Una nuova immagine ha rivelato il ruolo di Lady Gaganella seconda parte della seconda stagione di Mercoledì, per cui c’è grande attesa. Come noto, la prima parte della commedia horror di grande successo di Netflix è stata pubblicata sulla piattaforma di streaming il 6 agosto 2025. Il cast della seconda stagione include per anche Gaga, ma lei non è apparsa nella prima metà della stagione, confermando dunque che sarà presente nella seconda parte.
L’attesa per questa è quasi finita, in quanto uscirà su Netflix il 3 settembre 2025 e il personaggio di Gaga dovrebbe avere un ruolo piuttosto importante nei rimanenti episodi. Una nuova immagine ha ora rivelato un primo sguardo al suo personaggio, confermato essere Rosaline Rotwood. L’immagine diffusa dai profili social di Netflix (la si può vedere qui)
Il personaggio è vestita tutta di bianco, con lunghi capelli bianchi, in piedi e rivolta verso la telecamera. Sulla sua spalla c’è Mano. La didascalia riporta invece solo la frase: “Una visione velenosa”. Mercoledìha sempre fatto un ottimo lavoro nell’introdurre nuovi personaggi e renderli parte integrante dello show, conferendo loro personalità e profondità, come la Isadora Capri di Billie Piper, apparsa nella prima parte della seconda stagione.
È probabile che Rosaline sarà un personaggio che avrà un grande impatto sulla conclusione della seconda stagione. Descritta come una delle insegnanti più leggendarie di Nevermore, sarà sicuramente un personaggio con molta saggezza da offrire alla protagonista, ma non è chiaro se sarà un’amica o una nemica e se avrà qualche segreto che potrebbe rivelarsi decisivo alla risoluzione dei misteri ancora in corso.
Nella seconda stagione, Mercoledì Addams (Jenna Ortega) torna ad aggirarsi per i corridoi gotici della Nevermore Academy, dove l’attendeno una nuova serie di nemici e problemi. In questa stagione Mercoledì deve destreggiarsi tra famiglia, amici e vecchi avversari, per affrontare un altro anno di caos splendidamente oscuro e bizzarro. Armata della sua caratteristica arguzia tagliente e del suo fascino imperturbabile, Mercoledì si ritrova al centro di un nuovo agghiacciante mistero soprannaturale.
Se Benny Safdie e Dwayne “The Rock” Johnson sbarcano al Lido per presentare The Smashing Machine in concorso alla Mostra di Venezia 82, l’alta aspettativa è giustificata. Da un lato, il regista newyorkese che con il fratello ha firmato i ruvidi Good Time e Uncut Gems, dall’altro la star globale per eccellenza, qui pronta a spogliarsi del suo carisma granitico per affrontare una sfida inedita: incarnare le fragilità interiori di un uomo apparentemente invincibile. L’uomo in questione è Mark Kerr, leggenda delle arti marziali miste e volto iconico della UFC negli anni Novanta, conosciuto come “The Smashing Machine”.
Al netto della potenza del titolo e della grandezza dei nomi coinvolti, il film che arriva in Concorso a Venezia 82 non è l’opera radicale che ci si poteva attendere da Safdie. Piuttosto, una biografia dall’impianto classico, che procede ordinata nel raccontare la parabola di un gigante dai piedi d’argilla.
Dietro la maschera del combattente
Il film segue Kerr dalla sua ascesa nell’Ultimate Fighting Championship attraversando il lento sgretolarsi della sua vita personale, segnata da dipendenze, insicurezze e una relazione tumultuosa con Dawn Staples, interpretata con generosa intensità da Emily Blunt. La struttura è inedita per un film sportivo: l’ascesa, la gloria, il crollo, la ricerca di redenzione sono le tappe tradizionali che vengono mescolate e in cui la “gloria” finale è rappresentata dalla normalizzazione e dall’accettazione della sconfitta. Safdie non reinventa la formula ma la accompagna con la sua consueta attenzione al dettaglio umano.
Credits A24
Il cuore del film non è il ring. The Smashing Machine non è un film sportivo in senso stretto, ma un dramma intimista che scava nelle contraddizioni di Kerr: il colosso indistruttibile che all’esterno incarna la violenza e il dominio, e l’uomo emotivamente vulnerabile che dentro fatica a reggere il peso di se stesso. Johnson abbandona i tic della star action, si lascia andare a momenti di silenzio, di smarrimento, di rabbia compressa. È la sua interpretazione più coraggiosa, chiaramente costruita per misurarsi con la prossima season award.
Il progetto, raccontano Safdie e i protagonisti, nasce dal desiderio di un’immersione empatica totale. “Cosa vuol dire davvero essere Mark Kerr? Cosa significa essere Dawn Staples?”: sono queste le domande che hanno guidato la costruzione del film. Non sorprende quindi che Emily Blunt sia il vero contrappunto narrativo alla forza bruta di Johnson. Nei panni di Dawn, la compagna divisa tra amore e autodistruzione, Blunt regala una performance densa di esitazioni e di sfumature, capace di illuminare le crepe di un rapporto tanto intenso quanto tossico.
Safdie costruisce un racconto che cerca di farci entrare nei corpi e nelle anime dei protagonisti. E in parte ci riesce: il film non si limita a celebrare l’eroe sportivo, ma ci ricorda che anche i “superuomini” sanguinano, che dietro l’immagine titanica c’è una persona fragile, spesso smarrita. Il problema è che questo approccio, pur sincero, resta incorniciato in una forma narrativa troppo ordinaria, che non osa abbastanza.
Vedere Safdie confrontarsi con un biopic così tradizionale lascia un retrogusto strano. Dopo i suoi lavori precedenti, The Smashing Machine appare lineare, a tratti scolastico. Non manca l’intensità delle interpretazioni, ma non c’è la scintilla stilistica che ci si aspettava: niente di quella regia ansiogena che incolla alla poltrona, niente di quel montaggio vertiginoso che trasforma il caos in energia pura. Tutto scorre in modo composto.
The Smashing Machine è un film solido ma non memorabile
Certo, il tema è potente: Mark Kerr come metafora vivente della contraddizione tra forza e vulnerabilità, tra spettacolo e dolore privato. Eppure il film sembra accontentarsi di illustrare questa contraddizione, senza spingerla oltre, senza rischiare davvero. Una scelta comprensibile, forse dettata anche dall’ambizione di parlare a un pubblico ampio, ma che rende l’opera meno incisiva di quanto promettesse.
The Smashing Machine resta un’opera solida, sorretta da due interpretazioni magnetiche e da un’idea di fondo che invita a guardare dietro le maschere della forza fisica. Il film però, pur avendo tutte le carte in regola, non diventa mai quella macchina narrativa che ti travolge e ti lascia senza fiato.
Portare sul piccolo schermo un titolo come Un prophète, film di Jacques Audiard premiato a Cannes e candidato all’Oscar nel 2009, significava misurarsi con un’opera che ha segnato il cinema francese contemporaneo. Enrico Maria Artale – che aveva già presentato ad Orizzonti El Paraiso – ha accettato la sfida, dirigendo la nuova serie in otto episodi Un profeta, presentata fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2025. Un prodotto ambizioso, che cerca un difficile equilibrio tra fedeltà al modello e desiderio di ridefinirne i confini. Non tutto riesce, ma l’operazione mantiene un certo fascino, pur senza raggiungere le vette del film originale.
Una storia di potere e sopravvivenza
Al centro della vicenda c’è Malik (Mamadou Sidibé, al debutto sullo schermo), giovane immigrato africano arrestato a Marsiglia dopo un’operazione di droga finita male. Solo e vulnerabile, trova protezione dietro le sbarre grazie a Massoud (Sami Bouajila), potente e ambiguo uomo d’affari caduto in disgrazia. Ma ben presto Malik comprende che la sua sopravvivenza dipende dal trasformarsi da pedina sacrificabile a giocatore capace di muovere le fila del potere. È il punto di partenza per una riflessione sui rapporti di forza, sulle gerarchie sociali e sulla possibilità di riscrivere il proprio destino in un contesto dominato dalla violenza.
Artale sceglie un approccio che alterna aderenza realistica e suggestioni quasi mistiche. Come ha dichiarato lo stesso regista, la lavorazione ha seguito metodi tipici del cinema indipendente: riprese in ordine cronologico, riscritture durante le riprese, uso diretto della macchina da presa per instaurare una prossimità fisica con gli attori. Questo permette alla serie di distinguersi dalle produzioni televisive più convenzionali, cercando una continuità emotiva e visiva che rafforzi l’immedesimazione.
Il carcere come specchio della società
Uno dei meriti principali della serie è la volontà di spostare lo sguardo dal carcere come “altro mondo” a specchio della società contemporanea. Il tema dell’immigrazione, delle disuguaglianze economiche, delle discriminazioni religiose e sessuali attraversa costantemente gli episodi, radicando la storia nella Francia di oggi. In questo senso, Un profeta non è un semplice remake, ma un adattamento che reinterpreta i motivi universali dell’originale – sopravvivenza, violenza, identità – all’interno di un presente segnato da nuove tensioni sociali.
La serie alterna momenti di forte intensità narrativa ad altri più distesi, in cui prevale la riflessione sul contesto sociale e politico. Questo andamento spezzato contribuisce a dare respiro alla storia, ma allo stesso tempo la allontana dalle dinamiche più serrate del crime tradizionale. Artale sceglie di concentrarsi non solo sull’azione e sui meccanismi del carcere, ma anche sulle implicazioni filosofiche ed esistenziali dei personaggi, accentuando così il carattere ibrido dell’opera, sospesa tra realismo, noir e una dimensione quasi spirituale.
Un profetadi Enrico Maria Artale è, in definitiva, una serie coraggiosa, che prova a rendere contemporanea un’opera di culto senza tradirne lo spirito. L’operazione si distingue per ambizione e per la volontà di intrecciare realismo e suggestioni più liriche, offrendo una prospettiva nuova su temi universali come sopravvivenza, violenza e identità. Non sempre la tensione narrativa resta costante, ma il progetto rimane interessante nel suo dialogo con l’opera originale e nel modo in cui aggiorna il racconto alle contraddizioni della Francia contemporanea.
A Venezia 82 continua la grande attesa per The Smashing Machine, il nuovo film diretto da Benny Safdie e presentato in concorso. Prima della proiezione ufficiale, il cast si è riunito questa mattina per il tradizionale photocall, regalando agli obiettivi dei fotografi momenti di complicità e grande energia.
Le foto del photocall mostrano un raggiante Dwayne Johnson, protagonista assoluto nei panni del lottatore di MMA Mark Kerr. L’attore, per la prima volta al Lido, ha posato con il suo carisma inconfondibile, conquistando fan e giornalisti presenti. Al suo fianco, Emily Blunt, interprete di Dawn Staples, ha incantato con eleganza e sorriso, confermando la forte alchimia tra i due già evidente nei materiali promozionali del film.
Accanto alla coppia protagonista, hanno partecipato al photocall anche Ryan Bader (nei panni di Mark Coleman), Bas Rutten che interpreta se stesso, Oleksandr Usyk come Ihor Vovčančyn, Lyndsey Gavin, Satoshi Ishii, James Moontasri e Yoko Hamamura, che completano un cast di assoluto livello. Insieme al regista Benny Safdie, hanno celebrato un progetto che unisce sport, dramma personale e una profonda riflessione sull’identità.
Le immagini catturate durante il photocall raccontano la sintonia di un cast affiatato e la determinazione di portare al pubblico una storia intensa e autentica, capace di andare oltre la semplice cronaca sportiva. The Smashing Machine non è infatti solo il ritratto di una leggenda delle arti marziali miste, ma anche una riflessione sul sacrificio, la fama e i costi nascosti del successo.
Con queste foto, Venezia si conferma ancora una volta cornice ideale per lanciare le grandi anteprime mondiali e per offrire un palcoscenico di straordinaria visibilità a star internazionali e registi di prestigio.
Grande attesa e grande glamour ieri al Lido per la presentazione in concorso di The Testament of Ann Lee, diretto da Mona Fastvold. A catturare l’attenzione non è stata solo la proiezione, ma soprattutto le foto dal red carpet, che restituiscono l’atmosfera vibrante della serata e l’eleganza del cast.
Amanda Seyfried, protagonista del film nei panni di Ann Lee, ha incantato fotografi e pubblico con un look raffinato che ha subito fatto il giro dei social. L’attrice americana è stata la star più attesa e le immagini del suo arrivo raccontano perfettamente la magia di un evento che ha unito cinema e stile.
Accanto a lei hanno sfilato i colleghi Thomasin McKenzie, Lewis Pullman, Stacy Martin, Tim Blake Nelson, Christopher Abbott, Matthew Beard, Scott Handy, Jamie Bogyo, Viola Prettejohn e David Cale, tutti immortalati negli scatti che oggi fanno rivivere uno dei momenti più emozionanti del Festival. Presente anche la regista Mona Fastvold, che ha guidato il cast con eleganza e discrezione.
Le foto del red carpet di The Testament of Ann Lee non sono solo un’occasione per ammirare i protagonisti in abiti da sera, ma raccontano anche la compattezza di un gruppo unito intorno a un progetto ambizioso. Il film porta sul grande schermo la storia di Ann Lee, fondatrice della comunità degli Shakers, affrontando temi di fede, identità e sorellanza.
Ancora una volta il tappeto rosso di Venezia si conferma palcoscenico internazionale: le immagini di Seyfried e del cast diventano il simbolo di un’edizione che celebra il cinema ma anche l’incanto della sua messa in scena.
Gli ultimi anni sono stati piuttosto altalenanti per Dwayne “The Rock” Johnson. Il wrestler professionista diventato star di Hollywood un tempo non sbagliava neanche un film, incassando un successo dietro l’altro e affermandosi come uno degli attori d’azione più pagati di Hollywood. Johnson sperava di conquistare anche l’universo DC con Black Adam, ma è stato rapidamente estromesso dal franchise quando il film è stato un flop. Nello stesso periodo, la serie Young Rock è stata cancellata dalla NBC e anche il recente Uno Rosso non ha goduto degli incassi sperati.
Johnson si è così deciso a reinventarsi come attore serio, assumendo un ruolo di grande rilievo in The Smashing Machine, un film della A24 sul campione UFC Mark Kerr che molti ritengono possa fargli ottenere una nomination all’Oscar. A partire da qui, Johnson, noto per la sua corporatura massiccia e imponente, sta cercando di assumere ruoli molto diversi in futuro – ha persino un film con Martin Scorsese in cantiere – e sembra aver perso molto peso e massa muscolare per andare in questa direzione.
Variety ha ora incontrato Johnson per parlare di The Smashing Machine, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, scoprendo di più sul suo passaggio dai film d’azione a ruoli più seri. “Era da molto tempo che lo desideravo”, ha detto. “Noi tre ne abbiamo parlato a lungo: quando sei a Hollywood, come tutti sappiamo, tutto ruota intorno al botteghino. E tu insegui il botteghino, che può essere molto rumoroso e può diventare molto assordante e può spingerti in una categoria e in un angolo. Questa è la tua strada, questo è quello che fai e questo è quello che Hollywood vuole che tu faccia”.
“Avevo solo questo desiderio ardente e una voce che mi diceva: ‘E se ci fosse di più e se potessi farlo?’. A volte è difficile per noi sapere di cosa siamo capaci quando siamo stati incasellati in qualcosa”, ha continuato Dwayne Johnson. “È più difficile sapere di cosa sei capace, e a volte ci vogliono persone che conosci e ami, come Emily e Benny, per dirti che puoi farlo”. “Qualche anno fa mi sono guardato intorno e ho iniziato a pensare: sto vivendo il mio sogno o quello di altre persone?”, racconta l’attore.
“Quando arrivi a questa consapevolezza, puoi scegliere se adeguarti o andare avanti, perché vuoi vivere i tuoi sogni e fare ciò che desideri. Fino ad ora avevo paura di andare in profondità, di essere intenso e genuino, finché non ho avuto questa opportunità”, ha aggiunto. Dwayne Johnson sta indubbiamente correndo un grosso rischio professionale e merita molto credito per questo. Resta da vedere se ne varrà la pena, ma è chiaro che sta puntando tutto sulla reinvenzione di sé stesso per questa nuova fase della sua carriera di attore.
Dwayne Johnson protagonista di The Smashing Machine
Il film The Smashing Machine diretto da Benny Safdie racconta la storia di Mark Kerr, leggendario lottatore di MMA degli anni ’90, soprannominato proprio The Smashing Machine per la sua forza devastante e la sua carriera segnata tanto da vittorie epiche quanto da fragilità personali.
A guidare il cast è Dwayne Johnson nei panni di Mark Kerr, in un ruolo che promette una svolta drammatica nella sua carriera. Al suo fianco Emily Blunt interpreta Dawn Staples, mentre Ryan Bader veste i panni di Mark Coleman. Il film schiera anche volti noti del mondo degli sport da combattimento e interpreti internazionali: Bas Rutten nel ruolo di sé stesso, Oleksandr Usyk come Ihor Vovčančyn, Lyndsey Gavin come Elizabeth Coleman, Satoshi Ishii come Enson Inoue, James Moontasri come Akira Shoji e Yoko Hamamura come Kazuyuki Fujita.
Tra le voci più autentiche e riconoscibili della nuova generazione di cineasti, Brady Corbet ha saputo inquadrare nel corso di tre film tre epoche storiche differenti, il tutto tramite lo sguardo di personaggi fittizi che potrebbero incontrare a ogni angolo la realtà. Per farlo, ha sempre intrecciato le mani con Mona Fastvold, sua compagna anche nella vita. Dopo il Leone d’oro alla miglior regia lo scorso anno a Venezia con The Brutalist, poi consacrato definitivamente agli Academy Awards, è ora Mona ad approdare come regista in concorso a Venezia 82 con Il Testamento di Ann Lee, supportata dal marito alla sceneggiatura.
Il film è una rivisitazione speculativa della vita della predicatrice religiosa Ann Lee, fondatrice del movimento radicale degli Shakers, diffusosi prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti sul calare del XVIII secolo, qui interpretata daAmanda Seyfried. Il nome di questo ramo del calvinismo puritano deriva proprio dai movimenti agitati e “tremolanti” che caratterizzavano gli atti estatici da cui erano composti i loro rituali.
La donna vestita di sole
Il primo canto è di una ragazza di Manchester. Al posto di sognare futili giocattoli, la piccola Ann Lee aveva visioni celesti. Il disprezzo per la convivenza carnale si manifestò presto nel suo cuore, controbilanciato da una distesa d’amore infinita per il fratello, il piccolo William (Lewis Pullman). Cercando di dare un senso al grigiore del suo destino, ma ancora senza una strada precisa, Ann incontra e sposa Abrahm (Christopher Abbott), uomo la cui attitudine decisamente autoritaria rinchiude la spiritualità della donna. Insieme, hanno quattro figli, tutti nati morti o sopravvissuti solo fino all’anno di nascita. Così, obbligata a rinunciare a ciò che sentiva (il matrimonio al posto della fede), piegata dalla sofferenza dei lutti improvvisi, Ann ha una visione mistica in cui le si rivela l’intero mondo spirituale e di essere la seconda venuta di Cristo in forma di donna.
Ann, nel frattempo confinata in prigione, giunge a una consapevolezza: trasformerà il dolore in evangelizzazione. La sua tenda terrena si distrugge, freme dentro di lei la fame e sete di giustizia. Aggregandosi a sè alcuni membri di una comunità di quaqqueri (tra questi ci sono Thomasin McKenzie e Stacey Martin), inizia a predicare che l’abnegazione tramite il celibato e il duro lavoro sono la chiave per garantirsi l’accesso al paradiso. La donna è però preoccupata per il tempo perso, che scorre, in maniera analoga a un altro “padre fondatore” americano, Hamilton, che il mondo letterario e dello spettacolo hanno riportato in auge con il musical di Lin-Manuel Miranda.
Le radici dell’albero della fede
Il secondo è di una donna.Tutto è concerto, tutto è estate: cantando questi inni di gioia il gruppo approda a New York con l’obiettivo di piantare l’albero della fede nella Nuova Terra. Fastvold, il cui background è profondamente radicato nelle arti performative, intesse un racconto musicale in cui l’espressione artistica è legge massima dello stare in gruppo, un’utopia tramite cui reinventare la propria vita che divenne rapidamente molto più appetibile di altre, perchè madre Ann non avrebbe mai professato principi invalidi per lei o che non avrebbe potuto praticare in prima persona.
Amanda Seyfried è perfetta nell’incarnare l’idea di una leader evangelica che chiama a sè, non impone mai. I canti e le danze esplodono solo all’unisono, sulla dolce scia di una voce guida, che non attira mai l’attenzione seguendo il principio dell’adorazione, ma vuole solo sprigionare empatia ed uguaglianza.
Una casa dove tutto ha un proprio posto
Il terzo è di una madre. Dopo essersi radicati nelle foreste di Niskeyuna, inizia la crociata spirituale. Ann si cura poco della guerra che infuria attorno a lei, porta avanti un’utopia di totale equità, che riunisce persone di ogni genere in un’America in realtà completamente divisa e annientata dalla piaga della schiavitù. Nonostante i tentativi di negare questa leadership femminile – verrà accusata di stregoneria e verrà dichiarato che, pur avendo sembianze femminili, non può essere definita donna – Ann sbarca nel Nuovo Mondo con un solo obiettivo: creare una casa dove ogni cosa ha un posto. E proprio questa forza propulsiva, questo progetto così preciso che la mistica ha in mente guardando al futuro, è ravvisabile nel lavoro su ogni reparto assemblato da Fastvold e Corbet. Si capisce che, quello alle loro spalle, è un team ormai ben consolidato che, con questo film, ha confermato ulteriormente che creare ha senso solo nela condivisione.
Il regista Doug Liman è attualmente a Venezia, dove presenta il suo cortometraggio Asteroids, in concorso tra le 30 opere facenti parte della sezione Immersive Competition. Interpretato da Hailee Steinfeld, Rhenzy Feliz, DK Metcalf, Ron Perlman, Frieda Pinto e Leon Mandel, il film ruota attorno a un gruppo di sconosciuti che si dirigono verso un asteroide a bordo di un vecchio razzo russo Soyuz per una missione rischiosa volta a estrarre ricchezze oltre ogni immaginazione. Solo uno dei viaggiatori spaziali tornerà sulla Terra.
Data l’ambientazione del corto, a Liman è stato chiesto da Deadline del suo progetto da girare nello spazio con Cruise, rivelato per la prima volta nel 2020, Liman ha detto che è ancora in programma, ma che non ci sono aggiornamenti. “Ho appena finito Asteroid, quindi ora sto riflettendo su cosa fare dopo e su cosa ho imparato, in parte anche sulla reazione del pubblico. Preferireste che vi dessi risposte più concrete, ma mi state mettendo alle strette… Non so dove mi porterà tutto questo. So che voglio fare di più nello spazio…”.
“Sono però più entusiasta dell’idea di personaggi che non hanno motivo di andare nello spazio dopo aver realizzato questo film“, ha detto Doug Liman. Il regista ha però aggiunto che girare un film nello spazio rimane nella sua lista dei desideri, ma confermando che per ora non c’è nulla in programma, dato che sia lui che Cruise sono impegnati in altri progetti. “Sono più entusiasta di andare nello spazio, non meno… ma il nostro obiettivo è realizzare qualcosa di grande”.
“Molti cercano di fare cose appariscenti del tipo: ‘Oh, è nello spazio’. Non mi interessa fare qualcosa che sia solo un espediente promozionale. Voglio realizzare un film che la gente guarderà tra cento anni, quando forse ci saranno centinaia di film girati nello spazio e non ci sarà nulla di speciale nel fatto che sia ambientato nello spazio. Questo è l’obiettivo di tutto ciò che faccio“, chiarisce il regista. “Se mai girassi un film nello spazio, la domanda sarebbe: cosa potrei fare che non si possa fare sulla Terra e che sia un grande intrattenimento, che sia meglio che non farlo nello spazio?”
Cosa sappiamo del film nello spazio di Doug Liman e Tom Cruise
Gli ultimi aggiornamenti sul film, al momento ancora senza titolo, risalgono al 2023, quando Tom Cruiseha affermato che sia lui che il regista Doug Liman non sanno ancora quando il film si concretizzerà ma che “ci stiamo lavorato diligentemente e vedremo dove riusciremo ad arrivare“. Come riportato in precedenza, il progetto non sarà un racconto di fantascienza, ma sarà invece una semplice storia di azione/avventura, con la trama che dovrebbe seguire un uomo (Cruise), che si ritrova improvvisamente nella posizione privilegiata di essere l’unica persona che può salvare la Terra, ma che per farlo dovrà recarsi su una Stazione Spaziale tramite un razzo.
I co-creatori di Stranger Things, i fratelli Duffer, hanno rivelato alcuni nuovi dettagli sugli episodi della quinta stagione in arrivo. In un nuovo post su Instagram, Ross Duffer ha infatti rivelato che la post-produzione del Volume Uno (composta dai primi 4 episodi) della quinta stagione di Stranger Things è stata completata. Ha poi condiviso nuovi dettagli sugli episodi 3 e 4, “The Turnbow Trap” e “Sorcerer”, il primo dei quali è diretto “da uno dei nostri idoli, Frank Darabont”, mentre il secondo è così importante che stanno “ancora riprendendosi” dalle riprese.
“Capitoli tre e quattro: chiusi, mixati, musicati, colorati… Il Volume Uno è FINITO. “The Turnbow Trap” è l’episodio più classico di Stranger Things della stagione. Ha tutte le nostre cose preferite. Diretto da uno dei nostri idoli, Frank Darabont (Le ali della libertà! Il miglio verde! The Walking Dead!), che è letteralmente uscito dal pensionamento per questo progetto. Ovviamente ha fatto un lavoro fantastico“, scrive Duffer.
“Sorcerer” è ENORME, grande come qualsiasi finale che abbiamo mai realizzato, e le riprese più folli dal punto di vista logistico della nostra vita. Ci stiamo ancora riprendendo”, afferma invece per quanto riguarda il quarto episodio, quello conclusivo del Volume Uno. Considerando la pausa di circa un mese che separerà questo episodio dai successivi, c’è da attendersi un “finale” estremamente potente, con un cliffhanger che terrà i fan della serie con il fiato sospeso fino al 26 dicembre, quando arriverà il Volume Due.
La quarta stagione di Stranger Things si è conclusa con un finale drammatico e cupo, lasciando i fan in attesa di un epilogo all’altezza della posta in gioco. Dopo aver scoperto che Vecna altri non è che Henry Creel/Numero Uno, Undici e i suoi amici hanno affrontato una battaglia disperata per fermarlo, ma senza riuscire ad annientarlo completamente. Hawkins è stata gravemente danneggiata: il portale tra il Sottosopra e il mondo reale si è aperto in modo permanente, scatenando una distruzione visibile a occhio nudo. I protagonisti si ritrovano finalmente riuniti, ma la sensazione è che la guerra sia appena cominciata, con la realtà che inizia a contaminarsi sempre più con l’oscurità dell’altra dimensione.
La trama della quinta stagione riprenderà direttamente dagli eventi della precedente, senza salti temporali. I fratelli Duffer, creatori della serie, hanno anticipato che la Stagione 5 sarà l’ultima e si concentrerà sullo scontro finale tra Undici e Vecna per la salvezza di Hawkins e, forse, dell’intero pianeta. L’ambientazione tornerà a essere più concentrata sulla cittadina dell’Indiana, come nella prima stagione, ma con un tono epico e definitivo. Verranno svelati i segreti rimasti in sospeso sul Sottosopra, sul laboratorio di Hawkins e sul legame psichico tra Undici e le creature che lo abitano.
Il cast della quinta stagione vedrà il ritorno di tutti i volti principali. Millie Bobby Brown sarà ancora Undici, pronta a usare i suoi poteri in una battaglia decisiva. Fanno poi parte del cast Finn Wolfhard(Mike), Noah Schnapp (Will), Gaten Matarazzo (Dustin), Caleb McLaughlin (Lucas), Sadie Sink (Max) e Natalia Dyer (Nancy), Joe Keery (Steve), Charlie Heaton (Jonathan), Maya Hawke (Robin), Winona Ryder(Joyce) e David Harbour (Hopper). Grande attesa anche per il ritorno di Jamie Campbell Bower nel ruolo di Vecna/Henry, ancora più potente e vendicativo.
I fratelli Duffer hanno anche dichiarato che questa stagione sarà la più intensa e commovente dell’intera saga, promettendo un finale all’altezza delle aspettative. La posta in gioco è altissima: la chiusura di una delle serie più amate dell’ultimo decennio porterà con sé risposte definitive, ma anche inevitabili addii. L’ultimo capitolo di Stranger Things non sarà solo una resa dei conti, ma un evento narrativo e culturale atteso da milioni di fan in tutto il mondo.
La distribuzione della quinta stagione su Netflix sarà così ripartita:
Le riprese del film Clayface, uno dei prossimi capitoli cinematografici del DC Universe di James Gunne Peter Safran, sono ufficialmente iniziate. Stanno dunque iniziando a circolare online le prime immagini dal set e dopo averne viste alcune con auto della polizia di Gotham e altre del protagonista Tom Rhys Harries, ora ha fatto la sua comparsa in rete una foto che sembra confermare l’esistenza di Joker nel DCU.
L’account @lilyfnrose ha infatti recentemente condiviso diverse nuove immagini (le si può vedere qui) che includono un primo riferimento al supercattivo più famoso di Batman. Sebbene nelle immagini non compaiano attori del cast, sono i numerosi poster e graffiti sui muri ad attirare l’attenzione. Uno di essi riporta la scritta “The Jokers”, un chiaro riferimento al personaggio della DC, che segna così il primo richiamo al nemico di Batman nella DCU.
Anche se questo easter egg su Joker è incluso nel film Clayface, ciò non significa che il Principe Clown del Crimine apparirà nel film. Semmai, serve a mettere in risalto Gotham City piuttosto che introdurre il villain, spingendo ad attendersi ulteriori potenziali riferimenti di questo tipo sparsi nell’ambiente. Considerando che la DCU è stata ideata per avere già vari eroi e cattivi esistenti in questo universo, non è una sorpresa che Joker sia presente, al punto che potrebbe avere i suoi seguaci.
Al momento sono stati rivelati pochi dettagli sulla trama, ma abbiamo appreso che Matt Hagen sarà al centro dell’attenzione. Nei fumetti, era il secondo Clayface, un avventuriero che si è trasformato in un mostro dopo aver incontrato una pozza radioattiva di protoplasma. Questo è cambiato in Batman: The Animated Series, dove è stato ritratto come un attore che usava una crema anti-età per sembrare più giovane. Dopo essersi scontrato con il suo creatore, Roland Daggett, Hagen viene immerso in una vasca di quella sostanza e diventa il “classico” Clayface che tutti conoscete dai fumetti.
Stando ad alcuni rumor emersi online, la storia di Clayface sarà incentrata su un attore in ascesa il cui volto è sfigurato da un gangster. Come ultima risorsa, il divo si rivolge a uno scienziato eccentrico in stile per chiedere aiuto. All’inizio l’esperimento ha successo, ma le cose prenderanno presto una piega inaspettata.
Poiché Clayface sarà ambientato nell’universo DC, i fan dovrebbero aspettarsi molti collegamenti con l’universo più ampio, e saremmo molto sorpresi se Batman apparisse o fosse anche solo menzionato. Il produttore Peter Safran ha condiviso alcuni nuovi dettagli sulla sceneggiatura di Flanagan, sottolineando che il film sarà effettivamente un film horror in piena regola, sulla scia di La mosca di David Cronenberg, ma si dice trarrà anche ispirazione dal successo horror di Coralie Fargeat, The Substance.
“Clayface, vedete, è una storia horror hollywoodiana, secondo le nostre fonti, che utilizza l’incarnazione più popolare del cattivo: un attore di film di serie B che si inietta una sostanza per rimanere rilevante, solo per scoprire che può rimodellare il proprio viso e la propria forma, diventando un pezzo di argilla ambulante”, ha dichiarato Safran.
Tom Rhys Harries interpreterà il personaggio principale di Clayface, il film dei DC Studios. Il film è basato su una storia di Mike Flanagan, attore di La caduta della casa degli Usher (l’ultima bozza è stata firmata da Hossein Amini, sceneggiatore di Drive), con James Watkins, regista di Speak No Evil, alla regia.
Clayface è attualmente previsto per l’arrivo nelle sale l’11 settembre 2026.
Alexandre O. Philippe ha fatto del cinema di culto la sua ossessione: Alien, Lynch, Oz… e ora Hitchcock. Con Kim Novak’s Vertigo, presentato Fuori Concorso a Venezia 82, il regista torna a corteggiare il mito con la stessa reverenza di un chierichetto davanti all’altare. Ma se il fantasma di Hitchcock aleggia sul documentario, lo spirito che davvero domina la scena è quello di Kim Novak, 92 anni, che accetta finalmente di guardarsi indietro. Peccato che l’operazione sia più un atto di devozione che un’analisi. Philippe non costruisce un ritratto critico, ma una specie di confessionale vintage, un film che gira in tondo come le spirali di Saul Bass.
Dalla diva riluttante all’attrice “per caso”
Novak racconta la sua carriera come un lungo equivoco: da Marilyn Novak, modella di frigoriferi, a Kim, “la grassa polacca” secondo Harry Cohn, fino al ruolo della vita in Vertigo. L’attrice insiste nel definirsi una “re-actor”, più che una vera interprete, un corpo che reagisce sul set più che un’artista consapevole. Philippe, affascinato da questa auto-svalutazione, non osa contraddirla.
Eppure, se i racconti personali conservano un indubbio fascino, l’impianto filmico li trasforma in un loop ripetitivo: Hollywood come trauma, Hitchcock come padre spirituale, la fuga dall’industria come liberazione. Non c’è contraddittorio, non c’è distanza. Solo un microfono lasciato acceso, con qualche inserto di repertorio e un montaggio che prova a somigliare a un thriller psicanalitico.
Il titolo allude ovviamente a Vertigo, ma anche al senso di vertigine vissuto da Novak nei suoi anni hollywoodiani. Philippe abbraccia la metafora con zelo quasi scolastico: cerchi, spirali, dissolvenze che inseguono l’estetica di Bass senza mai avvicinarne la potenza. Le sequenze dedicate ai quadri dell’attrice vorrebbero mostrare una rinascita artistica, ma finiscono per accentuare l’impressione di un film che non sa scegliere se essere saggio critico, confessione intima o catalogo illustrato.
Il momento culminante, il ritrovamento dell’iconico tailleur grigio, si risolve in una scena carica di pathos ma povera di cinema: un vestito conservato in soffitta, un’attrice che lo contempla, il pubblico invitato a commuoversi. È davvero troppo poco per un documentario che ambisce a dialogare con uno dei capolavori assoluti della settima arte.
Il rischio dell’agiografia
Sembra che Kim Novak’s Vertigo sia stato presentato fuori concorso per una forma di cortesia istituzionale. Philippe costruisce un film che non mette mai in discussione il proprio oggetto, preferendo cullarsi nell’aura del mito. Hitchcock diventa un’icona, Novak un’icona resiliente, e tutto ciò che resta è un esercizio di nostalgia.
Il problema non è la venerazione (legittima) ma la mancanza di sostanza critica. Al di là dell’aneddotica (le dita dei piedi di James Stewart, il soprannome offensivo di Cohn, il ritiro in Oregon), rimane poco.
Per celebrare i festeggiamenti odierni del “Ritorno a Hogwarts”, è stato confermato che la serie TV Harry Potter della HBO vedrà Warwick Davis riprenderà il suo ruolo cinematografico del professor Filius Vitious, segnando così il suo ritorno nel mondo magico.
La serie ha anche scritturato altri attori per altri studenti di Hogwarts, con Elijah Oshin nel ruolo di Dean Thomas, Finn Stephens in quello di Vincent Crabbe e William Nash in quello di Gregory Goyle. Il personale della scuola si è arricchito di nuovi membri, con Sirine Saba nel ruolo della professoressa Pomona Sprout, Richard Durden nel ruolo del professor Cuthbert Binns e Bríd Brennan nel ruolo di Madam Poppy Pomfrey.
Infine, la star di Joker, Leigh Gill interpreterà il ruolo di Griphook della Banca Gringott, un ruolo che Davis aveva già interpretato nei film di Harry Potter (qui si possono vedere i volti degli attori scelti). Con questo, il cast di Harry Potter è quasi completo. Alcuni ruoli chiave devono ancora essere assegnati, il più importante dei quali è quello di Lord Voldemort, anche se secondo quanto riferito il piano sarebbe di svelarlo quando la serie andrà in onda.
Il ritorno di Warwick Davis significa però che vedremo altri attori riprendere i loro ruoli dai film di Harry Potter quando arriverà su HBO nel 2027? Sembra un po’ una trovata pubblicitaria, e probabilmente si tratterà di un caso isolato, ma la star di Willow è molto amata dai fan della fantascienza e del fantasy, quindi è improbabile che ci siano troppe lamentele riguardo al suo ritorno.
Cosa sappiamo della serie HBO su Harry Potter
La prima stagione sarà tratta dal romanzo La pietra filosofale e abbiamo già visto alcuni altri momenti chiave del romanzo d’esordio di J.K. Rowling essere trasposti sullo schermo. La prima stagione di Harry Potter dovrebbe essere girata fino alla primavera del 2026, mentre la seconda stagione entrerà in produzione pochi mesi dopo. Ogni libro dovrebbe costituire una singola stagione, il che significa che avremo sette stagioni nell’arco di quasi un decennio.
HBO descrive la serie come un “adattamento fedele” della serie di libri della Rowling. “Esplorando ogni angolo del mondo magico, ogni stagione porterà ‘Harry Potter’ e le sue incredibili avventure a un pubblico nuovo ed esistente”, secondo la descrizione ufficiale. Le riprese dovrebbero avere inizio nel corso dell’estate 2025, per una messa in onda prevista per il 2026.
La serie è scritta e prodotta da Francesca Gardiner, che ricopre anche il ruolo di showrunner. Mark Mylod sarà il produttore esecutivo e dirigerà diversi episodi della serie per HBO in collaborazione con Brontë Film and TV e Warner Bros. Television. La serie è prodotta da Rowling, Neil Blair e Ruth Kenley-Letts di Brontë Film and TV, e David Heyman di Heyday Films.
Come già annunciato, Dominic McLaughlin interpreterà Harry, Arabella Stanton sarà Hermione e Alastair Stout sarà Ron. Il cast principale include John Lithgow nel ruolo di Albus Silente, Janet McTeer nel ruolo di Minerva McGranitt, Paapa Essiedu nel ruolo di Severus Piton, Nick Frost nel ruolo di Rubeus Hagrid, Katherine Parkinson nel ruolo di Molly Weasley, Lox Pratt nel ruolo di Draco Malfoy, Johnny Flynn nel ruolo di Lucius Malfoy, Leo Earley nel ruolo di Seamus Finnigan, Alessia Leoni nel ruolo di Parvati Patil, Sienna Moosah nel ruolo di Lavender Brown, Bertie Carvel nel ruolo di Cornelius Fudge, Bel Powley nel ruolo di Petunia Dursley e Daniel Rigby nel ruolo di Vernon Dursley.
Si avranno poi Rory Wilmot nel ruolo di Neville Paciock, Amos Kitson nel ruolo di Dudley Dursley, Louise Brealey nel ruolo di Madama Rolanda Hooch e Anton Lesser nel ruolo di Garrick Ollivander. Ci sono poi i fratelli di Ron: Tristan Harland interpreterà Fred Weasley, Gabriel Harland George Weasley, Ruari Spooner Percy Weasley e Gracie Cochrane Ginny Weasley. Warwick Davis, già membro dei film per il cinema, riprenderà il ruolo del professor Filius Vitious.
La serie debutterà nel 2027 su HBO e HBO Max (ove disponibile) ed è guidata dalla showrunner e sceneggiatrice Francesca Gardiner (“Queste oscure materie”, “Killing Eve”) e dal regista Mark Mylod (“Succession”). Gardiner e Mylod sono produttori esecutivi insieme all’autrice della serie J.K. Rowling, Neil Blair e Ruth Kenley-Letts di Brontë Film and TV, e David Heyman di Heyday Films. La serie di Harry Potter è prodotta da HBO in collaborazione con Brontë Film and TV e Warner Bros. Television.
Il regista Chris Columbus ritiene che un nuovo film che riunisca il cast della saga cinematografica Harry Potter sia estremamente improbabile. Sebbene siano ancora molto popolari oggi, questi film hanno avuto un successo strepitoso quando sono usciti nelle sale, incassando 7,7 miliardi di dollari al botteghino, senza nemmeno tenere conto dell’inflazione. Mentre il franchise spin-off Animali fantastici ha faticato a mantenere lo slancio, Harry Potter ha sempre avuto grande successo.
Questo successo è stato in parte determinato dal casting azzeccato dei film originali. Daniel Radcliffe(Harry), Emma Watson (Hermione) e Rupert Grint (Ron) hanno interpretato alla perfezione il trio protagonista, crescendo insieme alla serie e al loro pubblico. Gli spettatori hanno così potuto affezionarsi a questi personaggi durante i 10 anni di programmazione.
Sfortunatamente, Columbus, che ha diretto i primi due film, ritiene dunque che non si riuniranno mai più in un film di Harry Potter. In un’intervista al Sunday Times, ha spiegato che, a causa delle opinioni controverse dell’autrice J.K. Rowling sulle persone transgender, molti dei membri del cast originale non hanno alcun interesse a riprendere i loro ruoli.
“Non succederà mai. È diventato tutto così complicato con tutte le questioni politiche. Tutti i membri del cast hanno la loro opinione, che è diversa dalla sua, il che rende impossibile la cosa. Non parlo con la signora Rowling da circa un decennio, quindi non ho idea di cosa le stia succedendo, ma sono in stretto contatto con Daniel Radcliffe e gli ho parlato proprio pochi giorni fa. Ho ancora un ottimo rapporto con tutti i ragazzi del cast”.
Negli ultimi dieci anni, come noto, la Rowling ha ripetutamente criticato le persone transgender, mentre Watson, Grint e Radcliffe hanno costantemente difeso la comunità LGBTQ+. La loro posizione ha portato la Rowling a criticare direttamente gli attori, il che rende ancora meno probabile la realizzazione di un film che li riunisca tutti insieme. In precedenza c’era stato un revival di Harry Potter nel 2022.
Harry Potter 20th Anniversary: Ritorno a Hogwarts ha visto molti membri del cast tornare per celebrare la serie, anche se non hanno ripreso i loro ruoli. Le tre star erano tra i partecipanti, anche se la Rowling non è apparsa al di fuori di brevi clip d’archivio. C’è sempre la possibilità di un sequel sotto forma di Harry Potter e la Maledizione dell’Erede, ma i commenti di Columbus rendono sempre più improbabile il suo sviluppo. Non resta dunque che attendere la serie targata HBO.
Con Piccolo Corpo aveva incantato prima il pubblico del Festival di Cannes e poi gli spettatori italiani. Ora, Laura Samani porta la sua opera seconda tra le fila del concorso di Orizzonti a Venezia 82, cambiando nettamente registro con Un anno di scuola. Da quella storia di elaborazione del lutto nell’Italia di inizio Novecento, che virava quasi verso il fiabesco e il folk horror, la regista triestina fa un balzo verso il coming-of-age, ripescando dagli anni della sua gioventù e contemporaneamente riadattando e aggiornando il romanzo del 1961 di Giani Stuparich.
Buon ultimo primo giorno di scuola!
Settembre 2007, Trieste. Fred, diciottenne svedese vivace e intraprendente, si trasferisce in città per frequentare l’ultimo anno di un Istituto Tecnico. È l’unica ragazza in una classe composta interamente da ragazzi e attira subito l’attenzione di tre amici inseparabili: Antero, affascinante e introverso; Pasini, seduttore carismatico; Mitis, dal carattere buono e protettivo. Legati da sempre da un’amicizia indissolubile, i tre vedono l’equilibrio del loro legame incrinarsi con l’arrivo di Fred, che li mette di fronte a gelosie e desideri mai confessati. Mentre ciascuno di loro sogna di conquistarla, lei vuole soltanto entrare a far parte del gruppo, ma per essere accettata deve continuamente rinunciare a una parte di sé.
Per buona parte dell’inizio, nella fase di inserimento scolastico, Fred viene inquadrata di spalle, subordinato allo sguardo di una classe di soli maschi che non esita a lanciare battutine sessiste facendone la conoscenza. La ragazza svedese, scopriremo spostandoci dalla scuola a casa sua, vive in un mondo di soli uomini, dato che la mamma è morta. Ben presto, però, Fred rinuncerà alla condizione di emarginata che potrebbe derivare da questa situazione, preferendo assumere comportamenti più maschili, in alcuni casi di manifestare il suo essere più avanti (nelle prime fasi della storia d’amore con Antero). I problemi non tarderanno però ad arrivare quando gli altri membri del gruppo capiranno che tra i due c’è del tenero.
Una gang che non si dimentica
Stella Wendick, Giacomo Covi, Pietro Giustolisi, Samuel Volturno: i giovani protagonisti del film di Samani sono semplicemente irresistibili. Sono loro la vera essenza di un coming-of-age sincero e romantico, di quelli che è rinfrescante vedere sugli schermi italiani. La dolcezza con cui inquadra l’integrazione di Fred, le avventure in gruppo e, soprattutto, la love story con Antero, che va a scombussolare le dinamiche di gruppo, prendono lo spirito dei racconti di formazione statunitense stabilendoli dentro i confini del nostro Paese, senza mai scimmiottarli.
Se per alcuni Un anno di scuola potrebbe essere considerato un “passo indietro” rispetto a Piccolo Corpo – decisamente più originale nel soggetto – nella filmografia di Samani, questo esperimento prova invece la versatilità di una regista giovane ma già ben assestata, che riesce a trattare con grande credibilità due forme molto diverse tra di loro. Questo, molto probabilmente, è il risultato dell’amore sconfinato che Samani nutre per i suoi personaggi, mai figure unilaterali, che vanno ad arricchire profondatamente la cornice narrativa con le loro scelte. In questo caso, Fred capisce che “questi ragazzini idioti” cresceranno prima o poi, e che lei avrà contribuito. Che non può dargli ancora più potere, rischiare di impantanarsi in comportamenti che non la rappresentano, restare indietro.
Tornando a I Fantastici Quattro: Gli Inizi, il film ha debuttato con 117,6 milioni di dollari, il miglior risultato dell’anno per l’MCU nel weekend di apertura negli Stati Uniti. Tuttavia, ha subito un crollo nel secondo weekend con un calo del 67,1%, uno dei peggiori della serie. Ciononostante, nelle settimane successive ha continuato a scalare lentamente e costantemente le classifiche. Secondo The Numbers, il film ha ora raggiunto un incasso globale di 505,1 milioni di dollari entro la metà del weekend festivo del Labor Day, il suo sesto weekend nelle sale.
Inoltre, è il primo e unico film MCU a raggiungere questo traguardo nel 2025, avendo superato di gran lunga sia Captain America: Brave New World (415,1 milioni di dollari in tutto il mondo) che Thunderbolts* (382,4 milioni di dollari). Nonostante abbia raggiunto questo importante traguardo, I Fantastici Quattro: Gli Inizi sta ancora faticando a scalare la classifica di tutti i tempi dei film del Marvel Cinematic Universe. Dopotutto, la redditizia serie di film sui supereroi, che ha incassato complessivamente più di 32 miliardi di dollari in tutto il mondo, ha già avuto altri 26 episodi che hanno incassato più di 500 milioni di dollari.
In qualità di attore che ha visto entrambi i lati della medaglia – MCU e DCU – Frank Grillo sta confrontando il modo in cui le due potenti case di produzione di supereroi, Marvel e DC Studios, affrontano i loro vasti multiversi. In un’intervista a People, l’attore membro del cast di Captain America: The Winter Soldier e Peacemaker ha osservato che le due società hanno approcci “diversi” alla realizzazione dei film e all’ideazione.
“È diverso. Non è organizzato allo stesso modo. Alla DC è davvero come se tutte le sceneggiature fossero davanti a te e tu avessi una visione chiara di ciò che sta accadendo”, ha detto Grillo. L’attore ha poi aggiunto: “E non c’è niente di sbagliato in questo, ma la Marvel è un po’ più improvvisata”. Sebbene Grillo abbia sottolineato che lo studio ha “fatto un ottimo lavoro”, personalmente ha trovato “un po’ spaventoso” recitare in una scena non del tutto chiara, cosa che hanno condiviso anche altri ex colleghi della Marvel, con star come Alan Cumming e Gwyneth Paltrow.
Tutti loro hanno sottolineato la confusione che può insorgere quando si recita davanti a uno schermo verde e in mezzo a più riscritture della sceneggiatura, oltre che a elementi del personaggio o della trama che vengono tenuti segreti anche alle star stesse. Da parte sua, il co-CEO dei DC Studios e regista di Superman, James Gunn, ha dichiarato in un’intervista all’inizio di quest’anno che l’industria cinematografica sta “morendo” perché “la gente fa film senza una sceneggiatura finita”.
Frank Grillo aveva già elogiato i DC Studios in passato
A dicembre, Frank Grillo ha espresso sentimenti simili, dichiarando a Entertainment Weekly: “Sono molto diversi. La Marvel è una macchina diversa, ed è fantastica a modo suo, ma la cosa che amo della DC di James e Peter Safran è che è molto più contenuta. È molto più personale, e mi piace davvero di più. Adoro far parte di qualcosa che è ancora in fase embrionale e poter crescere con esso, osservarlo e vederlo prosperare“.
Grillo, lo ricordiamo, ha interpretato Brock Rumlow (alias Crossbones) in diversi progetti dell’MCU, come The Winter Soldier, Civil War ed Endgame. Ha partecipato alla seconda stagione di Peacemaker, attualmente in onda ogni settimana su HBO Max, riprendendo il ruolo di Rick Flag Sr., il personaggio a cui ha prestato la voce nella serie animata Creature Commandose che ha interpretato in carne ed ossa anche in Superman.
All’inizio del 2023, la DC Studios ha annunciato un’entusiasmante serie di film e serie TV, ma “Capitolo 1: Dei e Mostri” non ha preso forma così rapidamente come avrebbero voluto i fan e, probabilmente, anche James Gunn e Peter Safran. The Authorityè un film che Gunn ha già ammesso presentare dei problemi e ne ha discusso con The New Blerd Order dopo che gli è stato chiesto anche di un possibile film su Static Shock.
“Si tratta di integrare Static Shock nell’universo DC, perché non è un personaggio che fa tradizionalmente parte dell’universo DC”, ha detto il regista. “È un po’ come The Authority. Quindi, The Authority è stata una piccola sfida semplicemente perché integrare loro con il DCU è stata una cosa difficile da fare, e lo stesso vale per Static Shock”. Su una nota più ottimistica, Gunn ha aggiunto: “Speriamo di trovare un modo per farlo”.
L’Ingegnere non è stata esattamente una protagonista in Superman, quindi se la sua presenza nel film aveva lo scopo di preparare il terreno per The Authority, non ha funzionato come Gunn probabilmente sperava. Si è ipotizzato che il co-CEO della DC Studios potesse adattare Superman and the Authority di Grant Morrison, anche se non c’è molta richiesta in tal senso. In precedenza avevamo sentito dire che The Authority avrebbe potuto diventare un progetto animato, e portare questi personaggi sulla scia di Creature Commandos non sarebbe stata una cattiva idea.
In un’altra intervista con PEOPLE, a Gunn è stato invecechiesto anche un aggiornamento sulla serie TV Waller(che, come la seconda stagione di Peacemaker, sarebbe uno spin-off di The Suicide Squad di Gunn). “Ci stiamo lavorando, quindi vedremo cosa succederà”, ha detto. “Alcune cose sono andate più veloci di altre. Waller non è stata la più veloce. Ma non vedo l’ora di vedere Viola indossare di nuovo i pantaloni di Waller“.
I prossimi progetti del DC Universe
Parlando al San Diego Comic-Con del mese scorso, Gunn ha osservato: “Abbiamo Supergirl in uscita tra un anno, abbiamo Lanterns in uscita, probabilmente tra meno di un anno. Stiamo realizzando Clayface in questo momento, e la sceneggiatura di Mike Flanagan è davvero ottima. Puro horror”. “Stiamo lavorando a The Brave and the Bold, Wonder Woman, The Batman – Parte 2 con Matt Reeves”, ha continuato.
Sappiamo inoltre che anche Booster Gold sta iniziando a prendere forma dopo aver ingaggiato David Jenkins, creatore di Our Flag Means Death, come showrunner, ma Swamp Thing, Sgt. Rock e progetti di cui si vocifera come Teen Titans e il film senza titolo su Deathstroke/Bane sono al momento meno certi. Confermati invece sono un sequel ancora non meglio definito di Superman, un film su Wonder Woman e resta confermato anche The Brave and the Bold su Batman e Robin.
Durante lo speciale in diretta streaming per il quinto anniversario di JUJUTSU KAISEN, è stato condiviso il primo teaser trailer della terza stagione di JUJUTSU KAISEN, che ha anche annunciato la sua messa in onda a gennaio 2026.
Nota anche come JUJUTSU KAISEN The Culling Game, Crunchyroll ha deciso di trasmettere in streaming la terza stagione della serie anime di successo in esclusiva mondiale, esclusa l’Asia, con nuovi episodi in uscita ogni settimana, lo stesso giorno del Giappone.
Nel teaser trailer si vede Yuji Itadori in preda ad un conflitto interiore e alla disperazione dopo aver creduto di aver ucciso molte persone nell'”Incidente di Shibuya”. Viene mostrata anche una feroce battaglia tra Yuji e Yuta Okkotsu, il protagonista principale del film JUJUTSU KAISEN 0. L’anteprima presenta altresì un acceso scambio di battute tra il nuovo personaggio Naoya Zen’in e Choso. Anche Megumi Fushiguro, Yuki Tsukumo e Maki Zen’in fanno brevi apparizioni nel trailer, creando attesa prima dell’inizio di The Culling Game.
Il cast vocale e i personaggi giapponesi includono:
• Junya Enoki come Yuji Itadori
• Yuma Uchida come Megumi Fushiguro
• Daisuke Namikawa come Choso
• Megumi Ogata come Yuta Okkotsu
Lo staff di produzione dell’animazione comprende:
• Regista: Shota Goshozono
• Composizione della serie e sceneggiatore: Hiroshi Seko
Yuji Itadori è un ragazzo dotato di una forza fisica incredibile, nonostante viva una vita da liceale del tutto normale. Un giorno, per salvare un compagno di classe attaccato da una maledizione, mangia il dito di Ryomen Sukuna, assorbendo la maledizione nella propria anima. Da quel momento in poi, condivide il corpo con Ryomen Sukuna. Guidato dal più potente degli stregoni, Satoru Gojo, Itadori viene ammesso alla Tokyo Jujutsu High School, un’organizzazione che combatte le maledizioni… e inizia così l’eroica storia di un ragazzo che si è trasformato in una maledizione per esorcizzare una maledizione, una vita da cui non potrà mai tornare indietro.
Basata sull’omonimo manga bestseller scritto e illustrato da Gege Akutami, la serie anime è prodotta da TOHO Animation e animata da MAPPA (Chainsaw Man; L’Attacco dei Giganti – Stagione Finale; Hell’s Paradise).
Con oltre 100 milioni di copie attualmente in circolazione, il manga è stato serializzato sulla rivista Weekly Shonen Jump di Shueisha fino alla sua conclusione a settembre 2024. In Italia, il manga è pubblicato da Planet Manga.
La prima stagione di JUJUTSU KAISEN è andata in onda da ottobre 2020 a marzo 2021. La seconda stagione, composta dagli archi narrativi “Inventario Nascosto/Morte Prematura” e “Incidente di Shibuya”, è andata in onda da luglio a dicembre 2023.
La serie anime è stata nominata Anime dell’Anno ai Crunchyroll Anime Awards nel 2021 e nel 2024. Il film prequel di grande successo mondiale, JUJUTSU KAISEN 0, è stato premiato come Miglior Film Anime ai Crunchyroll Anime Awards nel 2023, incassando circa 180 milioni di dollari al botteghino mondiale.
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Il prossimo film biografico di Sydney Sweeney, Scandalous!, racconterà la vita della leggenda del cinema Kim Novak, ma proprio Novak sta ora sollevando preoccupazioni su come il film tratterà la sua scandalosa relazione con un collega di Hollywood. L’attrice è diventata un’icona grazie alle sue interpretazioni in film come Vertigo di Alfred Hitchcock. È diventata anche oggetto di fascino per i giornali scandalistici, grazie alle sue relazioni fuori dallo schermo con personaggi del calibro di Frank Sinatra.
Poi ci fu la relazione di Novak con l’artista afroamericano Sammy Davis Jr., che i due riuscirono a tenere segreta alla stampa. Purtroppo, non riuscirono a nascondere il loro segreto al capo della Columbia Harry Cohn, che minacciò Davis di violenza se non avessero smesso di vedersi. È proprio il modo in cui questo periodo della sua vita potrebbe essere trattato al cinema a preoccupare l’attrice.
“Non credo che la relazione fosse scandalosa. Lui era una persona a cui tenevo davvero. Avevamo così tanto in comune, compreso il bisogno di essere accettati per quello che siamo e per quello che facciamo, piuttosto che per il nostro aspetto. Ma temo che lo presenteranno come una relazione puramente sessuale”, ha affermato Kim Novak.
Cosa significa questo per Scandalous! con Sydney Sweeney
Il film biografico con Sydney Sweeney su Novak vede David Jonsson nel ruolo di Sammy Davis Jr., membro del Rat Pack e amante di Novak, e segnerà il debutto alla regia del film dell’attore Colman Domingo, candidato all’Oscar per Sing Sing. Una nomination all’Oscar potrebbe davvero essere nei pensieri di Sweeney, dato che l’attuale sex symbol si prepara a interpretare una donna iconica degli anni ’50 e ’60. Resta da vedere se la performance di Sweeney nei panni della Novak finirà nel mirino degli Oscar, ma per ora è senza dubbio finita in quello della Novak.
La situazione ricorda le difficoltà incontrate da Quentin Tarantinonel ritrarre l’attrice reale e vittima degli omicidi della Famiglia Manson Sharon Tate nel suo C’era una volta a… Hollywood. Tarantino è stato criticato dalla sorella della Tate per quella che lei temeva sarebbe stata una rappresentazione strumentale della sua famosa sorella. Il film ha comunque offerto una rappresentazione positiva di Tate, anche se ha completamente riscritto la sua storia. Non resta dunque che attendere di saperne di più su Scandalous!.
Alla Mostra del Cinema di Venezia 82 è stato presentato La valle dei sorrisi, il nuovo film diretto da Paolo Strippoli, autore già noto per opere come A Classic Horror Story e Piove. Per l’occasione, il cast e il regista hanno sfilato sul red carpet, regalando al pubblico e ai fotografi momenti di grande fascino e complicità.
Protagonista della passerella è stato Michele Riondino, attore versatile e amatissimo, accompagnato da Romana Maggiora Vergano, giovane interprete in forte ascesa, e dai colleghi Paolo Pierobon, Roberto Citran e Giulio Feltri, che completano il cast principale. Le immagini catturano l’entusiasmo della serata, con i protagonisti sorridenti e disponibili, in linea con lo spirito del film che mescola inquietudine e riflessione.
La valle dei sorrisi racconta la storia di un piccolo paese isolato tra le montagne, apparentemente felice, che nasconde però un rituale oscuro capace di mettere in discussione la serenità dei suoi abitanti. Con il suo approccio originale e simbolico, Paolo Strippoli conferma la sua volontà di esplorare l’horror come strumento narrativo per raccontare fragilità, identità e desiderio di appartenenza.
Le foto dal red carpet testimoniano l’ottima accoglienza riservata al film e al suo cast, sottolineando il ruolo centrale che La valle dei sorrisi ricopre all’interno della selezione veneziana. Un titolo che promette di lasciare il segno per la sua capacità di intrecciare tensione, allegoria e tematiche universali.
Con questa uscita, Strippoli consolida ulteriormente la sua posizione tra i giovani registi italiani più interessanti della sua generazione, capace di dialogare con il pubblico nazionale e internazionale attraverso un linguaggio visivo forte e personale.
A catalizzare l’attenzione dei fotografi è stata Cate Blanchett, protagonista del film, che ha incantato il Lido con il suo inconfondibile carisma. Accanto a lei hanno sfilato il regista Jim Jarmusch e gli altri membri del cast: Vicky Krieps, Mayim Bialik, Charlotte Rampling, Indya Moore e Luka Sabbat, ognuno capace di portare sul red carpet il proprio stile e la propria personalità.
Gli scatti immortalano non solo l’arrivo delle star, ma anche l’entusiasmo del pubblico e la grande accoglienza riservata a un’opera che promette di unire intensità drammatica e raffinatezza autoriale. Father Mother Sister Brother si conferma già come uno dei film più discussi della competizione, grazie alla visione unica di Jarmusch, al cast stellare e a un tema che ha colpito profondamente pubblico e critica.
È stata rivelata una prima immagine del logo della serie Vision Quest della Marvel Television, sul set di un film della DC Studios! Il titolo della serie spin-off di WandaVision, che ora sembra essere ufficialmente intitolata Vision Quest, è stato notato sul retro della maglietta di un membro della troupe sul set di Clayfacea Liverpool (si può vedere qui la foto). La serie dovrebbe debuttare su Disney+ nel corso del prossimo anno. Al momento non è ancora noto se le riprese siano già iniziate, ma secondo alcune indiscrezioni lo show dovrebbe essere in ogni caso girato all’inizio di settembre.
La serie Vision Quest
Il progetto Vision Quest è stato descritto come “la terza parte di una trilogia iniziata con WandaVision e che continua con Agatha All Along“.
Oltre a Paul Bettany, James Spader di Avengers: Age of Ultron riprenderà il ruolo di Ultron (“non è chiaro se Ultron tornerà come robot o in forma umana“). Non c’è stato alcun accenno al potenziale coinvolgimento di Elizabeth Olsen, ma la serie sarà ambientata dopo gli eventi di WandaVision, “mentre il fantasma di Visione presumibilmente esplora il suo nuovo scopo nella vita”. T’Nia Miller è stata confermata per il ruolo di Jocasta. Orla Brady apparirà nei panni di F.R.I.D.A.Y. in forma umana, mentre Emily Hampshire sarà E.D.I.T.H.Todd Stashwick sarà Paladino.
Il finale di WandaVision ha rivelato che la Visione con cui avevamo trascorso del tempo nel corso della stagione era in realtà una delle creature di Wanda, ma la vera “Visione Bianca” è stata ricostruita dalla S.W.O.R.D. e programmata per rintracciare e uccidere Scarlet Witch. Questa versione del personaggio si è allontanata verso luoghi sconosciuti verso la fine dell’episodio, dopo essersi dichiarata la “vera Visione”.
Per quanto riguarda Wanda, l’ultima volta che abbiamo visto la potente strega era mentre devastava gli Illuminati e si faceva crollare una montagna addosso in Doctor Strange nel Multiverso della Follia.
Anche l’attore di Picard, Todd Stashwick, è nel cast, nei panni di “un assassino sulle tracce di un androide e della tecnologia in suo possesso”. Vision Quest debutterà su Disney+ nel 2026.
Jude Lawnon ha avuto remore nell’interpretare lo spietato leader russo Vladimir Putin nel thriller politico di Olivier AssayasIl Mago del Cremlino (leggi qui la nostra recensione dal Festival di Venezia). “Spero di non sembrare ingenuo, ma non temevo ripercussioni. Mi sentivo sicuro, nelle mani di Olivier e della sceneggiatura, che questa storia sarebbe stata raccontata in modo intelligente, con sfumature e considerazioni”, ha detto Jude Law alla conferenza stampa ufficiale del film a Venezia. “Non cercavamo polemiche fine a se stesse. È un personaggio in una storia più ampia. Non stavamo cercando di definire nulla su nessuno”.
Jude Law ha modificato il suo aspetto fisico, ma ha scelto deliberatamente di usare la propria voce, piuttosto che indossare un forte accento russo, per incarnare il giovane Putin. “Olivier e io abbiamo discusso che questo non doveva essere un’interpretazione di Putin, e lui non voleva che mi nascondessi dietro una maschera di protesi. Abbiamo lavorato con un team di truccatori e parrucchieri straordinario e abbiamo avuto come riferimento quel periodo della vita di Putin. Abbiamo cercato di trovare una familiarità in me”, ha detto Law. “È incredibile cosa può fare una buona parrucca”.
Tratto dall’omonimo best seller di Giuliano da Empoli del 2022, Il Mago del Cremlino è un racconto immaginario dell’ascesa al potere di Putin (Jude Law) nel caos post-sovietico e del suo rapporto con lo spin doctor Vadim Baranov (Paul Dano). Sebbene quest’ultimo non sia una persona reale, è ispirato a Vladislav Sourkov, un vero e proprio “facilitatore” a cui è stato attribuito un ruolo chiave nella definizione della personalità e dello stile di leadership autoritario di Putin. Alicia Vikander, Tom Sturridge e Jeffrey Wright, tutti presenti alla conferenza stampa, completano il cast.
Il red carpet di Venezia 82 ha accolto il cast di Motocity, il nuovo film diretto da Potsy Ponciroli, presentato in anteprima alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Un progetto statunitense che unisce azione e intensità drammatica, destinato a lasciare il segno nella stagione cinematografica 2024.
A calcare il tappeto rosso sono stati i protagonisti Alan Ritchson, reduce dal successo della serie Reacher, e Shailene Woodley, attrice amatissima dal pubblico per titoli come Colpa delle stelle e Big Little Lies. Con loro anche Ben Foster, Pablo Schreiber, Ben McKenzie, Lionel Boyce, Amar Chadha-Patel e Rafael Cebrián, per una parata di star che ha subito attirato l’attenzione dei fotografi e degli appassionati presenti al Lido.
Le foto dal red carpet restituiscono tutta l’energia di un cast compatto e affiatato, pronto a sostenere il film insieme al regista Ponciroli e ai produttori di Stampede Ventures, Greg Silverman e Jon Berg. Atmosfera glamour, sorrisi e momenti di complicità hanno reso l’evento uno degli appuntamenti più seguiti della giornata veneziana.
Con una durata di 103 minuti e girato in lingua inglese, Motocity rappresenta uno dei titoli americani più attesi del festival, grazie a un cast corale e a una regia che promette ritmo e spettacolarità. Il tappeto rosso ha confermato l’alto livello di interesse nei confronti del progetto, che unisce interpreti carismatici e una storia pronta a conquistare il grande schermo.
Il debutto a Venezia 82 ha segnato dunque un momento di festa e celebrazione per Motocity, che si prepara ora ad arrivare nelle sale come uno dei film più discussi della stagione.
Le riprese del prossimo film del DC Universe, Clayface, sono ufficialmente iniziate, come dimostrano le nuove foto dal set dell’ultima produzione DC Universe. Dopo aver già pubblicato diversi progetti del Capitolo 1: “Dei e Mostri” della DCU, la DC Studios sta dunque ora lavorando a uno dei suoi prossimi film per il 2026. In uscita l’11 settembre 2026, Clayface racconterà la storia di uno dei mostruosi nemici di Bruce Wayne nel debutto live-action del personaggio. James Watkins dirigerà il film basato su una sceneggiatura di Mike Flanagan.
Dopo alcune foto che mostravano dettagli e preparativi sul set, sono quindi ora finalmente iniziate le riprese principali a Liverpool, nel Regno Unito, e Just Jared ha pubblicato diverse foto (si possono vedere qui) dal set della produzione, offrendo un primo sguardo al protagonista Tom Rhys Harries nei panni del personaggio titolare. Sebbene ci siano state voci secondo cui interpreterà la versione di Clayface creata da Matt Hagen, la DC Studios non ha ancora confermato la notizia.
Le foto dal set pubblicate da Just Jared mostrano Harries che cammina indossando una felpa blu con cappuccio, accanto a un attore che indossa lo stesso abbigliamento. Sebbene il sito identifichi il co-protagonista di Harries come Eddie Marsan, la DC Studios non ha ancora confermato la sua partecipazione. Anche il Daily Mail ha ottenuto delle immagini dell’attore protagonista che mostrano il personaggio pieno di lividi e coperto di sangue (si possono vedere qui). Le foto mostrano anche le riprese di una scena in cui un paziente, probabilmente il personaggio di Harries, viene trasportato d’urgenza in ospedale.
Al momento sono stati rivelati pochi dettagli sulla trama, ma abbiamo appreso che Matt Hagen sarà al centro dell’attenzione. Nei fumetti, era il secondo Clayface, un avventuriero che si è trasformato in un mostro dopo aver incontrato una pozza radioattiva di protoplasma. Questo è cambiato in Batman: The Animated Series, dove è stato ritratto come un attore che usava una crema anti-età per sembrare più giovane. Dopo essersi scontrato con il suo creatore, Roland Daggett, Hagen viene immerso in una vasca di quella sostanza e diventa il “classico” Clayface che tutti conoscete dai fumetti.
Stando ad alcuni rumor emersi online, la storia di Clayface sarà incentrata su un attore in ascesa il cui volto è sfigurato da un gangster. Come ultima risorsa, il divo si rivolge a uno scienziato eccentrico in stile per chiedere aiuto. All’inizio l’esperimento ha successo, ma le cose prenderanno presto una piega inaspettata.
Poiché Clayface sarà ambientato nell’universo DC, i fan dovrebbero aspettarsi molti collegamenti con l’universo più ampio, e saremmo molto sorpresi se Batman apparisse o fosse anche solo menzionato. Il produttore Peter Safran ha condiviso alcuni nuovi dettagli sulla sceneggiatura di Flanagan, sottolineando che il film sarà effettivamente un film horror in piena regola, sulla scia di La mosca di David Cronenberg, ma si dice trarrà anche ispirazione dal successo horror di Coralie Fargeat, The Substance.
“Clayface, vedete, è una storia horror hollywoodiana, secondo le nostre fonti, che utilizza l’incarnazione più popolare del cattivo: un attore di film di serie B che si inietta una sostanza per rimanere rilevante, solo per scoprire che può rimodellare il proprio viso e la propria forma, diventando un pezzo di argilla ambulante”, ha dichiarato Safran.
Tom Rhys Harries interpreterà il personaggio principale di Clayface, il film dei DC Studios. Il film è basato su una storia di Mike Flanagan, attore di La caduta della casa degli Usher (l’ultima bozza è stata firmata da Hossein Amini, sceneggiatore di Drive), con James Watkins, regista di Speak No Evil, alla regia.
Clayface è attualmente previsto per l’arrivo nelle sale l’11 settembre 2026.
Il film racconta la storia di Mark Kerr, leggendario lottatore di MMA degli anni ’90, soprannominato proprio The Smashing Machine per la sua forza devastante e la sua carriera segnata tanto da vittorie epiche quanto da fragilità personali.
A guidare il cast è Dwayne Johnson nei panni di Mark Kerr, in un ruolo che promette una svolta drammatica nella sua carriera. Al suo fianco Emily Blunt interpreta Dawn Staples, mentre Ryan Bader veste i panni di Mark Coleman. Il film schiera anche volti noti del mondo degli sport da combattimento e interpreti internazionali: Bas Rutten nel ruolo di sé stesso, Oleksandr Usyk come Ihor Vovčančyn, Lyndsey Gavin come Elizabeth Coleman, Satoshi Ishii come Enson Inoue, James Moontasri come Akira Shoji e Yoko Hamamura come Kazuyuki Fujita.
La pellicola promette di unire l’energia frenetica tipica del cinema dei Safdie con una riflessione intima e toccante sulla vulnerabilità dietro la forza. Non a caso, The Smashing Machine è già uno dei film più discussi e attesi del Festival, pronto a far parlare di sé sia per la trasformazione fisica e interpretativa di Johnson che per la regia visionaria di Benny Safdie.
Il debutto al Lido segna dunque un momento cruciale per il percorso del regista e potrebbe consacrare The Smashing Machine tra i titoli più importanti di questa edizione di Venezia.
La 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia entra nel vivo con la presentazione in concorso di The Testament of Ann Lee, il nuovo film diretto da Mona Fastvold, già autrice de The World to Come (2020), apprezzato per la sua sensibilità nel raccontare storie intime e profondamente radicate nella complessità dei sentimenti.
Il film porta sul grande schermo una vicenda intensa e originale, che riflette sull’identità, la fede e la ricerca di senso, proseguendo il percorso registico della Fastvold, sempre attenta a indagare i conflitti interiori e la fragilità dei rapporti umani. Con una cifra stilistica elegante e poetica, la regista norvegese si conferma una delle voci più interessanti del panorama internazionale.
In concorso a Venezia 82, The Testament of Ann Lee è uno dei titoli più attesi della giornata e promette di suscitare dibattito per la forza del suo immaginario e per le interpretazioni degli attori coinvolti. Un film che si inserisce nel filone di opere capaci di mescolare introspezione psicologica e tensione narrativa, offrendo allo spettatore un’esperienza di visione profonda e coinvolgente.
Protagonisti del film sono Amanda Seyfried, Thomasin McKenzie, Lewis Pullman, Stacy Martin, Tim Blake Nelson, Christopher Abbott, Matthew Beard, Scott Handy, Jamie Bogyo, Viola Prettejohn e David Cale, un cast corale di grande talento che promette di donare ulteriore profondità alla narrazione.
Nelle prossime ore il pubblico e la critica avranno dunque modo di scoprire questa nuova opera della Fastvold, che si candida a lasciare un segno importante in questa edizione del Festival.
Il red carpet della 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si è acceso per la presentazione de Il Mago del Cremlino (2025), uno dei titoli più discussi del concorso. Tratto dal romanzo di Giuliano Da Empoli, il film porta sul grande schermo i giochi di potere e le ombre del Cremlino, mescolando realtà e finzione in un racconto di forte attualità politica.
Sul tappeto rosso hanno sfilato i protagonisti Paul Dano, che interpreta Vadim Baranov, Alicia Vikander nei panni di Ksenija, Jude Law come Vladimir Putin, Will Keen nei panni di Boris Berezovskij, Tom Sturridge in quelli di Dmitrij Sidorov e Jeffrey Wright come Rowland. Un cast internazionale di altissimo livello, accolto con entusiasmo dal pubblico e dall’attenzione della stampa mondiale.
Il Mago del Cremlino ha attirato i riflettori non solo per la sua tematica, che tocca corde sensibili della contemporaneità, ma anche per la qualità della messa in scena, che promette di essere una delle rivelazioni di questa edizione del Festival.
In attesa di scoprirne la distribuzione ufficiale, vi proponiamo una selezione delle immagini più suggestive dal red carpet veneziano: sguardi, abiti e momenti che hanno reso la serata un evento indimenticabile.
La magia del red carpet di Venezia 82 ha accolto la presentazione ufficiale di Maestro,l nuovo film diretto da Andrea Di Stefano che vede protagonista Pierfrancesco Favino, uno degli attori italiani più apprezzati a livello internazionale. L’attore romano, impeccabile come sempre, ha sfilato sul tappeto rosso del Lido attirando l’attenzione di fotografi, fan e giornalisti, regalando pose eleganti e momenti di grande intensità.
Le foto dal red carpet raccontano un evento mondano che ha unito glamour e cinema d’autore, con Favino che ha confermato la sua presenza magnetica, capace di coniugare carisma e naturalezza. L’attore, più volte protagonista alla Mostra del Cinema di Venezia, torna a calcare la passerella più prestigiosa del cinema italiano con un progetto che si preannuncia tra i più discussi della stagione.
Accanto a lui hanno sfilato anche altri membri del cast e della troupe, offrendo agli obiettivi dei fotografi momenti di complicità e sorrisi che hanno reso ancora più speciale la serata. Come da tradizione, il red carpet ha rappresentato l’occasione perfetta per celebrare non solo il film ma anche il talento di Favino, interprete che ha saputo distinguersi in una carriera costellata da ruoli complessi e apprezzati in Italia e all’estero.
Le immagini catturate testimoniano l’entusiasmo e la grande attesa che circondano Maestro, un titolo che porta al Lido un’ulteriore riflessione sulla capacità del cinema di unire spettacolo e profondità narrativa. L’eleganza di Favino e l’accoglienza calorosa del pubblico confermano il valore simbolico di un evento che va oltre la semplice anteprima, diventando parte integrante del fascino senza tempo della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.
Alla sua 82ª edizione, la Mostra del Cinema di Venezia ha accolto Jim Jarmusch, uno dei registi americani più amati e rispettati nel panorama indipendente, invitato in concorso con il suo nuovo lavoro, Father Mother Sister Brother. Un titolo che sembra già contenere l’intera essenza del film: un mosaico di rapporti familiari, di legami di sangue e di intimità mai del tutto esplicitata, raccontato attraverso tre episodi distinti ma accomunati dal tema della difficoltà comunicativa tra genitori e figli, fratelli e sorelle.
Come spesso accade nel cinema di Jarmusch, non ci sono climax narrativi o svolte drammatiche improvvise: al contrario, prevale un andamento contemplativo, fatto di silenzi, pause e tempi morti che diventano lo spazio privilegiato in cui i personaggi, e lo spettatore con loro, sono costretti a confrontarsi con la complessità delle relazioni familiari. È un cinema che rifiuta l’urgenza dell’azione e privilegia l’ascolto, la riflessione e soprattutto l’imbarazzo.
Father Mother Sister Brother: tre episodi, un unico filo
Il film si articola in tre capitoli, autonomi ma speculari. Nel primo episodio, due figli fanno visita al padre rimasto vedovo. La situazione, di per sé carica di emotività, viene raccontata da Jarmusch con un tono straniante: invece del pathos del lutto, emerge un senso di disagio palpabile. Padre e figli non si vedono quasi mai, non si parlano con naturalezza, e ogni gesto è carico di una tensione trattenuta. È qui che il regista dimostra la sua consueta abilità nel rendere cinematografico ciò che, a parole, sembra irrappresentabile: l’imbarazzo. Attraverso inquadrature fisse, dialoghi essenziali e silenzi protratti, Jarmusch restituisce con precisione chirurgica la distanza emotiva che spesso si crea in molte famiglie reali.
(Credits Frederick Elmes Vague Notion)
Il secondo episodio porta lo spettatore in una dimensione apparentemente più leggera, ma altrettanto significativa. Due sorelle si recano a casa della madre per prendere il tè. La donna è una scrittrice affermata, mentre le figlie navigano in una precarietà personale e professionale che le rende vulnerabili. Anche in questo caso, il rapporto non è idilliaco: la conversazione è formale, distaccata, pervasa da una sottile competizione tra l’autorità materna e l’incertezza delle figlie. Jarmusch mette in scena un altro volto della famiglia, quello della distanza generazionale, dell’asimmetria tra chi ha trovato il proprio posto nel mondo e chi ancora lo cerca.
Il terzo episodio cambia radicalmente tono. Qui i protagonisti sono due fratelli gemelli, un ragazzo e una ragazza, rimasti orfani in seguito a un incidente aereo. Insieme ricordano i loro genitori, una coppia tanto disordinata quanto affettuosa, e lo fanno con una tenerezza che finalmente scioglie la freddezza degli episodi precedenti. È il momento più intimo e commovente del film, dove la memoria diventa un atto d’amore e i silenzi si caricano non più di imbarazzo, ma di nostalgia.
Lo stile inconfondibile di Jarmusch
In Father Mother Sister Brother Jarmusch riassume il proprio stile in maniera quasi programmatica. Tempi morti, riflessioni sottili, silenzi che pesano più delle parole: tutto ciò che da sempre contraddistingue il suo cinema è presente e amplificato. Lo spettatore viene volutamente spiazzato, costretto a sostare dentro momenti che nella vita reale verrebbero facilmente evitati o lasciati passare sotto silenzio.
Non si tratta di un film “piacevole” nel senso più immediato del termine. Al contrario, la visione può risultare faticosa, proprio perché ci costringe a fare i conti con l’essenza delle relazioni più difficili da affrontare: quelle con i membri della nostra famiglia. Il regista non cerca di consolare lo spettatore, né di offrire soluzioni. Piuttosto, gli mette davanti uno specchio in cui riconoscere imbarazzi, conflitti e fragilità che appartengono a tutti.
(Credits Carole Bethuel Vague Notion)
Alla luce di queste caratteristiche, è difficile immaginare che Father Mother Sister Brother possa conquistare i premi principali del concorso veneziano. Non è un film pensato per stupire la giuria o per offrire un intrattenimento immediato: è, piuttosto, un esercizio di stile coerente e rigoroso, destinato soprattutto agli estimatori del regista.
Tuttavia, la presenza di un cast stellare, da Tom Waits ad Adam Driver, passando per Cate Blanchett, Charlotte Rampling, Vicky Krieps e molti altri, garantisce al film un forte richiamo mediatico. Sul red carpet, l’opera si trasforma in uno degli eventi più attesi della Mostra, e per i fan sarà senza dubbio una festa poter vedere riuniti tanti nomi di primo piano sotto la direzione di Jarmusch.
Un piccolo trattato sui legami di sangue
In definitiva, Father Mother Sister Brother non è un film che si ricorderà per i colpi di scena o per la spettacolarità, ma per la delicatezza con cui affronta un tema universale: la famiglia. Jarmusch costruisce tre variazioni sullo stesso motivo, mostrando come i legami di sangue possano essere al tempo stesso fonte di imbarazzo, conflitto, dolore e tenerezza.
Un film che richiede pazienza e disponibilità all’ascolto, e che probabilmente dividerà pubblico e critica. Ma è proprio in questa sua radicale fedeltà allo stile del suo autore che risiede il suo valore: Father Mother Sister Brother è un ritratto sincero della condizione umana, dove l’intimità più autentica si nasconde spesso dietro i silenzi più difficili da colmare.