà disponibile su
Hulu negli Stati Uniti, su Star+ in America Latina e su Disney+ in tutti gli altri
territori.
Dal regista Paolo
Genovese, che ne è anche produttore creativo, la serie in
otto episodi è prodotta da Francesco e
Federico Scardamaglia per Compagnia Leone
Cinematografica e da Raffaella Leone e
Marco Belardi per Lotus Production, una società
Leone Film Group. ILeoni di Sicilia è una serie
scritta da Ludovica Rampoldi e Stefano
Sardo.
I Leoni di Sicilia è
l’avvincente storia della famiglia Florio. I fratelli Paolo e
Ignazio sono due piccoli commercianti di spezie fuggiti da una
Calabria ancorata al passato e in cerca di riscatto sociale. In
Sicilia s’inventano un futuro, dove a partire da una bottega
malmessa danno vita a un’attività florida che il giovane figlio di
Paolo, Vincenzo, con le sue idee rivoluzionarie, trasformerà poi in
un impero. Tuttavia, a travolgere la vita di Vincenzo, e quella di
tutta la famiglia, è l’arrivo dirompente di Giulia, una donna forte
e intelligente, in contrasto con le rigide regole della società del
tempo. I Leoni di Sicilia è un’epopea fatta di amore,
famiglia, successi, guerre e rivoluzioni, che si svolge nella
Sicilia dell’Ottocento fino all’Unità d’Italia del 1861.
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Foto di Giulia Parmigiani -
Cortesia di The Walt Disney Company Italia
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Cortesia di The Walt Disney Company Italia
Foto di Giulia Parmigiani -
Cortesia di The Walt Disney Company Italia
La serie è interpretata da Michele Riondino nel ruolo di Vincenzo Florio,
Miriam Leone in quello di Giulia Portalupi,
Donatella Finocchiaro in quello di Giuseppina,
Vinicio Marchioni nei panni di Paolo Florio,
Eduardo Scarpetta nel ruolo di Ignazio Florio
(figlio di Vincenzo), Paolo Briguglia in quello di
Ignazio Florio, Ester Pantano nel ruolo di
Giuseppina giovane e Adele Cammarata in quello di
Giovanna D’Ondes.
“Durare”, il nuovo singolo di Laura Pausini è
la end credit song di tutti gli otto
episodi della serie. Il brano sarà inoltre disponibile
anche nella sua versione spagnola, intitolata “Durar”, selezionando
l’audio degli episodi in spagnolo.
Ama raccontare storie di donne
Justine Triet. Lo fa anche
alla Festa del Cinema di
Roma con Anatomia di una
caduta, dramma a carattere processuale e di
approfondimento psicologico che esplora nel dettaglio, quasi
dissezionandolo chirurgicamente, il rapporto di coppia tra i due
protagonisti, e con il loro figlio undicenne. Il film, prima di
essere presentato nel festival romano, si era già fatto notare
al Festival
di Cannes, dove ha ottenuto il premio più prestigioso:
la Palma d’Oro.
La trama di Anatomia di una
caduta
Sandra (Sandra
Hüller) e suo marito Samuel (Samuel
Theis) entrambi scrittori, vivono con il loro figlio
Daniel (Milo Machado Graner) che ha perso la vista
dopo un incidente, in una baita di montagna vicino a Grenoble. Una
mattina Samuel viene però trovato cadavere sulla neve. È caduto giù
dalla finestra. Se sia stato un incidente, un tentativo di
suicidio, o se l’uomo sia stato ucciso, lo stabilirà il processo
che seguirà, in cui la moglie, Sandra, è la principale
sospettata.
La donna assume per la sua difesa
l’avvocato e vecchio amico, Vincent (Swann
Arlaud). Il processo porterà a ripercorrere le fasi di un
rapporto travagliato, svelerà vecchi rancori, fragilità e verità
nascoste, facendo luce anche su come ciascuno dei coniugi abbia
elaborato l’incidente occorso al figlio anni prima. Daniel, dal
canto suo, dovrà venire a patti con una nuova idea del rapporto tra
i suoi genitori. Al suo fianco, sempre Snoop, il fedele cane
guida.
Anatomia di un rapporto di
coppia
Anatomia di una
caduta potrebbe dirsi un film chirurgico. Se si parte
dall’esame autoptico di un corpo, infatti, si passa presto a una
disamina millimetrica, il più possibile oggettiva nelle intenzioni,
del rapporto fra Sandra e Samuel. Ecco quindi che il titolo è anche
metafora calzante. L’incedere minuzioso e “scientifico” è proprio
del processo, che intende analizzare freddamente la relazione tra i
due, per capire se lì si possano annidare i germi di una volontà
omicida. Daniel, undicenne, assiste a questa dissezione e ispezione
del rapporto tra i suoi e impara a conoscerli di nuovo. L’idea è
buona, ed effettivamente riesce a far emergere le ombre che ci
possono essere anche in una coppia che apparentemente funziona.
L’incedere lento di Anatomia di
una caduta
Del processo chirurgico di
dissezione Anatomia di una caduta ha
anche la lentezza. In chirurgia, si sa, se si sbaglia, le
conseguenze possono essere gravi, e anche in giurisprudenza.
L’andamento lento, però, è anche il punto debole del film,
amplificato poi dal fatto, pur lodevole, che la regista proceda con
particolare delicatezza nel raccontare questa storia, senza il
ricorso a facili soluzioni come scene madri o spettacolarizzazioni.
Le varie sfumature della vicenda vengono snocciolate a poco a poco,
nell’arco di 150 minuti. Occorre ammettere che, pur con le buone
interpretazioni dei protagonisti e di tutto il cast,
Anatomia di una caduta risulta in certi
tratti monotono e poco avvincente.
Interpretazioni sentite e
convincenti
Sicuramente convincenti sono invece
le interpretazioni, in special modo quella della protagonista, di
cui si percepisce lo spaesamento di fronte al processo, come quello
che la aveva colta nel trasferirsi in Francia da Londra,
assecondando un desiderio del marito. Una donna con luci e ombre,
fragilità e punti di forza. Contrasti che la rendono umana, una
donna in cui ci si può riconoscere. Merito va anche al giovane
Milo Machado Graner, nei panni di Daniel e al
border collie che interpreta il cane guida, Snoop. Si tratta di un
film non facile, molto parlato e con pochi momenti di azione, che
effettivamente patisce un’eccessiva lunghezza, ma una buona analisi
psicologica è la forza di Anatomia di una
caduta, assieme all’intensità dei suoi protagonisti,
che danno vita a momenti di coinvolgimento emotivo, seppure
discontinui.
Sfortunatamente, anche dopo mesi di
voci apparentemente infinite, ci vorrà ancora un po’ per avere
notizie concrete sul casting del
film MCUFantastici Quattro.
Tuttavia, mentre era impegnato nella promozione dela serie Monarch: Legacy of
Monsters di Apple
TV+, il regista Matt Shakman è stato in grado
di condividere alcuni aggiornamenti minori sul film durante
un’intervista con The Playlist. Alla domanda su
quali siano le ultime novità sul processo di casting, il regista ha
promesso che “ci sarà un annuncio ad un certo punto“,
aggiungendo poi di sentirsi “entusiasta che le persone siano
appassionate di questi personaggi quanto lo sono io“.
“Il fatto che ci sia così tanto
dibattito, lo adoro. Ho pensato a chi avrebbe dovuto interpretare
questi personaggi prima di avere l’incarico di dirigere il film, e
capisco perché tutti la penserebbero allo stesso modo. La chimica è
estremamente importante… è la prima famiglia della Marvel e devo costruirla bene. Devo
ottenere quella giusta chimica“. Shakman ha poi continuato
affermando che “l’annuncio non sarà immediato quando lo
sciopero del SAG si sarà risolto, ma prima o poi saremo in grado di
condividere alcune notizie. E spero che le persone saranno
entusiaste di questo cast quanto lo sono io.“
Successivamente, rivelando che
Fantastici
Quattro è l’unico progetto per cui ha incontrato
i Marvel Studios, dopo aver lavorato su
WandaVision, Shakman ha condiviso i suoi
pensieri sulla sostituzione del regista di Spider-Man: No Way
Home, Jon Watts, inizialmente scelto come
guida del film. “Jon Watts ha lavorato per un po’ al progetto e
avrebbe fatto un lavoro fantastico, ma poi la sua strada ha preso
un’altra direzione ed io sono stato entusiasta di salire sulla
sedia del regista e prendere il suo posto. Voglio dire, abbiamo
portato avanti il nostro processo in modo coerente”.
“Sono stato nel progetto per
poco più di un anno e ci ho lavorato duro come lavoreremmo su
qualsiasi film della Marvel… a cominciare da qual è la
storia che vogliamo raccontare. Qual è il tema della storia? Perché
stiamo raccontando questa storia? E poi stiamo sviluppando la
migliore versione possibile di quella storia, e come vogliamo dare
vita a questi personaggi?“. Rifiutandosi comprensibilmente di
rivelare se si sia rivolto a qualche fumetto specifico per trarne
ispirazione, Shakman ha però confermato di aver lavorato alla
scrittura sia con il co-sceneggiatore di Avatar: La via
dell’acquaJosh Friedman che con
Cam Squires di WandaVision.
Eagle Pictures
diffonde il primo trailer di Thanksgiving,
il nuovo film ideato e diretto da Eli Roth, con
protagonisti Patrick Dempsey, Addison Rae, Milo
Manheim, Jalen Thomas Brooks, Nell Verlaque, Rick Hoffman
e Gina Gershon, su una sceneggiatura di Jeff
Rendell. Il film arriverà il 16 novembre nelle sale italiane. Il
film è nato da un finto trailer visto in Grindhouse.
Thanksgiving, la trama
La cittadina di Plymouth, in
Massachusetts, è sconvolta da una terribile tragedia avvenuta
all’interno di un centro commerciale durante il Black Friday. Un
anno dopo, durante i festeggiamenti del Thanksgiving,
un misterioso e feroce serial killer comincia ad torturare e
uccidere la popolazione locale, seguendo un grottesco piano di
vendetta e prendendosela soprattutto con un gruppo di ragazzi, che
evidentemente nascondono a loro volta uno scomodo segreto. Quelli
che iniziano come omicidi casuali per vendetta si rivelano presto
parte di un più ampio e oscuro piano legato alle festività.
Ispirato al fake trailer realizzato da Eli Roth per Grindhouse, e
diretto dallo stesso Roth Thanksgiving è pronto a diventare un
nuovo cult del cinema horror contemporaneo.
Thanksgiving
non sarà il primo film a essere trasformato in un lungometraggio
dopo essere apparso come trailer di Grindhouse. Il primo è stato Machete
del 2010, un film d’azione con Danny Trejo,
seguito da Hobo with a Shotgun del 2011, un altro
film d’azione di commedia nera.
Anche se sembra che nel film faranno
squadra, le prime foto dal set di Deadpool 3 ci hanno
confermato che il mercenario chiacchierone interpretato da Ryan Reynolds
e il Wolverine di Hugh Jackman
verranno alle mani, affrontandosi in uno scontro senza
esclusione di colpi. Ora, il regista Shawn
Levy potrebbe aver dato un’idea di come andrà a finire
questa battaglia. Interrogato sul questo attesissimo scontro
durante un’intervista con Sirius XM il
regista, pur evitando di rivelare troppo, ha indicato che il
vecchio Wade Wilson potrebbe non uscire vincitore dallo
scontro.
Il regista ha sottolineato che sia
Reynolds che Jackman sono completamente altruisti quando si tratta
di come vengono rappresentati i loro personaggi, aggiungendo che
“entrambi i ragazzi cercano sempre di far sì che sia l’altro a
vincere. Ryan è straordinario nel volere che Deadpool perda e la
verità è che Deadpool è fantastico ma è profondamente… imperfetto.
Mentre Wolverine, beh, è Wolverine”. Naturalmente le parole
del regista non forniscono un vero e proprio chiarimento sull’esito
della battaglia, che molto probabilmente ad ogni modo non farà che
portare i due ad unire le proprie forze.
Deadpool 3: quello che sappiamo sul film
Sebbene i dettagli ufficiali della
storia di Deadpool 3, con
protagonista Ryan Reynolds,
non siano infatti ancora stati rivelati, si presume che la trama
riguarderà il Multiverso. Il modo più semplice per i Marvel Studios di unire la
serie di film di Deadpool – l’unica parte del
franchise degli X-Men sopravvissuta all’acquisizione
della Fox da parte della Disney – è stabilire che i film di
Reynolds si siano svolti in un universo diverso. Ciò preserva i
film degli X-Men della Fox nel loro universo, consentendo al
contempo a Deadpool e Wolverine, di nuovo interpretato
da Hugh Jackman,
viaggiare nell’universo principale dell’MCU.
Nel film saranno poi presenti anche
personaggi presenti nei primi due film di Deadpool, come
Colossus e Testata Mutante Negasonica. Da tempo, però, si vocifera
che anche altri X-Men possano fare la loro
comparsa nel film, come anche alcuni altri supereroi della
Marvel comparsi sul
grande schermo nei primi anni Duemila, in particolare il Daredevil di Ben
Affleck. L’attrice Jennifer Garner
sarà presente nel film con il ruolo di Elektra, che riprende dunque
a quasi vent’anni di distanza dal film a lei dedicato.
In attesa di ulteriori conferme,
sappiamo che Shawn
Levy dirigerà Deadpool 3,
mentre Rhett Reese e Paul
Wernick, che hanno già firmato i primi due film sul
Mercenario Chiacchierone, scriveranno la sceneggiatura basandosi
sui fumetti creati da Rob Liefeld,
confermandosi nella squadra creativa del progetto. Il presidente
dei Marvel Studios, Kevin
Feige, aveva precedentemente assicurato ai fan che rimarrà
un film con rating R, proprio come i primi due film, il che lo
renderebbe il primo film dello studio con tale classificazione
matura.
Il regista Martin Scorsese
spiega perché nell’affrontare il mistero alla basa di Killers of the Flower
Moon si è allontanato dal libro, il quale
consente invece ai lettori di indagare sull’orribile mistero
giungendo infine allo svelamento dell’identità dei responsabili.
Con il film di Scorsese, invece, gli spettatori scoprono sin
dall’inizio chi è il colpevole, quindi sostanzialmente non c’è
alcun aspetto giallo su cui lavorare. La scelta è ovviamente
intenzionale ed è motivata dal fatto che Scorsese crede che il
mistero più grande non sia chi ha compiuto i crimini, ma
perché.
Nel corso di un’intervista con
IndieWire, il regista ha infatti
dichiarato che: “cosa c’è in noi che ci spinge a farlo? Qual è
il difetto nella nostra natura umana che ci fa approfittare degli
altri, che ci fa credere superiori? Essendo anch’io uno di loro,
europeo americano, vengo da un clima meridionale, la Sicilia, un
po’ diverso dai climi settentrionali dell’Europa e della
Scandinavia. Così tante persone sono arrivate come immigrati, come
coloni. E c’era un’etica secondo cui semini e raccogli. Lavori e
poi Dio ti benedice con le ricompense. Semplicemente, però, non
sembrava giusto, dal punto di vista di quel gruppo di persone
provenienti dall’Europa“.
“Perché queste persone [gli
Osage] che non lavorano, dovrebbero essere improvvisamente
benedette da tutta questa ricchezza, perché viene dalla terra?
Prima di tutto, non sono cristiani. Non sanno nulla su come
maneggiare il denaro, cosa sia il denaro”, spiega Scorsese
cercando di mettersi nei panni di quei coloni. Il regista ha dunque
ritenuto più interessante porsi dal punto di vista di questi
personaggi, cercando di indagarne la natura. Allo stesso tempo,
Scorsese non ha né potuto né voluto ignorare l’amore esistente tra
i due protagonisti, considerandolo il vero cuore del racconto.
Killers of the Flower
Moon, tutto quello che c’è da sapere sul film
Martin Scorsese ha diretto e scritto la
sceneggiatura con Eric Roth, co-sceneggiatore
di Dune e A
Star is Born. Leonardo
DiCaprio interpreta Ernest Burkhart, il nipote di un
potente allevatore locale interpretato da Robert De Niro, mentre Lily
Gladstone interpreta la moglie Osage Mollie e
Jesse Plemons è Tom White, l’agente dell’FBI
incaricato di indagare sugli omicidi. Il cast include anche
Brendan Fraser e John Lithgow.
Killers of the Flower Moon riunisce ancora una
volta Martin Scorsese con i collaboratori di lunga
data Leonardo DiCaprioe
Robert De Niro. Insieme a loro ci sono l’attore premio
Oscar
Brendan Fraser, Jesse Plemons, Lily Gladstone,
Tantoo Cardinal, Jason Isbell, Sturgill Simpson, Louis Cancelmi,
William Belleau, Tatanka Means, Michael Abbott Jr., Pat Healy,
Scott Shepherd e molti altri. Il film è una produzione di
Apple Studios, Imperative Entertainment e Appian Way Productions,
con Dan Friedkin e Bradley Thomas come produttori.
La ricerca di un nuovo interprete
per il ruolo di James
Bond è sempre uno dei processi di casting più
attentamente esaminati a Hollywood. Ma mentre il team del
casting ha rilasciato alcune informazioni sull’età e sui
prerequisiti di nazionalità del prossimo attore, sembra che il
sostituto di Daniel Craig per tale
personaggio non verrà annunciato in tempi brevi. In una nuova
intervista con The Guardian, Barbara
Broccoli, produttrice di lunga data del franchise di Bond,
ha spiegato che non ha ancora iniziato a pianificare la prossima
iterazione della serie.
“Daniel [Craig] ci ha dato la
possibilità di scavare nella vita emotiva del personaggio e anche
il mondo era pronto per questo“, ha detto Broccoli. “Penso
che questi film riflettano il momento in cui si trovano, e c’è una
grande, grande strada da percorrere per reinventare la saga con il
prossimo capitolo e non abbiamo nemmeno ancora iniziato”. Pur
comprendendo che la prossima era del franchise dovrà riflettere un
mondo che è cambiato molto da quando Craig è stato introdotto nel
2006, Broccoli ha poi citato la storia della serie come prova della
capacità di adattamento di James Bond.
“Torno a ‘GoldenEye’ quando
tutti dicevano. “La guerra fredda è finita, il muro è finito, Bond
è morto, non c’è bisogno di Bond, il mondo intero è in pace e ora
non ci sono più cattivi“, ha detto Broccoli. “E ragazzi,
quella convinzione era così sbagliata!”. La produttrice ha poi
però chiarito che il futuro di Bond rimane legato al grande
schermo: “realizziamo i film di James Bond per il grande
schermo cinematografico. Tutto ciò che riguarda i film di Bond deve
essere visto dal pubblico di tutto il mondo in quel formato, quindi
non vogliamo spostarci in televisione.“
Tuttavia, Broccoli ha anticipato che
potrebbero esserci ulteriori espansioni del franchise
all’orizzonte. Ha infatti spiegato di essere aperta a riavviare il franchise per i
mercati internazionali e a realizzare spin-off che cambino l’etnia
dell’iconica spia. “Non siamo ancora arrivati a quel punto, ma
mi piacerebbe vedere le varie versioni del personaggio in tutto il
mondo, dall’Africa, all’India e all’Asia“, ha detto. Che un
prossimo James Bond ci sarà, è certo. Non resta però che attendere
maggiori informazioni, che però non sembrano essere attualmente in
vista.
Il genere del legal drama
circoscrive la sua narrazione agli eventi che si svolgono dentro e
fuori il tribunale giudiziario. Può cambiare il punto di vista, ce
ne possono essere molteplici, ma nel complesso la storia segue una
traiettoria molto specifica, che si conclude alla fine con lo
svelamento della verità e l’assolvenza – o meno – dell’imputato in
questione. In Holiday Edoardo
Gabbriellini decide di fare un lavoro al contrario e di
concederci uno sguardo – molto lungo – a quel che accade dopo.
Protagonista di un racconto tanto ambiguo quanto pieno di zone
d’ombra è Veronica, interpretata da un’esordine ed efficace
Margherita Corradi. Il film è in Concorso alla 18esima
edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione
Progressive Cinema, sceneggiato da Gabbriellini insieme a Carlo
Salsa e Michele Pallagrini, e prodotto da Olivia Musini con Lorenzo
Mieli e Luca Guadagnino.
Holiday, la trama
Dopo due anni di carcere, Veronica
(Margherita Corradi), dichiarata non colpevole di
aver ucciso la madre nella Spa del loro hotel, torna a casa dal
padre. Ad accoglierla c’è subito l’amica Giada (Giorgia
Frank), pronta a farle recuperare tutto il tempo perduto.
Ma tornare alla realtà – e soprattutto alla libertà – non è per
niente facile. In primis perché la gente di lei non parla bene,
molti la credono ancora colpevole, altri la denigrando su Instagram
facendo persino commenti a sfondo pornografico. Mentre cerca di
barcamenarsi in questa serie di situazioni spiacevoli e sciacchiare
play a una vita che aveva dovuto mettere in pausa, lo spettatore
cercherà di capire attraverso sguardi sul passato cosa è davvero
successo prima dell’omicidio, e soprattutto cosa è stato detto
durante il processo. Tutti, però, dal padre alla migliore amica
potrebbero avere un movente. Quindi perché hanno accusato solo
Veronica di aver ucciso la madre? Quando si inizierà a formulare un
pensiero sulla protagonista, ecco che il film cambierà di nuovo
strada, fino all’ambiguo finale.
Uno stile destabilizzante
Holiday è
una storia indecifrabile. Come lo è la sua protagonista, Veronica,
di cui non riusciamo a trarre alcun tipo di giudizio che sia valido
o fondato su prove concrete. Gabbriellini modella un film difficile
da analizzare, complesso da leggere e decifrare. Intanto perché lo
arricchisce di flashback (non proprio esaustivi), i quali non
diventano altro che uno stile narrativo per raccontarci da più
prospettive una vicenda che, fino alla fine, non riuscirà mai ad
essere limpida e chiara. Sono tre i piani temporali da seguire: il
primo è quello del presente, nel quale il regista butta in pasto ai
leoni (utenti social, giornalisti, occhi giudicanti dei passanti)
una ragazza appena stata scarcerata, che deve affrontare una realtà
nella quale nessuno, sostanzialmente, le crede.
Ci sono poi i ricordi suoi e
dell’amica Giada, la quale sia prima che dopo l’omicidio della
madre di Veronica le è sempre stata accanto, ma che non si riesce a
comprendere in che posizione si trovi rispetto la questione
dell’assassinio. E infine c’è la ricostruzione del processo, in cui
i testimoni vengono torturati psicologicamente dall’accusa. Sono
tutti elementi che si mischiano, a volte si accavallano, tanto che
bisogna compiere uno sforzo in più per capire meglio in quale
spazio-tempo ci si trovi. Ad accorrere in aiuto potrebbe essere,
fra le cose più evidenti, l’uso dei colori, che diventa più caldo o
più freddo (ma di poco) a seconda del periodo trattato. Il
passaggio da uno spezzone all’altro è un po’ confusionario, e la
destabilizzazione che se ne ricava impedisce di entrare a pieno nel
tono misterioso dell’opera, che rimane nel suo insieme,
volontariamente, fredda e distaccata. Quasi come se l’intento del
suo regista fosse quello di farcela guardare in un modo che ci
impedisca di giudicare la protagonista.
Chi è Veronica?
Una protagonista della quale alla
fine non si scoprirà poi molto. Né di lei né dell’azione commessa –
se l’ha davvero commessa. Gabbriellini, poi, attraverso lei, ci
introduce sin da subito a delle tematiche molto sentite non solo
dai giovani ma da tutte le generazioni. Una fra queste è
l’influenza che hanno i social sulla nostra vita, strumenti che
permettono a chiunque di aprire bocca anche su cose di cui non
conoscono neppure gli antefatti. C’è anche la difficoltà, ad oggi,
di essere giovani, ma anche di essere adulti, causata in primis da
una società e un sistema a loro volta ambigui e iniqui. C’è poi la
denuncia all’adesione di alcuni canoni di bellezza assurdi,
rappresentata in questo particolare caso dalla madre di Veronica,
Elisabetta, sempre pronta a rammentarle di dimagrire,
disprezzandone persino a gran voce il suo corpo.
Temi molto delicati e dolenti, che
per quanto siano importanti in una storia che tratta di giovani – e
che forse è per i giovani – non riescono a rimanere punti fermi del
film, il quale nonostante voglia sollevare alcune riflessioni in
merito a essi, si impegna di più a costruire un percorso che, man
mano che va avanti, diventa sempre più strano, contorto,
incomprensibile. È che quindi, paradossalmente, diventa la parte
che più coinvolge. Perché Holiday è un
noir atipico, che lascia al pubblico il piacere
dell’interpretazione muovendo i personaggi solo come delle pedine,
senza dargli un vero approfondimento psicologico, con lo scopo di
confondere e depistarli. Chi è il colpevole, in conclusione? Quello
in cui crediamo cambia continuamente. Una volta che gli dà tutti
gli strumenti per pensarci, seminandoli nella storia,
Holiday finisce. Ora siamo noi, con le
nostre nuove idee (sbagliate o giusto che siano) a deciderlo.
“Così il tempo e lo spazio non ci separano.” –
Nuovo Olimpo.
È un cinema che sa di casa, di
famiglia, quello di Ferzan Ozpetek.
È un cinema di sguardi, di intese, sentimenti catartici, conflitti
relazionali, passioni. Di carezze e di lacrime. Soprattutto è un
cinema in cui la collettività, l’appartenenza a una comunità, la
bellezza della convivalità e la condivisione hanno sempre avuto il
posto in prima fila nella platea delle tematiche principali del suo
autore. Ne costituiscono la cifra stilistica e contenutistica,
un’impronta netta che in ogni suo lavoro mai si sbiadisce, e che
pone al centro l’amore. L’amore declinato in tutte le sue forme,
sfaccettature e contraddizioni.
Una forza potente, a volte
devastratrice, altre salvifica, di cui Ozpetek ne maneggia il senso
più puro e profondo decantandola sullo schermo quasi come una
poesia. Non è da meno la sua ultima opera, NuovoOlimpo, che pur rinunciando ad alcune
cifre dominanti presenti in gran parte della sua filmografia, torna
– dopo LaDea
Fortuna – per parlarci di un amore che resiste al tempo e
allo spazio, alla vita che scorre e alle sue incrinature. Il
regista tesse le fila di un racconto un po’ diverso dai suoi
predecessori, e lo fa ispirandosi a una storia vera che proprio a
lui accadde nella Roma del 1979. Nuovo Olimpo, presentato alla 18
esima edizione della Festa del
Cinema di Roma nella sezione Grand
Public, debutterà suNetflix
il 1 novembre.
Nuovo Olimpo, la
trama
È un colpo di fulmine quello che
hanno Pietro (Andrea Di
Luigi) ed Enea (Damiano Gavino)
quando nel 1979 si incontrano sul set di un film a Roma. Si
scambiano un intenso sguardo, poi il secondo, preso dal suo lavoro,
lo distoglie, rompendo la magia. Ma il destino ha in serbo per loro
qualcosa di speciale, e li fa presto rivedere al cinema Nuovo
Olimpo, dove Pietro entra per la prima volta per guardare vecchi
film in bianco e nero, ritrovandosi dopo poco in un bagno con Enea
a scambiarsi appassionanti effusioni. Pietro però all’inizio è
incerto sul da farsi, e a condurlo nel gioco della seduzione è
proprio Enea, che avvia una storia d’amore destinata a infiammarsi.
Giri in vespa, balli in terrazza, baci e risate: i due giovani
ragazzi si innamorano nell’arco di pochi giorni, fino a quando
Pietro non chiede a Enea un appuntamento ufficiale.
Loro due in una trattoria romana, a
bere e mangiare, per poter fare una cosa semplice, che però vale
più di mille parole: guardarsi. L’appuntamento è preso, ma Pietro
non si presenterà mai poiché coinvolto in una manifestazione nella
quale si romperà un braccio. Passano gli anni, loro crescono e
vanno avanti, pur comunque continuando a pensarsi. Enea diventa un
regista, Pietro un medico. Uno convive, l’altro è sposato. Sono
distanti anni luce l’uno dall’altro, ma non con il cuore. Eppure
sembra che la vita non voglia proprio farli rivedere. Ma come canta
Antonello Venditti… “certi amori non
finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano.”
Enea e Pietro: cosa ci resta di
loro?
Vuole saggiare nuove modalità di
narrare e dare forma al racconto, Ozpetek, con Nuovo
Olimpo. E decide di farlo addentrandosi nei territori
del tempo, che qui è inesorabile. Lo divide, lo frammenta, tenta di
analizzarne le conseguenze derivanti dagli anni che passano. A
scandirlo è un ritmo lento, che fa quasi da contraltare all’amore
fulmineo di Enea e Pietro, innamoratisi già dal primo sguardo
scambiatosi su un set dove il primo fa il volontario. Ozpetek sa di
essere uscito dalla sua comfort zone scegliendo questa specifica
operazione strutturale. Non c’è più, infatti, la compattezza
temporale dei suoi precedenti film, e questo si percepisce da una
poca solidità narrativa degli archi temporali che racconta, ben
quattro anni diversi che si distanziano di parecchio l’uno
dall’altro, piccole parentesi di una storia che nel doversi fare
più intensa nel suo progredire, come ci si aspettava, risulta
rimanere sempre in superficie, sia nei sentimenti che nelle azioni,
un po’ tremolante nell’andare fino in fondo.
Il regista turco sembra aver
annaspato e faticato non poco mentre cercava di gestire le linee
narrative, evolutive ed emozionali dei suoi protagonisti nelle
varie fasi della loro vita, in particolare nel passaggio da giovani
ad adulti. E questo, a prodotto ultimato, è andato a scaricare la
tensione emotiva e amorosa della coppia dopo una prima parte molto
convincente, la quale fa parte dell’anno più costruito e sviluppato
rispetto agli altri (ossia il ’79). Un peccato, visto
l’interessante impiattamento della narrazione, che però essendo
così poco approfondita fa essere Enea e Pietro meno coinvolgenti e
convincenti rispetto ad altri personaggi portati sullo schermo da
Ozpetek, pur essendo nel loro complesso piacevoli.
Un’ode al cinema
I difetti, dunque, non mancano in
Nuovo Olimpo. Ma qualcosa da apprezzare
ce l’abbiamo comunque. Sì, perché Ozpetek ci regala una bella
lettera d’amore al cinema, che si lega a doppio
giro con il concetto di memoria. Pietro ed Enea si incontrano su un
set, poi al cinema – il Nuovo Olimpo del titolo – e quando si
separano, quest’ultimo, diventato regista, fa della loro storia
d’amore un film. Imprime i suoi ricordi sulla pellicola, li
traspone e imprigiona sulle immagini per non lasciarli morire.
Trasforma i suoi sentimenti in sequenze concrete, affinché né
questi né la sua relazione possano essere dimenticati. Ma anzi, fa
in modo che vivano in eterno, nel bagliore di una sala che scalderà
e al tempo stesso lenirà il suo cuore sofferente. E in fondo, vuole
dirci Ozpetek nel sottotesto, non è questa la funzione del cinema?
Essere un forziere di memorie e passioni, farle diventare
immortali, pronte a riaffiorare e ardere ogni qual volta se ne
sente il bisogno. Perché il cinema ha la capacità di continuare a
farti sentire una presenza anche là dove c’è assenza; di darti
calma e bellezza anche quando attorno c’è scompiglio; di
riavvolgere i momenti e farli ripartire come se stessero accadendo
di nuovo, anche se poi ai titoli di coda ci si volta e quello che
si ha visto sullo schermo non lo si trova più accanto.
Il cinema è un amico che ci tiene
compagnia e ci rassicura, ci spinge a credere nell’impossibile e ci
aiuta a superare le difficoltà. Ed è anche un luogo, inteso come
dimensione concreta, dove tutto è concesso e nessuno ti giudica.
Nel trasmetterci queste emozioni rivolte alla Settima Arte
Nuovo Olimpo funziona e arriva dritto al
cuore del pubblico, assumendo le vesti di una storia a tratti
metacinematografica, nella quale intercettiamo in Enea l’alter ego
del regista. Una nota, possiamo dire, molto positiva rispetto ai
problemi di sceneggiatura riscontrati nella pellicola. Ozpetek alla
fine saluta il suo pubblico con una sequenza che tocca le corde
dell’animo e solleva un po’ le sorti del film: la voce melodica di
Mina – presenza costante – abbraccia e accarezza i protagonisti in
un tempo indefinito prima che le luci si spengano. Il regalo che ci
fa il regista è lasciarci immaginare, con un “what if”,
quale potrebbe essere secondo noi il futuro dei protagonisti.
Facendoci capire quanto siamo, anche noi, parte di questo
meraviglioso e ipnotico mondo chiamato cinema.
Stephan Komandarev con il suo
Blaga’s Lessons porta nella sezione
Progressive Cinema della
Festa del Cinema di Roma uno sguardo sul mondo
degli anziani, tenuti spesso ai margini delle odierne società, come
tutti coloro che non producono ricchezza, o si ammalano e vengono
visti esclusivamente come un problema.
La trama di Blaga’s
Lessons
Blaga, Eli
Skorcheva, è una settantenne bulgara, ex insegnante, che
ha appena perso il marito. Ha messo da parte tutti i suoi risparmi
per acquistare la tomba del coniuge, che poi diventerà anche la
sua. Proprio quando sta per acquistarla, viene truffata e derubata
di tutto il denaro, che teneva nascosto in casa. Determinata a non
rinunciare al suo progetto, deve inventarsi qualcosa. Non bastano
infatti, ad acquistare la tomba, i soldi che l’anziana guadagna con
le lezioni private di bulgaro che impartisce, né quelli della magra
pensione. Blaga escogiterà uno stratagemma che le farà fare ciò che
mai aveva pensato, fino a cambiare radicalmente il primo modo di
rapportarsi al mondo.
Blaga’s Lessons spinge a
interrogarsi
Blaga’s
Lessons mette sul piatto molte questioni di carattere
sociologico, ma anche legate al modello economico capitalistico,
alla base della società occidentale. Un modello che mette al centro
il profitto, a qualsiasi costo, e che tende a monetizzare tutto,
anche gli affetti. Fino a dove ci si può spingere per ottenere ciò
che si è convinti di meritare? Fino a quale livello di
spregiudicatezza e assenza di scrupoli arriva ciascuno per avere il
proprio tornaconto? Che società è quella in cui gli anziani sono
marginalizzati e considerati come un peso dai propri figli? O alla
stregua di polli da spennare, da parte di persone più o meno
disoneste nei rispettivi contesti? Quanta frustrazione e rancore
possono covare per questo?
Eli Skorcheva in Blaga’s Lessons
La protagonista di Blaga’s
Lessons
A queste domande il regista
Stephan Komandarev, candidato all’ Oscar nel 2008,
risponde con la lunga ed estenuante peregrinazione, a piedi e in
macchina, di giorno e di notte, della sua protagonista,
interpretata da Eli Skorcheva, che percorre la
strada disturbante e financo deprimente, che la porta sempre più
giù, nell’ abisso dell’ abiezione umana. Il film è tutto incentrato
su di lei, che compare quasi sempre da sola, nella propria casa o
in strada, in sequenze ricorsive, sempre simili a sé stesse. Il
regista punta tutto sulla figura di questa donna minuta e dall’
aspetto dimesso, in contrasto con quello che sarà nel corso del
film il suo agire, e su un’atmosfera inquietante, di suspense, che
percorre il lavoro.
Nonostante la bravura della
protagonista, che tiene letteralmente da sola sulle spalle il film,
è però davvero difficile mantenere viva l’attenzione dello
spettatore per quasi due ore, solo attraverso il suo pedinamento.
Gli sguardi, il volto provato della donna comunicano molto a chi
osserva, un ambiente sempre grigio è consono alla vicenda, ma ci si
aspetta qualcosa di più. Qualcosa che non arriva, per tutta la
durata del film.
Un racconto duro e minimalista
Blaga’s
Lessons rimane un racconto duro e minimalista – forse
troppo, e come tale, di non facile fruizione – sui mali del nostro
tempo e le distorsioni cui la società ci ha purtroppo abituato.
Quello di Blaga potrebbe essere uno dei tanti casi di cronaca,
ormai sempre più assurdi, che riempiono le pagine dei
quotidiani.
La carriera di Zucchero
Sugar Fornaciari – pseudonimo di Adelmo
Fornaciari – ha fatto da spartiacque tra la musica
italiana: c’è solo un dopo Zucchero ed è
impossibile stabilirne un prima. Una carriera caratterizzata
dall’umiltà e dell’incertezza di non essere mai abbastanza e che
viene celebrata nel film documentario – diretto da Valentina Zanella e
Giangiacomo De Stefano – attraverso le sue parole
e quelle di colleghi e amici come Bono,
Sting, Brian May,
Paul Young, Andrea Bocelli,
Salmo, Francesco Guccini,
Francesco De Gregori, Roberto
Baggio, Jack Savoretti, Don
Was, Randy Jackson e Corrado
Rustici.
Un viaggio dell’anima che, grazie a
immagini provenienti dagli archivi privati di Zucchero e dal “World
Wild Tour”, il suo ultimo e trionfale tour mondiale, va oltre il
ritratto di un musicista di successo arrivando fin dentro i dubbi e
le fragilità dell’uomo. Zucchero Sugar
Fornaciari sarà al cinema il 23, 24 e 25 distribuito
da Adler Entertainment.
Zucchero Sugar Fornaciari,
la trama
La vita di Zucchero raccontata nel
documentario prende vita in modo non lineare, come se fosse un
concertino jazz, di quelli che ascolti per strada. Ti lasci
trasportare dal ritmo, anche se ogni strumento suona una melodia
diversa dall’altra. Il cantante di Roncocesi ha fatto della musica
la sua vita e la stessa musica lo ha salvato, come dice lui
“prendendomi per i capelli”. La lotta per uscire dalla
depressione, il divorzio e tour mondiali sold-out
in tutto il mondo tra capitali europee, Nord America, Stati Uniti e
anche l’Oceania.
È proprio un viaggio a 360° nella
sua musica, nei suoi ricordi, nelle sue influenze musicali visto
non solo con gli occhi di Zucchero stesso ma di tutte le persone
che ha toccato. Da Bono, con il quale ha scritto
diversi pezzi, ad Andrea Bocelli che afferma come
la sua carriera sia iniziata grazie a lui. Una vita dedicata alla
musica e con la musica, ed è quello che ha voluto dare del suo
World Wild Tour 2022-2023 riuscendo a girare per
il mondo espandendo così il suo successo.
Ph: Matteo Girola
La “voce della tribolazione” come la
chiama De Gregori, amico che ha collaborato a Diamante –
pezzo dedicato alla nonna che portava questo nome. Sì perché
Zucchero è cresciuto in mezzo alla fattoria dei nonni e soprattutto
con la nonna passava molto tempo. La vanga, le radici e un
cappello e ci troviamo nella Roncocesi degli anni
’50, una città che non è una metropoli e vive solo di quello che
ha. Ma Roncocesi per un bambino nato in quegli anni ha tutto ciò
che si desidera e se quel bambino è il futuro Zucchero Fornaciari
l’essenziale è un organo nella chiesa di fronte casa.
Tra l’Emilia e il West
Tra l’Emilia e il West cantava
Guccini che usa queste parole per descrivere i viaggi musicali,
spirituali e fisici di Zucchero all’interno del
film documentario. L’aria di Roncocesi così triste e malinconica lo
porteranno in seguito a ricercare questo stesso blues
altrove, in America dove si radicata la sua anima capace di mettere
insieme l’energia afroamericana e la liricità italiana. Un artista
a tutto tondo che cade, e fa fatica ad alzarsi perché come dice
Salmo: “Questo è il peso del successo”.
La depressione
durata dall’89 al ’95 e che coincide banalmente anche con il
periodo di massimo splendore dell’artista che in quegli anni
accompagnava Eric Clapton ai concerti. Zucchero
racconta dei suoi attacchi di panico e della sua vita nella sua
Lunisiana Soul, il luogo che lo ha salvato.
Un’oasi in mezzo al nulla, nella cornice naturalistica della
Toscana incontaminata. Lì si trova Zucchero Sugar Fornaciari e se
tendete l’orecchio al vostro passaggio potrete sentire una chitarra
strimpellata.
Il film del 1976 Rocky
è una delle più celebri pellicole della storia del cinema, un
classico intramontabile del genere sportivo capace di vincere
l’Oscar come miglior film e lanciare la carriera del suo attore e
sceneggiatore Sylvester
Stallone. Il successo fu tale che i produttori
decisero poi di dar vita ad un sequel nel 1979, Rocky II, il quale fu
poi seguito nel 1982 da Rocky III. La saga
sembrava concludersi così, ma solo tre anni dopo è arrivato
Rocky IV, ancora
scritto, diretto ed interpretato da Stallone, seguito poi nel 1990
da Rocky V, diretto però da John
G. Avildsen, regista del primo film.
Alla sceneggiatura vi è invece
ancora una volta Stallone, che come per i precedenti anche in
questo quinto ha inserito alcuni elementi autobiografici. In
Rocky III e Rocky IV, il protagonista era
imbattibile, incredibilmente famoso e popolare, il che coincideva
con l’apice della popolarità di Stallone. Questa era però scemata
dopo il quarto film e nello scrivere la sceneggiatura di questo
quinto capitolo, l’attore ha deciso di tenere in considerazione
l’idea di come un uomo possa avere tutto, solo per poi perderlo
all’improvviso. Paradossalmente, il quinto capitolo è stato anche
l’unico flop economico della saga.
Negli anni, tuttavia, Rocky
V è stato parzialmente rivalutato dai fan, che vi riconoscono
il portare ad un nuova fase l’arco narrativo del protagonista.
Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente
utile approfondire alcune delle principali curiosità relative ad
esso. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile
ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e
al cast di attori. Si riporta inoltre quello che
doveva essere il finale originale, prima che
Stallone decidesse di cambiarlo. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Sylvester Stallone e Tommy Morrison Rocky V
La trama di Rocky V
Dopo il match contro Ivan
Drago,Rocky Balboa rientra da vincitore
negli Stati Uniti. Per via dei gravi traumi cerebrali rimediati
durante l’incontro, però, annuncia il suo addio definitivo al
pugilato. Nonostante questo annuncio, viene sfidato da un ricco
manager, George Washington Duke, a combattere
contro il suo campione Union Cane, ma Rocky,
fedele a quanto dichiarato, non accetta. Purtroppo il pugile scopre
di essere finito sul lastrico a causa una serie di investimenti
sbagliati, effettuati da suo cognato Paulie. Rocky
vorrebbe quindi accettare la sfida per guadagnare qualche soldo, ma
i medici gli comunicano che il ritorno sul ring potrebbe costargli
la vita.
Per cercare di non far mancare
niente alla moglie Adriana e al figlio
Robert inizia allora ad allenare il giovane
Tommy Gun, che subito si rivela essere molto in
gamba. Il successo di Tommy non passa inosservato e attira
l’attenzione di Duke, che lo convince a combattere contro Cane: il
ragazzo accetta, malgrado Rocky sia contrario. La sera
dell’incontro, un vittorioso Tommy non cita però Rocky nei
ringraziamenti, ma anzi lo sfida sul ring. Rocky rifiuta ancora una
volta ma quando il ragazzo colpisce Paulie in viso, fa cambiare
idea all’ex pugile, deciso a rivendicare il suo onore.
Sylvester Stallone e Sage Stallone in Rocky V
Il cast di Rocky V: da
Sylvester Stallone a Sage Stallone
Ad interpretare Rocky Balboa,
naturalmente, c’è ancora una volta Sylvester
Stallone, mentre l’attrice Talia Shire
riprende il ruolo di Adriana. All’epoca l’attrice era impegnata
anche nelle riprese di Il Padrino – Parte III, dove
interpretava Connie Corleone, e si trovò a doversi dividere tra i
due set. Nel ruolo di Robert, il figlio di Rocky, vi è invece
Sage Stallone,
il primogenito di Sylvester poi tristemente scomparso nel 2012
all’età di 36 anni. L’attore Burt Young, invece,
riprende il ruolo di Paulie Pennino, mentre Tony
Burton ritorna nel ruolo di Tony “Duke” Evers, amico di
Rocky ed ex allenatore e manager di Apollo Creed.
L’attore Richard
Gant interpreta George Washington Duke, un personaggio
esplicitamente ispirato al dirigente sportivo Don
King, noto per aver organizzato innumerevoli incontri
storici di pugilato, ma anche per essere stato il manager di
leggende come Muhammad Ali, George
Foreman e Mike Tyson. Michael
Anthony Williams e Tommy Morrison sono
invece gli interpreti di Union Cane e Tommy Gun, erano pugili nella
vita reale. Circa un mese dopo l’uscita del film, i due avrebbero
dovuto combattere in un vero match pubblicizzato come “The Real
Cane vs. Gunn Match“. L’evento venne però annullato per via di
un infortunio di Williams.
Rocky V: il finale del
film
Originariamente, Sylvester Stallone
considerò l’idea di uccidere Rocky alla fine del film. Il piano era
che Rocky, dopo il match, morisse in ambulanza mentre si recava
all’ospedale con Adriana al suo fianco. La moglie avrebbe allora
annunciato al mondo la sua scomparsa e il film si sarebbe concluso
con un flashback finale della famosa scena del primo film di Rocky
che corre su per i gradini. Alla fine, tuttavia, Stallone abbandonò
quest’idea e riscrisse il finale così come è oggi presente nel
film. Qualora avesse proceduto con l’uccidere Rocky, ciò avrebbe
reso impossibile ulteriori racconti a lui dedicati, come invece
avvenuto poi con Rocky Balboa e Creed.
Il trailer di Rocky V e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Rocky V grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten
TV, Chili Cinema, Apple TV e Prime Video. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il
film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato
21 ottobre alle ore 21:25 sul canale
Rete 4.
Con i suoi racconti gialli la
scrittrice Agatha Christie ha fornito un
illimitato patrimonio narrativo anche al cinema, che negli anni ha
adattato e trasformato le sue storie per dar vita a film sempre
diversi. Il regista Kenneth Branagh
si è di recente tuffato proprio nel mondo della Christie,
riportando sullo schermo un personaggio iconico e amato come
Hercule Poirot. Nel 2017 questo è infatti stato
protagonista di Assassinio sull’Orient
Express (qui la recensione), adattamento
di uno dei più celebri romanzi della Christie, da lei scritto nel
1934. Si tratta di un puro giallo, con un omicidio, dei sospettati
e degli indizi con cui arrivare al colpevole.
Assassinio sull’Orient
Express era già stato portato sul grande schermo nel 1974, per
la regia dell’acclamato Sydney Lumet. Un film
ancora oggi ritenuto di estremo valore, dal quale Branagh ha
naturalmente cercato di prendere le distanze per costruire la sua
versione del racconto. Il regista, anche interprete del film, ha
infatti preferito dar vita ad un film molto più cupo rispetto a
quello di Lumet, concentrandosi su sentimenti come il dolore e la
perdita, facendo di questi il filo conduttore e l’elemento portante
dell’intera narrazione. Apprezzato dalla critica, il film si è poi
affermato come un grandissimo successo con un incasso di oltre 350
milioni di dollari in tutto il mondo.
Sull’onda di questo rinnovato
interesse per i casi di Poirot, Branagh ha poi portato al cinema
nel 2022 il sequel Assassinio sul Nilo. In
attesa di vedere questo, una prima o nuova visione di
Assassinio sull’Orient Express sarà certamente utile per
conoscere meglio il protagonista. Prima di intraprendere una
visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune
delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama, al cast di
attori e alle differenze con il libro.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama di Assassinio
sull’Orient Express e il cast del film
Ambientato nel 1934, il film ha per
protagonista HerculePoirot,
detective tanto infallibile quanto ossessionato dall’equilibrio e
dall’ordine. Per lui, che ha appena risolto un’esimo caso, si
prospetta ora un periodo di pausa dal lavoro. Per tornare a Londra,
egli si concede dunque il lusso di viaggiare sul celebre Orient
Express. Durante il viaggio, però, si consuma un atroce omicidio
nei confronti del misterioso Ratchett. Per Poirot,
l’assassino non ha però ancora avuto modo di lasciare il treno e si
nasconde tra i dodici passeggeri a bordo. Scoprire chi ha compiuto
l’atto e perché diventa dunque quantomai essenziale per la
sicurezza di tutti.
Come anticipato, ad interpretare il
detective Hercule Poirot vi è lo stesso Branagh, il quale per dar
vita al personaggio si è concentrato molto sui celebri baffi
descritti dalla Christie. Poiché nel libro questi vengono
menzionati numerose volte, Branagh ha ideato dei baffi
particolarmente vistosi e volutamente esagerati. Accanto a lui, nel
ruolo del misterioso Ratchett vi è l’attore Johnny Depp,
mentre il suo maggiordomo è interpretato da Derek
Giacobi. Nei panni della vedova di alta classe Caroline
Hubbard vi è l’attrice Michelle
Pfeiffer, la quale ha raccontato che pur non
conoscendo bene il romanzo ha adorato tanto la storia quanto il suo
personaggio.
Penelope Cruz
interpreta la missionaria spagnola Pilar Estravados, mentre
Willem Dafoe è il
riservato professore austriaco Gerhard Hardman. La premio Oscar
Judi Dench
interpreta l’anziana principessa russa Natalia Dragomiroff,
mentre Olivia Colmanè la
sua fedele cameriera. Josh Gad interpreta invece
Hector McQueen, l’assistente personale di Ratchett. Gli attori
Lucy Boynton e Sergei Polunin
sono i coniugi Andrenyi, mentre Tom Bateman è
l’ufficiale di bordo del treno. Completano poi il cast gli attori
Leslie Odom Jr., nei panni del gentilumo di colore
Arbuthnot, e Daisy Ridley in
quelli di mary Debenham, giovane istruttrice.
Assassinio sull’Orient Express: le differenze con il
libro
Nel portare al cinema il romanzo
della Christie, Branagh non si è allontanato dalla trama di questo
e anzi ha cercato di rimanere fedele in quanti più dettagli
possibile. Vi sono però state alcune modifiche resesi necessarie,
che non hanno però alterato la natura del racconto. Innanzitutto,
Branagh ha come già detto deciso di accentuare la forma dei baffi
di Poirot, facendogli assumere nel film una forma a manubrio,
differente di quella descritta dalla Christie. Piccole variazioni
si ritrovano poi anche nelle backstory dei protagonisti. La
missionaria Pilar, ad esempio, passa dall’essere una svedese nel
libro ad una donna spagnola nel film, mentre il maggiordomo di
Ratchett è molto più anziano di quanto descritto nel romanzo.
Differenti inoltre sono le modalità
con cui Ratchett cerca di convincere Poirot a vegliare su di lui.
Se nel film egli tenta di guadagnare la fiducia del detective con
dolci e chiacchiere, nel libro utilizza invece dei metodi molto più
bruschi, che rivelano la sua vera natura. Particolarmente diversa è
anche la rappresentazione dei motivi per cui il treno rimane
bloccato in mezzo alla neve. Nel romanzo il tutto avviene
maggiormente sullo sfondo, mentre nel film l’impatto con una
valanga è un evento particolarmente significativo. Ciò che
certamente differisce di più tra film e libro è però il finale.
Branagh ha infatti scelto di ambientare la risoluzione del caso
esternamente al treno, dando luogo ad uno svelamento del colpevole
che porta Poirot a compiere un significativo cambiamento etico e
personale.
Assassinio sull’OrientExpress: i sequel, il trailer e dove vederlo in streaming
e in TV
Dato il successo del film, nel 2022
viene rilasciato Assassinio sul
Nilo, adattamento del romanzo del 1937 Poirot
sul Nilo, con il protagonista che si trova a dover
risolvere un delitto passionale particolarmente complesso mentre
attraversa il Nilo su un battello. Nel 2023 viene invece
distribuito un terzo film, sempre diretto da Branagh, dedicato al
personaggio. Si tratta di Assassinio aVenezia, adattamento del romanzo del 1969
Poirot e la strage degli innocenti (Hallowe’en
party). Un racconto, questo, che presenta elementi fantastici e
toni vicini a quelli di un film horror. Anche questo terzo capitolo
ottiene un discreto successo, con Branagh che si è poi detto
interessato a realizzare ulteriori film su Poirot.
È possibile fruire di
Assassinio sull’Orient Express grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei
cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple
iTunes, Disney+, Amazon Prime Video e Tim Vision. Per
vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà
noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo
di sabato 21 ottobre alle ore
21:45 sul canale Rai 3.
Un amor,
titolo dato al nuovo film della spagnola Isabel Coixet, potrebbe a primo
impatto portarci fuori binario. La storia, in Concorso alla
18esima edizione della Festa del
Cinema di Roma nella sezione Progressive Cinema, prima
di essere un racconto d’amore non ordinario, come si potrebbe
pensare dalle immagini ufficiali o dalla sua breve sinossi, è un
inno al raggiungimento della libertà interiore (e sociale), quella
ottenuta in seguito a una forte resistenza ma anche resilienza. La
regista, le cui donne che si devono confrontare con i problemi
della vita sono colonna portante della sua filmografia, per il suo
nuovo lavoro affida a Natalie, protagonista di Un
amor, il compito di parlarci di quanto questo possa
essere complicato e distruttivo se non decidiamo di agire – e
reagire – agli eventi che ci sovrastano.
A fare da sfondo a un racconto in
cui è ancora una volta l’empowerment femminile a dominare, una
campagna rurale spagnola dominata da misoginia, pregiudizi e a
volte chiusura mentale. Sono proprio questi, però, che a forza di
dare a Natalie tutti i giorni uno schiaffo in faccia non proprio
piacevole, le daranno la giusta carica per ribellarsi e poter, alla
fine, farsi valere. Un amor è tratto dall’omonimo romanzo
best seller di Sara Mesa, e ha come interpreti
principali Laia Costa nel ruolo di
Natalie e Hovik Keuchkerian in
quello di Andreas.
La trama di Un amor
Natalie (Laia
Costa) faceva la traduttrice simultanea per i rifugiati,
prima di decidere di trasferirsi a La Escapa, un paese rurale della
Spagna. Il dolore provocato dal suo precedente lavoro era diventato
insostenibile per lei, tanto da provocarle incubi. Ma la scelta di
andare ad abitare in una remota campagna si rivela non essere
quella adatta. Sin dal suo arrivo, la donna si trova a dover
affrontare una serie di situazioni spiacevoli, prima fra queste una
casa che sta crollando a pezzi, fatiscente, ma il cui burbero
proprietario non vuole riparare. Anzi, la tratta con disprezzo, le
inveisce contro senza il minimo scrupolo. Anche il vicinato non è
molto trasparente: c’è chi è sospettoso, c’è chi invece mostra
bontà ma non riesce a nascondere una fin troppo palese malizia.
Per Natalie le cose peggiorano
quando l’abitazione in cui vive inizia ad avere problemi di
infiltrazioni, fino a quando a causa delle piogge non si allaga
tutta, costringendola a mettere dei secchi per arginare il
problema. Una sera arriva alla sua porta Andreas (Hovik
Keuchkerian), un uomo la cui età potrebbe essere superiore
alla quarantina, e il cui aspetto fisico non è proprio dei migliori
e affascinanti. Egli si offre di darle una mano in cambio di
qualcosa di molto specifico: entrare in lei. Dopo un primo rifiuto,
la donna capirà di non avere alternative e alla fine accetterà. Da
quel momento instaurerà con lui una relazione quasi ossessiva,
oltre che malsana. Questo, però, la porterà paradossalmente a una
rinascita.
Una protagonista inaspettata
Isabel Coixet per
il suo Un amor decide di utilizzare il
4:3; una scelta che se all’inizio è quasi incomprensibile,
soprattutto per i panorami rurali e montuosi filmati il cui skyline
perde di maestosità a causa del formato, comprendiamo solo in
seguito essere lo strumento adatto per poterci restituire i
sentimenti – e la condizione – di Natalie. Grazie infatti a queste
inquadrature ristrette, il campo si concentra tutto sulla
protagonista. La macchina da presa aderisce a lei, e in quello
spazio chiuso – dove non riusciamo a vedere molto altro – possiamo
percepire la sofferenza di una donna che si sente stretta in una
morsa dalla quale non riesce a liberarsi. Ha cambiato vita per
allontanarsi da un lavoro che le provocava incubi per quanto
emotivamente stancante, ma il suo trasferimento si è trasformato in
un altro brutto sogno in cui il proprietario di casa è un
maschilista arrogante, gli uomini quasi tutti maliziosi e i vicini
di casa sospettosi e analizzatori. In un ambiente per certi versi
così ostile e ambiguo, Natalie trova riparo in una relazione
amorosa (o dovremmo dire sessuale) con Andreas, ma nella quale
niente è sano se non il suo bisogno di stare bene.
Crede di aver trovato qualcuno con
cui vivere la sua vita solitaria, che però a stento conversa con
lei. L’amore, dunque, diventa solo pretesto per farle
risolvere i suoi dubbi esistenziali. È l’escamotage
narrativo perfetto, non il viaggio. È l’inizio, non la fine. Tanto
che questo singolare legame – in cui c’è comunque una necessità da
parte della regista di sovvertire gli stereotipi di età – nasce
verso il secondo atto e si consuma anche molto brevemente. Quello
che resta, che impregna e bagna ogni sequenza, la ravviva e la
colora, è solo Natalie, che da tutte queste esperienze e
vicissitudini rinasce, nelle ultime battute, come una fenice dalle
proprie ceneri. Il finale di Un amor è
fra gli inserti più belli e puri; è catartico, potremmo dire quasi
sublime: è equilibrato ma impattante, semplice ma significativo. Di
cui difficilmente potremo dimenticarci. E applausi a Laia
Costa.
Presentato fuori concorso al Festival
di Cannes, l’attesissimo Killers of the Flower
Moon è il nuovo film di
Martin Scorsese che arriverà nei cinema italiani il
prossimo autunno, prima di approdare su Apple TV+. Il regista ne ha
anche curato la sceneggiatura insieme a Eric Roth,
basata sull’omonimo libro del 2017 di David Grann.
La trama è incentrata su una serie di omicidi avvenuti in Oklahoma
ai danni Nazione Osage durante gli anni Venti, commessi dopo che è
stato scoperto il petrolio nella loro tribù. Il film è interpretato
da Leonardo DiCaprio, qui anche nelle vesti di
produttore esecutivo, insieme a Robert De Niro, Lily
Gladstone, Jesse Plemons, Brendan Fraser e John
Lithgow. Si tratta della settima collaborazione tra
Scorsese e DiCaprio e dell’undicesima tra Scorsese e De Niro.
Killers of the flower moon, dal
libro al film
Basato sul best-seller di
David Grann del 2017 Killers of the Flower
Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI, il film targato Apple Studios racconta la
storia di come una serie di omicidi di nativi americani della
nazione Osage – per le riserve di petrolio sulla terra degli Osage
– sia coincisa con la nascita dell’FBI. In questo caso, è
Jesse Plemmons a interpretare Tom
White, un Texas Ranger trasformato in agente dell’FBI
inviato in Oklahoma da J. Edgar Hoover per
indagare sui crescenti omicidi dei membri della Nazione Osage,
allora molto ricchi. Inizialmente, DiCaprio avrebbe dovuto interpretare il
personaggio di White, punto di vista centrale del libro ma, assieme
a Scorsese e De Niro, si decise di riorganizzare la trama
del film attorno al sospettato Ernest Burkhart,
nel tentativo di evitare una narrazione incentrata sul “salvatore
bianco”.
Killers of the Flower
Moon è ambientato negli anni ’20 a Fairfax, un’area
dell’Oklahoma nord-orientale che, come sottolinea
Scorsese nell’ottimo prologo del film (una sorta di
mockumentary in bianco e nero), deteneva all’epoca il più alto
reddito pro capite, con gli indiani della Osage Nation come
principali beneficiari. In mezzo alla profusione di pozzi
petroliferi, ricevevano generose royalties ed è per questo che li
vediamo indossare gioielli ostentati e girare in auto lussuose con
autisti bianchi.
Nel bel mezzo di questa corsa
all’oro (nero), Ernest Burkhart (Leonardo
DiCaprio), un veterano della Prima Guerra mondiale (in
realtà era un cuoco della Fanteria) arriva sulla scena insieme a
migliaia di altri lavoratori per unirsi all’azienda gestita da suo
zio William “The King” Hale
(epiteto che spiega da se la sua influenza nella gestione del
potere nella contea). Proprio su suggerimento di Hale, Ernest sposa
Mollie, membro di una delle tante famiglie
autoctone benestanti; in questo senso, una delle domande su cui
Scorsese si soffermerà nel corso della narrazione è se ci sia un
vero amore alla base della relazione tra Ernest e Mollie o se
Ernest abbia optato per un matrimonio di interesse che gli potesse
far acquisire progressivamente un reddito importante. Quel che è
certo è che si scatena un costante e crescente massacro genocida:
la terra e le rendite sono troppo allettanti per gli uomini bianchi
e gli Osange vengono spogliati dei loro averi con ogni tipo di
trucco, inganno o vero e proprio omicidio a sangue freddo.
Robert De Niro e Leonardo DiCaprio in una scena di Killers Of The
Flower Moon
Lupi in Oklahoma
“Riesci a vedere i lupi in
questa foto?“: ad Osage County, i lupi sono nascosti ovunque.
Al contrario dei gufi, presagio di morte per gli indiani e che
appaiono nelle visioni di qualche personaggio, in Killers
of the Flower Moon i lupi non vengono mai rappresentati
nella loro forma animalesca. Devono essere scovati e forse
qualcuno, all’interno della contea, lo ha già fatto. Sono gli
assassini di una terra promessa e perduta, che hanno manipolato un
intero popolo e le sue risorse. Tuttavia, più che come carnefici e
fautori di un vero e proprio genocidio – secondo il Ministero della
Giustizia, quello di Osage fu “il capitolo più sanguinoso della
storia del crimine americano” –
Scorsese inquadra questi lupi con il suo solito
taglio. Sono criminali, truffatori, gangster e ai loro loschi
movimenti è rivolta gran parte dell’attenzione del regista, molto
più di quella dedicata alle vere vittime, gli Osage.
La principale linea narrativa di
Killers of the Flower Moon permette, tramite uno
sguardo incessante sulle figure maschili, un’attenta analisi su
questi nuovi “bravi ragazzi”. Lo scontro tra Ernest e William è,
letteralmente, all’ultimo sangue e non c’è modo per distogliere il
focus registico da questo duello. Una mimica facciale piuttosto
accentuata distingue questi personaggi animaleschi, che ricalcano
effettivamente le sembianze dei lupi con le smorfie che mantengono
per tutta la durata del film. I fan di
Martin Scorsese gioiranno nel partecipare a questo
testa a testa di bravura recitativa tra due attori feticcio del
regista e, soprattutto per quanto riguarda DiCaprio, rimarranno sicuramente colpiti dal
personaggio poco autorevole e debole di spirito che gli è stato
costruito addosso, un qualcosa di sicuramente inedito rispetto ad
altri suoi precedenti ruoli.
Punti di vista secondari
Dall’altro lato, il modo in cui
Scorsese decide di adattare il saggio di partenza, non
permette alla grandissima Lily Gladstone di
brillare nel secondo e terzo atto del film quanto accade nella
prima parte. In questa, la sua Mollie è infatti
spesso sulla scena mentre sta imparando a conoscere
Ernest per poi, come dicevamo, essere tirata fuori
dai giochi assieme agli altri Osage, un po’ perchè la partita
sulla loro vita si gioca altrove, negli spazi in cui ha accesso
l’uomo bianco, un po’ perchè ciò che interessa a Scorsese è
sradicare la falsità che domina i rapporti tra questi criminali,
passando dall’epopea western a quasi il gangster movie.
Anche l’FBI, il punto di vista
fondamentale del libro, che conduce l’indagine e smaschera i lupi,
è poco presente nel film di
Scorsese. Tutto è funzionale alla messa in scena del
rapporto tra zio e nipote – o sarebbe meglio dire servo e padrone –
e che dovrebbe incapsulare il senso metaforico della prevaricazioni
sociale da parte dei bianchi in Oklahoma. Circoscrivere la vicenda
al microcosmo tematico prediletto da Scorsese funziona a tratti:
con un montaggio non sempre puntuale, soprattutto per quanto
riguarda le sequenze degli omicidi degli Osage, la riflessione
sull’act of killing, il vero e proprio genocidio che è
stato commesso, sembra venire meno rispetto alla ferocia con cui si
ritraggono i rapporti tra bianchi. Nonostante ciò, nel ritrarre
questo scontro tra Lupi, Scorsese fa Scorsese, una scelta che
convincerà sicuramente i fan di lunga data del regista, pur aprendo
la porta a quella scelta creativa sicuramente inedita, soprattutto
per quanto riguarda un inaspettato inserto finale.
Loki Stagione 2, Episodio
3 dal titolo 1893 è stata una puntata
molto emozionante, con molti riferimenti e Easter Egg al mondo
Marvel e a quello di Loki stesso,
in particolare. La serie ha finalmente introdotto Victor Timely,
una variante di Kang che abbiamo visto per la prima volta nella
scena post-credits di Ant-Man and the Wasp: Quantumania.
Interpretato ancora una volta da
Jonathan Majors, Victor Timely si preannuncia come
un’importante aggiunta ai personaggi, soprattutto per quello che
accade nel finale dell’episodio.
Dai riferimenti più ampi allo stato del multiverso del MCU ai suggerimenti e alle
anticipazioni su altre varianti di Kang, la serie ha continuato a
fornire una miriade di connessioni più ampie con altri elementi del
vasto universo dei Marvel Studios. Ed ecco di seguito ogni
riferimento, Easter Egg e collegamento ad altre proprietà Marvel trovate in Loki
Stagione 2, Episodio 3:1893.
Nuovo tema musicale d’apertura dei
Marvel Studios
Loki Stagione 2, Episodio
3 prosegue la tradizione Marvel delle variazioni del logo di
apertura. Anche se la grafica, questa volta, non ha
presentato variazioni, la fanfara che l’accompagna è stata
cambiata. Piuttosto che il normale ed eroico tema composto da
Michael Giacchino, la musica riprodotta sul logo
dei Marvel Studios ricordava invece una
orchestrina vecchio stile. La versione della fanfara è stata
utilizzata per riflettere il periodo di tempo in cui è stato
ambientato l’episodio, impostando il tono dell’episodio.
Il dialogo di Loki e Mobius
prefigura Victor Timely
Dopo essere usciti dalla
TVA ed essere entrati nella Chicago del 1868, Loki e Mobius
discutono del motivo per cui Ravonna Renslayer avrebbe scelto
quell’ora e quel luogo specifici da visitare. Durante questo
discorso, Loki chiede “C’è qualche figura importante nella
Storia che è nata in questo momento?” Questa domanda viene
posta mentre Loki e Möbius stanno sotto la finestra aperta della
casa di Victor Timely, prefigurando la sua apparizione
nell’episodio e il fatto che sia una variante molto importante
nella storia.
Loki fa riferimento alla scena del
Chinese Theatre di Iron Man 3
Durante Loki Stagione 2, Episodio 3, Loki e Mobius
esplorano l’Esposizione Mondiale di Chicago. Ad un certo punto, il
duo viene mostrato mentre esce da un set del Chinese Theatre,
sinonimo di Los Angeles, dopo aver tentato senza successo di
trovare Ravonna Renslayer. Sebbene il Chinese Theatre sia un famoso
punto di riferimento del mondo reale, il luogo è stato presentato
anche in Iron Man 3. Durante il film, Happy Hogan viene
ferito da un soldato Extremis proprio vicino al Chinese
Theatre.
Il riferimento a un Dio nordico dimenticato
Sempre nella scena di
introduzione alla Esposizione Mondiale di Chicago c’è un momento in
cui si fa chiaramente riferimento alla mitologia norrena. Loki e
Mobius vedono alle sculture di Thor, Odino e di un terzo dio
chiamato Balder. Nella mitologia norrena, Balder era tipicamente
raffigurato come il fratello di Thor e figlio di Odino. Solo nelle
iterazioni e nelle storie popolari moderne il personaggio di Loki è
stato modificato per essere il fratello di Thor, e questa scena si
riferisce proprio al fatto che il MCU ha sostituito il dimenticato
Balder con Loki, tanto che, commentando la scelta delle divinità da
raffigurare, il
Dio dell’Inganno dice: “Perché?” includono Balder? Nessuno ne
ha nemmeno sentito parlare.”
La sequenza è anche un riferimento
al personaggio dimenticato della Marvel Comics, Balder il Coraggioso. Nei
fumetti, Balder era il fratellastro di Loki e Thor. Sebbene la
battuta di Loki sia un divertente riferimento alla mitologia
norrena originale, è allo stesso tempo un riferimento a un
personaggio Marvel non presente nel MCU.
1893 fa riferimento alla storia
della famiglia di Ant-Man
Mentre Loki e Mobius
guardano il programma degli artisti sul palco della Fiera Mondiale
di Chicago, notano le Meraviglie Temporali di Victor Timely.
Sebbene questo sia di per sé un riferimento importante, sopra alla
scritta che riporta di Timely, è possibile individuare un altro
riferimento. Un altro artista alla fiera si chiama Ferdinand Lang,
che è senza dubbio un riferimento a Scott Lang dell’MCU. Dato che Ant-Man and the Wasp:
Quantumania ha fatto debuttare per la prima volta sia
Kang il Conquistatore che la prima occhiata alla seconda stagione
di Loki nella scena post-credits, è difficile immaginare che il
nome Lang sia una coincidenza.
Le meraviglie temporali di Victor
Timely
Attraverso il personaggio
di Victor Timely, Loki Stagione 2, Episodio 3 si diverte
molto con gli Easter Eggs. Uno di questi include il nome della
mostra di Timely alla Fiera Mondiale di Chicago. La dimostrazione
di Timely si chiama “Victor Timely’s Temporal Marvels”. Sebbene
questo sia un riferimento al Telaio Temporale della TVA e al tema
generale del tempo in Loki, l’uso della parola “Marvels” è un cenno
neanche tanto sottile al franchise a cui Loki appartiene. Si
sarebbe potuta usare qualsiasi altra parola per descrivere qualcosa
di meraviglioso, eppure lo sceneggiatore di Loki, Eric
Martin, ha scelto di fare un omaggio allo studio per cui
lavora.
La soundtrack di Loki viene suonata diegeticamente
Mentre Loki e Mobius
vengono mostrati mentre aspettano l’inizio della dimostrazione di
Timely, si può vedere una band suonare sul palco. La musica suonata
dalla band è una versione vecchio stile di “Green Theme” di Loki,
uno dei brani più riconoscibili della colonna sonora della prima
stagione scritta da Natalie Holt. Questo è un
riferimento per la musica dello spettacolo in quanto cattura
l’atmosfera di Loki fornendo allo stesso tempo un dettaglio
aggiuntivo per l’ambientazione nel 1893.
La Fiera Mondiale di Chicago fa
riferimento a Rama-Tut
Una delle varianti Kang più
famose della Marvel Comics è Rama-Tut, una versione di
Nathaniel Richards che viaggiò indietro nel tempo
per diventare un faraone egiziano. Rama-Tut è apparso anche nella
scena dei titoli di coda di Ant-Man and the Wasp: Quantumania.
Loki Stagione 2, Episodio 3 fa riferimento
alla variante egiziana di Kang. Mentre Victor Timely viene
inseguito per la fiera, si nasconde in un antico reperto egiziano.
Questo è un sottile riferimento alla variante egiziana di Kang che
Majors ha rappresentato in passato e prefigura efficacemente, in
modo subliminale, altre versioni più potenti di Kang.
Il laboratorio di Victor Timely è
decorato con simboli asiatici
Una scena della puntata si
svolge nel laboratorio di Victor alla Fiera di Chicago con Miss
Minutes e Ravonna. Su due oggetti diversi nel laboratorio, si
possono vedere simboli asiatici. Sebbene non sia chiaro quale
linguaggio specifico rappresentino questi simboli, potrebbero
fungere da collegamento con il mondo di
Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli. C’è una
teoria di lunga data che vorrebbe gli Anelli di Shang-Chi legati in
qualche modo al potere di Kang e questa scelta apparentemente solo
decorativa potrebbe essere un elemento di approfondimento di questo
tema.
Loki Stagione 2, Episodio 3 fa un riferimento
alla regista della prima stagione
Verso la fine di
Loki Stagione 2, Episodio 3, Ravonna e
Victor Timely salgono a bordo di una nave che li porta al
laboratorio vero e proprio di Timely. La nave si chiama SS Herron,
un riferimento a una figura importante della prima stagione di
Loki. Ogni singolo episodio della prima stagione di Loki è stato
diretto da Kate Herron. Sebbene non sia coinvolta
nella produzione della seconda stagione, l’SS Herron è un modo
sottile per il team di Loki di rendere omaggio a
qualcuno che è stato parte integrante del linguaggio visivo, dello
stile e del tono della serie.
Loki Stagione 2, Episodio
3 si conclude con un’importante scena finale, che fa porre
nuove domande sul quello che sarà il futuro della TVA e di Ravonna
Rensayer (Gugu Mbatha-Raw). Nell’episodio viene
rivelato che Ravonna è stata inviata su una linea temporale
ramificata, insieme all’IA senziente Miss Minutes (Tara
Strong) della Time Variance Authority, per creare un nuovo
Colui che Rimane. Tuttavia, sembra esserci una
verità nascosta sulla TVA riguardante sia il passato che il futuro
di Ravonna.
Come visto in Loki Stagione
2, Episodio 3, la nuova variante di Colui che Rimane denominata Victor Timely
(Jonathan
Majors) fa il suo debutto ufficiale nel MCU, dopo la sua scena post credits
di Ant-Man and the Wasp: Quantumania. Posizionato
in una linea temporale ramificata nel 1893, Timely è un inventore a
cui da bambino è stata regalata una guida TVA. Questo grazie a
Ravonna e Miss Minutes che apparentemente stanno seguendo gli
ordini postumi dello stesso Colui che Rimane.
Tuttavia, il loro piani vengono
fatti saltare dall’intervento di Loki (Tom
Hiddleston) e Mobius (Owen
Wilson) che hanno bisogno di Timely per salvare
l’attuale TVA mentre Sylvie (Sophia
Di Martino) vuole semplicemente ucciderlo. L’episodio
si conclude con un sorprendente cliffhanger, in particolare per
quanto riguarda Ravonna.
Quale grande segreto di Renslayer
conosce Miss Minutes?
Come visto alla fine di
Loki Stagione 2, Episodio 3, Miss Minutes voleva
che Timely le costruisse un vero corpo in modo che potesse essere
la sua compagna. Apparentemente, ha sempre voluto stare con
l’originale Colui che Rimane il quale però la
considerava solo come un animale domestico, un oggetto, nonostante
le avesse dato piena sensibilità e quasi completa autonomia.
Tuttavia, l’inventore rifiuta il suo amore, cosa che apparentemente
metterà Minutes contro di lui in futuro.
Miss Minutes ritorna da Ravonna
Renslayer proprio alla fine dell’episodio, confermando che conosce
molti dei suoi segreti e suggerendo che non è stato saggio da parte
di Timely averla resa una sua nemica. Nel finale si accenna anche
al fatto che Miss Minutes conosce un grande segreto sulla stessa
Ravonna che “la farà davvero arrabbiare“. È ovvio che Miss
Minutes rivelerà di più sul passato nascosto di Ravonna, ma dovremo
aspettare la puntata 4.
Come ha fatto Sylvie ha inviare
Renslayer alla fine dei tempi
Alla fine di Loki
Stagione 2, Episodio 3, Sylvie usa il dispositivo
temporale che ha preso da Colui che Rimane per
inviare Ravonna Renslayer alla Cittadella alla Fine dei Tempi.
Questo dispositivo sembra essere una versione più avanzata dei
TemPad standard utilizzati dagli agenti TVA. Di conseguenza, questo
spiega perché Sylvie è ancora in grado di muoversi attraverso la
linea temporale sacra e in realtà ramificate nonostante il suo odio
per Colui che Rimane e per la TVA da lui
creata. Nonostante la TVA sia pericolo, Sylvie ha ancora i mezzi
per viaggiare nel tempo in modo indipendente e attraversare il
multiverso mentre si gode la sua nuova libertà.
Detto questo, Loki probabilmente ha
ragione nel credere che senza la TVA, il multiverso cadrebbe a
pezzi. Ciò includerebbe qualsiasi realtà che Sylvie ha trovato per
vivere il resto della sua nuova vita. Come già anticipato in questo
nuovo episodio, Sylvie probabilmente unirà le forze con Loki per
salvare la TVA nei prossimi episodi, nonostante tutto quello che
l’organizzazione le ha tolto sin da quando era bambina.
Indipendentemente da ciò, ha comunque ottenuto una piccola vendetta
bandendo Ravonna alla Fine dei Tempi, anche se è probabile che
Renslayer riuscirà a scappare con l’aiuto di Miss Minutes.
In che modo l’episodio prefigura la
verità su Renslayer
Nella premiere della seconda
stagione di Loki, il protagonista ha trovato una registrazione
audio nella TVA in cui ha sentito Colui che Rimane
ringraziare Ravonna per il suo servizio. Ciò suggerisce un ciclo
temporale di origini ciclico, in cui Ravonna era presente proprio
agli inizi della TVA. Tuttavia, ne consegue che non ricorda il suo
ruolo nella creazione della TVA dopo che Colui che Rimane le ha
cancellato la memoria. Questa è molto probabilmente la verità su
Renslayer che Miss Minutes rivelerà nei prossimi episodi, il che
naturalmente la farebbe piuttosto arrabbiare.
Cosa sta succedendo alla fine dei
tempi?
Bandita nella Cittadella
alla Fine dei Tempi, sembra che Ravonna si trovi adesso in un
palazzo in rovina. La Cittadella si sta autodistruggendo. Stando a
quanto accaduto nel finale della prima stagione, forse
Colui che Rimane era l’unica cosa che manteneva
tutto insieme in questo spazio temporale piuttosto instabile noto
come il Vuoto, sebbene potesse anche essere collegato al multiverso
in espansione. In ogni caso, sembra che Ravonna sia rimasta
intrappolata qui come intendeva Sylvie, anche se Miss Minutes ha
dimostrato di avere una certa familiarità con la Cittadella.
Miss Minutes
probabilmente sa come liberare Ravonna e aiutarla a sfuggire dalla
Fine dei Tempi. Quindi, le due probabilmente pianificheranno le
prossime mosse che potrebbero comportare la rimozione di
Victor Timely e della TVA nella situazione
attuale. Forse proveranno anche a trovare una nuova variante a cui
affidare il ruolo di Colui che Rimane. Allo stato attuale, è
difficile valutare le loro esatte motivazioni e pianificare cosa
accadrà.
Quanto tempo è passato alla fine
dei tempi
Considerando la
decomposizione del corpo di Colui che Rimane,
sembra proprio che sia passato molto tempo da quando è stato ucciso
da Sylvie nel finale della stagione 1 di Loki. Tuttavia, il tempo
funziona in modo diverso sia nella TVA che alla Fine dei Tempi,
quindi il passaggio effettivo di detto tempo è naturalmente
relativo e difficile da quantificare esattamente.
Indipendentemente da ciò, è
chiaramente passato abbastanza tempo perché la Cittadella cadesse a
pezzi e una moltitudine di nuove linee temporali crescesse con un
multiverso in continua espansione. Allo stesso modo, nuove varianti
di Colui che Rimane hanno iniziato ad apparire in
tutto il MCU, come si è già visto in altri
prodotti MCU (il Consiglio dei Kang alla
fine di Ant-Man and the Wasp: Quantumania).
Chiaramente, gli effetti della morte di Colui che
Rimane si fanno sentire in larga misura.
La prima volta che incontriamo
Lisa, la protagonista di One Day All
This Will Be Yours, è nella sua vasca da bagno, in
cerca di riparo dalla sua vita confusionaria e frenetica. Un riparo
che però non trova, reimmergendosi ben presto nei tentativi di
trovare un titolo al suo primo libro e nei complessi rapporti con
il suo editore. Andreas Öhman – regista
svedese fattosi notare nel 2010 con il suo esordio Simple
Simon – ci presenta dunque sin da subito una protagonista
totalmente fuori controllo e proprio la ricerca di esso come anche
del proprio posto nel mondo saranno alla base di questo
racconto.
Un racconto, affrontando il quale
Öhman, anche sceneggiatore del film, sceglie di mettersi per primo
totalmente a nudo, rielaborando vicende personali ma anche la
dolorosa scomparsa della sorella quando era solo un bambino. Così
facendo permette a One Day All This Will Be Yours
– Presentato nella sezione Progressive
Cinema della Festa del Cinema di
Roma, di acquisire una spontaneità seducente e una
vitalità contagiosa, infondendogli inoltre il giusto equilibrio per
raccontarci una volta di più di quanto le persone possano essere
imperfette, complicate, fragili e proprio per questo amabili.
La trama di One Day All This
Will Be Yours
Come già detto, protagonista di
One Day All This Will Be Yours è Lisa (Karin Franz
Körlof), una fumettista trentenne che proprio mentre sta
lavorando per terminare in tempo il suo nuovo libro, viene
convocata insieme alla sorella e al fratello nella fattoria di
famiglia nel nord della Svezia. I due anziani genitori, infatti,
devono fare loro un importante annuncio riguardante la foresta che
la famiglia possiede da generazioni. Questo ritorno a casa
costringe però Lisa ad affrontare i problematici rapporti che
l’hanno allontanata dai suoi parenti, come anche un trauma del
passato mai realmente risolto.
La strada verso casa
Si è soliti dire che tutta la vita
non è altro che un lungo e continuo viaggio di ritorno a casa,
qualunque essa sia e ovunque possa trovarsi. La Lisa che
incontriamo all’inizio del film sembra rispondere perfettamente a
questo modo di dire, poiché pur avendo fatto della propria passione
il suo mestiere, sembra continuamente non appartenere al mondo che
si è costruita intorno. E se anche lei non vuole ammetterlo, ce lo
suggerisce il regista con la sua tremolante macchina a mano,
evidenziando così quel tremore che la protagonista cerca di
camuffare.
Ma anche quando tornerà a casa dai
suoi genitori, a Lisa verrà in più occasioni detto che non
appartiene a quel posto. Ma allora dov’è la casa di Lisa? Qual è il
suo posto nel mondo? È quello che lei cerca di scoprire, dapprima
riluttante poi sempre più determinata. Lentamente inizia allora a
rifuggire da quel mondo di fantasia che si è costruita negli anni –
e che le permette di vedere oggetti inanimati prendere vita, come
la schiuma, gli alberi o perfino le lattine di birra che beve
continuamente – per abbracciare sempre di più la natura e la
rinnovata serenità che essa sembra conferirle.
Quando ciò avviene, anche se non è
immersa dal verde della foresta, Lisa avrà sempre qualche elemento
di questo colore accanto a sé, indicandoci che il suo pensiero o il
suo animo continua ad andare in quella direzione. Ma Lisa non è il
tipo di persona che si abbandona facilmente e incondizionatamente
agli istinti del proprio cuore. Sboccata, cinica e aggressiva, si è
costruita nel tempo una corazza – o corteccia, per rimanere in tema
natura – difficile da scalfire e che prontamente indossa quando le
cose sembrano complicarsi troppo a livello emotivo.
Karin Franz Körlof in una scena di One Day All This Will Be
Yours.
La bellezza dei personaggi imperfetti
Risulta allora difficile prevedere
le sue azioni e reazioni, anche se il racconto che Öhman costruisce
rimane saldamente ancorato (a volte forse troppo) a determinati
binari tipici di questo genere di racconti. Ma il regista riesce a
non far pesare questa aderenza, che anzi sembra servirgli per
potersi concentrare totalmente sulla sua protagonista, un
personaggio che ci ricorda quanto siano belli i personaggi così
imperfetti e umani, specialmente quando scritti in modo accurato,
con le giuste caratterizzazioni e interpretati da attori
all’altezza.
Karin Franz Körlof
si dimostra essere anche di più, una vera e propria forza della
natura capace di accentuare quanto da Öhman scritto per Lisa,
rendendola un personaggio impossibile da non amare. La si segue
allora con grande attenzione nel corso del suo viaggio e nel suo
ricercare il coraggio di affrontare il passato e dunque crescere.
Un viaggio nel quale si può sperimentare un umorismo amaro, i
drammi dell’esistenza e dei rapporti umani, ma anche le
innumerevoli sfumature colorate che la vita può assumere e svelare
nei momenti più impensabili.
Öhman, attraverso Lisa, riesce a
cogliere tutto ciò e a racchiuderlo in un feel-good
movie dotato di grande sincerità, che nel momento in cui porta
a compimento il viaggio della sua protagonista riesce a far
strabordare dallo schermo emozioni che investono lo spettatore
lasciandogli addosso sensazioni particolarmente positive. Un
risultato che non sempre riesce a questa tipologia di film,
talvolta così concentrati nel ricercare l’emozione a tutti i costi
da non riuscire a farla propria. One Day All This Will Be
Yours non perde invece di vista la sua protagonista e le sue
vicende, ed è proprio lì che trova infine il proprio posto, il
proprio cuore e le emozioni che lo renderanno memorabile.