Pedro Almodóvar
– Ironico, dissacrante, fantasioso, colorato,
coraggioso, critico, estroso, geniale. Sono solo alcuni degli
aggettivi che vengono in mente nel descrivere il cinema di
Pedro Almodóvar.
Negli anni ’80 ha incarnato e
magnificamente rappresentato con le sue pellicole la reazione
spagnola ai rigidi schemi della morale franchista, ipocrita e
bigotta. È stato, allora, il più dirompente talento del cinema
iberico ed è, oggi, unanimemente riconosciuto tra i maestri europei
della settima arte. Tra le sue qualità, l’estro assoluto, che gli
consente di creare mondi eccentrici, popolati da personaggi
altrettanto sopra le righe, ma perfettamente coerenti e quindi
credibili, cui il pubblico inevitabilmente si appassiona. E la
capacità di coniugare realismo e immaginazione, grazie alla quale
riesce a trattare temi anche scomodi o scabrosi, utilizzando la
chiave della fantasia con risultati di grande efficacia. Il tutto
senza dimenticare la sua vena critica, ad esempio nei confronti
della religione e della chiesa.
Il genio inconfondibile di Pedro
Almodóvar
Pedro Almodóvar
nasce a Calzada de Calatrava, nella Mancha, ma sul giorno e l’anno
non ci sono certezze. Pare che lui stesso sia sempre stato
piuttosto vago al riguardo – 24 settembre 1949, o 25 settembre
1951? Ad ogni modo, dalla terra di Don Chisciotte si allontana a
otto anni, alla volta dell’Estremadura. Qui frequenta la scuola
presso i frati Salesiani e Francescani. L’esperienza non è certo
delle migliori: è quella da cui trarrà ispirazione molti anni dopo
per il suo La mala educación, e certo ha
una responsabilità nel suo allontanamento dalla religione
cattolica, cui spesso riserverà ironia e sarcasmo nelle sue
pellicole. Nel 1968 Almodóvar lascia la famiglia e si trasferisce a
Madrid, dove fa vari lavori e vorrebbe studiare cinema, ma siamo
ancora nel periodo franchista e la dittatura comporta anche la
chiusura delle scuole di cinema. Così il nostro futuro regista
dovrà formarsi da autodidatta, e intanto cercarsi un impiego che
gli garantisca qualche guadagno. Lo trova alla Compagnia Telefonica
spagnola, dove sarà impiegato per più di dieci anni. Anche
quest’esperienza troverà un’eco nei suoi film. Basti pensare alla
presenza e al ruolo del telefono in Donne sull’orlo di una crisi di
nervi. La lunga permanenza alla compagnia telefonia, però, consente
ad Almodóvar di risparmiare il necessario per acquistare una
macchina da presa Super 8, con la quale comincia a fare le prime
prove di ripresa. Siamo negli anni ’70 e Pedro ha tutt’altro che
abbandonato la passione per cinema e teatro: partecipa ad un gruppo
teatrale, Los Galiardos, e per non farsi mancar nulla, fonda anche
il gruppo musicale Almodóvar e McNamara, e scrive racconti.
Insomma, una doppia vita, quella del nostro in questi anni: di
giorno impiegato, di sera e di notte preso a coltivare le sue
passioni artistiche. Nel frattempo, il franchismo tramonta, e
Almodovar s’inserisce a pieno titolo nella Movida: quel movimento
di cultura che segna il rifiorire della Spagna dopo il periodo
oscuro della dittatura.
Pedro Almodovar, film e filmografia
Dopo i primi cortometraggi, nel
1980 arriva l’esordio nel lungometraggio con Pepi, Luci, Bom e le
altre ragazze del mucchio. Protagonista, un’attrice che
Pedro Almodóvar porterà al successo e vorrà
spesso con lui nelle successive pellicole: Carmen Maura. Un gruppo
di donne per un esordio dissacrante, dove si affrontano temi quali:
sessualità in tutte le sue forme, violenza, perversione, disagio.
Il tutto in maniera assolutamente esplicita, puntando a stuzzicare,
scandalizzandolo, il perbenismo ancora imperante nella Spagna
dell’epoca. Una pellicola di rottura insomma, di grande coraggio
perché pone al centro temi che forse mai prima d’allora erano stati
affrontati in maniera così significativa e diretta.
Due anni dopo, è la volta di
Labirinto di passioni, commedia corale che ruota attorno al sesso.
Oltre a Cecilia Roth, altra attrice prediletta da Pedro
Almodóvar, qui ha inizio il sodalizio tra il regista e
Antonio Banderas, che deve proprio a lui la sua prima
fama. Nel 1983 lo sguardo del regista spagnolo punta invece dritto
sul mondo religioso, che egli però rivisita in chiave grottesca,
con abbondanti dosi di ironia. Esce infatti L’indiscreto fascino
del peccato, dove il regista ritrova Carmen Maura, affiancandole
Julieta Serrano e Marisa Paredes. Anche qui siamo di fronte a un
gruppo di personaggi, in particolare di donne, di suore, che nel
loro convento ne fanno di tutti i colori (sono eroinomani, scrivono
riviste porno ecc…). Un universo grottesco, proprio perché
Pedro Almodóvar rende il convento un
coacervo di vizi, mostrando, in maniera volutamente esagerata, cosa
può celarsi dietro un’apparenza di rettitudine e rigore. Gioca a
frastornare lo spettatore, a scardinare le sue convinzioni e
princìpi, a divertirlo facendo accadere l’improbabile. Nell’84 sarà
ancora Carmen Maura, nei panni della casalinga Gloria, la
protagonista di Che ho fatto io per meritare questo? dove il
regista va ancora alla ricerca di ciò che si cela dietro alle
apparenze di un tranquillo nucleo familiare. Tre anni dopo, il film
che farà conoscere il regista spagnolo anche nel nostro paese: La
legge del desiderio. Omosessualità, incesto, omicidio, molta ironia
e gusto kitsch sono gli ingredienti di questa commedia, che ancora
una volta, come quasi sempre nel cinema di Almodóvar, non può
prescindere dal raccontare dinamiche di gruppo. In questi anni, il
regista spagnolo fonda assieme al fratello Agustín una casa di
produzione cinematografica: El Deseo, con la quale produrrà tutte
le pellicole successive. Il passo, a quanto pare, è fondamentale,
visto che nel 1988 esce il film che lo farà conoscere e apprezzare
a livello internazionale: Donne sull’orlo di una crisi di nervi.
Commedia sofisticata, come l’ha definita lo stesso autore, dove
tutto appare straordinariamente a posto: ambienti, costumi, tutto
esteticamente perfetto e appagante, il che mette ancor più in
evidenza ciò che invece non va.
Il “dramma” infatti, è che gli
uomini continuano a lasciare le donne, come accade alla
protagonista Pepa/Carmen Maura ed anche, attraverso gli intrecci
tipici della commedia, ad altre donne che animano il gruppo al
centro del film. Pepa viene lasciata da Ivan nel più sgradevole dei
modi: con un messaggio lasciato sulla segreteria telefonica. Tenta
di parlare con lui più volte, per sfogare la sua rabbia, ma si
scontra sempre con la solita segreteria. Ivan è l’insensibile
dispensatore di sofferenza, ma è anche un uomo solo, incapace di
una vera relazione e di un confronto adulto. Tanto altro però
accade a Pepa in questa commedia dai ritmi serrati: si vede
arrivare a casa un giovane (Carlos/Antonio
Banderas) – che poi scoprirà essere il figlio del suo
amante – con la fidanzata (Marisa/Rossy De Palma) interessati ad
affittare il suo appartamento. Ma arriverà anche la stravagante
amica di Pepa, Candela/María Barranco, convinta che la polizia sia
sulle sue tracce. Un universo prevalentemente femminile raccontato
nelle sue debolezze e fragilità, ma anche evidenziandone tenacia e
voglia di reagire, senza nascondere una rabbia che, opportunamente
diretta – anche contro gli apparecchi telefonici, come s’è detto –
finisce per essere innocua, ma liberatoria. In Italia il film
ottiene ampi consensi e premi: David di
Donatello come Miglior Film straniero, Ciack d’Oro a
Carmen Maura e Osella per la Miglior Sceneggiatura
a Venezia.
L’anno successivo è la volta di
Lègami!, in cui Pedro Almodóvar sceglie
Antonio Banderas come protagonista, accanto a
Victoria Abril, per indagare diversità e normalità, mettendo in
discussione le certezze di chi guarda. Lo fa però in modo meno
dissacrante e scabroso di quanto si potrebbe prevedere.
Antonio Banderas è un ragazzotto che esce da un
ospedale psichiatrico e decide di sequestrare in casa una
pornostar, legandola al letto, per costringerla a conoscerlo,
amarlo e infine sposarlo. Da una premessa eccentrica si dipana una
trama incentrata sul rapporto complesso tra i due protagonisti.
Ritmo veloce e coinvolgente, humour, ironia, quel tocco visionario
e surreale che non guasta ed è ormai cifra distintiva del regista
spagnolo. Anche il giovane Banderas è ormai lanciatissimo nel
panorama internazionale. Una curiosità: Pedro
Almodóvar ha dichiarato in un’intervista che fu proprio la
visione di questa pellicola a convincerla a intraprendere la strada
del cinema. Il cammino artistico dell’attrice sotto la guida del
regista spagnolo sarà poi lungo e fruttuoso.
Gli anni ’90 si aprono
per Pedro Almodóvar all’insegna di un’altra
commedia corale: Tacchi a spillo. Due donne, madre e figlia (Marisa
Paredes e Victoria Abril). Un uomo: ex amante della prima e marito
della seconda, assassinato. La moglie che si autoaccusa e un
giudice (Miguel Bosé) che indaga. Sembrerebbe un poliziesco, invece
il modo di trattare la materia tipico del regista spagnolo, la
rende una commedia che gravita attorno ai suoi personaggi
femminili, coloratissima, strampalata, amorale, come tanta parte
del cinema di Pedro Almodóvar.
Negli anni a seguire, il regista
continuerà a scegliere le sue attrici predilette (Paredes, Abril,
De Palma). Ma nel ’97 cambia registro, sia per quel che riguarda il
tipo di film, sia, quasi del tutto, per il cast che sceglie.
Protagonista di Carne tremula è infatti, accanto a
Javier Bardem e Liberto Rabal, Francesca Neri,
che per la sua interpretazione di Elena si aggiudica il Nastro
d’Argento. Lo stesso premio otterrà il film come miglior pellicola
straniera. Dicevamo un Almodovar diverso, con meno eccessi, che qui
si muove nel registro del dramma, con una storia di destini
incrociati e vite irrisolte. E non disdegna neppure il tema
politico – il film è ambientato a Madrid e fotografa gli ultimi
anni dell’era Franco e il passaggio al post franchismo.
Il trionfo di Tutto su mia madre
A fine anni ’90 e con
l’inizio del nuovo millennio, il regista spagnolo mette a punto e
perfeziona uno stile maturo, in cui affianca al racconto di
un’umanità variopinta ed eccentrica, accenti di grande delicatezza.
Non punta più tanto, o non solo, a sconvolgere e scandalizzare,
quanto a far emergere la parte più delicata e fragile dei suoi
personaggi, come sempre in massima parte femminili. Ed è questo
nuovo tocco delicato e appassionato al tempo stesso, a regalargli
la maggior notorietà e una miriade di riconoscimenti
internazionali, tra cui l’ambitissima statuetta dell’Academy. Esce
infatti nel 1999 uno dei suoi capolavori: Tutto su mia
madre. Il regista sceglie ancora due tra le sue attrici
feticcio: Marisa Paredes e Cecilia Roth, alle quali affianca la
giovane promessa
Penelope Cruz, per raccontare una storia dove
riconosciamo i consueti ingredienti del cinema almodóvariano: il
tradimento, donne che fanno fronte da sole alla vita, ambiguità
sessuale, scardinamento dei pilastri della morale tradizionale. Qui
però a prevalere non è l’atmosfera comico-grottesca dei primi
lavori del regista. C’è il dolore per una perdita (quella vissuta
da Cecilia Roth/Manuela, il cui figlio diciassettenne Esteban muore
investito da un’auto), la depressione e il senso di colpa di una
famosa attrice solitaria (Marisa Paredes/Huma Rojo, la cui auto ha
investito Esteban), la bislacca, ma toccante storia d’amore e
dolore tra una giovane suora (Penelope
Cruz/Rosa) e l’ex marito di Manuela, il transessuale
Lola. Non mancano poi i colori accesi prediletti da Pedro
Almodóvar, nella luce di Barcellona, cornice esteticamente
perfetta. Interpretazioni impeccabili, sceneggiatura che funziona a
meraviglia e successo assicurato: la pellicola ottiene l’Oscar e il
Golden Globe come Miglior Film straniero e la Palma d’Oro a
Cannes per la Miglior Regia, consacrando
definitivamente Pedro
Almodóvar nell’olimpo delle star.
Due anni dopo, il successo è
bissato da Parla con lei. Anche qui amore
e dolore, disagio, malattia, tutto raccontato con sublime grazia e
un geniale ricorso al surreale al momento opportuno. Non un gruppo
di protagonisti, ma due uomini e due donne, in situazioni omologhe,
e un intreccio di cui il regista tiene abilmente le fila. Oscar per
la sceneggiatura e Golden Globe come Miglior Film Straniero.
Nel 2004 il regista spagnolo
attinge al proprio passato, e in particolare alla dolorosa
esperienza educativa in collegio, in cui fu testimone di abusi.
Parte da qui La mala educación.
Protagonisti due ex compagni di collegio (Gael
García Bernal/Ignacio e Fele Martinez/Enrique), uno
attore, l’altro regista, che si ritrovano dopo anni con l’idea di
mettere su uno spettacolo su una sceneggiatura che rievoca proprio
i tristi fatti dell’infanzia scolastica, quando Ignacio era vittima
delle morbose attenzioni di Padre Manolo. Segue un intreccio
complicato, che vedrà compiersi il destino di queste due vite
segnate per sempre, in modo indelebile, dall’esperienza
infantile.

Due anni dopo arriva
Volver, in cui Pedro
Almodóvar torna a un suo classico, rielaborandolo in
maniera egregia. Tragicommedia che gravita attorno a un gruppo di
donne, e alla loro incrollabile forza, con la quale affrontano e
superano i momenti bui della vita. Trionfo della figura femminile,
cui rende omaggio innanzitutto col personaggio di Raimunda,
splendidamente incarnato dalla
Penelope Cruz, ma anche ritrovando Carmen
Maura. Ancora incetta di premi: Palma d’Oro a Cannes per tutte le
protagoniste femminili, Nastro d’Argento come Miglior Film europeo.
Torna poi a scegliere la Cruz anche per Gli abbracci spezzati
(2009), che però non ottiene lo stesso riscontro della precedente
pellicola.
E siamo a questi giorni, a
quest’ultimo mese, che ha visto il regista spagnolo presentare al
Festival del Cinema di Venezia la sua ultima fatica:
La pelle che abito, in cui ritrova
Antonio Banderas dopo dodici anni e cambia genere,
virando su un dramma che sa di thriller psicologico. Fa
interpretare all’attore un chirurgo plastico che cerca
contemporaneamente di vendicarsi e riportare in vita, almeno in
apparenza, l’amata moglie. Il regista stesso, nel presentare il
film alla stampa romana ne ha ribadito i temi centrali: l’abuso di
potere, l’istinto di sopravvivenza e l’identità, che nessuno ci può
togliere. Il film è nelle sale dal 23 settembre.
Pedro Almodovar: frasi
- Trovo molto attraente Gael García Bernal sia come uomo che come
donna.
- Penélope Cruz appartiene alla scuola di recitazione
mediterranea, uno stile caratterizzato da carnalità, sfrontatezza,
mancanza di inibizioni, capelli scompigliati, una scollatura
generosa e un modo assai vociante di comunicare. Anna Magnani,
Sophia Loren, Claudia Cardinale, la Silvana Mangano dei primi anni,
persino Elizabeth Taylor e Rachel Weisz furono maestre di questo
stile.
- Penélope è capace di tutto, è diventata una donna eterna e
senza età. Le inquadrature iniziali di Carne tremula sono state
concepite apposta per lei. La sequenza dura otto minuti e lo
spettatore ne trae l’impressione che si tratti di una protagonista
del film, anche se poi non ricompare più.