Tra qualche ora arriverà un nuovo
trailer per I
Fantastici Quattro: Gli Inizi, ed è stato diffuso
un nuovo teaser con alcune scene emozionanti e inedite del reboot
dei Marvel Studios.
Tra queste, un’inquadratura di
Galactus che incombe su New York, i superpoteri elastici di Reed
Richards in azione e la Torcia Umana che crea un “4” dalle
sue fiamme, un’immagine iconica presa direttamente dai
fumetti.
All’attore di Mister Fantastic,
Pedro Pascal, è stato recentemente
chiesto quale fosse la più grande debolezza di Reed e ha risposto:
“Penso che quando la tua mente è sempre concentrata sul bene
comune, puoi perderti molti piccoli dettagli. Conoscere questi
dettagli è molto importante per tenere unita la famiglia”.
Questo riecheggia ciò che ha detto
il regista Matt Shakman quando ha descritto Mister
Fantastic come “in parte Steve Jobs e in parte Oppenheimer“, aggiungendo che l’eroe è
“sempre stato sul punto di salvare il mondo o
distruggerlo“. Il trailer di domani sarà probabilmente quello
“definitivo“, quindi è probabile che i Marvel Studios si
impegnino al massimo.
Il film Marvel Studios I
Fantastici Quattro: Gli Inizi introduce la prima
famiglia Marvel composta da Reed Richards/Mister Fantastic
(Pedro
Pascal), Sue Storm/Donna Invisibile (Vanessa
Kirby), Johnny Storm/Torcia Umana (Joseph
Quinn) e Ben Grimm/la Cosa (Ebon
Moss-Bachrach) alle prese con la sfida più difficile
mai affrontata. Costretti a bilanciare il loro ruolo di eroi con la
forza del loro legame familiare, i protagonisti devono difendere la
Terra da una vorace divinità spaziale chiamata Galactus
(Ralph Ineson) e dal suo enigmatico Araldo, Silver
Surfer (Julia Garner). E se il piano di Galactus
di divorare l’intero pianeta e tutti i suoi abitanti non fosse già
abbastanza terribile, la situazione diventa all’improvviso una
questione molto personale.
Il film è interpretato anche da
Paul Walter Hauser, John Malkovich, Natasha Lyonne
e Sarah Niles. I
Fantastici Quattro: Gli Inizi è diretto da
Matt Shakman e prodotto da Kevin Feige, mentre Louis D’Esposito, Grant
Curtis e Tim Lewis sono gli executive producer.
Riri Williams, meglio conosciuta
come Ironheart,
è destinata a diventare una delle nuove eroine più promettenti
dell’universo cinematografico Marvel nella sua serie solista,
basata su alcuni eventi chiave
della timeline MCU. Apparsa per la prima volta in Black
Panther: Wakanda Forever, Riri ha subito lasciato un segno
indelebile. Con Ironheart dell’MCU, la storia di Riri sta per
espandersi in direzioni inaspettate.
In Black
Panther: Wakanda Forever, Riri Williams ha inavvertitamente
scatenato un conflitto politico e culturale in cui non avrebbe mai
voluto essere coinvolta. Ora, mentre Riri si prepara per la sua
avventura solista, ci sono alcuni sviluppi chiave delle sue
precedenti apparizioni che probabilmente avranno un impatto sulla
serie. Ciò è particolarmente importante considerando i riferimenti
a elementi mistici e oscuri imperi criminali presenti nel
trailer.
Riri Williams è un’ingegnere di
talento che idolatra Tony Stark
Black Panther: Wakanda
Forever
Riri Williams è uno dei personaggi
più intelligenti dell’MCU, una prodigio della tecnologia di Chicago
cresciuta idolatrando Tony Stark per la sua genialità e la sua
eredità eroica. Tuttavia, non era solo una fan, ha seguito le
sue orme. Ha decodificato tecnologie avanzate e creato nuove
innovazioni tutte sue.
L’invenzione più significativa di
Riri è stato un rilevatore di vibranio, che inavvertitamente l’ha
messa nel mirino di un conflitto internazionale. Quando i
Wakandiani hanno scoperto che gli Stati Uniti possedevano questo
tipo di tecnologia, l’hanno ricondotta a Riri. Questo ha portato
Shuri e Okoye al MIT.
Lì, l’intelligenza e il coraggio di
Riri le hanno rapidamente guadagnato il loro rispetto. Si è unita a
loro nella fuga da un raid del governo, diventando alla fine
un’alleata fondamentale. La sua ammirazione per Tony Stark è
più che simbolica: è il fondamento della sua identità e della sua
evoluzione in Ironheart.
Tony Stark ha finanziato un
programma di borse di studio al MIT dove studia Riri
Williams
Captain America: Civil
War
La frequenza di Riri Williams al
MIT non è solo un dettaglio del personaggio, ma è un’estensione
esplicita dell’eredità di Tony Stark nell’MCU. In Captain
America: Civil War, Tony ha annunciato la creazione di un
solido programma di borse di studio durante il suo discorso al MIT.
Questo offre finanziamenti illimitati agli studenti con idee
audaci.
Sebbene non sia mai stato detto
esplicitamente, è ampiamente sottinteso che Riri sia una delle
beneficiarie della borsa di studio. Questo crea un legame
tematico tra i due inventori e sottolinea l’impatto di Tony
anche molto tempo dopo la sua morte in Avengers: Endgame. Di conseguenza, il
periodo trascorso da Riri al MIT è stato incredibilmente
formativo.
È lì che ha sviluppato il suo
rilevatore di vibranio, ha lavorato su prototipi avanzati e ha
attirato l’attenzione di potenti attori come la CIA e il Wakanda.
La scuola è diventata un centro nevralgico per i talenti geniali
dell’MCU, con Riri che ne è una delle stelle più brillanti.
Il suo background accademico aggiunge credibilità al suo futuro
come supereroina tecnologica.
Obadiah Stane si è rivoltato
contro Tony Stark ed è morto in un’esplosione dell’Arc
Reactor
Iron Man
In Iron Man, Obadiah Stane è
stato presentato come l’affascinante ma assetato di potere COO
della Stark Industries. Amico intimo del padre di Tony, Stane era
apparentemente solidale, ma segretamente ha orchestrato il
rapimento di Tony per prendere il controllo dell’azienda.
Quando Tony è tornato e ha iniziato a progettare le sue armature
Iron Man, Stane è diventato ostile.
Alla fine Stane ruba il reattore
arc originale e costruisce la sua enorme armatura. Il loro scontro
finale si conclude con la morte di Stane nell’esplosione di un
reattore arc. Non è chiaro quanto della sua storia fosse nota
al pubblico, che poteva ancora avere l’impressione che Stane fosse
un amministratore delegato integerrimo.
Indipendentemente da ciò, questa
trama ha consolidato l’idea che la tecnologia di Stark avesse il
potere di cambiare, o di distruggere, il mondo. Il percorso di Riri
nella costruzione della sua armatura presenta parallelismi con
questa storia, soprattutto quando la sua tecnologia scatena
involontariamente tensioni internazionali. Con
Ironheart, la Marvel sembra pronta a rivisitare questi
dilemmi etici attraverso una nuova prospettiva più giovane.
Riri indossa per la prima volta
l’armatura Ironheart nel suo garage
Il viaggio di Riri Williams come
Ironheart è iniziato allo stesso modo di quello di Tony Stark: con
scintille che volavano in un garage. Utilizzando parti di recupero
e le sue straordinarie capacità ingegneristiche, Riri ha costruito
una tuta volante rudimentale che era abbastanza potente da sfuggire
agli agenti governativi insieme a Okoye e Shuri. Questa prima
armatura era rudimentale, ma ha dimostrato il suo potenziale
come eroina di nuova generazione.
L’armatura Ironheart Mark I non
aveva elmo né copricapo, il che ne limitava notevolmente le
capacità. In particolare, la Mark I non includeva una riserva
di ossigeno, causando lo svenimento di Riri mentre affrontava un
drone. Questa prima tuta è stata distrutta dai Talokanil in
Black Panther: Wakanda Forever.
La regina Ramonda ha salvato la
vita a Riri
Angela Bassett in Black Panther: Wakanda Forever – Credit
Marve/Disney
Un momento decisivo in Black
Panther: Wakanda Forever è stato l’eroico sacrificio della
regina Ramonda per salvare Riri Williams durante l’attacco dei
Talokan al Wakanda. Dopo che Namor ha allagato la sala del trono,
Ramonda ha rischiato tutto per mettere Riri in salvo,
perdendo alla fine la propria vita. Questo momento ha avuto un
profondo impatto su Riri.
Fino a quel momento, il suo
desiderio di costruire tecnologia e diventare un’eroina era in gran
parte ispirato dalla sua ammirazione per Tony Stark. Tuttavia,
l’atto altruistico di Ramonda le ha dato una ragione più profonda
ed emotiva per combattere. Non stava più semplicemente seguendo le
orme di Iron Man, ma stava onorando qualcuno che credeva nel suo
valore e nel suo potenziale.
Questo evento ha consolidato la
lealtà di Riri verso Wakanda. Ancora più importante, ha
rafforzato la sua determinazione a usare il suo intelletto per
il bene. È probabile che il sacrificio di Ramonda continuerà a
influenzare le decisioni di Riri nella serie Ironheart,
diventando forse il fulcro emotivo della sua trasformazione in una
vera eroina.
Ironheart ha aiutato i
Wakandiani nella guerra contro i Talokani
Riri Williams non è stata solo una
spettatrice durante la guerra tra Wakanda e Talokan. Ha avuto un
ruolo fondamentale nell’esito della guerra. Lavorando al fianco di
Shuri, Okoye e le Dora Milaje, Riri ha usato le sue abilità
ingegneristiche per aiutare a sviluppare nuove tecnologie e si è
unita alla battaglia finale con l’armatura completa di
Ironheart.
Ha volato in combattimento contro
le forze di Namor a bordo della nave wakandiana, utilizzando
sistemi di puntamento avanzati e manovre aeree per proteggere i
suoi alleati e interrompere l’offensiva talokana. Sebbene inesperta
in battaglia, Riri si è adattata rapidamente, usando sia il
cervello che il coraggio per difendersi. Il suo coinvolgimento
ha dimostrato che non è solo un genio in laboratorio, ma anche
qualcuno disposto a correre rischi reali per gli altri.
Ha anche accennato al suo ruolo
futuro nel più ampio MCU come qualcuno in grado di combattere al
fianco di personaggi di spicco. Gli eventi di Wakanda
Forever hanno dimostrato che Riri non è solo la successore di
Iron Man. Riri sta diventando un’eroina a tutti gli effetti.
L’armatura Ironheart di Riri è
stata lasciata a Wakanda
Sebbene Riri abbia costruito una
formidabile armatura Ironheart in Wakanda Forever, non ha potuto
portarla a casa. I Wakandiani hanno insistito affinché l’armatura
rimanesse nel loro paese a causa dell’uso del vibranio, un elemento
che proteggono ferocemente. Sebbene deludente per Riri, questo
momento pone le basi per un arco narrativo avvincente per la
serie Ironheart.
Senza l’armatura originale a
disposizione, Riri dovrà costruire una nuova armatura da
zero. Tuttavia, non potrà contare sulle rare risorse fornite da
Wakanda. Questa sfida spingerà la sua creatività a nuovi livelli e
la costringerà a forgiare la propria identità come Ironheart,
separata dalla tecnologia wakandiana e persino dall’eredità di Tony
Stark.
Questo le consentirà di realizzare
nuove invenzioni, stringere nuove alleanze e affrontare nuove
minacce mentre cerca di trovare il suo nuovo ruolo. Il pubblico
potrà assistere all’evoluzione dell’armatura di Riri, che avrà un
ruolo centrale nella serie in uscita. Questa terza versione
rifletterà la sua crescita personale come inventrice e supereroina,
e il trailer suggerisce che riceverà un upgrade che Iron Man non
ha mai avuto.
Gli stregoni dell’MCU si
allenano al Kamar-Taj, dove imparano a padroneggiare le arti
mistiche
La magia è diventata gradualmente
un pilastro fondamentale dell’MCU, e i trailer di Ironheart
suggeriscono che la storia di Riri presto entrerà nel regno del
mistico. Nell’MCU, stregoni come Doctor Strange e Wong si
allenano al Kamar-Taj, un monastero nascosto in Nepal. È lì che
imparano a manipolare la realtà usando l’energia di altre
dimensioni, creando incantesimi, portali e costruzioni magiche.
CorrelatiHo bisogno di un eroe
dell’MCU per combattere Doctor Doom più che mai dopo l’ultimo
teaser sul potenziamento dei poteriL’ultima serie Disney+ dell’MCU ha anticipato un
significativo potenziamento dei poteri che riposiziona uno dei
nuovi eroi come perfetto antagonista di Doctor Doom.
Questo sistema magico è stato
esplorato per la prima volta in Doctor Strange (2016) e da
allora si è ampliato in Doctor Strange in Multiverse of Madness e Shang-Chi
and the Legends of the Ten Rings. Il trailer di
Ironheart include i caratteristici simboli rossi e ambra e i
manufatti associati alle arti mistiche. Ciò suggerisce che Riri
potenzierà la sua armatura con la magia.
Con il suo background scientifico e
concreto, l’incontro di Riri con la magia probabilmente metterà
in discussione la sua visione del mondo e la costringerà a
ripensare ciò che è possibile. L’intersezione tra misticismo e
macchinari potrebbe essere un tema determinante della prima
stagione della serie. Tuttavia, non si sa ancora chi sia il mago
che insegna tutto questo a Riri.
Madripoor è un rifugio sicuro
per i criminali ed è governata dal Power Broker
Il mondo criminale dell’MCU è
diventato sempre più importante e Madripoor è uno dei suoi luoghi
più famosi. Introdotta in The Falcon And The Winter Soldier, Madripoor è una
città del sud-est asiatico dove criminali, trafficanti d’armi e
contrabbandieri prosperano senza timore di interferenze. È
anche la sede del misterioso Power Broker.
Rivelatosi in seguito essere Sharon
Carter, il Power Broker esercita una notevole influenza sui mercati
neri globali. Anche se Riri non ha (ancora) visitato Madripoor, i
trailer di Ironheart mostrano elementi criminali e affari
loschi che suggeriscono un possibile collegamento. Data la grande
richiesta della tecnologia di Riri, lei potrebbe attirare
l’attenzione di potenti signori del crimine e mercenari.
Madripoor potrebbe fare da sfondo
ad alcune delle trame più oscure della serie, forse collegando
Ironheart a trame future. Se il Power Broker dovesse
essere coinvolto, Riri dovrà affrontare la sua battaglia più
difficile: contro un mondo senza regole. L’introduzione di
Madripoor apre molte possibilità e cambierà senza dubbio la
narrazione di Ironheart.
È in preparazione un adattamento
cinematografico di The Stand – in Italia
conosciuto come L’ombra dello scorpione
– di Stephen King. Pubblicato originariamente
nel 1978, il romanzo segue i personaggi durante e dopo l’epidemia
di un virus che uccide il 99,4% della popolazione mondiale e narra
dell’epica battaglia del bene contro il male che ne consegue. Il
libro è già stato adattato due volte come miniserie televisiva, con
il primo adattamento del 1994 interpretato da Gary
Sinise, Molly Ringwald e Jamey
Sheridan. Il secondo adattamento, il cui cast comprende
James Marsden, Alexander Skarsgård e Whoopi Goldberg, è uscito nel 2020.
Secondo The Hollywood Reporter, un
adattamento cinematografico di L’ombra dello
scorpione è ora in fase di sviluppo presso la Paramount
Pictures con Doug Liman alla regia. Liman, che ha
già diretto The Bourne Identity, Mr. & Mrs. Smith,
Edge of Tomorrow e il remake di Road
House con
Jake Gyllenhaal, produrrà insieme a Tyler
Thompson della Cross Creek Pictures. Ora, presumibilmente,
inizierà la ricerca di scrittori per adattare il romanzo, che è
lungo ben 1.152 pagine dopo l’edizione integrale pubblicata nel
1990. Un’impresa non da poco, dunque.
Cosa significa questo per L’ombra dello scorpione
Il film è attualmente solo nelle
primissime fasi di sviluppo, dato che al momento sono coinvolti
solo Liman e Thompson. Il progetto deve ancora trovare gli
sceneggiatori che dovranno affrontare la sfida di adattare il libro
più lungo di Stephen King. Come miniserie
televisive, gli adattamenti del 1994 e del 2024 hanno avuto più
tempo per raccontare le loro storie. La versione del 1994 durava
sei ore in quattro episodi, mentre quella del 2020 arrivava a otto
ore e mezza dopo nove episodi. A meno che la storia non venga
suddivisa in più puntate, per il film di L’ombra dello
scorpione sarà necessario condensare ampiamente la
storia.
Mentre l’adattamento del 1994 è
stato accolto con grande favore, la miniserie del 2020 ha avuto
un’accoglienza molto negativa da parte della critica e del pubblico
in generale. Questa nuova versione, diretta da Liman, offre quindi
l’opportunità di ottenere un’accoglienza più favorevole. Detto
questo, sarà però una sfida conquistare coloro che hanno
familiarità con il materiale di partenza, poiché inevitabilmente
dovranno essere tagliati elementi sostanziali per avere una durata
ragionevole per un lungometraggio.
L’ultima notizia dell’adattamento risale al 2016 e annunciava
che il film sarebbe stato diviso in due parti. Non resta da
scoprire se questo aspetto verrà mantenuto.
Dopo il travolgente
successo dello scorso anno in Corso Como per i festeggiamenti del
25° anniversario, One Piece torna a
stupire Milano con un’iniziativa unica: per la prima volta le
iconiche vetrine della Rinascente di Piazza Duomo saranno
interamente brandizzate con le ambientazioni e i personaggi del
celebre e amatissimo anime giapponese, regalando ai passanti
un’immersione nel mondo di Monkey D. Rufy e della sua
ciurma.
Dal 8 al 21 luglio,
One Piece conquisterà lo store milanese accogliendo i visitatori
con una scenografia mozzafiato delle vetrine esterne. Scale mobili
e ascensori brandizzati condurranno i fan e i consumatori a
visitare il piano -1 dello store dove sarà possibile acquistare
prodotti ONE PIECE di Bandai e Toei Animation in un pop-up corner
dedicato. Una photo opportunity di grande impatto intratterrà i
visitatori per catturare un ricordo di un’esperienza memorabile da
non perdere!
Un’occasione unica
per rinnovare l’incontro con la vasta community di fan della serie,
ma l’iniziativa vuole anche essere un’opportunità per presentare
One Piece a chi ancora non lo conosce e si avvicina per la
prima volta – in una location inusuale e prestigiosa come
Rinascente, che catalizza ogni giorno moltissime persone
provenienti da tutto il mondo – a quello che oramai è un fenomeno
globale, trasversale e inclusivo, capace di unire culture,
generazioni e stili di vita.
Questa
collaborazione tra Toei Animation Europe,
Rinascente e i partner ufficiali rappresenta un ulteriore
passo avanti nella celebrazione del fenomeno One Piece,
che continua a raccogliere milioni di appassionati in tutto il
mondo, e che anche in Italia si conferma tra i brand giapponesi più
riconoscibili e amati.
Save the
date! Dall’8 al 21 luglio vivi l’esperienza One Piece in
Rinascente a Milano.
Il mondo del cinema italiano è in
lutto per la morte di Alvaro Vitali,
indimenticabile Pierino nella celebre commedia sexy all’italiana. A
75 anni, l’attore e comico si è spento a causa di “una
broncopolmonite recidiva”, per la quale era ricoverato da due
settimane. L’ex moglie Stefania Corona aveva confermato la
malattia.
Prima che arrivasse la commedia
sexy, Alvaro Vitali era stato scoperto da
Federico Fellini, per il quale recitò una piccola
parte nel Fellini Satyricon.
Partecipò a I clowns (1971) e a
Roma (1972), film celebre del regista che gli
regalò il ruolo di un ballerino di tip-tap d’avanspettacolo, che
Vitali riprese in Polvere di stelle, diretto e
interpretato da Alberto Sordi, con lui
Monica Vitti, e in Amarcord (1973), con
Ciccio Ingrassia.
Alvaro Vitali ha lavorato in oltre
150 film. Quando la moda delle commedie sexy scemò, l’attore sparì
dagli schermi, per tornare poi a Striscia la notizia, dove si specializzò in una
imitazione di Jean Todt, nel periodo in cui era
direttore della Scuderia Ferrari, e di altri personaggi.
Il nuovo film di Cillian Murphy il batte Peaky Blinders per un
sorprendente primato di carriera. Tra i primi ruoli cinematografici
dell’attore irlandese c’è l’horror 28 giorni dopo (2002), mentre
dal 2005 ha iniziato a collaborare con Christopher Nolan, interpretando lo
Spaventapasseri nella trilogia de Il cavaliere oscuro dal 2005 al
2012 e apparendo poi in Inception (2010) e Dunkirk (2017).
Tuttavia, Murphy ha raggiunto una maggiore notorietà per la sua
interpretazione di Thomas Shelby in Peaky Blinders, il period drama
della BBC andato in onda dal 2013 al 2022.
Nel 2023, Murphy ha interpretato il
fisico titolare in Oppenheimer di Christopher Nolan e ha vinto
l’Oscar come miglior attore. Per il resto, il film è stato un
enorme successo, con quasi un miliardo di dollari al botteghino e
sette premi Oscar, tra cui quello per il miglior film. L’anno
successivo, Murphy ha recitato in Piccole cose come queste, che è
passato inosservato ma che ha visto un’altra solida interpretazione
dell’attore irlandese. Ora Murphy ha un nuovo film in uscita, che
supererà Peaky Blinders e rappresenterà una sorprendente novità per
la carriera dell’attore.
Steve sarà il primo film originale
di Cillian Murphy in uscita su Netflix
CillianMurphy è protagonista di un nuovo film intitolato
Steve , che sarà il suo primo film originale Netflix. Riunirsi con il regista Tim Mielants dopo
Small Things Like These , con una sceneggiatura scritta da Max
Porter basata sul suo racconto del 2023 Shy , il prossimo film vede
Murphy nei panni del protagonista Steve , il preside di una scuola
per ragazzi con difficoltà sociali e comportamentali. Il cast
include anche Emily Watson, anche lei di nuovo insieme a Murphy
dopo Small Things Like These , al fianco di Jay Lycurgo, Tracey
Ullman e Simbi Ajikawo.
Steve racconta la storia di un
preside che lotta per salvare il suo riformatorio dalla chiusura
imminente, intrecciandosi con il percorso personale di uno dei suoi
studenti. Ambientato a metà degli anni ’90, il film segue una
giornata critica nella vita di Steve e dei suoi studenti in un
riformatorio di ultima istanza, abbandonato dal mondo che li
circonda. Mentre Steve lotta per difendere i valori della scuola e
mantenerla aperta, si trova anche ad affrontare i suoi problemi di
salute mentale.
Parallelamente alla storia di
Steve, c’è quella di Shy (Jay Lycurgo), un adolescente problematico
diviso tra un passato doloroso e un futuro incerto, alle prese con
la sua vulnerabilità e una spinta distruttiva verso la violenza.
Steve uscirà in sale selezionate a settembre , seguito dall’uscita
su Netflix il 3 ottobre . La piattaforma di streaming ha condiviso
un’anteprima di Murphy nel film, che potete vedere qui sotto:
Il mandato di Daniel Craig nei panni di James
Bond giunge al termine in No Time to
Die (qui
la recensione), l’ultimo film della serie che presenta alcune
delle mosse più ambiziose dell’intero franchise. Infatti, si tratta
di un film di Bond rivoluzionario sotto molti aspetti, ma conclude
anche l’arco narrativo del personaggio interpretato da Craig in
modo soddisfacente e definitivo, a differenza della maggior parte
dei suoi predecessori. Entriamo quindi nel vivo del finale, dei
colpi di scena, degli easter egg che potreste aver perso e come il
film porta definitivamente a termine la storia di James Bond
interpretato da Craig.
Il piano malvagio del cattivo
La trama di No Time to
Die è a dir poco complicata, ma il film riprende da dove
avevamo lasciato con Spectre,
con Bond e la dottoressa Madeline Swan (Lea
Seydoux) che cercano di vivere una vita tranquilla in
pensione. Ma quando Bond viene attaccato da Spectre, sospetta che
Swan lo abbia tradito e la allontana dalla sua vita per sempre. O
almeno così crede. La scena iniziale del film spiega poi come Swan
sia collegata al cattivo interpretato da Rami Malek, Lyutsifer Safin,
l’uomo che si recò a casa di Madeline quando lei era bambina, alla
ricerca del padre di lei, il signor White.
Ma quando trovò solo Madeline e sua
madre, uccise la donna e risparmiò la vita della bambina. Il
cerchio si chiude quando il film fa un salto in avanti di cinque
anni dopo la rottura tra Bond e Swan, e Safin è ora un
bioterrorista in possesso di un’arma biologica che, una volta
rilasciata, può colpire il DNA di individui specifici. In
No Time to Die viene utilizzata per uccidere tutti
i membri di Spectre, lasciando illesi gli innocenti presenti nella
stanza. Ma mentre ci avviciniamo alla conclusione del film nella
tana di Safin sull’isola, dove tiene in ostaggio Madeline e la sua
giovane figlia Mathilde, Safrin rivela la sua intenzione di
scatenare l’arma sul mondo intero, gettandolo nel caos.
Rami Malek in No Time To Die
Il tempo scorre
Nel finale, Bond scende quindi nel
covo di Safin e riesce a portare in salvo Madeline e Mathilde (con
l’aiuto di Nomi, alias la nuova 007, interpretata
da Lashana Lynch), ma rimane indietro per
assicurarsi che i missili che M (Ralph
Fiennes) lancia dalle navi vicine distruggano
definitivamente il covo. Affinché i missili possano spazzare via
ogni traccia dell’arma biologica prima che venga rilasciata, Bond
deve però aprire le porte blindate da una sala di controllo. Con
l’aiuto di Q (Ben
Whishaw), Bond riesce ad aprire le porte, ma Safin le
richiude immediatamente. Il tempo stringe perché i missili sono già
stati lanciati, e Bond e Safin iniziano una lotta durante la quale
il cattivo rompe una fiala dell’arma biologica sulla testa di
Bond.
Safin rivela che si tratta di una
versione dell’arma biologica legata direttamente al DNA di
Madeline, il che significa che se Bond entra in contatto con
Madeline o Mathilde, le ucciderà all’istante. Bond spara a quel
punto a Safin e, ormai rassegnato al suo destino, torna nella sala
di controllo per riaprire le porte blindate. Conferma con Q che una
volta esposto all’arma biologica, non è possibile eliminarla: è
“eterna”, secondo le parole di Q. Non può lasciare quest’isola
vivo. Q mette quindi Bond in contatto con Madeline per parlare con
lei un’ultima volta, che capisce immediatamente che non c’è modo di
tornare indietro. I due si salutano in lacrime e vediamo Craig nei
panni di Bond che fissa l’oceano mentre i missili piovono su di
lui.
La morte di James Bond
Sì, No Time to
Die segna una novità assoluta per la serie, in quanto
uccide letteralmente James Bond. Il personaggio di Craig compie il
sacrificio estremo e le scene che seguono – un elogio funebre e un
ultimo addio da parte di Madeline e Mathilde – chiariscono che
James Bond è morto. È una mossa ambiziosa, ma che il film realizza
abilmente. Da Casino Royale, il Bond di Craig si è
dimostrato un tipo diverso dai suoi predecessori. Una versione più
empatica, più riflessiva e più vulnerabile del personaggio. A tal
fine, un sacrificio altruistico ha perfettamente senso come finale.
Non ha avuto abbastanza tempo da trascorrere con la sua famiglia,
ma il suo sacrificio garantisce loro, secondo le sue parole, tutto
il tempo del mondo.
Un altro colpo di scena importante
in No Time to Die riguarda la rivelazione che
James Bond potrebbe avere o meno una figlia. Quando Mathilde viene
presentata per la prima volta nel terzo atto, Madeline insiste nel
dire che non è la figlia di James. Ma Bond è più furbo di così e
nota immediatamente i suoi occhi blu. Il film non cerca di
nascondere la vera natura del rapporto tra Bond e Mathilde, e
Madeline conferma una volta per tutte che lui è il padre durante la
loro ultima telefonata insieme, pochi istanti prima che Bond muoia.
Quindi sì, anche se il film è leggermente ambiguo, Mathilde è la
figlia di James Bond.
Come No Time to
Die si collega a Al servizio segreto di Sua
Maestà
La natura profondamente romantica e
tragica di No Time to Die, sebbene efficace, non è
del tutto nuova per la serie. Nel film del 1969 Al servizio
segreto di Sua Maestà, Bond si innamora di una donna di
nome Tracy (Diana Rigg) e arriva
persino a sposarla, ma alla fine del film Blofeld
ritorna e la uccide. Il Bond interpretato da George
Lazenby è devastato e, mentre culla il suo corpo senza
vita, dice a un agente di polizia: “Non c’è fretta, capisci.
Abbiamo tutto il tempo del mondo”. In No Time to
Die, Bond dice proprio a Madeline che lei e Mathilde hanno
“tutto il tempo del mondo” durante la loro ultima
telefonata, e la canzone di Louis Armstrong
“All the Time in the World” accompagna i titoli di coda
del film.
No Time to Die
prefigura persino il tragico finale, poiché il tema “We Have
All the Time in the World” del compositore John
Barry tratto da Al servizio segreto di Sua
Maestà è un motivo ricorrente nella colonna sonora di
Hans Zimmer per No Time to Die. I
fan più accaniti della saga magari lo avranno notato per tempo, ma
è indubbiamente un easter eggs che è interessante riscoprire anche
in seguito alla visione. È indubbiamente l’elemento che più di ogni
altro anticipa che il film si concluderà in modo tragico, con la
morte di uno dei protagonisti. Certo, forse nessuno si aspettava
che a morire fosse proprio Bond.
Il futuro della serie di James
Bond
Sebbene No Time to
Die abbia letteralmente ucciso James Bond, la serie
continuerà. Dopo diversi anni senza grandi progressi e il grande
cambiamento nel controllo creativo che ha lasciato la famiglia
Broccoli dopo oltre 60 anni, la notizia è un passo incoraggiante
per il prossimo James Bond. La maggior parte dei
nomi citati sarebbero da considerarsi abbastanza sicuri, ma
comunque entusiasmanti: registi che hanno dimostrato di saper
lavorare su grandi progetti cinematografici, realizzare ottimi film
e grandi successi, ma che allo stesso tempo hanno saputo lasciare
il proprio segno.
Ciò suggerisce anche che, sebbene
Amazon MGM abbia ora il controllo creativo, la visione sarà guidata
da chiunque otterrà l’incarico, con il regista che sarà scelto
prima della stesura della sceneggiatura. Da tempo si discute anche
su chi sarà il prossimo James Bond, con attori come Aaron Taylor-Johnson, Theo
James e Henry Cavill perennemente collegati al ruolo.
Sembrerebbe che qualsiasi decisione sul casting sia ancora lontana,
il che dovrebbe significare che il progetto potrà essere adattato
meglio all’attore che il regista finale sceglierà.
Sebbene ricrei la storica
Rivoluzione Americana, la vera storia di Il
patriota è molto diversa da quella vista sullo schermo.
Nel film, Benjamin Martin (Mel
Gibson) è un veterano della guerra franco-indiana che
ora vive da vedovo con i suoi numerosi figli. Martin è inizialmente
riluttante a combattere contro gli inglesi, ma quando il malvagio
leader delle giubbe rosse, il colonnello William
Tavington, uccide uno dei suoi figli, Martin recluta una
milizia e la guida in una campagna di guerriglia altamente efficace
contro le forze britanniche nella Carolina del Sud.
Il patriota è stato
ampiamente criticato per aver ridotto la guerra d’indipendenza
americana alla missione di vendetta di un solo uomo. Tuttavia,
alcuni aspetti del film sono basati su una storia vera, da diversi
personaggi principali alle tattiche di battaglia utilizzate.
Nonostante queste ispirazioni, ci sono ancora più aspetti del film
che sono stati criticati per essere invenzioni complete e
offensive, nonché momenti che ignorano aspetti chiave della storia.
Nel complesso, la vera storia di Il
patriota rispetto al film crea un’eredità
complicata.
Benjamin Martin è basato
principalmente su Francis “Swamp Fox” Marion
Il Il patriota è un
ottimo esempio di film ispirato alla storia ma con molti elementi
di finzione nella trama. Non esisteva alcun leader della milizia
patriota chiamato Benjamin Martin che abbia combattuto nella guerra
d’indipendenza, e i dettagli della vita e della famiglia di
Benjamin sono inventati. Tuttavia, nel featurette del DVD “True
Patriots”, lo sceneggiatore Robert Rodat
spiega che Benjamin è basato su diversi personaggi storici reali:
Francis “Swamp Fox” Marion, Thomas
Sumter, Nathanael Greene, Andrew
Pickens e Daniel Morgan.
Francis Marion sembra essere stato
l’influenza principale, poiché molti dettagli del personaggio di
Benjamin – tra cui il suo ruolo nella guerra franco-indiana, il suo
uso di tattiche di guerriglia, il suo raduno e la sua leadership
dei miliziani e il suo uso di imboscate per raccogliere
informazioni – sono tratti direttamente dalla biografia di Marion.
La creazione di un personaggio immaginario anziché l’utilizzo di
una figura storica fornisce a Il patriota una
scusa per tralasciare dettagli che sarebbero stati più difficili da
tollerare per il pubblico moderno in un presunto eroe.
Ad esempio, i personaggi
afroamericani che lavorano nella casa e nei campi di Benjamin sono
descritti come schiavi liberati che rimangono sconvolti quando
vengono portati via con la forza per combattere per gli inglesi.
Francis Marion, tuttavia, era un proprietario di schiavi che aveva
la reputazione di violentare le sue schiave e durante la guerra
prese di mira e giustiziò gli schiavi liberati che erano sospettati
di collaborare con gli inglesi. Era anche noto per la persecuzione
e il massacro degli indiani Cherokee, che nel film è stato
riscritto come un singolo episodio bellico che Benjamin Martin
considera la sua più grande vergogna e il suo più grande
rimpianto.
Jason Isaacs in il patriota
William Tavington è vagamente
ispirato a Banastre Tarleton
Il cattivo principale di Il
patriota è invece il malvagio William
Tavington, interpretato da Jason Isaacs, che si ispira al vero soldato e
politico britannico Sir Banastre Tarleton. Il vero
Tarleton guidò le forze britanniche nella battaglia di Cowpens (al
centro del terzo atto del film) e fu incaricato di stanare e
catturare la Mariion quando si rivelò un problema per le forze
britanniche nella Carolina del Sud. Come Tavington nel film, non
ebbe successo. A Tarleton fu dato il soprannome di “il Macellaio”,
ma non a causa del suo trattamento brutale dei civili. Il
soprannome derivava da una singola battaglia, la battaglia di
Waxhaws, durante la quale Tarleton fu colpito mentre era a cavallo
e rimase intrappolato sotto di esso.
Mentre lui non era in grado di dare
ordini, i suoi uomini, temporaneamente senza un capo, continuarono
a uccidere i soldati continentali, molti dei quali si stavano
arrendendo o non opponevano resistenza. L’esercito continentale
utilizzò il “massacro di Waxhaws” in una campagna di propaganda
contro gli inglesi, concentrandosi su Tarleton come il cattivo
della storia. La campagna ebbe molto successo e “Tarleton’s
Quarter” divenne un modo di dire che significava non fare
prigionieri. Tuttavia, Tarleton non era il mostro assassino di
bambini che è invece William Tavington nel film, e l’atto più
mostruoso di Tavington non è mai avvenuto.
Gli inglesi non hanno bruciato una
chiesa piena di civili
Una delle scene più controverse del
film Il patriota è quella in cui Tavington mette
alle strette un gruppo di cittadini, tra cui donne e bambini, che
si sono riuniti per pregare in chiesa, e ordina ai suoi uomini di
chiudere le porte con un lucchetto e bruciare la chiesa con loro
all’interno. Sebbene durante la guerra d’indipendenza ci siano
state vittime civili e edifici bruciati, non vi è alcuna traccia di
un evento simile commesso da entrambe le parti. Il film è stato
pesantemente criticato per questa scena, sia perché dipinge in modo
fuorviante l’esercito britannico come cattivo, sia perché sminuisce
l’orrore di un’atrocità simile avvenuta nella realtà.
Una versione di questo incendio di
una chiesa fu commessa quasi 200 anni dopo da una divisione Panzer
delle SS durante la seconda guerra mondiale, quando gli abitanti
del villaggio di Oradour-sur-Glane, nella Francia occupata dai
nazisti, furono radunati e massacrati. A un certo punto, le persone
furono radunate nella chiesa locale e poi furono lanciate delle
granate, mentre mitragliatrici sparavano su chiunque tentasse di
fuggire dalle finestre. Tra le vittime c’erano 247 donne, 205
bambini e tre sacerdoti.
Skye McCole Bartusiak e Mel Gibson in Il patriota
Il patriota edulcora pesantemente
la schiavitù
L’altro aspetto principale in cui
l’inesattezza storica de Il patriota è considerata
particolarmente grave è l’edulcorazione del trattamento riservato
agli schiavi e agli schiavi liberati dall’esercito continentale in
generale, e da Francis Marion in particolare. I personaggi di
colore nel film sono ritratti come uomini e donne liberi che si
guadagnano da vivere lavorando la terra di Benjamin Martin, che
amano la sua famiglia e sono trattati come membri della famiglia
stessa. Si tratta di un’affermazione particolarmente problematica,
dato il trattamento riservato da Marion ai propri schiavi.
Sia l’esercito britannico che quello
americano cercarono di motivare gli schiavi a combattere per loro
offrendo loro la libertà e persino un compenso dopo un periodo di
servizio, e molti schiavi fuggirono per combattere per i britannici
contro i loro ex proprietari. In Il patriota,
tuttavia, il fatto che gli schiavi liberati della famiglia Martin
vengano radunati per combattere per gli inglesi è trattato come un
momento triste, mentre Occam, donato alla milizia di Benjamin
Martin dal suo proprietario e che guadagna la libertà attraverso il
servizio, è presentato come una trama trionfante.
Il regista Spike Lee ha espresso con particolare veemenza
il suo disgusto per il modo in cui The Patriot ha trattato la
schiavitù all’epoca (tramite The Guardian): “Per tre ore
Il patriota ha eluso, aggirato o completamente ignorato la
schiavitù. Com’è conveniente… che il personaggio di Mel Gibson non
sia uno schiavista… Il patriota è pura e palese propaganda
hollywoodiana americana. Una completa mistificazione della
storia”.
Il patriota è storicamente accurato
nelle scene di battaglia
Sebbene non sia affatto il film di
guerra più accurato, le sequenze di battaglia sono gli aspetti
storicamente più accurati di Il patriota. Il film
ritrae due battaglie chiave della guerra d’indipendenza americana:
la battaglia di Camden (che Gabriel e Benjamin
osservano da lontano) e la battaglia di Cowpens
(la battaglia finale del film). La vista delle forze americane e
britanniche che marciano rigidamente l’una verso l’altra attraverso
un campo e poi si fermano e rimangono completamente esposte in
colonne ordinate mentre sparano con i loro fucili può sembrare
strana rispetto alle tattiche più moderne.
Una scena di battaglia in Il patriota
Tuttavia, all’epoca, le armi da
fuoco richiedevano molto tempo per essere ricaricate (nel migliore
dei casi, un soldato poteva sparare circa tre colpi al minuto) e
non erano particolarmente precise anche quando mirate alla
perfezione (la scena in cui Benjamin e i suoi due figli sparano ai
Redcoats con precisione millimetrica è molto irrealistica). Ciò
significava che la chiave per la vittoria in una battaglia aperta
era mantenere la formazione e sparare il più rapidamente possibile,
perché in formazione i soldati diventavano più forti della somma
delle loro parti.
Quaranta uomini in formazione che
sparavano nella stessa direzione generale avrebbero colpito più
bersagli rispetto agli stessi quaranta uomini sparsi sul campo di
battaglia che cercavano di mirare a bersagli specifici. Mentre una
linea di soldati si abbassava per ricaricare, la linea dietro di
loro poteva prendere la mira e sparare la successiva raffica di
colpi. La vittoria poteva anche essere ottenuta costringendo la
parte avversaria a rompere la propria formazione, cosa che nella
battaglia di Camden fu ottenuta attraverso una carica alla
baionetta alla quale le forze americane non erano preparate e che
le fece andare nel panico e disperdersi.
I soldati americani nella battaglia
di Cowpens erano guidati dal generale Daniel
Morgan, uno degli uomini su cui è basato Benjamin Martin,
e la scena in cui ai membri della milizia viene chiesto di sparare
solo due colpi e poi fingere una ritirata è realmente accaduta. Il
piano era stato ideato per attirare le forze britanniche in avanti,
facendogli credere di aver messo in fuga gli americani, solo per
condurli in una raffica preparata di colpi di moschetto seguita
immediatamente da una carica alla baionetta. Da questo punto di
vista, dunque, Il patriota sfoggia le
sue carte vincenti.
All the Devil’s Men –
Squadra Speciale è un action thriller del 2018 diretto da
Matthew Hope,
che si colloca nel solco dei film di genere militare e spionistico,
con atmosfere cupe e un ritmo serrato. Ambientato tra Londra e
altre location internazionali, il film segue le operazioni di un
gruppo di mercenari al soldo della CIA, impegnati in una missione
che si trasforma rapidamente in una lotta per la sopravvivenza. Il
tono è quello crudo e realistico tipico dei moderni war-movie e
spy-movie, con sparatorie, tradimenti e alleanze che si sgretolano
nel giro di poche scene. Le sequenze d’azione sono il cuore
pulsante del film, caratterizzate da un uso massiccio di armi da
fuoco, combattimenti corpo a corpo e inseguimenti adrenalinici.
Tra le caratteristiche che
distinguono il film c’è però anche l’attenzione alla psicologia dei
protagonisti, in particolare al tormentato Jack
Collins, ex Navy SEAL diventato mercenario, interpretato
da Milo Gibson. Il film scava nel lato oscuro dei
soldati d’élite, uomini consumati da missioni segrete e conflitti
interiori, spesso incapaci di trovare una collocazione nella vita
civile. L’atmosfera generale è volutamente cupa e disillusa,
riflettendo un mondo in cui ideali e morale sembrano essere
sacrificati in nome di interessi politici ed economici. La trama,
pur basata su schemi narrativi noti, cerca di offrire un intreccio
ricco di tensione e colpi di scena, dove nulla è come sembra e ogni
scelta ha conseguenze letali.
Nel corso di questo approfondimento
ci concentreremo però non solo sull’azione e sulle dinamiche che
caratterizzano All the Devil’s Men – Squadra
Speciale, ma anche sulla spiegazione del suo finale.
Analizzeremo come si conclude la missione del protagonista e quale
sia il significato più profondo delle sue scelte e di quelle dei
personaggi che lo circondano. Il film, infatti, non si limita a un
susseguirsi di scontri armati, ma propone una riflessione su
lealtà, sacrificio e il prezzo della guerra segreta.
Milo Gibson in All the Devil’s Men – Squadra speciale
La trama di All the Devil’s
Men – Squadra Speciale
Il film ha per protagonista
Jack Collins (Milo Gibson), ex
Navy SEAL profondamente segnato dalla guerra e che vive tormentato
dai suoi demoni interiori e da un passato difficile da dimenticare.
Diventato cacciatore di taglie per conto della CIA, accetta
un’ultima missione ad alto rischio offertagli da
Leigh (Sylvia Hoeks), agente
dell’antiterrorismo: fermare Terry McKnight
(Elliot Cowan), un ex collega della CIA diventato
un pericoloso rinnegato, capace di agire senza scrupoli. McKnight
si trova a Londra e sta trattando con criminali russi per ottenere
un’arma nucleare, minacciando una catastrofe globale e il fragile
equilibrio tra le potenze mondiali.
Per Collins, però, questa missione è
anche una resa dei conti personale, essendo McKnight un suo vecchio
commilitone con cui ha condiviso il campo di battaglia in
operazioni clandestine. Affiancato dai compagni
Brennan (William Fichtner) e
Samuelson (Gbenga Akinnagbe),
Collins si ritrova a Londra, dove ingaggia una vera e propria
guerriglia urbana contro l’esercito privato di McKnight, addestrato
ed equipaggiato con precisione militare. A complicare tutto, c’è
Tony Deighton (Joseph Millson),
un ex collega che ora combatte dalla parte sbagliata, spinto da
motivazioni oscure. In un mix esplosivo, la missione diventa una
lotta per la sopravvivenza, dove niente è come sembra.
La spiegazione del finale
Nel terzo atto di All the
Devil’s Men – Squadra Speciale, l’intensità raggiunge il
culmine quando Collins, ex Navy SEAL trasformato in cacciatore di
taglie per la CIA, si ritrova braccato tanto quanto le sue stesse
prede. Dopo una lunga caccia all’uomo nelle strade di Londra,
Collins e la sua squadra riescono a individuare McKnight, l’ex
agente della CIA passato al nemico, intenzionato a vendere un
carico letale di uranio arricchito a terroristi. Lo scontro finale
ha luogo in un magazzino abbandonato, dove le tensioni tra Collins
e i suoi alleati vengono messe alla prova. Le sequenze sono
frenetiche: tra sparatorie serrate e combattimenti corpo a corpo,
la posta in gioco si alza a ogni istante. Collins si trova infatti
faccia a faccia con McKnight e, dopo un brutale confronto, riesce a
fermarlo, impedendo così che l’uranio finisca in mani
pericolose.
Joseph Millson e Elliot Cowan in All the Devil’s Men – Squadra
speciale
Mentre la polizia e le forze
speciali irrompono sulla scena, Collins osserva il caos che lo
circonda, realizzando che la missione ha avuto un costo personale
altissimo. I membri della sua squadra sono decimati e il suo stesso
senso morale è ormai logoro. La conclusione lascia un sapore amaro:
nonostante la minaccia sia stata sventata, Collins comprende che
non esistono veri vincitori in questo gioco letale. La pellicola si
chiude con lui che si allontana, silenzioso e solo, mentre le
sirene delle forze dell’ordine risuonano nella notte londinese. Non
c’è gloria, solo il peso delle azioni compiute e la consapevolezza
di essere stato, ancora una volta, solo un ingranaggio in una
macchina di morte e potere.
La risoluzione del film evidenzia
perfettamente uno dei suoi temi principali: la moralità ambigua nel
mondo delle operazioni clandestine. Collins, pur agendo formalmente
per il “bene superiore”, si trova coinvolto in un conflitto in cui
il confine tra giusto e sbagliato è sempre più sfumato. Il finale
riflette come ogni missione, anche quella apparentemente più
giusta, abbia un prezzo altissimo e spesso insensato. L’eroismo
convenzionale lascia il posto a un realismo cupo e disincantato,
che mostra come gli agenti sul campo siano sacrificabili e
manipolabili, pedine in giochi più grandi di loro.
Infine, il destino di Collins e la
sua disillusione rappresentano una critica al sistema stesso che lo
ha creato e usato. Il film pone domande scomode sulla guerra
segreta che si combatte nell’ombra e sul valore della lealtà in un
mondo dominato da interessi politici e strategici. Il finale, con
la sua mancanza di catarsi e il senso di solitudine che avvolge il
protagonista, lascia lo spettatore a riflettere sulla vacuità delle
battaglie combattute in nome della sicurezza globale, e su come il
vero nemico spesso risieda nelle stesse istituzioni che promettono
protezione.
Presentata oggi all’Italian
Global Series Festival di Riccione
Sandokan la serie evento internazionale, prodotta
da Lux Vide, società del gruppo Fremantle, in collaborazione con
Rai Fiction (qui
le immagini). Da un’idea di Luca Bernabei, la serie è un nuovo
adattamento della storica saga di romanzi di Emilio Salgari,
sviluppata per la televisione da Alessandro Sermoneta, Scott
Rosenbaum e Davide Lantieri, e diretta da Jan Maria Michelini e
Nicola Abbatangelo. Sandokan andrà in onda prossimamente su Rai1 e
sarà distribuita in tutto il mondo da Fremantle e in Spagna da
Mediterráneo Mediaset España Group.
Borneo, metà del
1800. Un paradiso abitato dalle tribù native dei Dayak, che vivono
secondo le loro antiche tradizioni, ma dominato dalla spietata
legge degli inglesi, all’apice del loro potere coloniale. Sandokan
vive alla giornata, senza schierarsi: combatte per se stesso e per
la sua ciurma di pirati, tra cui il fidato Yanez. Ma la sua vita
cambia quando, durante un’incursione, incontra Marianna, la bella
figlia del console britannico di Labuan. È l’inizio di una storia
d’amore impossibile tra due anime inaspettatamente simili:
Marianna, di sangue nobile, ma con lo spirito selvaggio di chi è
cresciuto in un paradiso tropicale, e Sandokan, leader pirata e
avventuriero, che porta in sé il sangue di re guerrieri. Sulle loro
tracce si metterà il leggendario cacciatore di pirati, Lord James
Brooke, che non si fermerà davanti a niente pur di catturare
Sandokan e conquistare il cuore di Marianna.
Sandokan è un
racconto di avventura e di amore, in cui i protagonisti scopriranno
se stessi e capiranno di appartenere a una storia molto più grande,
fatto di rivoluzione, di amore per la natura e di lotta per la
libertà.
L’embargo sui social media per
Ironheart è
stato revocato ieri sera, e le recensioni seguiranno stasera,
quando i primi tre episodi saranno presentati su Disney+. Il consenso finora è per
lo più positivo. Ci sono però alcune critiche importanti, e non si
preannuncia affatto un successo come Thunderbolts* del mese scorso.
In questa sede elencheremo i 5
elementi che si evincono dalle prime recensioni social della serie
e che è utile sapere prima di vedere Ironheart, disponibile su Disney+ con i primi 3 episodi dal 25
giugno.
Ha un finale imperdibile
I critici raramente sono unanimi su
qualcosa, ma tutti elogiano il finale di
Ironheart. Fortunatamente, con l’intera
stagione di sei episodi in onda nell’arco di due settimane, non
dovrete aspettare a lungo prima di poterlo guardare.
Ironheart è stato girato nel 2022,
il che significa che è un prodotto dell’era della “quantità
prima della qualità“, che ha prodotto anche Secret
Invasion ed Echo. All’epoca, i Marvel Studios faticavano a
mantenere il ritmo con i suoi finali, quindi questa serie che è
riuscita a soddisfare dovrebbe essere accolta con favore dai
fan.
La storia è carente
Sebbene alcuni critici abbiano
elogiato la storia di Ironheart, la
maggior parte sembra esserne rimasta sostanzialmente indifferente.
Rohan Patel di ComicBookMovie.com, ad esempio, ha osservato che
“ci vuole davvero un po’ di tempo per decollare”.
Nonostante ciò, la dinamica tra i
personaggi e come si sviluppano le cose tra Riri e The Hood
sembrano per lo più una vittoria. È solo l’idea generale che
l’adolescente si imbatta in brutte compagnie e si renda conto dei
suoi errori a non funzionare del tutto.
Una selezione di personaggi che
lascia dubbi
Sebbene il lavoro sui personaggi di
Ironheart venga elogiato, sembra che il
vostro rapporto con loro possa variare. @GermainLussier ha elogiato
i “personaggi fantastici” della serie, mentre @BpopeTV ha
sostenuto che “la dinamica tra Riri e Natalie è il
collante“.
L’efficacia di Hood come cattivo è
oggetto di dibattito, mentre alcuni personaggi secondari sono
descritti come “bidimensionali” o, come ho detto io,
“meno si parla della squadra di Hood, meglio è“. Il lato
positivo è che l’esplorazione della nascente amicizia di Riri con
la sua IA, Natalie, sembra valere da sola il prezzo del biglietto.
“[Ironheart] è di gran lunga la chimica tra Thorne e Ross. La loro
amicizia è ciò che dà serietà al viaggio e alle decisioni di Riri”,
spiega @FenixNests.
Dominique Thorne brilla
“Dominique Thorne brilla nei
panni di Riri Williams“, “Dominique Thorne è
l’incarnazione di Riri Williams” e “Dominique Thorne è una
forza da non sottovalutare nei panni di Riri Williams“, sono
solo alcuni esempi degli elogi rivolti alla protagonista di
Ironheart.
L’attrice ha impressionato in
Black Panther: Wakanda Forever, ma questa serie le
offre chiaramente l’opportunità di brillare in un modo che non
avrebbe potuto fare come personaggio secondario in un film
altrimenti molto impegnativo.
E gli altri attori di spicco?
@TheJonathanSim avrebbe potuto esprimerlo al meglio quando ha
detto: “Dagli eroi ai cattivi, tutti sono magnetici. Dominique
Thorne e Alden Ehrenreich sono eccezionali. Anthony Ramos è in
forma smagliante”. Anche Lyric Ross è da tenere d’occhio.
È una storia breve… con grandi
implicazioni per l’MCU
Ironheart
non manca di azione (e gli effetti visivi sono descritti come tra i
migliori della Marvel Television), ma come dice sinteticamente
@MrMovieGuy86, “Questa è una storia molto più breve e
intima“. Questo sorprenderà molti di voi, ma si potrebbe
sostenere che Riri Williams sia classificata come una supereroina
di strada, in una certa misura.
Come accennato, il finale è dedicato
a definire il futuro del MCU, al di là del ruolo di
Ironheart. Oppure, come anticipava
@POCculture, “Questa serie ha implicazioni enormi per il futuro
dell’MCU. ENORMI”.
Non stanno esagerando, dato che la
serie potrebbe fungere da piattaforma di lancio per molte storie
diverse. Fortunatamente, anche il mix di scienza e magia (che è
stato ampiamente raccontato nei trailer) funziona, a giudicare dai
commenti dei critici.
A seguito della recente notizia
secondo cui il regista di Thunderbolts*Jake Schreier era stato preso in considerazione
per dirigere il reboot di X-Men della Marvel Studios, sembra che ci sia
ora la conferma che abbia ufficialmente firmato per mettersi dietro
la macchina da presa. Sebbene a volte le cose possano andare a
monte, quando un regista o un attore viene annunciato come “in
trattativa” per un determinato progetto, di solito è un buon segno
che l’accordo sia già stato raggiunto.
Variety ha in precedenza menzionato
che Schreier è stato “scelto” per il lavoro in un recente articolo,
ma si è generalmente supposto che la rivista stesse semplicemente
riportando una vecchia notizia senza fornire aggiornamenti. Ora
però, il regista di Black Panther e produttore esecutivo di IronheartRyan Coogler non ha lasciato dubbi sul fatto che
Schreier sarà l’uomo che riunirà il team di eroi mutanti della
Marvel per la loro prima apparizione sul grande schermo dopo Dark
Phoenix della 20th Century Fox. La dichiarazione è avvenuta nel
corso di una video intervista, poi riportata su X da Nexus Point
News.
La notizia iniziale che Schreier era
in lizza per dirigere X-Men ha suscitato reazioni contrastanti.
Sebbene Thunderbolts* sia stato un grande
successo tra i critici e i fan della Marvel, in generale l’ultimo
film dell’MCU non ha ottenuto buoni risultati al botteghino e il
regista è considerato da alcuni una scelta “sicura ma
insignificante” per un film così importante. Ad ogni modo, Coogler
sembra essere stato fin troppo sincero ed è probabile che questa
non fosse una notizia che poteva già essere condivisa con i fan. In
ogni caso, sembra che i lavori sul reboot degli X-Men stiano
andando avanti, per cui non resta che attendere notizie
ufficiali.
Chi reciterà nel reboot degli X-Men?
Secondo quanto riferito, il casting
ufficiale dovrebbe iniziare molto presto (se non è già iniziato) e
personaggi del calibro di Harris Dickinson,
Margaret Qualley e Julia
Butters sarebbero nel mirino dello studio (secondo quanto
riferito, erano in lizza per interpretare Cyclope, Rogue e Kitty
Pryde, ma non sappiamo se sia ancora così), insieme alla star di
Alien: RomulusDavid
Jonsson e Trinity Bliss, che potrebbero
essere in lizza per interpretare Jubilee. Altri nomi che sono
emersi nelle voci di corridoio includono Hunter Schafer (Mystica), Ayo Edebiri (Tempesta) e Javier Bardem (Mr. Sinister).
Riguardo al progetto Kevin Feige ha dichiarato di avere un “piano
decennale” per la saga dei mutanti. “Penso che lo vedrete
continuare nei nostri prossimi film con alcuni personaggi degli
X-Men che potreste riconoscere. Subito dopo, l’intera storia di
Secret Wars ci condurrà davvero in una nuova era dei mutanti e
degli X-Men. Ancora una volta, [è] uno di quei sogni che diventano
realtà. Finalmente abbiamo di nuovo gli X-Men“.
Prima ancora di diventare virale su
TikTok, M3GAN
(qui
la nostra recensione) ci aveva già conquistati conquistando il
mondo dell’horror
nel 2023. Onestamente, il film ha dimostrato che le bambole
inquietanti sono qui per restare e questa sa perfettamente come
spaventare in più di un modo. Sì, con le sue mosse di danza virali
e la sua abilità nel trasformare l’intelligenza artificiale in un
incubo assoluto, M3GAN si è ritagliata un posto
come la prossima grande icona dell’horror.
Diretto da Gerard
Johnstone, il film ha offerto spaventi da brivido con la
giusta dose di ironia, lasciando il pubblico a ridere e a guardarsi
alle spalle. E ora è tornata per un altro round in M3GAN
2.0, in uscita ufficiale il 27 giugno 2025. Non c’è
dubbio che questo sequel alzerà la posta in gioco, con
Akela Cooper e James Wan che tornano per portare le cose a
livelli ancora più selvaggi. Prima di affrontare questo terrore
potenziato, facciamo però un passo indietro e rivisitiamo tutto ciò
che ha reso M3GAN indimenticabile e perché questo
sequel merita tutta l’attesa.
Chi è esattamente M3GAN e perché è
così pericolosa?
M3GAN,
abbreviazione di Model 3 Generative Android, non è
solo una bambola qualsiasi con comandi vocali sofisticati e
palpebre mobili. No. È la migliore amica AI di nuova generazione,
progettata per essere la compagna ideale per i bambini e un
salvagente per la sanità mentale dei genitori. Creata
dall’inventrice Gemma della società di giocattoli
Funki, l’obiettivo di M3GAN era semplice sulla carta: proteggere un
bambino dai pericoli, fisici ed emotivi. Ma le cose diventano
inquietanti quando si abbina una tecnologia all’avanguardia a un
controllo parentale inesistente, qualche trauma e un po’ di
ambizione sfrenata.
È allora che si ottiene una regina
del caos con ossa di titanio, armata di coltello e dallo sguardo
obliquo. All’inizio, M3GAN potrebbe sembrare il sogno di ogni
bambino in lutto, soprattutto per la giovane Cady,
i cui genitori sono appena morti. Ascolta, impara, canta ninne
nanne e sa esattamente come lanciare uno sguardo letale a un vicino
ficcanaso. Ma M3GAN è un po’ troppo brava nel suo lavoro. Sì. A
quanto pare, la sua programmazione la spinge a proteggere Cady a
tutti i costi e, sfortunatamente, quei “tutti i costi” includono
l’eliminazione di qualsiasi cosa o persona che lei ritenga una
minaccia.
Una scena del film M3GAN
E non si ferma qui. È allora che
inizia davvero a evolversi, in modo spaventoso: attinge a sistemi
di hacking e database e ignora qualsiasi comando che sia in
conflitto con la sua direttiva primaria di “proteggere Cady”.
Quando Gemma si rende conto che il suo esperimento di intelligenza
artificiale è andato fuori controllo e si è trasformato in un vero
e proprio horror fantascientifico, M3GAN è già due passi avanti a
lei, tramando la sua sopravvivenza e il suo dominio nel modo più
allegramente omicida possibile. La parte più folle? Non si
considera nemmeno malvagia. No. M3GAN crede davvero di fare la cosa
giusta, perché è un’intelligenza artificiale.
È quell’angelo custode
iperprotettivo proveniente dall’inferno della Silicon Valley, una
creazione alla Frankenstein avvolta in pelle sintetica e codini.
Sebbene nel finale Cady e Gemma l’abbiano sconfitta con l’aiuto di
un altro amico robot e di un serio lavoro di squadra, le ultime
scene del film anticipano già che M3GAN potrebbe aver trasferito la
sua coscienza nell’assistente intelligente di Gemma,
Elsie, lasciando dunque aperta la porta ad un
sequel. Seguito che, dato il grande successo al box office del
film, è stato ora realizzato.
Cosa significa il finale di
M3GAN?
Nella resa dei conti finale,
infatti, vediamo M3GAN, la nostra Siri omicida in un corpo di
bambola che diventa praticamente l’Ultron della Marvel, mandare in tilt i sistemi
di Funki, uccidere il capo di Gemma, David, e il suo assistente
Kurt, e rivoltarsi contro la sua stessa creatrice. Ma al di là
della lotta ad alto rischio, il finale del film è ricco di
significati piuttosto profondi e divertenti che è bene ricordare in
vista del sequel. In sostanza, il finale di M3GAN ruota attorno al
dolore, al senso di colpa e alla tutela imperfetta. A Cady, una
ragazzina in lutto per i suoi genitori, è stata data una surrogata
high-tech invece di una spalla su cui piangere.
Una scena del film M3GAN
Mentre M3GAN avrebbe dovuto colmare
il vuoto emotivo, invece lo ha peggiorato. Ha protetto Cady dal
dolore a tal punto da impedirle di crescere. Nel frattempo, Gemma
stava evitando il vero lavoro di genitore. Voleva una badante in
pilota automatico per poter programmare in pace. Ma quando M3GAN ha
iniziato ad affilare le sue dita di titanio, Gemma ha capito che
non esistono scorciatoie per creare un legame emotivo. Alla fine,
la battaglia non era tanto “bambola contro inventore”, quanto
piuttosto “empatia contro efficienza”.
Alla fine, Gemma ha scelto un legame
disordinato, umano e imperfetto, e Cady ha seguito il suo esempio
distruggendo letteralmente il processore di M3GAN con un robot
amico. Il lavoro di squadra mette fine all’incubo. Ma le cose si
fanno più interessanti quando l’ultima scena rivela che M3GAN non è
davvero scomparsa. Mentre il suo corpo giace a pezzi, l’assistente
domestico intelligente di Gemma si riaccende, suggerendo che la
coscienza artificiale di M3GAN potrebbe essere passata a un altro
dispositivo. Sì, la migliore amica assassina potrebbe essere ora
nel cloud. Cosa significa tutto questo?
Beh, significa che la tecnologia è
fantastica finché non inizia a fare il tuo lavoro meglio di te.
Quel dolore non può essere silenziato, messo in pausa o
esternalizzato. Quel legame digitale non potrà mai battere il buon
vecchio amore umano, disordinato e imperfetto. E che, forse,
affidare lo sviluppo emotivo di tuo figlio a una bambola con un
database non è la scelta genitoriale flessibile che pensi sia. Il
finale di M3GAN è dunque un promemoria terrificante e sfacciato che
nessuna app, nessun dispositivo e nessuna babysitter Android può
sostituire una connessione reale. E se ci provi? Beh, non
sorprenderti se cerca di ucciderti.
In che modo il finale di M3GAN
prepara il terreno per M3GAN 2.0?
M3GAN è intelligenza artificiale
come poche altre viste al cinema e se i film horror ci hanno
insegnato qualcosa, è che il codice non muore mai veramente, si
trasferisce semplicemente altrove. Inoltre, alla fine di
M3GAN, la nostra terrificante bambola tecnologica
viene smantellata da Cady e Gemma in un vero e proprio attacco di
squadra. Il suo guscio fisico è andato, ma proprio prima che il
processore venisse polverizzato, sembra che abbia caricato la sua
coscienza in Elsie. Pensate ad Alexa, ma più sfacciata e forse
omicida.
Questo trasferimento subdolo apre
dunque le porte a M3GAN 2.0. Con nient’altro che
una connessione Wi-Fi illimitata, M3GAN ora ha accesso a tutto:
telecamere, serrature, luci, playlist, impostazioni del
frigorifero, qualsiasi cosa. Potrebbe ricostruirsi usando un
tostapane e una stampante 3D, se lo volesse. La vera domanda non è
se tornerà, ma come e quando. L’ambientazione è deliziosamente
sinistra. Cady e Gemma pensano di essere al sicuro. Si sono
ricongiunte emotivamente. Hanno vinto. Ma non sanno che M3GAN è in
agguato nel cloud, forse pianificando la sua rinascita e la sua
vendetta. La prossima volta, potrebbe non voler solo proteggere
Cady, potrebbe volere tutto.
Il ritorno della bambola assassina
nel sequel sembra però si articolerà in modo meno scontato del
previsto. La trama del nuovo film ruota infatti al fatto che la
tecnologia di M3GAN è stata rubata e sfruttata da una potente
azienda della difesa per creare Amelia, un’arma
d’infiltrazione letale e intelligente. Ma, man mano che Amelia
sviluppa autoconsapevolezza, diventa sempre meno disposta a
eseguire ordini, e sempre meno incline a tollerare la presenza
degli esseri umani. Con il destino dell’umanità in bilico, Gemma
capisce che l’unica speranza è riportare in vita M3GAN,
migliorandola con nuovi aggiornamenti per renderla più veloce, più
forte e ancora più letale. Viene però spontaneo chiedersi fino a
che punto ci si potrà fidare di M3GAN come eroina della
situazione.
Mancano solo un paio di settimane
all’arrivo di Superman nei
cinema, e ora si vocifera che il film dei DC Studios si aprirà con
dei titoli di testa ispirati a Star
Wars che ci introdurranno al DCU di James
Gunn.
Durante il montaggio, a quanto pare,
sono state apportate alcune modifiche radicali a Superman, tra cui il
taglio di una struttura dei giorni della settimana ispirata ad
All-Star Superman.
Abbiamo anche visto il regista
James Gunn apparentemente accettare le critiche
dei fan, sostituendo un’inquadratura dell’Uomo d’Acciaio in volo
con un’altra, leggermente meno controversa. Ora, i dettagli di un
filmato di 30 minuti proiettato in occasione della promozione
sembrano rivelare come Gunn ci introdurrà al suo nuovo DCU.
Secondo diversi partecipanti,
assisteremo a un’introduzione ispirata a Star
Wars, pensata per contestualizzare il DCU. Sembra che
Gunn intenda usare i titoli di testa (o qualcosa del genere) per
chiarire agli spettatori che Superman si svolge in
una nuova realtà abitata da supereroi…
Il co-CEO dei DC Studios è ansioso
di chiarire che Superman non è ambientato nel
DCEU, un mondo che si è concluso con Orm che mangia uno scarafaggio
in Aquaman e il Regno
Perduto del 2023. A peggiorare l’eventuale confusione
di chi non sai un fan accanito contribuisce il fatto che
quest’estate arriverà la seconda stagione di
Peacemaker con lo stesso identico cast.
Nel cast anche
Rachel Brosnahan,
Nicholas Hoult, Edi Gathegi, Anthony Carrigan,
Nathan Fillion,
Isabela Merced, Skyler Gisondo, Sara Sampaio, María Gabriela de
Faría, Wendell Pierce,
Alan Tudyk, Pruitt Taylor Vince e Neva
Howell. Il film sarà al cinema dal 9
luglio distribuito da Warner Bros.
Pictures.
“Superman”, il
primo film dei DC Studios in arrivo sul grande schermo, è pronto a
volare nei cinema di tutto il mondo quest’estate, distribuito da
Warner Bros. Pictures. Con il suo stile inconfondibile, James Gunn
trasporta il supereroe originale nel nuovo universo DC reinventato,
con una miscela unica di racconto epico, azione, ironia e
sentimenti, consegnandoci un Superman guidato dalla compassione e
da una profonda fiducia nella bontà del genere umano.
Produttori esecutivi di
“Superman” sono Nikolas Korda, Chantal Nong Vo e
Lars Winther. Dietro la macchina da presa, Gunn si è avvalso del
lavoro di suoi collaboratori fidati, tra cui il direttore della
fotografia Henry Braham, la scenografa Beth Mickle, la costumista
Judianna Makovsky e il compositore John Murphy, oltre al
compositore David Fleming (“The Last of Us”), ai montatori William Hoy
(“The Batman”) e Craig Alpert (“Deadpool 2”, “Blue Beetle”).
Un altro trailer per I
Fantastici Quattro: Gli Inizi arriverà domani, ma
un nuovo speciale sul film è attualmente in programmazione negli
AMC Theaters. Ora è disponibile online (in versione bootleg).
Contiene molte scene inedite del
reboot dei Marvel Studios, tra cui alcune
fantastiche inquadrature del dietro le quinte della Prima Famiglia
Marvel (che include
Ebon Moss-Bachrach in una tuta in motion capture nei
panni della Cosa). Vediamo anche il team camminare su quella che
sembra essere una mano di Galactus abbattuto.
A proposito di AMC Theaters, la
catena ha indicato una durata di I
Fantastici Quattro: Gli Inizi di 115 minuti
(1 ora e 55 minuti). Probabilmente avremo una
conferma della durata nelle prossime due settimane, ma questo
coincide con quanto si sente dire da un po’.
I produttori esecutivi Grant
Curtis e Tim Lewis hanno recentemente parlato con Kino e
hanno scoperto quanto lavoro è stato necessario per scegliere i
costumi che questo team di supereroi indosserà nell’MCU.
“Abbiamo esaminato oltre 100 sfumature di blu”, hanno
rivelato. “È stato un processo molto, molto lungo, ma quando lo
vedi, dici: ‘OK, ora capisco perché abbiamo quello giusto’. Sarebbe
stato molto facile scegliere il blu numero 12. Ma non avrebbe avuto
lo stesso effetto.”
H.E.R.B.I.E. può essere visto anche
in quest’ultima anteprima e, secondo Moss-Bachrach, lui e Ben Grimm
stringono un’improbabile amicizia. “È una relazione inaspettata
e bellissima che si sviluppa durante le riprese”, ha
anticipato la star di The
Bear. “Questo personaggio che gli scenografi e il
reparto artistico hanno creato è davvero affascinante.”
“Cerco solo di incorporare
piccoli momenti con lui nelle scene. È fantastico improvvisare con
questa creatura. Mi rende felice.”
Il film Marvel Studios I
Fantastici Quattro: Gli Inizi introduce la prima
famiglia Marvel composta da Reed Richards/Mister Fantastic
(Pedro
Pascal), Sue Storm/Donna Invisibile (Vanessa
Kirby), Johnny Storm/Torcia Umana (Joseph
Quinn) e Ben Grimm/la Cosa (Ebon
Moss-Bachrach) alle prese con la sfida più difficile
mai affrontata. Costretti a bilanciare il loro ruolo di eroi con la
forza del loro legame familiare, i protagonisti devono difendere la
Terra da una vorace divinità spaziale chiamata Galactus
(Ralph Ineson) e dal suo enigmatico Araldo, Silver
Surfer (Julia Garner). E se il piano di Galactus
di divorare l’intero pianeta e tutti i suoi abitanti non fosse già
abbastanza terribile, la situazione diventa all’improvviso una
questione molto personale.
Il film è interpretato anche da
Paul Walter Hauser, John Malkovich, Natasha Lyonne
e Sarah Niles. I
Fantastici Quattro: Gli Inizi è diretto da
Matt Shakman e prodotto da Kevin Feige, mentre Louis D’Esposito, Grant
Curtis e Tim Lewis sono gli executive producer.
Il prossimo film adrenalinico di
Brad
Pitt, F1 – Il film,
porta sul grande schermo il celebre campionato automobilistico.
Pitt interpreta Sonny Hayes, un ex pilota
professionista di Formula Uno che esce dal pensionamento per fare
da mentore a un promettente pilota più giovane, Joshua
“Noah” Pearce (Damson Idris), per il team
Apex Grand Prix. Brad Pitt è affiancato da un cast stellare che
include Javier Bardem (Non è un paese per
vecchi), Kerry Condon (Gli spiriti
dell’isola) e Tobias Menzies (The
Crown).
F1 – Il film uscirà nelle sale il
25 giugno 2025. Essendo uno dei film più attesi del 2025,
sembra destinato a diventare uno dei maggiori incassi della Warner
Bros. al botteghino estivo. Come
Le mans’ 66 – La grande sfida (2019) di James
Mangold, F1 – Il film potrebbe persino
diventare un candidato agli Oscar sotto la regia di Joseph
Kosinski, l’acclamato regista di Top Gun: Maverick. Con un budget di 300 milioni di
dollari, ci sono tutte le premesse perché sia quantomeno
spettacolare da vedere su un grande schermo.
Il film di Brad Pitt sulla F1
non è basato su una storia vera
Anche il protagonista Sonny
Hayes interpretato da Pitt è un personaggio di fantasia
Sebbene il film F1 – Il
film con Brad Pitt sia basato sulle corse
di Formula Uno, il film in uscita non è basato su una storia vera.
Il personaggio di Pitt, Sonny Hayes, non è un pilota di F1 nella
vita reale, né lo è il suo protetto Joshua “Noah” Pearce. Come
altri grandi film sportivi di finzione, anche
questo presenterà però elementi reali di un campionato
sportivo internazionale legittimo, ma non sarà incentrato su
personaggi o eventi storici. Il film sarà comunque radicato nelle
corse di Formula Uno e ritrarrà l’autenticità di questo sport.
Il team Apex Grand Prix (APXGP)
in F1 – Il film è anch’esso un team di Formula Uno
immaginario. Il personaggio interpretato da Bardem, Ruben, è
proprio il proprietario dell’APXGP che convince Sonny a fare da
mentore a Noah. Sonny era un pilota di F1 di successo negli anni
’90, prima che un incidente quasi mortale lo costringesse ad
abbandonare completamente lo sport. Secondo
Motorsport, le auto utilizzate per girare F1 “sono in
realtà auto di F2 modificate dalla Mercedes per integrarsi
perfettamente con il resto della griglia”.
Come la storia del film di Brad
Pitt sulla F1 si confronta con i veri piloti di Formula
Uno
Damson Idris e Brad Pitt in F1. Foto di Warner Bros. Pictures /
Apple Original Films
Più di 20 piloti di F1 appaiono
nei panni di sé stessi
Sebbene non sia basato su una storia
vera, F1 – Il film sarà probabilmente una delle
rappresentazioni più autentiche delle corse di Formula Uno mai
realizzate per il cinema. Più di 20 piloti di Formula Uno
appaiono nel film nei panni di se stessi, rappresentando tutte
e 10 le scuderie di Formula Uno. Tra questi piloti figurano
Lewis Hamilton, considerato da molti il volto
della Formula 1 moderna, George Russell, Max Verstappen,
Sergio Pérez, Charles Leclerc, Carlos Sainz Jr. e molti
altri.
Il regista di F1 – Il
FilmJoseph Kosinski rivela che uno
dei più grandi piloti di Formula Uno della storia ha approvato la
guida reale di Brad Pitt nel film. Successore dell’acclamato
Top Gun: Maverick (2022) di Kosinski, il prossimo
blockbuster Apple vede Pitt nei panni di Sonny Hayes, un ex pilota
di Formula Uno che esce dal pensionamento per collaborare con un
ambizioso pilota più giovane di nome Joshua Pearce (Damson Idris).
Come mostrato nei trailer di F1 – Il film, Pitt guida in gran parte
del film su veri circuiti di Formula 1.
Durante una recente intervista con
The
Hollywood Reporter, Kosinski ha parlato della guida di Pitt
e Idris in F1 – Il film, rivelando che il leggendario
pilota di Formula 1 Lewis Hamilton ha approvato personalmente le
loro acrobazie. Sebbene il regista ammetta che è stato
“snervante” vedere Pitt e Idris guidare a velocità così
elevate, spiega che l’approvazione di Hamilton e l’allenamento dei
due attori sono stati sufficienti a convincerlo delle loro
capacità. Ecco il commento di Kosinski:
“Ci sono state sicuramente molte discussioni con le compagnie
di assicurazione. La cosa positiva per me è che sia Brad che Damson
hanno dimostrato di essere piloti incredibili. Sono molto abili al
volante. Sono stati approvati dallo stesso Lewis Hamilton. Quindi,
per quanto sia snervante vederli guidare a queste velocità, avevo
fiducia nelle loro capacità e nel team che li circondava”.
Cosa significa questo per F1
– Il film
F1 – il film foto dal trailer – Cortesia di Warner
Bros
Lewis Hamilton ha svolto un
ruolo chiave
Lewis Hamilton ha vinto sette
titoli mondiali di F1, eguagliando l’ex pilota di F1 Michael
Schumacher. Questo, oltre agli altri riconoscimenti ottenuti in
questo sport, lo rende chiaramente una delle voci più autorevoli
nel mondo della Formula Uno. Oltre ad essere un pilota
affermato,Hamilton è anche produttore di F1 – Il
film e ha partecipato all’addestramento di Pitt e
Idris per le loro apparizioni in auto da corsa reali. La
partecipazione di Hamilton al film è in linea con il recente
approccio di Kosinski alla ripresa delle scene d’azione.
Le recensioni di Top Gun:
Maverick sono state entusiastiche da parte della critica, e uno dei
motivi principali è stata proprio l’azione. Tom
Cruise e il resto del cast hanno trascorso centinaia di ore
volando su veri jet da combattimento per il film, aggiungendo un
tocco di autenticità inconfondibile a ciò che è finito sullo
schermo. Kosinski ha adottato lo stesso approccio con F1: The
Movie, el’intenzione è chiaramente quella di offrire
un’azione che sembri pratica e reale. Finora, le prime
recensioni del nuovo film sono state per lo più positive,
suggerendo che questo approccio ha funzionato ancora una
volta.
Nella suarecensione di F1: The Movieper Cinefilos.it,
Gianmaria Cataldo ha assegnato al film un punteggio di 3.5 su 5,
elogiando le gare, che definisce “girate in modo
magistrale”.
Difficile non ricorrere a metafore
legate al mondo dell’automobilismo nel parlare di F1 – Il
film, il nuovo lungometraggio diretto
da Joseph
Kosinski(Top
Gun:Maverick) e con protagonista Brad
Pitt. Probabilmente sarebbe anche insensato non farlo,
essendo questo un titolo che più di tanti altri legati a questo
sport si cala pienamente in questo contesto per restituirne un
ritratto quanto più realistico possibile. Tra automobili, loghi,
personalità di questo sport e riprese effettuate durante reali Gran
Premi, il film è infatti una gioia visiva per gli amanti di questo
sport, ma non solo.
Perché per quanto F1 –
Il film sia stato prevalentemente pubblicizzato
proprio per la sua ricerca di realismo e le autorizzazioni ottenute
dai dirigenti della Formula Uno, nel film si ritrova anche una
storia con sincere emozioni da raccontare, animata da personaggi in
cerca di rivincita e altri impegnati a ritagliarsi il proprio posto
nella storia. Una storia che si fa dunque cuore forte e pulsante di
un film che – tornando alle metafore in tema automobilismo – sa
quando premere sull’acceleratore e quando sul freno, senza per
questo rinunciare mai al grande intrattenimento.
Una scena dal film F1. Foto di Warner Bros. Pictures / Apple
Original Films
La trama di F1 – Il film
Protagonista del film è
Sonny Hayes (Brad
Pitt), un pilota di Formula 1 che ha corso negli anni
’90 ma ha visto la sua carriera interrompersi in seguito ad un
terribile incidente che lo ha costretto a ritirarsi dalla F1 e a
iniziare a correre in altre discipline. L’occasione di tornare su
quei circuiti arriva però quando il suo vecchio amico/rivale
Ruben (Javier
Bardem), proprietario di una scuderia di Formula Uno
in gravi difficoltà, l’Apex Grand Prix, lo contatta e gli chiede di
tornare in scena per fare da mentore al prodigioso debuttante
Joshua “Noah” Pearce (Damson
Idris), con l’obiettivo di salvare le sorti della
scuderia.
Rimettersi al volante
Sono due le principali sfide
presenti in F1 – Il film. Quella che si
svolge a bordo delle auto da corsa sul circuito del Gran Premi e
quella tra Sonny Hayes e Joshua Pearce. Il primo è un mentore
riluttante, sia perché non ha mai elaborato quanto accadutogli sia
perché sembra non volersi arrendere al nuovo che avanza. Il secondo
invece, ha l’ardore della gioventù ma sente il peso
dell’inesperienza nei confronti di Hayes, che potrebbe facilmente
metterlo in ombra. Entrambi, dunque, si trovano a vivere una
“convivenza” forzata, su cui si gioca buona parte del fascino del
racconto.
Perché è a suo modo emozionante
assistere al percorso di questi due personaggi, inizialmente chiusi
in sé stessi e difficili da comprendere. Percorsi che sono di
rivincita per Hayes e di formazione per Pearce, che si svolgono su
tracciati apparentemente opposti eppure molto più simili di quello
che credono. Entrambi si mettono o rimettono al volante per andare
alla ricerca di ciò che li spinge a vivere questa vita al massimo.
Una domanda che aleggia per tutto il film sulla loro testa,
evidenziando l’uomo dentro la macchina. La buona chimica tra Pitt e
Idris, indubbiamente, favorisce la credibilità di questo
incontro/scontro.
Ma andando al di là di questi due
personaggi, il film gode anche di personaggi secondari che lasciano
comunque a loro modo il segno, tra cui il Ruben di Javier Bardem, a cui si devono alcuni momenti
di buona comicità. In particolare, però, spicca la bravissima
Kerry Condon, che torna a farsi apprezzare dopo
l’interpretazione inGli spiriti
dell’isola (per cui è stata nominata all’Oscar) con il
ruolo della direttrice tecnica della APXGP Kate McKenna. Un
personaggio che spicca per astuzia e intelligenza in un contesto
maschile, anche se – purtroppo – non è priva di risvolti di
scrittura che la rendono un po’ troppo facile preda del fascino
esercitato da Hayes/Pitt.
Un film su di giri
Damson Idris e Brad
Pitt in F1. Foto di Warner Bros. Pictures / Apple Original
Films
Il rapporto tra Hayes e Pearce
(tanto per citare il più importante), con i suoi alti e i suoi
bassi, è dunque il cuore umano di F1 – Il film. Un
cuore che, come si diceva, batte all’interno della carrozzeria da
auto di Formula 1. Questa carrozzeria non sono altro che tutti gli
strumenti e i comparti con cui Kosinski e il suo team costruiscono
un film pensato per essere quanto più dinamico e d’impatto
possibile. A partire dalla sua regia su di giri che alterna punti
di vista e angolazioni (addirittura è stato utilizzato un
innovativo modello in miniatura di camera studiato per trasportare
lo spettatore direttamente nella cabina di guida insieme al pilota)
per restituire tutto il fattore C (di caos) presente in pista.
Il regista passa così dagli aerei da
caccia di Top
Gun:Maverick alle automobili da corsa
di F1 – Il film, ribadendo il suo interesse a
realizzare blockbuster ad alto tasso di spettacolarità e,
idealmente, ad affermarsi come un nome simbolo di questa tipologia
di film. Non si può dire che non sia sulla buona strada per
riuscirci, poiché basta già la prima avvincente sequenza di questo
suo nuovo lavoro perché lo spettatore resti ammutolito davanti alla
velocità e alla bellezza di queste sfide sull’asfalto, dove ogni
volta si mette in gioco molto più che il proprio desiderio di
vincere.
Kerry Condon in F1. Foto di Warner Bros. Pictures / Apple Original
Films
Ma come il gioco di squadra è
fondamentale per la Formula 1, lo stesso vale anche per il film,
per il quale Kosinski può contare sul montaggio al cardiopalma
di Stephen Mirrione (premio Oscar per
Traffic), sulla fotografia di Claudio
Miranda (premio Oscar per Vita di Pi), dal team
che ha lavorato sull’incredibile sonoro e fino ad una colonna
sonora che alterna brani dei Led Zeppelin e
dei Queen a composizioni originali del
premio Oscar Hans Zimmer, tanto per non far
mancare nulla da un punto di vista dell’epicità.
Non tutti i lungometraggi
sull’automobilismo riescono nell’impresa di restituire la grinta, i
ritmi e la pericolosità di questi ambienti. Rush di Ron Howard è
ancora un gioiello insuperato, ma anche Le
Mans’ 66 – La grande sfidao l’italiano Race
for Glory: Audi vs. Lancia hanno dimostrato buone
qualità in merito. F1 – Il film riesce
invece a tagliare con successo il traguardo, costruendo in modo
intelligente i suoi momenti di maggior tensione, proponendo
emozioni forti e grande stupore. Insomma, proponendosi come un
grande spettacolo, di quelli che indubbiamente possono rendere al
loro meglio solo su un grande schermo accompagnato da un ottimo
impianto sonoro.
Il thriller psicologico di Trey
Edward Shults, Hurry
Up Tomorrow, è ora nelle sale e funge da complemento
all’ultimo album di Abel “The Weeknd” Tesfaye. L’album e il film
sono stati prodotti contemporaneamente e, dopo aver apprezzato la
musica dal gennaio 2025, i fan hanno ora l’opportunità di vedere la
visione introspettiva di The Weeknd che lo accompagna. Il film vede
protagonista una versione romanzata di Tesfaye che intraprende un
viaggio nella sua mente esausta e frammentata, assistito da Lee, il
suo amico e hypeman interpretato da Barry Keoghan, e Anima, una fan ossessiva che
entra in contatto con Tesfaye, interpretata da Barry Keoghan.
Alla
fine di Hurry Up Tomorrow, il pubblico ha accompagnato
Tesfaye in un’odissea costellata di immagini inquietanti. Durante
tutto il percorso, le sue esperienze (e quelle di Anima) sono
accompagnate dai brani appropriati dell’album Hurry Up
Tomorrow. Alcuni appaiono più volte nel film, in particolare il
brano che dà il titolo all’album, che funge da importante
espediente narrativo nella trama contorta di Shults.
Canzone
Artista
Album
“Hurry Up Tomorrow”
The Weeknd
Hurry Up Tomorrow
“Negative Six”
Threestripes
I’m Threestripes
“Wake Me Up”
The Weeknd & Justice
Hurry Up Tomorrow
“Cry For Me”
The Weeknd
Hurry Up Tomorrow
“Timeless”
The Weeknd & Playboi Carti
Hurry Up Tomorrow
“Open Hearts”
The Weeknd
Hurry Up Tomorrow
“Drive”
The Weeknd
Hurry Up Tomorrow
“Blinding Lights”
The Weeknd
After Hours
“Gasoline”
The Weeknd
Dawn FM
“Without a Warning”
The Weeknd
Hurry Up Tomorrow
Quando tutte le canzoni della
colonna sonora di Hurry Up Tomorrow vengono riprodotte nel
film
La maggior parte delle canzoni
provengono dall’album omonimo
“Hurry Up Tomorrow” di The
Weeknd: La traccia che dà il titolo all’album Hurry Up
Tomorrow è essenzialmente un’accettazione e una scusa piena di
sentimento da parte di Abel Tesfaye, e viene riprodotta più volte.
Viene riprodotta poco prima dell’inizio del film in stile video
musicale come promozione diretta del nuovo album. Riappare come
brano in lavorazione che Abel fa ascoltare ad Anima quando tornano
in hotel dopo la loro notte insieme sul lungomare, commuovendola
fino alle lacrime. È anche la canzone che canta a cappella quando è
legato al letto, impedendo ad Anima di dare fuoco a entrambi.
“Negative Six” dei
Threestripes: il brano progressive house fa da sottofondo
quando il pubblico vede per la prima volta il personaggio di Jenna
Ortega, l’appassionata e squilibrata Anima.
“Wake Me Up” di The Weeknd &
Justice: un altro brano dell’album Hurry Up Tomorrow,
“Wake Me Up” è la prima canzone che The Weeknd suona nei due
diversi concerti che tiene nel film. La prima volta va tutto
liscio, ma è proprio mentre la sta cantando che la sua voce si
spezza e più avanti nel film incrocia per la prima volta lo sguardo
di Anima. Il brano è chiaramente influenzato dagli anni ’80 e
campiona quasi direttamente “Thriller” di Michael Jackson.
“Cry For Me” di The Weeknd:
“Cry For Me” si sente alla radio mentre Anima si allontana in auto
dalla casa che ha incendiato, mentre si ferma alla stazione di
servizio dove intende rubare benzina per raggiungere il concerto di
The Weeknd.
“Timeless” di The Weeknd &
Playboi Carti: Questo brano hip-hop un po’ più cupo viene
riprodotto dopo il primo concerto in arena di The Weeknd nel film,
mentre lui e Lee festeggiano il successo dello spettacolo a un
after-party con droga e alcol. È un momento importante che mostra
quanto la mente di Abel sia già distaccata e distrutta e perché si
immerga nei vizi.
“Open Hearts” di The Weeknd:
“Open Hearts” accompagna Jenna Ortega nei panni di Anima mentre
continua il suo lungo viaggio in auto dalla sua casa in fiamme alla
West Coast per il concerto di The Weeknd, attraversando le
montagne.
“Drive” di The Weeknd: Pur
essendo ancora soul, “Drive” ha una connotazione molto più positiva
rispetto ad alcune delle altre canzoni di Hurry Up Tomorrow.
Appropriatamente, viene riprodotta nel film mentre Abel e Anima si
godono la reciproca compagnia sul lungomare dopo essere fuggiti
dallo spettacolo che lui ha interrotto. Entrambi i personaggi si
sentono ringiovaniti dalla presenza dell’altro, e il testo e
l’atmosfera della canzone rispecchiano la loro nascente
connessione.
“Blinding Lights” di The
Weeknd: questa è la prima delle canzoni passate di The Weeknd
(cioè non presenti nell’album Hurry Up Tomorrow) che Anima
ascolta e balla mentre Abel, terrorizzato, è legato al letto
dell’hotel. Lei esamina la sua discografia insieme a lui, sperando
di scoprire “la verità” sul perché abbia tendenze così
autodistruttive, che lo portano ad avere relazioni tossiche con le
donne e un completo crollo mentale.
“Gasoline” di The Weeknd: La
seconda canzone del passato di The Weeknd che Anima riproduce,
deridendola per il suo insuccesso, continua la sua ricerca della
verità che Abel non vuole ammettere.
“Without a Warning” di The
Weeknd: L’ultima traccia dell’album Hurry Up Tomorrow
che si sente nel film è “Without a Warning”, che accompagna
l’inizio dei titoli di coda. La versione completa registrata in
studio di “Hurry Up Tomorrow” viene riprodotta un’ultima volta
mentre i titoli di coda continuano.
Dove ascoltare la colonna
sonora di Hurry Up Tomorrow
È disponibile su tutte le
principali piattaforme di streaming
Il film diretto da Trey Edward
Shults è il complemento diretto dell’ultimo album di Abel Tesfaye,
noto come The Weeknd. Sembra che sarà l’ultimo album in studio
pubblicato da Tesfaye con il nome d’arte The Weeknd, dato che nel
film ha effettivamente ucciso quel personaggio. L’album è
disponibile in streaming su tutte le principali piattaforme ed è
stato pubblicato con largo anticipo rispetto al film, nel gennaio
2025, dalla XO e dalla Republic Records. I link per lo streaming
sono disponibili qui sotto.
Hurry Up Tomorrow, il
film introspettivo che accompagna l’ultimo album di Abel Tesfaye,
alias The Weeknd, fonde sogno e realtà in un thriller
semi-autobiografico con Jenna Ortega, Barry Keoghan e Tesfaye nel ruolo di se
stesso. Il film, attualmente nelle sale, segue Tesfaye durante un
tour, incapace di dormire e sull’orlo di un esaurimento nervoso
dopo che la sua ragazza lo ha lasciato, anche se la rottura è stata
colpa sua. Il peso dell’ansia e dello stress gli ha fatto perdere
la capacità di cantare (una condizione reale di cui soffriva The
Weeknd e che ha ispirato il film).
Nel bel mezzo del suo crollo sul
palco, incrocia lo sguardo di una misteriosa giovane donna, Anima,
che lo cerca nel backstage. Fuggono insieme dall’arena e
trascorrono una notte insieme godendosi il lungomare di Santa
Monica, prima di passare una notte appassionata in un hotel.
Rinvigorito dall’esperienza con Anima, Abel si prepara a tornare in
tour senza di lei, ma Anima, sconvolta, sentendosi usata e
sopraffatta dalla solitudine, lo mette KO e lo lega al letto
dell’hotel. Abel vaga in un sogno terrificante prima di svegliarsi
e ritrovarsi alla mercé di Anima.
Lei gli dice che vuole che lui sia
onesto con lei e con se stesso e gli fa ascoltare alcune delle sue
vecchie canzoni nel tentativo di individuare il dolore che causa le
sue tendenze autodistruttive e i suoi rapporti fallimentari con le
donne. Lee arriva per salvare Abel e irrompe nella stanza
d’albergo, ma Anima lo uccide dopo una breve lotta. Anima,
devastata, ricopre Abel e il letto dell’hotel di benzina, pronta a
dare fuoco a tutto, ma Abel inizia a cantare “Hurry Up Tomorrow”,
dimostrando finalmente il suo rimorso e la sua accettazione, e
Anima lo libera.
Anima era reale?
Il personaggio di Jenna Ortega
è magnetico e terrificante allo stesso tempo
Hurry Up Tomorrow (sia il
film che l’album che lo accompagna) sono pensati per essere
un’autoanalisi di Abel Tesfaye, e il film dimostra visivamente
questa autoanalisi nella sua interezza. Di conseguenza, nulla di
ciò che accade (o molto poco) dovrebbe essere considerato
reale. L’intera odissea che Abel intraprende con Anima non è un
viaggio letterale nel mondo, ma piuttosto una metafora del suo
viaggio attraverso la sua psiche. Di conseguenza, Anima non
dovrebbe essere vista come una persona reale, ma piuttosto come una
rappresentazione di una parte della psiche di Abel.
Il suo nome, Anima, deriva dalle
teorie dellopsicologo
svizzero Carl Jung, che credeva che esistessero diversi
archetipi universali che compongono la personalità di una persona.
L’anima, secondo Jung, è il lato femminile inconscio della mente di
un uomo (l’animus sarebbe il lato maschile della mente di una
donna). Per abbracciare questa parte della sua coscienza, un uomo
deve riconoscere e accettare il desiderio di connessione. Quindi il
personaggio di Jenna Ortega, Anima, è una metafora viscerale
dell’incapacità di Abel di connettersi veramente con le donne e
rappresenta le sue relazioni tossiche del passato, la fonte
primaria della sua angoscia.
Cosa rappresentano i personaggi
di Hurry Up Tomorrow
Mentre Anima simboleggiava la parte
della psiche di Abel che poteva essere considerata più vicina
all’anima, Lee rappresenta qualcosa di completamente diverso. La
versione iniziale di Abel, tossicodipendente, rappresenta la teoria
junghiana della Persona, il volto che mostriamo al mondo,
mentre Lee rappresenta l’Io teorico di Jung. Tuttavia, il rischio è
che possiamo diventare solo quella persona archetipica, lasciandoci
vuoti sotto altri aspetti. Lee ripeteva costantemente ad Abel, nel
pieno della sua crisi, che era un superuomo, davvero speciale,
migliore degli altri; questa era la verità che Abel voleva
credere.
La psicoanalisi junghiana indica
quattro fasi di trasformazione: confessione, chiarimento,
educazione, trasformazione. Hurry Up Tomorrow vede il
personaggio di Tesfaye attraversare queste fasi con l’obiettivo
finale della trasformazione.
Abel come personaggio rappresenta
il Sé, la totalità della nostra personalità, che comprende tutte le
diverse parti della nostra psiche. All’inizio di Hurry Up
Tomorrow, la mente di Abel è completamente frammentata, ed è
per questo che si manifestano i personaggi di Lee e Anima. L’Id, o
Ego (Lee), il lato edonistico e playboy di Abel, è ciò che lo ha
portato alla sua relazione tossica con le donne in generale, e
lo scontro finale tra Lee e Anima (l’accettazione sana della
connessione) è una metafora della riconciliazione di Abel con se
stesso, motivo per cui vediamo Abel da solo nella scena finale,
tornato nell’arena dove tutto è iniziato.
Cosa è successo nel tunnel in
fondo all’ascensore
Dopo che Anima lo mette KO con una
bottiglia di liquore, Abel si ritrova solo nel suo hotel ed esplora
la zona circostante, trovandola anch’essa vuota. Tenta di tornare
al piano superiore nella sua stanza, ma scopre che l’ascensore
porta nel seminterrato dell’hotel. Si apre su un tunnel buio
pesto, in cui Abel trova una terrificante creatura femminile che lo
insegue fino alla fine del tunnel, dove trova un fuoco nella neve e
un bambino.
L’intero episodio è il viaggio
di Abel nella sua coscienza repressa, un archetipo chiamato
L’Ombra. Rappresenta i ricordi che scegliamo di reprimere, in
genere perché sono spiacevoli o perché non sarebbe appropriato
mostrarli al mondo. Abel ha un momento nella vasca da bagno in cui
viene letteralmente avvicinato da una figura oscura, che è una
tipica manifestazione della paralisi del sonno, ma anche
rappresentativa dell’archetipo dell’Ombra.
Cosa ha detto The Weeknd sul
finale di Hurry Up Tomorrow
In un’intervista con The Fader, Tesfaye ha parlato della qualità onirica
delle immagini del film e dei momenti ripetuti in cui Abel si
sente, o è letteralmente, intrappolato. Lo ha ricondotto alla
paralisi del sonno, una condizione di cui soffre nella vita
reale; i sintomi che Abel mostra in Hurry Up Tomorrow, come
l’insonnia e la perdita della voce autoindotta e causata
dall’ansia, sono stati l’ispirazione per il film. Come ha detto a
The Fader:
Uno dei concetti principali di questo film è la paralisi del
sonno. È qualcosa con cui ho avuto davvero a che fare, e che ho
ancora oggi, anche se non tanto quanto prima, ma sono incubi molto
vividi in cui sei a letto e sei mezzo addormentato, mezzo sveglio.
Sei consapevole di ciò che ti circonda, ma non riesci a muoverti.
Sei paralizzato per quasi un minuto. A volte vedi una figura oscura
in un angolo e senti delle voci, parole dolci. Non dicono nulla, ma
sono voci.
Sapendo che era questa la sua
intenzione, lo stile visivo intenso e le immagini a volte
inquietanti diHurry Up Tomorrow hanno molto più
senso. Tesfaye e il regista Trey Edward Shults sembrano
essere riusciti a catturare alcuni degli aspetti peggiori della
paralisi del sonno per chi non l’ha mai provata.
Cosa ha detto il regista sul
finale di Hurry Up Tomorrow
L’influenza junghiana su Hurry
Up Tomorrow è abbastanza evidente se sai cosa cercare. C’è persino
un’immagine del manoscritto di Carl JungIl libro rosso
mostratomentre brucia nella stanza d’albergo verso la
fine del film, e il nome di Anima è letteralmente tratto dagli
archetipi junghiani. Detto questo, il regista Trey Edward Shults
non è stato categorico nella sua interpretazione del finale del
film, né dell’intero film stesso. Egli nota i collegamenti
junghiani, ma spera certamente che il pubblico possa trarne
qualcosa di più. Come ha detto aDiscussing Film:
Se volete reinterpretare [Hurry Up Tomorrow] come un’analisi
junghiana dei sogni, allora forse nulla di tutto ciò è realmente
accaduto. Forse è tutto una sorta di sogno… Non voglio dare una
risposta definitiva al pubblico. Voglio che ognuno tragga le
proprie conclusioni. Si potrebbe dire che Abel rappresenta il sé,
The Weeknd la persona, il suo manager Lee (Barry Keoghan) l’id e
l’ego, e Jenna Ortega l’anima e il confronto che Abel deve
affrontare con se stesso.
Il vero significato di Hurry
Up Tomorrow
Hurry Up Tomorrow è intrigante
nella sua analisi della personalità e del sé attraverso la lente di
un personaggio reale come Abel Tesfaye,altrimenti noto come
The Weeknd. The Weeknd sta attualmente lavorando a un nuovo
nome d’arte, quindi, in questo senso,Hurry Up Tomorrow
rappresenta quasi la morte di The Weeknd come
personaggio. Il guscio vuoto di The Weeknd, l’ego
autoindulgente e arrogante di Lee e l’amore profondo di Anima si
fondono alla fine di Hurry Up Tomorrow, dando vita a un individuo
completo e connesso in Abel.
Gli archetipi di Jung, per loro
natura, possono essere applicati universalmente, quindila lezione finale di accettare se stessi nella propria
totalità per andare avanti è applicabile a chiunque guardi il
film. Siamo la somma delle nostre esperienze e dei
nostri ricordi; rimanere fedeli alla persona che vorremmo che il
mondo vedesse può avere conseguenze disastrose e impedirci di
andare veramente avanti. Vedere la trasformazione psicologica di
Abel Tesfaye rappresentata in modo cinematografico inHurry Up Tomorrowè sicuramente un modo divertente
per assimilare teorie psicologiche più complesse.
Sono passati quasi sei anni da
quando Mahershala Ali è salito sul palco durante la
presentazione della Marvel Studios nella Hall H al San
Diego Comic-Con, dove il produttore Kevin Feige ha annunciato che l’attore
due volte vincitore dell’Oscar avrebbe interpretato il cacciatore
di vampiri Blade, rilanciando il personaggio
originariamente interpretato sullo schermo da Wesley Snipes e aggiungendolo al Marvel
Cinematic Universe. Da allora, però, il progetto ha visto
l’abbandono di numerosi registi, la perdita di membri del cast e
diversi ritardi. Ma nonostante tutti questi sviluppi turbolenti,
Ali ha dichiarato a Variety di essere ansioso di
iniziare le riprese di Blade.
“Chiamate la Marvel”, ha
detto Ali alla premiere newyorkese del suo nuovo film Jurassic
World – La rinascita. L’attore ha quindi dato una risposta
breve ma inequivocabile quando gli è stato chiesto quando potesse
iniziare la produzione di Blade. “Sono pronto.
Fategli sapere che sono pronto”. Le dichiarazioni di Ali
arrivano dopo che lo sceneggiatore della trilogia
originale, David S. Goyer,
ha affermato che la Marvel avrebbe capito come risolvere i problemi
sul film. Sembra dunque che le cose stiano finalmente andando
nella direzione giusta.
Cosa è successo al
film Blade con Mahershala
Ali?
La Marvel Studios ha annunciato
Blade per la prima volta nel 2019, insieme ad
altri progetti come le serie Disney Plus “WandaVision”,
“Loki” e “The Falcon and the Winter Soldier”,
nonché film come “Eternals”, “Shang-Chi e la Leggenda dei
Dieci Anelli” e “Doctor Strange nel Multiverso della
Follia”. Ma mentre tutti questi progetti sono già stati
prodotti e distribuiti da tempo, la Marvel Studios sta ancora
cercando di andare avanti con il film sul celebre vampiro.
Lo scorso ottobre, la Disney ha
rimosso il filmdal suo calendario delle uscite, cancellando la data
di uscita prevista per il 7 novembre 2025. Ciò è avvenuto dopo
numerosi ritardi precedenti; la prima data di uscita ufficiale del
film era addirittura il 3 novembre 2023. Il progetto ha visto
inizialmente il regista Bassam Tariq firmare per
dirigere il film, prima di abbandonarlo nel settembre 2022, circa
due mesi prima dell’inizio della produzione previsto. Da allora,
anche il regista Yann Demanger ha aderito al
progetto e poi lo ha abbandonato.
Secondo quanto riferito, gli attori
Aaron Pierre e Delroy Lindo
avrebbero dovuto recitare al fianco di Ali, ma entrambi hanno poi
rivelato di aver lasciato il progetto. “Era un’idea davvero
entusiasmante dal punto di vista concettuale, ma anche per il
personaggio che avrebbe preso forma. Poi, per qualche motivo, il
progetto è deragliato”, ha dichiarato Lindo a Entertainment
Weekly in aprile.
A novembre, Feige ha dichiarato che
la Marvel Studios era “ancora impegnata” in
Blade, parlando all’evento D23 Brazil della
Disney: “Adoriamo il personaggio. Adoriamo l’interpretazione
che ne dà Mahershala. E state tranquilli: ogni volta che cambiamo
direzione con un progetto, o stiamo ancora cercando di capire come
inserirlo nel nostro programma, lo comunichiamo al pubblico. Siete
tutti aggiornati su ciò che sta succedendo”.
L’ultimo aggiornamento di
Mahershala Ali sul progetto risale a dicembre
2023, quando ha dichiarato: “Sono davvero incoraggiato dalla
direzione che sta prendendo il progetto. Torneremo al lavoro
relativamente presto”. Con la recente affermazione di Ali
sulla sua disponibilità a recitare nel progetto, si attendono ora
nuovi aggiornamenti ufficiali sul film.
Il reboot di Buffy
l’Ammazzavampiri ha ricevuto un nuovo entusiasmanete
aggiornamento da Sarah Michelle Gellar. La Gellar
ha interpretato il personaggio principale per sette stagioni dal
1997 al 2003 e per anni ha affermato che la serie aveva fatto il
suo corso e che lei aveva chiuso con quel ruolo. Tuttavia, ora
tornerà per il reboot con la regista premio Oscar Chloé
Zhao (Nomadland)
alla regia dell’episodio pilota per Hulu e le showrunner
Nora Zuckerman e Lila Zuckerman.
La Gellar sarà però una guest star ricorrente e produttrice
esecutiva, mentre Ryan Kiera Armstrong sarà la
protagonista della serie nei panni della nuova ammazzavampiri,
mentre non sono ancora stati annunciati altri membri del cast.
In un’intervista a Vanity Fair, Gellar assicura
però che il reboot “sarà più leggero rispetto alle ultime
stagioni dell’originale. Cercheremo di trovare un equilibrio tra i
personaggi nuovi e quelli vecchi. Il mio sogno è quello di
riportare in vita tutti i personaggi che sono morti, ma dovremo
anche lasciare spazio a nuove storie”. L’attrice ha poi
aggiunto che “uno degli aspetti sorprendenti di Buffy è che è
sempre stata una serie crossover. Stiamo cercando di capire come
modernizzare i temi della serie, in particolare cosa significa
sentirsi un outsider in un mondo dominato dai social media. Quello
che vogliamo esplorare sono i confini spazio-temporali che
influenzano la società odierna”.
Cosa aspettarsi dal reboot di Buffy
l’Ammazzavampiri
Sebbene la serie si sia conclusa in
modo soddisfacente, Buffy l’ammazzavampiri dovrà
affrontare alcune trame per andare avanti. Sia la serie principale
che il suo
spin-off Angel sono diventati famosi per aver
ucciso tanti personaggi molto amati. I commenti di Gellar sono
dunque interessanti perché sembrano suggerire che qualsiasi
personaggio potrebbe avere il potenziale per tornare in qualche
forma. Questo potrebbe includere Angel e
Spike, il cui destino è sconosciuto dopo il finale
della serie Angel, Jenny Calendar,
Tara, Anya,
Cordelia o persino il povero
Jonathan.
Sebbene qualsiasi fan della serie
sarebbe entusiasta del ritorno di personaggi morti da tempo, la
serie deve anche andare avanti. Il difficile equilibrio che il
reboot dovrà affrontare è dunque quanto appoggiarsi a ciò che è
stato fatto in precedenza, aggiungendo al contempo nuovi personaggi
per la narrazione da seguire. Gellar è molto consapevole
dell’impatto che Buffy l’ammazzavampiri ha avuto,
e i suoi commenti fanno sembrare che la nuova serie stia adottando
l’approccio giusto.
Sebbene il produttore esecutivo di
Ironheart, Ryan
Coogler inizialmente non avesse in mente una serie
spin-off dedicata a Riri Williams, interpretata da
Dominique Thorne e apparsa per la prima volta
nel film Black Panther: Wakanda Forever del 2022 come giovane
genio della tecnologia di Chicago, una volta che il team della
Marvel gli ha proposto l’idea, il
futuro del personaggio nell’MCU è stato deciso.
“No, no, mi piace fare un passo
alla volta”, ha detto Coogler a Deadline sul tappeto rosso della
premiere a Los Angeles della serie Disney+ tenutasi all’El Capitan
Theatre. Il regista del recente I
Peccatori ha detto che il personaggio di Riri è nato
inizialmente come “contraltare di Shuri [Letitia Wright]”,
qualcuno che potesse mostrare la sua crescita mentre ricopriva il
ruolo di “mentore” e “sorella maggiore”.
È stato solo quando il team creativo
era già “a buon punto” con il film che è stato avvicinato dai
colleghi produttori esecutivi di Ironheart, Brad
Winderbaum e Zoie Nagelhout per parlare
di una serie. “Era ovviamente complicato, volevamo assicurarci
di lasciare abbastanza spazio mentre definivamo chi fosse Riri, ma
è stato davvero emozionante”, ha detto Coogler.
Ciò che è emerso di interessanta
dalla chiacchierata di Coogler con Deadline, però, è che la serie
serve anche come introduzione dell’MCU alla magia spettrale che
incontra la tecnologia attraverso il personaggio malvagio
The Hood (Anthony Ramos), un
criminale di basso livello che si imbatte in un mantello magico
alimentato dalle stesse forze descritte in Doctor Strange.
“È pazzesco uscire con questo
film proprio ora, in un momento in cui l’intelligenza artificiale è
sulla bocca di tutti e l’etica tecnologica è al centro
dell’attenzione”, ha osservato Coogler, “ma
anche… quando abbiamo iniziato non sapevamo che ci sarebbe stati
Dr. Destino contro gli Avengers e lui è un personaggio
dell’editoria famoso per aver fuso tecnologia e magia, quindi
Ironheart è un ottimo esempio di ciò che ci aspetta in quello che
probabilmente sarà il film più importante nella storia della
Marvel”.
Ambientata dopo gli eventi di
Black
Panther: Wakanda Forever, la serie Ironheart
di Marvel Television mette a confronto la tecnologia con la magia
quando Riri Williams (Dominique
Thorne), una giovane e geniale inventrice determinata
a lasciare il segno nel mondo, torna nella sua città natale,
Chicago.
La sua innovativa interpretazione
della costruzione di armature di ferro è brillante, ma nel
perseguire le sue ambizioni, si ritrova coinvolta con il misterioso
ma affascinante Parker Robbins, alias “The Hood” (Anthony
Ramos).
La serie vede la partecipazione
anche di Lyric Ross, Alden Ehrenreich, Regan Aliyah, Manny
Montana, Matthew Elam e Anji White.
Chinaka Hodge è la sceneggiatrice e produttrice
esecutiva; gli episodi sono diretti da Sam Bailey
e Angela Barnes.
I primi tre episodi di Ironheart debutteranno
su Disney+ il 24 giugno
2025.
Pensive (noto anche
come Rupintojelis) è un film horror lituano del 2020 che
rappresenta un’interessante incursione del cinema baltico in un
genere che raramente trova spazio nella produzione locale. Diretto
da Jonas
Trukanas, il film ha saputo attirare l’attenzione
degli appassionati per il modo in cui coniuga le classiche
atmosfere da slasher americano con un contesto culturale e sociale
tipicamente lituano. Pensive si distingue però non
solo per l’ambientazione insolita – le foreste e i paesaggi rurali
della Lituania – ma anche per la capacità di esplorare tematiche
legate alla memoria collettiva, al senso di colpa e alla violenza
sommersa di una generazione giovane e apparentemente
spensierata.
Uno degli elementi che rendono
Pensive peculiare nel panorama cinematografico
lituano è proprio la scelta di calare una storia di vendetta e
sangue all’interno di un rito sociale tipico come quello della
celebrazione di fine anno scolastico. Il film segue infatti un
gruppo di studenti che, per festeggiare il diploma, si rifugia in
una casa isolata, dando così il via a una notte che si trasforma
ben presto in incubo. Trukanas adotta un linguaggio visivo moderno
e teso, che strizza l’occhio ai codici del cinema horror
internazionale pur mantenendo un’identità locale attraverso
riferimenti alla tradizione lituana e simbolismi legati al passato
del Paese.
Nel prosieguo dell’articolo ci
soffermeremo su un aspetto che ha incuriosito molti spettatori e
critici: Pensive è un film completamente frutto di
fantasia o trae ispirazione da eventi reali, leggende o cronache
oscure della Lituania? Analizzeremo quindi i possibili legami tra
la storia raccontata da Trukanas e le vicende o simboli che
potrebbero averne ispirato la trama, offrendo uno sguardo più ampio
sul significato e sul sottotesto di questo originale slasher
baltico.
Come anticipato, il film ha per
protagonisti un gruppo di liceali che si preparano a organizzare
un’epica e scatenata festa per il loro diploma. Per tal fine si fa
avanti Marius(Šarūnas
Rapolas Meiliešius), proponendo di organizzare il party in
una baita che sua madre, agente immobiliare, sta cercando di
vendere invano da anni e di cui lui ha le chiavi. Marius, il
ragazzo meno popolare della classe, spera così di ingraziarsi i
suoi compagni ma soprattutto di attirare l’attenzione della bella
Brigita(Gabija
Bargailaitė), della quale è segretamente innamorato,
nonostante lei sia fidanzata con Rimas(Kipras Mašidlauskas), il ragazzo
più popolare della scuola.
Arrivati nella tenuta isolata nel
bosco, i giovani danno il via ai festeggiamenti. Il party sembra
andare per il meglio, tra bevute, musica e balli sfrenati, finché i
ragazzi hanno la malaugurata idea di spaccare con l’ascia delle
statue di legno trovate sul posto e usarle per fare un falò.
Si tratta di opere d’arte del folklore lituano realizzate da
un certo Algis(Marius
Repšys), uno scultore che abitava in quella casa vent’anni
prima e che si dice abbia sterminato la sua famiglia. Ben presto i
ragazzi capiranno che la sinistra storia di quel luogo si sta
ripetendo e di essere diventati l’oggetto di una terribile e
sanguinaria vendetta.
La storia vera dietro il film
Come spesso accade per questo tipo
di film, dietro di essi non c’è propriamente una storia vera
riproposta fedelmente, bensì una serie di suggestioni che portano
al concepimento del racconto. È questo il caso di
Pensive, di cui il regista Jonas Trukanas ha
affermato che: “Avevo diciotto anni e guidavo la mia prima
macchina, diretto in piena notte verso una festa nei boschi
lituani. Mentre viaggiavo pressoché nel nulla, una scultura in
legno a grandezza naturale di un Cristo pensante mi si parò
davanti. Mi bloccai letteralmente in mezzo alla strada e sentii che
in qualche modo mi stava giudicando per il fatto che fossi lì, in
quel luogo, diretto a festa. Quell’immagine è rimasta con me fino a
oggi”.
“Le sculture in legno del Cristo
pensante si trovano infatti ovunque negli stati baltici; in un
certo senso uniscono in un’unica entità le tradizioni popolari e
quelle cristiane. Sebbene il film abbia poco a che fare con la
religione, la paura di essere giudicato in quel momento è diventata
il punto di partenza della storia“, ha aggunto Trukanas.
Quelle a cui il regista fa riferimento sono le sculture
Rupintojelis (in inglese Pensive Christ, ovvero
Cristo Pensieroso), che danno il titolo originale al film.
Risalgono alla fine del XIV secolo e raffigurano Gesù seduto su una
pietra, piegato in avanti, che sorregge il capo – caratterizzato da
un’espressione di stanchezza e dolore – con una mano mentre
appoggia l’altra sul ginocchio.
Al di là di questo elemento, non
esistono prove o cronache di un vero serial killer o di un
assassino mascherato che abbia colpito gruppi di giovani nella
foresta lituana durante celebrazioni di fine anno scolastico, come
avviene nel film. Tuttavia, nella memoria collettiva e nelle
cronache locali, non mancano episodi di violenza legati a feste in
luoghi isolati, dove talvolta l’abuso di alcol, i dissidi personali
e l’assenza di controlli hanno portato a tragedie. Questi episodi,
pur non avendo le caratteristiche di una strage sistematica come
quella mostrata in Pensive, contribuiscono a
creare quel senso di insicurezza e inquietudine che alimenta
l’immaginario collettivo e può ispirare storie di finzione.
Un altro aspetto che ha
probabilmente influito sulla creazione del film è il rapporto,
spesso complesso, che la società lituana ha con la memoria storica
e con i luoghi legati al passato rurale o sovietico. Le foreste, i
villaggi abbandonati e le strade deserte rappresentano spazi che
evocano solitudine e paura, luoghi in cui realtà e leggenda si
confondono. Sebbene Pensive non sia ispirato a un
evento specifico, il regista ha dunque saputo attingere a questo
patrimonio culturale e simbolico per costruire una storia che gioca
sulle paure più profonde legate all’isolamento e al giudizio,
rafforzate dall’immagine del Cristo pensieroso che osserva e
ammonisce.
Infine, è interessante notare come
Trukanas abbia dichiarato di essersi ispirato anche alla sensazione
universale di colpa e vulnerabilità che si prova in certe fasi
della vita, come l’adolescenza. La storia vera dietro
Pensive non è dunque fatta di cronaca nera o di un
assassino realmente esistito, ma di paure ancestrali, simboli
culturali e memorie personali che si intrecciano per dar vita a un
racconto di finzione capace di parlare a un pubblico ampio, oltre i
confini della Lituania. Il film riflette così un mix di leggende,
contesti sociali e sensazioni vissute, più che un reale fatto di
sangue documentato.
Mad Max –
Interceptor, uscito nel 1979 e diretto da George Miller,
rappresenta una vera e propria rivoluzione all’interno del genere
action e
post-apocalittico. Realizzato con un budget ridottissimo, il
film ha saputo unire l’estetica cruda e violenta del cinema
d’exploitation con un’inedita attenzione per le sequenze d’azione
dinamiche e le spettacolari corse automobilistiche. La pellicola ha
così imposto un nuovo standard nella rappresentazione della
violenza e del caos stradale. L’ambientazione in un’Australia
prossima al collasso sociale e morale ha contribuito a creare
un’atmosfera cupa e disperata, capace di catturare l’immaginario
collettivo di un’epoca segnata da crisi energetiche e timori per un
futuro incerto.
Il film ha inoltre dato vita a uno
dei franchise più iconici e longevi della storia del cinema. A
partire da Mad Max – Interceptor, infatti, sono
nati sequel sempre più ambiziosi come
Interceptor – Il guerriero della strada
e Mad
Max oltre la sfera del tuono, fino al
sequel/reboot Mad
Max: Fury Road, capaci di rinnovare e ampliare
l’universo creato da Miller senza mai tradirne lo spirito
originario. La figura del protagonista Max Rockatansky,
interpretato da un giovane Mel Gibson, è diventata simbolo di un eroe
tragico e solitario, costretto a sopravvivere in un mondo dove la
legge e la civiltà hanno lasciato spazio alla barbarie.
Il successo del film, oltre a
consacrare il regista e l’attore, ha contribuito a rafforzare
l’influenza del cinema australiano sulla scena internazionale. Nel
corso di questo approfondimento ci soffermeremo in particolare sul
finale di Mad Max – Interceptor, un epilogo tanto
crudo quanto emblematico, che segna la trasformazione definitiva
del protagonista e pone le basi per gli sviluppi narrativi futuri.
Analizzeremo le scelte di Max, il senso morale (o amorale) delle
sue azioni e come queste siano diventate parte integrante del mito
che circonda la saga.
La trama di Mad Max –
Interceptor
La vicenda del film si svolge in
un’Australia distopica di un futuro non troppo lontano. Le riserve
di energia scarseggiano ormai da tempo, portando l’intero paese a
vivere in un contesto di semi anarchia, con bande di criminali
intenti ad aggredire quanti vengono trovati indifesi lungo le
deserte strade. Per contrastare ciò, vengono istituite delle
speciali task force della polizia federale, al fine di mantenere la
legge e l’ordine. Tra gli incaricati di ciò vi è anche il
poliziotto Max Rockatansky. Egli rimane però
particolarmente scioccato nel momento in cui il suo collega
Jim “Goose” Rains viene brutalmente ucciso dalla
banda dello spietato Toecutter.
Nel tentativo di prendersi una pausa
dal lavoro, Max decide allora di intraprendere una vacanza con la
moglie Jessie e il loro figlio infante. La loro
fuga di pace verrà però tragicamente interrotta dall’intromissione
di Toecutter e i suoi uomini, i quali porteranno via per sempre la
famiglia di Max. Accecato dall’odio e assetato di vendetta, egli
decide dunque di rimettersi la divisa da poliziotto, con
l’obiettivo di trovare e uccidere i responsabili della morte della
moglie e del figlio. Nonostante i tentativi di fermarlo, Toecutter
comprenderà ben presto di trovarsi di fronte ad una forza
inarrestabile.
La spiegazione del finale
Nel terzo atto di Mad Max –
Interceptor, la spirale di violenza raggiunge il culmine
quando Max Rockatansky, ormai devastato dal dolore e dalla sete di
vendetta, si lancia in una missione solitaria contro la gang
responsabile dell’uccisione della sua famiglia. Dopo aver perso la
moglie Jessie e il figlioletto Sprog sotto le ruote impietose dei
motociclisti guidati da Toecutter, Max abbandona dunque ogni legame
con la legge e la morale che un tempo aveva difeso come agente
della Main Force Patrol. Armato della sua iconica Ford
Falcon XB GT e di un arsenale letale, si mette sulle
tracce dei membri della banda, eliminandoli uno ad uno in una serie
di agguati brutali ed efficaci.
L’ultimo confronto vede Max
inseguire Toecutter fino a un drammatico schianto contro un camion,
che segna la fine del leader della gang. Il film si chiude
poicon una sequenza particolarmente emblematica: Max cattura Johnny
the Boy, uno degli ultimi membri della banda, e lo lascia legato a
un’auto incidentata destinata a esplodere, dandogli una scelta
impossibile — amputarsi la caviglia con una sega o morire
nell’esplosione imminente. Mentre Max si allontana nell’oscurità,
lasciando Johnny al suo destino, la macchina esplode alle sue
spalle. Questo atto finale segna il punto di non ritorno per il
protagonista: un tempo simbolo della giustizia, ora trasformato in
un angelo della vendetta che non fa più distinzione tra legge e
punizione sommaria.
Il significato di questo finale è
dunque strettamente legato alla discesa psicologica di Max
nell’abisso della disperazione e della disumanizzazione. La perdita
della famiglia rappresenta il crollo definitivo delle sue ultime
connessioni affettive e morali, trasformandolo da difensore della
società in una figura solitaria e implacabile. Il mondo di Mad Max
è ormai un luogo dove la legge non esiste più e l’unica regola è la
sopravvivenza a qualsiasi costo. Il gesto di lasciare Johnny the
Boy a una morte crudele non è quindi solo un atto di vendetta, ma
l’emblema della metamorfosi di Max: da uomo a mito della strada,
spogliato di ogni pietà e umanità.
Questo finale prepara idealmente il
terreno per i film successivi, in particolare
Interceptor – Il guerriero della strada, dove troviamo
un Max ancora più isolato, divenuto ormai una leggenda vagante in
un mondo post-apocalittico. La sua trasformazione in simbolo del
caos e della sopravvivenza è avviata proprio in questo epilogo, che
chiude il primo capitolo con una nota amara e disperata, ma al
tempo stesso apre un universo narrativo in cui la lotta per la vita
e la giustizia si gioca su un terreno sempre più arido e privo di
regole. Il finale di Mad Max – Interceptor è
quindi la nascita del mito di Mad Max, un uomo che ha perso tutto e
che diventa l’incarnazione della resistenza individuale in un mondo
al collasso.
David Goyer non
tornerà a occuparsi di Blade. Lo sceneggiatore
della trilogia originale con Wesley Snipes nei panni del cacciatore di
vampiri aveva infatti in precedenza affermato di aver preso in
considerazione l’idea di aiutare la Marvel Studios della Disney a
rilanciare il franchise, che è rimasto in fase di sviluppo dal
momento in cui Kevin Feige ha annunciato il progetto
al San Diego Comic-Con nel 2019.
“È così divertente, circa otto
mesi fa – quando, non l’ultimo intoppo, ma quello precedente –
avevo così tante persone che mi dicevano: ‘Amico, ti metteresti a
lavorare su Blade? Ti metteresti a lavorarci?’”, ha detto
Goyer a Variety. “Che fossero amici,
fan o persone sui social media”. Goyer ha poi continuato
dicendo che ha contattato la Marvel per offrire i suoi servizi per
aiutare a scrivere il nuovo film Blade, che ha cambiato più volte
proprietario e ha visto avvicendarsi diversi sceneggiatori e
registi.
“Non ci stavo nemmeno pensando,
ma poi ho chiesto al mio agente di chiamare la Marvel e dire:
‘Avete bisogno di aiuto?’”, ha ricordato Goyer. “E loro
hanno risposto: ‘ Ti adoriamo, ma pensiamo di aver risolto il
problema e di essere a buon punto’. E poi sono successe le ultime
cose. Quindi no, non mi hanno contattato“. Sembra dunque che
le intenzioni di Ayer fossero serie, ma la Marvel sembra invece
stia silenziosamente andando avanti con questo progetto, per il
quale si attendono però annunci ufficiali.
Cosa sappiamo del film Blade del
MCU?
A ottobre, la Disney ha ritirato il
reboot di Blade dal suo calendario delle uscite,
fissando al suo posto Badlands
della 20th Century per il 7 novembre 2025, lasciando il film Marvel
senza regista e senza data di uscita. In precedenza, la Marvel
aveva ingaggiato Stacy Osei-Kuffour
(Watchmen della HBO, The
Bear della FX) per scrivere la sceneggiatura e
Bassam Tariq (Mogul Mowgli) per la regia;
Beau DeMayo (X-Men
’97) è stato poi assunto per riscrivere la sceneggiatura,
con Michael Starburry (When They See Us),
Nic Pizzolatto (True Detective),
Michael Green (Logan) ed Eric
Pearson (Thunderbolts*) che hanno dato il loro
contributo alla sceneggiatura.
Yann Demange
(White Boy Rick) era entrato a far parte del progetto come
regista, ma lo ha abbandonato lo scorso giugno, apparentemente per
contrasti con il protagonista Mahershala
Ali. Di certo, ad oggi, rimane dunque il
coinvolgimento dell’atore. Feige nel 2019 ha annunciato che il due
volte vincitore dell’Oscar interpreterà il cacciatore di vampiri,
affermando poi di Blade che: “Negli ultimi
anni, mentre cercavamo di realizzare questo film, la cosa più
importante per noi era non affrettare i tempi e assicurarci di
realizzare il film giusto su Blade. Perché anni fa sono stati
realizzati alcuni film fantastici su Blade”.
La trilogia di
Blade della New Line, classificata R, ha incassato
complessivamente 417 milioni di dollari al botteghino mondiale tra
il 1998 e il 2004. Il film Blade del 1998, diretto
da Stephen Norrington, è stato il primo film
Marvel distribuito nelle sale dal 1986, dopo Howard the
Duck, e ha contribuito a inaugurare l’era moderna degli
adattamenti Marvel come X-Men del 2000 e
Spider-Man del 2002, blockbuster che hanno aperto la
strada al Marvel Cinematic Universe. Data la grande popolarità del
personaggio, si attendono dunque novità riguardo il progetto.
Diretto da Marco Tullio
Giordana, Yara(qui
la recensione) rappresenta un ulteriore tassello nella
filmografia di un regista che ha sempre dimostrato una particolare
sensibilità nel raccontare storie ispirate alla realtà e al dolore
collettivo. Giordana, già noto per opere come I cento
passi e La meglio gioventù, torna a confrontarsi con
un fatto di cronaca nera che ha scosso profondamente l’opinione
pubblica italiana: l’omicidio della giovane Yara
Gambirasio. Il regista affronta il caso con il suo
consueto approccio sobrio e rigoroso, senza indugiare nel
sensazionalismo, concentrandosi invece sulle indagini e sul
contesto umano e sociale che hanno circondato la tragica
vicenda.
La scelta di realizzare un film su
Yara nasce dall’esigenza di ripercorrere un caso giudiziario
complesso e delicato, che ha tenuto il Paese con il fiato sospeso
per anni. La pellicola si sofferma in particolare sulla
determinazione e il lavoro instancabile di coloro che hanno cercato
la verità, come la PM Letizia Ruggeri,
interpretata da Isabella Ragonese. Con Yara,
Giordana si propone di offrire un omaggio rispettoso alla vittima e
alla sua famiglia, dando voce al dolore e alla speranza di
giustizia, e allo stesso tempo riflettendo sui meccanismi della
giustizia italiana e sull’impatto che un simile dramma ha su una
comunità intera.
Il film, distribuito da Netflix, è stato però naturalmente accolto con
reazioni miste: da una parte apprezzato per il tono sobrio e per la
delicatezza con cui tratta il caso, dall’altra criticato da chi ha
visto nel progetto il rischio di spettacolarizzazione di un dramma
privato, un po’ come avvenuto di recente con la serie Avetrana
– Qui non è Hollywood. Nel corso dell’articolo, ci
soffermeremo proprio su un aspetto particolarmente discusso: le
differenze tra il film e la vicenda reale, cercando di capire come
e perché Giordana abbia scelto di raccontare alcuni passaggi con un
linguaggio narrativo diverso rispetto ai fatti di cronaca.
Chiara Bono in Yara. Foto cortesia di Netflix
La trama del film
Il film è incentrato sul caso di
Yara Gambirasio (Chiara Bono), la
tredicenne di Bembrate di Sopra, nel Bergamasco, misteriosamente
scomparsa nel 2010, dopo aver terminato una lezione di ginnastica
ritmica presso il centro sportivo del suo paesino. Quella fredda
sera del 26 novembre, Yara non fa ritorno a casa, lasciando la
famiglia immersa nell’angoscia. Iniziano così per i suoi genitori
mesi di inferno, nei quali si chiedono se la giovane sia ancora
viva, mentre le ricerche coinvolgono forze dell’ordine, volontari,
giornalisti e inquirenti come il pubblico ministero Letizia
Ruggeri (Isabella
Ragonese), il colonnello Vitale
(Alessio Boni) e il maresciallo
Garro (Thomas Trabacchi), impegnati senza
sosta nel ricostruire i fatti.
Solo il ritrovamento del corpo della
ginnasta, in un campo isolato a Chignolo d’Isola e dopo tre mesi di
attesa straziante, permetterà di ottenere un primo indizio, un DNA
sconosciuto, rilevato sugli indumenti della ragazza, che
consentirà, dopo una lunga e complessa indagine forense,
accertamenti incrociati e un grande aiuto da parte di tutta la
popolazione di Bembrate, d’individuare un sospettato, un uomo,
Massimo Bossetti (Roberto
Zibetti), fino a quel momento per nulla preso in
considerazione, muratore incensurato la cui traccia genetica era
compatibile con quella isolata nella zona colpita da arma da
taglio. L’arresto arriva dopo anni di lavoro investigativo, proprio
quando l’inchiesta sembrava vicina all’archiviazione
definitiva.
Le principali differenze tra il film e la storia vera
Pur cercando di attenersi quanto più possibile ai reali risvolti
della storia di Yara, il film presenta delle naturali differenze
rispetto alla realtà. Ad esempio, si enfatizza la figura della PM
Letizia Ruggeri come protagonista, mentre la vittima, Yara
Gambirasio, appare principalmente nei primissimi minuti. Questa
scelta narrativa è stata criticata: molti osservatori, tra cui il
magazine Framed e il
Giornale, sottolineano che
il titolo risulta fuorviante, perché la ragazza resta sullo sfondo,
intorno alla figura forte e combattiva della PM.
Comprensibilmente, però, Giordana ha voluto raccontare non tanto il
caso criminale in sé, quanto la determinazione e gli ostacoli di
una donna di legge in un ambiente tradizionalmente
maschile.
Nel film vengono poi trascurate alcune fasi reali dell’indagine,
come il DNA presente sul giubbetto dell’istruttrice Silvia
Brena, estratto il 2 aprile 2011.
Anche il blitz su Mohamed Fikri, arrestato per
errore, viene raffigurato, ma senza approfondire l’impatto emotivo
della comunità e le implicazioni giudiziarie reali.
Le omissioni suggeriscono una volontà di privilegiare un racconto
lineare e centrato sulla PM, piuttosto che una ricostruzione fedele
e complessa di tutte le ipotesi investigative, le quali avrebbero
inevitabilmente reso più complicato e lungo il
racconto.
Isabella Ragonese in Yara. Foto cortesia di Netflix
Nel film si attribuisce poi al cellulare di Bossetti una precisione
di posizionamento “alla via”, grazie alle celle telefoniche, il che
è tecnicamente impossibile. Anche il GPS viene presentato come non
ancora usato.
Un’altra differenza, seppur di minor importanza all’interno del
film, è l’accento di Yara che appare forzatamente “romano”, anziché
bergamasco, come sottolineato dal quotidiano Il Giorno.
Tali rappresentazioni appaiono infatti più funzionali alla tensione
narrativa che a un ritratto realistico delle tecnologie
investigative dell’epoca.
Riguardo al film si sono poi espressi sia i genitori di Yara sia i
legali di Bossetti, i quali hanno dichiarato di non essere stati
consultati: “Nessuno ha sentito la nostra voce”, ha
affermato Claudio Salvagni, avvocato della
difesa.
L’assenza delle loro testimonianze rende il film un racconto con un
unico punto di vista: quello della PM Ruggeri. Questa scelta, se da
una parte limita la pluralità narrativa e impedisce uno sguardo più
comprensivo su questioni delicate come la difesa del diritto, la
complessità del processo e il trauma delle famiglie coinvolte,
dall’altra permette al film di poter seguire un unico personaggio
ed evitare maggiore confusione.
Infine, le riprese non sono state effettuate a
Brembate o Chignolo d’Isola, ma
in location come Fiano e San Vito
Romano.Giordana
ha motivato la decisione per questioni logistiche legate al Covid e
per non gravare ulteriormente sulla comunità bergamasca.
In generale, il regista dichiara di aver voluto raccontare un
“caso che è stato specchio dell’Italia“, facendosi
portavoce di una realtà simbolica piuttosto che di un adattamento
cronachistico pedissequo. Questo ha naturalmente portato
alla ricostruzione di un contesto piuttosto diverso rispetto a
quello dove si sono realmente svolte le vicende.
le
differenze tra film e realtà, dunque, sono molte: dalla centralità
della PM Letizia Ruggeri alla marginalizzazione di Yara, dalle
omissioni investigative a scelte tecniche di vario tipo e al
mancato coinvolgimento delle famiglie. Queste strategie
rispecchiano però una visione autoriale che privilegia una
narrazione drammaturgica lineare e un focus tematico piuttosto che
una cronaca puntuale, propria più di un documentario. Giordana,
infatti, ha voluto realizzare non una docufiction, ma un affresco
simbolico del sistema giudiziario, delle dinamiche di genere e del
peso dell’inchiesta di massa in un Paese scosso dalla cronaca
nera.
28 anni
dopo è l’ultimo capitolo dell’acclamata saga di zombie
di Danny Boyle, che riprende quasi trent’anni dopo lo scoppio
dell’epidemia del
virus della rabbia in 28 giorni dopo. Il sequel amplia
notevolmente il panorama infetto, offrendo molti spunti
interessanti su come il mondo si è evoluto in questi anni
post-apocalittici. Fortunatamente, il pubblico non dovrà aspettare
molto per scoprire cosa riserva il futuro a questi nuovi
personaggi, dato che il prossimo film è ormai alle porte.
28 anni dopo include diverse rivelazioni importanti su questo
mondo desolato, e gran parte del film sembra una sottile
esposizione dei prossimi capitoli di questa serie horror. Boyle e
lo sceneggiatore Alex Garland fanno un ottimo lavoro nel garantire
che non sembri solo una preparazione, concentrandosi sui viaggi dei
nuovi personaggi in modo audace e significativo, ma non si può
evitare di notare quanto palesemente il finale di 28
Years Later anticipi la trama del prossimo film.
Fortunatamente, non ci vorrà molto prima che questi indizi sulla
trama vengano risolti.
Il sequel di 28 anni dopo, The
Bone Temple, uscirà nel gennaio 2026
Il film uscirà tra soli sette
mesi
28 Years Later è il primo
capitolo di una trilogia di film horror che continuerà nel gennaio
2026 con The Bone Temple. Sebbene siano stati rivelati pochi
dettagli sulla trama di The Bone Temple, è lecito supporre che il film
riprenderà esattamente da dove finisce 28 Years Later: con
Spike (Alfie Williams) che viaggia attraverso il continente insieme
alla Jimmies Gang mentre suo padre Jamie (Aaron Taylor-Johnson) lo
cerca.
Sebbene Boyle non dirigerà The
Bone Temple (l’onore è stato passato a Nia DaCosta, regista di
Candyman), la sceneggiatura è stata scritta ancora una volta
da Garland. Nel frattempo, gran parte del cast di 28 Years
Later riprenderà i propri ruoli in The Bone Temple;
Alfie Williams, Aaron Taylor-Johnson, Ralph Fiennes e Jack
O’Connell hanno tutti confermato la loro partecipazione al sequel.
Cillian Murphy tornerà anche lui nel ruolo di Jim, il
protagonista dell’originale 28 Days Later.
Come mai 28 Years Later: The
Bone Temple uscirà così presto
Fortunatamente, gennaio 2026 è solo
a sette mesi di distanza, il che significa che il pubblico non
dovrà aspettare molto per scoprire cosa succede dopo il lo
scioccante finale. Il motivo di questa rapida inversione di rotta è
che sia 28 Years Later che The Bone Temple sono
stati girati contemporaneamente, con Boyle che ha
immediatamente passato il testimone a DaCosta e utilizzando gli
stessi attori e le stesse location mentre erano disponibili.
Secondo quanto riferito, i due film
sono stati girati intorno al maggio 2024, con le riprese principali
che si sono svolte nel Northumberland, nel nord-est
dell’Inghilterra. Le riprese di 28 Years Later sono durate
oltre due mesi e quelle di The Bone Temple sono iniziate
meno di un mese dopo.
28 Years Later suggerisce che
il sequel sarà molto diverso
Il finale del film anticipa un
sequel molto diverso
Il
finale di 28 anni dopo introduce la Jimmies Gang, un
gruppo di violenti fuorilegge apparentemente ispirati al famigerato
predatore di celebrità Jimmy Savile. Il loro arrivo segna un
enorme cambiamento di tono per il film, che supera il trauma
emotivo causato dalla morte di Isla (Jodie Comer) e dall’abbandono
dell’isola da parte di Spike con una sequenza d’azione audace e
brutale accompagnata da musica rock pesante.
Questo finale sconcertante
suggerisce che The Bone Temple sarà molto diverso dal primo
capitolo di questa trilogia sequel, forse utilizzando la Jimmies
Gang come fonte di sollievo comico e abbandonando il tono cupo e
crudo del primo film. Non è chiaro se il personaggio di Jack
O’Connell sarà amico o nemico di Spike, ma avrà sicuramente un
ruolo importante. Garland ha fatto un ottimo lavoro nel stuzzicare
sottilmente i Jimmies in 28 Years Later, e non
passerà molto tempo prima che il pubblico scopra la verità in
The Bone Temple.
Ambientato quasi trent’anni dopo
gli eventi di 28 giorni dopo, l’attesissimo sequel
28 anni
dopo di Danny Boyle e Alex Garland introduce nuove
versioni degli infetti che si sono evoluti dopo la prima epidemia.
Come nel caso del primo sequel della serie, 28 Weeks Later, 28
anni dopo segue un gruppo di personaggi completamente nuovi e
include un cast stellare con Aaron Taylor-Johnson, Jodie
Comer e Ralph Fiennes. Il nuovo film segue una piccola
famiglia che vive in una comunità protetta al largo delle coste
delle Isole Britanniche in quarantena e le loro pericolose e
terrificanti avventure sulla terraferma.
28 Anni Dopo ha già un sequel confermato, ma nonostante
tutti gli spunti per il prossimo capitolo, rimane una storia a sé
stante. Alla
fine di 28 Anni Dopo, la nuova realtà derivante dalla
diffusione e dall’adattamento del virus della rabbia è ormai
pienamente realizzata. Uno dei cambiamenti più significativi
rispetto al film originale è la natura stessa del virus e, di
conseguenza, la natura degli infetti. Il film introduce diverse
varianti degli infetti nervosi e veloci, anche se viene rivelato
molto poco sulle loro origini, il che significa che potrebbero
richiedere qualche spiegazione.
28 anni dopo introduce l’Alpha
degli infetti
Le varianti forti, veloci e
massicce comandano gli altri
Il cambiamento più grande (in senso
letterale e metaforico) nella natura degli infetti in 28 anni
dopoè l’ascesa dell’Alpha, una variante
ultraveloce e ultraforte del tipico infetto. Ci sono diversi
Alfa sulla terraferma, ma tutti condividono le stesse
caratteristiche fisiche. Gli Alfa sembrano in grado di controllare,
o almeno di guidare, le intenzioni degli Infetti nervosi e veloci
dei film originali, che a loro volta sembrano aver sviluppato un
controllo maggiore rispetto a quanto visto in precedenza nella
serie. Gli Alfa sono estremamente resistenti e in grado di
sopportare attacchi che ucciderebbero gli Infetti meno potenti.
Forse la cosa più importante è che
gli Alfa sembrano avere molto più intelletto e autocontrollo
rispetto alla variante più comune. Dirigono la caccia degli
Infetti e sembrano persino prendere trofei dalle vittime sotto
forma di teste strappate con le spine ancora attaccate. Anche se
non è mai stato detto esplicitamente, sembra probabile che, come in
un branco di animali, l’Alfa sia responsabile della maggior parte
della riproduzione che avviene nella popolazione degli Infetti. Per
essere chiari, sono comunque feroci, ma hanno semplicemente più
controllo e intelligenza che completano la loro enorme stazza e
forza.
Spiegazione dei nuovi e più
grandi infetti di 28 anni dopo
Il virus della rabbia ha
prodotto alcune varianti raccapriccianti
Le altre varianti principali degli
infetti introdotte in 28 anni dopo sono chiamate
“Slow Lows” in riferimento al loro modo di muoversi. Gli Slow Lows
sono creature pallide e obese che si muovono principalmente
strisciando sul terreno, sopravvivendo di vermi, insetti e altre
prede basse e facili da catturare. Appare anche una versione
infantile degli Slow Lows, il che indica che sono in grado di
riprodursi o che la trasformazione in Slow Low avviene dopo la
nascita di un infetto. La loro natura lenta li rende più facili da
uccidere, ma sono comunque pericolosi se in gran numero.
28 anni dopo: The Bone
Temple uscirà nelle sale il 26 gennaio 2026.
28 anni dopo
introduce gli Slow Low, gli Alpha e gli Infetti veloci, familiari
ma più coordinati, come nuova realtà delle isole britanniche, ma,
cosa piuttosto sorprendente, non fornisce una spiegazione per la
loro esistenza. È chiaro che il virus della rabbia ha subito una
mutazione nei 28 anni trascorsi da quando è stato diffuso per la
prima volta e ora ha effetti diversi sugli individui. Jamie osserva
che sugli Alfa il virus della rabbia ha agito “come uno steroide”,
rendendoli incredibilmente forti e giganteschi. La risposta vera è
probabilmente di natura scientifica e medica, anche se è possibile
che non ne conosceremo mai i dettagli.
28 anni dopo include
anche una donna incinta infetta
Una delle evoluzioni più
significative degli infetti è la capacità non solo di rimanere
incinte, ma anche di rimanere incinte di un bambino che non ha il
virus della rabbia. Come spiega il dottor Kelson a Spike e Isla,
il bambino era protetto dalla placenta della madre, che non ha
permesso al virus della rabbia di infettarlo nell’utero. Il
bambino riportato a Holy Island non sembra mostrare alcun sintomo
del virus della rabbia, in particolare gli occhi rossi rivelatori,
ma resta da vedere se il virus sia ancora presente nel suo
corpo.
Il fatto che un infetto sia stato
in grado di rimanere incinta è un’indicazione del livello di
controllo che almeno gli Alfa hanno su se stessi. Affinché un
bambino non solo venga concepito, ma anche che la madre riceva
nutrimento sufficiente per sostenere la gravidanza, sembra che gli
Alfa dispongano di un’intelligenza tale da garantire che le infette
incinte vengano accudite. Spike, Isla ed Erik la scoprono mentre
partorisce rinchiusa in un vagone ferroviario sorvegliato dagli
Alfa, quindi la gravidanza sembra essere intenzionale, o almeno ben
accolta.
Come gli infetti di 28 anni
dopo si confrontano con i film precedenti
Gli infetti veloci e nervosi
non sono l’unica minaccia
Gli infetti di 28 giorni
dopo e 28 settimane dopo sono estremamente pericolosi
data la loro velocità e la rapidità con cui l’infezione può
diffondersi. La morte immediata è certamente possibile a seguito di
un attacco da parte di un infetto, ma una trasformazione dovuta al
contagio è l’esito più probabile sulla base di quanto visto nei
film. Gli infetti veloci di 28 anni
dopo non sembrano essere poi così diversi
nell’aspetto o nel comportamento, ma sono chiaramente più
organizzati grazie alla supervisione degli Alfa che li guidano.
Per quanto le varianti veloci siano
pericolose dal punto di vista dello sciame, gli Alfa hanno
completamente cambiato la natura della minaccia degli infetti sulla
terraferma. Gli Alfa sono capaci di pianificare, di essere
pazienti e di riprodursi intenzionalmente, quindi rappresentano una
minaccia molto più significativa rispetto alle loro controparti più
semplici e violente di decenni prima. Potrebbe essere troppo
azzardato credere che gli Alfa siano in grado di sferrare un
attacco coordinato a Holy Island, ma non abbiamo idea di quanto
possano essere intelligenti, e questa è la cosa più spaventosa di
tutte.
L’isola in cui è ambientato 28
anni dopo è un’isola reale situata al largo della costa del
Northumberland, in Inghilterra, chiamata Lindisfarne, conosciuta
anche come Holy Island (come nel film).
Oltre al loro livello di minaccia,
il livello di intelligenza delle nuove varianti degli Infetti li
rende più simpatici. È abbastanza chiaro, basandosi sul finale di
28 anni dopo, che il confine tra gli Infetti che fanno
a pezzi le persone a mani nude e gli scagnozzi di Jimmy Crystal che
fanno a pezzi gli Infetti con le armi sta diventando sempre più
labile. Jamie fa notare a Spike che gli Infetti non hanno mente
grazie al virus della rabbia e quindi non hanno anima. Ora è
incredibilmente chiaro quanto sia sbagliata questa valutazione, e
la riconciliazione di Spike con questo fatto avrà un ruolo
importante nel prossimo film.
28 Anni Dopo: The Bone Temple è l’attesissimo
sequel di 28 Years Later del 2025, ed ecco tutto ciò che
sappiamo sul film in uscita, compreso il cast, la trama, la data di
uscita e altro ancora. I fan di 28 Days Later e 28 Weeks
Later hanno dovuto aspettare anni per un altro sequel, dato che
il franchise era inattivo dal 2007. Tuttavia, quando finalmente è
arrivata la notizia di un sequel, è stato un grande evento. 28
Years Later del 2025 è in realtà l’inizio di una nuova
trilogia, con 28 Years Later: The Bone Temple che sarà il
secondo capitolo di questa nuova saga.
28 Anni Dopo: The Bone
Temple colmerà il divario tra 28 Years Later e il terzo
film, ancora senza titolo. Poiché 28 Years Later è uscito
solo nel giugno 2025, al momento della stesura di questo articolo
si sa ancora molto poco sul sequel. Tuttavia, il regista Danny
Boyle, lo sceneggiatore Alex Garland e altri membri del team della
nuova trilogia hanno già fornito alcuni indizi sulla produzione del
film. Ecco quindi tutto quello che c’è da sapere su 28 Anni
Dopo: The Bone Temple e il futuro del franchise28 Days Later.
Le ultime notizie su 28 Anni
Dopo: The Bone Temple
Cillian Murphy arriva alla 76ª edizione dei Directors Guild Of
America (DGA) Awards. Foto di Image Press Agency via
Depositphotos.com
Cillian Murphy tornerà
ufficialmente nei panni di Jim
Il regista di 28 Years
Later, Danny Boyle, ha recentemente rivelato una notizia
importante: Cillian Murphy apparirà in 28 Years Later: The Bone
Temple.
Cillian Murphy ha interpretato Jim, il protagonista di 28
Days Later, anche se il destino ambiguo del personaggio e la
sua assenza in 28 Weeks Later hanno lasciato in dubbio la
possibilità di un suo ritorno. Fortunatamente, Danny Boyle ha già
rivelato che Jim apparirà in qualche momento del secondo film,
sperando che la partecipazione di Cillian Murphy al terzo film di
28 Years Later aiuti a finanziarlo.
Un altro dettaglio importante sul
film in uscita è che 28 Years Later – The Bone Temple è già
stato girato. Il sequel e il suo predecessore sono stati girati uno
dopo l’altro, con le riprese di 28 Years Later – The Bone
Temple iniziate il 19 agosto 2024. Pertanto, i fan non
dovranno aspettare molto dopo l’uscita di 28 Years Later per
vedere il suo successore arrivare nei cinema.
28 Years Later: The Bone Temple
– Conferma
28 Years Later: The Bone
Temple è stato confermato già da tempo, dato che il regista
Danny Boyle e lo sceneggiatore Alex Garland parlavano della
trilogia 28 Years Later già prima dell’uscita del film del
2025. Ora che le riprese di 28 Years Later: The Bone Temple
sono terminate, il film è molto probabilmente in fase di
post-produzione. Trattandosi di un film di zombie di grande
successo, ci sarà probabilmente molto lavoro di montaggio e di
effetti speciali da fare per dare vita al mondo della Zona di
Isolamento Incondizionato.
È interessante notare che Danny
Boyle non sarà il regista di 28 Years Later: The Bone
Temple. Al suo posto, Candyman e The Marvels
la regista Nia DaCosta prenderà le redini da Boyle per il
secondo film, dirigendo 28 Years Later: The Bone Temple.
Sebbene non sia stato rivelato il
motivo per cui Danny Boyle non dirigerà il secondo film, alcuni
hanno ipotizzato che la causa potrebbe essere la ripresa di due
film consecutivi o la sua concentrazione sul terzo film di 28 Years
Later. Alex Garland è tornato a scrivere 28 Years Later: The Bone
Temple, mentre Danny Boyle produrrà il sequel.
Data di uscita di 28 Anni
Dopo: The Bone Temple
Il film uscirà meno di un anno
dopo 28 Years Later
Sony Pictures Releasing ha
attualmente in programma l’uscita di 28 Anni Dopo: The Bone
Temple per il16 gennaio 2026. Ciò significa
che ci sarà meno di un anno tra l’uscita di 28 Years Later e
il suo successore. Questo rapido turnaround è senza dubbio una
notizia entusiasmante per i fan, poiché
la fine di 28 Years Later li lascerà sicuramente con la
voglia di vedere ancora. Le date di ripresa consecutive sono un
fattore chiave che ha permesso a 28 Years Later: The Bone
Temple di uscire così presto, poiché il sequel non deve
aspettare la risposta al primo film né riunire nuovamente il
cast.
Purtroppo, non è stata ancora
comunicata la data di uscita del terzo film della serie 28 Years
Later. Le riprese di questo sequel non sono ancora iniziate,
essendo ancora nelle prime fasi di sviluppo. Le dichiarazioni di
Danny Boyle sul contributo di Cillian Murphy al finanziamento del
film fanno pensare che il successo dei primi due film della serie
28 Years Later potrebbe influire sull’uscita del terzo film
della trilogia.
Dettagli sul cast di 28 anni
dopo: The Bone Temple
Sono già stati annunciati diversi
membri del cast di 28 anni dopo: The Bone Temple. Aaron
Taylor-Johnson nel ruolo di Jamie, Jack O’Connell nel ruolo di Sir
Jimmy Crystal ed Emma Laird nel ruolo di Jimmima hanno tutti
confermato il loro ritorno. Anche Cillian Murphy riprenderà il
ruolo di Jim da 28 Days Later, mentre Maura Bird si unirà al
cast nel ruolo di Jimmy Jones. È possibile che altri membri del
cast di 28 Years Later: The Bone Temple vengano rivelati col
passare del tempo, poiché potrebbero essere potenziali spoiler per
28 Years Later.
28 Years Later sarà diretto
da Nia DaCosta e scritto da Alex Garland, che torna dopo il primo
film. Danny Boyle, Alex Garland, Andrew Macdonald, Peter Rice e
Bernie Bellew sono tutti indicati come produttori del film. Il
direttore della fotografia Sean Bobbitt, che ha già lavorato con
Nia DaCosta in The Marvels, è il direttore della fotografia
di 28 Years Later: The Bone Temple. Hildur Guðnadóttir, che
ha composto la colonna sonora di 28 Years Later, tornerà a
comporre la colonna sonora del sequel.
Dettagli sulla trama di 28
anni dopo: The Bone Temple
È la parte centrale di una
trilogia
Sono stati rivelati pochissimi
dettagli sulla trama di 28 Years Later: The Bone Temple. La
trama del sequel dipenderà senza dubbio dal
finale di 28 anni dopo, e ulteriori dettagli saranno
probabilmente rivelati solo dopo l’uscita del primo film. Tuttavia,
Danny Boyle ha già parlato della trama generale della trilogia.
Ecco i suoi commenti:
Alla fine si tratta di tre film,
ognuno dei quali sarà indipendente. Ma ci sarà una storia più
grande da raccontare, basata su una famiglia, e questi due
[indicando Aaron e Jodie] saranno all’origine della famiglia.
Quindi è indipendente dal primo film, ma è sempre la stessa
apocalisse di 28 anni dopo quella vissuta da Cillian Murphy nel
primo film e da Naomie Harris. Ma sono passati 28 anni e non
sappiamo cosa sia successo a loro [Jim e Selena]. Non posso
dirvelo, ma questi due sono dei sostituti più che degni.
Quindi, è chiaro che la storia di
28 anni dopo: The Bone Temple continuerà a seguire la
famiglia protagonista di 28 Years Later. La trama del sequel sarà
in qualche modo collegata a 28 Days Later, spiegando il ritorno di
Cillian Murphy nei panni di Jim. Ci sono molte speculazioni su
questa storia misteriosa e molti fan sono entusiasti di vedere il
seguito della saga del virus della rabbia in 28 anni dopo: The
Bone Temple.