Home Blog Pagina 61

Taxi Driver, la spiegazione del finale e di cosa accade a Travis

Taxi Driver, la spiegazione del finale e di cosa accade a Travis

Il 1976 è stato un anno fondamentale per il cinema. Gli spettatori hanno potuto assistere a classici istantanei come Rocky, Carrie – Lo sguardo di Satana e Tutti gli uomini del presidente. Ma il film più sconvolgente e controverso di quell’anno è indubbiamente Taxi Driver (qui la recensione). Diretto da Martin Scorsese, questo cupo racconto di alienazione, tentati omicidi e malattie mentali vinse la Palma d’Oro a Cannes, ottenne diverse nomination agli Oscar ed è stato ampiamente acclamato come uno dei migliori film di tutti i tempi.

Ma se Taxi Driver è un capolavoro del cinema, rilevante oggi come lo era quasi 50 anni fa, il finale del film ha suscitato – e continua a suscitare – un certo dibattito. Nei momenti finali del film, il protagonista (interpretato da Robert De Niro) entra in uno squallido hotel e dà vita ad una terribile sparatoria. Quel che accade da qui in poi è ancora oggi oggetto di discussione. Numerose teorie sono emerse nel corso dei decenni riguardo al significato delle ultime scene del film, ideate come volutamente ambigue da Scorsese per sottolineare la complessa natura dell’inquietante protagonista.

Travis Bickle, l’uomo solitario di Dio

Interpretato alla perfezione da Robert De Niro, Travis Bickle è uno dei personaggi più iconici del cinema. Indossa la giacca verde dell’esercito, ha l’abitudine di fare domande retoriche e da un certo punto in poi sfoggia un’intimidatoria cresta mohawk. Più di tutto, però, colpisce la follia nei suoi occhi. Veterano della guerra del Vietnam che vive nella New York degli anni ’70, Bickle ha problemi a reinserirsi nella socità e a dormire la notte, così trova lavoro come autista di taxi. Trascorre ore e ore all’interno dell’auto, girando su e giù per le strade di Manhattan, osservando i papponi, gli afroamericani, i pusher e le prostitute e sognando una pioggia che li spazzi via tutti.

A parte alcuni colleghi tassisti, Bickle è completamente isolato dal mondo. Il suo unico vero compagno è il diario in cui condivide i suoi pensieri sempre più deliranti. E Bickle ha molto da dire sul mondo: scrive della sua solitudine, del suo disprezzo per l’umanità e ci rendiamo subito conto che ha dei grossi problemi di salute mentale. Ogni giorno e ogni notte, la sua presa sulla realtà diventa sempre più debole, la sua rabbia continua a ribollire e a ribollire (come la pastiglia effervescente che vediamo ad un certo punto), fino al momento in cui dovrà esplodere.

Travis Bickle è quindi fortemente antisociale. Sia che prenda pillole nel suo appartamento o che guardi il mondo attraverso il parabrezza, è sempre solo. Non ha legami con nessuno, almeno fino quando non incontra Betsy (Cybill Shepherd), che per Travis è pura e perfetta. Alla fine decide di chiederle di uscire, così entra nel suo posto di lavoro – lei è consulente per la campagna elettorale del senatore Charles Palantine (Leonard Harris), un uomo che ha intenzione di conquistare la Casa Bianca – e fa una solida prima impressione. Betsy è colpita, trovando Travis misterioso e affascinante, ma quando il tassista la porta fuori, capisce subito di aver fatto un grosso errore.

Al loro primo appuntamento ufficiale, Travis porta Betsy in un cinema a luci rosse, provocando la fuga di lei, che se ne va dicendo a Travis che la loro breve relazione è definitivamente finita. Naturalmente Travis non prende bene la notizia. Si precipita nel suo ufficio, minaccia il suo collega con alcune mosse di karate e urla che Betsy è “proprio come gli altri”, la feccia della società che Travis odia tanto. Sentendosi tradito e disprezzato, la rabbia di Travis inizia a diventare ancora più incontenibile. E ora che è stato respinto, il tassista inizia a percorrere un oscuro cammino di vendetta.

Il marito, il trafficante di armi e il ladro

Dopo l’incidente con Betsy, Travis incontra rapidamente tre persone che cambieranno la sua vita per sempre. Il primo è un uomo inquieto, sboccato, con le sopracciglia folte e un brutto carattere (interpretato dal regista Martin Scorsese in uno dei suoi cameo più celebri). Sale sul retro del taxi di Travis e lo fa guidare fino a uno squallido complesso di appartamenti dove può spiare sua moglie. Si scopre che la donna ha una relazione e il marito, geloso, inizia a farneticare su come la farà fuori con una 44 Magnum. Travis è già alle prese con pensieri pericolosi, e imbattersi in questo aspirante assassino non aiuta di certo.

Ispirato dal monologo misogino dell’uomo, Travis si incontra con un trafficante d’armi di nome Weasley (Steven Price) e non a caso acquista una 44 Magnum. Naturalmente, quella pistola mostruosa non è l’unica arma con cui Travis se ne va: acquista quattro armi da fuoco ed è chiaro che sta progettando qualcosa di grosso e sanguinoso. Ma parlare e camminare sono due cose molto diverse. E sì, Travis è un veterano chiaramente segnato (sia fisicamente che mentalmente), ma trovarsi faccia a faccia con il proprio bersaglio e premere il grilletto è molto diverso dallo sparare a un soldato nemico da lontano.

Travis può quindi avere la stoffa per un omicidio a sangue freddo? Evidentemente sì e ne abbiamo una prima prova quando Travis sta facendo la spesa in un minimarket. In quel momento un ladro si avvicina alla cassa e chiede tutti i soldi. Senza esitare, Travis estrae una pistola, la punta alla testa del ladro e gli fa esplodere il cervello su tutto il bancone. È il primo gesto di violenza che dimostra come Travis stia per esplodere e che indubbiamente ci saranno altri omicidi.

L’importanza di Iris

Travis Bickle ha dei seri problemi quando si tratta di donne e odia assolutamente le lavoratrici del sesso che vede per strada. Tuttavia, la pensa diversamente su Iris “Easy” Steensma (Jodie Foster), una prostituta che continua a scorgere durante i suoi giri notturni in città. In breve, decide dunque di diventare il suo angelo custode. Ma cosa la rende diversa dalle altre prostitute? Iris ha solo 12 anni e mezzo. Quando Irish si presenta per la prima volta, salta sul retro del taxi di Travis e lo implora di andarsene prima di essere trascinata via dal suo protettore Matthew, alias Sport (Harvey Keitel).

Dopo aver litigato con Betsy, Travis cerca quindi Iris e la incoraggia a lasciarsi alle spalle la sua vita notturna. Ma la giovane sostiene di essere stata strafatta la sera in cui è salita sul suo taxi. Ma ora che è pulita, sembra che sia confusa su ciò che vuole: una parte di lei vuole restare e una parte vuole tornare dai suoi genitori. Verso la fine del film, quindi, Travis riempie una busta di denaro per Iris, in modo che possa fuggire dalla Grande Mela. Sfortunatamente, Sport la tiene in pugno e non la lascerà andare tanto presto. Inutile dire che Travis pensa che Sport sia un degenerato, ma i suoi motivi per aiutare Iris non sono poi tanto equilibrati.

Se da un lato è preoccupato per il suo benessere, dall’altro si vede come un giusto cavaliere bianco incaricato di ripulire la città. E ogni volta che interagisce con Iris, non fa altro che rafforzare la sua immagine di supereroe in carne e ossa, un’idea che spingerà Travis su una strada intrisa di sangue. L’incontro con Iris e la dimostrazione di come ciò che è puro venga corrotto e trattenuto nella corruzione dalle incarnazioni di una società depravata è quindi la goccia che fa traboccare il vaso. Travis raccoglie le sue pistole, si attacca un coltello allo stivale e si rade la testa. Sfoggiando un mohawk e la sua giacca verde dell’esercito, Travis è ora pronto a ripulire il mondo.

L’assassinio del senatore Palantine

Travis intende farsi notare uccidendo il senatore Charles Palantine, il capo di Betsy e l’uomo in corsa per la nomination presidenziale. Il senatore sta tenendo un comizio nelle vicinanze e Travis intende dargli un appoggio fatto di piombo. Sa che a sua volta non sopravviverà a quell’attentato e gli va bene così. Ha scritto una lettera d’addio ai suoi genitori, ha lasciato dei soldi a Iris e ora se ne va in un tripudio di gloria mentre Betsy lo guarda, seduta a pochi posti di distanza da Palantine. Scegliere il capo di Betsy come bersaglio non è assolutamente una coincidenza.

Palantine è per lui l’incarnazione dell’ipocrisia. Era convinto che quel politico potesse effettivamente ripulire la città, ma si è infine reso conto che è solo l’ennesimo prodotto della degerazione che in essa imperversa. Tuttavia, mentre Travis si dirige verso il senatore, viene individuato da un agente dei servizi segreti. Capendo che il piano è saltato, Travis si dà alla fuga, lasciandosi alle spalle la manifestazione. Tuttavia, non ha passato settimane a prepararsi fisicamente e mentalmente e ad esercitarsi al poligono di tiro per niente. Se non può uccidere un politico, troverà un’altra vittima. Senza pensarci due volte, nella sua mente si materializza l’immagine di Sport, il pappone che tiene prigioniera Iris.

Cosa succede durante la sparatoria?

Giunto a destinazione, Travis individua Sport e gli spara a bruciapelo. A quel punto sale nel motel dove Iris e le altre ragazze del pappone svolgono la loro attività e da vita ad una carneficina, uccidendo tutti gli uomini presenti. Quando infine Sport, non ancora morto, spara a sorpresa al collo di Travis, il vigilante seppur ferito svuota un’intera pistola nel corpo del pappone. E quando il boss mafioso di Sport spara un colpo alla spalla di Travis, il tassista estrae una pistola nascosta e spedisce all’inferno anche lui.

Iris èassiste a tutto questo, urlando e piangendo e implorando Travis di fermarsi. Con quasi tutti morti, Travis si prepara ad uscire mettendosi una pistola sotto il mento. Ma quando fa per sparare, si sente solo un clic. Travis ha finito i proiettili. Il cruento scontro a fuoco termina finalmente quando i poliziotti arrivano e trovano Travis, intriso di sangue e sorridente. Il tassista si porta a quel punto le dita alla testa e mima il suicidio, e a quel punto la telecamera si sposta fuori dalla stanza, mostrandoci la carneficina che ha compiuto.

Dopo la sparatoria, il film fa un salto in avanti nel tempo e ci mostra l’appartamento di Travis. La sua parete è ricoperta di ritagli di giornale con titoli che recitano “autista di taxi combatte i gangster” e “autista di taxi diventa eroe”. Mentre la telecamera attraversa la stanza, sentiamo la voce fuori campo del padre di Iris che legge una lettera a Travis e ringrazia l’uomo per aver salvato sua figlia, che è ora tornata a casa. Travis è quindi diventato un eroe, la gente lo vede come l’uomo che ha combattuto la mafia e salvato una bambina. Nessuno sa che prima aveva tentato di uccidere Palantine, cosa che lo avrebbe reso solo un pazzo omicida.

Travis è vivo o morto nel finale di Taxi Driver?

Arriviamo ora alla parte controversa. Cosa succede nel finale? Dal momento in cui Travis Bickle mima il suicidio con le sue dita insanguinate al momento in cui scorrono i titoli di coda, le cose diventano incredibilmente strane. Alcuni fan di Taxi Driver sospettano che Travis muoia nella sparatoria finale con i gangster e che gli ultimi minuti – quando Travis diventa un eroe, Iris rinuncia alla vita di strada e Betsy ci riprova con lui – siano solo una sua fantasia mentre muore.  Alcuni teorizzano che l’inquadratura dall’alto del corpo di Travis intriso di sangue suggerisca che il tassista è morto, come se la sua anima fosse salita al di sopra del mondo e noi avessimo una visione divina delle cose.

I sostenitori della teoria “Travis è morto” ritengono infatti che gli ultimi momenti siano troppo perfetti e che sia esattamente il tipo di finale che uno psicopatico come Travis potrebbe sognare per se stesso. Ma sebbene sia del tutto normale pensare che Travis Bickle muoia alla fine di Taxi Driver, ci sono invece tre persone che non sono affatto d’accordo con questa interpretazione: il regista Martin Scorsese, l’attore Robert De Niro e lo sceneggiatore Paul Schrader. Proprio quest’ultimo ha ribadito la sua convinzione che Travis sia sopravvissuto alla sparatoria, dicendo: “Molte persone hanno attribuito il finale di Taxi Driver a una fantasia. Non ho problemi con quel finale, ma non è quello che intendevo”.

 

La critica alla cultura americana

Se Travis è sopravvissuto alla fine di Taxi Driver ed è diventato davvero un eroe, cosa significa per il film? In una traccia di commento, lo sceneggiatore Paul Schrader ha raccontato di essersi ispirato all’aspirante assassina Sara Jane Moore, una donna che ha sparato a Gerald Ford. Dopo il suo fallito tentativo di omicidio, il volto della Moore finì sulla copertina di Newsweek e questo lasciò Schrader perplesso. Perché la rivista la trattava come una star del cinema? Confuso e frustrato, decise di inserire questo aspetto nella sceneggiatura e di far sì che i media trasformassero Travis Bickle in un eroe.

In breve, il finale di Taxi Driver è un’accusa alla cultura americana che idolatra i cattivi. Basti pensare a come in seguito al film Ted Bundy – Fascino criminale, il serial killer Ted Bundy sia balzato agli onori della cronaca perché in molti lo definivano “sexy”, o ancora al caso di Luigi Mangione, idolatrato per avver ucciso un imprenditore. Schrader non ha quindi tutti i torti, e Taxi Driver è quindi un grande atto d’accusa nei confronti della cultura pop americana. Certo, se Travis avesse ucciso Palantine, la gente lo avrebbe trattato in modo molto diverso, ma dato che ha massacrato dei cattivi, allora viene indicato come un buono.

Che si pensi che Travis viva o muoia alla fine di Taxi Driver, entrambi i finali sono quindi piuttosto tristi. O ha ucciso un mucchio di persone prima di morire in un bordello, o ha ingannato la giustizia ed è stato reso una leggenda da una cultura che venera la violenza. Ma è lecito pensare che, se Travis Bickle è sopravvissuto a quella sparatoria, potrebbe colpire ancora. Negli ultimi secondi del film, infatti, dopo aver lasciato Betsy, Travis si allontana con il suo taxi, accompagnato dalla colonna sonora jazz di Bernard Herrmann. Ma è in quel momento che Travis inizia a diventare molto nervoso. Lancia uno strano sguardo allo specchietto retrovisore, proprio mentre la colonna sonora emette una nota acuta e inquietante.

È un momento molto cupo e Scorese lo ha inserito per un motivo. Come ha spiegato il regista, “ho deciso di inserire qualcosa [nel finale] che mostrasse che il timer di Travis inizia a ticchettare di nuovo, la bomba che sta per esplodere di nuovo”. In altre parole, è meglio che Betsy e chiunque altro gli stia alla larga. È meglio che tutti evitino questo taxi. È meglio che la gente scappi quando vede arrivare il tassista. Travis Bickle non è un eroe e non è guarito. Prima o poi esploderà di nuovo e quando lo farà, probabilmente sarà ancora più sanguinoso di prima, perfetta dimostrazione della società che lo alimenta.

Quando la vita ti dà mandarini: la spiegazione del finale

Quando la vita ti dà mandarini: la spiegazione del finale

Nel corso delle sue 16 puntate, Quando la vita ti dà mandarini (When Life Gives You Tangerines) riesce in qualche modo a raccontare una storia intergenerazionale che abbraccia diversi decenni, concedendo al contempo anche ai momenti più piccoli tutto lo spazio necessario per respirare e avere un impatto maggiore. Tuttavia, nonostante sia fondamentalmente un dramma che ritrae spaccati di vita quotidiana, la serie non perde mai di vista il suo cuore e la sua anima, che sono sempre stati la coppia protagonista, Ae-sun e Gwan-sik.

Con la conclusione agrodolce dei suoi quattro volumi, When Life Gives You Tangerines garantisce una chiusura ai personaggi amati che hanno popolato la serie. E proprio come nella vita reale, anche i momenti finali sono ricchi di alti e bassi, accompagnati da felicità e tristezza.

Spoiler importanti su Quando la vita ti dà mandarini (When Life Gives You Tangerines) di seguito.

Come finisce Quando la vita ti dà mandarini (When Life Gives You Tangerines)?

L’ultimo volume di Quando la vita ti dà mandarini (When Life Gives You Tangerines) continua a mostrare le prove e le tribolazioni che Ae-sun e Gwan-sik devono continuare a sopportare, anche se stanno invecchiando e hanno relativamente meno energia per affrontare i loro problemi. Partendo dal matrimonio di Geum-myeong e Chung-seop, la serie fa un viaggio indietro nel tempo per mostrare come i due sono finiti insieme grazie a un periodo difficile per il primo.

A causa della crisi economica che ha colpito la Corea del Sud nel 1997, la vita di Geum-myeong diventa sempre più difficile: viene licenziata, continua a ricevere rifiuti dai colloqui di lavoro e non ha una direzione chiara per la sua carriera.

Questo la porta al teatro dove lavorava in passato, dove incontra il suo ex collega e artista Chung-seop, che fa la prima mossa e i due si ritrovano dopo tanto tempo, finendo per innamorarsi e sposarsi l’anno successivo.

Durante questo periodo, Geum-myeong presenta Chung-seop ai suoi genitori, Ae-sun e Gwan-sik, che potrebbero mostrare di non essere troppo entusiasti della scelta, ma che in fondo sanno che lui è la persona migliore per la loro figlia.

Ma mentre sembra che Ae-sun e Gwan-sik stiano finalmente ottenendo la felicità che meritano grazie al matrimonio della figlia, il loro figlio, Eun-myeong, viene arrestato e incarcerato subito dopo per frode commerciale, aggiungendo un’altra situazione sfortunata alla vita dei suoi genitori.

Avendo già perso un figlio in un terribile incidente in passato, Gwan-sik decide di sacrificare l’unica cosa che è stata la principale fonte di sostentamento economico della famiglia per decenni: la sua barca da pesca.

Eun-myeong, che ora è padre a sua volta, finalmente capisce che i suoi genitori gli volevano bene tanto quanto a sua sorella, sentendosi in colpa per il sacrificio che Gwan-sik ha dovuto fare per risolvere i problemi di suo figlio.

Tuttavia, questo non è l’unico shock che Ae-sun e Gwan-sik devono affrontare, poiché, nonostante non siano in una situazione finanziaria ottimale, possono ancora contare su Geum-myeong, che grazie alle sue qualifiche e al suo lavoro funge da sostegno per la famiglia. Ma quando un giorno lei si presenta e rivela di aver lasciato il lavoro per avviare un’attività in proprio, i suoi genitori si preoccupano moltissimo, considerando che l’unica fonte di reddito stabile della famiglia sta per scomparire.

Il peschereccio non è l’unico sacrificio che Gwan-sik fa negli ultimi quattro episodi di Quando la vita ti dà mandarini , poiché finisce anche per vendere il suo campo di cavoli per investire in un ristorante nella speranza di cambiare le cose per sua moglie.

Purtroppo, quell’investimento non dà i risultati sperati, poiché nessuno frequenta il ristorante, lasciando la famiglia in condizioni ancora più difficili di prima e costringendo Geum-myeong a chiedere un prestito e a confessare il peso che la pressione dei suoi genitori ha avuto su di lei per tutta la vita. Ciò provoca un acceso scambio tra Geum-myeong e Ae-sun, durante il quale Gwan-sik deve intervenire per evitare che la situazione degeneri.

Dopo qualche tempo, Geum-myeong affronta un parto estremamente difficile e pericoloso, dando alla luce Bom e diventando madre a sua volta, dopodiché anche la sua attività di studio online, ispirata dalla mancanza di opportunità di Ae-sun, inizia ad avere successo.

E tutto questo serve da conclusione per Geum-myeong, che ottiene tutto ciò che desiderava, accanto a una persona come Chung-seop, che la ama più della vita stessa. Ma durante questo periodo, sono Ae-sun e Gwan-sik che hanno ancora molto da affrontare, con il ristorante che hanno comprato che è la loro principale preoccupazione per ora.

Dopo aver trascorso tutta la vita cercando di trarre il meglio da qualsiasi circostanza, Ae-sun e Gwan-sik iniziano a offrire un servizio di consegna di cibo estremamente veloce, costruendosi una clientela che inizia a mostrare interesse anche per il ristorante.

Inoltre, la gentilezza di Gwan-sik non si limita solo alla sua famiglia, poiché si scopre che una volta ha aiutato e salvato qualcuno che ora è una celebrità e, dopo una sponsorizzazione, il ristorante diventa un successo ancora più grande. Purtroppo, la vita ha in serbo altre difficoltà per la coppia, poiché a Gwan-sik viene diagnosticato un cancro. Per fortuna, prima di morire, riesce a vedere sua moglie realizzare il sogno di una vita, quello di diventare poetessa, quando Ae-sun finalmente riesce a pubblicare una delle sue poesie.

Questo rappresenta una conclusione necessaria per Gwan-sik, che ha dedicato tutta la sua vita ad Ae-sun e a garantire alla sua famiglia tutto ciò di cui aveva bisogno, indipendentemente da quanto lavoro dovesse fare per ottenerlo.

Dopo la morte di Gwan-sik, Ae-sun continua a scrivere poesie sul suo quaderno e, dopo vent’anni, Geum-myeong invia il suo lavoro a un editore per assicurarsi che la storia dei suoi genitori venga riconosciuta dal grande pubblico, poiché è davvero una storia di amore incondizionato e sacrificio. A chiudere il cerchio, l’editore assomiglia esattamente alla madre di Ae-sun, morta quando lei era ancora bambina, a dimostrazione che, sebbene Jeon Gwang-rye non abbia mai potuto vedere sua figlia realizzare i propri sogni, probabilmente la sta guardando dall’alto ed è orgogliosa di ciò che ha realizzato nella sua vita.

Quel libro di poesie pubblicato è l’ultimo traguardo che Ae-sun ha sempre voluto raggiungere, e raggiungerlo segna una meravigliosa conclusione per qualcuno che ha vissuto tutta la sua vita senza molti lussi o opportunità di base.

Ecco perché il finale di Quando la vita ti dà mandarini è perfetto, poiché offre una conclusione a ciascun membro della famiglia principale in modo naturale e meritato.

Gwan-sik finalmente riesce a vedere sua moglie veramente felice, Ae-sun diventa una poetessa nonostante le circostanze, Geum-myeong diventa un imprenditore di successo e trova il vero amore come i suoi genitori, ed Eun-myeong cambia vita correggendo i propri errori e lavorando per l’azienda della sorella.

Grazie alla pura perseveranza, all’amore e al sostegno reciproco, Gwan-sik e Ae-sun non si sono mai arresi di fronte alle difficoltà della vita e hanno continuato ad andare avanti, costruendo qualcosa di cui poter essere veramente orgogliosi.

Bloodshot: la spiegazione del finale del film con Vin Diesel

Bloodshot: la spiegazione del finale del film con Vin Diesel

Bloodshot della Sony è l’adattamento cinematografico dell’omonimo fumetto della Valiant Comics con Vin Diesel nel ruolo di Ray Garrison, un soldato americano che muore in circostanze misteriose durante la sua carriera militare e viene poi resuscitato dalla Rising Spirit Technologies. L’azienda biomedica è specializzata nella guerra e produce super soldati da mettere in vendita. Ray viene quindi trasformato in un killer quasi immortale grazie a una tecnologia nanitica unica nel suo genere.

Diventa così in grado di rigenerare parti del corpo, guarire istantaneamente dalle ferite da arma da fuoco ed è dotato di forza, velocità e agilità sovrumane, che lo rendono praticamente un esercito a sé stante. Tuttavia, nel finale Ray si rivolta contro i suoi superiori alla Rising Spirit dopo aver capito che lo stavano trasformando in un’arma per motivi sbagliati. In questo approfondimento, andiamo ad esplorare proprio la natura ambigua del finale.

La libertà di Ray Garrison

Nel corso del film Ray uccide le persone che pensava avessero ucciso sua moglie, ma si è trattato solo di una simulazione orchestrata dal capo della Rising Spirit, il dottor Emil Harting (Guy Pearce). Quest’ultimo ha ingannato Ray spingendolo ad uccidere i suoi ex colleghi e manipolandone la mente con falsi ricordi. Alla fine, il corpo di Ray viene temporaneamente liberato grazie all’hacker Wilfred Wigans (Lamorne Morris), durante una missione fallita, ma il veterano di guerra viene catturato dai teppisti di Emil dopo una rissa di strada.

Bloodshot trama film
Guy Pearce e Vin Diesel in Bloodshot. © 2020 CTMG, Inc. All Rights Reserved. 

Viene quindi messo in ghiaccio e destinato alla dismissione, mentre la sua “babysitter” KT (Eiza González) viene mandata a cercare Wilfred, poiché potrebbe mandare all’aria i piani di Emil di entrare nel mercato. KT si reca in Inghilterra, elimina gli scagnozzi di Wilfred e mette fuori combattimento il genio, ma quando torna alla base, ha sviluppato una coscienza e vuole liberare Ray, dispiaciuta per le torture che ha subito. KT, quindi, mente e dice che Wilfred è scappato, mentre il genio è in realtà nascosto nel loro complesso europeo, dove sta hackerando il processo di disattivazione.

Libera così Ray e, con l’aiuto di KT, impediscono la cancellazione della sua memoria, permettendogli di dare la caccia a Emil. KT incendia poi i server per bruciare tutti i dati, mentre Wilfred si assicura che i naniti di Ray rimangano liberi dalla manomissione di Rising Spirit. Sfortunatamente, il processo ha lasciato Ray con un disperato bisogno di ricarica, cosa che non è in grado di ottenere. Riesce però a combattere contro Jimmy Dalton (Sam Heughan), un soldato amareggiato che ha protesi meccaniche, e Tibbs (Alex Hernandez), e quando li uccide entrambi, si dirige verso Emil, che sta cercando di fuggire dai detriti che cadono dall’edificio.

Mentre affronta Emil, il super soldato inizia però a indebolirsi al tre per cento. Emil colpisce quindi Ray con un paio di bombe speciali, avvertendolo che una volta arrivato a zero, sarà finita. Anche Wilfred è in preda al panico perché non crede di poter ricaricare i naniti morti, ma Ray procede nella lotta, incassando i colpi prima che Emil, che ha una potente mano robotica dopo aver perso il braccio a causa del cancro, strangoli il soldato. Ray, che fatica a respirare, ha però un ultimo asso nella manica e lancia una granata, facendo saltare in aria entrambi.

Bloodshot sequel
Eiza González in Bloodshot. © 2020 CTMG, Inc. All Rights Reserved.

La spiegazione del finale

La sequenza finale, però, rivela che Ray non è morto, poiché KT ha salvato il suo corpo quando si è ricomposto in un ultimo disperato tentativo di sopravvivere. Lei e Wilfred lo hanno tenuto in vita, curandolo e modificando i suoi naniti. Wilfred confessa di aver risolto il problema di ricarica e che Ray non ne avrà più bisogno. Ha tutti i suoi poteri, senza i punti deboli, e mentre si nascondono e si mettono in viaggio nella campagna europea in una roulotte, KT diventa la partner ufficiale di Ray. Sanno che saranno braccati dal resto della Rising Spirit, dalle corporazioni rivali e da altri governi, ma almeno sono liberi.

C’è però qualcosa che non torna nel finale di Bloodshot. Quello che ci viene mostrato è reale o è solo un’altra simulazione? La scena finale vede il trio dirigersi serenamente verso il tramonto, ed è questo dettaglio che pone una certa ambiguità in questa conclusione. Poco prima della fine di Bloodshot, infatti, si sente Wigans mettere in dubbio la validità della conclusione del film. Poco prima che il finale di Bloodshot raggiunga il culmine dell’euforia, Wigans si preoccupa: “Un po’ troppo perfetto, se volete il mio parere. Dici sul serio? Proprio verso il tramonto? Siamo sicuri che non sia tutta una simulazione…“.

Da un lato, questa battuta si adatta al carattere prevalentemente pessimista e autoironico di Wigans ed è proprio nel suo stile umoristico. La battuta potrebbe essere semplicemente il suo modo per rompere il ghiaccio dopo aver realizzato il suo nuovo ruolo di terzo incomodo tra Ray e KT. Detto questo, le sue preoccupazioni potrebbero avere un fondo di verità. In teoria, è possibile che tutto in Bloodshot sia una simulazione e, in modo simile a Inception, la cospirazione scoperta da Garrison nascondesse semplicemente un’altra cospirazione volta a distruggere la RST incastrandola come cattiva, cosa che Bloodshot ha creduto ciecamente.

Bloodshot fumetto
Vin Diesel in Bloodshot. © 2020 CTMG, Inc. All Rights Reserved.

Poiché questa particolare teoria renderebbe l’intero film privo di significato, è improbabile che sia vera; d’altra parte, è molto più plausibile che solo la scena finale di Bloodshot sia una simulazione. Il pubblico non vede mai cosa succede a Ray dopo che si è fatto esplodere per uccidere il dottor Harting, e se Wigans è riuscito a ricomporre il super soldato, anche un altro super genio potrebbe essere in grado di farlo, sottoponendolo allo stesso tipo di realtà simulata della RST. La cosa curiosa è la consapevolezza di Wilfred che cavalcare verso il tramonto potrebbe essere una simulazione. Se fosse vero, ciò significherebbe che Ray, KT e Wilfred sono tutti collegati a una memoria condivisa, poiché un falso Wilfred non sarebbe programmato per destare sospetti.

L’idea delle simulazioni condivise è qualcosa che Bloodshot introduce già all’inizio del film. Quando KT decide per la prima volta di ribellarsi alla RST e salvare Ray, entra nella sua missione simulata dei marine per portarlo fuori, introducendo l’idea che altre coscienze possano entrare in queste realtà oniriche. Per quanto riguarda il motivo per cui questo ipotetico nemico misterioso avrebbe catturato Ray, KT e Wilfred e messo il trio in un’unica realtà simulata, forse questa organizzazione losca vede un valore nelle loro nuove acquisizioni come squadra. Un sequel di Bloodshot risponderebbe definitivamente a questo mistero, ma se non ci sarà un seguito, i fan dovranno semplicemente supporre che Wilfred stesse scherzando.

Romanticismo a fuoco lento: 8 film che vi conquisteranno senza che ve ne accorgiate

Siete tra coloro che non possono resistere a storie basate su “da nemici a amanti” o su storie d’amore slow burn? Indubbiamente, ci sono film che non hanno bisogno di scene esplicite per farci perdere il fiato. Perché la magia sta nelle atmosfere, negli sguardi sostenuti o nei silenzi significativi.

Se siete amanti dei film che giocano con l’insinuazione, il desiderio trattenuto e l’intensità emotiva, fino ad avvolgervi in una sorta di trance morbida e ipnotica, ecco otto titoli in cui la tensione va oltre… e voi siete intrappolati senza sapere esattamente perché.

Il potere dell’allusione nel cinema

Al di là di Pretty Woman e dei cliché delle escort italiane con i tacchi alti e del lieto fine tipici del cinema romantico, esiste un universo in cui la tensione non ha bisogno di nomi e il provocatorio non viene detto ad alta voce. È il regno dei dettagli sottili, come l’urto involontario in ascensore o la porta che non si chiude del tutto. I film che vi consigliamo di seguito non cercano di mostrare tutto, ma di invitarvi a immaginare fino a rimanere incollati allo schermo senza nemmeno accorgervene. Prendete nota:

La piscine (1969, Jacques Deray)

Jean-Paul e Marianne si godono una vacanza in una villa nel sud della Francia. La tranquillità viene sconvolta dall’arrivo di un vecchio amico di lui, accompagnato dalla figlia adolescente. La tensione cresce, la gelosia e le vecchie ferite cominciano a emergere.

È un thriller sensuale in cui tutto accade con apparente calma. Romy Schneider e Alain Delon riempiono lo schermo di sguardi carichi e silenzi scomodi. È un cinema che trascina lentamente verso il fondo della piscina.

Eyes wide shut (1999, Stanley Kubrick)

Un medico di New York entra in una spirale di dubbi dopo una confessione inaspettata della moglie. La sua reazione lo porta a vivere una lunga notte, in cui esplora un mondo sconosciuto di desideri e segreti. Tutto sembra un sogno da cui è difficile risvegliarsi.

Kubrick mescola erotismo, senso di colpa e potere in un film lento ma magnetico. Non è solo visivamente provocatorio: l’atmosfera, il ritmo e l’ambiguità costruiscono un labirinto emotivo. È un’esperienza da guardare senza distrazioni.

In the mood for love (2000, Wong Kar-Wai)

Nella Hong Kong degli anni ’60, due vicini di casa scoprono che i rispettivi partner sono infedeli. Invece di vendicarsi, iniziano a passare del tempo insieme e a ricreare, quasi per gioco, le possibili scene di questi tradimenti. Senza cercarlo, finiscono per sviluppare un legame profondo, silenzioso e difficile da classificare.

In the mood for love è una storia di desiderio contenuto, dove ogni gesto pesa più di una dichiarazione. La messa in scena è curata all’estremo, con colori, movimenti e musiche che accompagnano il tono emotivo. Non è un film per chi cerca l’azione, ma per chi apprezza il cinema lento.

Soñadores (The dreamers, 2003, Bernardo Bertolucci)

Parigi, 1968. Un giovane americano incontra due fratelli francesi durante uno sciopero studentesco. Si chiudono insieme in un appartamento, isolati dal mondo esterno, e iniziano a condividere film, idee… e qualcosa di più. Tra loro si forma un legame tanto intenso quanto ambiguo.

Il film unisce sensualità, politica e riferimenti cinematografici. Il suo ritmo lento e la sua costante carica emotiva lo rendono ipnotico. È provocatorio, ma anche una riflessione sulla gioventù e sui suoi limiti.

Match point (2005, Woody Allen)

Chris, un ex giocatore di tennis squattrinato, si integra nell’alta società londinese grazie al suo matrimonio. Tutto sembra andare bene finché non diventa ossessionato da Nola, l’ex di suo cognato. Da quel momento in poi, la sua vita si complica sempre di più con decisioni sempre più pericolose.

Allen abbandona l’umorismo a favore della suspense e della tensione emotiva. Scarlett Johansson brilla in un ruolo pieno di magnetismo. È una storia di desiderio, ambizione e colpa, raccontata con una freddezza inquietante.

Youth (2015, Paolo Sorrentino)

Fred, un compositore in pensione, trascorre una vacanza in un hotel di lusso sulle Alpi con il suo migliore amico. Qui vive con artisti, celebrità e personaggi eccentrici, tra cui una giovane compagna che ha una strana relazione con un attore decadente. Il film è un mosaico di personaggi che esplorano il desiderio, la vecchiaia e il passare del tempo.

Sorrentino ritrae il corpo femminile attraverso la contemplazione piuttosto che la provocazione. La figura del presunto escort a Roma è trattata con rispetto, mistero e una certa poesia visiva. Non è il centro della storia, ma la sua presenza dà vita a una delle scene più memorabili, carica di silenziosa tensione.

7. Call me by your name (2017, Luca Guadagnino)

Durante un’estate nel nord Italia, Elio, un adolescente sensibile e brillante, incontra Oliver, un giovane invitato dal padre. Il loro rapporto cresce lentamente e ciò che inizia come curiosità si trasforma in un legame profondo difficile da dimenticare.

È una storia nostalgica sul primo amore. La fotografia, i paesaggi e la musica accompagnano questa scoperta emotiva senza drammi forzati. Un film sincero, delicato e completamente lento.

8. Sanctuary (2022, Zachary Wigon)

Hal, un giovane erede, incontra una donna che lo guida in dinamiche di potere non convenzionali. Quello che inizia come un incontro combinato si trasforma in un intenso duello psicologico. I ruoli di vittima e dominante si spostano costantemente tra i due.

Il film si svolge quasi in tempo reale, all’interno di un’unica stanza. Tuttavia, riesce a creare una tensione crescente e avvincente. Margaret Qualley eccelle in un personaggio complesso, sicuro e seducente, senza bisogno di etichette.

Ciò che non viene detto, seduce anche nel cinema

A volte basta uno sguardo per accendere un intero film. Queste otto proposte mostrano come il cinema possa essere provocatorio e coinvolgente senza dover mostrare tutto. Il ritmo lento, la tensione emotiva e i personaggi enigmatici sono più potenti di qualsiasi scena esplicita. Perché il suggestivo, quando è ben raccontato, rimane molto più a lungo nella memoria.

E questo non accade solo nel cinema. C’è chi continua a cercare questo tipo di esperienza anche fuori dallo schermo, in scenari dove il gioco dell’insinuazione continua.

Tell Me Lies – Stagione 1: spiegazione del finale

Tell Me Lies – Stagione 1: spiegazione del finale

Il finale di Tell Me Lies si conclude con Stephen (Jackson White) che sconvolge Lucy (Grace Van Patten) in due momenti diversi. Basata sul romanzo di Carola Lovering, la prima stagione di Tell Me Lies è ambientata principalmente nel 2007-2008. È il primo anno di Lucy al Baird College di New York, mentre Stephen è al terzo anno. La stagione si conclude con Lucy e Stephen, che non si vedono da quattro anni, che partecipano al matrimonio dei loro amici Bree (Catherine Missal) ed Evan (Branden Cook) nel 2015.

Il finale di Tell Me Lies vede Lucy sconvolta dalle conseguenze della lettera che ha scritto in forma anonima e inviato all’amministrazione del Baird College, chiedendo loro di indagare sulla morte della sua coinquilina Macy (Lily McInery) in un incidente stradale. Lucy e Stephen sono impantanati nella loro relazione tossica, con Lucy che sostiene di “proteggere” Stephen perché era in macchina quando Macy è morta, mentre Stephen tiene per sé la verità. Il loro gruppo di amici si frammenta sotto il peso di tutte le bugie che Lucy e Stephen hanno raccontato.

La verità sulla morte di Macy e su ciò che ha fatto Stephen

I primi 18 minuti del finale di Tell Me Lies rivelano tutta la verità su Macy e su come è morta. Stephen e Macy avevano una relazione dall’estate, ma fingevano di non conoscersi perché Stephen non voleva che la sua ex ragazza Diana (Alicia Crowder) sapesse che frequentava altre ragazze. Macy va a una festa da sola (dopo che Lucy si rifiuta di andare) e chiama Stephen per chiedergli di raggiungerla.

Dopo essersi drogato, Stephen decide di essere abbastanza in forma per guidare l’auto di Macy fino al dormitorio. I due litigano e Macy rimprovera Stephen per le sue bugie e lo accusa di essere una persona cattiva. In quel momento, Stephen distoglie lo sguardo dalla strada, Drew quasi li investe con la sua auto e Stephen schianta l’auto di Macy contro un albero.

Stephen è miracolosamente illeso, ma, in un atto spregevole di autoconservazione, mette il corpo di Macy al posto di guida.

L’impatto uccide Macy perché la cintura di sicurezza del passeggero non funziona. Stephen è miracolosamente illeso, ma, in un atto spregevole di autoconservazione, mette il corpo di Macy al posto di guida e cancella se stesso dal suo Blackberry in modo che nessuno possa collegarli. Stephen poi torna a casa a piedi e lascia Macy lì, in attesa di essere trovata dalla polizia.

Nessuno sa che Stephen era alla guida dell’auto di Macy quando è morta, e Stephen permette a Drew di credere che sia lui il responsabile invece di confessare la verità perché non vuole rovinarsi la vita. È difficile contestare la valutazione che Macy ha dato di Stephen prima di morire: è una persona cattiva che fa le cose che farebbe una persona cattiva.

Tutte le conseguenze della lettera di Lucy su Drew spiegate

Basandosi su ciò che le ha detto Stephen, Lucy crede che Drew sia responsabile della morte di Macy e invia una lettera anonima al preside per “proteggere” Stephen. Stephen dice a Drew che suo fratello maggiore Wrigley ha raccontato dell’incidente alla sua ragazza. Stephen capisce immediatamente che è stata Lucy a inviare la lettera, ma rimane a guardare mentre la ragazza di Wrigley viene accusata. Wrigley litiga con Drew e cade accidentalmente da un balcone.

A causa della bugia di Lucy, Wrigley si ferisce al ginocchio e non potrà giocare come quarterback nella squadra di football durante l’ultimo anno.

Tutto ciò che la lettera di Lucy fa è compromettere il futuro di Wrigley e rovinare la reputazione di Pippa.

Wrigley accusa Pippa di aver scritto la lettera e si rifiuta di credere che sia stato Stephen a inviarla. Wrigley rompe con Pippa e la squadra di football la incolpa per l’infortunio. Lucy mente a un’altra matricola dicendole che lei e Stephen sono stati insieme la notte in cui è morta Macy, sempre per “proteggere” Stephen. La notizia arriva a Diana, che racconta a Stephen della bugia di Lucy, ma lui scopre con rabbia che la bugia può essere smentita. Alla fine, Drew non viene sospettato di alcun reato dal preside, quindi tutto ciò che la lettera di Lucy ottiene è compromettere il futuro di Wrigley e rovinare la reputazione di Pippa.

Perché Stephen ha davvero lasciato Lucy per Diana

Lucy è scioccata e affranta quando Stephen lascia freddamente la festa hawaiana di fine semestre con Diana. Diana “conquista” Stephen perché lo conosce meglio di chiunque altro. Diana è sicura di sé e ambiziosa, l’opposto di Lucy, e tocca tutte le insicurezze di Stephen come persona che vuole diventare ricca e di successo.

Diana offre a Stephen un’estate a New York, uno stage presso lo studio legale di suo padre e la promessa di un lavoro ben pagato una volta laureato, in modo che possa sfuggire a sua madre. Diana descrive Lucy come una persona che non è “impressionante”, non è spinta al successo come Stephen e si aggrappa a lui. Lucy rinuncia al viaggio in India che aveva programmato per l’estate, in modo da poter rimanere a casa e stare vicino a Stephen.

Diana e Stephen si dicono “ti amo” in un modo diverso da quello di Lucy e Stephen, anche se non meno possessivo. Stephen vuole liberarsi di Lucy, e tornare con Diana è rassicurante e gli garantirà l’avanzamento di carriera che desidera.

Lucy ed Evan hanno fatto sesso alle spalle di Bree

Evan consola Lucy dopo che Stephen l’ha lasciata per Diana e la mattina dopo si svegliano a letto insieme, anche se Evan sta uscendo con Bree. Evan trascorre il semestre disgustato da Stephen e da tutta la loro cerchia di amici, e la situazione esplode alla festa di compleanno di Evan nella casa sul lago nell’episodio 7. Evan dice anche a Lucy all’inizio della prima stagione di Tell Me Lies che è attratto da lei, un sentimento che continua a nutrire nonostante stia uscendo con Bree. Così Evan va a letto con Lucy per ripicca, il che è una macchia sulla sua immagine di bravo ragazzo.

Sapere che Lucy ed Evan sono andati a letto insieme cambia il modo in cui il pubblico vede la loro dinamica al matrimonio di Bree ed Evan nel 2015. Ora ha senso il motivo per cui Lucy stranamente prende da parte Bree per ricordarle con una citazione, dicendole: “Sono felice per te”. Anche Evan ha un linguaggio del corpo e un comportamento strani nei confronti di Lucy. La relazione tra Lucy ed Evan potrebbe non essere stata una cosa occasionale, e potrebbe essere continuata anche nel 2015 alle spalle di Bree.

La sorpresa del fidanzamento di Stephen

Tell Me Lies ha riservato una grande sorpresa finale: nel 2015, Stephen è fidanzato con Lydia (Natalee Linez), la migliore amica di Lucy. Lucy non sembra sorpresa ed è estremamente a disagio, quindi non è una sorpresa per lei quanto lo è per il pubblico. Nel finale di Tell Me Lies, Lucy cerca di convincere Stephen ad accettare un lavoro estivo alla reception del country club del padre di Lydia, ma lui rifiuta categoricamente perché sarebbe “pubblicamente umiliante” per lui.

Ma è possibile che accetti comunque il lavoro e incontri Lydia in questo modo. In caso contrario, il modo in cui Stephen ha incontrato Lydia potrebbe essere una trama importante per la seconda stagione di Tell Me Lies, ma con altri sette anni di storia da raccontare, ci sono molti modi in cui la tumultuosa relazione tra Stephen e Lucy può continuare prima che lui si fidanzasse con Lydia.

Il vero significato del finale di Tell Me Lies

La domanda più grande che la maggior parte delle persone si pone riguardo a Tell Me Lies è se ci siano persone buone in questa serie. Stephen si è rivelato una persona davvero cattiva. Ha ucciso accidentalmente Macy e poi ha fatto sembrare che fosse colpa di Drew. Lucy era così ossessionata e innamorata di Stephen che ha continuato a fare una cosa brutta dopo l’altra per proteggerlo, rovinando la vita di altre persone.

Alla fine, Stephen ha fatto sembrare Lucy una persona terribile e l’ha lasciata, dimostrando di non tenere affatto a lei.

È stato un momento terribile e, anche se sembrava che Lucy si fosse meritata ciò che le era successo, la verità è che lei aveva fatto tutto per Stephen e lui l’aveva usata in modo terribile. Semmai, Lucy era dipendente da Stephen e, per mantenere quell’euforia, continuava a fare cose sempre peggiori per aiutarlo. Nel frattempo, lui la faceva sentire in colpa e alla fine lei è rimasta sola e distrutta. Anche se alla fine della stagione sembrava che Stephen se ne fosse andato per rifarsi una vita migliore, il flash forward ha mostrato che forse le cose non andranno così bene per lui.

Come il finale della prima stagione di Tell Me Lies ha influenzato la seconda stagione

Tell Me Lies stagione 2 si è concentrata principalmente sulle trame del college del 2008 piuttosto che sul flash forward, ma ci sono stati comunque alcuni momenti nella seconda stagione che si sono svolti nella linea temporale del 2015. Secondo la creatrice della serie Meaghan Oppenheimer, non voleva ripetere nella seconda stagione il focus della prima su un misterioso omicidio, quindi ha cercato altri modi per aggiungere dramma e suspense alla storia, il che significava andare oltre i colpi di scena del finale della prima stagione (via Vanity Fair).

“Mi è sembrata una serie migliore in questa stagione. Ho adorato la prima stagione, ma ho sentito che Hulu mi ha permesso di correre molti più rischi in questa stagione. Nella prima stagione c’è stata una morte, il mistero del cadavere, e di solito c’è la pressione di doverne avere un’altra. Mi sono detta: ‘Come faccio a evitarlo? Perché non voglio un altro omicidio’”.

Lucy cerca di superare la rottura con Stephen uscendo con Leo, un ex ragazzaccio redento. Stephen rovina la sua relazione appena ripresa con la sua ragazza, Diana. Bree ha una relazione con il suo professore più anziano, Oliver (Tom Ellis), che è sposato con l’insegnante di inglese di Bree, Marianne (Gabriella Pession). La seconda stagione si conclude con un altro colpo di scena, in cui Bree scopre che Evan è andato a letto con Lucy proprio prima del loro matrimonio. La seconda stagione di Tell Me Lies ha ripreso la morte della prima stagione e l’ha utilizzata per creare una serie di relazioni tossiche, dando vita a una serie televisiva avvincente.

Mala Influencia, la spiegazione del finale: Reese ed Eros sopravvivono allo stalker?

Le cose finiscono male per i personaggi di Mala Influencia? Il nuovo thriller spagnolo di Netflix segue Reese Russell (Eléa Rochera), una ballerina adolescente che è bersaglio di uno stalker terrificante e misterioso. Il ricco padre di Reese, Bruce Russell (Enrique Arce), assume un ex detenuto, Eros Douglas (Alberto Olmo), come sua guardia del corpo per proteggerla.

Reese inizialmente è riluttante all’idea di essere sorvegliata, ma con il pericolo che cresce intorno a loro, lei ed Eros si avvicinano mentre cercano di scoprire l’identità dello stalker. Sebbene Reese sia circondata da persone sospette, tra cui compagni di classe gelosi e il suo ex fidanzato Raul (Fer Fraga), non capisce perché qualcuno voglia farle del male.

Reese, insieme a suo padre ed Eros, si ritrova faccia a faccia con l’aspirante assassino, che è qualcuno più vicino di quanto avrebbero mai potuto immaginare.

Come finisce Bad Influence? Ecco tutto quello che c’è da sapere su Reese ed Eros: sopravvivranno allo stalker e finiranno insieme?

Cosa succede alla fine di Bad Influence?

Durante il film, Reese sopravvive a diversi incidenti, tra cui un riflettore che le cade addosso durante un saggio di danza, una scioccante esplosione d’auto e un bouquet con un pacchetto regalo pieno di denti.

Mentre cerca di risolvere il mistero dello stalker, Reese inizia a sospettare dell’amica e coinquilina di Eros, Peyton (Mirela Balić). Reese scopre che Peyton non lavora in un bar come aveva detto, ma è una donna delle pulizie nella scuola superiore di Reese.

Reese espone la sua teoria a Eros, che più tardi chiede a Peyton nel loro appartamento se è lei che sta perseguitando Reese. Peyton nega l’accusa, ma mentre cerca di spiegarsi spinge Eros, facendogli perdere i sensi.

Reese arriva all’appartamento di Eros per cercarlo, seguita da Bruce, che sta cercando sua figlia. Peyton li fa entrare e, una volta che Eros si sveglia, confessa il suo sorprendente legame con tutti loro.

Chi è lo stalker di Reese?

Reese è paranoica riguardo a chi tra le persone che la circondano potrebbe volerle fare del male, e uno dei principali sospettati è il suo ex fidanzato, Raul. A un certo punto, anche suo padre, Bruce, viene indicato come possibile responsabile degli attacchi.

Alla fine, si scopre che lo stalker di Reese non è Raul, ma Peyton, un’amica di lunga data di Eros. Lei aveva cercato di dissuadere Eros dall’accettare il lavoro di guardia del corpo di Reese, poiché era lei la responsabile di averla terrorizzata.

Perché Peyton voleva uccidere Reese?

Peyton voleva vendicarsi di Reese e della sua famiglia.

Mentre teneva in ostaggio Reese, Eros e Bruce, Peyton ha rivelato che 16 anni prima sua madre e i genitori di Eros lavoravano in un ristorante di proprietà di Bruce. Una notte, il locale ha preso fuoco e i loro genitori sono morti, insieme alla madre di Reese.

Sebbene fosse solo un ragazzo, Eros fu incolpato dell’incendio e mandato in un centro di detenzione minorile. Lì, Eros, Peyton e il loro amico Diego (Farid Bechara) diventarono amici. Anni dopo, Bruce fece rilasciare Eros dal centro quando questi accettò di proteggere sua figlia.

Chi muore alla fine di Mala Influencia?

Reese, Eros e Peyton sopravvivono, ma con un colpo di scena, non Bruce, il padre di Reese. Durante la resa dei conti nell’appartamento, Eros attacca Peyton, permettendo a Reese e Bruce di fuggire. I tre corrono giù per le scale dell’edificio, mentre Peyton spara loro con la pistola dalla tromba delle scale. Si ferma e crolla a terra quando si rende conto di aver sparato a uno di loro.

Nella scena successiva, Reese è seduta su un molo e legge un post sui social media che annuncia la morte di Bruce, ucciso nella sparatoria. Nonostante Bruce sia morto, Reese lo chiama comunque e gli lascia un messaggio vocale dicendogli che è entrata in una compagnia di danza. Conclude il messaggio dicendo: “Spero che tu sia davvero orgoglioso di me. Ti voglio bene”.

Reese ed Eros finiranno insieme?

Sì, Reese ed Eros scoprono chi è lo stalker e restano insieme. Nella scena che segue il loro incontro con Peyton, condividono un momento emozionante e tranquillo mentre si baciano su un molo.

In un messaggio vocale a suo padre, Reese rivela di essere entrata nella compagnia di danza per cui aveva fatto l’audizione. Chiama Eros e gli lascia un messaggio per dirgli la notizia.

Nella scena finale, Eros fa visita a Reese durante le prove di danza. Dopo che gli altri ballerini se ne sono andati, Reese ed Eros si abbracciano e si baciano sul palco. I due ballano, finalmente in grado di rilassarsi dopo aver scoperto che le loro vite non sono più in pericolo.

The Residence: la spiegazione del finale – perché quel personaggio ha ucciso AB Wynter

La serie Netflix The Residence si è rivelata un vero e proprio giallo, e gli otto episodi si sono naturalmente conclusi con un grande colpo di scena finale. Ciò che ha reso questo mistero comico così unico è stata l’ambientazione, poiché l’omicidio è avvenuto nella famosa residenza del Presidente degli Stati Uniti, la Casa Bianca. La persona il cui corpo è stato trovato nella lussuosa sala giochi era il capo usciere della Casa Bianca, A.B. Wynter, responsabile della gestione del personale e del mantenimento della pace con la famiglia presidenziale e i loro dipendenti personali. A risolvere il mistero è stata chiamata la detective Cordelia Cupp, la migliore tra i migliori.

L’omicidio di Wynter è avvenuto ai piani superiori della Casa Bianca in The Residence, mentre al piano inferiore era in corso una cena di Stato disastrosa. Cordelia aveva il difficile compito di scoprire chi dei 157 ospiti e del personale di servizio potesse essere il colpevole e in quale delle 132 stanze avesse commesso il delitto. La situazione si complicò ulteriormente quando Cordelia scoprì che quella sera molte persone avevano dichiarato Wynter loro nemico. Quindi, erano stati i violenti chef rivali della Casa Bianca nella Sala Blu? Forse l’ingegnere o la governante? Naturalmente, The Residence ha rivelato che non era nessuno di loro.

La prima stagione di The Residence è ora disponibile su Netflix.

Chi ha ucciso A.B. Wynter in The Residence

Cordelia Cupp ha risolto il mistero

La detective Cordelia Cupp ha rivelato alla fine di The Residence che è stata la segretaria sociale della Casa Bianca Lilly Schumacher ad uccidere A.B. Wynter. Nell’episodio finale della serie Netflix, Cupp ha guidato i protagonisti attraverso la Casa Bianca ripercorrendo i passi di Wynter e le sue interazioni con i vari membri dello staff, ognuno dei quali, secondo lei, avrebbe potuto uccidere l’usciere. Solo quando sono arrivati nella Sala Ovale Gialla ha potuto osservare le reazioni di ogni persona “interessante” (Cordelia non ha mai amato usare il termine “sospetto”).

Lily Schumacher fece del suo meglio per coprire il suo crimine, arrivando persino ad ammettere alcune verità che la facevano sembrare una complice compassionevole dell’omicidio. Affermò di aver visto l’ingegnere Bruce Geller e la governante Elsyie Chayle uccidere Wynter e di aver cercato di proteggere i due innamorati. Tuttavia, Cordelia sapeva bene come stavano le cose. La detective ha capito che Lilly aveva rivelato un “segnale”, indicando che era lei stessa la colpevole e che aveva nascosto le prove del suo crimine dietro una porta segreta ora sigillata.

Come la detective Cordelia Cupp ha risolto il mistero

The Residence Netflix

Lilly si è tradita

Parte di ciò che ha reso così difficile risolvere l’omicidio di Wynter nella serie Netflix è proprio il numero di persone che avevano un motivo per uccidere l’uomo e il numero di persone che sembravano aver manomesso il suo cadavere. Il cadavere era stato spostato due volte, ma Cordelia dedusse che l’omicidio era avvenuto nella Yellow Oval Room. È qui che la detective aveva scoperto i fiori bruciati e i piccoli segni sul muro dove era stato lanciato e frantumato un vaso. Nella stanza accanto, Cordelia ha trovato il bicchiere della serra, che ha scoperto essere stato usato per portare il paraquat velenoso alla Casa Bianca.

Tutti questi indizi hanno portato Cordelia alla conclusione che qualcuno aveva tentato di avvelenare Wynter versando del paraquat nel suo drink. Tuttavia, dopo un solo sorso, l’uomo se ne è subito reso conto e ha versato il liquore e il paraquat su una composizione floreale. Questo ha portato l’assassino a lanciare un vaso, che ha mancato il bersaglio e si è frantumato contro il muro (anche se ha lasciato dei tagli sul viso di Wynter). Infine, l’assassino ha usato un orologio della mensola del camino per colpire Wynter alla nuca. Hanno nascosto l’orologio nel compartimento segreto e poi hanno fatto sigillare la porta nascosta.

Cordelia doveva solo rivelare l’orologio nascosto nel compartimento per confermare la colpevolezza di Lilly.

La stessa Lilly ammise di aver fatto sigillare la porta segreta, anche se sosteneva che fosse stato per proteggere Bruce ed Elsyie. Tuttavia, la segretaria sociale della Casa Bianca non sapeva che Cordelia aveva trovato e letto i diari di Wynter che descrivevano in dettaglio i vari crimini di Lilly (stabilendo un movente). Cordelia doveva solo rivelare l’orologio nascosto nel vano per confermare la colpevolezza di Lilly.

La spiegazione del movente di Lilly Schumacher per uccidere A.B. Wynter 

The Residence Netflix

Perché A.B. Wynter è stato ucciso

In The Residence è apparso subito chiaro che Lilly Schumacher era una persona orribile. Come ha sottolineato Cordelia, la segretaria sociale della Casa Bianca non aveva alcun rispetto per le regole della casa del presidente degli Stati Uniti e faceva di tutto per stravolgere l’ordine delle cose. Wynter era un tradizionalista, ma soprattutto amava tutto ciò che la Casa Bianca rappresentava. Questo naturalmente significava che Lilly e Wynter erano in contrasto. Lilly odiava l’usciere e, non avendo praticamente alcun codice morale, non aveva alcun problema a sbarazzarsi di un avversario. Tuttavia, c’era qualcosa di più.

I diari di Wynter contenevano lunghi elenchi di numeri e acronimi, che Cordelia riuscì a decifrare come una registrazione di tutti i riciclaggi di denaro di Lilly all’interno della Casa Bianca. Lei aveva rubato un po’ (o molto) qua e là, e Wynter minacciò di dire tutto al presidente. Lilly non poteva accettarlo e, in preda alla rabbia, strappò una pagina dal diario dell’usciere.

Solo dopo aver lasciato l’ufficio di Wynter si rese conto che la pagina che aveva strappato sembrava una lettera di addio. Questo le diede un’idea e Lilly mise in atto un piano oscuro, che lo staff della Casa Bianca e la sua famiglia aiutarono inconsapevolmente.

Perché ogni persona ha spostato il corpo o le prove di Wynter nella residenza

The Residence Netflix

Lo staff della Casa Bianca ha complicato ulteriormente le cose

Lilly Schumacher uccise Wynter nella Sala Ovale Gialla della Casa Bianca, ma rimase scioccata quando scoprì che il corpo dell’uomo non era più lì. Cominciò a girare per la villa, chiedendo a tutti, persino a Cordelia, se avessero visto A.B. Wynter. È proprio per questo motivo che Lilly non era sembrata sospetta, poiché non aveva davvero idea che Wynter giacesse morto nella sala giochi. In questo modo, le varie persone che hanno spostato il cadavere da un posto all’altro hanno quasi aiutato Lily a farla franca. Ecco l’elenco delle persone che hanno spostato il corpo di Wynter o le prove (in ordine):

  • Elsyie Chayle – Elysie aveva litigato con Wynter pochi istanti prima ed era tornata trovandolo morto. Senza riflettere, ha afferrato il candeliere caduto ed è scappata, rendendosi conto che la faceva sembrare colpevole.
  • Bruce Geller – Bruce vide Elysie scappare dalla Sala Ovale Gialla con il candeliere e pensò che fosse stata lei a uccidere Wynter. Poiché la amava, Bruce trascinò il corpo nella stanza 301 e ripulì il disordine.
  • Tripp Morgan – Trip stava facendo un pisolino nella stanza 301 e si è svegliato vedendo il corpo di Wynter sul pavimento. In preda al panico, ha trascinato il corpo nella sala giochi, dove ha usato uno dei coltelli dello chef Didier Gotthard per tagliare i polsi di Wynter e farlo sembrare un suicidio.
  • Chef Didier Gotthard – Il pasticcere ha trovato il corpo di Wynter nella sala giochi e ha riconosciuto il proprio coltello sul pavimento. Lo ha afferrato, lo ha infilato in una scatola della cucina e lo ha gettato nell’inceneritore rotto, dove la detective Cordelia lo ha poi trovato.

Come il finale della prima stagione di The Residence prepara la seconda

Con l’omicidio di Wynter risolto e Lilly arrestata, alla fine di The Residence le cose sembravano essersi calmate alla Casa Bianca. Cordelia è tornata per un’ultima visita, facendo visita a Nan Cox, la madre del First Gentleman (che a quanto pare sapeva fin dall’inizio chi aveva ucciso Wynter). Da lì, Cordelia se n’è andata e apparentemente non avrebbe alcun motivo per tornare. Naturalmente, è perfettamente possibile che il prossimo presidente degli Stati Uniti e la sua famiglia portino con sé una nuova serie di problemi. Questo potrebbe non essere l’ultimo omicidio alla Casa Bianca, e non c’è dubbio che Cordelia verrebbe chiamata di nuovo.

The Residence non ha esplicitamente preparato il terreno per una seconda stagione, e se dovesse esserci, non sarebbe necessariamente ambientata alla Casa Bianca.

Tuttavia, The Residence non ha esplicitamente previsto una seconda stagione e, se dovesse esserci, non sarebbe necessariamente ambientata alla Casa Bianca. Forse The Residence stagione 2 sarebbe ambientata in un’altra dimora famosa, come Buckingham Palace o persino Graceland. Le possibilità sono praticamente infinite. Il caso di Wynter è stato archiviato, ma la detective Cordelia Cupp sarà sicuramente necessaria di nuovo, da qualche parte.

Mr. Morfina, la spiegazione del finale: il colpo di scena e quello che accade a Nathan Caine

Mr. Morfina, in sala dal 27 marzo con Eagle Pictures (qui la nostra recensione), è pieno di colpi di scena senza sosta, indirizzando la storia verso un finale che lascia il pubblico a tifare per l’eroe, Nathan Caine. Jack Quaid ha finalmente la possibilità di avere un ruolo da protagonista e le prime recensioni di Mr. Morfina promettono un viaggio selvaggio per il personaggio di Quaid e per il pubblico.

Il film segue un uomo di nome Nathan Caine (Jack Quaid) che vive con insensibilità congenita al dolore e anidrosi, che, a livello superficiale, significa che non riesce a sentire dolore né è sensibile alle alte o basse temperature. Dopo aver finalmente trovato il coraggio di uscire con la collega che ama, Sherry (Amber Midthunder), si rende conto che potrebbe perderla quando viene rapita durante una rapina in banca. Prende la decisione improvvisa di inseguire i rapinatori in modo da poterle salvare la vita, ma non sarà una lotta facile. Nathan Caine si ritrova a combattere con armi non convenzionali in una cucina di un ristorante, in uno studio di tatuaggi e in una casa piena di trappole esplosive. Ciò porta a un finale tanto sanguinoso quanto divertente.

Come fa Nathan Caine a sopravvivere in Mr. Morfina

La condizione di Nathan lo aiuta a sopravvivere a una lotta mortale

Nonostante abbia subito molte ferite che avrebbero dovuto ucciderlo, Mr. Morfina ha fornito a Nathan Caine un’armatura nella trama, chiarendo subito che non sarebbe morto. Tuttavia, si avvicina all’essere ucciso verso la fine del film. Simon prende il sopravvento su Nathan, promettendo di uccidere Sherry in seguito. Fortunatamente, Sherry si presenta per salvare Nathan all’ultimo minuto.

La lotta passa a Sherry e Simon, con la sorella che cerca di salvare l’uomo che ama. Nathan arriva alla fine della lotta, usando l’osso del braccio per pugnalare il rapinatore, un modo grottesco e memorabile per concludere il climax di Mr. Morfina. Il fatto che Nathan e Sherry si siano salvati a vicenda, invece di essere uno l’eroe e l’altra la damigella, completa il ritratto del personaggio principale, riaffermando il tema che le persone hanno bisogno l’una dell’altra per sopravvivere.

Il film non mostra direttamente come arriva all’ospedale, ma la spiegazione più logica è che Sherry ha chiamato un’ambulanza. In entrambi i casi, il fatto che Nathan Caine sopravviva in qualche modo all’intero film e non abbia conseguenze permanenti dalle ferite è la parte meno realistica di Mr. Morfina, nonostante il thriller d’azione incorpori molti spunti di trama stupidi.

Il grande colpo di scena di Mr. Morfina: il coinvolgimento di Sherry nella rapina e la spiegazione del legame con i rapinatori

Mr. Morfina film

Sherry ha accettato il lavoro in banca per ottenere informazioni sulla rapina

Sebbene inizialmente venga presentata come l’interesse amoroso e la damigella in pericolo di Nathan Caine, Mr. Morfina offre un divertente colpo di scena al personaggio: lei è coinvolta nella rapina. Il trailer ha anticipato il grande colpo di scena di Mr. Morfina facendo sì che i rapinatori portassero via Sherry dalla banca senza puntarle una pistola alla testa, e non la si vede legata. Nonostante ciò, il coinvolgimento o meno di Sherry nella rapina sembra ambiguo quando si ritrova da sola con i rapinatori. Sembra arrabbiata e provocatoria nei confronti dei suoi rapitori. Tuttavia, alla fine della scena, rivelano che è la sorella di Simon, uno dei cattivi.

Man mano che il film procede, continuano a rivelare altre informazioni sulla rapina e sul suo legame. Ha ottenuto il lavoro in banca in modo che potessero ottenere il codice per il caveau. Sebbene non sia dichiarato direttamente, il dialogo tra Sherry e Simon implica fortemente che lei sia uscita con Nathan Caine solo per ottenere il codice da lui. Nonostante il suo coinvolgimento nella rapina, Sherry ha una parvenza di morale fin dall’inizio. Ha accettato di fare la rapina solo se non avessero ucciso nessuno.

Perché Sherry tradisce i rapinatori e salva Nathan

L’amore di Sherry per Nathan e i suoi valori contribuiscono al suo tradimento

Sebbene inizialmente si avvicini a Nathan per ottenere il codice della banca, Sherry si innamora del suo collega nel giro di 24 ore. I due si legano perché entrambi hanno aspetti di sé che vogliono nascondere. Nathan condivide con Sherry di vivere con insensibilità congenita al dolore e anidrosi. Sebbene sia leggermente meno cauta sul suo segreto rispetto a Nathan, Sherry in seguito rivela di essersi autolesionata. Il momento in cui mostra il suo stomaco, coperto di cicatrici, a Nathan sembra profondamente intimo. Questa connessione ha indubbiamente contribuito al tradimento del fratello da parte di Sherry.

Inoltre, Sherry non sembra mai del tutto a suo agio con la rapina, arrabbiandosi con Simon per il fatto che ha ucciso il direttore della banca e diversi agenti di polizia. Come Nathan Caine, non ha problemi con il furto. È a suo agio con l’idea che Simon prenda i soldi e se ne vada se lascia che tutti vivano. In definitiva, la differenza tra i valori di Simon e Sherry sulla violenza implica che, in ogni scenario, lei lo tradirebbe a un certo punto. La sua connessione con Nathan Caine serve solo da catalizzatore per accelerare il processo.

Cosa significa la fine di Mr. Morfina per il futuro di Nathan e Sherry

Nathan e Sherry sono ancora una coppia alla fine di Mr. Morfina

La fine di Mr. Morfina include due salti temporali che forniscono dettagli sui futuri individuali di Nathan e Sherry, così come sulla loro storia d’amore. Dopo aver ucciso Simon con l’osso del braccio, Nathan perde conoscenza e si sveglia giorni dopo in ospedale. L’agente di polizia che lo ha aiutato durante Mr. Morfina gli rivela che se l’è cavata facilmente, ottenendo solo arresti domiciliari e libertà vigilata per tutti i suoi crimini. Il film fa un altro salto in avanti di un anno.

Nathan Caine è completamente guarito senza conseguenze durature, che è una delle parti meno realistiche del film di Jack Quaid. Ha ancora una stretta amicizia con Roscoe, ma lo lascia nel bel mezzo di una lotta ai videogiochi per andare a un appuntamento con Sherry. Il film poi passa a Nathan e Sherry che festeggiano il loro anniversario nella sala visite della prigione, confermando che stanno ancora insieme dopo il tradimento di Sherry, l’omicidio di Simon da parte di Nathan e la sua messa in prigione.

Nathan sta contando i giorni che mancano alla sua uscita, dimostrando di essere innamorato di lei tanto quanto lo era lei quando sono usciti per la prima volta. Tuttavia, il fatto che mangi la crostata di ciliegie indica che non sta trascorrendo il tempo in cui Sherry è in prigione per isolarsi dalla società come prima. Sherry gli ha insegnato a correre dei rischi e lui continua a farlo anche senza di lei al suo fianco.

Il vero significato del finale di Mr. Morfina

Mr. Morfina dice agli spettatori che i rischi valgono la gioia

Mr. Morfina rende il suo messaggio chiaro all’inizio del film quando Nathan e Sherry vanno al ristorante. Lui le dice che non può mangiare cibi solidi a causa delle sue condizioni, e lei lo esorta a provarci. Nathan è molto più felice dopo aver mangiato la crostata di ciliegie, confermando il messaggio che non puoi vivere la tua vita nella paura se questo significa non provare gioia.

Il finale di Mr. Morfina ribadisce il tema due volte durante l’appuntamento di Sherry e Nathan nella sala visite della prigione. Lui le mostra il tatuaggio finito, raffigurante il cavaliere e la principessa che combattono per salvarsi a vicenda. Sono in pericolo, ma ne vale la pena per via del loro amore reciproco.

Poi, nell’inquadratura finale del film, Nathan dà un morso alla crostata di ciliegie che ha portato in prigione e sorride, con un chiaro riferimento alla scena iniziale. L’inquadratura di Nathan che mangia la crostata è un momento di ritorno piacevole e idealistico che consente al pubblico di riflettere su quanto lontano sia arrivato il coraggioso protagonista dalla prima volta che ha mangiato quel cibo.

Mr. Morfina: recensione del film con Jack Quaid

Mr. Morfina: recensione del film con Jack Quaid

Di vendicatori privati e agenti speciali il cinema è sempre stato pieno, trovando ad ogni nuova generazione i propri più intrepidi esemplari di uomini o donne in grado di ottenere giustizia con le loro sole mani. In anni recenti è toccato a personaggi come John Wick, il Robert McCall di The Equalizer, il Bryan Mills di Taken o alla Lorraine Broughton di Atomica bionda ricoprire tale ruolo, affermandosi come macchine da guerra pronte a combattimenti di ogni sorta pur di portare a termine la propria missione. È dunque interessante che a loro faccia ora seguito un personaggio tanto improbabile quanto quello protagonista di Mr. Morfina.

Nel film diretto da Dan Berk e Robert Olsen – duo affermatosi per gli horror Malvagi e Non siamo soli – l’eroe di turno ha infatti il solo merito di non provare il benché minimo dolore per via di una particolare patologia. È questo il suo unico “superpotere”, presentandosi per il resto come una persona con un coraggio tanto esile quanto il suo fisico. Eppure, è un personaggio che presenta diversi elementi inaspettati, all’interno di un film che, pur muovendosi su un terreno narrativo quantomai semplice, riesce a regalare più di qualche momento di buon intrattenimento.

La trama di Mr. Morfina: farsi male per amore

Protagonista del film è dunque Nathan Caine (Jack Quaid), un introverso affetto da insensibilità congenita al dolore, che lavora come vicedirettore in una cooperativa di credito di San Diego. Qui lavora anche Sherry Margrave (Amber Midthunder), dalla quale Nathan è attratto ma si tiene a distanza per via della sua condizione e della sua inesperienza con le donne. Quando però anche Sherry dimostra di essere romanticamente interessata a lui, la vita di Nathan sembra prendere un’inaspettata piega positiva. A spezzare questo idillio arriva però una rapina in banca che culmina con il rapimento di Sherry. A quel punto, Nathan deciderà di sfruttare la sua condizione per andare a salvare la donna di cui si è innamorato.

Vogliamo vedere il sangue!!!

Come si può intuire da questa sinossi, il film è di base il racconto di un uomo che si lancia al salvataggio della donna amata e rapita. Tutto qui. Non ci sono ulteriori elementi narrativi che complicano la cosa (se non un colpo di scena ben organizzato) nella sceneggiatura di Lars Jacobson, qui alla sua prima volta con un grosso film di Hollywood. Su questo modello – a partire dal quale si sono costruiti innumerevoli film – Jacobson applica però la particolarità di un protagonista incapace di sentire dolore. È ovviamente questo che rende il film intrigante e avvincente, tolto il quale resterebbe ben poco.

Nella visione di Mr. Morfina non bisogna dunque aspettarsi acrobazie narrative o un particolare spessore dei personaggi. Gli stessi villain, d’altronde, sono dei semplici criminali – guidati però da un convincente Ray Nicholson (figlio di Jack Nicholson). Siamo piuttosto qui per il sangue, per godere o rabbrividire dinanzi alle situazioni mortali in cui si caccia questo improbabile eroe. Insomma, è chiaro che il solo interesse che si può avere nei confronti di questo film per vedere quanto male può ridursi il povero Nathan.

Jack Quaid perfetto protagonista di Mr. Morfina

E da questo punto di vista il film certamente non delude. Pur con il preciso intento dei registi di non allontanarsi mai dal reale, ma anzi di far sì che ogni colpo inferto a Nathan sia premeditato e ben rappresentato, Mr. Morfina offre una convincente sequela di situazioni che, tra il divertente e il raccapricciante, tengono alta l’attenzione e l’interesse nei confronti del film. Su tutte, le trappole che Nathan fa scattare all’interno dell’abitazione di uno dei criminali, o ancora sequenza – forse la più dolorosa da vedere – nel laboratorio di tatuaggi che lo vede diventare un improbabile “Wolverine”.

Momenti che confermano, come si diceva, che il primario obiettivo del film è quello di offrirci questo protagonista e il suo corpo martoriato in tutte le sale, facendo volentieri dimenticare tutto il resto. Il merito è anche di Jack Quaid, perfetto everyman scelto dai registi grazie alla serie The Boys, dove interpreta un Hughie continuamente coperto di sangue e maltrattato ma anche dotato di una sua esplosiva carica energica. Quaid, con il suo fisico slanciato ma esile e i suoi modi di fare gentili, si dimostra l’interprete giusto per un ruolo di questo tipo, favorendo quel contrasto che rende ancor più intrigante e riuscito il film.

Indubbiamente, come si diceva, Mr. Morfina non propone molto altro oltre questo (se non un’altra bella prova attoriale di Amber Midthunder dopo Prey) e si notano una serie di lungaggini che rallentano talvolta il ritmo, ma risate e intrattenimento sono assicurati. Si potrebbe infine guardare a Nathan come ennesimo rappresentante di una generazione che si sta finalmente allontanando dallo stereotipo del maschio duro e spietato (qui presente con il personaggio di Nicholson), abbracciando piuttosto quelle fragilità umane troppo spesso nascoste. Un elemento che, questo sì, conferisce al film qualcosa su cui riflettere.

LEGGI ANCHE: Mr. Morfina, la spiegazione del finale: il colpo di scena e quello che accade a Nathan Caine

Sons: recensione del film di Gustav Möller

0
Sons: recensione del film di Gustav Möller

I centri di detenzione nascondono in tutto il mondo delle realtà parallele, in cui sembrano vigere regole diverse, in cui spesso è la forza ad avere la meglio. Questo è un tema che merita certamente l’attenzione del pubblico e viene presentato con tutta la sua crudezza in Sons (titolo originale Vogter). La pellicola, presentata e candidata per l’orso d’oro al Festival del cinema di Berlino, porta alla luce la quotidianità di una prigione danese, tra conflitti di potere tra detenuti e polizia penitenziaria.

Sons, diretto da Gustav Möller (Il colpevole-The guilty, da cui il remake di Netflix The guilty), presenta nel cast alcune figure già note nel panorama cinematografico internazionale. Tutto il film ruota intorno a Eva, guardia interpretata da Sidse Babett Knudsen (Westworld, Inferno), e Mikkel, uno dei detenuti interpretato da Sebastian Bull. Sons, presentato ai Firebirds awards nel Hong Kong film festival, è uscito vincitore nella categoria Cinema Giovani (mondo).

Sons: la vendetta del carceriere

Eva svolge una vita tranquilla e abitudinaria: svolge i suoi turni presso il penitenziario in cui lavora, in un padiglione in cui si trovano detenuti con reati minori, cerca di rendere la vita dei carcerati più normale possibile, favorendone la riabilitazione. Poco sa lo spettatore della sua vita al di fuori del carcere, finché dei nuovi detenuti vengono trasferiti nel penitenziario dove lavora. Uno nello specifico colpisce l’attenzione di Eva: si tratta di Mikkel, il responsabile della morte del figlio, Simon. Mikkel aveva brutalmente assassinato il ragazzo mentre si trovavano entrambi detenuti in un altro carcere.

La rabbia e la sete di vendetta guidano Eva a chiedere il trasferimento nel padiglione in cui si trova Mikkel, quello dedicato ai detenuti di massima sicurezza. Qui inizia un gioco di giustizia perversa da parte di Eva contro il detenuto. Ogni azione però non sembra soddisfare Eva, la quale non trova nella sofferenza di Mikkel nessun vero sollievo dalla sua perdita. Dopo un culmine a questo climax di violenza, Eva sembra credere, sperare in una possibile riabilitazione di Mikkel, finendo però con lo sbagliarsi.

Sons: poliziotto o criminale?

“Quando avevo la tua età, i preti ci dicevano che potevamo diventare poliziotti o criminali. Oggi quello che ti dico io è questo: quando hai davanti una pistola carica, qual è la differenza?”

Questa celebre citazione del film The Departed: il bene e il male permette di riflettere sulla contrapposizione, talvolta troppo marcata, tra la polizia, rappresentante nobili valori di giustizia e ordine, e i detenuti, simbolo di criminalità e violenza. Pian piano che si procede con la narrazione, però, in Sons questa differenza tende ad affievolirsi sempre di più.

Mikkel, da pericoloso assassino quale è, diventa quasi una vittima nelle mani di  Eva, la quale pur di vendicare la morte del figlio porta avanti una strategia di veri e propri “dispetti” nei confronti del detenuti, passando dal sputargli nel cibo, a non garantirgli l’uso del bagno, per culminare nella brutale violenza.

Eva si lascia pervadere totalmente dalla rabbia nei confronti di Mikkel, dimostrando una ferocia e un disprezzo non indifferenti. Ma proprio le prime scene mostrano come la donna non sia di per se una persona violenta e spregevole. Proprio per questo motivo, dopo un culmine di violenza, Eva sembra cambiare totalmente il proprio atteggiamento nei confronti di Mikkel, sia per le minacce di sporgere denuncia ma forse anche per un sentimento di vergogna. In fin dei conti, anche Mikkel è un giovane come lo era suo figlio, e può essere meritevole di una nuova possibilità dalla vita.

La prigione: da punizione a riabilitazione

Fin dal Panopticon dell’utilitarista inglese Jeremy Bentham nel XVIII secolo, la prigione è stata ipotizzata dai filosofi e realizzata negli stati democratici come un luogo di riabilitazione, non solo di detenzione. I paesi del nord Europa sono notoriamente conosciuti per l’alto livello di risocializzazione e servizi che vengono garantiti nelle carceri, e ciò viene facilmente dedotto anche in Sons, nella prima parte del film in cui Eva si trova in un settore con detenuti condannati per reati meno gravi. Si vede come tutti vengano trattati quasi alla pari, come gli venga garantito di girare liberamente fuori dalle loro celle durante il giorno, e come questi possano svolgere lavori o corsi vari, come quello di yoga tenuto da Eva. Quest’ultima infatti sembra credere molto nel reindirizzare e rieducare i detenuti, creando un rapporto molto stretto con i ragazzi della sua sezione e cercando anche a seguire di salvare Mikkel.

Diverso è certamente il caso della sezione con i detenuti più gravi: qui la polizia stessa si comporta in maniera più dura e severa, ricorrendo a brutali costrizioni come l’uso cinghie e costrizioni fisiche. Sons si afferma come una pellicola molto efficace nel presentare una realtà non sempre ben nota, e lo fa in maniera talvolta cruda e diretta.

The Studio: recensione della serie con Seth Rogen

The Studio: recensione della serie con Seth Rogen

Dopo il successo di critica e pubblico ottenuto dalle varie versioni di Call My AgentApple TV+ risponde a modo suo con questa serie in dieci puntate diretta dalla coppia consolidata Seth Rogen e Evan GoldbergThe Studio racconta le peripezie dell’executive Matt Remick (Rogen), improvvisamente messo a capo della Continental, Major di Hollywood che ha bisogno di realizzare il nuovo Barbie per risollevare le proprie sorti commerciali. Ed è proprio questo il dilemma che renderà impossibile la vita a Remick nel corso dei vari episodi: si può realmente fare cinema di qualità tentando di rispettare, anzi elevare la visione artistica di chi viene messo al timone di un progetto? La risposta per Matt, ora attento più che mai a far quadrare i conti dell’azienda, diventa quanto mai problematica da trovare…

The Studio è una goduria per ogni cinefilo accanito

Partiamo immediatamente con lo scrivere che The Studio è pura, lussureggiante goduria per chiunque sia un cinefilo accanito. Basta sapere che nel funambolico episodio pilota recita  addirittura la leggenda vivente Martin Scorsese in un ruolo decisamente non secondario. Altra chicca ultra cinefila: quanti spettatori hanno riconosciuto il nome del personaggio interpretato dal “boss dei boss” Bryan Cranston? Nel caso lo abbiate fatto, avrete senza dubbio capito che anche l’idea di girare tutte le puntate attraverso lunghissimi, sinuosi pianosequenza deriva allo stesso modo da quel grandioso film su Hollywood diretto da un maestro  di cinema come nessun altro. Ok, forse stiamo flirtando un po’ troppo con il rischio spoiler, il che però serve a testimoniare ancora una volta quanto Rogen e Goldberg siano due enormi conoscitori della storia del cinema. Del buon cinema.

Stracolmo di guest star famosissime, di inside-jokes azzeccate e di almeno un paio di episodi scritti con notevole lucidità per una commedia che vuole essere comunque anche frizzante e ridanciana quando possibile, The Studio soffre però di una certa ripetitività quando indulge troppo nello schema narrativo che vede Remick rischiare (o riuscire) di mandare tutto alla malora a causa delle sue insicurezze. Diamo che i primi episodi sono tutto sommato più efficaci degli ultimi tre o quattro, i quali invece si poggiano appunto su delle idee già esplorate con intelligenza e senso del genere negli episodi precedenti. A proposito delle singole puntate, oltre al già citato pilot se dovessimo scegliere le nostre preferite opteremmo senza dubbio per quelle che vedono protagoniste Sarah Polley e Olivia Wilde, molto spiritosa e piuttosto coraggiosa nel giocare con il suo recentemente acquisito status di “regista difficile” dopo le controversie relative al suo ultimo Don’t Worry Darling.

Un grande ensemble

The Studio

Altro elemento prezioso che rende The Studio uno show a dir poco sfizioso è il suo cast di attori che compone il team principale. Come protagonista Seth Rogen si rivela capace di tratteggiare un personaggio in linea con le sue corde e quindi con i suoi precedenti ruoli, ma anche dotato di una malinconia e una coscienza delle proprie mancanze prima sconosciute, segno che come attore e autore Rogen sta certamente maturando. Accanto a lui troviamo uno scatenato e ugualmente coinvolgente Ike Barinholtz, finalmente in un ruolo consistente dopo anni di piccole apparizioni non in grado di testimoniare in pieno la bravura. Se poi aggiungiamo due “Regine” della commedia contemporanea come Catherine O’Hara e Kathryn Hahn, ecco che il gruppo di caratteristi assemblato per guidare la serie non può che essere meritevole di plauso.

Ci si diverte, a tratti davvero molto, ad assistere alle squinternate peripezie dei personaggi di The Studio, show che porta dietro le quinte di cosa significhi produrre e realizzare un film a Hollywood. In maniera disincantata e sbarazzina. Seth Rogen e Evan Goldberg hanno girato una serie che forse la tira un po’ troppo per le lunghe, magari avrebbe funzionato meglio con otto puntate invece di dieci, ma rimane un guilty-pleasure realizzato con evidente intelligenza e notevole volontà dissacrante. Si può tranquillamente fare binge-watching con The Studio, anzi forse è consigliabile farlo – vista anche la durata contenuta di molti episodi – per passare una giornata all’insegna del sorriso talvolta ironico, altre volte grossolano e sfacciato. Comunque sempre sorriso.

Tre rivelazioni: la spiegazione del finale del film Netflix

Tre rivelazioni: la spiegazione del finale del film Netflix

Netflix ha recentemente aggiunto al suo catalogo il thriller sudcoreano Tre Rivelazioni, che pone diverse domande scottanti sulla moralità e sul crimine, ma la più importante è cosa sia successo ad A-yeong. Diretto da Yeon Sang-ho, regista dell’acclamato Train to Busan, Tre Rivelazioni segue le vicende di tre personaggi unici: un pastore troppo zelante, un detective traumatizzato e un criminale incompreso. Quando una giovane ragazza scompare, tutti e tre i personaggi vengono coinvolti in una rete contorta di segreti, violenza e, naturalmente, rivelazioni.

Il thriller coreano inizia con Min-chan, un pastore appassionato che accoglie nella sua congregazione un criminale incallito, Yang-rae. Tuttavia, quando Min-chan scopre che suo figlio potrebbe essere scomparso, sospetta immediatamente di Yang-rae e cerca di dargli la caccia, provocando però la sua scomparsa. Il giorno seguente, si scopre che il figlio di Min-chan è stato ritrovato, ma che in realtà è stato rapito un altro bambino. La detective Yeon-hee indaga, turbata dal caso di Yang-rae perché dietro la morte di sua sorella c’è proprio lui. Da qui, Yeon-hee tenterà dunque a scoprire il ruolo di Min-chan e Yang-rae nella scomparsa di A-yeong.

Cosa è successo ad A-yeong?

Il mistero più grande di Tre Rivelazioni è dunque cosa sia successo ad A-yeong. La dodicenne A-yeong appare per la prima volta nel film mentre si reca in chiesa, seguita da Yang-rae. Dopo la funzione, sembra tornare a casa con i suoi amici, ma la volta successiva che si parla di lei, si scopre che è stata rapita. Considerando l’inseguimento di Yang-rae, sembra chiaro che il colpevole sia lui. Solo alla fine del film il pubblico si accorge però che A-yeong è tenuta prigioniera in una casa destinata a essere demolita. Fortunatamente, poco prima che la casa venga distrutta, Yeon-hee salva la ragazza.

Nonostante la scomparsa di A-yeong sia il perno che lega Min-chan, Yeon-hee e Yang-rae, la ragazza è più un personaggio simbolico che una vera protagonista. Il rapimento non riguarda tanto A-yeong in sé, quanto piuttosto l’effetto che ha sugli altri personaggi. L’effetto più importante della situazione di A-yeong è che simboleggia ciò che è accaduto alla sorella di Yeon-hee, la quale si rimprovera di non essere stata in grado di salvare la sorella e, quando salva A-yeong, riesce finalmente a perdonarsi per il passato.

Shin Hyeon-bin in Tre rivelazioni
Shin Hyeon-bin in Tre rivelazioni. Foto di Cho Wonjin/Netflix © 2025

Il ruolo di Min-chan con Yang-rae nella vicenda

Uno degli elementi più complicati di Tre Rivelazioni è però il coinvolgimento di Min-chan con Yang-rae. Inizialmente, Min-chan vuole aiutare Yang-rae come membro della chiesa. Tuttavia, la sua buona volontà si trasforma rapidamente quando sospetta che Yang-rae abbia rapito suo figlio. Min-chan segue allora Yang-rae nel bosco e si scontra con lui, facendolo cadere in un burrone e provocandogli una grave ferita. Min-chan è terrorizzato, ma alla fine decide di spingere Yang-rae giù da un dirupo e sembra che lo faccia dopo aver visto un segno di Dio.

In definitiva, questa è la parte più importante della storia di Min-chan. Dopo aver visto un simbolo sul fianco di una montagna, Min-chan crede di dover uccidere Yang-rae perché è la volontà di Dio. Il suo pensiero è che sta liberando il mondo da un peccatore. Pertanto, quando Yang-rae finisce per sopravvivere e tornare, Min-chan è determinato a ucciderlo una volta per tutte. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che Yang-rae è l’unico a sapere dove si trova A-yeong, quindi una volta che Min-chan lo avrà ucciso, la polizia avrà meno possibilità di trovare A-yeong viva.

Perché Yeon-hee ha avuto le visioni di sua sorella

Mentre Min-chan si occupa di Yang-rae, Yeon-hee cerca di capire come questi due uomini siano collegati al rapimento di A-yeong. Nel corso di questa indagine, la detective è perseguitata dai suoi demoni, in particolare dal fantasma di sua sorella. Cinque anni prima, la sorella di Yeon-hee era stata rapita e torturata da Yang-rae. Riuscì a fuggire, ma alla fine si tolse comunque la vita. Yeon-hee ritiene dunque che sia colpa sua non aver salvato la sorella. Per questo motivo, il fantasma di lei le urla continuamente contro, chiedendo di sapere perché non era presente quando aveva più bisogno di lei.

La crescita di Yeon-hee in Tre Rivelazioni è forse una delle parti migliori del film. Yeon-hee è chiaramente angosciata dalla morte della sorella e dalla ricomparsa di Yang-rae. Tuttavia, approfondendo il caso di A-yeong, si rende conto che l’assassino è un essere umano proprio come lo era sua sorella e merita maggiore empatia. Di conseguenza, cerca di saperne di più su Yang-rae, il che la aiuta a capire dove è tenuta prigioniera A-yeong. Inoltre, si trova a fare i conti con il fatto che la morte di sua sorella non è avvenuta per mano sua, ma per qualcosa che è sfuggito al suo controllo.

Ryu Jun-yeol in Tre rivelazioni
Ryu Jun-yeol in Tre rivelazioni. Foto di Cho Wonjin/Netflix © 2025

La spiegazione del passato di Yang-rae e del suo tragico destino

Nella prima metà di Tre Rivelazioni, Yang-rae è dunque caratterizzato come un essere umano malvagio. È un noto criminale che ha torturato la sorella di Yeon-hee e rapito A-yeong. Tuttavia, al culmine del film, si scopre che Yang-rae ha sofferto di un’infanzia traumatica, che lo ha portato a questi comportamenti orribili. Lo psicologo di Yang-rae spiega che il padre lo picchiava ogni giorno, lasciandogli innumerevoli bruciature e cicatrici. Mentre queste percosse avevano luogo, la madre stava fuori dalla porta, cantando inni e pregando per lui. Questo ha lasciato Yang-rae in uno stato psicologico profondamente turbato.

Il dilemma morale con cui ci si confronta è dunque se Yang-rae possa essere perdonato o meno. Non c’è dubbio che abbia agito in modo malvagio quando ha commesso i suoi crimini; tuttavia, il film suggerisce che non era necessariamente in uno stato mentale sano. A causa del suo trauma infantile, Yang-rae potrebbe meritare la stessa compassione delle sue vittime. Yeon-hee sembra alla fine perdonarlo, mentre Min-chan rimane convinto che sia un peccatore senza possibilità di redenzione. Alla luce di ciò, gli spettatori sono quindi chiamati a dare il proprio giudizio su Yang-rae.

La verità sul “mostro con un occhio solo”

Al centro della tragica storia di Yang-rae c’è poi il “mostro con un occhio solo”. Quando le autorità visitano per la prima volta il suo appartamento, trovano un disegno terrificante di questo presunto “mostro con un occhio solo”, che sembra contenere diverse persone al suo interno. All’inizio si pensa che Yang-rae sia semplicemente pazzo, ma quando poco prima di morire dice a Yeon-hee che A-yeong è stata inghiottita dal “mostro con un occhio solo”, la detective si mette alla ricerca di cosa significhi. Alla fine, si rende conto che il mostro rappresenta le case con un’unica finestra a forma di occhio di pesce.

Sebbene il “mostro con un occhio solo” sia un luogo fisico e non un vero e proprio mostro come gli zombie di Train to Busan, ha un significato simbolico per Yang-rae. In gioventù, egli è stato maltrattato in una stanza con una sola finestra e il trauma subito ha trasformato un normale elemento abitativo in un vero e proprio mostro. Yang-rae credeva davvero che questo mostro fosse un pericolo per lui e forse sentiva di dovergli offrire più violenza per tenerlo a bada, motivo per cui ha commesso i suoi crimini.

Shin Hyeon-bin e Ryu Jun-yeol in Tre rivelazioni
Shin Hyeon-bin e Ryu Jun-yeol in Tre rivelazioni. Foto di Cho Wonjin/Netflix © 2025

La spiegazione dell’apofenia di Min-chan

In Tre Rivelazioni, Yeon-hee e la polizia scoprono che Min-chan ha tentato di uccidere Yang-rae. Viene quindi mandato in prigione per il suo crimine, nonostante le sue proteste sul fatto che Dio lo abbia influenzato. Più tardi, lo psichiatra di Yang-rae spiega a Yeon-hee che Min-chan probabilmente soffriva di apofenia, un fenomeno per cui le persone vedono schemi in cose che in realtà non esistono. Quando Min-chan vedeva i suoi segni da parte di Dio, in realtà non c’era nulla. Questa diagnosi viene confermata alla fine del film, quando Min-chan trova un altro “segno” nella sua cella.

Tre Rivelazioni conferma quindi che Min-chan soffre di apofenia, ma il pubblico potrebbe chiedersi se questa sia una copertura per il vero male di Min-chan. Forse Min-chan ha sviluppato l’apofenia solo come modo per permettersi di compiere atti di violenza. Questo avrebbe senso se si considera che la moglie lo tradiva, il che probabilmente gli ha fatto aumentare la rabbia e lo stress. In questo modo, i suoi crimini potrebbero essere stati anche peggiori di quelli di Yang-rae.

Il vero significato di Tre Rivelazioni

In definitiva, Tre Rivelazioni è un film tanto emozionante quanto illuminante. Attraverso le storie di Min-chan, Yang-rae e Yeon-hee, gli spettatori sono costretti a fare i conti con le proprie convinzioni sulla moralità. Devono decidere se chi commette un crimine è una persona veramente malvagia o se sta accadendo qualcosa di più complicato dentro di loro. Inoltre, il pubblico vede come un trauma possa avere un impatto pericoloso sulla vita di una persona. In definitiva, Tre Rivelazioni mette in crisi l’idea di bene e male puro.

Daredevil: Rinascita – Stagione 2: nuove foto dal set rivelano che l’eroe finalmente indosserà il suo costume nero

0

L’eroe protagonista interpretato da Charlie Cox nella seconda stagione di Daredevil: Rinascita sta per rinnovare il suo costume nero, come rivelano le nuove foto dal set del Marvel Cinematic Universe che mostrano Matt Murdock con un look tutto nuovo. Mentre la prima stagione di Daredevil: Rinascita è attualmente in corso, la seconda stagione è già in lavorazione, poiché la Marvel Studios continua le avventure del Diavolo di Hell’s Kitchen. Anche se i dettagli della trama della seconda stagione di Daredevil: Rinascita non sono stati ancora annunciati ufficialmente, stanno iniziando ad emergere ulteriori indizi attraverso varie foto e video dal set.

Anche se la seconda stagione di Daredevil: Rinascita non arriverà prima del 2026, i fan di lunga data della Marvel Comics potranno finalmente vedere Cox con il suo famoso costume nero. Mentre la produzione della seconda stagione di Daredevil: Born Again è attualmente in corso, nuove foto dal set (tramite @petergcornell) rivelano il veterano dell’MCU con il suo costume nero, mentre esce dall’acqua.

Clicca qui per vedere le foto dal set della seconda stagione di Daredevil: Born Again con Charlie Cox nel costume nero.

Cosa rivelano le foto dal set della seconda stagione di Daredevil: Rinascita con Charlie Cox

Al momento della pubblicazione delle foto dal set della seconda stagione di DDaredevil: Rinascita, Cox sembra essere l’unico personaggio coinvolto nella scena, circondato dai membri della troupe. Resta da vedere se altri personaggi faranno parte di questa scena, ma con Matt che emerge dall’acqua, potrebbe trattarsi di una sequenza di combattimento in cui è stato costretto a fuggire. È difficile dire se il nuovo costume nero di Cox abbia o meno il logo DD, poiché sembra essere una variante del costume Shadowland dei fumetti.

Anche se la seconda stagione potrebbe non essere un adattamento di Shadowland, i trailer della prima stagione di Daredevil: Rinascita hanno già indicato che Matt aveva almeno un costume nero realizzato dopo la terza stagione di Daredevil. Considerando che altre foto dal set della seconda stagione di Daredevil: Rinascita mostrano Matt in modalità incognito, il passaggio a un costume nero ha perfettamente senso. Dato che le attività dei vigilanti sono una delle cose che il sindaco Fisk sta cercando di tenere sotto controllo, la seconda stagione di Daredevil: Rinascita si preannuncia chiaramente ancora più impegnativa per Matt.

The Alto Knights – I due volti del crimine: recensione del film con Robert De Niro

0

L’ormai ultraottantenne Robert De Niro ritorna sul grande schermo per sorprendere il pubblico interpretando il personaggio che più gli si addice: il boss criminale. Diretto dal noto regista Barry Levinson (premio Oscar alla regia per Rain Man- L’uomo della pioggia), The Alto knights – I due volti del crimine è infatti il nuovo gangster movie ispirato alla vera storia dei due storici capi mafiosi Frank Costello e Vito Genovese. Il  film, ideato già negli anni 70, è entrato effettivamente in produzione solo nel 2022, subendo anche diversi rallentamenti collegati agli scioperi SAG AFRA nel 2023.

Oltre al già citato De Niro, il quale interpreta qui entrambi i boss mafiosi, sono presenti nel cast figure già ampiamente note nel panorama cinematografico internazionale. Debra Messing (Will & Grace) interpreta Bobbie, la moglie di Frank Costello, mentre Katherine Narducci (The irishmanI soprano) qui è nel ruolo di Anna, moglie di Vito. Ma tutte le attenzioni, ovviamente, sono rivolte alla duplice interpretazione di De Niro, che si sdoppia per dar volto alle molteplici facce del crimine.

La trama di The Alto knights – I due volti del crimine: la fratellanza mafiosa

Il film si apre in medias res: Frank Costello sta aspettando l’ascensore per salire nel suo attico, quando gli arriva un colpo di pistola dritto alla testa. Il sicario, il gangster Vincent Gigante, scapperà subito dopo, senza accorgersi di non aver completato il suo lavoro: Frank è ancora vivo. Da qui parte la narrazione vera e propria, affidata allo stesso Frank di alcuni anni dopo, in  forma di flashback. Tutto nasce a Manhattan, dove, all’inizio del ventesimo secolo, Frank Costello e Vito Genovese, figli entrambi di operai immigrati italiani, sognano un  futuro più florido per loro e cercano di ottenerlo ad ogni costo. Abbandonata  la scuola, i due si dedicano a traffici illegali, tra cui nell’epoca del proibizionismo, anche gli alcolici.

Per Frank sarebbe abbastanza aprire un attività, un bar magari, ma Vito vuole di più. Dopo essere stato condannato per duplice omicidio, Vito è costretto a lasciare l’America, per poi farci ritorno solo alcuni decenni dopo, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel frattempo, la gestione di tutti gli affari ricade sulle spalle di Frank, il quale governa il suo regno mafioso nella maniera più cauta e pacifica possibile. Ma Frank doveva essere solo un reggente: al suo ritorno, Vito vuole che gli venga restituito tutto il suo potere e il suo ruolo di boss. Dopo diversi decenni, però, il mondo non è più lo stesso e il comportamento di Vito può creare grandi rischi per tutti.

Frank Costello, il gangster gentleman

Già noto al grande pubblico e descritto dalla stampa dell’epoca come il primo ministro della malavita, Costello è certamente un personaggio molto peculiare. Si tratta di un gangster cauto e astuto, capace di comprendere a pieno la società in cui vive e di rispettarne le regole, in modo da poter trarre profitto da tutto. Frank non si dedica solamente a traffici clandestini, ma cerca anche di creare legami con politici, sindaci e poliziotti, in modo tale da poter agire in maniera indisturbata, e soprattutto senza bagni di sangue. Con Frank al potere, la pace e la prosperità regna in tutto il territorio di New York.

Frank si presenta pubblicamente come un uomo pulito, totalmente avulso dal mondo mafioso: vive in un lussuoso attico con la moglie, con cui è sposato da più di trent’anni, organizza e partecipa a eventi di beneficienza. Il suo obiettivo principale è proprio mantenersi spettabile davanti al vigile occhio sociale. Dopo il ritorno di Vito in America, continuare a mantenersi dissociato dalla vita da gangster diventa sempre più difficile per Frank, anche per i coinvolgimenti creati dalla moglie di Vito, Anna. Ma con la sua furbizia, Costello trova sempre una soluzione.

Vito Genovese, l’altra faccia di Robert De Niro

Siete cresciuti insieme, giocavate insieme, rubavate insieme.

Vito Genovese sembra invece essere in The Alto knights – I due volti del crimine una figura uguale e opposta a Frank: cresciuto come lui in una famiglia di immigrati italiani, convertito alle attività clandestine. Ma Vito ha sviluppato fin da ragazzo un’avidità, una fame di potere maggiore rispetto al suo amico d’infanzia. Vito è disposto a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi, e proprio per questo si aspetta che gli altri  facciano lo stesso. Frank giustifica il comportamento quasi paranoico di Vito con le sue origini: il gangster è nato in un piccolo comune della provincia di Napoli, alle pendici del Vesuvio, e questo lo ha portato a stare sempre all’erta.

E’ certamente interessante notare come due personaggi così diametralmente diversi siano contemporaneamente frutto della bravura dello stesso attore: Robert De Niro riesce facilmente a dare una connotazione diversa alle due performance interpretative dei due protagonisti del film, mettendo a segno un altro convincente ritratto di gangster dopo quelli recenti di The Irishman Killers of the Flower Moon, entrambi sotto la guida del fidato amico Martin Scorsese.

La verve comica di The Alto knights – I due volti del crimine

Nonostante si tratti di un gangster movie, anche in The Alto knights – I due volti del crimine sono presenti degli elementi più ironici: molti di questi sono collegabili allo stesso personaggio di Vincent Gigante. Il ragazzo, alle prime armi nelle attività mafiose, è riuscito a fallire nell’attentato a Frank, sparandogli un solo colpo poco mirato alla testa, e non controllando che l’uomo fosse effettivamente morto. Il dialogo con cui Vito gli rimprovera la sua incompetenza, rimarcata anche verso la fine del film, è certamente molto ironico. In definitiva, pur appartenendo a un filone cinematografico molto sfruttato negli anni, The Alto Knights – I due volti del crimine riesce a trovare una sua individualità, affermandosi come un ottimo gangster movie.

The Four Seasons: trailer della nuova serie Netflix remake del film

0

Il trailer di The Four Seasons rivela che Tina Fey e Steve Carell tornano insieme nella serie Netflix con un cast stellare, remake della commedia classica di Alan Alda. Basata sul film omonimo del 1981 scritto, diretto e interpretato da Alda, la miniserie Netflix in arrivo è stata creata e scritta da Tina Fey, Lang Fisher e Tracey Wigfield, già autrici di 30 Rock. Fey recita anche nella serie al fianco di Steve Carell, con cui torna a recitare dopo Date Night del 2010. Il cast include anche Colman Domingo, Erika Henningsen, Kerri Kenney-Silver, Will Forte e Marco Calvani.

Ora, Netflix ha svelato il primo teaser trailer ufficiale di The Four Seasons. Il trailer presenta una storia simile a quella del film del 1981, seguendo sei amici di lunga data nel corso di quattro vacanze stagionali in primavera, estate, autunno e inverno. Il gruppo di amici, composto da tre coppie, affronta gli alti e bassi della vita mentre intraprende quattro diverse fughe. Guarda il trailer qui sotto:

Cosa significa il trailer di The Four Seasons per la serie

Innanzitutto, il trailer di The Four Seasons rivela la reunion sullo schermo di Tina Fey e Steve Carell. I due hanno recitato insieme per la prima volta nel film romantico-comico del 2010 Date Night, nei panni di una coppia sposata annoiata che cerca di riaccendere la fiamma del romanticismo con una serata glamour, ma finisce per ritrovarsi in un’avventura inaspettata e pericolosa. Questa volta, Fey e Carell non interpretano una coppia in The Four Seasons, poiché la prima è in coppia con Will Forte e Carell con Kerri Kenney-Silver. Tuttavia, l’intesa tra Fey e Carell sullo schermo dovrebbe comunque trasparire come amici.

Il trailer di The Four Seasons rivela come il remake della serie Netflix aggiorna il film di Alan Alda del 1981. Da notare l’inclusione di una coppia gay, Danny e Claude, interpretati da Colman Domingo e Marco Calvani. Nel film, tutte e tre le coppie erano eterosessuali. Per il resto, la maggior parte dei personaggi sembrano ispirati al film originale, rendendo abbastanza facile indovinare chi interpreta ogni ruolo.

Ad esempio, il ruolo di Tina Fey sembra essere quello originariamente interpretato da Carol Burnett. Tuttavia, il primo teaser non rivela quale delle tre coppie sia in difficoltà.

The Handmaid’s Tale – Stagione 6: il final trailer della serie!

0
The Handmaid’s Tale – Stagione 6: il final trailer della serie!

Hulu ha rilasciato il trailer definitivo della sesta e ultima stagione di The Handmaid’s Tale, che anticipa ciò che June Osborne (Elisabeth Moss) deve ancora affrontare prima che le luci si spengano su questo dramma distopico. La stagione debutterà l’8 aprile con i primi tre episodi. La serie ha ormai adeguatamente preparato gli spettatori a una rivoluzione e in questa stagione essa non è più una promessa, ma una realtà.

Nel trailer, June è in giro con Luke (O-T Fagbenle) in direzione di Gilead, il che porta a molte domande. Come e dove si sono riuniti dopo che June e sua figlia sono partite su un treno dal Canada mentre la polizia arrestava Luke? June è visibilmente combattuta tra i due amori della sua vita: Luke e Nick (Max Minghella), il quale continua a rischiare tutto per salvarla, a prescindere dalle conseguenze.

Poi c’è la grande rivelazione: Serena (Yvonne Strahovski) non solo ha ritrovato la strada per Gilead, ma sta anche percorrendo la navata di una chiesa indossando un abito azzurro, mentre le ancelle la circondano. Chi è il suo sposo? Più avanti nel trailer, si scopre che è il nuovo personaggio di Josh Charles quando porta la sua nuova sposa oltre la soglia della loro nuova casa. Ad ogni modo, una volta scoppiata la guerra, le ancelle si dimostreranno armate e disposte a uccidere chiunque ostacoli la loro libertà.

Quello che sappiamo su The Handmaid’s Tale – Stagione 6

Hulu ha fissato la data della première della sesta e ultima stagione di The Handmaid’s Tale per l’8 aprile, con i primi tre episodi. I successivi seguiranno ogni martedì fino al finale del 27 maggio.

Nella stagione finale, lo spirito inflessibile e la determinazione di June (Elisabeth Moss) la riportano nella lotta per distruggere Gilead. Luke e Moira si uniscono alla resistenza. Serena cerca di riformare Gilead, mentre il Comandante Lawrence e la zia Lydia fanno i conti con ciò che hanno provocato e Nick affronta una difficile prova di carattere. Questo capitolo finale del viaggio di June sottolinea l’importanza della speranza, del coraggio, della solidarietà e della resilienza nella ricerca della giustizia e della libertà.

La sesta stagione è interpretata da Elisabeth MossYvonne StrahovskiBradley Whitford, Max Minghella, Ann Dowd, O.T. Fagbenle, Samira Wiley, Madeline Brewer, Amanda Brugel, Sam Jaeger, Ever Carradine e Josh Charles.

La serie è prodotta da MGM Television. La sesta stagione è prodotta da Bruce Miller, Warren Littlefield, Eric Tuchman, Yahlin Chang, Elisabeth Moss, Sheila Hockin, John Weber, Frank Siracusa, Steve Stark, Kim Todd, Daniel Wilson e Fran Sears. La serie è distribuita a livello internazionale da Amazon MGM Studios Distribution.

The Residence: recensione della serie Netflix con Uzo Aduba

0
The Residence: recensione della serie Netflix con Uzo Aduba

Netflix e Shondaland tornano a collaborare con The Residence, una serie mistery in otto episodi creata da Paul William Davies e ispirata al libro The Residence: Inside the Private World of the White House di Kate Andersen Brower. Tra intrighi, omicidi e un cast corale di personaggi stravaganti, la serie si posiziona a metà tra la classica detective story e la commedia satirica, con una vena di assurdità che la rende irresistibile. 

La storia intricata di The Residence

La vicenda prende il via durante una cena di stato alla Casa Bianca, organizzata per rinsaldare i rapporti con l’Australia. Mentre gli ospiti si godono la serata e la performance di Kylie Minogue, un urlo squarcia l’aria: il Capo Usciere della Casa Bianca, A.B. Wynter (Giancarlo Esposito), è stato trovato morto nella sala del biliardo. L’indagine viene affidata alla detective Cordelia Cupp (Uzo Aduba), un’investigatrice eccentrica con una passione per il birdwatching e le sardine in scatola. Accompagnata dal riluttante agente dell’FBI Edwin Park (Randall Park), Cordelia si addentra nei segreti dell’edificio più sorvegliato d’America, interrogando ospiti e membri dello staff per ricostruire gli eventi della fatidica notte.

Cordelia Cupp è un personaggio memorabile

Il fascino della serie risiede nel suo tono ironico e nel cast eccezionale. Aduba regala una performance magnetica, Cordelia è un personaggio memorabile: brillante, bizzarra e sempre un passo avanti agli altri. Al suo fianco spiccano Giancarlo Esposito nel ruolo della vittima, Susan Kelechi Watson nei panni della sua ambiziosa vice Jasmine Haney e Jane Curtin, l’esilarante suocera alcolizzata del Presidente. La presenza di Al Franken nei panni di un senatore cinico aggiunge un ulteriore strato di satira politica.

La narrazione si sviluppa su due linee temporali: da un lato, l’indagine di Cordelia, arricchita da flashback e versioni contrastanti degli eventi; dall’altro, un’audizione al Congresso in cui Jasmine e altri testimoni tentano di chiarire il mistero. Questo doppio livello di racconto mantiene alta la tensione, anche se a volte la serie sembra perdersi nei suoi stessi intrecci. Il numero elevato di personaggi e sottotrame può risultare dispersivo, aspetto aggravato da alcuni flashback dedicato alla passione di Cordelia per l’ornitologia e il birdwatching. Il ritmo risulta rallentato in questi frangenti, ma il personaggio si arricchisce, diventando sempre più bizzarro e approfondito.

Una residenza di lusso per un Cluedo contemporaneo

Visivamente, The Residence è un gioiello. La Casa Bianca viene trasformata in un gigantesco puzzle, con stanze nascoste e corridoi segreti che amplificano il senso di mistero e rendono più complessa la risoluzione del crimine. La regia di Liza Johnson e Jaffar Mahmood gioca con prospettive insolite e un montaggio vivace, mentre la colonna sonora omaggia il cinema noir e i classici del giallo, senza dimenticare le derive più moderne dei classici whodunit, come la serie di Knives Out di Rian Johnson o gli ultimi adattamenti da Agatha Christie con Kenneth Branagh (tutti che vengono esplicitamente citati dai personaggi).

La satira sociale

Nonostante il tono leggero, che struttura l’indagine con intriganti svolte e con le piacevoli digressioni di Cordelia che si orienta nel mondo degli esseri umani grazie agli insegnamenti del comportamento degli uccelli che ama avvistare, The Residence non si risparmia quando si parla di satira sociale e di critica alle alte cariche della società. Il cast corale  rappresentativo e variegato e si confronta alla fine con la meschinità del mondo moderno, che concentra potere e autorità nelle mani di pochi, ma non quelli che ci aspetteremmo, per cui la serie mantiene una componente di imprevedibilità che la rende ancora più divertente, fino al confronto finale, con tanto di atteso ma necessario spiegone su “come sono andate davvero le cose”.

In definitiva, The Residence è una serie con una trama coinvolgente e con dei protagonisti sopra le righe, che unisce il fascino di un giallo alla Agatha Christie con l’umorismo dissacrante tipico di ShondalandUzo Aduba brilla nel ruolo della detective Cordelia Cupp, e il cast di supporto contribuisce a rendere ogni episodio un’esperienza spassosa e avvincente. Un whodunnit in salsa comica da divorare in un binge-watching senza rimpianti.

Biancaneve: recensione del live-action Disney con Rachel Zegler

Biancaneve: recensione del live-action Disney con Rachel Zegler

Biancaneve è il classico dei classici. Primo film d’animazione a colori Disney, nonché uno dei suoi maggiori successi al botteghino, è riuscito a entrare nell’immaginario collettivo come una delle fiabe più amate, con una delle principesse più memorabili. Nell’era dei live-action, prodotti ormai con continuità, era quindi impensabile escludere proprio il primo lungometraggio che segnò un’epoca straordinaria per la Casa di Topolino e per generazioni di bambini. E così, dopo un iniziale stop dovuto alla pandemia, le riprese hanno preso il via nel 2022 sotto la direzione di Marc Webb.

Come accaduto per La Sirenetta, anche questo live-action non è stato esente da critiche e polemiche, legate alla scelta della protagonista. Non è cambiato nulla rispetto alle accuse rivolte alla produzione per aver selezionato un’attrice che non rispecchiasse nella carnagione la piccola sirenetta, polemica poi messa a tacere dalla performance di Halle Bailey, che ha dimostrato come il valore di una storia emerga ben oltre il colore della pelle. Lo stesso destino è toccato a Rachel Zegler, criticata per una carnagione ritenuta troppo scura per interpretare Biancaneve, rinomata per la pelle bianca come la neve e le labbra rosse. Eppure, nel film, che si apre sfogliando il classico libro delle favole, viene subito spiegato l’origine del suo nome: è nata durante una bufera di neve e, nonostante il gelo, questa neve, lei, è riuscita “a dominarla”, come sottolinea la narrazione più volte.

La pellicola, in uscita nelle sale il 20 marzo, è scritta da Erin Cressida Wilson, con canzoni originali curate da Pasek & Paul.

La trama di Biancaneve

In un regno lontano, circondato da amore e serenità, la regina dà alla luce una bambina, in una giornata di neve. E poiché la piccola dimostra una straordinaria forza, non lasciandosi indebolire dal gelo, le viene dato il nome di Biancaneve. Cresce felice, ballando e infornando torte per i sudditi, con la promessa ai genitori di rimanere sempre impavida, buona, e giusta.

Ma la sua vita è destinata a cambiare: alla morte della madre, una donna bellissima arriva a palazzo, ammaliando il re. Ben presto la sua natura si rivela, e, quando convince il sovrano a partire per una missione volta a salvare alcune terre, la Regina Grimilde prende il potere, gettando il regno nell’oscurità e nel terrore. Biancaneve viene relegata nell’ala più alta del castello, come serva, ignara che Grimilde, invidiosa di lei, stia progettando di ucciderla. Seguendo la storia del film d’animazione, Biancaneve, una volta fuggita, si ritrova nella casa dei sette nani, ma questa volta sceglie di combattere, affiancata da Jonathan, un ribelle ladro che, anziché essere un principe, lotta in nome del re ormai scomparso.

Scenografie sontuose, fotografia magica. I sette nani? Una sorpresa

I trailer diffusi nel 2024 avevano già dato un’idea di ciò che sarebbe stato il film, e la visione completa conferma molte delle impressioni iniziali. La ricostruzione degli interni del castello, del regno e persino della dimora dei sette nani riesce a restituire quella magia tipica delle fiabe Disney, merito senza dubbio di una scenografia sontuosa e di una fotografia elegante dai toni caldi, che avvolge lo spettatore trasportandolo in un mondo di sogni, speranze e meraviglia. Il grande impegno produttivo è evidente anche nei costumi, realizzati con cura per evitare il famigerato effetto cosplay, ma purtroppo, il celebre abito blu e giallo di Biancaneve, indossato da Rachel Zegler, risulta il meno incisivo tra tutti.

Per quanto riguarda invece i sette nani, al centro di numerose discussioni, dobbiamo ricrederci: sebbene la CGI non sia impeccabile e il loro design non brilli per bellezza – al punto che alcuni potrebbero persino risultare inquietanti – la loro caratterizzazione è riuscita. Sono loro il vero cuore emotivo del film, con un’energia che li rende autentici e, a conti fatti, anche i più divertenti. Simpatici, buffi, genuini: i sette nani si rivelano la sorpresa di un film che, invece, non trova il suo punto di forza nei protagonisti principali.

Il punto debole di Biancaneve

E qui arriviamo al problema principale: attori e sceneggiatura, due pilastri fondamentali per il successo di un film. Se nelle prime scene la narrazione sembra funzionare, tutto inizia a vacillare dopo la canzone Waiting On a Wish, che, va detto, non ha la stessa potenza sonora in doppiaggio. Dal momento in cui Biancaneve fugge nel bosco, la pellicola prende una piega differente. Diversi passaggi narrativi risultano poco chiari, con dinamiche affrettate e scene che si interrompono bruscamente, creando un ritmo spezzato che finisce per distanziare il pubblico dalla storia.

A rafforzare questo distacco è la performance di Rachel Zegler, che in molte sequenze carica troppo le espressioni facciali, rendendo evidente la finzione. Anche Gal Gadot, pur mostrando impegno, fatica a trasmettere appieno la crudeltà e l’invidia di Grimilde. Questo perché, pur avendo assorbito il fascino del personaggio con sguardi intensi e sorrisi malvagi, si scontra con uno script che non valorizza a dovere la villain. Grimilde avrebbe potuto avere maggiore profondità, ma la sceneggiatura la priva di sfumature, rendendo il climax finale debole e respingente nello scontro con la sua rivale in bellezza.

Il valore del grande classico

Se alcuni aspetti lasciano l’amaro in bocca, Biancaneve riesce comunque a regalare momenti di nostalgia grazie ai numerosi riferimenti al classico del 1937, che conquisteranno gli amanti della pellicola originale e i fan Disney. La riproduzione di scene iconiche – come la trasformazione di Grimilde, la fuga nel bosco e i sette nani al lavoro in miniera – è un omaggio commovente. Sono questi i momenti che creano il legame più forte con il passato, suscitando quel senso di familiarità per chi, da bambino, ha visto e rivisto Biancaneve e i sette nani in VHS accoccolato sul divano, premendo il tasto rewind ogni volta che finiva. Un tuffo, perciò, nei ricordi d’infanzia. Una scelta forse prevedibile, ma anche profondamente sentita, che per le vecchie generazioni diventa un motivo in più per rimanere a guardare.

The Equalizer 2 – Senza perdono: la spiegazione del finale del film

The Equalizer – Il vendicatore è il thriller d’azione del 2014 che ha visto Denzel Washington interpretare Robert McCall, un marine letalmente pericoloso diventato ufficiale della DIA. Nel teso film, diretto da Antoine Fuqua, il personaggio di Washington torna in azione con riluttanza per salvare un adolescente dalla mafia russa. Dato il successo di questo lungometraggio, è poi stato realizzato un sequel, The Equalizer 2 – Senza perdono, in cui Robert e il suo ex collega Dave York indagano sull’omicidio di un’altra collega, Susan Plummer, uccisa da assalitori non visti durante quella che sembrava una rapina a Bruxelles.

Nell’indagare su questo omicidio, non ci vuole poi molto perché l’antieroe incallito di Washington scopra la scioccante verità che ha porta al finale. Nel frattempo, un artista adolescente problematico di nome Miles si è offerto di dipingere un murales nell’appartamento di Robert. Queste due trame convergono nelle scene finali di The Equalizer 2 – Senza perdono, quando Miles viene rapito dall’assassino di Susan e Robert deve tornare nella sua città natale per affrontare gli assassini. Nel frattempo, il finale fornisce anche nuove informazioni sulla visione del mondo di Robert, sulle sue lotte e sul percorso che lo ha portato a una vita di protezione degli innocenti.

La spiegazione del finale di The Equalizer 2 – Senza perdono, chi ha ucciso Susan Plummer?

È scioccante apprendere che èstato l’apparentemente dolce e onesto Dave York interpretato da Pedro Pascal a uccidere Susan in The Equalizer 2 – Senza perdono. La donna era stata incaricata di risolvere un caso a Bruxelles dove un agente della CIA ha ucciso la moglie per poi spararsi. Tuttavia, è stata eliminata prima di poter stabilire cosa effettivamente fosse successo. A farla fuori è stato proprio Dave, responsabile di quel crimine. Insieme agli altri ex colleghi di Robert, Kovak, Ari e Resnik, si è infatti dato al crimine dopo essere stati abbandonati dalla DIA nonostante anni di fedele servizio. Sapendo che Susan sarebbe arrivata ad incastrarli, hanno dunque deciso di eliminarla.

Alla luce di ciò, anche se Dave ha trascorso la maggior parte del film cercando di trovare l’assassino di Susan insieme a Robert, si è alla fine rivelato proprio lui il colpevole dell’omicidio. Robert se ne rende conto quando vede il numero di Dave nell’elenco delle chiamate di un assassino che ha tentato, senza riuscirci, di uccidere Robert. A questo punto il sequel diventa veramente brutale: Dave e i suoi soci rapiscono Miles e seguono Robert fino alla sua città natale in riva al mare. Lì, usando la torre di guardia locale come base, Robert li fa però fuori usando una forte tempesta come copertura, per poi affrontare Dave in un combattimento uno contro uno.

Denzel Washington e Pedro Pascal in The Equalizer 2 – Senza perdono
Denzel Washington e Pedro Pascal in The Equalizer 2 – Senza perdono © 2018 – Sony Pictures

Perché c’è un uragano nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono?

L’uragano nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono è un classico caso di fallacia patetica, in cui la natura diventa l’incarnazione delle emozioni dei personaggi. L’omicidio di Susan da parte di Dave ha sconvolto i ricordi di Robert sul periodo trascorso insieme alla DIA e lo ha costretto a confrontarsi con gli orrori del suo passato. Così, la sua città natale è stata letteralmente fatta a pezzi mentre, interiormente, Robert sentiva che anche la sua meritata pace era stata interrotta e fatta a pezzi. L’immagine dell’uragano esteriorizza quindi l’agitazione interna di Robert, che si rende conto che non si può mai tornare veramente a casa dopo aver vissuto gli orrori della guerra. Robert deve invece accettare brutalmente di aver fatto parte della squadra di Dave e di dover uccidere i suoi ex amici.

Il significato della morte di Dave, Kovak, Ari e Resnik

Robert attirato quindi Kovak, Ari e Resnik nella sua città natale e li uccide con un fucile subacqueo, dei coltelli e un’esplosione di polvere. In termini pratici, Robert ha ucciso questi scagnozzi uno alla volta per rendere più facile la resa dei conti finale. A livello metaforico, Robert aveva bisogno di tornare nella sua casa d’infanzia e di infliggere questi destini violenti ai suoi colleghi per uccidere le parti di sé che volevano trasformare la sua rabbia in una vendetta omicida. Robert, come i suoi colleghi, si sentiva ingannato e tradito da un governo noncurante dopo anni di fedele servizio. Per questo motivo, aveva bisogno di ucciderli per assicurarsi di non diventare come loro.

Infine, Robert ha lentamente pugnalato a morte Dave con il suo stesso coltello, utilizzando le tecniche che entrambi hanno imparato alla DIA. Dave si è appoggiato alla sua rabbia, amarezza e risentimento per diventare un assassino, mentre Robert ha rivolto la lama su Dave (e, per estensione, sul suo stesso risentimento). The Equalizer 2 – Senza perdono è stato il primo sequel nella carriera di Denzel Washington e questo pesante finale spiega perché. Quando Robert ha ucciso Dave, ha scelto la strada del perdono piuttosto che quella della vendetta violenta. Questo gli ha conferito un senso di responsabilità che mancava nel finale dell’originale The Equalizer – Il vendicatore.

Denzel Washington e Ashton Sanders in The Equalizer 2 – Senza perdono
Denzel Washington e Ashton Sanders in The Equalizer 2 – Senza perdono © 2018 – Sony Pictures

Il significato del murales di Miles

Per quanto riguarda la linea narrativa dedicata a Miles, nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono, il ragazzo dipinge un’idilliaca scena rurale sul lato dell’edificio in cui vive Robert. Il murale raffigura una comunità che si prende cura dei propri raccolti, riflesso dell’orto comune del condominio e testimonianza del potere della riabilitazione comunitaria. Dopo tanti spargimenti di sangue e morti, Robert non avrebbe potuto trovare uno scopo nella sua vita se non fosse stato per il potere riparatore della comunità. Offrendosi come mentore di Miles, Robert ha incarnato l’approccio olistico alla vita, incentrato sulla comunità, descritto nella visione utopica di Miles. Tuttavia, l’incapacità di Robert di offrire la stessa guida ai suoi colleghi lo perseguita dopo la loro morte per mano sua.

Il vero significato del finale di The Equalizer 2 – Senza perdono

Anche se il finale di The Equalizer 2 – Senza perdono non è del tutto tragico, c’è un forte senso di tristezza. Robert riunisce un sopravvissuto all’Olocausto con il fratello perduto da tempo grazie alle sue capacità, ma non riesce a costringere Dave a vedere un percorso per la sua vita che non sia definito dalla violenza e dalla punizione. Come dice il Nuovo Testamento, “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio”, e Robert se n’è reso conto quando si è dimostrato più facile cavare gli occhi a Dave che fargli capire l’errore dei suoi modi.

Robert avrebbe potuto facilmente diventare un altro mercenario scontento come Dave, Kovak, Ari e Resnik, e nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono è stato costretto a fare i conti con questo fatto. Incoraggiando Miles a perseguire l’arte invece di una vita criminale, Robert ha trasmesso la sua saggezza alla generazione successiva. Tuttavia, non è riuscito a salvare gli uomini con cui ha combattuto e, alla fine, è stato lui a doverli uccidere. Nonostante i suoi tentativi di aiutare i bisognosi, Robert McCall è dunque ancora turbato dai suoi limiti nel finale di questo film, poiché si rende conto che avrebbe potuto essere tentato dal crimine proprio come i suoi fratelli in armi. Forse è anche per questo che in The Equalizer 3 – Senza tregua, cerca pace lontano da quei luoghi.

The Monkey: recensione del nuovo film del regista di Longlegs

The Monkey: recensione del nuovo film del regista di Longlegs

Dopo aver trasformato Nicolas Cage nel suo incredibile LonglegsOsgood – detto Oz – Perkins rilancia con il nuovo The Monkey, distribuito al cinema da Eagle Pictures a partire dal 20 marzo 2025. Un film che riunisce parte di un ipotetico Gotha dell’horror, nel quale non potrebbero mai mancare James Wan (il padre delle saghe di The Conjuring e Saw, qui produttore) e Stephen King, autore del racconto (contenuto nella raccolta “Scheletri“) dal quale nasce questo adattamento, interpretato da Theo James, nel doppio ruolo del tormentato e disperato protagonista, e diretto appunto dal figlio dell’Anthony Perkins di Psycho.

Da Psycho a Stephen King

Che abbiamo visto muovere i primi passi su un set nel 1983, come ‘giovane Norman’ nel Psycho II di Richard Franklin, ed esordire alla regia nel 2015, con February – L’innocenza del male nel 2015, prima dell’interessante Sono la bella creatura che vive in questa casa nel 2016 e la versione personale del poco fiabesco Gretel e Hansel nel 2020, prima del citato Longlegs. E che per questo gradito ritorno sceglie di attingere alla storia “La scimmia“, pubblicata dal Re del Brivido nel novembre del 1980, dopo che in passato era stato Kenneth J. Berton, nel 1984, a farne un film con il suo Il dono del Diavolo (The Devil’s Gift).

La trama di The Monkey

Nel 1999, Petey Shelburn tenta di restituire, e distruggere, una scimmia giocattolo in un negozio di antiquariato, ma il congegno meccanito tutto è tranne che un gioco. Come dimostra la reazione a catena che si scatena, solo la prima stazione di una interminabile via crucis disseminata di morti incredibili che sembrano funestare la famiglia Shelburn e i due piccoli figli di Petey, Hal e Bill. Sono loro a sospettare del potere nefasto della scimmia e a disfarsene… ma per quanto? Venticinque anni dopo, infatti, i due, ormai separati dalla vita e dalla precisa intenzione di non avere nulla a che fare l’uno con l’altro, sono costretti a riavvicinarsi dall’inatteso riapparire del “giocattolo”. Ma se non fosse un caso? Come potrebbe Hal evitare che la maledizione ricada su suo figlio Petey?

Il destino è quel che è

Tutti muoiono, il film ce lo ricorda, ma accettato questo assunto tanto vale sbizzarrirsi. Chissà che non sia stato questo il pensiero di Oz Perkins nell’architettare questo adattamento infarcendolo di invasioni di vespe assassine, donne che esplodono e incidenti mortali di ogni tipo, nel quale il pericolo è dietro ogni angolo, dalla piscina al ristorante, sia che si resti in casa sia che si vada a fare shopping. Morti talmente assurde, esagerate ed esplicite da fargli andare stretto persino il collegamento – spontaneo, a vedere il film – con il franchise di Final Destination, e che probabilmente faranno la gioia di molti appassionati del genere.

Il Dark Humour in The Monkey

Questo senso dell’umorismo ‘malato’ è in fondo la cifra principale del film, nel bene e nel male, visto che spesso, a fronte della grande creatività omicida e dell’abilità del regista a costruire gradualmente la tensione, viene a mancare proprio quella che dovrebbe essere la spina dorsale dell’horror. La forza evocativa e inquietante del giocattolo ha molta meno intensità e presa di altri suoi simili, sostanzialmente ridotto a osservatore silente e trasformato in una sorta di innesco di quello che è il vero conflitto, quello tra i due fratelli.

Una scelta spiazzante, che spezza in due il film, dopo un prologo avvincente e una premessa promettente, affidandosi spesso a cliché e a una storia debole nella sua rappresentazione, anche come mero tessuto connettivo tra sequenze emozionanti e visivamente di impatto, che finisce per dilungarsi eccessivamente prima della definitiva conclusione. Anche questo effetto della libertà che Perkins dimostra di prendersi nella trasposizione del racconto, insieme alla fondamentale aggiunta di un fratello gemello, elemento che gli permette di fare proprio il film e approfondire le dinamiche familiari (dal rifiuto della paternità al senso di colpa per quanto vissuto nell’infanzia) e i traumi che uniscono Hal e Bill, fino ad assumere i tratti di una vera e propria maledizione, da affrontare, accettare o scontare.

Un tentativo di catarsi personale per Perkins

Tutto ciò, unito alla relazione fratturata affidata al doppio Theo, aggiunge profondità al racconto e un peso specifico particolare al cercarsi e confrontarsi dei due gemelli. Forse non quella desiderata dallo spettatore medio, che certo non si aspetterà Bergman, ma si ritroverà di fronte a un progetto decisamente personale per il regista, che ha pubblicamente ammesso di continuare a sfruttare i propri film – almeno Longlegs e The Monkey – per affrontare la depressione causata dalla morte “mediatica” dei suoi genitori (il padre a causa dell’AIDS e la madre Berinthia “Berry” Berenson negli attentati dell’11 settembre 2001) e mettere in scena genitori assenti, le drammatiche conseguenze di certi segreti familiari, il desiderio di vendetta e la paura di una distruttiva coazione a ripetere il passato.

Attenti al gorilla

Attenzione a fraintendere, The Monkey è sufficientemente divertente, splatter e grottesco da appartenere a buon titolo al genere e da poter essere apprezzato dallo stesso King (nonostante il tradimento del suo originale), a patto di possedere lo stesso humour del regista e sceneggiatore. Che, come detto, a scelte convincenti di stile (dai titoli ‘western’ a una fotografia desaturata e un commento musicale ben calibrato) e una pletora di personaggi di contorno surreali, unisce uno sviluppo non sempre di livello. Per ritmo e coerenza. Che rischierà di annoiare qualcuno, forse i poco impressionabili, ma che per lo meno non si prende sul serio. Decisamente.

Sconfort Zone: la recensione della serie Prime Video di Maccio Capatonda

0

Marcello Macchia, meglio noto come Maccio Capatonda, torna con Sconfort Zone, una serie disponibile dal 20 marzo su Prime Video che rappresenta una svolta nella sua carriera, quasi una auto analisi che Macchia trasforma in racconto semi serio di una sua difficoltà personale. Conosciuto per il suo stile comico surreale e dissacrante, Capatonda questa volta si spinge oltre i confini della semplice parodia, esplorando il lato più intimo e vulnerabile della sua creatività.

Di cosa parla Sconfort Zone?

La serie segue Maccio Capatonda nei panni di sé stesso, alle prese con una profonda crisi creativa. Incapace di scrivere una nuova sceneggiatura, si affida alle cure del Professor Braggadocio (Giorgio Montanini), uno psicologo dai metodi non convenzionali che lo sottopone a una serie di esperimenti per aiutarlo a riscoprire la propria ispirazione. Quello che inizia come un percorso di rinascita artistica si trasforma presto in una vera e propria ridefinizione della sua identità, portandolo a mettere in discussione non solo la sua carriera, ma anche la sua intera esistenza.

Un esperimento metatestuale

Fin dalle prime immagini, Sconfort Zone si presenta come un’opera metatestuale, giocando con la realtà e la finzione. Il protagonista affronta prove che affondano in riflessioni su temi profondi come la malattia, la morte e il senso della propria arte. In un primo momento, questa virata verso un tono più drammatico può lasciare spiazzati i fan abituati alle gag esilaranti dell’attore abruzzese, ma man mano che la storia si sviluppa, emerge un perfetto equilibrio tra momenti di riflessione e la sua inconfondibile vena comica, mai del tutto abbandonata. Anche nei momenti più drammatici risulta difficile non stare allerta in attesa della prossima intrusione nel surrealismo tipico della comicità di Maccio.

Uno degli elementi più riusciti della serie è la presenza di Valerio Desirò nei panni di un infermiere esuberante e sarcastico, capace di alleggerire i momenti più tesi con battute taglienti e una efficace cadenza romana. Il suo personaggio non è solo un elemento comico, ma anche una figura che incarna il precariato e le difficoltà della generazione contemporanea che si aggrappa alla risata come esorcismo nei confronti della difficoltà. Il cast di supporto, composto da Francesca Inaudi (compagna di Maccio nella finzione), Luca Confortini, Camilla Filippi, e il trio di comici Valerio Lundini, Edoardo Ferrario e Gianluca Colucci, che interpretano gli amici intimi del protagonista (uno specchio deformato in cui Marcello/Maccio riflette le proprie insicurezze) arricchisce ulteriormente il tessuto narrativo della serie, offrendo interpretazioni autentiche e sfumate, continuamente tentate dal superare la linea di demarcazione tra tono drammatico e surreale

Citazioni pop accanto a riflessioni sull’arte e sulla vita

Se Sconfort Zone si distingue per il suo coraggio tematico, altrettanto audace è il suo approccio stilistico. Maccio Capatonda fonde la sua tipica ironia con un linguaggio più cinematografico, impreziosendo la narrazione con riferimenti alla cultura pop e citazioni colte. Alcune scene, tra cui una toccante sequenza che richiama Ritorno al Futuro, dimostrano una maturità registica sorprendente (Macchia dirige a quattro mani con Alessio Dogana, che viene dal documentario). La serie riesce a bilanciare il suo umorismo con momenti di pura introspezione, creando un’esperienza coinvolgente e stratificata.

Ma ciò che rende Sconfort Zone davvero speciale è la sua capacità di parlare a un pubblico trasversale. Dietro la trama autobiografica e i riferimenti ironici al mondo dello spettacolo, si cela una riflessione più ampia sulla pressione creativa e sull’identità nell’era della sovraesposizione digitale, quando la necessità di creare contenuto a tutti i costi sovrasta l’estro naturale e ispirato che alimenta la creatività di artisti e attori. Capatonda non si limita a intrattenere, ma solleva interrogativi su cosa significhi essere un artista oggi, in un mondo in cui l’originalità sembra sempre più soffocata dalle logiche di mercato.

Marcello Macchia dimostra con Sconfort Zone di riuscire a gestire sia la sua nota vocazione comica fondendola con un registro insolito per lui, che mira a un’analisi più profonda, un viaggio dentro la mente di un artista in crisi, che riesce in egual misura a divertire e emozionare, offrendo spunti di riflessione e aprendo porte sul mondo privato dell’autore.

A Different Man, recensione del film con Sebastian Stan

0
A Different Man, recensione del film con Sebastian Stan

Un’opera audace che gioca con il concetto di identità, percezione e bellezza, A Different Man è il nuovo film scritto e diretto da Aaron Schimberg. Con una trama che riecheggia il classico Operazione diabolica (1966) di John Frankenheimer, il film segue Edward (interpretato da Sebastian Stan), un attore newyorkese con neurofibromatosi, una condizione che gli causa vistosi tumori facciali e lo relega a ruoli marginali come quelli nei video aziendali sulla diversità e l’inclusione. La sua vita cambia quando accetta di sottoporsi a un trattamento sperimentale che lo trasforma radicalmente, dandogli l’aspetto di una star del cinema. Ma il cambiamento esteriore non si traduce in una nuova vita felice: Edward scopre che il suo senso di inadeguatezza non era solo una questione estetica.

Il fascino di una narrazione complessa

La forza di A Different Man risiede nella sua capacità di esplorare il concetto di identità in modo sfumato e spesso ironico. Schimberg non tratta Edward con condiscendenza, evitando la tipica rappresentazione di personaggi diversi come esseri straordinariamente virtuosi o saggi. Edward è insicuro, mediocre come attore e non particolarmente brillante. Il suo desiderio di cambiare aspetto non nasce da un bisogno di accettazione sociale, ma da una cieca ambizione artistica. Tuttavia, quando il cambiamento avviene, le cose non migliorano come sperava: il suo nuovo aspetto lo porta solo a una crisi ancora più profonda.

L’ironia sottile che percorre tutto il film e l’estetica vintage ottenuta anche grazie alla pellicola Super 16mm scelta dal direttore della fotografia Wyatt Garfield contribuiscono a rendere credibile l’atmosfera da cinema indipendente anni ’70 e coniuga l’omaggio stilistico al senso di intimità e contraddizione che il protagonista porta avanti nella sua turbolenta parabola personale.

Un cast brillante e performance straordinarie

Sebastian Stan, noto per il suo ruolo di Bucky Barnes nel MCU, dimostra ancora una volta il suo talento nelle produzioni più rischiose. La sua interpretazione di Edward/Guy non si basa solo sul cambiamento estetico, ma su una profonda trasformazione fisica e vocale. La sua postura rimane esitante, il suo tono di voce incerto, mostrando che l’insicurezza è radicata nella sua personalità, non nel suo aspetto. Stan mette a segno un’altra performance di grande spessore nella stagione cinematografica che gli è valsa la sua prima nomination agli oscar con l’interpretazione del giovane Donald Trump in The Apprentice – Alle origini di Trump.

Accanto a lui, Renate Reinsve (già acclamata per La persona peggiore del mondo) offre un’altra interpretazione affascinante. Il suo personaggio, Ingrid, è una drammaturga norvegese che si trasferisce a New York con grandi sogni e una personalità carismatica ma ambigua. Il suo rapporto con Edward è inizialmente di supporto, ma si complica quando lei scrive un’opera teatrale ispirata alla loro amicizia e alla sua trasformazione, creando una dinamica di potere intrigante.

Il vero fulcro emotivo del film è però Adam Pearson nel ruolo di Oswald. Pearson, che nella realtà convive con la neurofibromatosi, incarna un personaggio diametralmente opposto a Edward: sicuro di sé, affascinante e dotato di una magnetica presenza scenica. Oswald rappresenta tutto ciò che Edward avrebbe voluto essere, nonostante condividano la stessa condizione fisica. Questa dicotomia genera una tensione psicologica che diventa il cuore pulsante del film.

A Different Man è una satira sull’autenticità

A Different Man è una satira oscura sulla bellezza e sull’autenticità. Il film suggerisce che la società ha una visione ristretta di ciò che è desiderabile e normale, ma va oltre la semplice critica. Schimberg scava più a fondo, mettendo in discussione anche la rappresentazione della disabilità nel cinema. Edward e Oswald dimostrano che una condizione fisica può portare a percorsi di vita molto diversi, smentendo il cliché della persona diversamente abile come vittima o come esempio di forza sovrumana.

Un finale aperto in linea con lo spirito del film

Nella seconda parte, il film si fa sempre più surreale, con una narrazione frammentata che riflette la crisi d’identità del protagonista. Quando Edward/Guy si rende conto di non essere comunque felice, la sua ossessione per Oswald cresce fino a diventare autodistruttiva. Il film lascia molte domande senza risposta, preferendo suggerire piuttosto che spiegare. Questo senso di sospensione potrebbe risultare frustrante per alcuni spettatori, ma è coerente con il tono della storia che non si ferma mai a un giudizio univoco e lascia sempre spazio per discussione e contraddittorio.

A Different Man è un film stimolante, che sfugge alle convenzioni del genere e propone una riflessione profonda sul rapporto tra aspetto fisico, autostima e percezione sociale. Grazie a una regia intelligente, un’estetica ricercata e interpretazioni memorabili, Schimberg firma un’opera unica nel suo genere. Non tutto funziona perfettamente, soprattutto nella seconda parte, ma il film rimane un’esperienza intrigante e provocatoria, da vedere e discutere.

Adolescence, la spiegazione del finale: Jamie ha davvero ucciso Katie?

Il finale della miniserie Netflix Adolescence, visivamente impressionante ed emotivamente straziante, rivela la verità su chi ha ucciso Katie. Stephen Graham è il protagonista del cast di Adolescence nel ruolo di Eddie Miller, il padre devastato di Jamie Miller, un ragazzo apparentemente normale che viene accusato di aver accoltellato a morte la sua compagna di classe, Katie. Graham, che ha sviluppato la serie thriller culinaria del 2023 Boiling Point, ha anche co-creato la miniserie in quattro parti con Jack Thorne. Adolescence ha ricevuto un raro punteggio del 100% da parte della critica su Rotten Tomatoes, diventando una delle nuove serie più acclamate dalla critica del 2025.

Adolescence è realizzata in modo brillante e si svolge come uno spettacolo teatrale, con ogni episodio girato in un unico piano sequenza. Mentre l’aspetto visivo della serie Netflix è un’impresa a sé stante, la storia di Adolescence rimane la parte più avvincente del dramma psicologico. Dopo che l’episodio 1 segue Jamie attraverso il protocollo della polizia dopo il suo intenso arresto e il primo interrogatorio, l’episodio 2 dà uno sguardo alla scuola frequentata da lui e Katie, mentre l’episodio 3 rivisita il tormentato Jamie mentre entra e esce dal controllo con uno psicologo. L’episodio 4 si svolge 13 mesi dopo che Jamie è stato accusato dell’omicidio di Katie e si conclude con una tragica nota definitiva su ciò che è realmente accaduto.

La scelta di Jamie di dichiararsi colpevole è la prova che ha ucciso Katie

Jamie confessa finalmente di aver ucciso Katie con la sua dichiarazione di colpevolezza

L’episodio 4 di Adolescenza si svolge il giorno del 50° compleanno di Eddie, motivo per cui riceve un biglietto di auguri da Jamie, che è detenuto da oltre un anno in attesa di processo. L’episodio mostra come la famiglia Miller abbia superato in parte il trauma causato da Jamie, ma non del tutto. Dopo aver avuto a che fare con alcuni teppisti che vandalizzano il suo furgone, Eddie perde la calma fuori da un negozio di bricolage, causando una scenata. Eddie riceve una telefonata da Jamie, che gli augura buon compleanno e gli dà una notizia allarmante: si dichiara colpevole. Questo conferma essenzialmente che Jamie ha effettivamente pugnalato Katie sette volte e l’ha uccisa, come mostrato dalle prove video delle telecamere a circuito chiuso nell’episodio 1.

Perché Eddie non riusciva a credere che Jamie fosse un assassino dopo aver visto le prove video

Adolescence

Eddie era spinto dal rifiuto di proteggere suo figlio a tutti i costi

Uno degli aspetti più affascinanti del personaggio di Jamie era quanto fosse convincente nel mentire e manipolare. Questo aspetto viene messo in piena evidenza con il suo terapeuta nell’episodio 3. Anche se Eddie ha visto le immagini innegabili di Jamie che accoltellava e uccideva Katie, non riusciva a crederci completamente.

Dopo aver finalmente ascoltato la confessione di Jamie, Eddie capisce di essere stato ingannato per tutto il tempo e la realtà finalmente affiora nella sua mente e in quella della sua famiglia.

Negli ultimi 13 mesi, sembrava che la famiglia Miller avesse ancora qualche speranza che il figlio non fosse un assassino, probabilmente come misura difensiva perché il dolore di una tale verità sarebbe stato troppo grande. Dopo aver finalmente ascoltato la confessione di Jamie, Eddie capisce di essere stato ingannato per tutto il tempo e la realtà finalmente affiora nella sua mente e in quella della sua famiglia.

La spiegazione della conversazione emotiva di Eddie e Manda su Jamie

Adolescence

Si sentono in colpa per aver creato un assassino, ma hanno anche cresciuto una figlia fantastica

Dopo la notizia scioccante della decisione di Jamie, Eddie e Manda hanno una conversazione emotiva e riflessiva sul figlio, che dovrà sicuramente affrontare anni di prigione. Ricordano i giorni migliori, analizzando anche cosa avrebbero potuto fare diversamente, assumendosi la colpa e la responsabilità di averlo “creato”.

Eddie dice che ha cercato di avvicinarlo allo sport, ma Jamie non era interessato, mentre Manda ricorda come Jamie tornava a casa da scuola, si metteva al computer e rimaneva sveglio fino a tarda notte. Mentre Eddie e Manda si assumono la responsabilità di averlo reso un assassino, la loro figlia Lisa entra e ricorda loro che hanno creato anche lei e che non possono incolpare se stessi per il lato oscuro di Jamie.

Perché alcuni ragazzi hanno scritto “Nonse” sul furgone di Eddie

Adolescence episodio 4 inizia con Eddie che scopre che il suo furgone di lavoro è stato vandalizzato, con alcuni ragazzi che hanno scritto “Nonse” con vernice spray gialla affinché tutti i vicini di Eddie potessero vederlo. In gergo britannico, un “nonce” si riferisce a un molestatore sessuale, in particolare uno che coinvolge bambini. Lisa vede la scritta e dice a sua madre di essere confusa su chi sia il “nonse”, se Eddie o Jamie. Jamie ha rivelato nell’episodio 3 di essere stato tentato di toccare Katie in modo inappropriato, ma di non averlo mai fatto. D’altra parte, è impossibile sapere quanto Jamie fosse sincero.

L’episodio 4 evidenzia anche il fatto che Eddie sta avendo qualche difficoltà a gestire la situazione di Jamie e la sua continua lotta contro la rabbia. Quando Eddie affronta l’adolescente che ha vandalizzato il suo furgone, gli urla “Non prendermi in giro”, che può essere interpretato come una leggera ammissione di colpa, come se sapesse che “nonse” era riferito a lui. Mentre Lisa non ha idea della questione, Manda potrebbe sapere qualcosa sul passato di Eddie che non viene necessariamente alla luce alla fine di Adolescenza. Forse i ragazzi che hanno scritto “nonse” hanno sentito dire che Eddie aveva abusato sessualmente di Jamie. In ogni caso, l’accusa di “nonse” nei confronti di Eddie o Jamie sembra infondata.

Chi è Jenny e perché Manda continua a parlarne

Manda menziona “Jenny” più volte durante la sua discussione con Eddie, ricordandogli ciò che lei ha detto su alcuni suoi comportamenti. Anche se Jenny non appare nella serie, è lecito supporre che sia la terapista di Eddie e potrebbe anche essere una consulente di coppia per Eddie e Manda.

Eddie ha chiaramente dei difetti e il suo problema più evidente è la rabbia incontrollabile: chiede a sua moglie se lui ha “trasmesso” questo a Manda, che nega, quando in realtà è una domanda a cui è impossibile rispondere. Sicuramente i bambini esposti all’idea che gli uomini esercitano il dominio o il controllo attraverso la rabbia e la violenza potrebbero implementare queste nozioni nella loro personalità e percezione.

Spiegato il motivo per cui Jamie ha ucciso Katie

Adolescence

Adolescence esplora diversi aspetti della mentalità malsana di Jamie

Jamie lo ha reso ufficiale nell’episodio finale di Adolescence, ma era già chiaro fin dalla fine del primo episodio. Attraverso la visione giovanile di suo figlio, Bascombe scopre che Jamie era vittima di bullismo subliminale da parte di Katie, che usava determinate emoji nei commenti sui suoi post Instagram per insinuare che lui fosse un “incel”. Si parla anche della “manosfera” e di altri pilastri della mascolinità tossica, perpetuati da figure controverse come Andrew Tate, che viene persino menzionato direttamente nella serie.

Questi elementi, combinati con la scuola turbolenta di Jamie, la sua patologica propensione alla menzogna, la storia familiare di rabbia e la profonda insicurezza, dipingono un quadro comprensibile del perché qualcuno che è stato rifiutato e vittima di bullismo da una ragazza che gli piaceva avrebbe potuto vendicarsi con la forza bruta, potenzialmente senza rendersi conto della gravità delle sue azioni.

Il vero significato del finale di Adolescenza

Adolescence fa un ottimo lavoro non solo nel sollevare le questioni relative alle aggressioni con arma da taglio tra adolescenti nella vita reale, che hanno ispirato la serie, ma anche nell’offrire alcune circostanze applicabili e vie verso la comprensione. Graham e Thorne presentano l’esperienza dell’adolescenza stessa come enigmatica e spesso irrazionale, alimentata sempre più dal gergo di Internet, dai cosiddetti influencer e da ingegnosi espedienti di cyberbullismo. Considerando il contesto completo della situazione di Jamie, è chiaro che aveva molte difficoltà sociali e personali che non sapeva come elaborare o esprimere a un adulto di fiducia. Gli spettatori di Adolescenza decidono quindi a chi attribuire la colpa.

Con un argomento così confuso e indescrivibile, Adolescenza offre brillantemente una prospettiva empatica, avviando al contempo un dibattito sociale fondamentale.

Jamie non era in terapia fino a dopo aver ucciso Katie, il che gli avrebbe almeno aiutato a chiarire in anticipo alcuni dei suoi sentimenti intensi e violenti. Jamie è senza dubbio tragico in un certo senso e solleva ogni sorta di domande e dibattiti, come ad esempio se fosse davvero destinato a diventare un assassino e, in tal caso, cosa lo abbia condizionato: i suoi genitori, i suoi coetanei, il mondo esterno (Internet)? L’ultima frase di Eddie sullo schermo, “Avrei dovuto fare di meglio”, mostra il suo dolore naturale, ma l’indagine di Bascombe rivela che c’erano alcune cose che sfuggivano al controllo di Eddie e Manda. Con un tema così confuso e indescrivibile, Adolescenza offre brillantemente una prospettiva empatica, avviando al contempo un dibattito sociale fondamentale.

The Electric State: la recensione del film Netflix con Millie Bobby Brown

Immagina una Eleven ancora più solitaria e arrabbiata, con un biondo ossigenato da vera ribelle e un’energia da outsider in rotta col mondo. Affiancale ora uno Star-Lord più trasandato e disilluso del solito, spogliato della sua ironia sfacciata, e catapulta entrambi in un universo dove il retrò e il futuristico si fondono in un’estetica nostalgica e intrigante. Sulla carta, The Electric State dei fratelli Russo sembrerebbe un mix esplosivo, il perfetto road movie sci-fi capace di conquistare cuore e mente. Eppure, qualcosa non torna del tutto.

Basato sull’omonimo romanzo illustrato del 2018 di Simon StålenhagThe Electric State è il nuovo emozionante film Netflix diretto da Anthony e Joe Russo, con una sceneggiatura firmata da Christopher Markus e Stephen McFeely. Il cast è stellare: accanto a Millie Bobby Brown e Chris Pratt troviamo il premio Oscar® Ke Huy Quan, Jason Alexander, Giancarlo Esposito, il candidato all’Oscar® Stanley Tucci e Woody Norman. The Electric State è disponibile dal 14 marzo su Netflix.

Cosa racconta The Electric State?

The Electric State è ambientato in un’America rétro-futuristica degli anni ’90, segnata dalle conseguenze di una guerra devastante tra umani e robot. In questa versione alternativa del passato, le macchine senzienti erano state inizialmente accolte come strumenti essenziali per la società, occupandosi di compiti di pubblica utilità e supportando gli esseri umani nella vita quotidiana. Nonostante ciò, la loro richiesta di diritti e riconoscimento ha scatenato un conflitto inevitabile tra umani e macchine, culminato nella sconfitta di questi ultimi e nel loro esilio.

Il mondo che ne è scaturito è profondamente mutato: la tecnologia permea ogni aspetto della vita, ma invece di avvicinare le persone, le ha rese sempre più isolate, immerse in realtà digitali attraverso i loro neurocaster. In questo scenario, Michelle (Millie Bobby Brown – Stranger ThingsEnola HolmesDamsel), un’adolescente segnata dalla perdita dei genitori e del fratellino Christopher in un incidente stradale avvenuto anni prima, fatica ad adattarsi a una società ormai disumanizzata. Nel frattempo, i robot senzienti, un tempo pacifici e dalle sembianze quasi giocose, sono stati relegati in un fatiscente paesino, un limbo di rottami e sogni infranti dopo la loro ultima, fallita ribellione.

Ma la vita di Michelle cambia di nuovo quando, all’improvviso, riceve la visita di Cosmo, un misterioso e affettuoso robot che sostiene di essere controllato da Christopher, il fratellino che ha perduto. Con lui si riaccende la speranza di riunire la sua famiglia, o almeno ciò che ne resta. Determinata a scoprire la verità, Michelle intraprende un viaggio pericoloso verso la Zona Interdetta nel sud-ovest americano, decisa a capire chi li ha separati e perché, dopo quel tragico incidente. Ad accompagnarla in questa avventura sarà Cosmo, ma anche Keats (Chris PrattGuardiani della GalassiaJurassic World), un contrabbandiere dal carattere ruvido, e il suo inseparabile compagno robotico Herman, doppiato nella versione originale da Anthony Mackie.

Ritrovare l’umanità che abbiamo perso

Può un ammasso di metallo e circuiti provare più empatia e lealtà di un essere umano? D’istinto, verrebbe da rispondere con un no secco. Eppure, la storia nata dall’immaginazione di Simon Stålenhag ci porta a riconsiderare questa certezza. La commovente avventura di Michelle e Keats dipinge un mondo in cui gli esseri umani si sono fatti più freddi, distanti e alienati di qualsiasi macchina. Nel loro lungo viaggio attraverso un’America fatiscente e nostalgica, i due trovano ben poco calore tra le persone, ad eccezione di Keats stesso, che condivide con Michelle un senso di inadeguatezza, ribellione e solitudine.

Paradossalmente, il vero rifugio lo scopriranno in un villaggio dimenticato, un luogo dove i robot dotati di coscienza sono stati esiliati e abbandonati, scartati dalla società umana nonostante il loro desiderio di restare accanto alle persone. In questo angolo di rottami e malinconia, Michelle e Keats realizzeranno che forse l’umanità non risiede più nelle persone, ma in ciò che loro stesse hanno creato e poi respinto.

Ed è proprio attraverso la tragica storia familiare di Michelle che Stålenhag sembra rivolgere al pubblico una domanda silenziosa ma potente: quando abbiamo smesso di essere umani? Mentre la giovane determinata protagonista cerca di ricostruire ciò che ha perduto, il film invita lo spettatore a guardare dentro se stesso e riflettere su quanto l’umanità abbia sacrificato sull’altare della tecnologia. In un mondo dove le connessioni reali si sono assottigliate e l’empatia sembra sempre più un’illusione, The Electric State diventa un monito: forse non sono i robot a voler essere più umani, ma siamo noi a dover riscoprire cosa significhi davvero esserlo.

Un cast stellare e un’ambientazione che rapisce

Al di là della sua emozionante storia e del profondo messaggio sottostante, The Electric State conferma ancora una volta la maestria dei fratelli Russo nel miscelare sentimentalismo, avventura e azione, regalando due ore di puro intrattenimento. Il film scorre con un equilibrio perfetto tra emozione e spettacolo visivo, riuscendo a coinvolgere il pubblico sia a livello narrativo che estetico.

Il cast hollywoodiano brilla, con una coppia protagonista che funziona alla perfezione. Millie Bobby Brown e Chris Pratt dimostrano fin dalle prime scene un’alchimia vincente, riuscendo a conquistare la scena grazie al loro carisma e talento. I loro personaggi, apparentemente opposti, si rivelano in realtà molto più simili di quanto sembri inizialmente, dando vita a un rapporto che evolve in modo naturale e convincente.

Ma non sono solo gli eroi a spiccare: anche gli antagonisti lasciano il segno. Stanley Tucci (Amabili resti, Il diavolo veste Prada) è impeccabile nel ruolo di Ethan Skate, il folle magnate della tecnologia a capo della Sentre, una corporazione tanto potente quanto inquietante. Al suo fianco, Giancarlo Esposito (Captain America: Brave New World, Breaking Bad) regala un’interpretazione memorabile nei panni del Colonnello Bradbury, detto Il Macellaio, un uomo spietato che ha guadagnato il suo soprannome sterminando robot senzienti durante la guerra. Il loro carisma e la loro presenza scenica elevano il film, offrendo antagonisti credibili e sfaccettati, che incarnano perfettamente le tematiche di potere e disumanizzazione esplorate dalla storia.

Anche l’ambientazione gioca un ruolo chiave nell’immergere il pubblico in un mondo che mescola passato e futuro con un tocco di malinconia. La nostalgia degli anni ’90 – un decennio ormai mitizzato da un’intera generazione – si intreccia con un futuro distopico fin troppo plausibile, creando un’atmosfera unica. La fusione tra elementi vintage, colonna sonora pop e tecnologie obsolete si integra perfettamente con la presenza di dispositivi futuristici come i neurocaster e le imponenti macchine da guerra telecomandate dagli umani, comodamente seduti nel salotto di casa. Il risultato è un universo visivo che non solo affascina, ma che fa anche riflettere sul rapporto sempre più alienante tra uomo e tecnologia.

Non è tutto oro ciò che luccica

Che i fratelli Russo sappiano come sfruttare al meglio il mezzo cinematografico per dare vita a storie che restano impresse è ormai una verità consolidata. Con The Electric State, continuano a dimostrare il loro talento nel creare un’esperienza visiva coinvolgente, arricchita da emozioni forti e momenti che lasciano il segno. Tuttavia, nonostante la bellezza estetica e l’intensità delle emozioni che cercano di suscitare, il film manca di quella profondità e della tensione drammatica che ci si aspetterebbe da una storia così ricca e un cast altrettanto vincente.

Il film, purtroppo, sembra seguire la stessa sorte di un soufflé: cresce e si eleva nelle prime scene, mostrando la sua forma più affascinante e ben costruita, per poi sgonfiarsi e perdere di consistenza nel corso della narrazione. Il viaggio emotivo e di formazione che Michelle intraprende all’inizio, segnato da una ricerca di riscatto e dalla necessità di elaborare il lutto, trova nella seconda parte del film una trasformazione che, seppur significativa, manca di quella potenza che ci si aspetterebbe in un racconto così carico di potenziale. La sua presa di coscienza e l’accettazione del dolore sembrano troppo snelle e prive di un percorso davvero coinvolgente, lasciando lo spettatore con una sensazione di incompiutezza.

Pur toccando le corde giuste, The Electric State fallisce nel mantenere alta la tensione emotiva necessaria per trasformare questo viaggio in una vera e propria rivelazione

Scissione – Stagione 2, episodio 9, la spiegazione del finale:

Scissione – Stagione 2, episodio 9, la spiegazione del finale:

L’episodio 9 della seconda stagione di Scissione (Severance) prepara perfettamente il terreno per il finale, dando un assaggio di come potrebbe concludersi la storia di ogni personaggio principale. Nei primi minuti, l’episodio 9 della seconda stagione rivela le grandi aspettative che Jame Eagan ripone in Helena. Tuttavia, qualunque cosa lei faccia, lui sembra deluso e persino infastidito dal fatto che lei non mangi le uova crude come Kier. Dopo aver mostrato come Helena sia schiacciata dalle aspettative del padre e dall’eredità della sua famiglia, l’episodio 9 della seconda stagione di Severance fa empatizzare gli spettatori con Huang, accennando al suo futuro alla Lumon. Anche Dylan, l’innie, attraversa una delle fasi più difficili della sua vita quando incontra di nuovo la moglie del suo outie.

Nel frattempo, gli outie di Burt e Irving parlano finalmente della relazione dei loro innies e vivono una serie di emozioni complesse prima di separarsi. L’episodio della seconda stagione di Scissione (Severance) si conclude finalmente con l’arrivo di Cobel, Mark e Devon al Damona Birthing Retreat, dove Cobel spera di poter parlare con l’innie di Mark.

Perché Cobel vuole parlare con l’innie di Mark nel finale dell’episodio 9 della seconda stagione di Severance

Quasi per tutto l’episodio 9 della seconda stagione di Severance, Mark non può fare a meno di sospettare che Cobel voglia aiutarli. Il suo sospetto ha senso, dato che Cobel è stata cresciuta da Lumon. Tuttavia, Mark alla fine cede quando Cobel rivela che Gemma potrebbe essere ancora viva se il suo innie non avesse finito di elaborare il file Cold Harbor. Rendendosi conto che solo un ex insider come Cobel può aiutarli a salvare Gemma, Mark accetta di seguire il suo consiglio.

Nell’ultima scena dell’episodio 9 della seconda stagione di Severance, Mark entra in una capanna del Ramona Birthing Retreat e si trasforma nel suo alter ego. Con sua grande sorpresa, trova Cobel ad aspettarlo, che gli suggerisce di aiutare Gemma a fuggire dalla Lumon. Dopo essere stata tradita e abbandonata da Lumon, Cobel sembra finalmente aver capito quanto l’azienda si preoccupi poco del benessere delle persone. Tuttavia, dato che non può più entrare nell’edificio Lumon, non può fare molto per aiutare direttamente Mark. Pertanto, sembra sperare di convincere l’innie di Mark ad aiutarli a salvare Gemma.

Il futuro della signora Huang in Lumon spiegato: perché Milchick le chiede di interrompere il gioco

Milchick annuncia il completamento della borsa di studio Wintertide della signorina Huang, che avrebbe dovuto determinare il suo futuro alla Lumon. Proprio come Cobel è diventata una dipendente a tempo pieno della Lumon dopo aver completato la sua borsa di studio, anche Huang sembra poter fare lo stesso. Milchick conferma che sarà trasferita al Gunnel Eagan Empathy Center, dove continuerà a lavorare per la Lumon. Sebbene la signorina Huang lavori duramente per completare la sua borsa di studio, è triste per il trasferimento perché significa che dovrà allontanarsi dai suoi genitori.

Il processo di distruzione del totem non solo serve come simbolo per segnare la fine dell’infanzia di Huang, ma è anche parte del processo di indottrinamento di Lumon per spogliare le persone della loro identità e renderle parte del culto che venera Kier.

Il suo tragico futuro alla Lumon evidenzia come l’azienda costringa molti minori a lavorare mascherando il lavoro minorile come un’opportunità di crescita professionale. Anche Cobel ha vissuto un’esperienza simile quando era molto più giovane. Milchick le fa anche capire la gravità del suo ruolo alla Lumon facendola distruggere il suo amato gioco. Il processo di distruzione del totem non solo serve come simbolo per segnare la fine dell’infanzia di Huang, ma è anche parte del processo di indottrinamento di Lumon per privare le persone della loro identità e renderle parte del culto che venera Kier.

Cosa intende Jame Eagan quando dice di vedere Kier in Helly

Jame Eagan ha detto la stessa cosa a Helly e Harmony

Nell’arco narrativo finale dell’episodio 9 della seconda stagione di Severance, Jame Eagan si intrufola nel piano separato della Lumon e sembra voler affrontare Helly. Tuttavia, più le parla, più diventa evidente che vorrebbe che sua figlia fosse più simile a lei. Afferma di aver visto Kier in Helena una volta, ma ora fatica a vedere la stessa cosa.

La sua insoddisfazione nei confronti della figlia emerge anche nei primi minuti dell’episodio, quando la guarda con disappunto e afferma che vorrebbe che mangiasse le uova crude come Kier.

La ribellione di Helly e la sua volontà di costruirsi una propria strada e identità sembrano ricordare a Jame Eagan Kier, suggerendo che preferirebbe avere lei come erede al posto di Helena. Dato che Helena è già gelosa della sorella, diventerà ancora più invidiosa di Helly se scoprirà come la vede suo padre. Questo potrebbe non solo esacerbare ulteriormente il rapporto già teso tra Helena e suo padre, ma anche complicare il rapporto di Helly con Mark.

Perché il destino di Gemma dipende dal completamento di Cold Harbor

Cobel dice a Mark che i numeri dei file MDR sono sua moglie, suggerendo che il destino di Gemma è sempre dipeso dal lavoro di Mark con l’MDR. Questo ha senso, dato che l’episodio 7 della seconda stagione di Scissione (Severance) ha stabilito che il nome di ogni stanza del piano di test corrispondeva al nome di un file su cui Mark aveva lavorato in precedenza. Gli sviluppi della trama dell’episodio 7 sembrano aver stabilito che Mark stava “creando” le innies individuali di Gemma lavorando sui file nel reparto MDR.

Severance ha rivelato finora i nomi delle seguenti stanze del piano di test:

  • Allentown
  • Dranesville
  • Siena
  • Lucknow
  • Loveland
  • Wellington
  • St. Pierre
  • Zurich
  • Cold Harbor

Per questo motivo, è difficile non credere che il completamento di Cold Harbor creerà un altro innies per Gemma, che si attiverà dopo che Gemma entrerà nella stanza Cold Harbor nel piano di test. Cobel continua a insinuare che Gemma sarebbe viva solo se l’innies di Mark non avesse completato il file Cold Harbor. Questo potrebbe significare che una volta che Lumon avrà testato la stanza finale su Gemma, la uccideranno invece di liberarla? Il finale della seconda stagione di Severance probabilmente fornirà ulteriori risposte.

Perché Burt costringe Irving a lasciare la città di Kier

Burt rivela la sua storia con Lumon nell’episodio 9 della seconda stagione di Severance, confessando di non aver mai fatto del male direttamente a nessuno. Ha solo accompagnato delle persone a Lumon, ma ha sempre saputo che l’azienda stava facendo qualcosa di sbagliato. Si sente in colpa perché ha facilitato le azioni illecite di Lumon. Come spiega, è entrato a far parte di Lumon come dipendente separato perché credeva che gli avrebbe dato l’opportunità di trovare una parvenza di redenzione.

Irving prova empatia per lui e non lo giudica per il suo passato. Si rende anche conto che raccontandogli del suo passato con Lumon, Burt sta rischiando la vita. Irv spera di esplorare il suo rapporto con Burt nel mondo esterno, credendo che potrebbero potenzialmente avere lo stesso rapporto che avevano da “innies”. Tuttavia, con suo grande disappunto, Burt lo incoraggia ad andarsene, rendendosi conto che Lumon è a conoscenza della sua operazione segreta contro di loro.

Sebbene Irv cerchi di convincerlo a lasciare la città di Kier con lui, Burt rifiuta l’offerta di restare con il suo partner, Fields.

La decisione di Dylan di dimettersi

Come altri lavoratori MDR, Dylan era inizialmente motivato dai vantaggi che Lumon offriva a tutti i dipendenti con prestazioni elevate. Tuttavia, il suo mondo è crollato quando l’incidente dell’Overtime Contingency gli ha fatto capire di avere una famiglia al di fuori dell’ufficio Lumon. Per mantenerlo motivato, Milchick capì che avrebbe dovuto fargli incontrare sua moglie, Gretchen. Poco dopo aver incontrato la moglie del suo outie, Dylan trovò un nuovo motivo per rimanere fedele alla Lumon. I suoi incontri occasionali con Gretchen divennero il momento clou della sua vita, mentre gradualmente si innamorava di lei.

Anche Gretchen gli ha dato speranza quando lo ha baciato. Purtroppo, l’outie di Dylan non ha gradito quando Gretchen gli ha detto di aver baciato il suo innie. Di conseguenza, Gretchen ha deciso di interrompere gli incontri. Con questo, l’unica cosa che spingeva Dylan a lavorare per Lumon dopo gli eventi della prima stagione di Severance gli è stata portata via. Pertanto, ha deciso di porre fine alla sua esistenza scrivendo una lettera di dimissioni. Se le sue dimissioni saranno accettate nel finale della seconda stagione di Severance dipenderà interamente dal suo outie.

FBI – stagione 6: uscita, trama, cast, episodi e streaming

FBI – stagione 6: uscita, trama, cast, episodi e streaming

FBI 6 è la sesta stagione della serie tv FBI creata da Dick Wolf e Craig Turk per CBS. La serie è prodotta da Wolf Entertainment, CBS Studios e Universal Television, con Dick Wolf, Arthur W. Forney, Peter Jankowski e Turk come produttori esecutivi.

 La serie presenta un cast corale che include Missy Peregrym , Zeeko Zaki , Jeremy Sisto, Ebonée Noel , Sela Ward , Alana de la Garza , John Boyd Katherine Renee Turner

FBI 6: quando esce e dove vederla in streaming

FBI 6 ha debuttato negli USA il 13 febbraio 2024 su CBS. In Italia FBI 6 debutterà su RAI 2 in chiaro e FBI 6 in streaming sarà disponibile su RAIPLAY

FBI 6: trama e cast dei nuovi episodi

Nella sesta stagione di FBI La squadra entra in azione per sconfiggere l’organizzazione terroristica responsabile dell’esplosione di un autobus.

Nella sesta stagione di FBI Missy Peregrym riprende il ruolo di Maggie Bell, agente speciale dell’FBI. Zeeko Zaki riprende il ruolo di Omar Adom “OA” Zidan, agente speciale dell’FBI e partner di Maggie. Jeremy Sisto riprende il ruolo di Jubal Valentine, assistente agente speciale incaricato dell’FBI (ASAC). Alana de la Garza riprende il ruolo dell’agente speciale in carica (SAC) Isobel Castille.

John Boyd riprende il ruolo di Stuart Scola, agente speciale dell’FBI e partner sul campo di Kristen, e più tardi, di Tiffany. Katherine Renee Kane riprende il ruolo di Tiffany Wallace, agente speciale dell’FBI ed ex ufficiale della polizia di New York e agente della White Collar Division.

Nei ruoli ricorrenti troviamo Roshawn Franklin nel ruolo di Trevor Hobbs (stagioni 2-6), un agente speciale dell’FBI e un analista dell’intelligence. Vedette Lim nel ruolo di Elise Taylor (stagione 2-presente), un’analista dell’intelligence dell’FBI.

Mare Fuori 5: recensione dei primi 6 episodi

0
Mare Fuori 5: recensione dei primi 6 episodi

Mare Fuori 5 deve gestire un finale di stagione della stagione precedente che ha lasciato tutti con il fiato sospeso, ancora più di quello sparo nel buio che aveva chiuso invece il terzo cicloRosa Ricci lascia Carmine Di Salvo all’altare, il matrimonio tra le due grandi famiglie come promessa di pace non si celebra, mentre Edoardo Conte trova la sua morte per mano sconosciuta sul fondo della cripta dei Ricci, tra la bara di Ciro e quella di Don Salvatore, che proprio lui aveva a sua volta ucciso.

“Voglio che tu sappia che sei l’unico che sia riuscito a vedere la luce in me. Sei puro, sei luce ed esplodi come un vulcano ogni volta che ami. Per salvarti ti sei aggrappato alla cosa più bella che esista: l’amore. E io non sono quella cosa bianca limpida che pensavi tu. Io sono rossa e nera, sono passione e vendetta. Mi hai insegnato che l’amore salva e io ti ho salvato dall’unica cosa che ti poteva uccidere: da me.” Con queste parole di addio, Rosa giustifica il suo addio all’amore e a una vita normale, quella che è quasi una poesia liquida in apertura la scelta di Rosa. E Carmine diventa un ricordo… per ora.

Un’alleanza al femminile per Mare Fuori 5

La giovane vuole ora prendere le redini del regno criminale ereditato dal padre e si rende subito conto che Carmela, moglie e vedova di Edoardo, è l’unica alleata che le resta. Entrambe hanno fatto qualcosa per ferire l’altra, ma perdonarsi e fare squadra sembra l’unico modo per sopravvivere contro Donna Wanda Di Salvo.

Il loro scopo è ovviamente riprendere possesso delle piazze di spaccio, ma anche scoprire chi ha ucciso Edoardo. Come spesso accade nella serie, la risposta arriva dall’interno dell’IPM, dove nuovi sconvolgimenti sono pronti ad avvenire per portare scompiglio nel delicato equilibrio all’interno della struttura. Simone (Alfonso Capuozzo) e Tommaso (Manuele Velo) di Napoli, e Samuele (Francesco Alessandro Luciani) e Federico (Francesco Di Tullio), di Milano, arrivano a turbare le sorti dei protagonisti, in particolare i due ragazzi del nord, che si rivelano spregiudicati e violenti. Completano il cast Elisa Tonelli e Rebecca Mogavero, rispettivamente nei ruoli di Sonia e Marta, che nella prima parte della serie non hanno ancora avuto un ruolo importante ma che, lo immaginiamo, verranno raccontate meglio nella seconda parte.

Volti vecchi e nuovi

Il mondo esterno all’IPM porta nel flusso del racconto di Mare Fuori 5 anche Assunta, madre di Rosa e Ciro, creduta morta perché così aveva dichiarato Don Salvatore, e che il pubblico sa essere viva, vegeta e libera dalla quarta stagione, dove si scopre che è stata aiutata da Ciro a rimettersi in sesto dopo che il marito l’aveva fatta rinchiudere in un ospedale psichiatrico. La donna vorrebbe riallacciare i rapporti con la figlia, visto che era presente al suo non-matrimonio? Lo scopriremo…

Tornano ovviamente tutti i volti noti e amati della serie: Pino, Cardiotrap, Mimmo, Cucciolo e Micciarella, Milos, Dobermann, Silvia, Alina, ma anche gli adulti Massimo, Sofia, Beppe con le loro storie, i loro drammi e le loro aspirazioni.

Messo da parte il grande dramma romantico di Rosa e Carmine, Mare Fuori 5 torna a raccontare storie di violenza, soldi, vendetta e difficoltà, riportando la serie alle sue origini, e relegando ai margini del racconto l’aspetto soapoperistico che tanto aveva fatto innamorare il pubblico. Ogni personaggio è chiamato verso la salvezza, ma questa non arriverà per tutti, come si scopre man mano che gli episodi vanno avanti. Il ritorno alle origini con la centralità di determinati temi però non corrisponde alla replica di quello che era il tono delle prime stagioni, in cui c’era una forte aspirazione alla speranza e al cambiamento per i giovani protagonisti. Quel mare fuori era davvero una metafora radicata anche nel modo di raccontare le aspirazioni di ciascuno.

Mare Fuori 5 la speranza è bandita

In Mare Fuori 5 la speranza è bandita. Rosa, emblema “romantica” della quarta stagione, diventa qui un oscuro angelo di vendetta, sopraffatta dai compiti oscuri che ha scelto di ereditare. Ludovico Di Martino, che prende il posto di Ivan Silvestrini alla direzione degli episodi, cambia ancora una volta le carte in tavola e preferisce una regia presente, invasiva, drammatica, quasi solenne, così come sono solenni le minacce, le frasi stentoree e le parole dei protagonisti. Il risultato è un tono artefatto che in qualche modo strano trova comunque la sua armonia, perché più che empatia genera distacco dalle disavventure che guardiamo sullo schermo.

Non sappiamo dove ci porterà la seconda parte di stagione di Mare Fuori 5, ma senza dubbio si tratta di un cammino oscuro, in cui il confine tra bene e male verrà oltrepassato e confuso più volte.

The Breaking Ice, recensione del film di Anthony Chen

0
The Breaking Ice, recensione del film di Anthony Chen

Il regista e sceneggiatore singaporeano Anthony Chen torna con The Breaking Ice, presentato a Cannes 76, un’opera intensa e poetica che esplora il senso di smarrimento, solitudine e desiderio di evasione di tre giovani in una gelida città cinese al confine con la Corea del Nord. Il film si distingue per la sua atmosfera malinconica e contemplativa, in cui la neve e il ghiaccio diventano elementi simbolici di uno stato emotivo sospeso tra l’immobilità e il cambiamento.

The Breaking Ice è un racconto di anime perdute

La pellicola si apre con un’immagine evocativa: uomini intenti a tagliare blocchi di ghiaccio, una rappresentazione visiva del titolo stesso. Subito dopo incontriamo Li Haofeng (Haoran Liu), un giovane che partecipa con distacco al ricevimento di nozze di un collega coreano. La sua alienazione si manifesta nella solitudine con cui mastica il ghiaccio del suo drink, rompendolo sotto i denti, di nuovo si evoca il titolo e si racconta una difficoltà a inserirsi dentro un contesto vitale, come può essere un matrimonio. La sua esistenza si intreccia presto con quella di Nana (Dongyu Zhou), una guida turistica che accompagna visitatori alla scoperta della comunità coreana della regione, e Han Xiao (ChuxiaoQu), cuoco di un ristorante coreano che nutre sentimenti irrisolti per Nana.

Un incontro casuale e una notte di alcol e confidenze fanno nascere tra i tre una connessione insolita e temporanea, trasformandoli in una sorta di famiglia improvvisata. Il loro legame si cementa attraverso momenti di fuga dalla realtà: balli sfrenati, escursioni pericolose, sfide insensate e un viaggio fino al remoto e innevato sentiero che porta al Lago del Paradiso. Questo cammino non è solo fisico, ma anche metaforico: ciascuno di loro è alla ricerca di una via di fuga dalla propria esistenza stagnante e irrisolta.

Un film d’atmosfera

Chen si affida a un racconto fatto di frammenti, momenti sospesi e silenzi che parlano più delle parole, realizzando una composizione visiva che evoca più che raccontare, ricordando il cinema della Nouvelle Vague francese, con riferimenti espliciti a “Bande à part” e “Jules e Jim”. Le immagini costruite dal regista sono costantemente costruite per rimandare a un altro significato oltre a quello che mostrano: una gabbia di animali in uno zoo riflette la prigionia interiore dei protagonisti, mentre un orologio costoso che smette di funzionare sottolinea l’inesorabile scorrere del tempo in qualsiasi condizione socio economica si possa vivere. Quel ghiaccio che Li Haofeng mastica all’inizio del film diventa di nuovo un riferimento al titolo ma questa volta viene condiviso dagli altri, acquista una ulteriore simbologia: connessione e vulnerabilità.

Tre protagonisti magnetici

A dare forma a questo cinema di suggestioni, intervengono i tre protagonisti: Dongyu Zhou dona a Nana un’intensità struggente, un personaggio che cerca di soffocare il dolore tra alcool e sesso privo di intimità. Haoran Liu interpreta Haofeng con una delicatezza toccante, incarnando il disagio di chi si sente fuori posto ovunque vada. Chuxiao Qu, nel ruolo di Han Xiao, trasmette una mascolinità ruvida ma ferita, mostrando il conflitto tra il desiderio di fuggire e l’incapacità di farlo. Tre voci che si uniscono in un coro di disagio e inadeguatezza, specchio di una generazione Z che chiede aiuto ma non sa a chi rivolgersi.

Chen dimostra ancora una volta la sua capacità di catturare i dettagli più sottili e significativi, come nel modo in cui posiziona i personaggi in un’ambientazione che ricorda il quadrante di un orologio, suggerendo ancora una volta l’inesorabile avanzare del tempo. Uno sforzo di composizione che viene accentuato dalla fotografia, con le sue tonalità fredde e una composizione meticolosa, che enfatizza il senso di isolamento.

The Breaking Ice ha un grande fascino visivo ma soprattutto emotivo, capace di trasmettere con estrema sensibilità la condizione di giovani che si sentono intrappolati nelle loro vite. Il film non manca di incongruenze, ma rimane un’opera di grande valore artistico. Il finale suggerisce poi una circolarità alla narrazione che sembra voler indicare che il senso di inadeguatezza e incertezza verso la strada da prendere non si supera, ma si impara a dare valore alla ricerca del cammino, non più alla destinazione del viaggio.

The Breaking Ice è un’opera che cattura con delicatezza la vulnerabilità dei suoi personaggi, immergendoli in un paesaggio invernale che riflette le loro anime alla deriva. Con una regia evocativa, Anthony Chen conferma la sua capacità di raccontare storie intime e profonde, regalandoci un film che lascia il segno con la sua bellezza visiva e il suo toccante ritratto di giovani alla ricerca di un senso di appartenenza.

Yellowjackets – Stagione 2, la spiegazione del finale: dove andranno i sopravvissuti?

Il finale della seconda stagione di Yellowjackets ha portato la storia in una direzione inaspettata, aprendo la strada a una terza stagione ricca di suspense. La seconda stagione di Yellowjackets è stata piena di sorprese e rivelazioni scioccanti, fornendo risposte a misteri di lunga data come il significato del biglietto di Travis a Natalie, l’idea che la natura selvaggia sia un’entità influente e molto altro ancora. Il finale è iniziato con l’ipotesi che uno degli adulti sopravvissuti dovesse morire per soddisfare il crescente bisogno della natura selvaggia nella linea temporale del 2021. Tuttavia, le cose non sono andate necessariamente secondo i piani.

In questo contesto, si sono svolti altri intrecci ad alto rischio che hanno portato a conclusioni soddisfacenti. La polizia ha dato la caccia all’adulta Shauna per l’omicidio di Adam Martin per gran parte della stagione, è stato spiegato cosa stava realmente tramando Walter Tattersall, il “fidanzato” di Misty, e il rituale ufficiale di cannibalismo sacrificale descritto nella linea temporale del 1996 è stato finalmente svelato nella sua interezza. Tutto questo è confluito nell’episodio 9 della seconda stagione di Yellowjackets, che ha visto trionfi e delusioni in egual misura per i sopravvissuti adulti rimasti. Dopo la fine della seconda stagione di Yellowjackets, solo una cosa è certa: la natura selvaggia non ha finito il suo lavoro, né nel passato né nel presente.

Perché Travis ha mangiato il cuore di Javi

Quando le ragazze sono tornate con il corpo di Javi dopo che era annegato nell’episodio 8 della seconda stagione di Yellowjackets, nessuno era più sconvolto di Travis. Natalie aveva sicuramente il proprio senso di colpa da placare dopo averlo lasciato morire, ma Travis era davvero quello che aveva sofferto di più per la perdita. Ha cercato di spiegare la portata della distruzione che stavano causando a Van, il quale, a sua volta, lo ha convinto che la morte di suo fratello era un sacrificio per salvare i sopravvissuti e che avrebbe dovuto onorare il sacrificio e la morte di Javi. Travis ha quindi preso a cuore questa conversazione e si è unito al cannibalismo del resto del gruppo.

Shauna ha offerto a Travis il cuore di suo fratello da mangiare per primo, quasi come un segnale al resto del gruppo che se Travis era d’accordo a consumare Javi, allora anche gli altri avrebbero dovuto farlo. Travis ha mangiato il cuore di Javi per dimostrare la sua lealtà al gruppo e onorare il sacrificio di suo fratello. Quel momento ha dimostrato che Travis era completamente caduto nella sua convinzione che la natura selvaggia fosse un’entità e che questi sacrifici fossero necessari e vantaggiosi per la loro sopravvivenza. Ha visto Javi come un martire piuttosto che come una tragica vittima e ha giustificato il fatto di aver mangiato suo fratello gettandosi in questa convinzione.

Come Natalie è diventata la regina delle corna

Uno dei colpi di scena più grandi del finale della seconda stagione di Yellowjackets è stato che Natalie era la vera regina delle corna, non Lottie. Sembrava che tutta la serie suggerisse e preparasse Lottie come regina delle corna, ma quando sarebbe stata rivelata per la prima volta nel suo abito ufficiale, non sarebbe stato poi così sorprendente. Tuttavia, nella seconda stagione di Yellowjackets, Lottie ha deciso di dimettersi e cedere la leadership a Natalie, lasciando Shauna un po’ gelosa. Guardando indietro, le insicurezze di Lottie come leader erano cresciute, come dimostrato dalla sua visione al centro commerciale in precedenza, ma nessuno si aspettava che passasse la mano.

Lottie ha scelto Natalie perché credeva che Nat fosse sempre stata la “preferita” della natura selvaggia. Ha citato il fatto che il gruppo aveva cercato di ucciderla quando aveva pescato la Regina di Cuori, ma la natura selvaggia non glielo aveva permesso. C’erano segni che indicavano che la natura selvaggia favoriva Natalie, come il fatto che fosse la cacciatrice principale. Sebbene Lottie fosse stata la prima a comunicare con la wilderness, tutti i sopravvissuti avevano imparato a farlo, quindi non avevano più bisogno della sua guida. È possibile che il fatto che Natalie non fosse così influenzata dal pensiero di gruppo la rendesse una leader più naturale di una seguace, il che potrebbe essere un altro motivo per cui Lottie le ha dato la precedenza.

Il piano di Walter per porre fine alle indagini su Adam Martin

Walter ha ideato un piano elaborato per salvare Misty e i suoi amici dall’essere scoperti dalla polizia, che prevedeva la corruzione della polizia. Dopo averlo ucciso con il fenobarbital, Walter è riuscito a collegare una grande quantità di documenti bancari e telefonici relativi ad Adam a Kevyn Tan. Ha poi sparato a Kevyn con la pistola di Saracusa e gli ha proposto di aiutarlo a incastrare Kevyn per gli omicidi di Adam e Jessica Roberts, utilizzando una storia secondo cui Saracusa aveva “scoperto” una massiccia corruzione nella polizia e aveva quasi perso la vita per questo. Ha poi aggiunto che tutte queste informazioni potevano essere ricondotte a Saracusa se non avesse accettato.

Il piano di Walter aveva diverse funzioni importanti in Yellowjackets. In primo luogo, dimostrava la sua fedeltà a Misty, cosa discutibile per gran parte della stagione, soprattutto quando lui la paragonava a Sherlock e se stesso a Moriarty. In secondo luogo, dimostrava che Walter stesso non era al di sopra dell’omicidio e probabilmente condivideva le tendenze psicopatiche della sua “ragazza”.

Infine, dimostrava le abilità di Walter come hacker e detective dilettante. Essere in grado di manomettere le prove in modo tale da incastrare qualcuno che non c’entrava nulla era davvero impressionante.

Il gruppo avrebbe davvero ucciso Shauna nella nuova caccia?

Shauna ha avuto la sfortuna di scegliere la Regina di Cuori nella linea temporale del 2021, ed è possibile che il gruppo stesse preparando la sua uccisione. Durante le scene culminanti del rituale rivissuto dagli adulti e l’inseguimento con le maschere che ne è seguito nel finale della seconda stagione di Yellowjackets, il tono oscillava tra il gruppo che vedeva la realtà e il gruppo che cadeva preda della natura selvaggia. Sebbene inizialmente fossero d’accordo sul fatto che Lottie volesse soddisfare la natura selvaggia fosse una cattiva idea, le cose si sono complicate quando Van ha convinto Taissa a chiamare la squadra di crisi che avrebbe dovuto interrompere il rituale e portare Lottie al sicuro.

Lo sguardo affamato dell’adulta Van durante l’inseguimento era particolarmente terrificante, e il fatto che abbia chiamato le autorità ha sicuramente dipinto le sue intenzioni in una luce negativa. Lottie era pronta a sacrificare Shauna, completamente assorbita dal compito di nutrire la natura selvaggia. Misty, Natalie e Taissa, invece, sembravano le più combattute. Se Lottie avesse raggiunto Shauna per prima, sarebbe sicuramente morta, e lo stesso avrebbe potuto accadere a Van, visto quanto sembrava presa durante l’inseguimento.

Il sacrificio e la morte di Natalie spiegati

Sfortunatamente, la natura selvaggia ha mietuto un’altra vittima tra gli adulti sopravvissuti, e si è trattato di Natalie. Il momento scioccante ha visto Misty cercare di pugnalare Lisa con una siringa, ma Natalie si è sacrificata e si è gettata davanti a lei. Il sacrificio di Natalie e la reazione straziante di Misty all’aver ucciso (di nuovo) la sua “migliore amica” hanno fatto riferimento a diversi momenti chiave di Yellowjackets. Natalie si è sacrificata perché il senso di colpa più grande che portava con sé dal suo periodo nella natura selvaggia era quello di essersi fatta da parte e aver lasciato morire Javi. Se si fosse sacrificata nella stagione 2, episodio 8 di Yellowjackets, non sarebbe mai diventata la prima Antler Queen.

Natalie probabilmente provava molto più senso di colpa di quanto Yellowjackets lasciasse inizialmente intendere per essere stata l’Antler Queen e aver dato il via agli eventi del resto della serie. La rivelazione del suo status elevato nel 1996 e il senso di colpa che ne è seguito hanno anche contribuito a spiegare le sue difficoltà nella vita adulta e il suo successivo tentativo di suicidio. Pertanto, quando ha visto l’opportunità di salvare qualcuno che era stato buono con lei, ha pagato per i suoi peccati passati sacrificandosi per loro. Anche la reazione di Misty ha dimostrato la sua devozione verso Natalie. È possibile che fosse stata così affascinata e ossessionata da lei per tutto questo tempo perché Natalie era la sua leader.

Dove Taissa e Van hanno mandato Lottie adulta (verrà mandata via?)

Lottie è stata mandata in una struttura di salute mentale conosciuta come Whitmore alla fine della seconda stagione di Yellowjackets a causa della sua convinzione irrefrenabile che l’entità della natura selvaggia fosse tornata e volesse uno dei sopravvissuti. Il resto dei sopravvissuti adulti non ha preso troppo bene il piano di Lottie con il fenobarbital ed era comprensibilmente preoccupato per la sua salute mentale quando ha voluto ripetere il rituale cannibalistico sacrificale di Yellowjackets. Lottie ha orchestrato la caccia, che ha portato i sopravvissuti a chiamare una squadra di crisi per portarla via, ma era ormai troppo tardi. Lottie trascorrerà molto probabilmente la terza stagione di Yellowjackets in un istituto psichiatrico.

Taissa ha promesso che lei e il resto dei sopravvissuti avrebbero fatto visita a Lottie al Whitmore. Tuttavia, Lottie è rimasta convinta che il sacrificio di Natalie abbia nutrito la natura selvaggia e che tutti ne vedranno i risultati positivi. L’episodio 9 della seconda stagione di Yellowjackets ha chiarito che i sopravvissuti, Van in particolare, si sentono in colpa per il deterioramento dello stato mentale di Lottie. I flashback alla linea temporale del 1996, comprese le coerciioni di Misty, la storia di Van sulla natura selvaggia e il fatto che Lottie non abbia mai voluto che il rituale fosse istituito, indicano che le ragazze hanno contribuito a rendere possibile la psicosi di Lottie e il suo crollo finale da adulta.

Perché il coach Ben ha dato fuoco alla capanna dei sopravvissuti

Gli ultimi momenti della seconda stagione di Yellowjackets hanno visto le ragazze fuggire mentre la loro casa nella natura selvaggia bruciava completamente, e solo una persona non era con loro: Ben. Ben ha dato fuoco alla capanna perché era terrorizzato da ciò che era diventata la squadra e le vedeva come mostri privati della loro umanità. La sanità mentale del coach Ben era andata scemendo come quella del resto del gruppo. Tuttavia, aveva chiarito fin dall’inizio che non avrebbe oltrepassato il limite del cannibalismo e vedeva in Natalie un’anima gemella. Purtroppo, Natalie ha respinto i suoi tentativi di nascondersi con lui nella grotta di Javi per il resto dell’inverno.

Dopo aver assistito alla dissezione del cadavere di Javi, aver capito che l’unica persona con cui aveva trovato un’affinità era passata al lato oscuro, aver rivissuto in visioni tormentate la vita che avrebbe potuto avere e aver visto che la squadra ora si stava sacrificando a vicenda, Ben ne aveva finalmente avuto abbastanza. Credeva che la squadra fosse ormai troppo lontana per ragionare e fermare lo spargimento di sangue, e che fosse diventata una setta cannibale in grado di compiere atti di estrema violenza. Per la sua sicurezza, ha deciso di bruciare la capanna per impedire che la follia continuasse e presumibilmente si nasconde nella caverna di Javi.

Il vero significato del finale della seconda stagione di Yellowjackets

Yellowjackets, stagione 2, episodio 9, è intriso di un significato molto più profondo rispetto alle paure in superficie, sebbene sia anche uno show horror efficace nella sua semplicità. Il finale della seconda stagione di Yellowjackets è stato una sorta di punto di svolta per i personaggi, poiché non solo ha risposto alle domande, ma ha anche sollevato ulteriori misteri per il futuro. Ma soprattutto, il finale ha dimostrato che c’è qualcosa di speciale nei giovani sopravvissuti, qualcosa che continua a perseguitarli nel presente. Se Yellowjackets ha rivelato qualcosa di sé, è che quasi nulla è come sembra.

Come il finale della seconda stagione di Yellowjackets prepara la terza

Il finale della seconda stagione di Yellowjackets ha preparato il terreno per numerosi filoni narrativi per la terza stagione e una serie di nuovi misteri. Innanzitutto, i sopravvissuti adulti dovranno affrontare le conseguenze del sacrificio e della morte di Natalie. Misty sembrava inconsolabile per il suo ruolo nella vicenda e, anche se la terza stagione dovrebbe vederla coinvolta in una relazione romantica con Walter, dovrà lottare con qualcosa che non ha mai provato prima: il senso di colpa. La terza stagione vedrà anche Natalie nel passato come nuova leader del gruppo e la sua discesa verso il diventare la Yellowjackets‘ Antler Queen. Il finale ha lasciato intendere che Shauna è gelosa del fatto che Natalie sia diventata la leader, quindi questo sicuramente entrerà in gioco.

La setta di Lottie adulta molto probabilmente verrà sciolta ora che lei è in un istituto psichiatrico, e probabilmente riceverà la visita di Taissa, affetta da sonnambulismo.

Il culto dell’adulta Lottie verrà probabilmente sciolto ora che lei è in un istituto psichiatrico, e probabilmente riceverà la visita di Taissa, affetta da sonnambulismo. La terza stagione di Yellowjackets potrebbe finalmente vedere un po’ di pace nella famiglia Sadecki, dato che l’indagine su Adam Martin è stata portata a termine da Walter. Tuttavia, le cose si surriscalderanno notevolmente nel 1996 con l’incendio della baita. I sopravvissuti adolescenti potrebbero scoprire che è stato Ben ad accendere il fiammifero, dato che è l’unico a non essere presente, ma dovranno comunque trovare una nuova casa. Speriamo che non trovino Ben nascosto nel rifugio di Javi, così potrà sopravvivere un altro giorno in Yellowjackets.

Come è stato accolto il finale della seconda stagione di Yellowjackets

Nel complesso, il finale della seconda stagione di Yellowjackets è stato accolto bene. Il nono e ultimo episodio della seconda stagione di Yellowjackets, “Storytelling”, ha attualmente un punteggio di 7,1/10 su IMDb e un punteggio Tomatometer del 70% su Rotten Tomatoes. Tuttavia, il finale della prima stagione ha ottenuto un punteggio di 8,2/10 su IMDb (anche se non ha una valutazione individuale su Tomatometer) e, in generale, il finale della prima stagione di Yellowjackets è considerato superiore. Tuttavia, questo non significa che il finale della seconda stagione di Yellowjackets sia stato brutto, ma semplicemente che la seconda stagione della serie non ha avuto lo stesso impatto della prima.

Questo è stato sottolineato da molti critici nelle loro recensioni, e i paragoni tra il finale della seconda stagione di Yellowjackets e quello della prima si estendono al resto degli episodi in generale. È opinione della maggior parte degli spettatori e dei critici che la prima stagione di Yellowjackets sia stata più coerente. Tuttavia, ci sono stati molti momenti degni di nota nella seconda stagione, specialmente durante il finale, che hanno più che eguagliato il primo capitolo della storia, e questi sono stati sottolineati in molte recensioni. Ad esempio, Esther Zuckerman del New York Times scrive:

La seconda stagione di “Yellowjackets” è stata discontinua, cosa non insolita per una serie di successo che cerca di trovare il proprio equilibrio dopo un primo giro sensazionale. Ma ci sono stati frequenti momenti di trascendenza. L’addio alla Natalie adulta è stato uno di questi. È stato tragico e in qualche modo catartico e sarà difficile da dimenticare man mano che la serie andrà avanti.

Tuttavia, mentre molti critici non sono riusciti a superare l’incoerenza della seconda stagione rispetto alla prima, altri hanno avuto solo parole di elogio per “Storytelling”. In particolare, sono stati elogiati il modo abile con cui il finale della seconda stagione di Yellowjackets ha sovvertito le aspettative degli spettatori e riposizionato molte delle “verità” su cui i fan avevano fatto affidamento fino all’arrivo dell’episodio 9 del secondo capitolo. A riassumere incredibilmente bene questa prospettiva è Hattie Lindert di AV Club, che scrive:

Una lezione magistrale sia nel sovvertire la propria etica che nel coltivare i semi di una nuova stagione, il finale della seconda stagione di Yellowjackets prende le rivelazioni limitate che la stagione ha costruito e le ricontestualizza ancora una volta, ricordando ai sopravvissuti (e di conseguenza al pubblico) che la verità della loro esperienza – ciò che era reale e ciò che non lo era, e ciò che è rimasto reale nel tempo – è malleabile quanto la loro bussola morale. Ciò che è sempre stato più importante, sia nel proteggersi dalla polizia da adulti che nel giustificare le loro azioni da bambini, è la storia che hanno scelto di raccontare, una storia di selvaggio che hanno scolpito con sangue, sudore, lacrime e merda.

Quindi, il finale della seconda stagione di Yellowjackets è stato all’altezza di quello della prima? Probabilmente no. Tuttavia, è stato comunque un finale incredibilmente solido per la serie, e ha funzionato più che bene per creare l’hype e lo slancio necessari per l’attesissima terza stagione di Yellowjackets.

Le donne al balcone – The Balconettes: recensione del film di e con Noémie Merlant

0

Le donne al balcone – The Balconettes di Noémie Merlant non è solo un film, è un affascinante viaggio attraverso un racconto femminista stratificato e punk, che sa essere tanto divertente quanto provocatorio. Presentato a Cannes 77 con il titolo originale Les Femmes au Balcon, questo film esplora la vita di tre donne – Nicole, Ruby ed Elisa – legate da una profonda amicizia e da un’intensa ribellione contro i dogmi della società patriarcale, il tutto ambientato in un appartamento e un balcone condiviso nel caldo di Marsiglia.

La dichiarazione di intenti di Le donne al balcone – The Balconettes

Fin dall’inizio, Merlant ci introduce in un’atmosfera sospesa e surreale, grazie a un piano sequenza che spazia tra due palazzi. La macchina da presa sembra fluttuare, stabilendo una distanza tra il pubblico e la storia, come se fossimo anche noi osservatori dietro una finestra, abbracciando così il più classico dei contesti voyeuristi e impiantandoci sopra il suo racconto. In questo primo momento vediamo una donna, riversa a terra e coperta di lividi, incalzata da un marito che la accusa di essere “esageratamente drammatica.” La scena, che mescola dramma e sarcasmo, offre una chiave di lettura per comprendere la portata del film: un’opera che sfida le convenzioni, trascendendo i generi e mescolando commedia, thriller, e un femminismo mai didascalico. Questa scena fondamentale, un cortometraggio dentro al film: una specie di riassunto di quello che la storia vuole significare e di quello che racconterà.

Le protagoniste di Le donne al balcone – The Balconettes

Al centro della storia ci sono Nicole (Sanda Codreanu), Ruby (Souheila Yacoub) ed Elisa (Noémie Merlant). Ognuna di queste donne ha una storia unica: Nicole è una scrittrice che prova a tratte ispirazione dalla vita delle sue amiche, sempre più divertente e sfrenata della sua; Ruby è una cam girl fiera della propria sessualità, esibizionista almeno quanto Nicole è pudica; Elise invece è un’attrice che cerca di sfuggire da un innamorato opprimente, sembra svampita, ma trova il suo ancoraggio alla realtà grazie alle sue coinquiline. Insieme, condividono momenti di complicità e confidenze, esplorando una libertà autentica e quasi sfacciata, che include un’esposizione del corpo sincera, svincolata da giudizi.

Merlant dimostra una grande padronanza del mezzo cinematografico, mostrando una disinvoltura sorprendente per una regista al suo secondo lungometraggio. La narrazione sembra muoversi disordinata, riflettendo però un caos ben calibrato che rispecchia la vitalità e la libertà delle tre protagoniste. E infatti nulla è lasciato al caso: la scrittura coadiuvata da Céline Sciamma e il montaggio di Julien Lacheray conferiscono alla trama una coerenza interna che esplode solo alla fine, lasciando lo spettatore in una sorta di estasi visiva e narrativa.

Una delle grandi trovate di Le donne al balcone – The Balconettes è il modo in cui affronta la questione della mascolinità tossica senza mai scivolare nella retorica. L’aitante vicino di casa (interpretato da Lucas Bravo), ad esempio, inizialmente oggetto dei sogni di Nicole, si rivela poi un predatore mascherato da principe azzurro. La svolta narrativa è feroce e geniale: un incontro apparentemente innocente si trasforma in una lotta disperata, e le tre protagoniste devono difendersi dalla violenza inaspettata, optando per un’autodifesa radicale e liberatoria. La loro “vendetta” non è solo una reazione istintiva, ma anche un simbolo di una ribellione.

La mescolanza di generi

La commistione di generi è una caratteristica distintiva di questo film: da commedia grottesca e horror leggero si passa a un thriller crudo e spietato, fino a un gore che strizza l’occhio a Tarantino, pur rimanendo sempre vitale e libero, come il primo cinema di Almodovar. Merlant evira il corpo maschio della storia per affermare la femminilità come unica forza vitale, e nonostante questo è sempre ironica e leggera, non perde mai di vista il fuoco del suo racconto. Questo rende Le donne al balcone – The Balconettes un’esperienza visivamente affascinante e emotivamente coinvolgente. La violenza viene messa in scena in modo iperbolico, ma il vero nucleo del film è la ferita invisibile che la violenza infligge all’animo femminile.

La fiera esposizione del corpo femminile

Merlant si dimostra non solo una regista di talento, ma una narratrice coraggiosa, pronta a infrangere le convenzioni e a esplorare i confini della rappresentazione cinematografica del femminile. In questo film, i corpi delle protagoniste non sono mai oggetto di sguardi esterni/giudicanti; sono corpi che si espongono con fierezza, rivendicando il diritto di esistere senza compromessi. Le donne al balcone – The Balconettes non è solo un film che parla di emancipazione femminile: è un atto di insurrezione, un’opera che si rivolge allo spettatore con uno spirito di sorellanza feroce e libera.