Stando ai piani della
Blumhouse, il film
Spawn di Todd MacFarlane
dovrebbe uscire nei cinema nel 2025, ovvero dopo quasi un decennio
dall’inizio del suo sviluppo. “Direi che c’è molto su cui
sperare perché è in una fase di sviluppo molto, molto attiva“,
ha detto a ComicBook.com il CEO di
Blumhouse Jason Blum.
“Quello che deve succedere è che i miei amici, gli
sceneggiatori, e gli studi devono risolvere le loro differenze e
tornare a scrivere, ma abbiamo un grande gruppo di persone che ci
stanno lavorando e la mia previsione è che forse vedremo davvero un
film di Spawn nel ’25. Nessuna promessa, ma questa è la mia
previsione”.
Al momento non è noto se MacFarlane,
che ha ideato il personaggio di Spawn per i fumetti, rimarrà legato
al film come regista o se Blum e il suo team stiano andando avanti
con quanto da lui proposto ma con un nuovo regista. MacFarlane
aveva iniziato a discutere seriamente dello sviluppo di un nuovo
film di Spawn nel 2016, rivelando in seguito che il vincitore
dell’Oscar Jamie Foxx era
interessato ad interpretare il protagonista. Si dice che Foxx, che
rimanga legato al progetto e che anzi sia una delle forze trainanti
dietro lo sviluppo di esso.
Spawn, tutto quello che sappiamo sul film
Nell’ottobre 2022, Malcolm
Spellman (The Falcon and The Winter
Soldier), Scott Silver (Joker) e
Matthew Mixon sono stati assunti per scrivere la
sceneggiatura di Spawn, subentrando a Brian
Tucker di Broken City. Tuttavia, lo sciopero
degli scrittori in corso sta ritardando il completamento della
sceneggiatura. Sempre nel 2022, MacFarlane ha condiviso la sua idea
per un universo cinematografico di
Spawn. “Ho ben oltre 300 personaggi nel mio universo“,
ha detto. “Ancora una volta, non sono tutti uguali a Spawn, ma
esistono. Penso che ci sia un modo per svincolarsi dal solo Spawn
nell’universo di Spawn? Sì.“
Di Spawn era già stato
realizzato un film nel 1997, che guadagnò 88 milioni di dollari e
fu un modesto successo per la New Line Cinema della WB, anche se in
gran parte non è riuscito a convincere fan e critici, con una
valutazione della critica del 17% e una valutazione del pubblico
del 36% su Rotten Tomatoes. Il nuovo film dedicato
a Spawnavrà come invece ora
come protagonista il premio Oscar Jamie
Foxx nel ruolo dell’antieroe del titolo. Del cast
dovrebbe far parte anche Jeremy
Renner nei panni di Twitch
Williams. Greg Nicotero, truccatore
di The Walking Dead, si occuperà
del trucco e degli effetti speciali.
Netflix ha
finalmente rilasciato il trailer completo di Bird Box
Barcelona, il suo prossimo spin-off spagnolo
dell’omonimo thriller horror del 2018. Il film debutterà sulla
piattaforma il 14 luglio.
Il video inizia con un gruppo di
sopravvissuti che si fa strada tra le rovine post-apocalittiche di
Barcellona, mentre fuggono dalle creature invisibili che
continuano a depredare le paure della gente. Introduce anche
una minaccia molto più pericolosa sotto forma di un gruppo di
persone senza bende che mira a far accettare a tutti la loro realtà
attuale. Dai un’occhiata al trailer di Bird Box
Barcelona qui sotto:
La trama
Dai produttori del fenomeno globale
Bird Box arriva il progetto BIRD BOX BARCELLONA, un’espansione
dell’universo che ha ipnotizzato il pubblico nel 2018. Quando una
forza misteriosa decima la popolazione mondiale, Sebastian deve
intraprendere un percorso di sopravvivenza per le strade deserte di
Barcellona. Mentre crea alleanze difficili con gli altri
sopravvissuti e si dirige verso un rifugio, emerge una minaccia ben
più sinistra delle creature mai viste.
Bird Box Barcelona è un film del
2013 diretto da Alex Pastor e David Pastor. Il film è
interpretato da Mario Casas, Georgina Campbell, Alexandra Howard,
Naila Schuberth, Diego Bald, Patrick Criado, Lola Dueñas, Gonzalo
De Castro, Michelle Jenner e Leonardo Sbaraglia. Il film è prodotto
da Dylan Clark, Chris Morgan, Núria Valls, Adrián Guerra, Josh
Malerman e Ryan Lewis. I produttori esecutivi sono Ainsley
Davies e Brian Williams. Il film del 2018 è stato diretto da
Susanne Bier da una sceneggiatura scritta da Eric Heisserer, basata
sull’omonimo romanzo di Josh Malerman del 2014. Ha
interpretato Sandra Bullock, Trevante Rhodes, Sarah Paulson, John
Malkovich, Rosa Salazar e altri.
Questo giugno al cinema finisce con
l’uscita dell’ultimo capitolo della saga di Indiana
Jones. Nelle nostre sale comunque ci sono già disponibili
il docufilm Gianni Minà – Una vita da giornalista
e il live-action
I cavalieri dello Zodiaco. Chissà se l’ultima
avventura di Harrison Ford nei panni dell’iconico
archeologo sarà in grado di guadagnarsi il primo posto al box
office italiano conquistato in questi ultimi giorni dal nuovo
Disney-Pixar
Elemental.
Vediamo insieme i film in
uscita da noi questa settimana
Indiana Jones e il Quadrante del
Destino
Dopo l’anteprima mondiale a Cannes
e la tappa italiana al
Taormina Film Festival,
Indiana Jones e il Quadrante del Destino finalmente è nelle
nostre sale. Questa nuova avventura è ambientata nell’agosto 1969,
esattamente dopo il ritorno degli astronauti dell’Apollo 11 dalla
luna. Indy dopo una festa di pensionamento a sorpresa
nell’università dove insegna viene avvicinato da Helena, la figlia
del suo storico collega archeologo Basil Shaw, interpretata
dall’attrice britannica
Phoebe Waller-Bridge. La giovane studiosa e cacciatrice di
tesori chiederà l’aiuto al vecchio amico di famiglia per cercare la
verità sul Quadrante di Archimede. Questo quinto film diretto da
James Mangold è ufficialmente l’ultima volta che vedremo sul
grande schermo l’attore
Harrison Ford nei panni del professore Henry Jones Jr o come
lui preferisce farsi chiamare Indiana, come il suo amato cane.
99 Lune
I protagonisti di
99 Lune sono Bigna e Frank, due trentenni dalle vite molto
diverse che devono fare i conti con un’attrazione tanto inaspettata
quanto travolgente. La donna è una una giovane scienziata che
studia i terremoti e che mantiene sotto controllo ogni aspetto
della propria esistenza invece l’amante coduce una vita moto
irregolare e dedita anche alle droghe. Il regista di questo film
cioè lo svizzero Jan Gassmann firma un’opera che
spiega la nuova sessualità e le relazioni d’amore dei nostri tempi
tra app e incontri con sconosciuti.
A Thousand and One
La protagonista di questo film è
Inez, una donna determinata e impetuosa che rapisce il figlio
Terry, di sei anni, dal sistema di affidamento nazionale. Questa
giovane madre afroamericana interpretata da Teyana
Taylor, crescerà il suo bambino da solo e donandogli il senso
di casa, un identità e la stabilità in una New York in rapido
cambiamento.
A Thousand and One è il debuto alla regia della regista A.V.
Rockwell che con questo film si è aggiudicata il
Sundance Grand Jury Prize.
Falcon Lake
Falcon Lake è ambientato durante una calda estate in una
regione rurale nel Quebec e meta vacanziera. I due giovani
protagonisti Bastien un “quasi quattordicenne” e Chloé più grande
di due anni, sono intenti a trascorrere le vacanze estive ognuno
con la propria famiglia presso il lago alloggiando in un baita, che
secondo una leggenda sarebbe infestata dai fantasmi. Questo coming
of age e ghost story di Charlotte Le Bon e’
liberamente ispirato alla graphic novel di Bastien Vivès “Una
sorella”.
La folle vita
Alex e Noémie sono una coppia sulla
trentina che vorrebbero finalmente avere un figlio. Ma i loro piani
vengono stravolti quando Suzanne, la madre di Alex, inizia a fare
cose da pazzi. Purtroppo la mamma del protagonista ha contratto la
“demenza semantica”, una malattia neurodegenerativa che influenza
il suo comportamento. Spende generosamente, fa visite notturne ai
vicini e intanto la sua autonomia diminuisce a vista d’occhio,
Suzanne quindi da madre diventa Suzanne la bambina ingestibile di
Alex.
La folle vita è l’esordio alla regia della coppia di registi
belgi Raphaël Balboni e Ann Sirot e
affronta il tema doloroso della malattia in modo originale e
completamente innovativo.
Lo sposo indeciso
Gianni Buridano è un filosofo e
professore di fama internazionale invece Samantha è una
bellissima ragazza delle pulizie che lavora all’università dove
Gianni insegna. Nonostante le enormi differenze sociali e culturali
i due hanno deciso di sposarsi, ma sono inconsapevoli che sul loro
amore incombe una terribile maledizione pronta a scatenarsi proprio
il giorno delle nozze. Lo sposo
indeciso è una commedia diretta da
Giorgio Amato e i promessi sposi sono intepretati dal figlio
d’arte Gian Marco Tognazzi e dell’attrice
Ilenia Pastorelli.
Monte Verità
Il film racconta una storia di
emancipazione femminile ambientata in uno dei luoghi più
interessanti della Svizzera degli inizi del 900: Il Monte
Verità. Il luogo, che da il titolo al lungometraggio di
Stefan Jäger, era frequentato da intelletuali e
artisti non convenzionali tra cui anche lo scrittore
Hermann Hesse, lo psicoanalista e filosofo
austriaco Otto Gross e la ballerina
Isadora Duncan.
Silent Land
Silent Land racconta la storia di una coppia polacca benestante
che decide di affitare una casa con vista mare per l’estate da
trascorre in Sardegna. L’apparente traquilla vacanza di Anna e Adam
viene improvvisamente interrotta da una serie di problemi: i
ventilatori non funzionano e la piscina, a causa della siccità è
priva e senz’acqua. Ignorando il problema della carenza di acqua, i
due insistono perché venga riempita e intanto la presenza di uno
sconosciuto porterà i due ad agire in modo istintivo e irrazionale.
Questo film è il primo lungometraggio della regista polacca
Aga Woszczyńska.
Il Continente è un posto sempre più
pericoloso. I regni sono in combutta fra loro, nemici all’orizzonte
ne minacciano la stabilità, già precaria, e prossima a una guerra
secolare. The
Witcher 3, il terzo capitolo
della serie tratta dai romanzi di Andrzej
Sapkowski, è pronto ad approfondire tutti gli aspetti
preparatori inseriti nella seconda stagione, che si può dire di
transito. La posta in gioco è sempre più alta: Ciri non è al sicuro
da nessuna parte, il suo sangue ancestrale fa gola ed è il bottino
ambito da tutti, essendo la chiave attraverso la quale possono
essere spente le faide tra le razze che stanno deteriorando il
Continente.
L’approccio a questa
terza stagione però, soprattutto da parte dei fan incalliti dei
libri nati dalla penna dell’autore polacco, è un po’ più aspro e
meno entusiasmante. Seppur The Witcher 3
attinga dal volume Il Tempo della Guerra, una grande fetta
di spettatori ha iniziato a lamentare nella stagione precedente
un’infedeltà ai romanzi – quasi – inaccettabile da parte della
showrunner Lauren Schimdt Hissrich, la quale – da
quanto si apprende – ha davvero deciso di intraprendere una strada
che si distacca molto dalla realtà conosciuta anche nel videogioco.
Ad alimentare il malcontento è anche l’abbandono di Henry Cavill nel ruolo di Geralt di Rivia, che
appende al chiodo spada e parrucca bianca.
Da quando l’attore ha annunciato di
svestire i panni del witcher più amato e temuto del Continente
nell’ottobre scorso, molte sono state le voci secondo le quali la
ragione prima risiede proprio nell’incompatibilità fra la serie e i
libri, essendo Cavill un grande cultore del mondo di Sapkowski e un
sincero appassionato. Dalla prossima stagione, a dare pelle e
carisma a Geralt sarà Liam Hemsworth, al quale l’attore passerà il
testimone non con poco dispiacere. La prima parte di
The Witcher 3 – che ricordiamo aver avuto
delle riprese anche in Italia – debutta su Netflix
nel catalogo di giugno, per poi concludersi a luglio.
The Witcher 3, la trama
Nel Continente i dissapori fra i
regni sono ancora molti vividi e freschi, ma nel frattempo si cerca
di coalizzarsi per possedere – letteralmente – Ciri (Freya
Allan), la principessa erede al trono di Cintra, dal
sangue ancestrale. Geralt (Henry
Cavill) e Yennefer (Anya
Chalotra) sono uniti per proteggerla e impedire che
nessuno si avvicini a lei, in special modo Rience, un mago dal
volto deturprato, che le dà la caccia da diverso tempo.
A muovere però le sue fila è qualcun
altro, una figura molto più potente, che lo sfrutta per fare il
lavoro sporco. Nel frattempo, ad Aretuza iniziano a scomparire
delle novizie, e in uno dei viaggi dello strigo alla ricerca di
Rience, Geralt scoprirà cosa si cela dietro la loro sparizione,
mentre Yennefer cercherà di mettere insieme un conclave che possa
unire il Nord, con l’obiettivo di restare uniti.
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Geralt, Yennefer e Ciri: una famiglia
Dopo una seconda stagione incentrata
prevalentemente su Ciri e sul suo allenamento a Kaer Morhen,
The Witcher 3 si fa più corale, con
un’attenzione ben distribuita su tutti i personaggi principali.
Geralt, a cui è stato concesso un approfondimento sul suo passato,
si sta abituando a quel ruolo di padre che alla fine della prima
stagione aveva dovuto accogliere. Ciri prende sempre più
consapevolezza di sé e di chi vuole diventare, mentre Yenner si
assicura di impartirle tutte le lezioni di magia necessarie
affinché lei possa spiccare il volo e potenziare i suoi poteri.
Abbracciando quel ruolo di madre che ha tanto desiderato. Nei
precedenti episodi eravamo stati abituati a vedere questi
personaggi, pur legati dal destino, spesso separati. Ogni storyline
seguiva un suo percorso parallelo e poche volte, nel corso della
storia, era capitato di vederli uniti. Adesso, però, le
loro linee narrative si intrecciano indissolubilmente,
lasciando spazio a pochi momenti in cui non giocano insieme.
È chiaro l’intento di mostrare lo
strigo, la principessa e la maga come una famiglia coesa, che
nonostante le differenze si ama e si rispetta, e che crea uno scudo
di protezione per tutelarsi a vicenda. Un’evoluzione
inevitabile e necessaria, che va a costruire ancor di più
le loro singole personalità, plasmando d’altra parte un trio che
assume un’identità sempre più forte e decisa. Una scelta saggia,
questa, che colma soprattutto il vuoto della seconda stagione, in
cui vedevamo una Yennefer ai margini e una Ciri che cercava un po’
troppo di reggere l’intero world-building sulle spalle. La nuova
stagione, invece, porta a completamento un discorso iniziato in
precedenza: la corazza dura e indistruttibile di Geralt ha lasciato
il posto, come già avevamo inziato a vedere, ad un animo più
morbido e premuroso. Il suo lato amorevole è nel pieno della
fioritura, merito del poter stare insieme alle due donne.
Il lato materno di Yennefer, che è
riuscita a conquistare con fatica, la rende ora più benevola, ma al
contempo vulnerabile, e mostra tutte le sfaccettature di un
personaggio complesso ma dall’incredibile storia. Ciri, invece, sta
attraversando un bellissimo processo di crescita, mentre cerca di
diventare la witcher che è destinata ad essere. Averli insieme e
compatti non solo fa sì che la scrittura dei personaggi si
arricchisca e solidifichi per svilupparsi, ma permette di avere una
trama sempre più lineare, in cui perdersi di meno (come era
accaduto in special modo nella prima stagione). La carne messa al
fuoco è poca ma interessante e fertile, e non vengono aperte mille
sub-trame a cui non si riesce per logica a stare dietro, se non
appuntandosi delle note. Riuscendo comunque a ramificarsi per
inglobare tutti i protagonisti fin’ora presentati, ma che si
muovono e crescono per uno scopo comune, in cui l’aspetto
politico diventa sempre più centrale e devoto al plot
twist.
Maturità visiva
Oltre al costrutto narrativo che
continua a funzionare e ingranare, The Witcher
3 ci tiene a confermare una maturità nella
messa in scena e nell’estetica da apprezzare, e che si
impone sempre più. Il Continente, grazie alla cura delle
scenografie e dei costumi – che si avvicinano di parecchio a quelli
del videogioco – pur essendo un universo fittizio, sembra reale,
coerente e soprattutto credibile, merito di un lavoro minuzioso che
non vuole lasciare spazio alle imperfezioni. Già in questa prima
parte, contaminata da un tono sempre più cupo e dalle sfumature
horror, si può notare l’operazione svolta sugli effetti visivi. La
CGI, infatti, risulta curata e precisa, i mostri che innescano le
action scene – sempre ben coreografate e mai eccesive per evitare
l’indigestione – sono attendibili e dimostrano un’attenzione
maggiore all’aspetto visivo. Che mai come negli high fantasy è
importante per non scadere nella bruttezza del racconto.
A cambiare è invece la fotografia,
questa volta al servizio degli eventi. C’è infatti un uso molto
variegato delle tonalità, che passa da quelle calde a quelle fredde
in relazione alle sequenze girate. La prevalenza, rispetto alla
seconda stagione, è delle nuance calde, in primis perché in questa
prima parte di The Witcher 3 molte scene
sono girate negli interni e ad Aretuza, e in secondo luogo perché
c’è una ricca fetta di momenti affettivi o romantici, in particolar
modo fra Yennefer e Geralt, che finalmente possono perdonarsi e
amarsi. In conclusione, la prima parte della terza stagione non
lascia niente al caso, alterna il ritmo sincopato a quello disteso
per poter respirare, e lascia che il pubblico assorba tutte le
informazioni necessarie per un finale che, quasi certamente, sarà
infarcito di sorprese, altri intrighi e colpi di scena.
Evan Peters, protagonista di
Dahmer – Monster: The Jeffrey Dahmer Story, si unisce
a Jared Leto in Tron:
Ares, il terzo film della longeva serie Disney sul
cyberspazio. Joachim Rønning (Maleficent
– Signora del male) dirigerà il film da una sceneggiatura
di Jesse Wigutow, la cui produzione dovrebbe
iniziare ad agosto (nonostante uno sciopero degli attori).
Oltre alle sue frequenti
apparizioni nella serie antologica di FX American Horror
Story, Peters ha interpretato Pietro Maximoff in diversi
film X-Men per la 20th Century Fox (prima che lo
studio fosse acquisito dalla Disney), a partire da X-Men: Giorni di
un Futuro Passato, del 2014. Jared Leto aveva precedentemente dichiarato in
diverse occasioni che avrebbe interpretato un personaggio di nome
Ares nel film proposto e aveva persino rivelato il titolo del film
come appunto Tron:
Aresin un tweet del
2020 ora cancellato.
Il Tron originale è stato rilasciato nel
1982 e interpretato da Jeff Bridges e Bruce
Boxleitner. Un sequel, Tron:
Legacy, non è uscito fino al 2010. Da allora il franchise
è apparso in serie crossover come Kingdom
Hearts e Disney Infinity ed è
stato al centro di uno show televisivo (Tron:
Uprising) e di numerosi videogiochi, tra cui il
recente ha annunciato Tron: Identity. Secondo
le poche informazioni che sappiamo Tron
3 è stato scritto da David DiGilio e si basa sui
personaggi scritti da Steven Lisberger e Bonnie MacBird.
Ecco il trailer italiano de
I MERCEN4RI – Expendables, il quarto capitolo del
fortunato franchise tributo agli action degli anni Ottanta e
Novanta. Questa nuova avventura del gruppo di eroi “sacrificabili”
uscirà nelle sale italiane il 21 settembre 2023 – un giorno prima
dell’uscita statunitense.
Armati di tutte le armi su cui
riescono a mettere le mani e delle abilità per usarle, i mercenari
sono l’ultima linea di difesa del mondo, la squadra che viene
chiamata quando tutte le altre opzioni sono fuori discussione. I
nuovi membri del team, con stili e tattiche mai viste prima,
daranno all’espressione “sangue nuovo” un significato completamente
diverso.
I migliori attori d’azione del mondo
hanno composto questa invincibile squadra per tre capitoli del
franchise, ma ora una nuova generazione di star si unisce a loro
per un’avventura adrenalinica.
Ai mercenari d’élite,
Jason Statham, Dolph Lundgren, Randy
Couture e Sylvester Stallone, si uniscono per la prima
volta Curtis “50 Cent” Jackson,
Megan Fox, Tony Jaa, Iko Iwais, Jacob Scipio, Levy
Tran e Andy Garcia. “Moriranno
quando saranno morti”. Il film sarà distribuito in Italia da
Vertice360.
Il film Voglio
crederci (altrimenti noto col titolo internazionale
di Make me believe) è l’ennesimo grande successo di
Netflix proveniente dalla Turchia, Paese che
negli ultimi tempi ha sempre più guadagnato popolarità grazie ai
propri prodotti audiovisivi, tanto film quanto serie televisive. Con questo
nuovo titolo, diretto dai registi Evren Karabiyik
e GünaydinMurat Saraçoglu, la piattaforma
streaming offre dunque un nuovo racconto d’amore che, tra i
paesaggi mozzafiato della Turchia, sta incantando un gran numero di
utenti, a dimostrazione del grande interesse che tale
cinematografia è sempre più capace di suscitare.
Un risultato che ribadisce ciò di
cui Netflix è maggiormente fiera, ovvero il dare la possibilità ai
propri abbonati di confrontarsi con prodotti provenienti da paesi
che difficilmente avrebbero trovato spazio nei cinema o nelle
televisioni nostrane (anche se su quest’ultima le soap turche
stanno iniziando a ritagliarsi un sempre maggiore spazio).
Voglio crederci è dunque il titolo perfettto per gli
appassionati di storie romantiche ma in cerca di
qualcosa di diverso dai soliti film di produzione statunitense.
Prima di intraprendere la visione di Voglio crederci,
però, ecco alcuni dettagli sulla sua trama, il
cast di attori e le location
dove si sono svolte le riprese del film.
La trama e il cast di Voglio crederci
Protagonisti di Voglio
crederci sono due nonne e i loro adorati nipoti. Le due
signore, legate da una lunga amicizia, non possono fare a meno di
immischiarsi nelle questioni di cuore dei loro ragazzi. I loro
intenti sono però nobili, in quanto vorrebbero aiutarli a essere
felici, consigliando loro le giuste scelte da fare per poter
intraprendere la strada più sicura verso l’amore e la gioia. Si
mettono dunque d’accordo per far incontrare i rispettivi nipoti,
Sahra e Deniz, questi i loro
nomi, che sono cresciuti insieme ma con il tempo si sono persi di
vista. Ritrovandosi, però, scopriranno di provare ancora dei
sentimenti l’uno per l’altro, ma insieme ad essi ci sono anche
delle questioni del passato da risolvere.
Fanno parte del cast alcuni attori
turchi, non particolarmente noti al di fuori del loro paese natìo
ma che proprio grazie a Netflix hanno ora l’occasione di ottenere
maggiore notorietà. Protagonista femminile del film è dunque
l’attrice Ayça Aysin Turan nel ruolo di
Sahra. Prima di questo film, l’attrice si è resa
nota grazie alla serie Maryem e The Protector,
quest’ultima presente a sua volta su Netflix. Ekin
Koç, noto per la serie turca Üç Kurus, è
invece il protagonista maschile, interprete di
Deniz. Recitano poi nel film Cagla
Irmak che impersona Ahu, Cagri Citanak
che interpreta Ulas e Kemal Okan Özkan che presta
le fattezze di Kerem. L’attrice Yildiz
Kültür recita invece nei panni di Deniz’in Büyükannesi.
Le location del film Voglio crederci
Le riprese del film, girato nel
corso dell’estate 2022, si sono naturalmente svolte Turchia. Nello
specifico, però, la provincia turca di Çanakkale è
stata scelta come location principale. Questa si trova sulla sponda
asiatica dello stretto dei Dardanelli, nella
regione nord-occidentale della Turchia. Qui hanno dunque avuto
luogo la maggior parte delle riprese. Alcune di esse sono però
state effettuate anche all’interno e intorno all’Altare di
Zeus a Mıhlı, Adatepe Köyü
Yolu, che si trova sul bordo della collina che domina la
baia di Edremit ad Assos. Secondo
la mitologia, proprio da questo altare il più forte degli Dei greci
avrebbe osservato lo svolgersi della guerra di Troia.
Un’altra location particolarmente
importante per il film è stata la provincia di Athena
Tapınağı con molti punti di riferimenti utili come
Çanakkale Trojan Horse, Çanakkale Martyrs ‘Monument,
Çanakkale Saat Kulesi nel centro di
Çanakkale e Anzac Cove della
penisola di Gallipoli. Quella di Çanakkale è una
meta turistica molto gettonata, basti pensare che sul lungomare
della città è presente come attrazione turistica il modello del
cavallo di legno usato nelle riprese del film Troy, con
Brad Pitt come
protagonista. Questo perché Çanakkale è il grande centro urbano più
vicino ai resti archeologici dell’antica città di Troia.
Il trailer di Voglio
crederci e come vedere il film in streaming su Netflix
Come anticipato, è possibile fruire
di Voglio crederci unicamente grazie alla
sua presenza nel catologo di Netflix, dove
attualmente è al 2° posto della Top 10 dei
film più visti sulla piattaforma in Italia. Per vederlo,
basterà dunque sottoscrivere un abbonamento generale alla
piattaforma scegliendo tra le opzioni possibili. Si avrà così modo
di guardare il titolo in totale comodità e al meglio della qualità
video, avendo poi anche accesso a tutti gli altri prodotti presenti
nel catalogo.
La star di LokiJonathan
Majors rimane nel bel mezzo di una battaglia legale
dopo le accuse di violenza domestica da parte della sua ormai ex
fidanzata. L’attore ha dichiarato la sua innocenza fin dall’inizio,
ma è stato escluso dalle campagne pubblicitarie e dai progetti
imminenti, a seguito delle pesante denunce pendenti a suo
carico.
Ad oggi, è ancora Kang il Conquistatore dell’MCU. Il buon senso dice
che il suo futuro oltre la seconda stagione di Loki (che
aveva già girato al momento del suo arresto) dipenderà da come
andranno le cose per
Jonathan Majors nei mesi a venire e se sarà in grado
di riabilitare il suo nome.
Anthony Mackie, nel frattempo, ha recentemente
concluso il lavoro su Captain
America: Brave New World e sarà presto al centro
come uno dei supereroi più importanti dell’MCU. Inverse ha chiesto la
sua opinione sulle recenti questioni legali di Majors e l’attore si
è affrettato a fare un punto molto importante.
“Siamo un paese che è stato
costruito su ‘tutti sono innocenti fino a prova
contraria’”, dice al sito.“Questo è uno
dei punti fermi di questo paese. Nulla è stato provato su questo
tizio. Niente. Quindi tutti sono innocenti fino a prova contraria.
Questo è tutto quello che posso dire. È pazzesco dove siamo come
società. Ma come paese, tutti lo sono innocente fino a prova
contraria.” In gran parte sembra che Majors sia stato
dichiarato colpevole dalla stampa, quindi
Anthony Mackie senza dubbio ha fatto molto bene a
ribadire il concetto.
In merito allo sciopero in corso
della WGA e il fatto che la Screen Actors Guild potrebbe unirsi a
loro per solidarietà. “Una volta che gli studi sono
diventati pubblici e sono stati acquistati da grandi aziende, siamo
stati fottuti. Non si tratta più di arte. Non si tratta più di
lavoro interessante e divertente. Si tratta di partecipazione agli
utili di fine trimestre. Si tratta di azionisti . Quindi stai
letteralmente solo stuprando e saccheggiando l’industria. È
cannibalismo”.“È uno spettacolo di
merda se scioperiamo”,ha
continuato. “Dovranno farlo. A meno che
non trovino un gruppo di fottuti YouTuber per realizzare Avengers
5!”
Captain America: Brave New
World, quello che sappiamo sul film
Captain America: Brave New
World riprenderà da dove si è conclusa la serie
Disney+The Falcon and the
Winter Soldier, seguendo l’ex Falcon Sam Wilson
(Anthony Mackie)
dopo aver formalmente assunto il ruolo di Capitan America. Il
regista Julius Onah (Luce, The Cloverfield
Paradox) ha descritto il film come un “thriller
paranoico” e ha confermato che vedrà il ritorno del Leader
(Tim Blake Nelson), che ha iniziato la sua
trasformazione radioattiva alla fine de L’incredibile Hulk
del 2008.
Secondo quanto riferito, la star di
Alita: Angelo della BattagliaRosa
Salazar interpreta la cattiva
Diamondback. Nonostante dunque avrà degli elementi
al di fuori della natura umana, il film riporterà il Marvel Cinematic
Universe su una dimensione più terrestre e realista, come già
fatto anche dai precedenti film dedicati a Captain America. Ad ora,
Captain America: Brave New
World è indicato come uno dei titoli più importanti della
Fase 5.
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Phoebe Waller-Bridge, fan di lunga
data di Tomb Raider, ha parlato
dell’adattamento di Lara Croft per la sua prossima
serie Prime
Video. Ad aprile – prima dello sciopero in corso
della Writers Guild of America (WGA) –
Waller-Bridge si è seduto con Joy Press di Vanity Fair.
Durante l’intervista appena
pubblicata,
Phoebe Waller-Bridge ha discusso dello sviluppo
dell’imminente serie di Tomb Raider, così come della sua dipendenza
adolescenziale dai videogiochi originali. “I miei genitori
erano molto intelligenti perché in realtà non mi
limitavano. Potevano percepire che mi sarei semplicemente
messo a terra, e l’ho fatto “, ha detto
Waller-Bridge. “Ho messo via la PlayStation e ho pensato,
‘Non devo farlo perché devo scrivere, leggere e fare altre
cose.”
L’amore di Phoebe Waller-Bridge per Lara
Croft
Nonostante abbia appeso il suo
controller PlayStation, Waller-Bridge ha mantenuto un amore per il
personaggio di Lara Croft. “Aveva un atteggiamento. Era
molto deliberata in quello che voleva fare“, ha detto l’allume
di Solo: A Star Wars
Story. “Tutto è cambiato quando si sono
resi conto che potevano commercializzarla come un sex
symbol.” Tuttavia, Waller-Bridge si è tuffato di nuovo in
Tomb Raider durante la pandemia di coronavirus
(COVID-19). Quindi, sembrava destino
quando Amazon le ha chiesto di scrivere
un adattamento per il piccolo schermo.
“Dio, mi è sembrato
letteralmente che quell’adolescente in me dicesse: fai la cosa
giusta per lei, fai la cosa giusta per
Lara!” Waller-Bridge ha
ricordato. “L’opportunità di avere, come dicevamo prima,
un personaggio d’azione femminile… Avendo lavorato a [James] Bond e
avendo lavorato come attrice in [Indiana Jones e il
quadrante del destino], mi sento come se stessi preparando
tutto a questo. E se potessi prendere le redini di un franchise
d’azione, con tutto quello che ho imparato, con un personaggio che
adoro, e anche solo riportare un po’ di quell’atmosfera anni
’90?
I pensieri di Phoebe Waller Bridge sul
riavvio di Tomb Raider
La stampa ha chiesto a
Waller-Bridge se fosse riluttante a contribuire all’attuale
tendenza di remake e riavvii a Hollywood. “Sento che
quando lavori nel settore, devi cavalcare le onde e
appoggiarti“, ha risposto Waller-Bridge. “C’è spazio
per fare qualcosa di veramente molto pericoloso. E se posso
fare qualcosa di pericoloso ed eccitante con Tomb Raider, ho già un
pubblico di persone che amano Lara e spero che continueranno a
farlo. E questa è una posizione molto insolita in cui
trovarsi. È il vecchio cavallo di Troia”.
In particolare, come scrittrice,
Phoebe Waller-Bridge non è estranea a fare riferimento
al seno nelle sue opere. Tuttavia, a quanto pare c’è stato un
acceso dibattito nella stanza degli scrittori di Tomb Raider sul
fatto che Lara dovesse avere la sua classica figura procace o una
corporatura atletica in linea con i giochi più moderni. La
posizione di Waller-Bridge sulla questione è chiara. “È
una tombaroliera, quindi è incredibilmente in forma“, ha
detto. “Deve infilarsi continuamente attraverso minuscole
fessure rocciose. È un’esperienza diversa infilarsi in una
piccola fessura rocciosa quando hai le tette più grandi rispetto a
quando hai le tette più piccole”.
Tomb Raider torna in live-action
Il franchise di videogiochi
Tomb Raider è composto da 12 giochi della serie
principale e una serie di spin-off. Il gioco originale è stato
rilasciato nel 1996 e ha generato otto follow-up fino al 2008. Il
franchise è stato riavviato con un nuovo gioco della serie
principale nel 2013, che si sarebbe rivelato il primo capitolo di
una trilogia che si è conclusa nel 2018.
Il franchise è stato adattato per
la prima volta in live-action tramite il film della Paramount del
2001 Lara Croft: Tomb Raider, basato sui primi
giochi e interpretato da Angelina Jolie nei panni di Lara Croft. La
Jolie ha ripreso il suo ruolo per il sequel del 2003,
Lara Croft: Tomb Raider – The Cradle of
Life. MGM e Warner Bros. hanno riavviato la
serie live-action con il film del 2018
Tomb Raider. Interpretato da Alicia Vikander nei panni di Lara Croft, il
film del 2018 era basato principalmente sul gioco di riavvio del
2013.
Nel gennaio 2023, è arrivata la
notizia che Amazon, il nuovo editore dei videogiochi Tomb
Raider, aveva contattato Waller-Bridge
per scrivere un adattamento della serie live-action per Prime
Video. Secondo quanto riferito, Amazon sta anche
sviluppando un nuovo film di Tomb Raider, che si collegherà sia
alla serie Prime Video che al prossimo gioco di Tomb Raider
come parte di un universo condiviso.
Presentato in anteprima alla
Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2022,
Falcon Lake è l’esordio alla regia dell’attrice
canadese Charlotte Le Bon, che si colloca a metà
strada tra una storia d’amore adolescenziale e un film fantastico,
quasi horror. Tratto da una graphic novel francese, il film di
Le Bon – in sala dal 29 giugno – si prende il
rischio di navigare tra questi due generi e lo fa con una saggezza
che si addice a registi esperti.
A (Canadian) ghost story
Coming-of-age e fantastico spesso
sono intrecciati assieme, ma in genere è la suspense a prevalere,
lasciando in secondo piano le relazioni tra i personaggi, che
tendono a disperdersi una volta che compare l’elemento
soprannaturale. In Falcon Lake, al contrario,
l’orrore sembra essere più che altro un gioco, un ammiccamento tra
i protagonisti e tra il regista e lo spettatore. Qualcosa che
intuiamo fin dai titoli di testa, quando compare davanti a noi
l’immagine di una ragazza che sembra galleggiare morta in una
laguna, ma che successivamente riprende a nuotare. Le
Bon dà l’impressione di giocare con i tropi del genere,
cosa che continuerà a fare per tutto il film, con inquadrature che
si prolungano più del solito, in attesa di qualcosa che non accade
mai, o personaggi che indossano maschere, si travestono da fantasmi
o fingono di essere morti. Esiste una leggenda secondo cui un
ragazzo sarebbe annegato in quel luogo, ma non ci sono prove se non
quelle che racconta Chloé (Sara
Montpetit), un’adolescente di 16 anni che ha una casa in
questa zona lacustre del Quebec.
L’altro grande protagonista di
Falcon Lake è Bastien
(Joseph Engel), un tredicenne ma, attenzione,
“quasi quattordicenne“, che va con la famiglia a trovare
gli amici che vivono lì, di cui Chloé è figlia.
Bastien è accompagnato dal fratello minore, Titi, e dai genitori.
Il ragazzo deve dividere la stanza con Chloé, che ha solo due anni
più di lui ma è in piena adolescenza, fase della vita che Bastien
sta scoprendo poco a poco. È ovvio che il ragazzo si innamorerà di
lei e Chloé, sorprendentemente, prima nutrirà nei suoi confronti
una tenera simpatia intervallata da momenti in cui la ragazza mette
in mostra tutta la sua presunzione da “più grande”, poi si renderà
conto che a volte si trova meglio con il ragazzo simpatico e
particolare che con i suoi pretendenti un po’ più aggressivi e
“sviluppati”.
La relazione tra i due – e il resto
degli adolescenti, che fanno feste, bevono e fumano, portando
Bastien a provare cose nuove, non sempre con
risultati incoraggianti – comincia ad avere un certo contenuto
sessuale, gestito il più delle volte con umorismo dalla regista,
comprese un paio di gag eccellenti. Nonostante ciò, prevale in
Falcon Lake il tono cupo, da ghost movie, lontano dall’impostazione
romantica, luminosa o nostalgica con cui di solito vengono dipinte
queste storie d’amore adolescenziale.
L’estate di Bastien e Chloé
La storia di Falcon
Lake è circoscritta (vi si entra ed esce attraverso il
viaggio in auto che segna l’inizio e la fine della vacanza) in un
formato di 1:37, per entrare in contatto con l’intimità, la
fragilità, i dubbi e l’insicurezza di questo adolescente che si sta
svegliando alla vita. Come dicevamo, l’esordio di Charlotte
Le Bon è un adattamento libero della graphic novel Une
Soeur (Bastien Vivés), che sposta l’azione dal bordo
del mare in Francia alla riva di un lago in Quebec. E lo fa perché
il protagonista è francese e in quell’ambiente estraneo il suo
senso di solitudine, di alterità e di incomprensione si accentua.
Perché Falcon Lake è un coming of age incentrato
su Bastien, un ragazzo di quattordici anni che va in vacanza con i
genitori in una casa di legno sperduta nella foresta, accanto a
questo grande lago.
Chloe è già nella
fase della vita in cui rientra tardi la sera, mentre
Bastien non ha ancora neanche un telefono: agli
occhi di lei, il ragazzino è nel pieno dell’ingenuità. “Tu
conosci troppe cose strane“, le dice Bastien: si tratta delle
cose dell’adolescenza, quelle a cui Bastien inizia ad avvicinarsi
ma che ancora non sa bene decifrare. Di fronte a questa dolce
inesperienza, Chloe pensa di poter essere in grado di manipolare la
mente del ragazzo: lei si trova sul confine tra il credere ancora
alle favole e il poter essere abbastanza grande da crearne di
nuove, così tramanda – o si inventa – queste ghost story. Il loro è
un rapporto molto ambiguo, a metà tra il fare parte della stessa
famiglia e la prima cotta estiva. Chloe si sveste davanti a
Bastien, nella camera che condividono come se
fossero fratelli e a un certo punto qualcuno glielo farà anche
notare. D’altro canto, c’è chi è convinto che tra i due sia
sbocciato qualcosa, chi chiede se abbiano addirittura fatto sesso.
Chloe stessa fa capire a Bastien, che la guarda un
po’ con timore reverenziale, un po’ con il fervore dei primi
innamoramenti, che l’affrontare le proprie paure ha anche a che
fare con la scoperta del se come soggetto sessuale.
Avrai sempre il tuo fantasma
L’aspetto più sorprendente di
Falcon Lake è il modo in cui riesce a giocare e ad
appropriarsi dei tropi del genere horror. Lo fa, da un lato,
attraverso una colonna sonora che introduce ambiguità e allontana
le situazioni dal rischio, tipico di questo tipo di storie, di
cadere nell’idealizzazione e nella nostalgia (la tipica sequenza,
ad esempio, della corsa in bicicletta, non è qui da intendere in
chiave bucolica, quanto piuttosto come un modo necessario per
sfogare l’angoscia di un’estate che sta volgendo al termine). In
secondo luogo, il concetto di terrore è veicolato da queste
leggende dei fantasmi di Falcon Lake che fanno da
sfondo all’intera narrazione. Pur non essendo altro che dicerie o
semplicemente il punto di partenza perfetto per dei giochi di
paura, stabiliscono una profonda eco simbolica con i timori che
l’adolescenza implica rispetto a se stessi, all’amore e
all’amicizia, ai ruoli di genere, a quell’universo sconosciuto che
appartiene agli adulti e che, senza dubbio, spaventa.
Tutte le paure di
Bastien, però, trovano un’eco ancora più profonda
in Chloé, di tre anni più grande di lui, con la
quale, come dicevamo, instaura un rapporto che oscilla tra
un’amicizia ancora infantile, le cure materne, la sensualità e il
risveglio sessuale, e che trasmette un magnetismo ineluttabile. È
interessante in questo senso il collegamento con il modo in cui
Falcon Lake riflette sull’amore (più o meno
corrisposto) come meccanismo per superare le proprie paure e
crescere.
È stato confermato, a oltre cinque
mesi dalla notizia della scomparsa, che il corpo ritrovato sabato
scorso da escursionisti nelle montagne vicino a Los Angeles è di
Julian Sands, famoso attore britannico. Ad
annunciarlo la polizia della California, spiegando che le cause
della morte devono ancora essere individuate.
Julian Sands è
diventato famoso a metà degli anni ’80, quando ha recitato in
Camera con Vista. Ha poi partecipato a tanti altri film e show
televisivi, tra cui citiamo Uomini che odiano le donne,
24 e Smalville. Le sue tracce si
erano perse lo scorso 13 gennaio, nel corso di un’escursione col
cattivo tempo sul Monte San Antonio, conosciuto localmente come
Mount Baldy, a 3.000 metri di altitudine. A gennaio le ricerche
aeree e terrestri erano state ostacolate perché la California è
stata colpita da tempeste terribili, gelate e minacce di
valanghe.
Gael García Bernal interpreta Saúl Armendáriz,
un wrestler amatoriale gay di El Paso, diventa famoso a livello
internazionale dopo aver creato il personaggio di Cassandro,
il “Liberace della Lucha Libre”. Basato su una storia vera. Diretto
dal regista Premio Oscar Roger Ross Williams
Nel cast anche Joaquín
Cosío e Raúl Castillo, con la
partecipazione speciale di El Hijo del Santo e
Benito Antonio Martínez Ocasio (Bad Bunny). Cassandro
sarà disponibile in tutti i Paesi in cui è attivo il servizio
Prime Video dal 22 settembre.
Diretto da: Roger
Ross Williams Scritto da: David Teague & Roger Ross Williams Con: Gael García Bernal, Roberta Colindrez, Perla
de la Rosa, Joaquín Cosío e Raúl Castillo, con la partecipazione
speciale di El Hijo del Santo e Benito Antonio Martínez Ocasio Consulente: Saúl Armendáriz Prodotto da: Gerardo Gatica, Todd Black, David
Bloomfield, Ted Hope, Julie Goldman Executive Producer: Gael García Bernal, Paula
Amor, Mariana Rodríguez Cabarga, A. Müffelmann, Matías Penachino,
David Teague, Jason Blumenthal, Steve Tisch Durata: 107 minutes
Attualmente al 100% su Rotten
Tomatoes
Saúl Armendáriz, un wrestler
amatoriale gay di El Paso, diventa famoso a livello internazionale
dopo aver creato il personaggio di Cassandro, il “Liberace della
Lucha Libre”. In questo suo percorso, non mette sottosopra solo il
mondo machista del wrestling, ma anche la sua vita.
Che Jack
Ryan fosse uno show senza i requisiti necessari per una
lunga durata lo si era già intuito. La differenza di tono e presa
emotiva tra la notevole prima stagione e le pur accettabili
successive era fin troppo evidente.
I sei episodi che arrivano a chiudere definitivamentele avventure dell’agente della
CIA inventato da Tom Clancy confermano che davvero lo show non
aveva più nulla da dire.
Jack Ryan di Tom Clancy, la trama
Questa volta l’eroe senza
macchia interpretato da John
Krasinski deve sventare un traffico di
stupefacenti che coinvolge Messico, Myanmar e molto probabilmente
anche alcuni dei suoi predecessori e colleghi all’interno
dell’organizzazione a stelle e strisce. Ad aiutarlo il solito James
Greer interpretato da Wendell Pierce, Mike Novembre nella persona
di Michael Kelly e Betty Gabriel nel ruolo di Elizabeth Wright.
Nuova entrata invece Michael Peña in un ruolo di cui preferiamo nno
rivelare troppo.
Il confronto tra le prime
otto puntate dello show realizzato per Prime
Video e queste ultime sei si rivela piuttosto
impietoso, e dispiace veramente scriverlo poiché eravamo rimasti
sinceramente sorpresi dall’efficacia e dalla tensione che Tom
Clancy’s Jack Ryan Season 1 ci aveva regalato. Nel caso della
quarta stagione quasi tutti gli stilemi narrativi e il gioco del
cambio di ambientazioni vengono riproposti con una stanchezza e
un’ovvietà di fondo evidenti. Continuare a riproporre lo stesso
meccanismo per quattro stagioni, senza veramente ai tentare
soluzioni estetiche o contenutistiche differenti, alla lunga ha
logorato il giocattolo in maniera inesorabile.
Siamo lontani della qualità della prima stagione
E il problema maggiore è
che tuttii
partecipanti sembrano comprenderlo pienamente, primo tra tutti un
Krasinski svogliato e retorico, lontano anni luce dal personaggio
febbrile e logorato dal senso del dovere che avevamo amato
all’inizio di questo percorso. Se hai un attore protagonista il
quale non crede più nel ruolo che interpreta, diventa praticamente
impossibile mantenere in piedi la credibilità di un thriller
d’azione. Sotto questo punto di vista il Tom Cruise della saga di Mission: Impossible, a cui Jack Ryan
chiaramente si ispira mantenendo le dovute distanze, risulta un
esempio lampante e da imitare. mancando quella dedizione, quella
voglia di spingersi oltre i propri limiti per offrire al pubblico
spettacolo e tensione, ecco che il castello di carte è destinato a
crollare. Come avviene appunto con lo show di Amazon Prime Video.
Tutto da buttare dunque
in questa quarta stagione di Tom Clancy’s
Jack Ryan? Verrebbe da rispondere di sì. Basta vedere
anche la pochezza con cui vengono sviluppati i personaggi di
contorno come la ritornante Cathy Mueller interpretata da Abbie Cornish o il villain impersonato dal
sempre solido Michael McElhatton. Ovviamente ci
sono momenti riusciti e qualche buona sequenza di genere nel corso
delle sei puntate finali. Nulla però che possa bastare a
risollevare le sorti di uno show che avrebbe meritato una sorte
diversa, visto quanto bene era partito.
Se avete amato il
Jack Ryan della prima stagione e gli siete
comunque rimasti fedeli nelle due successive -le quali, meglio
ribadirlo, non erano affatto male – rimarrete piuttosto delusi da
questo commiato in sei episodi. Si ha la sensazione che tutti, ma
proprio tutti, volessero chiudere la produzione il più in fretta
possibile, accontentandosi di portare a casa un “compitino” tanto
inappuntabile quanto, a conti fatti, davvero inerme. Peccato
davvero.
In vista dell’atteso ritorno
dell’amata serie animata fantascientifica per adulti
Futurama,
Disney+ ha diffuso il trailer e la key art
dell’undicesima stagione che debutterà lunedì 24 luglio in
Italia in esclusiva sulla piattaforma streaming.
Dopo una breve pausa di dieci anni,
Futurama è uscito trionfalmente dalla
capsula criogenica, con il cast originale al completo e lo spirito
satirico intatto. I 10 episodi inediti dell’undicesima stagione
sono adatti a tutti: i nuovi spettatori, infatti, potranno iniziare
la serie da qui, mentre i fan di lunga data avranno le risposte che
aspettavano da un decennio, tra cui gli sviluppi dell’epica storia
d’amore tra Fry e Leela, il misterioso contenuto della lettiera di
Nibbler, la storia segreta del malvagio Babbo Natale Robot e la
sorte dei girini di Kif e Amy. Nel frattempo, c’è una nuova
pandemia in città, mentre la troupe esplora il futuro dei vaccini,
dei bitcoin, della cancel culture e della TV in streaming.
Futurama ha debuttato nel
1999 e si è rapidamente guadagnato un seguito di fedelissimi e il
plauso della critica, tra cui due Emmy come Outstanding Animated
Program. Nonostante l’ambientazione in un futuro lontano, la serie
è famosa per il suo commento satirico sulla vita presente.
Futurama segue Phillip J. Fry (Billy West nella versione
originale), un ragazzo che consegna pizze a New York, che si
congela accidentalmente nel 1999 e viene scongelato nell’anno 3000.
In questa sorprendente “nuova” New York, fa amicizia con il robot
bevitore Bender (John DiMaggio nella versione originale) e si
innamora della ciclope Leela (Katey Sagal nella versione
originale). Il trio trova lavoro presso la Planet Express Delivery
Company, fondata dallo schivo discendente di Fry, il professor
Hubert Farnsworth. Insieme al contabile Hermes Conrad,
all’assistente Amy Wong e all’aragosta aliena Dottor John Zoidberg,
intraprendono emozionanti avventure che li portano in ogni angolo
dell’universo. Dopo la prima messa in onda su Fox Broadcasting
Network negli Stati Uniti, si è assistito a una serie di
cancellazioni e resurrezioni. Quattro uscite in DVD di successo nel
2007-2009 hanno portato alla rinascita dello show su Comedy Central
negli Stati Uniti dal 2010 al 2013. Poi, dopo un breve congelamento
di dieci anni nella camera criogenica, Futurama è riemerso
trionfalmente con un totale di 20 episodi commissionati che
debutteranno nel 2023.
Per la nuova stagione ritorna
l’intero cast originale, tra cui John DiMaggio, Billy West,
Katey Sagal, Tress MacNeille, Maurice LaMarche, Lauren Tom, Phil
LaMarr e David Herman.
Futurama è
prodotta da 20th Television Animation, parte dei Disney Television
Studios, con l’animazione realizzata dai Rough Draft Studios.
Futurama è creata da Matt Groening e sviluppata da
Groening e David X. Cohen. Tra i produttori esecutivi figurano
Groening, Cohen, Ken Keller e Claudia Katz.
Il Lucca Film
Festival si tinge di green.Sofidel,
azienda toscana tra i leader mondiali nella produzione di carta per
uso igienico e domestico, nota in particolare in Italia e in Europa
per il marchio Regina, è sponsor del Festival 2023 e in
particolare della prima edizione diLucca Film
Festival for Future, il concorso riservato ai
cortometraggi che trattano tematiche green legate alla salvaguardia
dell’ambiente, nell’ambito del Lucca Film Festival (LFF) in
programma a Lucca dal 23 settembre al 1° ottobre.
Registi e filmmaker
italiani e internazionali possono candidare la propria
operaentro venerdì 28 luglio 2023,
inviandola come link video all’indirizzo
[email protected] oppure iscrivendosi sulle piattaforme
Filmfreeway e Festhome. I corti dovranno avere una durata max di 29
minuti, essere in anteprima per l’Italia e realizzati non prima del
2021. Tra tutti quelli pervenuti, ne verranno selezionati
15 da tutto il mondo, che saranno proiettati durante le
giornate del festival e concorreranno all’assegnazione dei premi.
La selezione si propone di mettere in scena le più innovative e
interessanti modalità di racconto narrativo, documentario e
interattivo.
Sofidel ha fatto
della sostenibilità una leva strategica di crescita, riuscendo a
integrarla concretamente nelle sue politiche di sviluppo
industriale. Da questo impegno nasce la volontà di diffondere la
cultura della sostenibilità attraverso progetti di educazione
rivolti in particolare alle nuove generazioni, e, da quest’anno,
anche grazie al linguaggio della Settima Arte. La prima
edizione del concorso Lucca Film Festival for
Future punta, infatti, a sensibilizzare il pubblico
sulla necessità di una nuova cultura di tutela e valorizzazione
dell’ambiente e della natura.
Elena
Faccio, Group Creative & Communication Director di Sofidel
commenta: “Lucca Film Festival è un appuntamento prestigioso,
atteso a livello nazionale e internazionale dagli appassionati di
cinema e non solo: siamo molto orgogliosi di essere presenti con
questa iniziativa dedicata al cinema green. Siamo impegnati a
diffondere la cultura della sostenibilità da oltre 15 anni,
convinti che sia un tema che può essere espresso con molteplici
linguaggi. Raccontarlo attraverso l’arte cinematografica permette
di raggiungere e sensibilizzare nuovi pubblici su tematiche urgenti
che coinvolgono tutti”.
Nicola
Borelli di Presidente Lucca Film Festival aggiunge:
“Sofidel entra a far parte della famiglia dei sostenitori del
festival per un obiettivo ambizioso, ma non impossibile, che
rientra nel grande tema della sostenibilità. Il cinema è prima di
tutto una forma di comunicazione e il nostro comune interesse è
promuovere la tutela dell’ambiente, coinvolgendo concretamente i
giovani e contrastando l’effetto ‘goccia nell’oceano’, ovvero di
percepire il proprio contributo come minuscolo rispetto al sostegno
totale necessario. Ma noi siamo convinti che l’oceano sia fatto di
gocce e che ognuna di queste possa fare la differenza”.
Il concorso
riservato ai corti incentrati sulle tematiche green nasce anche
dalla collaborazione con i festival della rete internazionale “Film
For Our Future” e con la rete EURASF (European Network of
Science Communicators, Filmmakers, Film Producers and Festival
Organizers).
A valutare le opere
sarà una giuria composta dai rappresentanti dei 10 Festival della
rete “Film For Our Future” che comunicheranno i risultati entro il
15 settembre 2023. Nel corso della serata conclusiva del
festival di sabato 30 settembre, presso il cinema Astra di
Lucca, verranno proclamati i vincitori e assegnato il primo premio
del valore di 1.000 euro.
Durante la
settimana del festival, l’intera selezione finale del concorso sarà
proiettata sia in orario mattutino per le scuole sia in orario
pomeridiano e serale per il pubblico. Sarà possibile vedere
gratuitamente i corti anche on demand sulla pagina dedicata del
portale Festival Scope.
Tutte le
informazioni per candidare il proprio cortometraggio sono
disponibili a questa
pagina.
Arriva nelle sale italiane
La folle vita – titolo originale La
vie démente – primo lungometraggio dei registi belgi
Ann Sirot e Raphaël Balboni, che
ne firmano anche la sceneggiatura. Il lavoro risale al 2020. Il duo
belga si è fatto notare quest’anno al Festival
di Cannes, dove ha presentato alla Settimana della
Critica il suo secondo film, del 2023,
La sindrome degli amori passati, che ha ricevuto
una buona accoglienza. La folle vita è un
dramma, ma ha anche caratteri di commedia. Si affronta il tema
della malattia e i registi si chiedono se e come eventualmente sia
possibile conciliarla con lo scorrere della vita dei familiari
della persona malata, che, nonostante il dolore e le difficoltà,
continua.
La trama de La folle vita
Alex, Jean Le
Peltier, e Noémi, Lucie Debay, sono una
coppia di trentenni con un legame stabile. Stanno pensando di avere
un bambino. Proprio in questo delicato momento della loro vita di
coppia, la madre di Alex, la gallerista Suzanne, Jo
Deseure, comincia ad avere strani comportamenti. Ha delle
amnesie e fa spese sconsiderate. In seguito a una visita medica, le
viene diagnosticata una forma di demenza. Da quel momento, le
energie di Alex si concentrano sul problema di salute della madre.
Così, mentre Suzanne con il procedere della malattia, diventa
sempre più difficile da gestire, il rapporto tra Alex e Noémi
rischia di andare il crisi e con esso il loro progetto di
famiglia.
Una prospettiva insolita per un
film sulla malattia
E’ giusto sacrificare sé stessi e la
propria vita per qualcun altro, fosse anche la persona a cui
teniamo di più al mondo? Sembra essere questa la domanda che si
pongono Balboni e Sirot. La folle vita si muove infatti su un
doppio binario. Da una parte, affronta il tema della malattia, in
particolare delle malattie degenerative del sistema nervoso,
mostrandone la progressione e le difficoltà cui vanno incontro sia
l’ammalato che i familiari. Lo fa però senza pietismo, non c’è il
ricatto del dolore verso lo spettatore e, cosa rara nelle pellicole
che trattano questi temi, la malattia non fagocita tutto il film,
non è l’unico argomento. Il punto di vista del malato non è
esclusivo. Il film, infatti, non ha falsi moralismi e accende i
riflettori sulle vite di coloro che sono vicino al malato, che
cercano di aiutarlo e supportarlo per quanto possibile, ma si
trovano anche a gestire e possibilmente far procedere ed evolvere,
la loro stessa vita. Si tratta qui di due giovani, che hanno tutta
la vita davanti e tutto il diritto di viverla a pieno. Una
prospettiva dunque originale, insolita.
Il tono de La folle vita tra
leggerezza e ironia
Altro elemento più che apprezzabile
ne La folle vita, è il suo tono leggero e
ironico, reso anche grazie a una solida sceneggiatura, opera degli
stessi registi. Questo tipo di approccio riguarda innanzitutto la
malattia stessa e il personaggio di Suzanne, eccentrico per natura.
La protagonista, Jo Deseure, la interpreta in modo
superbo, rendendo la malattia una specie di opera d’arte in
progress. L’attrice belga, attiva prevalentemente in teatro, ha
ricevuto il Premio Magritte 2022 per questa interpretazione.
Tuttavia, questo approccio ironico e disincantato investe anche il
rapporto di coppia di Alex e Noémie, in tutti i suoi aspetti. Ciò
rende il film molto godibile e accattivante, nonostante un tema non
facile e solitamente percepito come molto impegnativo dal pubblico.
Qui, si riesce ad affrontarlo senza pesantezza.
L’estetica del film
La folle
vita è ambientata nel mondo dell’arte e l’occhio
avvezzo alla bellezza artistica dei due registi è evidente. Il loro
gusto estetico è raffinato e brillante. Molto calzante è la
similitudine che il film contiene. Come l’opera d’arte che
affascina tanto Suzanne, lei stessa si disfa piano piano, si
disunisce, ma senza che questo pesi sullo spettatore come una
tragedia. Divertente anche l’idea dei tessuti, che nella stanza di
Alex e Noémie hanno tutti la stessa fantasia, dai parati
all’abbigliamento dei protagonisti, come si vede anche nella
locandina del film. A questo proposito, ricordiamo che i costumi
sono di Frédéric Denis e la fotografia è curata da
Jorge Piquer Rodríguez.
Un ottimo cast ne La folle
vita
Le interpretazioni ne La
folle vita, al di là di quella della protagonista, di
cui si è parlato, sono tutte molto efficaci. Jean Le
Peltier, attore e regista che aveva già lavorato con Sirot
e Balboni nel corto Avec Thelma nel 2017, apparso poi in
Mon légionnaire di di Rachel
Lang, veste i panni di Alex in modo convincente,
destreggiandosi tra le preoccupazioni e le premure di figlio e il
ruolo di compagno. Mentre a
Lucie Debay –
Le nostre battaglie, Mon Légionnaire –
spetta il compito di interpretare il personaggio più “scomodo”. Una
donna, Noémie, accogliente e vicina alla madre del suo compagno, ma
che al tempo stesso non è disposta a rinunciare al suo desiderio di
essere madre. Una figura forte e dolce al tempo stesso, oltre che
pragmatica, che l’attrice fa sua in modo originale. Infine, va
menzionato Gilles Remiche, nel ruolo di Kevin, che
viene assunto per assistere Suzanne nella quotidianità. Premio
Magritte 2022 come miglior attore non protagonista, Remiche era un
attore di talento, purtroppo scomparso nello stesso anno.
Accettazione e libertà
La folle
vita è un film ironico e brioso, anche se drammatico,
sull’accettazione della malattia. E’, però, anche fieramente
contrario all’annullamento di sé in favore del malato. Lo si può
interpretare poi, come un inno alla libertà, se si considera questa
nuova fase della vita di Suzanne come la prosecuzione naturale
della sua eccentrica esistenza. Una fase in cui, paradossalmente,
proprio grazie alla malattia, è libera di esprimersi senza più
filtri o freni. Infine, i registi invitano lo spettatore a
considerare la malattia come qualcosa di naturale, da accettare.
Non per questo, semplificando la situazione. Anzi, si apprezza il
pragmatico realismo con cui affrontano il tema, senza vittimismo.
Uno sguardo interessante quello dei registi belgi Ann
Sirot e Raphael Balboni, che mostrano
così il loro talento. Si spera sia possibile apprezzare presto loro
nuove pellicole, come la più recente, La sindrome degli amori
passati. Intanto, La folle vita è
dal 29 giugno al cinema, distribuito da
Wanted.
La DreamWorks Animation sforna un
nuovo film d’animazione dal titolo Ruby Gillman, la
ragazza con i tentacoli, in cui la protagonista è
un’adolescente che scopre di essere un mostro marino dalla
potentissima genealogia familiare.
Per la regia di
Kirk DeMicco, che aveva già collaborato con lo
studio di animazione per I Croods, e
co-diretto da Faryn Pearl, Ruby Gillman è
stato scritto dallo stesso DeMicco, Elliott
DiGuiseppi e Pam Brady, nota per aver
lavorato alla stesura di South Park alla fine degli anni
’90, e prodotto da Kelly Conney che aveva
partecipato al secondo e terzo capitolo della splendida saga di
Shrek e a I pinguini di
Madagascar: Il film.
Come ben noto rispetto
alla DreamWorks, non c’è uno stile di animazione proprio della
casa, e agli ideatori è dunque possibile dare libero sfogo a
ispirazione e libertà per la creazione dell’estetica dei
personaggi, peculiarità condensate nella giovane e pimpante kraken
Ruby Gillman, per la quale i disegnatori hanno tratto ispirazione
dai polpi, per rendere l’idea dell’aspetto vischioso, ma senza che
sembrasse in alcun modo spiacevole o – per meglio dire –
minacciosa. Infatti, l’elemento più inconsueto e, senza dubbio,
inaspettato de La ragazza con i tentacoli, è la scelta
di una protagonista che attingesse dal mondo dei mostri più
inquietanti e spaventosi della letteratura del secolo scorso. E il
ribaltamento della tradizione non finisce qui.
Ruby Gillman, la ragazza con i tentacoli, la
trama
Ruby vive con la sua
famiglia a Oceanside, una località posta sulla costa del mare. La
sua mamma è molto ansiosa e premurosa (in lingua originale doppiata
da Toni Collette), il papà è sorridente e pacioso
e poi ci sono il suo fratellino Sam e il piccolo e geniale
animaletto domestico Nessie. La loro pelle è di colore blu, ragion
per cui, se mai qualcuno lo dovesse chiedere, direbbero di venire
dal Canada, risposta che a Oceanside è evidentemente più che
esaustiva.
L’ambiente in cui si
svolge gran parte della vita di Ruby, e che viene subito
presentato, è la tipica high school statunitense, e lei ha il suo
stretto gruppetto di amici composto da elementi – cosiddetti –
impopolari e che sventolano fieri la bandiera della ribellione al
sistema che vuole tutti gli studenti in fibrillazione per il famoso
ballo di fine anno. La base della struttura della storia guarda,
per l’appunto, alle commedie adolescenziali in cui ad essere le
antagoniste sono le ragazze più famose della scuola: come
Mean Girls di Mark Waters
del 2004, Lady Bird del 2017 di Greta
Gerwig o anche Booksmart del
2019 diretto da Olivia Wilde. Già, perché nella routinaria ma
tesa vita di Ruby succedono due cose improvvise e pazzesche, e non
potrebbe certo essere altrimenti nella vita di una sedicenne:
scopre di potersi trasformare in un kraken gigantesco, mentre a
scuola arriva una ragazza nuova e bellissima che scatena la
curiosità di tutti.
Ed è questo il punto di
maggior forza del nuovo film d’animazione della DreamWorks: la trasformazione
di un’adolescente in un mostro, sì, come ognuno si sente a
quell’età, che trova però nelle origini di quella sua mutazione
fisica la sua bellezza e identità, che fino a quel momento erano
rimaste soffocate.
DreamWorks gioca sul sicuro
C’è da ammettere che non
si tratta di nulla che sia sconvolgente o innovativo, ma questo non
è mai un problema in nessun momento dello svolgimento del film.
L’animazione è sempre all’altezza del racconto che porta avanti,
non risultando mai ovvia, anche quando confortevole nei suoi
passaggi. Anche i disegni esilaranti con la loro fluidità, nella
ricchezza delle immagini regalano colori e un ritmo sempre
coinvolgenti.
Ruby Gillman,
la ragazza con i tentacoli è insomma un rito di
passaggio dall’adolescenza alla maturità, dove viene raccontato che
la prima integrazione è sempre verso se stessi, completamente, e
solo dopo può avvenire nei confronti di un altro. Con una
caratteristica ormai consolidata nei film d’animazione, dunque,
l’intrattenimento per i bimbi è solo un primo strato: sotto al
quale ogni adulto può ricordare dove risiedono le basi della
propria unicità.
Subito dopo la
presentazione al Teatro Antico, dal
Taormina Film Fest 2023 arriva nei cinema A Thousand And
One,
opera prima della statunitense A. V. Rockwell,
già vincitrice del Gran Premio della Giuria al Sundance
Film Festival 2023 e che Lucky Red e
Universal Pictures International Italy distribuiscono nei nostri
cinema a partire dal 29 giugno. Ad accompagnare una vicenda che
attraversa la storia di New York, mostrando una faccia diversa
della cosiddetta Grande Mela, complementare a quella più
folcloristica o turistica che molti si accontentano di vedere.
Inez
e Terry, americani di serie B
la storia di Inez, una
donna determinata e impetuosa interpretata dalla cantante Teyana
Taylor, uno spirito libero costretto a vivere ai margini della
società e insieme una madre ferocemente decisa a garantire un
futuro al figlio Terry, di 6 anni (sullo schermo Aaron Kingsley
Adetola, con Aven Courtney e Josiah Cross a prenderne il posto
nelle successive fasi della crescita), a ogni costo. Anche a costo
di rapirlo, sottraendolo al sistema di affidamento dello Stato e
nascondendosi dietro una nuova identità. Qualcosa che sembra essere
precluso a quelli come lei – come la possibilità di una casa e di
una stabilità – soprattutto in una città in così grande
cambiamento, ma nella quale non è facile poter avere tutti gli
stessi diritti. Tanto più se hai la pelle nera.
A
Thousand And One, le tante Americhe nascoste
Una delle peggiori
abitudini dei tempi e dei luoghi che viviamo è quella di
identificare con il termine ‘Americano‘ tutto ciò che
riguarda gli Stati Uniti e i suoi abitanti, ignorando tanto i
canadesi quanto intere nazioni del centro e del Sud del continente,
che generalmente tengono a volersi distinguere dagli
statunitensi, appunto. Termine che già in sé nasconde non
poche complessità e conflitti al suo interno, come si vede anche
nella storia raccontata dalla Rockwell.
Dove Harlem è diversa da
quella del Gospel e della 125th st che normalmente attirano i
viaggiatori, dalla retorica dell’Apollo e dell’orgoglio di una
comunità che ancora oggi fatica a veder riconosciuti i propri
diritti o a non essere discriminata (purtroppo, come altre). E dove
la rappresentazione segue la trasformazione del quartiere senza
risparmiare nulla allo spettatore nel suo attraversare diverse
epoche, dagli anni ’90 di Rudy Giuliani al nuovo millennio di
Michael Bloomberg.
Teyana Taylor stars as “Inez de la Paz” in writer/director A.V.
Rockwell’s A THOUSAND AND ONE, released by Focus Features. Credit:
Courtesy of Aaron Ricketts/Focus Features
Harlem come la Sicilia letteraria: un luogo di
‘vinti’
Ma soprattutto
restituendo – anche visivamente, grazie a scelte intelligenti di
luci e fotografia – con grande onestà la verità di una vita
difficile, costantemente fuori dai radar delle istituzioni (spesso
dimentiche del loro ruolo, al servizio del cittadino) e
ostinatamente contro. Non a caso quella di Inez, non è più solo
lotta per la sopravvivenza, ma un bisogno di riconoscimento che va
al di là dei documenti e di risarcimento, dopo una vita di
sopraffazione.
Non c’è pace per questi
personaggi, dei ‘Vinti’ – pur dalla parte opposta dell’Oceano e
lontani dal Mediterraneo – in cerca di rivalsa, schiavi del proprio
rancore e vittime pressoché impotenti di ogni sopruso. Una realtà
che la protagonista combatte fino alla fine, nel tentativo di
realizzare una catarsi forse illusoria, a differenza del più solido
Lucky, personaggio maschile ben reso da William Catlett
(The Devil You Know,
Gli ultimi giorni di Tolomeo Grey, Black Lightning, Lovecraft
Country) e protagonista di una evoluzione più evidente
seppur con meno ombre.
Sono molti i non detti
lasciati alla sensibilità del pubblico, quelli nei quali si
nasconde la vera forza di questo A Thousand And
One, che sin dal titolo suggerisce simboli da
decifrare. Nello specifico, di una location nella quale all’unità
di luogo si sovrappone una solo apparente staticità temporale e
insieme la conferma di un destino ineluttabile che condanna alla
sconfitta di ogni aspirazione, persino quelle più elementari, di un
letto, un tetto, un padre, una madre.
Bertand Bonello,
regista francese di culto, spesso presente sulla croisette di
Cannes, torna a dirigere con Coma,
viaggio nella mente di un’adolescente, a chiusura di quella che lui
stesso ha definito come una trilogia politica sui giovani, iniziata
con
Nocturama nel 2016 e proseguita poi con
Zombie Child nel 2019. Protagoniste,
Julia Faure e Louise Labeque.
Bertrand Bonello, cineasta tra
nouvelle vague e contemporaneità
Regista, sceneggiatore e compositore
francese, nato a Nizza nel 1968, con il suo secondo film
Le Pornographe, Bonello vince il premio
FIPRESCI al Festival
di Cannes. Il protagonista del film,
Jean-Pierre Léaud, è l’attore simbolo della
nouvelle vague. Con L’Apollonide – Souvenirs de la
maison close, del 2011, ottiene otto candidature ai
premi César e vince quello per i migliori costumi.
Saint Laurent del 2014, è la sua visione del
genio della moda, interpretato da
Gaspard Ulliel. Poi, Bonello dà il via alla trilogia
che ora arriva a compimento con Coma. In Nocturama, il cui
titolo è ispirato a un brano di Nick Cave, parla di terrorismo a
Parigi, protagonisti un gruppo di adolescenti. Mentre, con
Zombie Child affronta in modo originale il colonialismo.
Protagonista la giovane Louise Labeque, che
ritroviamo in Coma. Il suo nuovo lavoro
si è già aggiudicato il premio FIPRESCI (Encounters) al
Festival di Berlino 2022.
La trama di Coma
Coma è uno
di quei lavori che non seguono un filo narrativo, non hanno una
vera e propria trama. Si può dire però, che la protagonista,
Louise Labeque, è un’adolescente che trascorre il
tempo in casa, per la maggior parte nella sua stanza, durante il
periodo di confinamento dovuto al Covid. È sempre sola. È così che
inizia ad immaginare, ad esempio, i dialoghi tra le sue bambole
all’interno della loro casa giocattolo. Le voci dei vari Barbie e Ken sono di
Laetitia Casta,
Gaspard Ulliel – questo è stato l’ultimo film
dell’attore prematuramente scomparso – Vincent
Lacoste,
Louis Garrel,
Anais Demoustier. A rompere l’isolamento della ragazza
sono solo qualche videochiamata con le amiche e il canale della
youtuber Patricia Coma, Julia Faure, che lei segue
sempre. Patricia Coma fa presa sui suoi ascoltatori con teorie
bislacche quanto affascinanti sulla possibilità di evadere dal
mondo circostante ed approdare a una dimensione di sospensione, che
chiama limbo. La mente della giovane protagonista comincia così a
vagare tra sogno e realtà, tra immaginazione e incubo, con esiti
imprevisti.
Coma, mescolanza di stili
visivi e linguistici
Coma è un
mix di stili diversi, innanzitutto visivi: live action, animazione
– curata da Josselin Facon – 3D digitale, stop
motion. Un linguaggio dinamico, che si avvicina ai giovani e cerca
un dialogo con loro. Bonello cerca di fare un gesto che li tocchi,
che li desti. Le immagini in continuo cambiamento, l’avvicendamento
veloce di stili visivi possono essere disorientanti, quanto sono
però accattivanti ed efficaci. Le immagini di apertura, ad esempio,
sono sgranate, la camera inquadra frammenti di una donna in
movimento veloce, dettagli di oggetti. Il regista si rivolge ad
Anna, sua figlia diciottenne, in un cortometraggio che poi è
divenuto parte di Coma, un film nel film. Bonello dedica a
sua figlia questo lavoro, come il precedente
Nocturama. Il suo invito a lei, come a
tutti i giovani, è a non soccombere alla corrente e resistere nei
momenti difficili, perché nella disperazione vi è il seme della
rinascita. Il film si concentra poi sulla protagonista,
Louise Labeque, evidenziandone isolamento e
alienazione, certo acuiti dal confinamento causato dalla pandemia,
ma in ogni caso metafora di una condizione di solitudine
esistenziale in cui si trovano oggi molti ragazzi. Qui il
linguaggio diventa quello degli schermi dei pc o dei cellulari, che
mediano le conversazioni con le amiche della protagonista.
Attraverso lo schermo di un pc passa anche la youtuber Patricia
Coma, col suo linguaggio accattivante. Efficace l’interpretazione
di Julia Faure, capace di rendere le molteplici
sfaccettature del personaggio. Ad introdurre alla dimensione
onirica o inconscia della protagonista, vi sono inserti in bianco e
nero in cui si parla del potere oscuro dei sogni. Il mondo onirico
della ragazza, poi, è buio, inquietante, ma anche un rifugio per
lei. Un luogo che la spaventa, ma la attrae allo stesso tempo. Lì
si sente libera dal giudizio proprio e altrui. Si tratta però di un
rischio, perché può portarla ad allontanarsi progressivamente dalla
realtà. Ed ecco che, più prosegue questo percorso, più l’immagine
si trasfigura, la protagonista si trasforma.
Un puzzle anarchico, ma
coerente
Coma è
dunque una sorta di patchwork, un puzzle con tanti pezzi.
Bertrand Bonello – anche sceneggiatore, creatore
delle scenografie, compositore della colonna sonora originale e
produttore del film – più che spiegare, dà degli input e poi lascia
che sia lo spettatore ad elaborarli. Il lavoro può apparire
confusionario e in diversi momenti non è forse facile seguirlo, ma
lo si fa più agevolmente se si abbandona l’idea classica di
narrazione e ci si lascia catturare da uno stile multiforme, che
segue i meccanismi della mente. Si vede così che Coma ha
una sua coerenza interna. Si tratta di suggestioni, visioni,
spunti. Il montaggio di Gabrielle Stemmer segue le
associazioni di idee della protagonista. Il reale è oscurato e il
personaggio, chiuso in uno spazio senza finestre sull’esterno,
sprofonda in una sorta di delirio onirico. Bonello non mira a dare
una linearità, piuttosto incolla, come in un’opera di Rotella,
produce una stratificazione. È lo spettatore che, guardando il film
nel suo insieme, trova un senso.
Le atmosfere di Coma
Il film è pervaso da un senso di
angoscia, di suspense, anche grazie alle musiche originali dalle
sonorità elettroniche, composte da Bonello, e alla scelta di non
mostrare ciò che si immagina cruento. Il regista lo lascia fuori
scena, facendone arrivare allo spettatore solo i suoni. Si sentono
pianti e urla fuori campo. Sta allo spettatore mettere in moto la
propria immaginazione. Ciò rende il racconto inquietante. I pochi
momenti di leggerezza sono musicalmente affidati ai brani
interpretati da Andrea Laszlo De Simone, già autore di diverse
musiche per film.
La dimensione politica
Infine, c’è una dimensione politica
in Coma, come in altri lavori del regista. Il film è
punteggiato di ironia e sarcasmo, non manca una critica sulla
gestione della pandemia. Non è questo però il cuore del lavoro,
quanto il concetto di libertà, basti pensare alla riflessione che
si fa sul libero arbitrio. È questa libertà che i giovani – e non
solo loro – sono invitati a recuperare. Libertà di sognare, di
vivere a pieno e non solo in mondi virtuali o immaginari. Libertà
di esprimersi senza lasciarsi fiaccare dalle proprie paure,
nonostante questi tempi difficili, di disastri naturali e minacce
incombenti. Anche nei momenti peggiori, sembra dire il regista, si
può rinascere e ripartire, magari dal margine, dal confine del
buio. Coma di Bertrand Bonello si fa
apprezzare come prodotto di una mente anarchica, libera e
originale, un’evasione dal mainstream che recupera il valore
dirompente delle immagini. Prodotto dal regista con Justin
Taurand, il film arriva nelle sale dal 10 luglio, solo per
tre giorni, distribuito da Wanted Cinema.
Abbiamo incontrato il regista
francese
Bertrand Bonello per parlare del suo nuovo
lavoro, Coma, nelle sale italiane solo
dal 10 al 12 luglio. Bonello scrive, dirige, produce, oltre ad
essere autore delle musiche originali e della scenografia, un
viaggio immaginifico tra le paure e i dubbi di un’adolescente,
confinata in casa durante la pandemia di Covid 19. Terzo capitolo
di una trilogia sui giovani iniziata nel 2016 con
Nocturama.
Come nasce Coma
Bertrand Bonello
racconta così la genesi di Coma, che
contiene anche una dedica personale alla figlia Anna, diciottenne
all’epoca delle riprese. “Questo film è nato con due momenti.
La parte iniziale è una lettera rivolta a mia figlia, da cui è nato
il primo cortometraggio. Questo primo cortometraggio mi ha dato poi
la voglia di esplorare ancora più a fondo questa dedica. Grazie ai
mezzi del cinema, ciò mi ha permesso di entrare nella mente di una
giovane diciottenne, che si trova ad affrontare un mondo sempre più
arduo per i nostri giovani. Questa possibilità che mi sono dato, di
entrare nella mente di un giovane, mi ha permesso di esplorare
tantissimi mondi diversi, attraverso associazioni di idee. Mondi
diversi che a un certo punto comunicavano tra loro. Mi ha permesso
anche di provare a capire come funziona il cervello, di esplorare
linguaggi diversi, di passare dai sogni fino agli incubi”.
I giovani, il confinamento durante
la pandemia e il ruolo degli adulti
Coma
riporta lo spettatore al periodo della pandemia e all’idea del
confinamento, sofferto allora soprattutto dai giovani. Mentre
colpisce nel lavoro l’assenza degli adulti. Chiediamo dunque a
Bonello se, a suo modo di vedere, gli adulti
avrebbero potuto fare di più per aiutare i ragazzi a superare quel
momento così critico e cosa possano eventualmente fare ora per
rimediare. “La pandemia, il Covid è stato essenzialmente un
pretesto per me per parlare della libertà e del rapporto degli
umani con la libertà. Col senno di poi, avremmo potuto anche non
partire dal contesto della pandemia per arrivare a trattare questo
tema. Per gli adulti, la pandemia è stato un momento strano, ma per
alcuni può essere stato anche meraviglioso, […] un momento
in cui ritrovare il tempo per noi stessi, un tempo che non c’è mai.
Per i giovani invece, in una fase della loro vita in cui si aprono
al mondo, sono pronti a lanciarsi nel mondo, la pandemia può
essersi rivelata in molti casi, di una violenza estrema,
un’imposizione totale, che li privava di ciò di cui avevano
bisogno, ciò che sognavano e desideravano. Dal punto di vista
politico, non so […] se si poteva fare di più. Penso che,
nel modo che abbiamo di rivolgerci ai nostri giovani, nel modo in
cui li accompagniamo, come genitori, dobbiamo cercare di parlare
loro dei desideri, di quello di cui hanno bisogno e probabilmente
insegnare loro a riaccendere il desiderio e il sogno che gli è
stato tolto”.
Il linguaggio visivo e verbale di
Coma, vario e accattivante
Tante le scelte visive e
linguistiche diverse contenute in Coma. Tra le prime,
animazione, live action, 3D. Bonello ne parla
così: “È vero, ci sono mondi diversi in questo film, declinati
in tantissimi linguaggi diversi. C’è il linguaggio degli
adolescenti, quello che vediamo nelle conversazioni FaceTime tra il
personaggio principale e la sua amica. In quelle conversazioni era
tutto scritto, previsto, senza improvvisazione, ed è un primo tipo
di linguaggio. Poi, c’è il linguaggio molto particolare e studiato
di Patricia Coma, il cui personaggio passa proprio attraverso la
forza della parola, una parola che cambia anche nel corso del film,
pregna di un linguaggio televisivo, del mondo dei mass media, che
poi diventa più filosofico. Infine, quando vengono tolte tutte le
maschere, è un linguaggio più umano, nel momento in cui lei mostra
la sua fragilità. C’è anche un altro tipo di linguaggio, quello
delle barbie, molto diretto, pregno delle caratteristiche
della comunicazione di oggi, dei social network. Lì si parla di
argomenti basici, di vita quotidiana, come l’amore, i
tradimenti”. Dunque, un universo composito, reso efficacemente
sia dal punto di vista visivo, delle immagini, che delle
parole.
Julia Faure e il suo lavoro sul
personaggio di Patricia Coma
Accanto alla protagonista, la
giovane Louise Labeque colpisce la figura
della youtuber Patricia Coma, che dà il titolo al film.
Julia Faure, che le ha dato corpo, descrive così
questo personaggio dalle molteplici sfaccettature: “Con
Bertrand abbiamo lavorato insieme al personaggio in modo abbastanza
semplice. Abbiamo lavorato molto sulla voce, sul tono, a livello
vocale nella costruzione di questo personaggio, perché volevamo
raccontare una figura evocatrice, che ricordasse un po’ il passato,
anche il passato mitico del cinema delle femmes fatales. Volevamo,
però, che fosse allo stesso tempo una figura premonitrice, in grado
di dare messaggi sul futuro, molto inquietanti, una sorta di
oracolo distopico che preannuncia l’apocalisse. Al livello
personale, quello che mi ha interessato particolarmente è il
degrado psichico di un personaggio come questo, che ha vocazione ad
influenzare le menti, le tendenze, le voglie dei giovani, ma che
non ha idea di dove sta andando, non sa rispondere alle proprie
domande ed è ancora più sola della gioventù a cui si
rivolge”.
Coma
arriva nelle sale italiane dal 10 al 12 luglio, prodotto da
Bertrand Bonello e Justin Taurand
e distribuito da Wanted Cinema.
Ecco una clip in anteprima da
Silent Land, il nuovo film di Aga
Woszczyńska, al cinema dal 29 giugno, distribuito da
I
Wonder Pictures in collaborazione con Sardegna Film
Commission.
Gli assolati paesaggi della Sardegna
fanno da sfondo a un inatteso dramma interiore scatenato da un
incidente che sconvolge le vacanze estive di una benestante e
giovane coppia polacca che ha deciso di soggiornare in un’isolata
villetta in Sardegna con vista mare e completa di piscina.
L’apparente idillio quotidiano di Anna (Agnieszka
Żulewska) e Adam (Dobromir Dymecki) viene
improvvisamente interrotto da una serie di eventi: i ventilatori
non funzionano e la piscina, a causa della siccità, si trova
senz’acqua. Non bastano la limpidezza dei fondali marini, la
bellezza della macchia mediterranea e la quiete del paesaggio per
ricomporre la tensione tra i due protagonisti, al contrario, le
loro coscienze saranno profondamente scosse dagli inattesi eventi e
dalle loro conseguenze. Silent Land mette al centro un difficile
rapporto di coppia, in un racconto che esplode presto nel dramma e
fa emergere il lato più oscuro delle relazioni interpersonali.
https://www.youtube.com/watch?v=3VIxeythcbU
Silent Land è una coproduzione
polacco-italo-ceca di Agnieszka Wasiak per la polacca Lava Films,
Giovanni Pompili per l’italiana Kino Produzioni e Jordi Niubó per
la società ceca i/o post, in Italia sarà distribuito da I Wonder
Pictures in collaborazione con Sardegna Film Commission.
In occasione dell’uscita al cinema
di Rodeo, il nuovo film di
Lola Quivoron con Julie Ledru,
Yannis Lafki, Antonia
Buresi, Cinefilos.it offre la
possibilità ai suoi lettori di assistere gratuitamente al film.
La proieziona del film è previste il
5 luglio in diverse sale italiane. Ecco l’elenco completo delle
sale che aderiscono all’iniziativa:
Per prenotare il tuo invito
gratuito valido per 2 ingressi clicca qui (link) riceverai una e-mail di conferma invito fino
ad esaurimento posti.
Rodeo, la trama
(Francia – 105’) – Il vento tra i
capelli, il rombo del motore, l’asfalto caldo che scorre sotto le
ruote. E l’adrenalina che percorre tutto il tuo corpo, come una
scarica elettrica. Julia non riesce a immaginare la sua vita senza
una moto. Fiera e indipendente, frequenta il giro dei “rodei”
urbani, corse clandestine di motociclisti. Ma quando un incontro
casuale la porta a unirsi a una banda di centauri, la posta in
gioco si alza: in una successione di furti e colpi sempre più
pericolosi, per riuscire a dimostrare il suo valore la ragazza
dovrà essere disposta a rischiare tutto. Tra Titane e Fast &
Furious, Rodeo di Lola Quivoron è una corsa forsennata in moto, un
mix altamente infiammabile con una protagonista travolgente e
impossibile da dimenticare.
Ecco il trailer ufficiale di
La Maledizione della Queen Mary, il nuovo horror
diretto da Gary Shore scritto da Shore insieme a
Tom Vaughan e con Alice Eve,
Nell Hudson e Joel Fry. Il film
arriverà nei cinema italiani il 19 luglio, distribuito da Eagle
Pictures.
La Maledizione della Queen Mary, la
trama
Nel 1938 una famiglia di artisti
salpa a bordo del maestoso transatlantico di lusso Queen Mary, ma
La traversata dell’oceano si trasforma ben presto in un incubo
quando il padre, David, viene assalito da una furia omicida, e
uccide brutalmente tutta la sua famiglia, condannando la nave a un
destino maledetto.
Molti anni dopo la famiglia Calder
si imbarca sulla Queen Mary per un viaggio di lavoro insieme al
figlio Lukas. Esplorando la nave, il bimbo si imbatte negli
agghiaccianti spettri di quel passato di sangue, fino ad esserne
completamente posseduto. Per salvare l’anima di Lukas, la famiglia
Calder sprofonderà così in un incubo senza fine. Quali misteri si
celano ancora negli spettrali corridoi della Queen Mary? Cosa
dovranno sacrificare i passeggeri per arrivare alla fine del loro
viaggio ancora in vita?
Le voci hanno turbinato quando
Miley Cyrus ha pubblicato il video musicale
per il suo successo del 2023 “Flowers“, che la ritrae in
un vestito dorato che molti paragonano a quello indossato da
Jennifer Lawrence per una premiere di
The
Hunger Games. La Lawrence commenta rivelando che non
c’era alcuna verità nella notizia. Anche se ha riconosciuto che la
coppia si era già baciata una volta per ragioni artistiche nei
film, è stato molto tempo dopo che Liam Hemsworth e Miley Cyrus si erano lasciati.
“Non vero, voce
totale“, ha detto Lawrence. “Voglio dire, conosciamo
tutti me e Liam, tipo, ci siamo baciati una volta. Erano
passati anni dalla loro rottura, quindi ho pensato che fosse, tipo,
una coincidenza”.Jennifer Lawrence attualmente recita nella
commedia R-rated No Hard Feelings che da noi uscirà con il titolo
Fidanzata in affitto; nel frattempo Liam Hemsworth reciterà nella quarta stagione
di The
Witcher di Netflix.
Prenderà il posto di Henry Cavill nei panni di Geralt.
Dopo le
prime foto FX
Networks ha rilasciato il primo teaser
trailer di A Murder At The End of the
World, la miniserie giallo in arrivo, con la
vincitrice del Golden GlobeEmma Corrinnei panni di una detective dilettante. Il
video offre uno sguardo al cast principale, tra cui Corrin,
Harris Dickinson,
Clive Owen e altri. Il thriller drammatico
inizierà in streaming il 29 agosto su Hulu negli USA. In Italia
arriverà su Star, canale per adulti di Disney+.
Dai un’occhiata al teaser
trailer di A Murder At The End of the World qui sotto:
Di cosa parla A Murder At The End of
the World “Un omicidio alla fine del mondo”?
“Una serie misteriosa con
un nuovo tipo di detective al timone: un investigatore dilettante
della Gen Z e un hacker esperto di tecnologia di nome Darby
Hart“, si legge nel logline. “Darby e altri otto
ospiti sono invitati da un solitario miliardario a partecipare a un
ritiro in un luogo remoto e abbagliante. Quando uno degli
altri ospiti viene trovato morto, Darby deve usare tutte le sue
abilità per dimostrare che si è trattato di un omicidio contro una
marea di interessi contrastanti prima che l’assassino si tolga
un’altra vita”.
A Murder At The End of The
World (precedentemente intitolato Retreat) è stato creato e diretto
da Brit Marling e
Zal Batmanglij, con Marling anche co-protagonista della
serie. Insieme a Corin ci sono Harris Dickinson,
Clive Owen,
Alice Braga, Joan Chen, Raúl Esparza, Jermaine Fowler, Ryan J.
Haddad, Pegah Ferydoni, Javed Khan, Louis Cancelmi, Edoardo
Ballerini, Britian Seibert, Christopher Gurr, Kellan Tetlow, Daniel
Olson, e Neal Huff.La serie di 7 episodi è
prodotta da Marling, Batmanglj, Andrea Sperling, Melanie Marnich e
Nicki Paluga. Proviene da FX Productions.
L’attore Tom Cruise ha commentato il successo dei suoi
film Mission:
Impossible.Tom
Cruise ha interpretato il personaggio dell’agente IMF
Ethan Hunt sin dal primo film di Mission: Impossible nel 1996. Con il settimo
capitolo dietro l’angolo del franchise di grande successo, Cruise
ha parlato del processo di realizzazione di Mission:
Impossible – Dead Reckoning Part One, e come è
cresciuta la serie.
“È in continua
evoluzione“, ha detto Cruisea Empire . “Devi essere
piuttosto inesorabile e onesto con te stesso su storie e struttura
e cosa funziona e cosa no. Non voglio fermarmi finché non sarà
giusto”.Questo suona vero per un franchise con
le sue prime cinque puntate tutte con registi diversi dietro la
macchina da presa. Ciò ha portato ogni film ad avere la sua
atmosfera unica fino a quando Christopher
McQuarrie ha diretto il quinto film, Mission: Impossible – Rogue Nation,
ed è rimasto a dirigere la serie fino al prossimo ottavo
film.
Christopher
McQuarrie una volta ha parlato di come durante la
produzione di Mission:
Impossible – Dead Reckoning Part One, ha scoperto che
Berlino non avrebbe più permesso loro di filmare un inseguimento a
piedi in un aeroporto in costruzione. “Stavamo per girare
questa sequenza all’aeroporto e un inseguimento a piedi lì“,
dice. “E poi Berlino ha detto: ‘No, siamo troppo vicini
all’apertura dell’aeroporto.‘” Improvvisamente, l’inseguimento
a piedi è finito. La sequenza dell’aeroporto era
finita. Un altro pugno nello stmoaco con cui rotolare su una
produzione piena di problemi.
“Poi Abu Dhabi ha detto:
‘Bene, abbiamo un aeroporto‘”, ricorda McQuarrie. “E
abbiamo detto, ‘Fantastico – invece di un inseguimento a piedi,
facciamo qualcosa nel deserto.'” Questo ha portato il cast
e la troupe di Dead Reckoning ad Abu Dhabi, dove hanno realizzato
quella che McQuarrie definisce “la sequenza più dura, più difficile
che io abbia mai fatto e doveva far funzionare. Ora, è una sequenza
di cui siamo immensamente, immensamente orgogliosi. Ma è come
tutto il resto in Mission: se avessi saputo entrare, non l’avrei
mai fatto.
Tutto quello che c’è da sapere su Mission: Impossible – Dead
Reckoning Part One
In Mission:
Impossible – Dead Reckoning Parte UnoEthan
Hunt (Tom
Cruise) e la sua squadra dell’IMF si trovano di fronte
alla sfida più pericolosa che abbiano mai affrontato: trovare e
disinnescare una nuova terrificante arma che minaccia l’ intera
umanità. Con il destino del mondo e il controllo del futuro appesi
a un filo, la squadra inizierà una frenetica missione in tutto il
mondo, per impedire che l’arma cada nelle mani sbagliate. Messo di
fronte a un nemico misterioso e onnipotente, tormentato da forze
oscure del passato, Ethan sarà costretto a decidere se sacrificare
tutto per questa missione, comprese le vite di coloro che gli
stanno più a cuore.
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Prima ancora di essere nominata
all’Oscar per
Un Gelido Inverno e ancor prima di diventare
Katniss in
Hunger Games, a quanto pare Jennifer Lawrence aveva sostenuto un provino
per diventare la protagonista di un’altra famigerata serie di
successo, Twilight.
L’attrice impegnata in questi
giorni per promuovere il suo ultimi film
Fidanzata in affitto, in uscita nelle sale, ha rivelato di aver
fatto un provino per Twilight. L’attrice
32enne si è aperta in modo più dettagliato sulla sua audizione
fallita per il franchise di vampiri. Mentre era ospite
del podcast
di The Rewatchables, Jennifer Lawrence ha affermato di essere
stata “rifiutata immediatamente” per i film.
“Ho fatto il provino
per Twilight,
[e] mi hanno rifiutato immediatamente”, ha rivelato. Jennifer Lawrence ha continuato, dicendo che
“non ha nemmeno ricevuto una richiamata. Ma la mia vita sarebbe
stata totalmente diversa. Ho avuto Hunger
Games , credo, tipo, un anno dopo. Probabilmente è stato
dopo
Un Gelido Inverno. Aggiunge che tra le riprese
dei film di Hunger Games, stava cercando di
realizzare altri film che non facessero parte del franchise per
“contrastare” l’essere conosciuta proprio per questo.
“[Quindi ero] non solo
conosciuto per questo franchise… Ero ancora in un franchise, quindi
stavo ancora cercando di contrastare il franchise. Lo farei
ancora se fossi in Twilight . Ma quasi non
ho fatto Hunger Games perché era
uscito Twilight ed era successo quel fandom“.
Jennifer Lawrence ha continuato, spiegando che
mentre “stava cercando di parlare con la gente di questa
decisione dopo che [Hunger Games ] mi è
stato offerto, è stato difficile spiegare alla gente… questo
livello di fama“. “Pensavo che sarebbe stato il livello di
fama di Twilight e non è mai stato
qualcosa che avevo in mente”, ha condiviso. “Non ho mai voluto
essere la persona più famosa del pianeta. È una vita molto
diversa da quella che immaginavo per me”.
Jennifer Lawrence in precedenza aveva parlato
del suo provino per Twilight in un’altra intervista,
dicendo che non sapeva davvero quale fosse il suo provino.
Venom
3 ha ufficialmente iniziato la produzione e,
grazie ad alcuni video sul set di Venom 3, oggi
arriva una prima occhiata al protagonista del film, Tom
Hardy che ritorna ad interpretare Eddie Brock.
Il video proviene dai fan che
filmano Hardy, vestito con quello che sembra essere lo stesso
vestito che indossava nella scena post-crediti
di Spider-Man:
No Way Home. In quel film, Tom Hardy guarda gli eventi del film svolgersi
in TV in un bar, prima di essere catapultato con forza nel suo
universo. Tuttavia, lascia dietro di sé un pezzo di simbionte,
sicuramente destinato a devastare l’MCU. Hardy può essere visto allontanarsi da
alcuni edifici, con fumo e fuoco accanto a lui. Guarda i video sul
set di Venom 3 qui
sotto:
A maggio, il titolo provvisorio di
Venom 3 è stato rivelato come
essere Orwell, che alcuni fan
hanno preso come riferimento a Orwell Taylor della
Marvel Comics, un ex generale dell’esercito
degli Stati Uniti che formò la squadra di supercriminali cacciatori
di Venom nota come “Jury”. Il personaggio di Orwell ha
svolto un ruolo di primo piano nella miniserie Venom: Lethal
Protector dello scrittore David Michelinie e dell’artista Mark
Bagley, che ha segnato il primo titolo da solista di Venom
quando è stato lanciato nei primi anni ’90. In attesa di una
conferma sul titolo ufficiale, restano sconosciuti i dettagli della
trama, mentre sappiamo che l’uscita in sala è attualmente fissata
all’ottobre 2024.
Oltre al ritorno di Hardy nel ruolo
di Venom/Eddie Brock, Venom 3 introdurrà la star
di Ted Lasso, Juno Temple, in
un ruolo significativo anche se sconosciuto. Anche la star di
Doctor StrangeChiwetel
Ejiofor, che interpreta lo stregone Karl Mordo nel
Marvel Cinematic Universe, è stata
confermata per il cast di Venom 3 in un ruolo a sua volta
sconosciuto. Al momento della stesura, Hardy, Temple ed Ejiofor
sono gli unici tre attori ufficialmente coinvolti nel progetto,
lasciando i fan a ipotizzare se Michelle Williams
e/o Stephen Graham torneranno per riprendere i
rispettivi ruoli di Anne Weying e il detective Mulligan dal
precedente Venom ( 2018) e Venom: La furia di
Carnage (2021).
Dopo mesi di audizioni e provini, la
Warner Bros e i DC Studios hanno finalmente i loro nuovi
Clark Kent/Superman e
Lois Lane. Stando a quanto riportato da Deadline, David
Corenswet dovrebbe infatti interpretare Superman mentre
Rachel
Brosnahan interpreterà Lois Lane in Superman: Legacy, il
film scritto e diretto da James Gunn che
rappresenterà l’inizio del nuovo DC
Universe. La decisione arriva dopo che i due sono stati
tra i pochi selezionati per provare
davanti ai co-presidenti della DCPeter Safran
e Gunn stesso in costume e trucco completo per le parti.
Le prove si sono svolte nell’arco di
due giorni con gli uomini; uno dei giorni ha visto i tre attori
selezionati in completo abbigliamento da Superman. Fonti vicine
hanno affermato che ogni attore aveva concluso accordi di prova che
sarebbero scaduti dopo due settimane lavorative, quindi chiaramente
tutte le parti volevano che la questione venisse risolta prima di
un potenziale sciopero SAG-AFTRA, che potrebbe entrare in vigore a
mezzanotte del 30 giugno.
Per Corenswet, il film segnerà il
suo primo ruolo da protagonista importante in un film di uno studio
importante, essendo già apparso in progetti come Pearl e le serie
The Politician e Hollywood. L’attore sigla
dunque ora l’affare più importante della sua carriera fino ad ora.
La Brosnahan è invece reduce dall’ultima stagione del suo ruolo da
protagonista in La fantastica signora
Maisel, che ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra cui
una vittoria agli Emmy.
La Warner Bros deve ancora ancora
comunicare se parteciperà al Comic-Con del mese prossimo a San
Diego, quindi c’è ancora una possibilità che i due attori vengano
ufficialmente essere presentati al panel della Hall H dello studio.
Se però ci fosse uno sciopero SAG-AFTRA, Corenswet e Brosnahan non
potrebbero partecipare poiché le linee guida dello sciopero
affermano che nessun attore può promuovere alcun progetto durante
uno sciopero.
Superman: Legacy, tutto quello che sappiamo sul
film
Superman:
Legacy non sarà un’altra storia sulle origini, ma
il Clark Kent che incontriamo per la prima volta qui sarà un
“giovane reporter” a Metropolis. Si prevede che abbia già
incontrato Lois Lane e, potenzialmente, i suoi compagni
eroi (Gunn ha detto che esistono già in questo mondo e che
l’Uomo di domani non è il primo metaumano del DCU). Il casting è
attualmente in corso, con la speranza che venga fatto un annuncio
ufficiale al Comic-Con di San Diego di quest’anno.
Superman:
Legacy uscirà nelle sale l’11 luglio 2025
Secondo quanto riferito, Gunn ha
consegnato la prima bozza della sua sceneggiatura prima dello
sciopero degli sceneggiatori, ma ciò non significa che la
produzione non subirà alcun impatto in futuro. “Superman:
Legacy è il vero fondamento della nostra visione creativa per
l’Universo DC. Non solo Superman è una parte iconica della
tradizione DC, ma è anche uno dei personaggi preferiti dai lettori
di fumetti, dagli spettatori dei film precedenti e dai fan di tutto
il mondo”, ha detto Gunn durante l’annuncio della lista
DCU. “Non vedo
l’ora di presentarti la nostra versione di Superman che
il pubblico potrà seguire e conoscere attraverso film, film
d’animazione e giochi”.
Batman è da sempre
uno dei supereroi dei fumetti più amati e celebrati, nonché uno dei
primi ad essere stato portato in televisione e al cinema. Ad aver
dato vita al primo lungometraggio dedicato al personaggio è stato
Tim Burton,
reduce dai successi di Pee-wee’s Big Adventure e Beetlejuice – Spiritello
porcello. Burton, come noto, non è un appassionato di
supereroi, ma verso Batman nutriva un certo interesse, dato dal suo
essere al confine tra bene e male e dal fatto che dietro la
maschera del supereroe c’è un uomo solitario in cerca di vendetta.
Nel 1989 arrivò così sul grande schermo
Batman.
Burton era però interessato non
tanto a dar vita ad un adrenalinico film d’azione, quanto più a
studiare la psicologia del protagonista. Una scelta che ha portato
a non badare alla storia in sé e per sé, che all’epoca fu infatti
giudicata da molti come piatta e banale. Tutto invece contribuisce
a descrivere lo stato d’animo del cavaliere oscuro di Gotham, dalla
colonna sonora di Danny Elfman alle scenografie di
Anton Furst, Leslie Tomkins e
Peter Young premiate poi con l’Oscar. Il risultato
è un film con sì dei richiami fumettistici, ma anche profondamente
incentrato sull’esplorazione di una personalità cupa, che detta
dunque il tono all’intero lungometraggio.
Batman fu poi un successo
straordinario, con un guadagno di oltre 400 milioni di dollari.
Ancora oggi è considerato come uno dei film capostipite per le
trasposizioni dei fumetti al cinema, un’opera imprescindibile da
scoprire e riscoprire. Prima di intraprendere una visione del film,
però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al cast di attori. Infine,
si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama del film Batman
In occasione del duecentesimo
anniversario della fondazione di Gotham City, il sindaco chiede al
procuratore Harvey Dent e al commissario
James Gordon di ripulire la città dalla
criminalità e dalla profonda corruzione, amministrata dal
malavaitoso Carl Grissom. Quando le forze
dell’ordine realizzano di essere in netto svantaggio, un misterioso
giustiziere mascherato corre in loro soccorso. L’uomo pipistrello,
soprannominato Batman, infatti, consegna i
criminali alla giustizia e tenta piano piano di fermare gli
illeciti del boss mafioso. Vedendo il proprio impero crollare,
Grissom decide di punire il proprio braccio destro,
Jack Napier, per la propria infedeltà.
L’esecuzione di Napier, tuttavia, è
impedita proprio dall’arrivo di Batman, che ingaggia una
colluttazione con i criminali presenti. Napier, però, cadendo
accidentalmente in una vasca di rifiuti chimici viene ritenuto
morto. L’uomo, in realtà, è riuscito a sopravvivere agli agenti
chimici ma il suo aspetto è stato irrimediabilmente deturpato.
Folle di rabbia, Napier cambia il suo nome in
Joker e medita di vendicarsi di tutti gli abitanti
di Gotham City, uccidendoli con il potente gas ‘Smilex’. Un
pericoloso e imprevedibile nemico di Batman sta dunque prendendo
sempre più poter in città e lo scontro tra i due sarà ben presto
inevitabile.
Per il ruolo di Batman, la Warner
Bros. avrebbe voluto un noto attore di film d’azione, ma Burton
aveva idee opposte a riguardo. Egli ricercò piuttosto un attore
sconosciuto, optando infine per Michael Keaton, con il quale aveva già
lavorato in Beetlejuice. I fan del personaggi furono però
profondamente scontenti dalla scelta, temendo che con Keaton si
sarebbe dato vita ad una versione comica di Batman. L’attore riuscì
però a far cambiare opinione a tutti, dando vita ad un Batman
estremamente convincente. A Keaton si deve anche l’intuizione di
far parlare Batman con una voce diversa, elemento che verrà poi
ripreso anche nelle successive versioni cinematografiche.
Per quanto riguarda il look del
personaggio, Burton specificò di volere un costume totalmente nero,
che rendesse dunque difficile distinguere il personaggio
nell’oscurità. Indossare questo fu per Keaton una sfida non da
poco, poiché il lattice della maschera lo rendeva praticamente
privo di udito. L’attore sfrutto allora tale condizione di
isolamento per costruire al meglio il carattere solitario del
personaggio. Inizialmente, anche riguardo al costume i fan
espressero pareri negativi, affermando che questo risultava poco
minaccioso. Una volta visto nel contesto del film, però, il costume
ideato da Bob Ringwood risultò estremamente
convincente.
Particolarmente importante fu poi
il casting per Joker. Il ruolo stava per essere affidato a
Robin Williams, il quale fu però poi scaricato in
favore di Jack Nicholson,
cosa che provocò una frattura tra Williams e la Warner Bros. Per il
ruolo, Nicholson dovette naturalmente sottoporsi a diverse ore di
trucco, ma ciò non sembrò per lui essere un problema, tanto che in
seguito definirà il Joker come uno dei suoi personaggi preferiti
tra quelli interpretati in carriera. Il ruolo di Vicky Vale è
invece affidato a Kim Basinger,
mentre Billy Dee
Williams è Harvey Dent. Degni di nota sono poi anche
Pat Hingle nei panni del commissario Gordon e
Michael Gough in quelli del maggiordomo Alfred,
ruolo che interpreterà anche nei successivi tre film su Batman.
Il trailer di Batman e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Batman grazie alla sua presenza su alcune
delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV,
Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes e
Now. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma
di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere
un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale
comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre
presente nel palinsesto televisivo di martedì 27
giugno alle ore 21:10 sul canale
TwentySeven.