La legge di Lidia
Poët, la serie in 6 episodi, prodotta da Matteo Rovere,
una produzione Groenlandia, e creata da Guido Iuculano e Davide
Orsini, debutterà il 15 febbraio 2023 su Netflix in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo.
Matilda De Angelis è Lidia Poët, la prima donna in
Italia ad entrare nell’Ordine degli Avvocati.
Nel cast,
Matilda De Angelis nel ruolo della protagonista, ed
Eduardo Scarpetta in quello del giornalista Jacopo Barberis.
Pier Luigi Pasino è Enrico Poët, fratello di
Lidia, mentre Sara Lazzaro e Sinéad
Thornhill sono rispettivamente Teresa Barberis, moglie di
Enrico, e Marianna Poët, la loro figlia. Dario Aita è
Andrea Caracciolo. La serie è diretta da
Matteo Rovere e Letizia Lamartire e scritta da
Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo
Piccirillo.
La trama della serie
tv
Torino, fine 1800. Una
sentenza della Corte d’Appello di Torino dichiara illegittima
l’iscrizione di Lidia Poët all’albo degli avvocati, impedendole
così di esercitare la professione solo perché donna. Senza un
quattrino ma piena di orgoglio, Lidia trova un lavoro presso lo
studio legale del fratello Enrico, mentre prepara il ricorso per
ribaltare le conclusioni della Corte.
Attraverso uno sguardo
che va oltre il suo tempo, Lidia assiste gli indagati ricercando la
verità dietro le apparenze e i pregiudizi. Jacopo, un misterioso
giornalista e cognato di Lidia, le passa informazioni e la guida
nei mondi nascosti di una Torino magniloquente. La serie rilegge in
chiave light procedural la storia vera di Lidia Poët, la prima
avvocata d’Italia.
AMBIENTAZIONE: LA TORINO
DI FINE OTTOCENTO
Torino alla fine
dell’Ottocento conta duecentomila abitanti, e tra questi c’è un
imprenditore che sta per fondare la FIAT, la più importante
azienda automobilistica del Paese, nonché il più grande gruppo
finanziario e industriale privato italiano del XX secolo. A Torino
c’è la più libera comunità ebraica d’Italia, ci sono i circoli
anarchici, c’è la camorra napoletana, ci sono i socialisti e c’è
Anna Kuliscioff. Poi ci sono i primi ospedali psichiatrici, i
fanatici dello spiritismo, Cesare Lombroso con i suoi allievi,
buona parte della famiglia reale, le prime tangenti, le prostitute
più raffinate d’Italia, i teatri aperti a ogni ora, i concorsi di
bellezza e i funerali dei nobili. Insomma, Torino alla fine
dell’Ottocento è un posto strano dove abitano persone strane. Un
teatro del mondo, sintesi dei tempi che stanno per venire. Una
città pirotecnica, eccessiva, contraddittoria, magniloquente,
autodistruttiva. Come c’è da aspettarsi, è anche una città dove
si uccide e si finisce in prigione. Una città dove gli avvocati
fanno affari d’oro.
PERSONAGGI
LIDIA POËT (Matilda De
Angelis)
È stata la prima donna
d’Italia ad iscriversi all’Ordine degli Avvocati, ma una sentenza
della Corte d’Appello di Torino del 1883 le proibisce di esercitare
la professione perché donna. Oltraggiata e offesa dalla sentenza,
Lidia non si perde d’animo e convince suo fratello Enrico a
lavorare come assistente legale, cercando la verità sull’innocenza
dei loro clienti anche fuori da un’aula di tribunale. Lidia è
un’incompresa – lo è sempre stata, specie da suo padre, sin dai
tempi dell’infanzia – che non riesce a piangersi addosso ma che si
rimbocca le maniche giorno dopo giorno per ottenere quello che
merita. La sua stella polare sono l’indipendenza e l’emancipazione,
per cui lotterà tutta la vita e che la portano a diffidare
totalmente dell’amore e del matrimonio. Almeno finché non conosce
l’affascinante Jacopo Barberis…
JACOPO BARBERIS (Eduardo
Scarpetta)
Giornalista della
Gazzetta Piemontese, è un trentacinquenne solitario, affascinante,
ironico, con vedute politiche molto distanti da quelle
conservatrici tipiche della sua famiglia. La sua modernità lo rende
immediatamente empatico agli occhi di Lidia, ma l’anticonformismo
con cui vive alla giornata è solo una corazza per nascondere i
cocci di una storia d’amore vissuta a Parigi che lo ha lasciato a
pezzi. È la spalla ideale di Lidia, entusiasta di accompagnarla nei
vicoli più bui di Torino a caccia di assassini, così come di
passare ore con lei davanti a un bicchiere di cognac.
ENRICO POËT (Pier Luigi
Pasino)
Fratello maggiore di
Lidia, Enrico è un uomo perfettamente integrato nel suo tempo. Ha
quarant’anni, una moglie più ricca e nobile di lui, una bella villa
– sempre della moglie – e uno studio legale avviato che si occupa
più che altro di cause semplici e che lo lasciano dormire di notte.
Ad un certo punto, però, il ciclone Lidia si abbatte su di lui e
tutto cambia: casi di omicidi, strangolamenti, avvelenamenti, morti
ammazzati, clienti poveri in canna… tutto concorre a distruggere la
sua quiete e le sue certezze. Ma non tutti i cicloni lasciano solo
macerie: grazie a Lidia Enrico infatti è destinato a dare una
scossa alla sua vita, riscoprendo cose che dava per scontate ed
entrando anche lui nella prospettiva che i tempi stanno
cambiando.
TERESA BARBERIS POËT
(Sara Lazzaro)
Moglie di Enrico e
sorella di Jacopo, Teresa Barberis è una donna nobile
dell’Ottocento, fieramente un passo dietro a suo marito e dedita
alla cura della casa e della famiglia. Dotata di grande arguzia e
savoir-faire ma con un carattere diametralmente opposto a quello di
Lidia, Teresa è quella che soffre di più l’irruzione nella sua vita
della protagonista, incapace di stare al suo posto e di censurare
quello che pensa.
MARIANNA POËT (Sinéad
Thornhill)
Ha quindici anni, è la
figlia di Enrico e Teresa, una ragazzina di buona famiglia
cresciuta secondo i valori familiari. All’apparenza docile ed
educata, sotto sotto è una giovane ribelle che sente più affinità
con sua zia Lidia che con sua madre. Ma a differenza di Lidia
possiede un animo romantico, il suo obiettivo di vita non è certo
quello di fare l’avvocato o lavorare ma di trovare il principe
azzurro e sposarsi. Peccato che si sia infatuata perdutamente (e
segretamente) del giardiniere di famiglia, che non può certo
offrirle il matrimonio migliore per una ragazza della sua classe
sociale…
ANDREA CARACCIOLO (Dario
Aita)
Commerciante
trentacinquenne che fa la spola tra Italia, Stati Uniti e Medio
Oriente, Andrea è il miglior amico di Lidia e il suo amante
occasionale. Una relazione all’avanguardia per quei tempi,
possibile solo grazie all’affinità elettiva tra i loro caratteri:
come Lidia, Andrea è innamorato della libertà e non vuole legami
che possano costringerlo a mettere radici. Peccato che i sentimenti
per Lidia siano più confusi di quanto voglia far credere…
NOTE DI REGIA
A cura di Matteo Rovere,
regista della serie Per realizzare La Legge di Lidia Poët sono
partito dalla pagina scritta cercando di concentrarmi a livello
registro sui personaggi ma anche su un’estetica viva, ricca, con
una stratificazione complessa e una cura dei dettagli che
raccontasse la vita di quel periodo storico in maniera precisa, ma
anche con la libertà che permetta alle spettatrici e agli
spettatori di vedere qualcosa di più profondo, che va oltre il
primo livello, la prima immagine percepita.
Il racconto di una donna
che impiega trentasette anni di battaglie per ottenere quello che è
giusto ha dell’incredibile e ha ovviamente un forte portato epico.
Per riportare sullo schermo questo carattere abbastanza unico, ho
adottato ottiche larghe e ho lavorato con la camera bassa per
enfatizzare il rapporto tra il suo volto e il suo tempo. Con shot
ampi si ottiene un racconto molto cinematografico, ma che al tempo
stesso ci permette di vedere la nostra protagonista in relazione al
contesto nel quale vive. Lidia è un personaggio rivoluzionario, ma
allo stesso tempo è stata espressione di quegli anni, e
registicamente ho provato a far sentire questa sensazione.
Avvicinare emotivamente
questi personaggi così forti e caratterizzati sia tra di loro, sia
con chi guarda, è stato un altro obiettivo che ho cercato di
percorrere anche attraverso movimenti diversi, legati all’emotività
della specifica sequenza. Camera a mano, steady a volte molto
complessa o integrata con i dolly, technocrane che potessero
entrare letteralmente nelle scene non solo action dando ritmo,
senza però perdere mai il cuore e il fuoco sui nostri
protagonisti.
Fondamentale il lavoro
fatto sul casting insieme a Sara Casani – attori e attrici scelti
nel tentativo di avvicinare il racconto, le pagine della
sceneggiatura, a una verità, a un realismo, a una verosimiglianza
che secondo me erano determinanti in termini emotivi e di
grammatica visiva.
Il nostro racconto è
quello di un passato che parla profondamente anche del
contemporaneo e in questo senso ho lavorato con l’utilizzo di
cromatismi che fossero affascinanti ma che vedessero sempre al
centro una naturalità degli incarnati. Esseri umani veri che si
muovono in contesti esteticamente molto curati e pieni di dettagli,
per far fare a chi ci guarda un viaggio vero in quel periodo
storico.
Un grande contributo lo
hanno dato sia la scenografia che l’arredo, i costumi, il trucco, i
capelli e le parrucche, che dovevano restituire verità ma anche
creare qualcosa di riconoscibile, un’ambientazione fine secolo,
diurna e notturna, vicina ai grandi salotti della nobiltà ma anche
segreta, legata inoltre alla stratificazione sociale tipica dei
gialli, per fare in modo che in questi sei episodi la nostra
protagonista vivesse avventure che erano e che sono indagini,
ma anche che possano risuonare tematicamente su di lei, sul suo
carattere, che viene esso stesso “indagato”, scandagliato, sia
dalla scrittura che dalla regia, per restituire a chi guarda un
personaggio complesso, empatico, non superficiale, che lavori e
giochi anche su fragilità e debolezze.
Il gruppo di lavoro ha
fatto tantissimo, a partire dalla co-regista Letizia Lamartire, i
direttori della fotografia, gli scenografi, il suono, la post.
Tutto finalizzato a costruire un registro fortemente riconoscibile,
un immaginario realistico ma insieme lontano, avventuroso, dove
speriamo possiate felicemente perdervi.
A cura di Letizia
Lamartire, regista della serie La storia di Lidia Poët mi ha subito
affascinata e coinvolta emotivamente, perché racchiude in sé le
lotte generazionali di donne che per secoli hanno combattuto, anche
attraverso una sofferenza silenziosa e privata, la mentalità
prevaricatrice di chi le voleva sottomesse e prigioniere di
stereotipi, difficili da sradicare.
Lidia scompone i tasselli
di questo mondo costruito dagli uomini per gli uomini e lo fa con
assoluta genialità, spiazzando l’avversario con intelligenza,
ironia e talvolta senza mezzi termini.Le sue scelte e la sua voce
tagliente graffiano un sistema di esclusione, lo minano alla base e
indicano nello stesso tempo una visione di parità, che non è mera
utopia, bensì obiettivo condiviso e segnato a caratteri forti dalla
parola insieme.
Lidia ha compreso la
grammatica della lotta costante e determinata, dove è racchiusa la
potenzialità del cambiamento. Lei è un personaggio moderno,
estremamente attuale, viene dal futuro, studiosa della moderna
criminologia e della scienza forense. Nel suo modus vivendi,
ritroviamo una straordinaria fusione di arguzia, determinazione,
eleganza. Matilda interpreta Lidia con grande aderenza alla
psicologia del personaggio, seguendone il ritmo, la passione, la
forza. Lo fa con naturalezza, quasi la abitasse nell’interno e
attraversasse le pieghe della sua anima.
La serie si muove
attraverso vari stili: commedia, detection, noir in una
meravigliosa e misteriosa Torino, che si dispiega splendidamente,
mostrando i suoi colori, la sua architettura, i suoi contorni, la
cui bellezza non appartiene solo all’epoca narrata, ma continua il
suo perdurare nello scorrere del tempo.
NOTE DI PRODUZIONE
A cura di Matteo
Rovere
La legge di Lidia Poët è
il period con il quale Groenlandia si è sempre voluta confrontare.
Forte nell’ideazione, ritmato, complesso nella realizzazione.
Il racconto di una donna
anticonvenzionale che, nata nel tardo Ottocento, già brilla per
talento, spirito libero e personalità. Il suo credo è essere
anticonformista, non adeguarsi alle opinioni comuni, aggirare la
norma, pensare fuori dagli schemi, ribellarsi al pensiero dominante
e al sistema preesistente. Un vero e proprio inno alla libertà,
parola che siamo certi caratterizzerà questo racconto.
La cifra stilistica è
moderna, libera e fantasiosa, attenta ai personaggi e alle loro
pulsioni, i loro drive, i meccanismi che li mettono in moto. Più
filologica è invece la ricostruzione della scena giudiziaria di
fine Ottocento. Torino è stata l’arena perfetta, forse l’unica
possibile per arrivare alla cura che auspicavamo.
La qualità del progetto
sta tutta in quell’equilibrio tra l’ispirazione realistica
dell’ambientazione e del contesto storico e una cifra visiva pop e
“immaginifica” capace di rendere Torino e le nostre storie non
polverose ma accattivanti per un gusto contemporaneo.
I capi reparto
d’eccellenza, dalla fotografia alle musiche, dalla scenografia ai
costumi, sono stati in grado di conferire alla serie un taglio
moderno e fresco, rispettando al tempo stesso l’epoca di
riferimento, rendendo così possibile la realizzazione di un
prodotto di grande qualità e forza cinematografica.
Fondamentale è stato
l’apporto del cast, capitanato da una bravissima Matilda De Angelis
che ha arricchito il racconto in un confronto continuo tra la
sceneggiatura e i personaggi.
Abbiamo trovato in
Netflix un alleato fondamentale, garanzia di qualità e diffusione
internazionale, un vero motore creativo che ha seguito il progetto
fin dalla sua genesi. La speranza è che la nostra protagonista
possa, parlando al mondo, essere di ispirazione per chi la saprà
ascoltare.
NOTE DEGLI AUTORI
A cura di Guido Iuculano
e Davide Orsini, creatori e sceneggiatori della serie
Lidia Poët è stata
la prima donna d’Italia a laurearsi in legge e a chiedere
l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati di Torino nel 1883.
Iscrizione prima accettata e poi annullata da una sentenza della
corte d’appello. Motivazione? Era una donna.
La serie che abbiamo
scritto però non è la storia della sua vita, tutt’altro. Si
potrebbe definire un procedural classico, con i suoi casi di
puntata, gli omicidi, le indagini e i colpi di scena finali. Ma al
di là dei singoli casi, al di là del mondo di fine Ottocento che ci
siamo divertiti a ricostruire, al di là perfino dei guizzi e dei
vezzi della nostra protagonista, l’essenziale per noi è il suo
spirito: volendo usare una sola parola, la più giusta per definirlo
ci sembra “anticonformismo”.
È questo
l’anticonformismo, la nostra virtù preferita, quella a cui
guardiamo con più ammirazione, come affascinati e sedotti:
richiede coraggio, determinazione, testardaggine, e allo
stesso tempo astuzia, intelligenza e pazienza. A volte sembra uno
spreco di fatica, tempo ed energie; altre volte può sembrare una
frivolezza. “Cos’ha nella testa questa persona” si chiede il mondo
davanti ad un anticonformista, “perché non fa come tutti gli altri,
perché non si rilassa?”. La nostra serie, in qualche modo, è una
risposta a queste domande. Un grande inno alla libertà di spirito,
un’ode ad una donna – Lidia Poët – che sa essere allo stesso tempo
tutte queste cose: determinata, testarda, coraggiosa, ma anche
goffa, strana, ostinata e buffa. È lei la nostra protagonista, e di
lei parliamo nel corso di tutti gli episodi. Potevamo sceglierle un
nome qualsiasi – in fondo è un personaggio d’invenzione – ma
abbiamo voluto chiamarla Lidia Poët, e non per caso.
Lidia Poët è stata
la prima donna d’Italia a laurearsi in legge e a chiedere
l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati, ma per più di trent’anni
non ha potuto esercitare l’avvocatura alla luce del sole perché le
regole del tempo non lo permettevano. Con lei, la nostra Lidia
condivide non solo il nome, ma anche la data di nascita e
l’ambizione, la caparbietà, l’ostilità all’idea del matrimonio e il
desiderio di indipendenza. In questo senso, la nostra serie è anche
un omaggio alla vera Lidia Poët, una celebrazione di quella virtù
che risuona e risplende nella vita di chiunque voglia poter dire,
un giorno, di non esser passato inutilmente su questo pianeta.
NOTE SULLA
SCENOGRAFIA
A cura di Luisa Iemma,
Production Designer della serie
Come sempre,
nell’affrontare un progetto, la domanda regina è sempre la stessa:
cosa ho di nuovo da raccontare?
Questa domanda si
rafforza maggiormente quando la storia è una storia vera ed
appartiene a qualche secolo fa. Affrontare lavori d’epoca mette a
disagio per via del loro dualismo, la teoria che ammette la
coesistenza di due principi distinti o opposti, ossia da una parte
il rispetto per l’epoca che si racconta, con le sue caratteristiche
e le sue peculiarità, e dall’altra la necessità di farla sentire
meno distante, meno lezione di storia per chi la guarda.
Il presupposto di
partenza è stato quello di provare a togliere la polvere dai posti,
dalle superfici, dai colori, per sottolineare le note di modernità
presenti nel personaggio di Lidia e nel periodo storico in cui
vive: l’arrivo della luce elettrica, del telefono, della stampa ed
altri elementi hanno reso, infatti, la fine del 1800 un’epoca di
grandi cambiamenti.
Con l’arredatore, Giorgio
Pizzuti, abbiamo cercato di assecondare questa modernità, inserendo
colori e materiali inusuali per l’epoca. Abbiamo giocato, ad
esempio, con le carte da parati fatte ristampare con disegni
originali ma accostate a pura invenzione. Lo abbiamo fatto
diventare un po’ “pop”.
Partendo dai
sopralluoghi, abbiamo riscontrato che trovare delle location
adeguate alla storia non sarebbe stato facile, soprattutto nelle
scene esterne dove la modernità delle città ci ha reso il lavoro
molto difficile. Abbiamo coperto chilometri di strisce pedonali e
parcheggi, rifatto infissi, trovato soluzioni creative per vetrine,
citofoni, centraline elettriche, scivoli e ringhiere e tanti, tanti
metri cubi di terra per coprire altrettanti metri quadrati di
asfalto. In questo percorso i VFX ci hanno dato una gran mano!
Per quanto riguarda gli
interni in location, Torino è una città che ci ha offerto grandi
possibilità, palazzi il cui grado di conservazione dell’originale
ci ha consentito di intervenire unicamente con l’arredamento per
trasformare luoghi “museali” o semi-abbandonati in ambienti vivi.
Abbiamo utilizzato chilometri di tende, riempito e svuotato camion
di mobili, trasportato centinaia di scatoloni pieni di oggetti,
libri, tappeti, tessuti, biancheria, e tutto quello che serve a far
vivere un posto.
Per la natura del
progetto, per mia stessa natura e per necessità, visto il gran
numero di ambienti, mi sono presa la libertà di proporre spazi non
filologicamente corretti per ambientare alcune scene. Non è sempre
stato facile far vedere agli altri quello che vedevo io, ma Matteo
e Letizia sono stati sempre aperti ed entusiasti nell’accettare
cose che in potenza potevano sembrare follie.
Ho trasformato il coro
ligneo di una chiesa nella in una sala settoria, la galleria
dismessa di un mercato coperto in una fumeria d’oppio, una cartaria
in una stazione, una farmacia in un negozio di tessuti e tante
altre cose che sembrano quello che nella realtà non sono.
Detta così sembra quasi
facile, ed invece no, ma se c’è una cosa che ho imparato è che
bisogna essere tenaci e che al cinema la parola “impossibile” non
esiste!
Per quanto riguarda la
parte pratica, abbiamo disegnato e costruito muri e stanze segrete,
cercato mobili in tutta Italia, costruito la prima macchina della
verità su disegno di quella originale, usato una calligrafa per i
manoscritti dei nostri protagonisti. E ancora, abbiamo montato il
muro esterno di Casa Poët nell’unico giorno in cui ha nevicato a
Torino, smontato e rimontato una location tre volte, scoperto,
grazie a chi ci ha noleggiato le macchine da scrivere, che le prime
avevano il rullo nascosto quindi non si vedeva quello che si
scriveva fino a quando non si estraeva il foglio, che portare delle
vasche da bagno in ceramica originali dell’epoca al terzo piano di
un palazzo è impresa improba a causa del loro peso esorbitante, che
i tram erano su rotaia ma tirati dai cavalli, e che Torino, oltre
ad avere avuto la prima donna avvocato in Italia, è stata la prima
città in Europa ad avere l’illuminazione elettrica pubblica!
A tale proposito abbiamo
molto discusso con il direttore della fotografia su che tipo di
illuminazione usare: le candele, sicuramente, ma visto il periodo
di transizione abbiamo iniziato ad introdurre le lampade a petrolio
fino ad arrivare alle lampadine.
Insomma, è stata una
grande faticata ma anche una bellissima scoperta!
NOTE SULLA COLONNA
SONORA
A cura di Massimiliano
Mechelli, curatore della colonna sonora
È stato un privilegio per
me poter dare voce a un personaggio femminile così complesso come
Lidia Poët.
Una donna che si fa
interprete dell’emancipazione delle altre donne in un mondo di
uomini. Un personaggio femminile di fine ottocento che risulterebbe
moderno ancora oggi, sempre alla ricerca della verità a dispetto di
chi la vorrebbe all’interno di determinati cliché.
Con i registi abbiamo
cercato un modo di rappresentare la sua forza e la sua
universalità, tramite la musica.
Così ho intuito che le
voci di donna potessero ben rappresentare la coralità dell’universo
femminile, avendo in comune a quel tempo il bisogno di
emanciparsi.
Per conferire modernità e
forza non ho optato per un coro soave ma per una voce singola
ostinata e incalzante.
Il tema principale
Dabada-Dabada-e-a-Dabada-e è un intreccio di linee melodiche
diverse tra loro, che mescolandosi riesce a formare una melodia
precisa senza perdere la propria unicità.
Per evidenziare il
lato ‘crime’ della serie, ho proposto ai registi uno
strumento molto particolare e a mio avviso estremamente cinematico:
l’handpan, una percussione intonata utilizzata anche per la
meditazione, con cui ho cercato di enfatizzare l’alone di mistero
che caratterizza i diversi episodi.
Per rendere la sonorità
‘crime’ più consona al tempo, ho fuso l’handpan con il piano
verticale, suonato con la sordina, dandogli quell’eleganza espressa
così bene dai costumi e dalla scenografia. Il tutto unito ad archi
dinamici e moderni.
Essendo Lidia un
personaggio attuale, è stato altrettanto importante l’utilizzo
dell’elettronica, mettendola sullo stesso piano dei prodotti
investigativi contemporanei. La stessa ben si presta a generare
inquietudine nei casi che Lidia sarà impegnata a risolvere,
aumentando un effetto di oscurità nel succedersi degli episodi.
La colonna sonora riserva
ai personaggi maschili tratti più ironici, rappresentati da
chitarre, mandolini, percussioni e contrabbassi, esprimendo così la
furbizia della protagonista nel condurli verso il proprio
gioco.
Lidia è un personaggio
rock a tutti gli effetti, e non mancano scene in cui è stato
utilizzato questo genere musicale a contrasto con il contesto
generale, estremizzando e distorcendo le voci, in modo da poter
meglio esprimere la rabbia del personaggio.
Per registrare
l’orchestra d’archi siamo volati a Budapest, agli East Connection
Studios, dove è stata registrata la colonna sonora de La Regina
degli Scacchi, mentre per le batterie, le voci, le chitarre e il
mix ci siamo affidati allo storico studio Digital Records di
Roma.
NOTE SUI COSTUMI
A cura di Stefano
Ciammitti, Costume Designer
L’ispirazione principale
per la costruzione dell’armadio di Lidia Pöet sono stati
soprattutto i tessuti dalla storica Tessitura Luigi Bevilacqua a
Venezia, un posto ricco di fascino dove ancora i velluti vengono
tessuti a mano con dei telai del XVIII secolo.
L’amore per i dettagli
filologici mi è stato insegnato dal mio maestro Piero Tosi,
l’audacia nell’uso del colore e delle fantasie barocche sono invece
ispirate alla scuola inglese contemporanea.
Anche i gioielli sono
stati disegnati per Lidia nel gusto orientale per gli insetti e
della tassidermia.
TORINO, CURIOSITÀ DAL
SET
La serie è stata girata,
nella sua interezza, nella città di Torino. Le molte scene
realizzate all’interno del tribunale del capoluogo piemontese sono
state girate presso l’Ex Curia Maxima di Via Corte d’Appello,
location di norma inaccessibile e resa disponibile esclusivamente
per le riprese.
Per alcune aule del
tribunale è inoltre stato utilizzato Palazzo Falletti Barolo,
insieme al Palazzo dei Cavalieri, trasformato nella redazione della
Gazzetta Piemontese.
Numerosi ciak hanno
coinvolto anche il Museo del Carcere Le Nuove, oltre a varie piazze
e strade del centro che durante le riprese hanno fatto da sfondo a
carrozze, cavalli, costumi d’epoca: la centralissima e iconica
Piazza Cavour, ad esempio, dove sono state girate le scene in
esterna di Villa Barberis, casa di famiglia di Lidia Poet i cui
interni sono invece stati ricostruiti per varie settimane di
riprese a Racconigi, presso Villa San Lorenzo.
L’ex lanificio Bona, nel
comune di Carignano, è stato trasformato in una fabbrica di
cioccolato, mentre il Teatro Alfieri di Asti ha ospitato le riprese
di varie scene trasformandosi, per esigenze narrative, nel Teatro
Regio di Torino.
Sono state inoltre
coinvolti il Castello e la Certosa di Collegno, il Museo
Ferroviario Piemontese di Savigliano, la Basilica di Superga e
diversi scorci di Borgo Cornalese a Villastellone.