Cyrano
non corre, danza. Come un burattino si muove sul palcoscenico della
vita mentre con lo sguardo cerca, ama, ma le parole d’amore per
Roxanne si bloccano tra le labbra, trovando un canale di sfogo
bagnandosi di inchiostro. E intanto intorno a lui tutto vive di
magia, sospeso in un’atmosfera al di là del tempo e dello spazio,
in una Noto barocca, elegante, silente, pronta a lasciarsi
investire di musica, lettere, sospiri, sguardi.
Joe Wright torna ad aprire le porte del teatro
della sua immaginazione spogliando l’opera originale di
Edmond Rostand per sostituire ogni battuta di
riflessi, dettagli corporei, sguardi in macchina. Le parole si
perdono nel vento per ritornare sotto forma di corpi che danzano,
mani che toccano lettere, bocche che baciano e sanno di
inchiostro.
Una palingenesi poetica
che si spoglia di schermi del pc e di obiettivi fotografici per
riabbracciare l’artigianalità del cinema. Un mondo che riflette il
teatro della vita, con porte, finestre, aperture che rimandano a
quelle di un palcoscenico esistenziale dove i personaggi si
affacciano declamando le loro battute, ma rimanendo umani, reali,
tangibili.
Le musiche dei
The National condiscono sentimenti e paure. Non
soltanto commento musicale, ma accompagnatore galante di personaggi
incapaci di affidare alle parole il loro ruolo di messaggeri
d’amore, ogni brano va al contempo a indagare gli interstizi della
psiche, dando voce a parole espresse solo attraverso la
scrittura.
Tutto in Cyrano
gioca su un impianto armonioso di equilibri e abbracci cromatici
attraverso cui esaltare emozioni e timori.
È un ingranaggio a
orologeria rodassimo quello del nuovo film di Joe Wright.
Una storia dalla portata universale, di uomini che amano e si
nascondono, e donne amate e sognatrici, tutti sospinti da un’enfasi
onirica alternata a momenti più cupi e quasi introspettivi. Il
teatro da elemento ripreso e riprodotto apre il proprio sipario per
espandersi e inglobare tutto il mondo di Cyrano, avvolgendolo in un
luogo dove il sogno diventa spettacolo, e le vite diventano teatro.
Joe Wright si riconcilia con il
suo modo di fare cinema grazie. Cyrano, un cinema artigianale e
allo stesso tempo sognante e sospeso.
Quello di Wright si
riconferma uno stile aggraziato, che scrive con il potere degli
sguardi, e di un cinema fisico, corporeo, un composto dramma fatto
di non detti e sentimenti sopiti, trattenuti, ma costantemente sul
punto di esplodere nelle forme di un dolore concretizzato in
impercettibili passi danzanti verso l’abisso della perdita.
Cyrano, laboratorio di
burattini viventi
Joe Wright ripristina il suo processo di
conversione e ridefinizione dei motivi letterari, ora concepiti
come un bacino aureo entro cui attingere a larghe mani. Il testo
diventa scintilla prometeica da alimentare con una poetica
collaudata. Il figlio di burattinai apre nuovamente il suo
laboratorio, costruendo un universo sospeso, infuso di arte e vita.
E così, quelle marionette che aprono il film, si fanno contenitori
profetici di un mondo che va costruendosi. Uno sguardo al passato,
ai giochi di infanzia tra i lavori dei propri genitori che si
ampliano, abbracciando ogni superficie di questo nuovo universo
cinematografico. Basta un riflesso su un finestrino (memore di
quello di Churchill in
L’Ora più buia) che tutto profuma di amore, sentimento,
attrazione. Il chiasmo degli sguardi, sottolineato da
sovrimpressioni che uniscono là dove la realtà allontanerebbe, fa
incrociare occhi sognanti in una poetica dell’attimo, in un istante ineffabile su cui stendere la
sostanza delicata e morbida di una storia d’amore.
Una danza
d’inchiostro
Il mondo di
Joe Wright, gli stilemi personali di una
poetica riconoscibile ma ancora in evoluzione, con Cyrano fanno il
loro magistrale ritorno, trovando quel bagliore primordiale che le
possa far esplodere come una supernova. Le superfici riflettenti
che rimandano sguardi di un animo frammentato e in attesa di una
fiamma di eterno amore; i dettagli di mani e occhi; gli sguardi in
camera; il dialogo diretto con la storia dell’arte, i colori
parlanti di costumi e ambienti che si uniscono in un abbraccio che
sa di magica eternità, sono tutti strumenti di un artigiano che con
fare minuzioso torna a creare un nuovo universo ispirandosi, ma
senza copiare, il testo di partenza. Ma a fare ritorno è
soprattutto la danza, quella dell’immaginazione e di sentimenti
taciuti e ora tradotti in passi danzanti.
Tutto in Joe è danza.
Come fu per Hanna, anche in
Cyrano un momento di estrema tensione e
adrenalina, come una scena di lotta, si trasforma in un ballo
eseguito con eleganza, tra spade e torce. Spinti da un commento
musicale coinvolgente e commovente, e da un montaggio empatico,
anch’esso danzante, l’atto dello scrivere e del ricevere le missive
si spoglia di ordinarietà per vestirsi di erotica attrazione. Le
strade di Noto diventano assi di un palcoscenico su cui i
personaggi danzano esprimendo parole bloccate tra i denti e ora
pronte a trovare la via grazie a brani musicali dolci, emozionanti,
poesie tradotte in musica e lanciate dritte al cuore. Mai
invadenti, ma capaci di cogliere il momento giusto per far capolino
nello sviluppo della storia trascinando lo spettatore in un
triangolo che balla al ritmo di cuori infranti e innamorati, le
note dei The National suppliscono là dove il
dialogo non riesce a imporsi.
Il non detto affiora
anche e soprattutto tra gli interstizi di un montaggio che unisce
corpi che tentano di allontanarsi, e cuori che si impongono di
stare lontani. Valerio Bonelli si fa direttore d’orchestra di un concerto emozionale, dinamico. I suoi
raccordi, ma soprattutto le sue sovrimpressioni, indicano una
visione non allucinatoria quanto sentimentale, di una trinità
pronta a farsi unità. Un amore così grande, quello di Cyrano per
Roxanne, ma non condiviso; le inquadrature si fanno così portatrici
di un’incapacità intrinseca di dichiararsi,
di quello scarto tra cuore e sguardo, reso esplicito da continui
campi e controcampi che dividono i due. E se uniti nella stessa
inquadratura, Cyrano e Roxanne non incrociano i propri visi, ma
mostrano le spalle, nascondendo un sentimento di amore che può solo
affidarsi al potere della scrittura.
Un impianto visivo
imponente, quello di Cyrano, che sa trascinare lo
spettatore in un mondo altro, sospeso eppure umano. Il film non si
crogiola dunque nella retorica lacrimogena, o nell’ipercinetismo visivo, prediligendo le atmosfere
sospese e l’osservazione fenomenologica. In un universo che vive
sui retaggi degli antipodi fisici, a Cyrano si oppone la sua eterna
amata, non più cugina, ma amica di infanzia. È una nuvola su un
cielo ora sereno, ora in tempesta, Roxanne. I costumi di Massimo
Cantini Parrini la elevano a parte integrante dell’ambiente attraversato. Le sfumature pastello che la
vestono sono carezze che la uniscono agli spazi che la circondano.
È luce e amore Roxanne; Cyrano è notte e silenzio. Uno
scarto fotografico che il direttore della fotografia, Seamus
McGarvey, prende ed esalta in un quadro in movimento pronto a
distaccarsi dallo schermo e vivere altrove, nella mente dello
spettatore.
La luce e la resa
cromatica di McGarvey sono un pennello delicato che si appoggia su
tutto ciò che incontra, rivestendo un amore tenuto segreto e che
arde di fuoco nel buio dell’insicurezza.
Hailey Bennett e
Peter Dinklage si svestono della propria personalità per
abbracciare e unirsi a quelle di Roxanne e Cyrano. Dolci e ironici,
sognatori e astuti, in loro convive l’anima letterale, mescolatasi
a una profondità introspettiva del tutto nuova e coinvolgente. A
trascinare verso il baratro il triangolo amoroso costruito lettera
dopo lettera è però un villain sublimemente interpretato da
Ben Mendelsohn. Il minimalismo facciale, fatto di pochi,
profondi sguardi, carica di fastidioso narcisismo il suo Duca De
Guilce, rendendolo tanto respingente quanto reale. Un perfetto
contrappunto interpretativo che va a contrastarsi con la mimica
facciale di un Dinklage pronto a caricare ogni singolo turbamento
emotivo con smorfie ed espressioni sempre giustificabili alla
caratterizzazione imposta al suo protagonista. Più in sottotono
l’interpretazione di Kelvin Harrison Jr. nei panni di
Cristiano. In bilico tra momenti carichi di enfasi e di apatica
reazione, l’attore coglie il cuore del suo personaggio, senza però
riuscire a restituire in toto la sua complessità.
Eppure, osservandolo alla giusta
distanza, qualcosa scricchiola in questo teatro costruito con
attenzione. La sceneggiatura di Erika Schmidt non è scevra di
lacune narrative, dimenticandosi di completare l’arco narrativo del
Duca di
Ben Mendelsohn, o accennando situazioni,
informazioni, senza poi concretizzarle o risolvendole (come fa, ad
esempio, Roxanne a sapere chi sia Cristiano?).
La letteratura di Joe Wright
Danza che incontra il
teatro, vestendosi di arte. Cyrano è una
commistione di linguaggi, un abbraccio letale che esplode in uno
spettacolo dell’amore prestato al cinema. Una lettera scritta con
l’inchiostro della creatività, dove i personaggi recidono i fili
che li trattenevano nel teatro della finzione per immettersi in
quello della vita. Dopo Espiazione,
Anna Karenina, Orgoglio e Pregiudizio e
La donna alla finestra, Joe Wright cerca e trova
il cuore delle opere letterarie di partenza, li espianta per
trapiantarli in nuovi corpi. Ancora una volta Wright prende un
testo e lo manipola, vi riflette la propria poetica. Prende un
libro, lo re-installa nel contemporaneo e ne verifica la tenuta,
scoprendo che nel presente un classico può restare attuale
assumendo significati tanto identici, quanto divergenti. Trattando
sentimenti universali ed eterni, Wright inserisce l’arcaico, la
storicità, nell’attualità più bruciante della contemporaneità.
Forte di una location come quella siciliana, al di là del tempo e
dello spazio, il regista riesce ad anticipare lo sgretolamento
dell’uomo moderno, sicuro della propria mente, ma meno del proprio
cuore, per irrorare di vita vissuta, incastrata in paesaggi antichi
e magici, e valori tradizionali.
Tutti siamo Roxanne in
attesa di amore, Cristiano desideroso di un amore che non sa
gestire ma pronto a sacrificarsi, tutti siamo Cyrano,
che pur non sentendosi all’altezza di quell’amore che desidera, lo
merita. Uno scambio tra schermo e sala, attraverso lo sguardo di
Joe Wright, dove l’amore canta, e gli amanti
danzano tra guerra e pace.