Dopo la presentazione in anteprima
al New York Film Festival, Martin Scorsese ha
finalmente cominciato a portare in giro per il mondo The
Irishman, il film che lo vede riunito con
Robert De Niro, a 23 anni da Casino e in cui
dirige per la prima volta Al Pacino. Un vero e
proprio evento per gli amanti del grande cinema, un appuntamento
imperdibile nelle sale italiane dal 4 al 6 novembre, in attesa di
vederlo poi su Netflix a partire dal 27 novembre.
Ma da dove parte il desiderio di
fare questo film? Martin Scorsese non ha
esitazione: “Credo che abbia a che fare con la volontà mia e di
Robert De Niro di fare un altro film. L’ultima volta che abbiamo
lavorato insieme è stato con Casino, nel 1995 e
negli anni abbiamo sempre cercato il soggetto e il personaggio
giusto. Poi gli è stato dato questo libro, intitolato I
Heard You Paint Houses e, dopo averlo letto, quando mi ha
descritto questo personaggio e l’emozione che ha esibito
descrivendolo era sufficientemente articolata per suggerirmi che si
trattava di qualcosa di speciale. Dalla sua reazione al personaggio
ho sentito che doveva essere qualcosa su cui potevamo lavorare,
avevamo la possibilità di lavorare sull’intero arco di una vita,
sull’amore, il tradimento, il rimorso e infine il senso di
mortalità di tutti noi.”
La chiave di lettura del film ci è
data, secondo Scorsese, dal fatto che le storie sono attuali se lo
sono i sentimenti che esse raccontano: “I film non devono
essere ambientati oggi per essere contemporanei, perché la cosa che
è davvero contemporanea è la condizione umana, il conflitto morale.
Si mette in atto nel passato, qualunque esso sia, ma riguarda
l’esperienza umana e credo che alcuni aspetti di esso si connettano
con le persone, soprattutto dei particolari conflitti di questo
personaggio, in bilico tra moralità e immoralità, che potrebbero
renderlo accessibile alle persone.”
A dispetto dell’ambientazione
mafiosa, The
Irishman ha come sentimento dominante la
malinconia: “È tutta lì, ma è una malinconia confortevole. Il
personaggio di Frank allontana la famiglia, viene lasciato solo,
tutti i conflitti, tutta la violenza della sua vita sono scivolati
via, nessuno li ricorda più. La malinconia è nell’accettare che
morire fa parte del vivere.”
Reunion con Bob De Niro, prima
volta con Al Pacino
Uno degli aspetti che più interessa
ai fan del grande maestro newyorkese è senza dubbio il fatto che
sia tornato a lavorare con De Niro e Joe
Pesci, e che questa sia la prima volta, nel corso di una
lunga carriera, che dirige Al Pacino. “Bob e
Al Pacino hanno lavorato insieme con grande sintonia, tra loro si è
sviluppata una magia che deve nascere dalla loro conoscenza
reciproca. Volevano essere sempre presenti alle riprese, e non
accettavano di fermarsi e andare a riposare, anche se erano
stanchi.” e il film invero restituisce quella grande
complicità.
In molti sono rimasti sorpresi alla
notizia che sarebbe stato Netflix a produrre The
Irishman, visto che Scorsese ha più volte difeso
l’importanza della sala rispetto allo streaming e alla visione
domestica, ma sembra che le circostanze e il nuovo sistema
produttivo a Hollywood abbiano letteralmente spinto il regista tra
le braccia dell’azienda: “Il film non ha richiesto molto tempo
per le riprese, ma molto per gli effetti, è un esperimento ed era
l’unico modo di fare il film, per noi, perché altrimenti avrei
dovuto girare metà film con attori più giovani, e non volevo
questo. Se fossi stato 20 anni più giovane, forse lo avrei fatto,
ma ora avevo voglia di fare un film con i miei amici. Così, è
entrato in gioco Netflix. A Hollywood non avrei mai potuto trovare
i soldi per fare un film del genere, ma Netflix mi ha supportato
finanziariamente, incluso questo esperimento, le riprese, la post
produzione, e tutta la libertà creativa di cui avevo bisogno. Oltre
i sei mesi di post produzione per la CGI, sono sei mesi in ritardo
per tutto.”
E poi rincara la dose, scagliandosi
contro lo stesso sistema produttivo americano che sembra non voler
più sostenere il cinema di determinati autori: “Prima di poter
vedere un film al cinema, bisogna poter vedere il film, cioè il
film deve essere realizzato. Poi, che lo vediate al cinema, in
streaming, in tv, i ragazzini lo guardano sull’ipad o sul telefono,
non so. Per poterli vedere, devono essere realizzati. Per i film
che ho fatto nella mia carriera, c’era sempre una variabile che mi
permetteva di farli, poteva essere il potere di una star, De Niro o
DiCaprio. Ma i tipi di film che io faccio non si possono fare più,
se avessi 30 anni di meno non sarei capace di fare un film a
Hollywood.
Gli ultimi 10 anni fare film
per me è diventato difficilissimo, anche in questo caso, con Bob è
stato complicato realizzare qualcosa che volevamo fare dal 1970.
Nessuno ci dava i soldi e poi Netflix si è fatto avanti e ci ha
finanziati completamente. Sarà trasmesso in streaming, certo, ma
sarà anche nei cinema. A New York, molti dei miei film sono stati
proiettati per sole due settimane, questo rimarrà in sala quattro
settimane, anche in contemporanea al servizio di streaming. Io
faccio i film solo per il grande schermo e per un pubblico che sta
seduto in sala, ma molti dei miei film, negli anni, sono stati
visti in modi diversissimi. Alla fine non hai controllo su come il
pubblico guarda i tuoi film, ma quello che penso ora è che le
possibilità del cinema sono infinite, in termini di come un film
può essere visto e in termini di cosa può essere considerato un
film. È sempre meglio vederlo al cinema, però il film deve essere
prima fatto, per essere visto.”
Martin Scorsese sul ruolo
della sala e dei cinecomic Marvel
E senza nessun input, ma parlando
liberamente di quello che è un vero e proprio problema per il
cosiddetto cinema narrativo, Martin Scorsese torna
sulla polemica mal compresa dalla stampa contro i cinecomic
Marvel: “Al di sopra di tutto
io spero che le sale continuino a supportare i film narrativi, come
questo, fatti da grandi narratori, come Wes Anderson o Paul Thomas
Anderson. Spero che questi film abbiano sale in cui li puoi vedere,
dove vengano supportati. Ma adesso, i cinema sembrano supportare
principalmente i film da parco a tema, i film tratti dai fumetti,
che si stanno impossessando delle sale. E penso che vada bene avere
quei film, ma non dovrebbero diventare quello che i giovani pensano
sia il cinema.”
Un problema di produzione, di
distribuzione del cinema narrativo che rischia di essere spazzato
via dalla sala, che è invece il suo luogo deputato.
Quello che però davvero è
interessante in The
Irishman è la sua natura di esperimento tecnico, con il
massiccio uso della tecnica del de-aging, che ha coinvolto il film
in una fase di post produzione che è durata sei mesi: “Quando
dico che The Irishman è un film sperimentale è perché abbiamo fatto
davvero un esperimento e con noi la tecnologia si è evoluta, c’è
stato un vero e proprio processo magico. Sul set avevamo la
macchina da presa con la sua lente e poi due lenti ulteriori che
servivano a registrare tutti i movimenti per utilizzare il
de-aging. E la prima volta che parlammo di queste riprese e
sapevamo che questo era l’unico modo di fare il film perché non
volevo usare attori più giovani, ci è stato detto che dovevamo
adottare i caschetti con i sensori e il green screen, e ho pensato
che nessuno di loro lo avrebbe mai fatto. E l’ho detto a quelli
della Industrial Light and Magic e dopo un po’ sono venuti da me
con una soluzione, e abbiamo fatto un test su De Niro che ci ha
restituito il 30% del risultato finale, non era perfetto ma abbiamo
capito che poteva funzionare.”
Uno sforzo produttivo enorme,
dunque, a cui si è sottoposta Netflix, per sue logiche aziendali, e
che ha permesso a The Irishman di vedere
la luce e a Martin Scorsese di realizzare il suo
film con i suoi amici.