Al via le riprese del film
Leopardi &Co una
co-produzione Camaleo/Eagle Pictures – il film diretto da
Federica Biondi vede il debutto in un film
italiano del Premio Oscar Whoopi
Goldberg. Nel cast Jeremy Irvine (War
Horse), Denise Tantucci,
Paolo Calabresi e Paolo Camilli. La produzione ha
avuto il nulla osta dal SAG per poter iniziare le riprese.
Leopardi & Co. è
una commedia romantica, girata interamente a Recanati, in cui
l’amore fra i due giovani protagonisti, David e Silvia, sboccia e
cresce nella cittadina marchigiana, ruotando attorno al mito senza
tempo di Giacomo Leopardi. Il film, che ha ottenuto dal SAG il
nulla osta per iniziare le riprese, segna il debutto in un film
italiano di Whoopi Goldberg, una delle 18
personalità al mondo che possono vantare di aver raggiunto lo
status di EGOT (vincitrice di Emmy, Golden Globe,
Oscar e Tony Award).
Diretto dalla talentuosa
regista marchigiana Federica Biondi (La
Ballata dei Gusci Infranti), il film è interpretato anche da
Jeremy Irvine (Mamma Mia! Ci risiamo, War
Horse) Denise Tantucci( HotSpot – Amore
Senza Rete, Tre Piani), Paolo Calabresi
(Trilogia Smetto Quando Voglio, Boris), e Paolo
Camilli(The White Lotus).
Il film scritto da Mauro Graiani da
un’idea originale di Roberto Cipullo e Nicola
Barnaba, è una co-produzione CAMALEO e EAGLE PICTURES.
Gabria Cipullo, Ceo di Camaleo, ha commentato: “Per noi
si tratta di una nuova ed affascinante sfida: grazie alla fiducia
che ci ha dato Eagle siamo riusciti a portare a Recanati un cast
stellare al servizio di una storia che siamo sicuri emozionerà il
pubblico di tutto il mondo”.
Andrea Goretti, Amministratore
Delegato di Eagle Pictures, ha commentato: “Quando
Roberto Cipullo ci ha proposto questa storia non abbiamo avuto
esitazioni. La conferma definitiva sulla bontà del progetto è poi
arrivata quando attori di questo livello hanno scelto di prenderne
parte”.
La trama di Leopardi & Co
David (Jeremy Irvine) è un giovane
attore americano che sogna un ruolo in grado di consacrarlo come
una vera star mondiale. Ma David è talmente superficiale che
nemmeno legge i copioni che gli arrivano finché la sua agente
Mildred (Whoopi Goldberg) lo costringe ad accettare il ruolo di
protagonista in “Giacomo in Love” film diretto dal mitico regista
italiano Ruggero Mitri (Paolo Calabresi). David, convinto sia la
storia di Casanova, arriva sul set a Recanati totalmente
impreparato per cui viene affidato a Silvia (Denise Tantucci) una
coach del luogo col compito di spiegare all’americano chi era il
Sommo. Tra i due è odio a prima vista…
È stata rivelata una
nuovissima clip di The Nun
2,il prossimo sequel horror dellaNew Line Cinema, che anticipa un’altra sequenza spaventosa.
The Nun
2 dovrebbe arrivare nelle sale l’8
settembre.Il video è ambientato in un collegio
cattolico, dove un gruppo di ragazzi fa uno scherzo a una delle
loro compagne di scuola chiudendola in una stanza
decrepita. Lo spaventoso scherzo si trasforma in un vero e
proprio incubo, quando
Valak appare all’improvviso dietro la ragazza ignara.Guarda la clip di The Nun
2:
New Line Cinema
presenta il thriller horror The Nun 2,
il secondo capitolo della saga di “The Nun“,
l’opera di maggior successo dell’universo “The
Conjuring“, che ha incassato più di 2 miliardi di dollari. 1956
– Francia. Un prete viene assassinato. Un male si sta diffondendo.
Il sequel del film campione d’incassi segue le vicende di Suor
Irene, quando viene a trovarsi nuovamente faccia a faccia con
Valak, la suora demoniaca.
Taissa Farmiga (“The Nun”, “The Gilded Age”) torna nel ruolo di Suor
Irene, affiancata da Jonas Bloquet (“Tirailleurs”, “The Nun”),
Storm Reid (“The Last of Us”, “The Suicide Squad”), Anna Popplewell (“Fairytale”,
la trilogia de “Le cronache di Narnia”) Bonnie Aarons (al suo
ritorno in “The Nun”) e da un cast di star internazionali. Michael
Chaves (“The Conjuring: The Devil Made Me Do It”) dirige da una
sceneggiatura di Ian Goldberg & Richard Naing (“Eli”, “The Autopsy
of Jane Doe”) e Akela Cooper (“M3GAN”, “Malignant”). Da una storia
di Akela Cooper, basata sui personaggi creati da James Wan & Gary
Dauberman. Il film è prodotto dalla Safran Company di Peter Safran
e dalla Atomic Monster di James Wan che danno seguito alle passate
collaborazioni nei precedenti film della saga “Conjuring”.
Produttori esecutivi di “The Nun II” sono, Richard Brener, Dave
Neustadter, Victoria Palmeri, Gary Dauberman, Michael Clear, Judson
Scott e Michael Polaire.
Nel team creativo che ha affiancato
il regista Michael Chaves troviamo il direttore della fotografia
Tristan Nyby (“The Conjuring: The Devil Made Me Do It”, “The Dark
and the Wicked”), lo scenografo Stéphane Cressend (“Les Vedettes”,
“The French Dispatch”), il montatore Gregory Plotkin ( “Scream”
2022 e “Get Out”), la produttrice degli effetti visivi Sophie A.
Leclerc (“Finch”, “Lucy”), la costumista Agnès Béziers (“Oxygen”,
“The Breitner Commando”), e il compositore Marco Beltrami (
“Scream” del 2022 e ”Venom: Let There Be Carnage”) autore della
colonna sonora.
L’universo “The Conjuring”
rappresenta la saga horror di maggior successo nella storia al box
office con un incasso complessivo globale di 2 miliardi di dollari.
A livello mondiale, quattro dei titoli di “The Conjuring” hanno
incassato ciascuno oltre 300 milioni di dollari nel mondo (“The
Nun” $366 million; “The Conjuring 2” $322 million; “The Conjuring”
$320 million; “Annabelle: Creation” $307 million), e ogni titolo
della saga ha incassato non meno di 200 milioni di dollari. “The
Nun” è al vertice di questa classifica, con i suoi oltre 366
milioni di dollari nel mondo. New Line Cinema presenta, una
produzione Atomic Monster / Safran Company, “The Nun II” che sarà
nelle sale italiane a settembre distribuito da Warner Bros.
Pictures.
Nella sua lunga carriera,
Tony Leung Chiu-wai ha recitato in tre film che
hanno vinto il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia, e
oggi riceve finalmente il suo Leone d’Oro alla carriera,
che, come dice lui stesso, non deve dividere con nessuno, questa
volta.
L’attore e cantante di
Hong Kong è una delle star asiatiche di maggior successo e
riconosciute a livello internazionale. Tra i suoi film più
importanti a livello mondiale ricordiamo il capolavoro di
Wong Kar-wai del 2000, In the Mood for Love, per il quale ha vinto il
premio come miglior attore a Cannes. Le sue altre collaborazioni
con Wong includono Chungking Express,
Happy Together e The
Grandmaster.
Leung ha anche recitato in
Hero, film candidato all’Oscar di Zhang
Yimou, e nei successi al botteghino Hard
Boiled di John Woo e Infernal
Affairs di Andrew Lau e
AlanMak. Quest’ultimo film, in particolare, è
stata l’ispirazione originale per The Departed, con cui Martin
Scorsese ha vinto un Oscar.
“Finalmente posso averlo per me,
non devo condividerlo con nessuno” ha detto oggi in conferenza
stampa Tony Leung, parlando del riconoscimento
alla carriera al Festival di Venezia, dove è stato ospite
diverse volte con i suoi film (i tre vincitori del Leone d’Oro in
cui ha recitato sono A City of Sadness di
Hsiao-Hsien Hou, Cyclo di Tran Anh-hung e
Lust, Caution di Ang Lee).
L’attore ha ripercorso la sua
carriera, raccontando di come la recitazione lo abbia aiutato a
superare la sua timidezza. Attraverso questo mezzo espressivo,
Leung “ha trovato il modo di esprimersi di fronte ad altre
persone senza essere timido perché non sanno che sono io, pensano
che sto interpretando un personaggio”.
Alla domanda sulle sue
collaborazioni con Wong Kar-wai, Tony
Leung ha osservato: “È così diverso rispetto agli
altri registi. Non abbiamo mai una sceneggiatura completa quando si
lavora con lui, quindi non so cosa preparare prima delle riprese.
Ricevo la sceneggiatura solo quel giorno: è molto
sperimentale”. A volte, ha spiegato, una scena viene girata
otto volte in vari costumi e ambientazioni, “È il motivo per
cui i film di Wong Kar-wai a volte richiedono alcuni
anni…”.
Proprio in merito a In The Mood For Love, forse la sua
collaborazione più importante con Wong Kar-wai,
Leung commenta la citazione di quel film in Everything
Everywhere All At Once: “Ho visto il film su un volo, non
ricordo dove. È stato interessante, una specie di tributo ad alcuni
film degli anni ’80 e ’90. È stato un film molto interessante, un
film molto speciale”. Per quello che riguarda il suo percorso in
carriera e i suoi obbiettivi da attore, Leung ha affermato di non
aver mai seguito un percorso professionale specifico: “Nella
mia carriera di attore non pianifico mai cosa voglio fare dopo,
perché penso che il destino unisca le persone. Quando succede
qualcosa, succede. Non calcolo mai se voglio fare film o no… uso il
cuore”.
Di recente il suo cuore si è posato
su The Goldfinger di Felix Chong,
un film poliziesco d’azione ambientato negli anni ’80 basato su
eventi reali che uscirà nelle sale di Hong Kong il 30 dicembre.
Leung lo ha definito una sorta di American Hustle
che incontra The Wolf of Wall Street. Nel
film, Leung avrà “finalmente” la possibilità di interpretare un
cattivo. Inoltre, lo farà al fianco di Andy Lau
che in Infernal Affairs era il cattivo. “Per me è molto
impegnativo interpretare il cattivo, e questa volta Andy interpreta
il buono. Vent’anni dopo Infernal Affairs, ci scambiamo i
ruoli”.
Nel corso della serata, Tony Leung
sarà il protagonista della cerimonia di consegna del Leone d’Oro
alla carriera nella Sala Grande.
Personaggi di vario genere e sfumatura, narrazioni complesse,
intrecci avvincenti: sono questi gli ingredienti principali grazie
ai quali il MCU è diventato il
franchise dei fumetti più redditizio, acclamato e amato a livello
mondiale. L’avere tanto materiale a disposizione da poter sfruttare
ha portato anche, ed inevitabilmente, ad una serie di plot twist
inaspettati, nati e cresciuti soprattutto grazie alla grande
quantità di eroi e villain presenti. Molti di questi colpi di scena
derivano in particolare dai tradimenti: se però la
maggior parte possono dirsi telefonati grazie all’andamento della
storia, ce ne sono alcuni invece del tutto imprevedibili e
scioccanti. Arrivati quando il pubblico proprio non se li
aspettava. Scopriamo perciò quali sono i dieci tradimenti
dei film Marvel più inaspettati e
strazianti.
Il tradimento di Nebula
L’introduzione del personaggio di
Nebula nel MCU – sorella di
Gamora e figlia adottiva di
Thanos – è stata fatta mostrando al pubblico una certa rivalità
fra le due aliene. Salvo poi lentamente risanare e al tempo stesso
solidificare il loro rapporto. Quando perciò
Nebula diventa un Avengers, tutto ci si sarebbe aspettato
tranne che tradisse i suoi compagni in Avengers:
Endgame, in prima istanza perché ha una vendetta personale
contro il folle padre, con il quale in realtà la vediamo alleata.
Nonostante questo, è anche giusto dire che il tradimento di Nebula
non è poi così scandaloso come altri, in quanto il film lo
inserisce utilizzando la sua versione alternativa. Una mossa tutto
sommato intelligente.
Il tradimento di Yon-Rogg
Uno dei tradimenti forse considerati fra i più scioccanti è quello
di Yon-Rogg, presente nel film Captain
Marvel. La pellicola ce lo presenta come mentore Kree di
Carol Danvers, affetta da amnesia cosmica, e il suo personaggio
sembra avere tutte le carte in regola per essere, oltre che un
collega, un vero e sincero amico. Andando avanti con la narrazione,
però, la sua vera identià salta fuori: si scopre infatti che le
intenzioni dei Kree sono tutt’altro che nobili e che Yon-Rogg ha
manipolato Carol Danvers per tutto il tempo. Pur potendo essere
l’evento telefenato, l’interpretazione avvincente di
Jude Law è riuscita a ingannare tutti, tanto che quando il
tradimento avviene lo fa essere inaspettato.
Il tradimento di Black Widow
Un altro tradimento
importante del MCU, inflitto da un
Avengers all’altro, è quello che ha come protagonista
Black Widow, che nell’universo cinematografico della Marvel è presentata come una delle
spie più importanti. In Captain America: Civil War, l’eroina si schiera con
Iron Man per gli Accordi di Sokovia, andando di conseguenza
contro il suo amico di vecchia data Steve Rogers. Nel momento in
cui però lo cattura, Black Widow ha un improvviso ripensamento, che la
porta a tradire Tony Stark, lasciando che Rogers vada via. Questo,
alla fine, conduce ad una sorprendente svolta finale.
Il tradimento di Kamran
Passiamo dai film alle serie del MCU, e arriviamo a
Ms. Marvel, show che ha debuttato nel 2022 sulla
piattaforma
Disney+, e che ha introdotto nell’universo Kamala Khan. Oltre
lei, il pubblico fa anche la conoscenza dei Clandestini, un gruppo
di potenti esseri provenienti dalla Dimensione Noor. Fra di essi
c’è Kamran, figlio adolescente della leader dei Clandestini Najma,
che li aiuta a manipolare la protagonista affinché esegua i loro
ordini. Ad un certo punto, però, assistiamo ad un plot twist
abbastanza inaspettato: Kamran, infatti, decide di aiutare Kamala
nel tentativo di eludere il Dipartimento di Controllo dei Danni e
in questo modo tradisce i suoi simili. La scelta del personaggio
porta alla morte della madre e dei suoi compagni di squadra, ed
oltre ad essere un momento imprevedibile, segna anche un cambio di
rotta e di lealtà da parte del character molto risonante.
Il tradimento di Arnim Zola
Torniamo ai film del MCU e precisamente a
Captain America: Il primo vendicatore, la cui storia
introduce Arnim Zola, scienziato dell’HYDRA
e stretto collaboratore del Teschio Rosso durante la Seconda Guerra
Mondiale. Sin da subito è chiara la grande fedeltà del personaggio
nei confronti dell’HYDRA, salvo poi venire catturato dall’esercito
americano. Quando Steve Rogers/Capitan America si risveglia nel
presente, questi scopre che Zola ha in realtà disertato lo SHIELD e
ha lavorato con l’organizzazione per molti anni. Il suo tradimento,
perciò, risulta inaspettato solo fino a quando ill film non rivela
che è sempre stato un agente doppiogiochista.
Il tradimento di Nick Fury
Il
personaggio di
Nick Fury, sin dal momento in cui è stato introdotto nel
MCU, si è sempre rivelato
fra quelli più buoni. Uno dei momenti che va a dimostrazione di
quanto detto si può ricercare in Capitan
Marvel, quando Fury promette alla popolazione degli Skrull
di trovare per loro una nuova casa nello spazio, in cui poter
vivere. Una promessa che però in Secret
Invasion, show che ha recentemente debuttato su
Disney+, scopriamo non essere stata mantenuta. La serie rivela
che
Fury, oltre a non essere stato corretto con gli Skrull, ne ha
anche sposato uno. Il suo tradimento risulta essere dunque ancor
più grave, in quanto rinnega la sua promessa dopo aver iniziato una
relazione proprio con uno di loro.
Il tradimento di Capitan America
Uno dei personaggi più amati del MCU è Steve Rogers, alias
Capitan America. Un supereroe forte, tenace, risoluto, che nel
corso della sua storia ha dovuto affrontare diverse situazioni
scomode e difficili, oltre che prendere decisioni cruciali. Una
delle più inaspettate è il tradimento di Rogers nei confronti di
Iron Man. L’evento
è inserito all’interno di Captain America: Civil War, quandoTony Stark viene a
sapere che Bucky Barnes, ossia il
Soldato d’Inverno, è responsabile della morte dei suoi
genitori, poiché li ha uccisi per volere dell’HYDRA.
Quando questo avviene, Capitan America si trova in estrema
difficoltà, in quanto è riuscito a salvare da poco l’amico dal
lavaggio del cervello. Rogers in quel momento non ha scelta: si
schiera dalla sua parte, ammettendo a Stark di essere sempre stato
a conoscenza degli omicidi. Quella rivelazione risulta inaspettata
data la natura onesta dell’ereo, e rennde il tradimento ancora più
profondo.
Il tradimento di Xialing
Nel 2021 il MCU decide di introdurre
un altro personaggio, Shang-Chi, esperto di arti marziali, con un
nuovo film: Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli. Oltre lui,
viene introdotto anche un nuovo villain, Mandarino, antagonista
della storia, il quale si scopre essere suo padre Wenwu. Accanto a
Shang-Chi combatte però la sorella Xialing, la quale, in seguito
alla morte del padre, promette al fratello di sciogliere
l’organizzazione dei Dieci Anelli. La scena post-credits del film
mostra Xialing assumere invece il controllo dei Dieci Anelli,
tradendo in questo modo Shang-Chi e trasformandosi di conseguenza
in un futuro cattivo del Marvel Cinematic
Universe. Il tradimento anche qui risulta decisamente
inaspettato, poiché avviene quasi subito dopo la promessa fatta da
lei a Shang-Chi, e lascia persino intendere che i due diventeranno
nemici.
Il combattimento di Ikaris contro gli Eterni
Parliamo ora di Eternals,
film del MCU che introduce gli
Eterni, creature immortali e dotate di superpoteri provenienti dal
pianeta Olimpia. Nel racconto diretto da Chloé Zao, molto della
storia originale viene modificato, e questo porta ad assistere a
diversi inaspettati colpi di scena nella pellicola. Quello più
impattante e scioccante ha come protagonista Ikaris, il quale verso
metà della trama si scopre aver ucciso il leader degli Eterni,
Ajak. Non solo: Ikaris sta anche lavorando contro i suoi compagni
per permettere la distruzione della Terra. Nei fumetti, l’eroe non
è così cattivo come invece appare in Eternals, e soprattutto non diventa mai l’antagonista
principale della narrazione.
L’uccisione di Gamora
Ma
se proprio dobbiamo classificare i tradimenti peggiori del
MCU, quello più difficile
da digerire – e soprattutto inaspettato – riguarda
Thanos. L’uccisione di Gamora da parte del Titano pazzo è la
più terrificante, e per cui si aggiudica il primo posto. Avengers:
Infinity War aveva dato modo al suo pubblico di fargli
conoscere meglio Thanos, mostrandogli anche tutto il processo che
lo aveva condotto ad adottare la piccola aliena verde. Lo
spettatore assiste perciò alla costruzione del loro rapporto, in
cui si evince l’affetto profondo che il Titano nutre per lei. È
solo dopo questo momento che Avengers: Inifity War fa scoprire a Thanos di dover
sacrificare la persona che più ama, dunque Gamora, per poter
recuperare la Gemma dell’Infinito. La decisione del Titano – pur a
malincuore – di uccidere la figlia e preferire il potere lo rende
un tradimento, oltre che inaspettato, straziante.
Michele Bravi, nel
cast di Finalmente
l’Alba di Saverio Costanzo, ha
raccontato la sua esperienza nel film in Concorso alla Mostra
d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia edizione numero
80. Finalmente
l’Alba è il viaggio lungo una notte della giovane
Mimosa che, nella Cinecittà degli anni Cinquanta, diventa la
protagonista di ore per lei memorabili. Una notte che da ragazza la
trasformerà in donna.
Inizialmente
volevo scrivere un film sull’omicidio della giovanissima Wilma
Montesi, avvenuto nell’aprile del 1953, che rappresentò per
l’Italia il primo caso di assassinio mediatico. La stampa speculò
sulla vicenda, che coinvolgeva personalità della politica e dello
spettacolo, e nel pubblico nacque un’ossessione che presto diventò
indifferenza. La vittima scomparve dalle cronache per fare posto
alla passerella dei suoi possibili carnefici. Poi, come accade
spesso scrivendo, l’idea iniziale è cambiata e piuttosto che far
morire un’innocente ne ho cercato il riscatto. Mi piace infatti
pensare che Finalmente l’alba sia un film sul riscatto dei
semplici, degli ingenui, di chi è ancora capace di guardare il
mondo con stupore. La protagonista Mimosa è un foglio bianco, su
cui ognuno dei personaggi in cui s’imbatte scrive la sua storia,
senza paura di essere giudicato. Mimosa è una ragazza semplice,
una giovanissima comparsa di Cinecittà che nella Roma degli anni
Cinquanta accetta l’invito mondano di un gruppo di attori americani
e con loro trascorre una notte infinita. Ne uscirà diversa,
all’alba, scoprendo che il coraggio non serve a ripagare le
aspettative degli altri, ma a scoprire chi siamo
Grande amico della Mostra di
Venezia, Harmony Korine arriva al Lido mascherato e
sereno, a
presentare Fuori Concorso il suo nuovo film Aggro
Dr1ft, quello che sembra l’inizio di un nuovo capitolo
nella sua filmografia, sempre molto concreta e legata al reale e ai
personaggi.
In merito a questo nuovo lavoro, un
tuffo nella sperimentazione, Korine spiega: “Non ero
soddisfatto nel fare o guardare i film tradizionali, e ho
cominciato a pensare che ci fosse qualcosa oltre la loro
realizzazione. Volevo sperimentare l’idea di cosa venisse per me
dopo che un film è finito, per me è stata una specie di esperienza
sensoriale, una vibrazione, l’essere dentro un
gioco.”
E proprio i videogiochi sono stati
la sua principale ispirazione per la realizzazione del film, in
particolare gli open world, come
Legend of Zelda. “L’ingegneria del giochi mette in campo
una vera e propria creazione di un mondo, oggi, molto più che un
film, l’estetica di un gioco per me è una delle forme espressive
più interessanti in circolazione.”
Ma più che cinema sperimentale,
quello di Harmony Korine è un gioco, un tentativo
di riconnettersi con l’arte del cinema: “Non volevamo
realizzare un esperimento tecnico, ma volevo divertirmi con il
medium. Non c’era più senso di divertimento e di gioco nel processo
della realizzazione dei film, e quindi ho voluto tornare a quello
che mi faceva divertire, un tentativo di innamorarmi di nuovo del
processo.”
Per farlo, Harmony Korine ha utilizzato una serie di
strumenti precisi, come le termocamere, che gli hanno consentito un
modo diverso di girare, utilizzando anche un vocabolario differente
e specifico. “È stato divertente anche solo provare cose nuove.
Provare un misto di tecnologia e creatività, spingere la tecnica
per vedere creativamente dove si poteva arrivare. Stiamo lavorando
adesso una dream box, che permette di creare immagini solo
pensandole. È questo il tipo di cose che mi piace fare, è un
continuo esperimento.”
Evento Speciale alle
Giornate degli Autori, “L’Expérience ZOLA”
di Gianluca Matarrese, con Anne
Barbot e Benoît
Dallongeville è una produzione Bellota
Films e Stemal Entertainment,
prodotto da Dominique
Barneaud e Donatella Palermo,
distribuito
da Luce Cinecittà.
«Con “L’Expérience Zola” Gianluca
Matarrese torna al Lido di Venezia portandoci in un altrove
linguistico e letterario con un film che passa senza soluzione di
continuità dalla finzione al documentario, dalla vita alla
lettaratura e al teatro», dichiara
Gaia FurrerDirettrice artistica
delle Giornate degli Autori.
Anne è una regista teatrale. Si è
separata dal marito e sta cambiando casa. È spenta, senza desideri.
Conosce Ben, vicino di casa servizievole e attore senza scritture.
Lui la guarda con occhi appassionati, lei non vuole mai più
legarsi a un uomo. Ma quando decide di mettere in
scena L’assommoir di Zola, è a lui che propone il
ruolo di Coupeau, riservandosi quello di Gervaise. Man mano che la
storia si sviluppa, il confine tra la vita reale e la
rappresentazione teatrale si riduce sempre di più. Tra letture e
prove, tra ricerca e studio, la realtà sfuma nella finzione e
i due sembrano ripercorrere esattamente tutti i passaggi della
storia di Coupeau e Gervaise, fino alla rovina.
«Anne Barbot e io ci siamo
formati insieme alla École Internationale de Théâtre Jacques Lecoq
– racconta
il regista–
Entrambi mettiamo in discussione la nozione di prospettiva e la
porosità tra realtà e finzione. Insieme abbiamo sperimentato la
creazione di ponti tra due linguaggi: quello del teatro e quello
dell’audiovisivo. L’adattamento teatrale di L’Assommoir di
Emile Zola da parte di Anne è sembrato un ottimo soggetto per
l’esperienza che avevamo in mente».
Nato e cresciuto a Torino,
Gianluca Matarrese si è trasferito a Parigi,
all’età di 22 anni, dove ha completato gli studi di cinema e
teatro. Nel 2008 ha iniziato la sua carriera in televisione come
autore di programmi di entertainment e fiction. Negli ultimi cinque
anni ha realizzato otto film documentari che hanno girato numerosi
festival internazionali (Settimana della Critica, IDFA,
Thessaloniki, CPH, Hot Docs, DMZ, Torino Film Festival, Vision du
Réel, Festival dei Popoli), sostenuto regolarmente da broadcaster
come France Télévisions e Arté.
Dopo il successo al box office,
arriva su Sky l’attesissimo nuovo capitolo della
saga di Shrek di Dreamworks Animation, con protagonista l’impavido
felino spadaccino,
Il gatto con gli Stivali 2: L’ultimo desiderio,
in prima tv lunedì 4 settembre alle 21.15 su Sky Cinema Uno
(e alle 21.45 anche su Sky Cinema Shrek), in streaming su NOW e
disponibile on demand.
Candidato come miglior film animato
ai BAFTA Awards del 2023 e agli Oscar 2023 come miglior film
d’animazione, vede alla regia Joel Crawford e un
cast di doppiatori superstar come Antonio
Banderas, Salma Hayek Pinault,
Olivia Colman, Harvey Guillén, Samson Kayo, Anthony Mendez,
Wagner Moura, John Mulaney, Florence Pugh, Da’ Vine Joy Randolph e
Ray Winstone, che, nella versione originale, prestano le
loro voci ai divertenti personaggi di questa avventura. Il film è
tratto da una storia di Tommy Swerdlow e
Tom Wheelere la sceneggiatura è di Paul
Fisher e Tommy Swerdlow.
La trama di l gatto con
gli Stivali 2: L’ultimo desiderio
Per la prima volta dopo più di
dieci anni, DreamWorks Animation presenta un nuovo capitolo dalle
favole di Shrek in cui l’audace fuorilegge Gatto con gli Stivali
scopre che la sua passione per il pericolo e la sua noncuranza per
la prudenza prendono il sopravvento. Sebbene abbia perso il conto
lungo la strada, il Gatto ha bruciato otto delle sue nove vite. Per
riaverle, dovrà intraprendere la più grande impresa di sempre.
Il candidato agli Oscar
Antonio Banderas ritorna per dar voce al famigerato
Gatto con gli Stivali, impegnato nel compiere un viaggio epico
nella Foresta Nera alla ricerca della mitica Stella dei Desideri e
nel tentativo di riappropriarsi delle vite perdute. Ma con una sola
vita a disposizione, il Gatto sarà costretto a chiedere aiuto alla
sua ex partner e nemesi: l’affascinante Kitty “Zampe di Velluto”
(la candidata all’Oscar® Salma Hayek Pinault).
Nella loro impresa, il Gatto e
Kitty saranno aiutati – contro ogni buon senso – da uno
sgangherato, loquace e gioioso cane randagio di nome Perro (Harvey
Guillén). Insieme, il nostro trio di eroi dovrà mantenersi un passo
avanti rispetto a Riccioli d’Oro (la candidata all’Oscar Florence
Pugh) e alla Famiglia del Crimine dei Tre Orsi: Mamma orso (la
vincitrice dell’Oscar®Olivia Colman), Papà orso (Ray Winstone) e
Piccolo orso (Samson Kayo), “Grande” Jack Horner (il vincitore agli
Emmy John Mulaney) e il grosso e malvagio cacciatore di taglie, il
Grande Lupo cattivo (Wagner Moura), che ha preso di mira il Gatto.
Il film può contare anche su un cast stellare di comici che include
il medico del Gatto con gli Stivali (il candidato all’Emmy Anthony
Mendez) e Mama Luna (il candidato al Tony Award Da’ Vine Joy
Randolph).
in occasione della prima visione
IL GATTO CON GLI STIVALI 2 – L’ULTIMO DESIDERIOda lunedì 4 a venerdì 8 settembre Sky Cinema Collection
(canale 303) si trasforma in SKY CINEMA SHREK, con tutti i
film del franchise dedicato al simpatico orco verde e il primo
capitolo IL GATTO CON GLI STIVALI. Tutti i film saranno
disponibili anche in streaming su NOW e on
demand.
La saga si apre nel 2001 con il
primo memorabile SHREK, capolavoro che ha
rivoluzionato il mondo delle favole e che ha vinto l’Oscar per il
miglior film d’animazione. Racconta la storia di un orco verde,
scorbutico ma dal cuore buono, che deve liberare la principessa
Fiona, segregata in un castello, che gli farà battere il cuore. Il
divertimento continua con il secondo capitolo campione d’incassi,
SHREK 2. Questa volta Shrek e Fiona devono
affrontare le ire dei genitori di lei, poco propensi ad accettare
un “mostro” come genero. In SHREK TERZO nel regno
di Molto Molto Lontano è morto il re e bisogna trovare il cugino di
Fiona, Arthur, erede del trono per linea di successione. L’orco
verde, insieme agli amici Ciuchino e Gatto con gli Stivali, parte
alla sua ricerca, ma una sorpresa li attende. Il quarto e ultimo
capitolo della saga d’animazione, SHREK E VISSERO FELICI E
CONTENTI, vede Shrek alle prese con i problemi di un padre
di famiglia e una forte nostalgia dei vecchi tempi. Complice la
trappola che gli tende il nano Tremotino, l’orco finirà per vivere
un’altra avventura indimenticabile. Non manca infine IL
GATTO CON GLI STIVAL, primo capitolo della rocambolesca
animazione che vede protagonista il personaggio reso famoso dalla
saga di Shrek. In questa divertente avventura l’amicizia fra il
beffardo Gatto con gli Stivali e Humpty Dumpty si rompe in seguito
a una rapina finita male, ma il destino li riunisce sulla strada
verso la famigerata Oca dalle uova d’oro.
Finalmente l’alba è il viaggio
lungo una notte della giovane Mimosa che, nella Cinecittà degli
anni Cinquanta, diventa la protagonista di ore per lei memorabili.
Una notte che da ragazza la trasformerà in donna.
Inizialmente volevo scrivere un film sull’omicidio della
giovanissima Wilma Montesi, avvenuto nell’aprile del 1953, che
rappresentò per l’Italia il primo caso di assassinio mediatico. La
stampa speculò sulla vicenda, che coinvolgeva personalità della
politica e dello spettacolo, e nel pubblico nacque un’ossessione
che presto diventò indifferenza. La vittima scomparve dalle
cronache per fare posto alla passerella dei suoi possibili
carnefici. Poi, come accade spesso scrivendo, l’idea iniziale è
cambiata e piuttosto che far morire un’innocente ne ho cercato il
riscatto. Mi piace infatti pensare che Finalmente l’alba sia un
film sul riscatto dei semplici, degli ingenui, di chi è ancora
capace di guardare il mondo con stupore. La protagonista Mimosa è
un foglio bianco, su cui ognuno dei personaggi in cui s’imbatte
scrive la sua storia, senza paura di essere giudicato. Mimosa è
una ragazza semplice, una giovanissima comparsa di Cinecittà che
nella Roma degli anni Cinquanta accetta l’invito mondano di un
gruppo di attori americani e con loro trascorre una notte infinita.
Ne uscirà diversa, all’alba, scoprendo che il coraggio non serve a
ripagare le aspettative degli altri, ma a scoprire chi siamo.
L’attrice Micaela Ramazzotti
arriva al lido per presentare in Orizzonti Extra
Felicità, il suo debutto alla regia che la vede
anche protagonista al fianco di Max Tortora, Anna Galiena,
Matteo Olivetti e
Sergio Rubini. Ecco tutte le foto:
Questa è la storia di una famiglia storta,
di genitori egoisti e manipolatori, un mostro a due teste che
divora ogni speranza di libertà dei propri figli. Desirè è la
sola che può salvare suo fratello Claudio e continuerà a lottare
contro tutto e tutti in nome dell’unico amore che conosce, per
inseguire un po’ di felicità.
Felicità è la mia opera prima
e sono così orgogliosa e onorata che proprio la Mostra del Cinema
di Venezia sia il primo festival ad accoglierla e a volerle bene.
La storia, che è in parte ispirata a qualcosa di autentico, parla
di una famiglia patologica, di un percorso psichiatrico, di una
relazione squilibrata, di mediocrità educativa e sociale e di come
lo spirito dell’Italia di questi anni si rifletta sulle persone
meno attrezzate. C’è voluta da parte mia un po’ di faccia tosta a
interpretare Desirè, perché non è certo il ritratto edificante
di una donna virtuosa, anzi è decisamente imperfetta, ingenua, un
po’ bugiarda e anche patetica.
Si è tenuto nella serata il red
carpet di Poor
Things, il nuovo film dell’acclamato regista greco
Yorgos Lanthimos che però era solo a presentare il
film, dato che il cast è in sciopero a Hollywood e dunque no può
promuovere la pellicola. Assenti
Emma Stone,
Mark Ruffalo, William Dafoe. Presenti molti volti
italiani.
La storia incredibile della fantastica
trasformazione di Bella Baxter, una giovane donna riportata in vita
dal dottor Godwin Baxter, scienziato brillante e poco ortodosso.
Bella vive sotto la protezione di Baxter ma è desiderosa di
imparare. Attratta dalla mondanità che le manca, fugge con Duncan
Wedderburn, un avvocato scaltro e dissoluto, in una travolgente
avventura che si svolge su più continenti. Libera dai pregiudizi
del suo tempo, Bella cresce salda nel suo proposito di battersi per
l’uguaglianza e l’emancipazione.
Il Marvel Cinematic Universe
registra un nuovo cambiamento nella sua timeline a causa dello
sciopero di attori e sceneggiatori in corso a Hollywood. Marvel Studios ha riprogrammato infatti
diversi show Disney+. Tra questi c’è la
seconda stagione di What
If…?, la prima serie animata MCU, che sarebbe dovuta uscire
all’inizio del 2023, e adesso arriverà alla fine dell’anno, per
ragioni non specificate.
Per quanto riguarda Echo,
spin-off di Hawkeye, con
Alaqua Cox come prima Nativa Americana protagonista di una serie
Marvel, la serie è stata spostata
dal 29 novembre a gennaio 2024. Sarà comunque previsto che tutti
gli episodi usciranno insieme.
X-Men ’97, l’atteso aggiornamento
della serie d’animazione dedicata agli X-Men degli anni ’90, è
stata spostata dall’autunno 2023 all’inizio del 2024. E infine, lo
spin-off di Wandavision,
Agatha, con Kathryn Hahn nei
panni della strega Agatha Harkness, uscirà nell’autunno del 2024.
La serie, le cui riprese si sono concluse prima dello sciopero
degli attori, era stata annunciata con il titolo di Agatha:
House of Harkness, poi a luglio 2022, la Marvel ha cambiato il titolo in
Agatha: Coven of Chaos. Ora il titolo definitivo
sembra essere Agatha: Darkhold Diaries.
La prossima serie Marvel su Disney+ sarà comunque Loki 2, in arrivo
il 6 ottobre, con Tom Hiddleston che riprende il ruolo ultra
decennale del Dio dell’Inganno. Altre serie, come Daredevil:
Born Again e Wonder
Man, subiranno purtroppo altri ritardi.
La serie live-action di
One
Piece di Netflix (qui
la
recensione) modifica diversi elementi rispetto alla storia
originale, pur rimanendo fedele al manga di Eiichiro
Oda. La prima stagione di One
Piece è composta da otto episodi e copre i primi 95
capitoli del manga. Considerando il numero di personaggi e luoghi
raccontati dal manga fin dall’inizio, ci si aspettavano cambiamenti
rispetto al materiale originale. Fortunatamente, la maggior parte
delle modifiche apportate alla serie live-action di
One
Piece ha a che fare con il ritmo piuttosto che
con cambiamenti sostanziali di personaggi o circostanze.
Eiichiro Oda era
direttamente coinvolto nello show e avvisava i produttori ogni
volta che qualcosa non andava bene. La prima stagione di
One
Piece ha mostrato molto rispetto per il materiale
originale e dei riferimenti profondi e mirati nella ricreazione
accurata di scene iconiche. Tuttavia, sono state apportate molte
modifiche alla storia, a partire da personaggi scomparsi fino a
nuovi ambienti. Ecco i cambiamenti più importanti apportati dalla
prima stagione di One
Piece al manga.
Garp ha condotto l’esecuzione di
Gold Roger
Alcuni dei più grandi
cambiamenti di One
Piece per il live-action hanno a che fare con il
personaggio di Garp, la cui prima apparizione nel manga è avvenuta
nel capitolo 92. Nello show live-action, Garp è colui che guida
l’esecuzione di Gold Roger. Questa scena viene rievocata anche nel
finale della prima stagione, quando Garp, guardando Luffy che ride,
ricorda la risata beffarda e divertita di Gold Roger nel momento
dell’esecuzione.
Volti familiari vengono rivelati
subito durante l’esecuzione di Gold Roger
Numerosi personaggi
importanti di One
Piece erano presenti all’esecuzione di Gold Roger,
inclusi Shanks, Mihawk e Smoker. Anche se questo è esattamente ciò
che accade nel manga, questi personaggi non vengono mostrati la
prima volta che si racconta dell’esecuzione di Gold Roger.
One
Piece rivisita la morte di Roger molte volte, ma
la serie live-action ha preferito mostrare subito questi personaggi
importanti.
Shanks è più vecchio durante il
flashback dell’esecuzione
L’esecuzione di Gold Roger
è avvenuta 22 anni prima degli eventi principali di
One
Piece. Sebbene One
Piece di Netflix mantenga la stessa sequenza temporale, Shanks
è significativamente più vecchio nel flashback dell’esecuzione
rispetto alla sua controparte manga/anime. Pertanto, lo Shanks di
oggi è più vecchio nell’anime che nel manga.
Shanks dice che andrà alla ricerca
del One Piece
Nel manga, Shanks dice a
Luffy che la sua squadra è al Windmill Village da troppo tempo.
Shanks saluta Luffy ma non dice esattamente dove sta andando con la
sua ciurma. Nel live-action, Shanks dice espressamente che anche
loro stanno inseguendo il One
Piece.
Luffy non viene risucchiato in un
vortice
L’attuale introduzione di
Luffy nello show di One
Piece è molto simile a come avviene nel manga, ma con
alcune differenze. Invece di affrontare un mostro marino locale e
poi essere risucchiato in un vortice, Luffy decide di entrare in un
barile dopo che la sua barca ha iniziato ad affondare. Il risultato
è lo stesso: Luffy viene ripescata dall’equipaggio di Alvida.
Vediamo Zoro che affronta Mr. 7
del Byzantine Works
L’introduzione di Zoro in
One
Piece di Netflix è molto diversa dal materiale
originale. Invece di incontrare il “demone cacciatore di pirati” a
Shells Town, Zoro viene presentato al pubblico davanti alla tomba
di Kuina. Inoltre, Zoro combatte contro Mr. 7 dopo che il membro
dei Byzantine Works ha cercato di reclutarlo. Sebbene questo
combattimento avviene anche nella storia originale, se ne fa
riferimento solo molto più tardi e non è mostrato all’inizio di
One
Piece.
Nami viene presentata a Shells
Town
Nel manga, Nami si unisce
alla storia solo nel capitolo 8, dopo la conclusione dell’arco
narrativo di Shells Town. In One
Piece di Netflix, Nami viene introdotta pochi
minuti dopo l’episodio 1 e partecipa all’arco narrativo di Shells
Town. Questo cambiamento è stato mutuato dall’anime, che vede Nami
coinvolta negli eventi di Shells Town, proprio come accade nel live
action.
La “lotta” tra Luffy e Koby non
avviene
Koby ha un ruolo più
importante in questa parte della storia nel live-action rispetto al
manga. Anche se Koby il fatto che si unisce ai Marines a Shells
Town corrisponde a quanto accade nel materiale originale, lo
“scontro” tra lui e Luffy non avviene. Invece, Koby rimane con i
Marines e viene successivamente interrogato da Garp.
La mappa della Rotta Maggiore è
stata rubata ai Marines (non a Buggy)
La mappa della Rotta
Maggiore è stata utilizzata come McGuffin nella prima stagione di
One
Piece, dal momento che ci sono diversi personaggi che
la cercano. Tuttavia, invece di diventare un punto della trama
durante l’arco narrativo di Orange Town dove i protagonisti
incontrano Buggy, la mappa della Rotta Maggiore è stata introdotta
nell’episodio 1. Luffy e Nami rubano la mappa ai Marines, anche se
poi Buggy viene introdotto come uno dei contendenti in cerca della
mappa.
Nami è subito una brava
combattente
Il live-action di
One
Piece offre a Nami molte più scene di
combattimento in questa parte della storia rispetto al manga o
all’anime. Il bastone distintivo di Nami debutta nell’episodio 1,
durante il quale Nami si unisce a Luffy e Zoro nella lotta contro
Morgan Mano d’ascia. Nami ha anche alcune scene di combattimento
interessanti nel segmento in cui compare Buggy.
Garp viene presentato (e insegue
Luffy) molto prima
Oltre ad apparire nel
flashback dell’esecuzione di Gold Rogers, Garp gioca un ruolo
significativo in One
Piece stagione 1. Garp è stato una sorta di
antagonista generale per la ciurma di Cappello di Paglia. Quello
che si rivela essere il nonno di Luffy ha inseguito i protagonisti
da Shells Town al Villaggio Coco, cosa che non accade affatto nel
manga. Inoltre, il fatto che Garp facesse da mentore a Koby e
Helmeppo è stato spostato di livello superiore ed è avvenuto in
concomitanza con le avventure di Luffy nel Mare Orientale.
Luffy è più intelligente di quanto
dovrebbe essere
Luffy di Iñaki
Godoy mette in scena molto bene sia l’aspetto del Luffy
originale sia il suo buon cuore. Inoltre, il live-action di
One
Piece riesce anche a catturare l’umorismo di
Luffy. Detto questo, il protagonista è più intelligente
nell’adattamento Netflix che nel manga. Mentre il Luffy di Godoy è
sempre spontaneo e ingenuo, il personaggio sembra più maturo e
sveglio rispetto al Luffy del manga.
Luffy e Koby si riuniscono due
volte nella prima stagione di One Piece
Luffy e Koby si riuniscono
due volte dopo che il pirata del Cappello di Paglia lascia Shells
Town nel live action. Koby ha incontrato Luffy a Syrup Village e
poi nel finale di One
Piece al Villaggio Coco. Tuttavia, nel manga, Luffy e
Koby si vedono solo più di 400 capitoli dopo. Koby ha avuto un
ruolo molto più importante in questa versione della storia rispetto
al manga.
Il circo di Buggy e gli abitanti
incatenati non provengono dal manga
Buggy il Clown ruba la
scena nella prima stagione di One
Piece, ma l’episodio incentrato su di lui era molto
diverso dall’arco narrativo di Orange Town del manga. Nella serie
live-action, Buggy gestisce un circo, la cui folla è formata da
abitanti del villaggio incatenati. Sebbene Buggy e i suoi pirati
distruggano un villaggio durante la loro introduzione, nel manga
non c’è traccia del circo o dei prigionieri incatenati.
Lo scontro tra Buggy e Luffy è
completamente diverso
Lo scontro tra Buggy e i
pirati di Cappello di Paglia di Luffy è molto diverso dal materiale
originale. Tutto accade all’interno del circo di Buggy piuttosto
che nelle strade di Orange Town. Buggy non cattura Luffy, Zoro e
Nami tutti insieme nel manga; inoltre non tortura Luffy allungando
il suo corpo. Lo scontro di Zoro con Cabaji non avviene nel
live-action e personaggi come il sindaco e il cane appaiono solo
come brevi riferimenti.
Zoro ha ucciso il fratello di
Cabaji
One
Piece di Netflix ha aggiunto un
elemento personale alla rivalità tra Zoro e Cabaji. Secondo il capo
della ciurma di Baggy, Zoro ha ucciso suo fratello. Questo non è
una informazione che deriva dal manga. Curiosamente, nonostante
abbia creato una storia personale tra Zoro e Cabaji, la serie non
mostra quello scontro. Invece, Zoro liquida rapidamente Cabaji con
pochi colpi dopo essersi sciolto.
I pirati di Usopp non
compaiono
Il retroscena di Usopp e la
sua introduzione in One
Piece di Netflix
sono molto fedeli al materiale originale. In effetti, gli episodi
di Syrup Village sono tra i migliori della prima stagione. Detto
questo, un cambiamento significativo rispetto al manga è stato che
Ninjin, Tamanegi e Piiman – i “pirati Usopp” – non appaiono.
Nemmeno i compagni di Usopp sono menzionati né si fa riferimento a
loro in forma di Easter Eggs.
Appaiono solo due dei Pirati del
Gatto Nero di Kuro
Il piano e la motivazione
di Kuro nella prima stagione di One
Piece corrispondono a quelli del manga. Tuttavia, il
climax dello scontro tra la ciurma di Cappello di Paglia e il
capitano dei Pirati del Gatto Nero è leggermente diverso. Invece di
affrontare tutto l’equipaggio di Kuro per salvare Kaya, Luffy e i
suoi amici combattono solo contro Buchi e Sham.
Jango non appare
Anche se il piano di Kuro
di uccidere Kaya prima di impossessarsi delle ricchezze della sua
famiglia è rimasto lo stesso in One
Piece di Netflix,
il modo in cui sarebbe dovuto accadere è diverso. Nel manga, Kuro
dei Mille Piani arruola Jango, un ipnotizzatore, per ipnotizzare
Kaya. Nel live-action, Kuro, fingendosi il maggiordomo Klahadore,
manipola semplicemente Kaya facendogli affidare a lui l’azienda di
famiglia.
Il bacio di Usopp e Kaya
La dinamica tra Usopp e
Kaya in One
Piece di Netflix è vicina al materiale originale, con
il primo che rallegra la seconda con il racconto delle sue
mirabolanti (e inventate) avventure. Tuttavia, c’è una differenza
sostanziale rispetto al manga. Usopp e Kaya si baciano
nell’episodio 4, cosa che non accade nel manga e conferma che,
nella serie live action, la loro relazione è romantica.
Kuro uccide Merry
Kuro attacca Merry dopo che
quest’ultimo scopre la vera identità del primo sia nel manga che
nella serie live-action. Tuttavia, Merry muore nell’episodio 4 di
One Piece di Neflix, mentre nel manga sopravvive. Nello show, la
morte di Merry è ciò che porta Luffy a chiamare la loro nuova nave
“Going Merry”.
Johnny e Yosaku non appaiono
Johnny e Yosaku, gli amici
cacciatori di taglie di Zoro, non compaiono in One Piece di
Netflix. Originariamente introdotti prima dell’arco narrativo di
Baratie, Johnny e Yosaku rimangono vicino ai pirati di Cappelli di
Paglia fino al segmento di Arlong Park. L’assenza di Johnny e
Yosaku nello show live-action può essere stata una delusione, ma la
prima stagione di One Piece ha preferito concentrarsi
esclusivamente sull’originale ciurma di Cappello di Paglia.
Arlong sostituisce Don Krieg al
Baratie
Don Krieg è presente nella
prima stagione di One
Piece di Netflix, ma in un ruolo molto più piccolo
rispetto al manga. Mihawk incontra i pirati di Don Krieg e provoca
loro gravi perdite, proprio come nell’originale. Tuttavia, nello
show, Mihawk uccide Don Krieg prima ancora che Luffy arrivi al
Baratie. Invece di affrontare Krieg al ristorante, Luffy combatte
Arlong in quello che è stato uno dei più grandi cambiamenti
rispetto al manga. La sostituzione di Krieg con Arlong ha
semplificato la storia e ha reso Arlong una presenza più
ingombrante anche prima degli episodi di Arlong Park.
Arlong cattura Buggy
Arlong cattura Buggy
nell’episodio 3 di One
Piece e porta la testa del clown con sé fino al
Baratie. Lì, viene rivelato che Baggy ha messo una delle sue
orecchie nel cappello di Luffy, motivo per cui Arlong sapeva dove
trovare il Cappelli di Paglia. Niente di tutto questo accade nel
manga. Nella storia originale, Luffy dà un pugno alla testa di
Buggy allontanandola dal corpo del clown. Buggy recupera solo
alcune parti del suo corpo e poi intraprende un divertente viaggio
prima di incontrare Alvida.
L’Isola degli Animali Rari non
appare
L’Isola degli Animali Rari,
una famosa località di One
Piece nella regione del Mare Orientale, non appare
nella prima stagione di One Piece. L’Isola degli Animali Rari
appare due volte nel materiale originale durante questa parte della
storia, poco prima che la ciurma di Cappelli di Paglia vada via dal
Baratie e quando Buggy intraprende un’avventura in solitaria mentre
gli manca la maggior parte del corpo. Di conseguenza, Gaimon non è
presente nello show Netflix.
Nojiko e Genzo non sapevano
dell’accordo di Nami con Arlong
Il segreto di Nami e il
motivo per cui lavorava per Arlong sono rimasti inalterati in One
Piece di Netflix. Tuttavia, nella serie live-action, né Nojiko né
Genzo sono a conoscenza dell’accordo di Nami con Arlong. Entrambi
credono che Nami abbia scelto di lavorare per la persona che ha
ucciso Bell-mère. Nojiko scopre la verità solo nell’episodio 7 di
One Piece, poco prima che i soldi di Nami vengano rubati. Nel
manga, Nojiko e il resto del villaggio scoprono molto presto che
Nami ha scelto di lavorare con Arlong solo per liberare il
villaggio.
Nel 1755, lo
squattrinato capitano Ludvig Kahlen parte alla conquista delle
aspre e desolate lande danesi con un obiettivo apparentemente
impossibile: costruire una colonia in nome del Re. In cambio,
riceverà per sé un titolo reale disperatamente desiderato. Ma
l’unico sovrano della zona, lo spietato Frederik de Schinkel, ha la
presuntuosa certezza che questa terra gli appartenga. Quando De
Schinkel viene a sapere che la cameriera Ann Barbara e il marito
servitore sono fuggiti per rifugiarsi da Kahlen, il privilegiato e
perfido sovrano giura vendetta, facendo tutto ciò che è in suo
potere per scoraggiare il capitano. Kahlen non si lascerà
intimidire e ingaggerà una battaglia impari, rischiando non solo
la sua vita, ma anche quella della famiglia di emarginati che si è
venuta a formare intorno a lui.
Il commento del regista
Quando qualche anno fa ho vissuto
l’esperienza assolutamente straordinaria di diventare padre, ho
iniziato a vedere i miei film precedenti, compresi i ricordi della
loro realizzazione, sotto una nuova luce. Per quanto ne rimanga
orgoglioso (almeno della maggior parte!), quelle opere riflettono
la visione di un uomo con un unico scopo: la dedizione entusiasta
nei confronti della creazione di storie e di arte… ma non molto
altro. Bastarden è nato da questa presa di
coscienza esistenziale ed è a oggi, di gran lunga, il mio film
più personale. Con l’aiuto del brillante romanzo di Ida Jessen, io
e Anders Thomas Jensen volevamo raccontare una storia epica e
grandiosa su come le nostre ambizioni e i nostri desideri siano
destinati a fallire se rappresentano la sola cosa che abbiamo. La
vita è un caos; dolorosa e sgradevole, bella e straordinaria, e
spesso non la possiamo controllare. Come dice il proverbio: “Noi
facciamo piani e Dio se la ride”.
Un dramma storico dalla forte
intensità, Bastarden – The Promised Land arriva a Venezia 80. Un film fortemente voluto dal
Arcel, anche un progetto intimo per lui che porta al Lido e che
ottiene i suoi primi consensi. Come racconta il regista la
paternità ha avuto un ruolo chiave nella sua realizzazione.
“È una cosa banale da dire ma
avere un figlio ti cambia la vita e non immagini quanto. Quando ho
letto il romanzo stavo diventando padre e leggerlo mi ha fatto
scoprire questa storia di ambizione che contrasta con la famiglia.
Prima ragionavo sempre in termini di ambizione, ma ora mi rendo
conto che la famiglia è il mio nuovo obiettivo. Ecco perché è un
film così personale per me”.
Il film presenta anche molte scene
violente e crude. Il regista e lo sceneggiatore hanno spiegato che
per queste parti è stata fatta una ricerca su fatti realmente
esistiti: “È realmente esistito un tale Schinkel, ma di lui
abbiamo solo una citazione tramandata nel tempo e a partire da
quella abbiamo costruito il personaggio che vedete nel film”,
racconta Jensen.
Nonostante sia ambientato nel 1755
il film presenta alcuni elementi contemporanei e moderni che non
sono assolutamente frutto dell’epoca passata anzi come dice Arcel
si tratta di temi universali “il come bilanci e controlli la
tua vita o come la lasci in balia del caos. Per me emotivamente
questo risuona ancora oggi nel nostro contemporaneo”. Alla
conferenza stampa, presenti anche gli attori che hanno raccontato
il loro personaggio. Sono tutti diversi ed emotivamente a
pezzi.
“Sono stata affascinata dal
personaggio ma c’è un momento in cui ho capito di dover dare tutto
al regista per poter davvero trovare la strada e il carattere di
Ann Barbara. Mi sono arresa al personaggio ed è stato un viaggio
stupendo”, ha detto Amanda Collin. “È
interessante interpretare un uomo così focalizzato su un unico
obiettivo. L’ho trovato complesso e per questo stimolante. Ogni
giorno era una nuova sfida”, racconta Mikkelsen che già aveva
collaborato con Arcel per Royal Affair: “Non abbiamo lavorato più
insieme per circa 10 anni, quindi prima ci siamo rincontrati per
capire come lavorare di nuovo insieme e abbiamo concordato di
immergerci il più possibile nella storia. Sarò sincero, speravo che
(Arcel) non facesse passare così tanto per una nuova collaborazione
insieme (ride)”, conclude l’attore
Bastarden – The Promised
Land è un film di genere che ha avuto tante ispirazioni:
“Penso sia ovvio vedendo questo film che io sia un film dei
grandi film epici, sin da quando ero bambino. I film di David Lean
ad esempio. Nel tempo ci ho sempre ripensato e l’obiettivo è stato
quello di ambire a realizzare qualcosa di simile. Non considero
Bastarden un Western, anche se naturalmente ci sono elementi di
quel genere, ma c’è anche tutta una descrizione delle corti danesi
di quel tempo”.
Un auto con gomma a terra nel pieno
della notte che impedisce ai suoi tre passeggeri di continuare i
festeggiamenti; un cavalcavia da cui poter osservare il mondo
sottostante o sputare sulle auto che passano; una campagna deserta
dove poter vivere senza orari o regole. Queste sono solo alcune
delle situazioni che Alain Parroni
concepisce per Una sterminata domenica,
il suo esordio alla regia di un lungometraggio, presentato nella
sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di
Venezia. Immagini caotiche e frenetiche, estratti di
una vita frenetica quale è quella dei tre giovai protagonisti, qui
rappresentanti di una generazione allo sbando.
Una catena ininterrotta di
situazioni, paradossi e caratteri si alternano dunque fra loro in
una costruzione narrativa vicina a un anticonvenzionale romanzo di
formazione che ha per protagonisti Alex
(Enrico Bassetti), Brenda
(Federica Valentini) e Kevin
(Zackari Delmas), tre adolescenti che ronzano tra
la campagna del litorale e la città eterna, tentando di resistere
a proprio modo all’inesorabile avanzare del tempo e del caldo.
Mentre Kevin ricopre ogni superficie di graffiti, Brenda si scopre
incinta di Alex, che ha appena compiuto diciannove anni e si vede
ora proiettato nel mondo dei grandi. Nel corso dell’estate, tutti e
tre dovranno dunque imparare a crescere e trovare il proprio posto
nel mondo.
Un sincero racconto
generazionale
Raccontare le nuove generazioni, che
sia con un film o una serie TV, è un compito assai arduo, che
richiede di cogliere con onestà un panorama di voci, storie e
caratteri quanto mai ampio, frammentato, liquido e complesso.
Richiede di comprendere il disagio giovanile provato dagli attuali
adolescenti e di contestualizzarlo nello spaventoso scenario del
mondo odierno. Quello che Parroni si proponeva dunque di
raggiungere con Una sterminata domenica era un obiettivo
ambizioso e rischioso, che viene però complessivamente raggiunto
grazie alla spontaneità che riesce ad infondere nelle sue scene e a
ricavare dai suoi interpreti.
Parroni, Giulio
Pennacchi e Beatrice Puccilli, autori
della sceneggiatura, scelgono infatti di non strutturare un solido
e preciso percorso narrativo bensì di proporre una sequenza – non
casuale – di avventure, quasi piccoli eventi autonomi dai quale
emerge tutto il senso e gli obiettivi del film. Nascono così
situazioni particolarmente divertenti, dove i tre protagonisti,
diversissimi tra loro per carattere e ideali, si pongono in aperto
contrasto con contesti ai quali giurano di non arrendersi mai.
Altresì, prendono vita momenti molto drammatici, che insieme ai
primi offrono uno spettro completo del bene e del male di una
generazione in cerca di punti di riferimento.
Ancor più di tale costruzione, è
però il lavoro sul linguaggio ad essere uno degli aspetti più
convincenti del film. Ascoltiamo i tre ragazzi parlare proprio come
parlano i loro coetanei nella realtà, con modi di dire,
espressioni, intonazioni e impacciamenti tipici del parlare
quotidiano, contribuendo così a quella ricerca di spontaneità di
cui si è già accennato. A tal proposito, straordinari sono i tre
giovani interpreti, che riescono a farsi carico del senso di realtà
ricercato dal regista e riproporlo con le proprie interpretazioni.
Peccato che tale incanto si spezzi nel momento in cui si mettono in
bocca ai personaggi parole che, pur servendo a ribadire le
tematiche del film, risultano poco vere, costruite.
Un’opera prima imperfetta ma con
tanto cuore
Per esprimere attraverso le vicende
di Alex, Brenda e Kevin uno stato d’animo di abbandono e
smarrimento, Parroni punta però sapientemente non solo
sull’anarchica sceneggiatura ma anche e soprattutto, come accennato
in apertura, sulla forza comunicativa delle immagini e in
particolare dei luoghi e degli ambienti prescelti. Campagne
desolate e palazzi popolari malridotti sono quantomai eloquenti,
nonché palcoscenico perfetto per raccontare di questi giovani che
sembrano sospesi nel tempo di un’apparentemente interminabile
estate – o domenica, come suggerisce il titolo. Ovviamente si
riscontrano in Una sterminata domenica, ed è anche normale
che sia così, tutta una serie di ingenuità tipiche delle opere
prime.
Talvolta sembra che il regista non
sia sicuro di quanto fino a quel momento compiuto, avvertendo
l’esigenza di inserire una serie di momenti che ribadiscono
didascalicamente quanto già proposto, allungando così un film che
soffre probabilmente di una durata “eccessiva” per tale racconto e
l’approccio scelto per esso (il film dura 113 minuti). Si tratta
però di aspetti su cui si può soprassedere, considerando le tante
altre intuizioni che Parroni propone con questo suo esordio e che
lo rendono un nome da tenere d’occhio per il futuro. Con Una
sterminata domenica egli si dimostra infatti capace di
raccontare i giovani con sincerità e tanto cuore, una capacità
decisamente non comune.
Dopo la straordinaria prova
attoriale di Nitram
(2021), per cui si è aggiudicato la Palma d’oro come miglior
interpretazione maschile al Festival
di Cannes 2021, l’eclettico Caleb Landry
Jones si mette nuovamente nei panni di un personaggio
complesso ed estremamente sfaccettato in Dogman di
Luc Besson, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia 2023. Cuore da eroe e mente da villain, il suo
Douglas – soprannominato Doug,
evidente richiamo fonetico al titolo e alla trama del film – è il
vero punto di luce di un film soprendentemente valido,
probabilmente l’opera del regista francese che meglio riuscirà a
imporsi come mainstream.
Dogman: la storia di Douglas, da
God a Dog
Dogman racconta la
storia di Douglas, auto-soprannominatosi
Doug: è una sorta di origin-story molto
equillibrata nel suo arco. Dall’infanzia passata letteralmente
chiuso in una gabbia, vittima di figure maschili dispotiche nella
casa, arrivando al presente narrativo in cui Doug si trova in
prigione e viene interrogato da una psichiatra, Besson ci
accompagna alla scoperta di un personaggio molto sfaccettato, che
“ruba” da tanti villain o anti-eroi moderni, fra cui il
Joker di Heath Ledger e l’Elijah Price di
Samuel L. Jackson, quanto da icone drag e dive
del cinema passato. Una figura fluida nell’animo e nei modi,
nonostante i gravi problemi fisici, apparentemente imprendibile,
almeno fino a quando non avrà come interlocutrice un’altra persona
che conosce il dolore e che varrà la pena proteggere.
Douglas ha passato
una vita a psicoanalizzarsi, dunque, non sorprende che il suo
dialogo con la psichiatra sia più da intendere come un racconto che
una confessione. Il racconto di una vita su cui hanno gravato le
disattenzioni altrui, la scarsa considerazione, l’incapacità di
relazionarsi con altri esseri umani. Besson mette
in chiaro fin da subito le condizioni in cui vive
Douglas, mischiando senza soluzione di continuità
l’asprezza e la decadenza del pertugio attiguo al canile dove abita
e, contemporaneamente, non dimenticandosi mai di far risaltare dei
dettagli di arredamento significativi per Doug: il letto a
baldacchino, la sua postazione make-up, i libri di cucine. Non a
caso, dirà che le prime cose che ha imparato dalla vita gli sono
state insegnate dalle riviste americane per il pubblico
femminile.
Un giorno questo dolore ti sarà
utile
Il vivere chiuso in una gabbia, tra
la sporcizia animale, la melma e le sbarre che precludono un mondo,
ha forgiato l’intera esistenza di Doug, il suo
modus operandi come artista dell’animalità umana. La famiglia
canina di cui si è circondato, che tanto dà e nulla toglie,
funziona come un’estensione del protagonista. Lavorando in maniera
serrata sul ritmo, sul montaggio e sulla scrittura, Luc
Besson incanala la vitalità di Doug in ogni sequenza che
coinvolge anche i suoi “figli“, quelli che si è scelto in
epoca infantile anche per contrastare la violenza con cui il padre
trattava queste creature. Tra Doug e i suoi cani vi è, inoltre, una
terza figura: un Dio a cui Doug si affida, che ha sempre cercato, e
da cui, come nel rapporto coi suoi cani, non ha mai preteso niente
se non la sua volontà. In tanti modi – e anche in un fotogramma
significativo – i lessemi God e Dog si fondono, a sottolineare la
simbiosi tra forza ultraterrena e terrestre, carnale, che il film
di Besson indaga.
Seppur derivativo nella scrittura,
come abbiamo già sottolineato, Dogman è
un’aggiunta spumeggiante al concorso ufficiale della Mostra
del Cinema di Venezia 2023, l’operazione recente meglio
prodotta di Luc Besson, dopo una serie di film
ritenuti insuccessi. Caleb Landry Jones conferma
la sua natura da performance mimetico e presta la sua energia a un
regista che avevamo bisogno di vedere così a fuoco.
Wes Anderson segna la sua doppietta
quest’anno e dopo il Festival di Cannes 2023 sbarca al Lido di
Venezia per Venezia 80. Il suo mediometraggio di quaranta
minuti, che sarà distribuito da Netflix in tutto il mondo dal 27 settembre 2023 è
intitolato The Wonderful Story of Henry Sugar e ancora una
volta, così come nelle precedenti pellicole il regista americano
punta su attori già visti: Ralph Fiennes, Benedict Cumberbatch, Dev Patel, Ben Kingsley, Richard Ayoade. Si tratta di un adattamento al
romanzo omonimo di Roal Dahl che Anderson ha messo in cantiere
oltre vent’anni fa. Un’opera originale che grazie alla scenografia
e all’uso dei colori per cui Wes Anderson è già famoso prende vita come uno
spettacolo teatrale.
The Wonderful Story of Henry
Sugar, la trama
Un’amata storia di Roald Dahl su un
uomo benestante che scopre un guru in grado di vedere senza usare
gli occhi e decide di imparare l’arte per imbrogliare nel gioco
d’azzardo. Henry – interpretato da Benedict Cumberbatch – è un giocatore
d’azzardo che non ha mai lavorato un giorno in vita sua, prevede le
opportunità finanziarie che questo potere potrebbe garantirgli. Per
tre anni studia il metodo di meditazione e alla fine ottiene la
capacità di vedere attraverso le carte da gioco e persino di
prevedere il futuro. Henry porta il suo nuovo talento in un casinò
e vede l’avidità di coloro che lo circondano dopo aver vinto una
grossa somma di denaro. La sua “redenzione” sarà continuare a
bluffare nei casinò di tutto il mondo per aprire orfanotrofi e
aiutare i più bisognosi. Una storia abbastanza semplice resa
particolare dallo stile del regista.
L’omaggio di Anderson a Dahl è in
realtà un inno alla sua infanzia. Cresciuto con i libri dello
scrittore, il regista di Grand
Budapest Hotel ha ricercato informazioni per
oltre un decennio affinché la messa in scena del film risultasse
così fedele alla storia originale. Ralph Fiennes interpreta Dahl,
nella sua cabina dello scrittore a Gipsy House ed è tra le voci
narranti del film. The Wonderful Story of Henry Sugar ha
la peculiarità di avere molte voci narranti perché il racconto
continua a cambiare prospettiva. Questa caratteristica trova poi la
sostanza nella recitazione degli attori come Dev Patel quando
interpreta il medico che deve visitare il personaggio di Ben Kingsley. Lo stile dei vari protagonisti è
incalzante e va veloce, così come mediometraggio. Le molte voci
narranti fanno da effetto matrioska alla narrazione che si scopre
pian piano.
Il cinema di Wes Anderson
È uno dei suoi film più artistici
perché oltre all’uso dei colori c’è anche un utilizzo della
scenografia che diventa quasi un gioco di prestigio, ti cattura. A
differenza del suo film precedente presentato a Cannes 2023,
Asteroid City, con The Wonderful Story of
Henry Sugar tornano le scenografie dioramiche di Rushmore e Le
avventure acquatiche di Steve Zizou. Più che un mediometraggio
sembra un’opera teatrale fatta di lunghissimi monologhi dove
Anderson lascia carta bianca ai suoi interpreti. Per chi ama il
buon e vecchio cinema alla Wes Anderson, diventato ormai un marchio
di fabbrica – e forse per questo troppo inflazionato – The
Wonderful Story of Henry Sugar avrà il morale risollevato dopo
un Asteroid City criticato nonostante sia uno dei suoi
film più personali.
Megalopolis,
il tanto atteso progetto di Francis Ford Coppola,
è l’ultimo film ad ottenere un accordo ad interim con SAG-AFTRA. La
produzione del film è terminata all’inizio di quest’anno, quindi
non si sa a cosa servirà l’accordo, ma con la stagione dei festival
in accelerazione potrebbe ottenerne uno per essere venduto in uno
dei mercati, o potenzialmente per essere proiettato a un festival,
e in tal caso sarebbe necessario un accordo a fini
pubblicitari.
Il film è apparso sugli
aggiornamenti quotidiani di SAG-AFTRA della sua lista di accordi
provvisori. Secondo la corporazione, il film ha ottenuto l’accordo
mercoledì scorso. Le domande per gli accordi provvisori SAG-AFTRA
sono state rese disponibili il primo giorno dello sciopero degli
attori, il 14 luglio, e la gilda ha immediatamente ricevuto
“centinaia di domande… risponderemo a tutte”, ha
dichiarato il direttore esecutivo nazionale e capo negoziatore di
SAG-AFTRA. Duncan Crabtree-Ireland ha detto
all’epoca che i progetti non possono avere “alcuna impronta AMPTP
su di loro” se sperano di ottenere un accordo.
Da allora il processo è stato
perfezionato per includere accordi di casting e successivamente ha
modificato la sua politica di richiesta per escludere qualsiasi
progetto girato negli Stati Uniti coperto dalla WGA. Questa mossa è
stata operata in solidarietà con lo sciopero simultaneo degli
sceneggiatori che è giunto al suo 122esimo giorno.
Di cosa parla Megalopolis?
L’idea di Megalopolis è stata
ispirata dalla seconda Congiura di Catilina. Tuttavia, il film sarà
caratterizzato da un’ambientazione futuristica e sarà incentrato su
un ambizioso architetto che cova l’idea innovativa di ricostruire
New York City in un’utopia all’indomani di un disastro naturale che
ha rovinato le infrastrutture della città. Il pubblico può
aspettarsi immagini straordinarie poiché si dice che il film sia
girato utilizzando una tecnologia rivoluzionaria che impiega nuove
tecniche simili a quelle utilizzate per The Mandalorian.
Coppolla, che scrive e dirige il
film, ha riunito un emozionante cast costellato di star per quello
che potrebbe essere il suo canto del cigno. Oltre
a Adam
Driver, nel cast compaiono anche
Forest Whitaker,
Nathalie Emmanuel, Jon Voight,
Laurence Fishburne, Aubrey Plaza, Talia Shire,
Shia LaBeouf, Jason Schwartzman, Grace Vanderwaal, Kathryn
Hunter e James Remar.
Con un mediometraggio a sorpresa,
Wes Anderson ha partecipato a Venezia 80, dopo
aver portato a Cannes 2023 il suo Asteroid City.
Una iperattività che il regista di Huston racconta con grande
serenità, dal momento che se il film cannense è stato un progetto
che ha avuto un classico decorso, dall’idea alla realizzazione,
The Wonderful Story of Henry Sugar,
dal racconto di Roald Dahl, è un progetto che il
regista aveva nel cassetto da oltre vent’anni.
“Ho incontrato la famiglia Dahl
venti anni fa, quando volevo realizzare Fantastic Mr.
Fox. Ho incontrato la vedova di Dahl quando ero sul set di
I Tenenbaum, forse era il 2000. Sono cresciuto
amando i suoi libri e Henry Sugar era uno dei miei preferiti, ma
non riuscivo a vedere un modo per poterlo adattare, e così loro lo
hanno tenuto da parte per me, mettendo da parte i diritti di
sfruttamento. E poi un giorno ho capito che la chiave poteva essere
quella di basarsi sul linguaggio di dhal e quindi realizzare un
adattamento basato proprio sul linguaggio e sugli attori.”
Come tutti i film diretti da
Anderson, il cast è all-stars, guidato da
Benedict Cumberbatch nel ruolo da protagonista, e con
Ralph Fiennes,
Dev Patel,
Ben Kingsley, Rupert Friend e Richard
Ayoade. Sulle motivazioni che lo hanno spinto a realizzare
un mediometraggio e non un film da 90 minuti, Wes Anderson è stato
molto chiaro, spiegando che la storia aveva quel tipo di lunghezza
e quindi andava raccontata con quel ritmo:
“Volevo adattare proprio questa
storia. Per molti film si comincia da zero, per esempio adesso sto
lavorando con Roman Coppola a un’idea originale, e in partenza non
avevamo nulla. Ma quando adatti una cosa che già esiste, ce l’hai
già davanti agli occhi, e quindi volevo trovare la forma più
efficiente per raccontarla. Più che un film, Henry Sugar è stato
una presentazione teatrale, l’abbiamo realizzato in due settimane
circa.”
“Io non so quanta gente ha
voglia di andare al cinema per un film che dura solo 40 minuti, ma
a me piace andare al cinema e a cena, e così le due cose si possono
combinare!” Ha concluso scherzando.
L’80ª edizione della Mostra
del Cinema di Venezia presenta fuori
concorso due serie quest’anno e la prima a mostrarsi è
D’Argent et de Sang, diretta dal regista
Xavier Giannoli (regista di
Illusioni perdute) e basata
sull’omonimo libro di Fabrice Arfi, liberamente
ispirato all’incredibile storia della truffa della carbon
tax avvenuta tra il 2008 e il 2009. Un’opera che affronta
dunque un argomento scottante, forse meno noto – quantomeno agli
estranei al settore – rispetto ad altre note truffe di questo tipo,
ma certamente meritevole di essere raccontata, specialmente se da
una serie ben congeniata come questa.
D’Argent et de Sang, la trama della serie
Protagonista della serie è
l’ispettore doganale Simon Weynachter (Vincent
Lindon), che parte per rintracciare Jérôme
Attias (Niels Schneider) e Alain
Fitoussi (Ramzy Bedia), artefici di una
delle più grandi società truffe finanziarie di tutti i tempi.
Miliardi vanno infatti in fumo nel nuovo mercato delle “quote di
carbonio”, inventato per combattere l’inquinamento. Un gruppo di
furfanti da quattro soldi di Belleville si unisce dunque a un
trader altolocato per mettere in atto un raggiro epocale. Questo
succede quando il “capitalismo da casinò” si scontra frontalmente
con la politica, quando si scatenano passioni umane che vanno ben
oltre la semplice cupidigia.
La finanza per tutti
Oggigiorno è più facile manipolare
il mercato azionario che rubare una banca, spiega l’ispettore
interpretato da Lindon nei primi minuti del primo episodio. Una
premessa che permette di inserirsi più facilmente nel contesto in
cui si svolge il racconto, il quale pur essendo frutto di finzione,
prende spunto dagli eventi realmente verificatisi e resi possibili
dalla precaria situazione finanziaria causata dal crollo di Lehman
Brothers nel 2008. Non bisogna però lasciarsi spaventare
dall’argomento, perché pur non puntando ad una spettacolarità fatta
di ritmi esagitati o grossi colpi di scena, D’Argent et de
Sang sa come catturare l’attenzione dello spettatore.
Si parla molto, è vero, e spesso di
questioni economiche che potrebbero non essere così accessibili,
trovando però il modo di rendere chiaro ciò che occorre sapere sin
da subito. Giannoli e il suo co-sceneggiatore Jean-Baptiste
Delafon puntano infatti ad una semplificazione che non
banalizzi l’argomento ma lo renda allo stesso tempo comprensibile
sin da subito. Anzi, dagli episodi visti in anteprima la serie
sembra riuscire a garantirsi una propria identità, evitando di
raccontare la finanza in modo pedante ma anzi estetizzandola. Una
scelta che potrebbe non piacere a tutti, ma di certo non dovrebbe
scontentare gli interessati all’argomento.
La molteplicità di punti di vista,
inoltre, permette di avere una panoramica ampia sul racconto, così
da riuscire ad orientarsi nella progressione degli eventi. Ancora
una volta però è bene ribadire che il regista sceglie di non
puntare sugli aspetti più action o thriller a cui
una storia come questa potrebbe prestarsi, puntando piuttosto sulla
forza di ciò che emerge dai personaggi nel loro rapporto con quanto
avviene loro. D’Argent et de Sang è sì una serie su una
frode epocale, ma prima di ciò è il ritratto di come l’essere umano
si rapporti e trasformi con l’ambito finanziario, ormai alla base
del mondo.
Una serie guidata dai personaggi
Grazie all’ingresso facilitato di
cui si è parlato, lo spettatore può dunque farsi conquistare da
personaggi non solo ben scritti ma anche meravigliosamente
caratterizzati dai loro interpreti. Su Lindon c’erano pochi dubbi,
interprete francese tra i migliori in attività, capace di conferire
un certo peso tragico ma anche una forza emotiva non indifferente
al suo personaggio, un uomo che cerca di smascherare il male mentre
cerca di tenere insieme la propria vita privata. Ruba però in più
occasioni la scena Ramzy Bedia, che con il suo
Fitoussi dà vita ad un personaggio sopra le righe, capace di
risultare simpatico anche quando compie le proprie truffe.
Niels Schneider, invece,
particolare, porta in scena una personalità inquietante nella sua
imprevedibilità, che sempre più si svela come rappresentante di
quelle menti criminali attive in questo ambito, che possono
rivelarsi più pericolose del previsto. Sono dunque i personaggi,
ben più che l’argomento, a rivelarsi la forza della serie.
Personaggi profondamente umani, avidi, ingannevoli, pieni di vizi e
virtù. Tutte caratteristiche che sembrano emergere con maggior
forza quanto poste davanti alla tentazione del denaro e al pericolo
del sangue.
Arriverà il 10 novembre al cinema
The Marvels,
il film del MCU che vede tornare protagonista
Brie
Larson al fianco di Teyonah
Parris e Iman Vellani per un
team-up inedito tutto al femminile.
The Marvels, la trama
Nel film Marvel StudiosThe
Marvels, Carol Danvers alias Captain
Marvel deve farsi
carico del peso di un universo destabilizzato. Quando i suoi
compiti la portano in un wormhole anomalo collegato a un
rivoluzionario Kree, i suoi poteri si intrecciano con quelli della
sua super fan di Jersey City Kamala Khan, alias Ms. Marvel, e con quelli
della nipote di Carol, il capitano Monica Rambeau, diventata ora
un’astronauta S.A.B.E.R.. Insieme, questo improbabile trio deve
fare squadra e imparare a lavorare in sinergia per salvare
l’universo come “The
Marvels”.
Tutto ciò che sappiamo su The Marvels
The
Marvels, il sequel del cinecomic Captain Marvel con
protagonista il premio Oscar Brie
Larson che ha incassato 1 miliardo di dollari al
box office mondiale, sarà sceneggiato da Megan McDonnell,
sceneggiatrice dell’acclamata serie WandaVision.
Sfortunatamente, Anna
Boden e Ryan Fleck, registi del
primo film, non torneranno dietro la macchina da presa: il sequel,
infatti, sarà diretto da Nia DaCosta, regista
di Candyman.
Nel cast ci saranno
anche Iman Vellani(Ms.
Marvel, che vedremo
anche nell’omonima serie tv in arrivo su Disney+)
e Teyonah Parris (Monica Rambeau, già
apparsa in WandaVision). L’attrice Zawe
Ashton, invece, interpreterà il villain principale, del
quale però non è ancora stata rivelata l’identità. Il film, salvo
modifiche, arriverà in sala il 10 novembre
2023.
Sembra che
Bradley Cooper debba ringraziare l’intercessione
di Steven Spielberg se è riuscito a
dirigere il suo secondo film, Maestro,
che verrà presentato al Festival di Venezia in questo momento in
svolgimento al Lido. Dopo il suo debutto alla regia, A Star is
Born, apparso sugli schermi nel 2018 e sempre presentato a Venezia,
Cooper torna alla regia cinque anni dopo con il suo nuovo film,
Maestro. Il film esplorerà la vita, l’amore e la
carriera del leggendario compositore Leonard
Bernstein, che Cooper interpreta nel film insieme a un
cast di supporto composto da
Carey Mulligan, Maya Hawke e
Matt Bomer.
Secondo la produttrice
Kristie Macosko Krieger (via Deadline), il regista
Steven Spielberg ha contribuito a spingere Cooper
a dirigere Maestro.
Spielberg avrebbe dovuto dirigere il film con Cooper come
protagonista, ma mentre si concentrava invece sulla regia di
West Side Story, Cooper gli suggerì di essere in
grado di “mettersi in gioco”. Cooper ha poi incontrato Spielberg
nel 2018 per mostrargli gli inizi di A Star is
Born. Fu allora che Spielberg pronunciò una frase critica
per esortare Cooper a dirigere il film su Bernstein: “Stai
dirigendo questo film, devi dirigere Maestro”.
“Beh, ha invitato me, Josh e
Steven a guardarlo molto prima che uscisse il film, e circa 20
minuti dopo l’inizio del film Steven si è insinuato e ha detto “Hai
diretto questo film, devi dirigere Maestro.” Quindi a quel punto
siamo nel 2018. I diritti sul progetto stavano scadendo e Bradley
dovette convincere la famiglia Bernstein che era la persona giusta
per intraprendere il progetto. E così è andato dalla famiglia. Ha
ottenuto i diritti. Ora sta dirigendo e producendo, e si rendono
conto che gestirà questo film con estrema cura e dettaglio. È
andato davvero dalla famiglia e si è venduto e poi ha avuto tutto
quello di cui aveva bisogno, ora faremo questo film, e Bradley non
voleva fare un film biografico.”
Maestro
racconta la complessa storia d’amore di Leonard Bernstein e Felicia
Montealegre Cohn Bernstein (Carey
Mulligan), una storia che dura da oltre 30 anni. Forse
meglio conosciuto per la colonna sonora di West Side
Story di Broadway e del classico film di Marlon
BrandoFronte del Porto, Bernstein ha
sposato l’attrice nel 1951 e ha avuto tre figli con lei, con la
coppia che si è divisa tra New York e il Connecticut. A complicare
la dinamica tra i due sono state le relazioni che ha avuto nel
corso degli anni, sia con uomini che con donne, anche se condotte
con la consenziente consapevolezza di Felicia. I due sono stati
separati a un certo punto per un periodo di un anno, anche se alla
fine sono rimasti insieme fino alla morte di Felicia nel 1978.
Bradley Cooper ha scritto la sceneggiatura di Maestro
con il premio Oscar per Il caso SpotlightJosh Singer, ed è anche affiancato nell’ensemble
da Matt Bomer, Maya Hawke, Sarah Silverman, Josh Hamilton,
Scott Ellis, Gideon Glick, Sam Nivola, Alexa Swinton e
Miriam Shor.
Il DC
Universe potrebbe essere pronto ad aggiungere un
grande nome di Hollywood, dal momento che l’attore in questione ha
confessato di aver avuto conversazioni con James
Gunn su una futura collaborazione. Mentre gli scioperi della
Writers Guild of America e del
SAG-AFTRA sono ancora in vigore, il nuovo universo
DC è in arrivo ai DC Studios, e diversi progetti hanno fatto alcuni
passi nei loro processi di sviluppo. Superman:
Legacy, ad esempio, ha trovato il suo protagonista in
David Corenswet che interpreterà nel ruolo del prossimo Uomo
d’Acciaio, con molti altri supereroi che si uniranno al film.
Anche se ci sono altri personaggi da
scegliere per il capitolo 1, “Gods
and Monsters“, molti fan sono curiosi di sapere quale attore
sarà il prossimo ad iscriversi al DC
Universe di Gunn. Data la presenza di diverse liste di casting
di fan che suggeriscono vari attori per determinati supereroi o
cattivi, il mondo sta prestando molta attenzione ad ogni mossa dei
DC Studios.
Sebbene nulla sia stato scolpito
nella pietra, sembra che James Gunn abbia
incontrato un grande attore che potrebbe unirsi all’Universo DC. Al
Comic-Con Panama (via @Swshriv)
Giancarlo Esposito ha risposto a un fan quando
gli è stato chiesto se ci fosse qualche possibilità che appaia in
un film del DC
Universe. Si è così scoperto che Esposito ha chiacchierato con
i DC Studios, come ha detto: “Stavo parlando con James Gunn
della possibilità di essere in un film, quindi chi lo sa? Potrebbe
succedere presto.” Fino a questo momento, però, né i DC
Studios, né James Gunn hanno confermato o smentito la
dichiarazione.
Il protagonista di Ferrari,
Adam Driver, rivela che non gli è stato
permesso di guidare una Ferrari durante le riprese del film di
Michael Mann. Dopo una pausa di otto anni dal
cinema, Mann torna alla regia con un film biografico
sull’imprenditore italiano. Oltre a Driver, nel cast di Ferrari
figurano
Shailene Woodley, Sarah Gadon,
Penélope Cruz,
Patrick Dempsey e Jack O’Connell.
Nonostante abbia interpretato Enzo
Ferrari, Adam Driver afferma che non gli era permesso
guidare vere Ferrari mentre era sul set. Secondo Collider, al
co-protagonista di Driver, Dempsey, che ha una patente di guida,
era consentito mettersi al volante, ma Driver era tenuto lontano
dalle auto sportive classiche. L’attore ha citato “motivi
assicurativi” per cui gli è stato negato la guida della
Ferrari.
“Non mi avrebbero lasciato guidare
le auto per motivi assicurativi. Non si fidano di me con piccoli
pezzi di equipaggiamento. Grandi pezzi di attrezzatura come i
panini me li lasciavano maneggiare.”
Nel cast il
candidato all’Oscar® Adam Driver nel ruolo di Enzo Ferrari e
il Premio Oscar®
Penélope Cruzin quello della
moglie Laura, oltre a
Shailene Woodleyche interpreta
Lina Lardi,
Patrick Dempseye Jack
O’Connell che indossano le tute dei piloti Piero Taruffi e
Peter Collins, Sarah Gadon nel ruolo di Linda
Christian e Gabriel Leone in quello del
carismatico Fon De Portago.
Scritto da
Troy Kennedy Martin (The Italian Job) e
dallo stesso Mann, il film è basato sul romanzo di
Brock Yates “Enzo Ferrari: The Man and The
Machine” ed è stato girato in Italia.
Dopo l’enorme successo dei libri e
dei film di Hunger Games, Suzanne
Collins ha scritto un romanzo prequel su Coriolanus Snow
durante la decima edizione dei Giochi molto prima che diventasse
Presidente Snow di Panem. Oltre a Snow e ad altri personaggi di
Capitol City, il romanzo si concentra su Lucy Gray Baird, il
tributo donna del Distretto 12, interpretata da Rachel Zegler nell’adattamento cinematografico
che uscirà questo autunno.
La trama di Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del
serpente
Anni prima di diventare il tirannico
presidente di Panem, il diciottenne Coriolanus Snow è l’ultima
speranza per il buon nome della sua casata in declino:
un’orgogliosa famiglia caduta in disgrazia nel dopoguerra di
Capitol City. Con l’avvicinarsi della decima edizione degli Hunger
Games, il giovane Snow teme per la sua reputazione poiché nominato
mentore di Lucy Grey Baird, la ragazza tributo del miserabile
Distretto 12. Ma quando Lucy Grey magnetizza l’intera nazione di
Panem cantando con aria di sfida alla cerimonia della mietitura,
Snow comprende che potrebbe ribaltare la situazione a suo favore.
Unendo i loro istinti per lo spettacolo e l’astuzia politica, Snow
e Lucy mireranno alla sopravvivenza dando vita a una corsa contro
il tempo che decreterà chi è l’usignolo e chi il serpente.
L’acclamato regista francese Luc Besson insieme
al cast ha sfilato sul red carpet per presentare in concorso a
Venezia 80 DogMan,
il suo ultimo film che vede protagonista Caleb Landry Jones.
L’ispirazione per questo film è scaturita, in parte, da un
articolo che ho letto su una famiglia francese che ha rinchiuso il
proprio figlio in una gabbia quando aveva cinque anni. Questa
storia mi ha fatto interrogare sull’impatto che un’esperienza del
genere può avere su una persona a livello psicologico. Come riesce
una persona a sopravvivere e a gestire la propria sofferenza?
Con Dogman ho voluto esplorare questa
tematica.
La sofferenza è uno stato che accomuna tutti noi e il solo
antidoto per contrastarla è l’amore. La società non ti aiuterà,
ma l’amore può aiutare a guarire. È l’amore della comunità di
cani che Dogman ha fondato a fungere da guaritore e da
catalizzatore. Dogman non sarebbe il film che è
senza Caleb Landry Jones. Questo complesso personaggio aveva
bisogno di qualcuno che potesse incarnarne le sfide, la tristezza,
il desiderio, la forza, la complessità.
Le persone guardano i film per cogliere una sorta di verità dalla
storia, anche se sanno che si tratta di finzione. Volevo essere il
più onesto possibile nella realizzazione del film. Voglio che
proviate dei sentimenti nei confronti del protagonista, di ciò che
fa, delle azioni che compie come reazione alla sofferenza che ha
patito. Vorrete fare il tifo per lui.
Spero che il pubblico possa elaborare nella propria mente ciò che
Dogman ha subito, il dolore che è davvero difficile da ingoiare.
Ha sofferto più di quanto la maggior parte delle persone potrà
mai soffrire, eppure possiede ancora una dignità.
Molto tempo
prima di girare Ferrari,
ho avuto l’opportunità di camminare nelle stanze della casa di
Enzo, vedere i suoi diari, conoscere le sue abitudini,
meravigliarmi della carta da parati nella camera da letto in cui
Laura ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, fare delle
domande al loro medico, incontrare la nipote di Lina, capire il suo
modo di fare e la sua modernità, sedermi sulla poltrona da
barbiere di Enzo, camminare sui marciapiedi del suo quartiere e
abitarci, esplorare le luccicanti parti meccaniche di un motore
Lampredi V12 e le sculture dei modelli da corsa degli anni
Cinquanta e, cosa più importante, interagire con il figlio di
Enzo, Piero, da cui ho imparato e assorbito così tanto. Ho cercato
di far rivivere le passioni e il fascino di Enzo, la sua arguzia
pungente, la devastante perdita del figlio, le sfuriate teatrali,
il bisogno di un rifugio emotivo, la tragedia, la monumentale
scommessa su una singola gara e la lotta per la sopravvivenza:
tutti elementi che sono entrati in collisione in quattro mesi del
1957.
Nel film
È l’estate del 1957. Dietro lo spettacolo della Formula 1, l’ex
pilota Enzo Ferrari è in crisi. Il fallimento incombe sull’azienda
che lui e sua moglie Laura hanno costruito da zero dieci anni
prima. Il loro matrimonio si incrina con la perdita del loro unico
figlio Dino. Ferrari lotta per riconoscerne un altro, avuto con
Lina Lardi. Nel frattempo la passione dei suoi piloti per la
vittoria li spinge al limite quando si lanciano nella pericolosa
corsa che attraversa tutta l’Italia: la Mille Miglia.
Un’ombra si staglia ancora oggi sul
Cile, anche a decenni di distanza dal suo momento di maggior
nitidezza. È l’ombra di Augusto Pinochet, il noto
generale che l’11 settembre del 1973 prese il potere con un golpe,
dando vita ad un regime dittatoriale tra i più crudeli della
storia. Difficile dimenticare quella triste e nera pagina di
storia, durata fino al 1990 e mai realmente voltata. Un horror a
tutti gli effetti, ed è proprio così che in ElConde il regista Pablo Larraín sceglie
di raccontare Pinochet, come un vampiro centenario che continua a
succhiare il sangue cileno anche a distanza dalla propria caduta
politica.
Questo suo nuovo film, presentato in
concorso all’80ª Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica della Biennale di
Venezia, è dunque un ritorno a quello che è stato
l’argomento che ha reso celebre Larraín e il suo cinema, ovvero la
dittatura di Pinochet. Da prima affrontata attraverso i suoi
effetti sul popolo cileno con Tony Manero e Post
Mortem e in seguito nel racconto del referendum che ha portato
alla sua caduta in No – I giorni
dell’arcobaleno. Una trilogia dove Pinochet non viene
dunque mai affrontato di petto e che proprio per via di questa
presenza-assenza risulta ancor più spaventoso. Con El
Conde, è però giunto il momento di affrontarlo
direttamente.
El Conde, tra satira e rilettura storica
El Conde è una commedia
dark che ipotizza un universo parallelo ispirato alla storia
recente del Cile. Il film ritrae Augusto Pinochet,
un simbolo del fascismo mondiale, nei panni di un vampiro che vive
nascosto in una villa in rovina nella fredda estremità meridionale
del continente: nutre il suo desiderio di malvagità al fine di
perpetuare la propria esistenza. Dopo duecentocinquanta anni di
vita, Pinochet decide però di smettere di bere sangue e di
abbandonare il privilegio della vita eterna, non potendo più
sopportare che il mondo lo ricordi come un ladro. Con sua sorpresa,
però, troverà una nuova ispirazione per continuare a vivere una
nuova vita di passioni attraverso una relazione inaspettata.
Pinochet il vampiro
Pinochet non era mai stato
rappresentato al cinema, un tabù a lungo preservato che gli ha
permesso di acquisire ancor di più un’aura controversa,
considerando anche il suo essere morto nel 2006 senza aver mai
scontato neanche un giorno di carcere per i suoi crimini o le sue
frodi. Larraín, mostrandolo ora per la prima volta, punta non solo
a rivelare la sua vera natura – quella di vampiro – ma anche a
scalfire questa sua immagine rimasta ad oggi quasi inviolata o,
peggio ancora, dimenticata. Ci viene così presentato questo anziano
debilitato, isolato e apparentemente innocuo. Caratteristiche dalle
quali però non bisogna lasciarsi ingannare, perché oltre a tutto
ciò egli è prima di tutto un vampiro.
Una natura qui usata sì in senso
letterale ma, ovviamente, più forte nel suo senso metaforico. Non
bisogna infatti aspettarsi un film di vampiri come si è abituati a
pensarli, per quanto non manchino spargimenti di sangue e
mutilazioni. El Conde è prima di tutto un’opera
satirica – unico modo per non scivolare nell’empatia, come affermato dal regista – che
deride Pinochet in ogni modo possibile, a partire dal suo essere
più preoccupato di venire ricordato come un ladro che non come un
assassino. Si costruisce così un racconto che scena dopo scena va
ad attaccare il dittatore, ma anche la sua famiglia, da ogni punto
di vista possibile.
Il film più politico di Larraín
Larraín, insieme a Guillermo
Calderón, scrive dunque una “origin story” per
Pinochet, facendolo divenire l’emblema del male che ciclicamente
ritorna e proponendo dunque un monito nei confronti di tale
rischio. Per arrivare a far emergere tale avvertimento, egli ci
introduce al racconto con una voce narrante – che all’inizio
può far storcere il naso, ma che trova poi spiegazione una volta
giunti al finale – dalla quale si viene accompagnati lungo la
casa-museo di Pinochet alla scoperta di questa personalità tanto
controversa. A dargli volto troviamo l’attore
JaimeVadell, che si fa carico di
questo pesante ruolo riuscendo a renderlo sia tragico che buffo,
portando così a compimento l’intento del regista.
Certo, rispetto alla trilogia
poc’anzi citata, El Conde risulta un film dal minor
impatto emotivo (per quanto via sia una costruzione estetica di
grandissima eleganza), e forse con qualche libertà artistica di
troppo, ma di certo dimostra che Larraín ha ancora da dire a
riguardo, proponendo una propria personale interpretazione che, già
dalla sua premessa, si può definire irresistibile. Da un punto di
vista politico, invece, il film è tanto esplicito quanto feroce e
in ciò trova la sua forza. Forse il suo finale potrebbe apparire
estraneo alle caratteristiche ad oggi note del cinema del regista,
ma forse è così che andrebbe inquadrato El Conde, come un
punto d’arrivo che potrebbe dar vita ad una nuova fase nella
carriera del regista, per la quale si possono avere grandi
aspettative.
Dal 31 agosto, su Netflix,
la ciurma di Cappello di Paglia salpa per la sua
prima avventura in live
action. One
Piece arriva in piattaforma, e, con la benedizione del
Maestro Eiichirō Oda, sarà difficile per i
diffidenti fan della saga originale (manga e anime) storcere il
naso di fronte a quanto realizzato dallo streamer.
One Piece: cosa racconta la serie Netflix?
Adattamento fedele della storia di
Oda, One Piece racconta le avventure di
Monkey D. Luffy, che per realizzare il suo sogno
di diventare Re dei Pirati e trovare il tesoro di Gol D. Roger
vuole mettere insieme una ciurma e salpare per la Rotta Maggiore.
Lungo il suo cammino incontra molti personaggi pittoreschi, pirati
Clown, cuochi con una gamba di legno, tenaci ufficiali della
Marina, dolci fanciulle dall’animo nobile. Soprattutto, Luffy
incontra dei sognatori smarriti che si uniranno a lui:
Nami, una ladra con una profonda conoscenza dei
mari e un oscuro segreto; Zoro, un cacciatore di
taglie di pirati, incredibile spadaccino; Usopp,
orfano e bugiardo cronico, con una mira infallibile;
Sanji, aspirante chef stellato e con un debole per
le belle ragazze. Insieme formeranno una ciurma affiatata e
imbattibile, anche se all’inizio riluttante, pronta a mettersi in
mare per la Rotta Maggiore a caccia di avventure e storie da
raccontare.
Uno sguardo puro e determinato
Se il mondo dei pirati è
notoriamente popolato di tagliatore, tesori da trovare e navi da
arrembare, quello di One Piece, attraverso lo
sguardo puro e fanciullesco del determinato Luffy, che ricorda
tanto quello del piccolo Goku di Dragon Ball,
diventa un mondo colorato, dove ciò che conta è la lealtà verso il
proprio sogno, l’essere fedeli a se stessi, l’amore per la propria
ciurma, che poi diventa anche famiglia di elezione, e per lo
spirito di avventura. E proprio per questo Luffy è un tipo strano e
non perché si allunga a dismisura essendo fatto di gomma (ha
ingerito il frutto Gom Gom!), quella può essere considerata quasi
normalità in un mondo di personaggi bizzarri e pittoreschi!
Nell’universo sopra le righe,
folle, grottesco e
comico di One Piece, Luffy è
l’eccezione per la sua convinzione che un pirata è colui che si
dedica alla propria ricerca in nome dell’amore per avventura.
One Piece ha il cuore grande di Luffy, lo stesso
cuore e lo stesso spirito scanzonato che hanno fatto della serie
originale un successo planetario che ancora va avanti nelle pagine
dei manga.
Dopo qualche incidente di percorso
(leggi Cowboy Bebop), questa volta Netflix
è riuscita a trovare la chiave giusta per adattare un manga/anime
di grande successo in live action. La scelta più saggia si è
rivelata anche quella più ovvia: non fare grossi cambiamenti, né di
trama né di look, ma abbracciare l’assurdo e l’eccesso, realizzando
totalmente tutto ciò che rendeva ostica all’immaginazione una
versione live action di One Piece, considerata una
serie impossibile da adattare dal vivo. A questo successo
contribuisce anche un cast che è perfettamente in grado di portare
sullo schermo le migliori (e peggiori) qualità dei protagonisti.
Iñaki Godoy (Monkey D. Luffy),
Mackenyu (Roronoa Zoro), Emily
Rudd (Nami), Jacob Romero Gibson (Usopp)
e Taz Skylar (Sanji) sembrano nati per
interpretare la ciurma di Cappello di Paglia, e
restituiscono con convinzione ed entusiasmo ogni espressione,
caratteristica, vezzo degli originali, risultando vincenti
soprattutto nei dialoghi, sempre brillanti con un ottimo ritmo, e
nelle scene d’azione, molto divertenti da guardare, che ricalcano
alla perfezione i singoli stili di combattimento, tanto diversi
quanto distintivi.
Si semplifica senza tradire
Il risultato è cartoonesco,
eccessivo, buffo ma anche fresco, divertente, sorprendente, tutto
ciò che i fan volevano ma che non osavano sperare. In più, la serie
creata da Matt Owens e Steven
Maeda per Netflix
è un prodotto capace di soddisfare sia chi conosce bene il mondo di
One Piece, sia chi non ha mai avuto accesso al
materiale originale. L’unico prezzo da pagare al dio
dell’algoritmo, che pretende produzioni adatte al più vasto
pubblico possibile, è la leggera semplificazione delle trame, forse
un appiattimento della profondità presente nella serie manga ma che
comunque è presente e evidente dello show Netflix.
One Piece si rivolge a un pubblico giovane, capace
di apprezzare l’umorismo demenziale, la purezza e l’entusiasmo di
Luffy, ma anche in grado di elaborare le scene cruente, che certo
non mancano, ma soprattutto aperto ad accogliere anche i momenti di
profondità che si manifestano nel corso del racconto, a mano a mano
che questi cinque personaggi sgangherati, con le loro oscurità e le
loro luci, diventano una famiglia, un gruppo coeso che condivide un
sogno.
Gli adattamenti sono sempre
pratiche rischiose, perché richiedono scelte, tagli, prese di
posizione anche contrastanti rispetto al materiale originale; nel
caso di One Piece la fedeltà si è rivelata la
scelta migliore, una fedeltà che ricorda quella di Luffy al suo
sogno e alla sua ciurma, ma anche quella dei fan verso il
franchise, pronto a crescere e a espandersi.