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Anemone: recensione del film dei Day-Lewis, il ritorno del padre e la nascita del figlio – Alice nella Città

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Presentato in anteprima italiana a Alice nella Città 2025, in occasione della Festa del Cinema di Roma, dove lo abbiamo visto, Anemone segna un doppio evento cinematografico di rara intensità: il ritorno alla recitazione di Daniel Day-Lewis, dopo otto anni da Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson, e l’esordio alla regia del figlio Ronan, che firma anche la sceneggiatura insieme al padre. L’incontro tra le due generazioni Day-Lewis si traduce in un’opera solenne, un film che vive di silenzi, sguardi e lente rivelazioni, e che fa della memoria e del perdono i suoi cardini più profondi.

Un ritorno che non è solo professionale, ma quasi spirituale, perché in Anemone Daniel non interpreta semplicemente un personaggio, ma un riflesso di sé stesso, un uomo che — come lui — riemerge dal silenzio per affrontare il tempo e la memoria.

Il ritorno del padre

Ambientato nel nord dell’Inghilterra, tra foreste cupe e brughiere battute dal vento, Anemone racconta la storia di Ray (Daniel Day-Lewis), un uomo che ha scelto di isolarsi dopo un trauma familiare, e di Jem (Sean Bean), il fratello che decide di ritrovarlo dopo decenni di lontananza. Il film prende forma dal loro incontro, da un ritorno che è al tempo stesso fisico, emotivo e simbolico: Jem cerca Ray, ma Ray deve prima ritrovare sé stesso per poterlo salvare.

Ronan Day-Lewis costruisce così una doppia storia: quella di un figlio che dirige il padre nella finzione, e quella di un padre che, nella finzione, torna alla vita per salvare il figlio. È un gioco di specchi tenero e vertiginoso, in cui la realtà familiare si riflette nella finzione cinematografica fino a confondersi.

Già dalle prime inquadrature, Ronan dimostra una sorprendente maturità visiva. Il suo cinema procede come una marea: lento, costante, solenne, capace di sommergere lo spettatore senza mai travolgerlo. Ogni immagine è misurata, ogni respiro pesa. È un film che cresce dentro, che continua a espandersi anche dopo la visione, come un’eco silenziosa che resta nel petto.

Un film di silenzi e confessioni: la regia del dolore e della rinascita

anemone film

In Anemone, la regia di Ronan Day-Lewis si impone per la sua eleganza e per la capacità di trasformare il dolore in linguaggio visivo. Ogni inquadratura è un quadro in movimento, illuminato da una luce lattiginosa e incerta, come se tutto fosse immerso in una perenne aurora. La foresta diventa un luogo dell’anima, un labirinto di rami e nebbia dove il passato ritorna sotto forma di presenze invisibili. È lì che i due fratelli si cercano, si perdono, si confessano.

Il ritmo è solenne e inesorabile, scandito da silenzi più eloquenti di qualsiasi parola. La tensione non nasce dal conflitto esterno, ma da quello interno: la difficoltà di guardare in faccia chi ci somiglia troppo. In questa lentezza controllata, Ronan trova la sua voce: un tono dolce e crudele insieme, che non concede distrazioni.

Daniel Day-Lewis, tornato davanti alla macchina da presa dopo anni di ritiro, offre un’interpretazione che va oltre il mestiere. Il suo Ray è un uomo spezzato, che ha smesso di credere nella possibilità del perdono. Ma è anche un padre, e sarà proprio l’amore — o il ricordo di esso — a costringerlo a riemergere dal suo esilio. In questa parabola c’è qualcosa di profondamente meta-cinematografico: come Ray torna alla vita per il figlio, così Daniel torna al cinema per suo figlio Ronan, mettendo in scena, con la grazia che lo contraddistingue, la potenza del legame che li unisce.

L’attore si muove tra dolore e dignità, trasformando ogni sguardo in una confessione. È una performance scarnificata, quasi mistica, che parla del tempo, della memoria e dell’impossibilità di tornare davvero indietro.

Accanto a lui, Sean Bean restituisce a Jem una vulnerabilità nuova, una dolcezza inaspettata. Il suo personaggio rappresenta il mondo che preme ai confini della foresta, la vita che continua anche quando ci si rifiuta di parteciparvi. Samantha Morton, in un ruolo laterale ma determinante, incarna la voce del passato, la memoria di un affetto mai guarito.

A legare tutto c’è un sound design magistrale, fatto di assenze e di echi. In Anemone il suono non accompagna l’immagine, ma la costruisce. Non c’è musica tradizionale, ma un paesaggio sonoro composto da fruscii, respiri e vento. È come se la natura stessa partecipasse al dolore dei personaggi, rendendo l’esperienza cinematografica profondamente immersiva e sensoriale.

Daniel Day-Lewis e Sean Bean in Anemone
Daniel Day-Lewis e Sean Bean in Anemone. Cortesia di Focus Features

Memoria, identità e eredità: un film che parla di vita e di cinema

Anemone è molto più di un dramma familiare. È un film che interroga il tempo, la memoria e il senso stesso del racconto. Ronan Day-Lewis utilizza la storia dei due fratelli per parlare del rapporto tra generazioni, tra chi ha già detto tutto e chi deve ancora trovare la propria voce. È un film sul ritorno, ma anche sulla trasmissione: ciò che un padre lascia a un figlio, non come eredità materiale, ma come gesto d’amore e di arte.

C’è qualcosa di straordinariamente commovente nel vedere Daniel Day-Lewis diretto da suo figlio. Lì, davanti alla macchina da presa, non c’è solo un attore che torna a recitare, ma un padre che offre il proprio volto e la propria voce per raccontare la nascita di un nuovo sguardo. Ronan, dal canto suo, restituisce tutto con una delicatezza che sorprende. Non sfrutta il mito del padre: lo accoglie, lo abbraccia, e attraverso di lui trova il proprio linguaggio.

La metafora dell’anemone, il fiore che si chiude al minimo contatto, attraversa il film in ogni suo gesto. Ray è come quel fiore: fragile, ferito, incapace di aprirsi se non nel momento della resa. E in quella fragilità, in quel piccolo movimento verso la luce, c’è tutto il senso del film. Nel finale, non ci sono abbracci o parole risolutrici. C’è solo un gesto — minimo, concreto, umano — che racchiude la possibilità del perdono. È lì che Anemone trova la sua verità più profonda: la vita può tornare, anche dopo il silenzio più lungo.

Con Anemone, Ronan Day-Lewis firma un esordio maturo e potente, che unisce il respiro classico del grande cinema britannico alla sensibilità contemporanea. È un film che parla di padri e figli, ma anche di cinema e rinascita, di memoria e identità. Un film che cresce lentamente dentro chi lo guarda, come un fiore ostinato che continua a fiorire anche dopo la tempesta. Un debutto che non è solo una promessa, ma un atto d’amore.

40 secondi: recensione del film che racconta le ultime ore di Willy Duarte Monteiro – #RoFF20

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Visto in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, nella suggestiva Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica, 40 secondi di Vincenzo Alfieri è una di quelle opere che ti costringono a restare seduto anche dopo i titoli di coda, in silenzio, con un peso che non è solo dolore, ma anche consapevolezza. Presentato all’interno del Concorso Progressive Cinema, il film nasce dall’omonimo libro di Federica Angeli e si propone come una ricostruzione asciutta, a tratti quasi documentaria, delle ventiquattr’ore che precedono l’omicidio di Willy Duarte Monteiro, il ventunenne capoverdiano ucciso a Colleferro, nella notte del 6 settembre 2020, mentre tentava di difendere un amico.

Alfieri sceglie di non cedere al sentimentalismo, ma di affidarsi a un linguaggio che alterna tensione e contemplazione, cercando di restituire non solo il fatto, ma il clima che lo precede. È un film che cerca il senso nascosto della violenza, la catena invisibile di sguardi e atteggiamenti che, in una notte qualunque, possono trasformarsi in tragedia. 40 secondi non è solo la misura temporale di un pestaggio, ma il simbolo di tutto ciò che precede e segue quel tempo sospeso: un istante che contiene la banalità del male e il suo potere di distruzione.

Fin dall’inizio Alfieri imposta un racconto che si muove su più piani, costruendo una rete di incontri e situazioni apparentemente casuali. Ogni gesto quotidiano diventa un indizio di ciò che accadrà. C’è un realismo che si avvicina alla cronaca, ma la messa in scena lo trasforma in qualcosa di più profondo: una riflessione sulla responsabilità, sull’inerzia e sulla paura che attraversa la nostra società.

Una regia che scava nei volti: l’estetica del reale e il magistero pasoliniano

Il grande merito di 40 secondi è la regia di Alfieri, capace di alternare la freddezza dell’osservazione al calore dell’empatia. La macchina da presa è quasi sempre vicinissima ai volti, come a volerli decostruire. Alfieri ci entra dentro, li guarda da dietro la pelle, li mette a nudo per mostrarne le contraddizioni, la rabbia trattenuta, la paura di essere deboli. Questo lavoro minuzioso di introspezione visiva costruisce un film in cui ogni movimento di macchina è pensato per restituire allo spettatore la fisicità di quella tensione che esploderà di lì a poco.

Quando la storia si concentra su Willy, invece, la regia cambia tono: la camera si apre, il respiro si allarga, e la luce si fa più naturale, l’atmosfera operosa e piena di speranza. È come se Alfieri costruisse due film dentro lo stesso racconto: da un lato l’inferno della violenza, dall’altro la possibilità di un’umanità diversa, fatta di lavoro, amicizia e sogni semplici. In questa contrapposizione si avverte chiaramente la lezione di Pier Paolo Pasolini, non tanto citato quanto riletto e reinterpretato. C’è in Alfieri una stessa tensione verso il reale, lo stesso desiderio di capire “come sia possibile” un tale orrore, senza mai compiacersene.

i fratelli Bianchi in 40 Secondi
Cortesia di Eagle Pictures

Il lavoro sugli attori è un altro punto di forza. Accanto ai volti già noti di Francesco Gheghi e Francesco Di Leva, spiccano i giovani selezionati attraverso lo street casting, che portano sullo schermo un’energia ruvida, istintiva, non addomesticata. La loro presenza conferisce autenticità e potenza al racconto, trasformando il film in un vero esperimento di cinema del reale. Alfieri li dirige con attenzione quasi documentaristica, lasciando emergere le sfumature di ciascun personaggio senza giudicarlo apertamente, ma sicuramente non assolvendo.

Anche dal punto di vista tecnico, 40 secondi è un film curatissimo. La fotografia gioca con il contrasto tra le ombre delle strade e le luci calde dei luoghi familiari, mentre la colonna sonora si mantiene discreta, accompagnando i momenti di maggiore intensità senza mai sovrastarli. Il risultato è un equilibrio raro tra forma e sostanza, tra estetica e verità emotiva.

C’è qualcosa, in questo film, che ricorda le operazioni di cinema civile degli anni Settanta, ma aggiornate alla contemporaneità: un lavoro di ricostruzione certosina che non cerca solo la verosimiglianza, ma un senso morale. In questo senso, la produzione Eagle Pictures sembra proseguire un percorso già intrapreso con film come Il ragazzo dai pantaloni rosa, in cui la tragedia vera diventa occasione per una riflessione collettiva.

Tra emozione e retorica: il coraggio e i limiti di 40 secondi

In alcuni momenti Alfieri sembra farsi prendere troppo dal dolore, indugiando sulle emozioni fino a renderle quasi programmatiche. Alcune scelte narrative, come quella di inserire nel finale la testimonianza dei fratelli Bianchi, risultano incomprensibili o, quantomeno, discutibili: un gesto che sposta l’attenzione dall’elaborazione del dolore alla cronaca giudiziaria, rischiando di indebolire la forza simbolica del racconto.

Eppure, anche in questi limiti, il film conserva la sua onestà. 40 secondi è un’opera che si espone, che non cerca scorciatoie né consolazioni, ma prova a raccontare un dolore collettivo con rispetto e lucidità. Nel finale, quando la storia torna a Willy e alla sua figura luminosa, la pellicola ritrova il suo cuore più autentico: quello di un ragazzo che rappresenta la parte migliore di un Paese spesso distratto, quella che lavora, che sogna, che tende la mano invece di colpire.

40 Secondi film 2025Il film si chiude con un senso di impotenza, ma anche di urgenza. Alfieri non pretende di dare risposte, ma ci obbliga a fare i conti con una domanda: come può la violenza esplodere così, in quaranta secondi, dentro una notte qualsiasi?. Ed è in questa domanda che il film trova la sua ragion d’essere.

Nonostante qualche passaggio retorico, la forza della pellicola resta intatta e ci riporta al centro della questione morale e sociale della nostra epoca. La banalità del male, di cui parlava Hannah Arendt, diventa qui un concetto cinematografico: un movimento di macchina, un respiro trattenuto, un silenzio prima del colpo.

Ciò che rimane di 40 secondi è un sentimento di perdita, ma anche di consapevolezza. È un film che chiede rispetto, che invita al ricordo e alla riflessione, e che ci ricorda, con una lucidità dolorosa, quanto sia sottile la linea che separa la normalità dalla barbarie. Alfieri non cerca di consolare, ma di capire. E nel farlo, consegna al pubblico un’opera imperfetta ma profondamente umana, capace di trasformare la cronaca in cinema e il cinema in memoria.

Colombiana: la spiegazione del finale del film

Colombiana: la spiegazione del finale del film

Il film Colombiana del 2011 ha avuto un finale ricco di azione che è riuscito a concludere molte delle trame del thriller. Coprodotto da Luc Besson e diretto da Olivier Megaton, la sceneggiatura di Colombiana era basata su Mathilda, originariamente scritta come sequel di Léon del 1994 da Besson, autore sia dell’iconico dramma poliziesco che del thriller d’azione del 2011. Molti dei temi di Colombiana e Leon si sovrappongono, con la storia di Cataleya che ricorda in modo inquietante quella di Mathilda, accolta dallo zio Emilio dopo che l’omicidio dei suoi genitori a Bogotá la costringe a fuggire negli Stati Uniti e la spinge a imparare a diventare un’assassina in questo intenso film con Zoe Saldana.

Il viaggio a Chicago avrebbe potuto darle la possibilità di lasciarsi alle spalle la vita di suo padre Fabio in Colombia, ma Cataleya (Zoe Saldana) non avrebbe mai potuto dimenticare Don Luis che uccideva brutalmente sua madre e suo padre davanti ai suoi occhi. La sua fuga precipitosa da Marco e dai suoi scagnozzi ha dimostrato le capacità di Cataleya all’inizio di Colombiana, ma ciò non significava necessariamente che dovesse intraprendere il gravoso compito di farla pagare a Don Luis. Tuttavia, lo zio Emilio e i suoi insegnamenti hanno fatto sì che Cataleya ricordasse di cosa era capace, affinando le sue abilità con un’istruzione accademica e garantendole il successo nel vendicarsi alla fine di Colombiana.

Come Cataleya ottiene finalmente vendetta su Don Luis

Sebbene non avesse mai pianificato che Emilio e Mama pagassero le conseguenze delle sue scelte, Cataleya ha sempre saputo che avrebbe fatto pagare a Don Luis l’omicidio dei suoi genitori e ha messo in atto il suo piano ancora prima di iniziare a lasciare messaggi sui corpi delle sue vittime. La lotta particolarmente violenta contro Marco e la fuga di Don Luis potrebbero averli indotti a credere che non fosse riuscita a vendicarsi, ma tutti i pezzi del puzzle che aveva creato si sono incastrati perfettamente quando Don Luis è riuscito a sfuggirle per un soffio. I cani di Cataleya erano infatti apparsi all’inizio del film, dimostrando come fossero sempre stati inclusi nel suo brutale piano di vendetta.

Dal momento in cui Marco ha affrontato Cataleya subito dopo l’omicidio dei suoi genitori, lui e la sua banda hanno dimostrato di averla sottovalutata. Non solo è riuscita a sfuggirgli, ma è anche riuscita a ingannare Marco e Don Luis facendoli andare da lei, cosa che hanno fatto solo perché credevano di poterla uccidere facilmente. Cataleya invece ha approfittato del loro errore di valutazione, sapendo che Don Luis l’avrebbe chiamata per ricordarle che era troppo forte per essere sconfitto, firmando così la sua condanna a morte, poiché quella telefonata era l’unico modo per Cataleya di ordinare ai suoi cani di aggredirlo e ucciderlo. La loro sottovalutazione di Cataleya ha reso possibile la sua vendetta.

Zoe Saldana in Colombiana
Zoe Saldana in Colombiana. Foto di Carlos Somonte – © 2011 CTMG, Inc. All Rights Reserved.

Cosa significa davvero la telefonata di Cataleya a Danny nel finale

Se Danny non avesse mai mostrato la foto di Cataleya al suo amico, lei non sarebbe mai stata trovata dall’FBI. Anche se lui non sapeva cosa avrebbe potuto significare mostrare quella foto per la vita di Cataleya, la loro ultima conversazione prima di quella alla fine di Colombiana si è conclusa bruscamente e con lei in fuga per salvarsi la vita, e Danny non sapeva cosa fosse successo a Cataleya, soprattutto perché era stato portato in centrale per essere interrogato. Il fatto che Cataleya abbia chiamato Danny e gli abbia raccontato parte della verità significava che lo aveva perdonato, anche se le sue azioni le avevano causato molti problemi, perché lui non aveva intenzione di farlo e Cataleya alla fine credeva che lui meritasse di conoscere la verità.

Cosa succede a Cataleya dopo il finale di Colombiana

Sebbene il finale di Colombiana non spieghi cosa riserverà la vita a Cataleya dopo la sua vendetta su Don Luis, la sua telefonata a Danny ha lasciato un barlume di speranza per loro, soprattutto perché lei gli ha detto il suo vero nome e voleva fargli sapere che stava bene. Ogni vittima uccisa da Cataleya era stata scelta per attirare l’attenzione di Don Luis, in modo da poterlo trovare e uccidere, e alla fine ci è riuscita alla fine di Colombiana, chiudendo finalmente quel capitolo della sua vita iniziato con il brutale omicidio dei suoi genitori. La telefonata di Cataleya a Danny da un telefono pubblico in una stazione di servizio ha anche lasciato intendere che è riuscita a sfuggire all’FBI.

Infatti, sebbene Ross e l’FBI sapessero di più su di lei e sulla sua attività criminale, Cataleya è riuscita comunque a sfuggirgli due volte, e la prima volta è stato anche inaspettato, poiché non sapeva di essere seguita dall’amico di Danny. Con il finale di Colombiana che garantisce a Cataleya la sua vendetta su Don Luis, le sue energie non saranno più spese nel tentativo di catturarlo, rendendo più facile continuare a ingannare la polizia per tenerla lontana. Considerando come Colombiana abbia dimostrato le eccezionali abilità di Cataleya nel corso del film, è improbabile che l’FBI riesca a trovarla, soprattutto perché probabilmente smetterà di uccidere ora che Don Luis è morto.

Perché Emilio e Mama vengono uccisi nel finale di Colombiana

La scoperta del nascondiglio di Cataleya da parte dell’FBI avrebbe potuto impedirle di sorvegliare Emilio e sua madre, ma lei li aveva già evitati per anni in modo che non potessero risalire a lei. Tuttavia, dato che era stato lo zio Emilio a procurarle il lavoro e che lei inviava messaggi a Don Luis tramite i corpi delle sue vittime, era solo questione di tempo prima che Marco e Don Luis scoprissero Emilio e sua madre. La morte di Emilio e della mamma è stata il catalizzatore che ha spinto Cataleya a ricattare Ross e a scoprire dove si trovava Don Luis, ma avrebbe potuto evitarla solo se Cataleya avesse abbandonato i suoi piani di vendetta, cosa che purtroppo non è mai riuscita a fare.

Ofelia Medina e Zoe Saldana in Colombiana
Ofelia Medina e Zoe Saldana in Colombiana. Foto di Carlos Somonte – © 2011 CTMG, Inc. All Rights Reserved.

Il padre di Cataleya, Fabio, si è assicurato di addestrare Cataleya in modo che potesse sfuggire a Don Luis, e sebbene fosse lungimirante nel farle sapere come difendersi, ha anche involontariamente costretto Cataleya a vendicare i suoi genitori dopo che lei li aveva visti morire. Addestrarla da solo non avrebbe portato Cataleya a promettere a se stessa di uccidere Don Luis per vendicarsi, ma Fabio le aveva anche detto di andare da suo fratello Emilio a Chicago se fosse successo qualcosa a lui e alla madre di Cataleya. Emilio disse a Cataleya più di una volta che non voleva quella vita per lei, ma lei era stata originariamente indirizzata su quella strada da Fabio.

Come l’atto finale di Fabio ha reso inevitabile il finale di Colombiana

Infatti, quando Cataleya arrivò a Chicago, Emilio era chiaramente coinvolto con le gang, e Fabio lo aveva scelto per prendersi cura di sua figlia. La scelta di Fabio di mandare Cataleya da Emilio rafforzò il suo desiderio di vendetta, poiché sarebbe rimasta comunque vicina alle attività criminali, anche se lui e sua moglie erano stati uccisi proprio perché volevano lasciarsi alle spalle quella vita e Don Luis insieme a Cataleya. Avendo assistito in prima persona al raccapricciante omicidio dei suoi genitori, Cataleya non avrebbe potuto evitare di seguire la strada di Fabio ed Emilio, poiché era tutto ciò che conosceva.

Il finale di Colombiana chiude il cerchio della storia di Cataleya

La storia di Cataleya in Colombiana è stata violenta fin dalla prima scena del film d’azione, rendendo ancora più probabile che sarebbe finita con il raccapricciante omicidio di Don Luis. Tuttavia, vendicarsi di Don Luis ha essenzialmente garantito la pace a Cataleya, poiché tutto ciò che l’aveva spinta a uccidere per la maggior parte della sua vita era finalmente finito con la morte di Don Luis. In questo modo, Colombiana ha dato a Cataleya la possibilità di ricominciare da capo lontano dalla violenza che aveva sempre conosciuto, suggerendo una possibile felicità nel futuro di Cataleya.

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Abandoned: la spiegazione del finale del film

Abandoned: la spiegazione del finale del film

Diretto dal regista esordiente Spencer Squire, Abandoned (anche noto come La fattoria maledetta) è un film horror psicologico del 2022. La storia ruota attorno a una giovane coppia, Sara (Emma Roberts) e Alex (John Gallagher Jr.), che si trasferisce in una fattoria isolata insieme al loro bambino Liam. Sono originari della città, ma Sara ha avuto difficoltà dopo la nascita di Liam, quindi Alex ha pensato che un cambiamento di ambiente avrebbe fatto bene a entrambi. Ma dopo essere arrivati nella loro nuova casa, la famiglia scopre il suo tragico passato e decide comunque di stabilirvisi. Tuttavia, Sara inizia presto a vedere quelli che crede essere i fantasmi dei precedenti proprietari, il che mette a dura prova il suo rapporto con la famiglia. Ecco tutto quello che c’è da sapere sul finale di Abandoned.

La trama di Abandoned

Sara e Alex vivono in città dall’inizio della loro relazione. Ma dalla nascita del figlio Liam, Sara ha iniziato a soffrire di depressione post-partum. Sperando che un cambiamento di ambiente possa aiutarla, Sara e Alex acquistano una proprietà isolata in campagna e lasciano la città. La loro agente immobiliare, Cindy (Kate Arrington), non fornisce molte informazioni sulla storia della proprietà. Ma notando da quanto tempo rimane invenduta, Sara chiede il motivo. Cindy è riluttante a rivelarne la ragione e Alex è riluttante a farla sapere a Sara, ma viene rivelato che la casa era precedentemente occupata dalla famiglia Solomon. Anna Solomon ha ucciso suo padre e sua figlia prima di suicidarsi.

Desiderosi di ricominciare da capo, Sara e Alex acquistano comunque la casa e vi si trasferiscono. Tuttavia, non passa molto tempo prima che si rendano conto che avrebbero dovuto ispezionare la casa un po’ più accuratamente prima di acquistarla. Trovano una stanza con le porte chiuse a chiave e un armadio posizionato in modo strano che nasconde un’altra porta chiusa a chiave dietro di esso. Le finestre della camera della figlia sono chiuse ermeticamente. Sara e Alex incontrano il loro strano vicino, Renner (Michael Shannon), che irrompe in casa quando nessuno risponde al suo bussare e sostiene che è così che si fa in quella parte del paese.

Forse l’aspetto più inquietante di Abandoned è il pianto incessante di Liam. Questo aumenta il senso di terrore che sembra essere sempre presente nella nuova casa di Sara e Alex. Sara non ha mai sentito un forte legame con suo figlio. Allattare il bambino al seno sembrava aiutare, ma solo marginalmente. Inoltre, per poter allattare Liam, deve smettere di prendere i farmaci antipsicotici, il che, come prevedibile, inizia ad avere effetti negativi.

Alex è un veterinario. Trasferirsi in un nuovo posto significa che deve acquisire una nuova clientela. Dato che ora vive praticamente in mezzo al nulla, la maggior parte dei suoi clienti sono agricoltori che vivono a chilometri di distanza da lui e gli uni dagli altri. Questo fa sì che Alex sia assente la maggior parte del tempo, lasciando Liam con Sara nella loro nuova casa. Quando Sara inizia a sentire strani rumori in casa e alcune cose iniziano a sparire, diventa ossessionata dai Solomon e presto inizia a vederli in giro per casa.

Kate Arrington, John Gallagher Jr. ed Emma Roberts in Abandoned
Kate Arrington, John Gallagher Jr. ed Emma Roberts in Abandoned

La spiegazione del finale del film

Forse la domanda più ricorrente alla fine del film è se la casa sia infestata. Sara sopporta queste cose orribili per tutto il film, ma rimane l’unica persona a farlo. Alex convive con lei nella casa, ma non vede mai le cose che vede lei. Diventa sempre più evidente che l’aspetto horror di Abandoned è del tutto allegorico, inteso a sottolineare la depressione post-partum di Sara. Con il suo fisico esile e i capelli biondi, Sara assomiglia molto ad Anna. Il suo cervello sembra agganciarsi a questa informazione e le fa credere che i fantasmi di Anna e Robert siano ancora lì. Il film chiarisce abbastanza presto che Sara soffre di depressione post-partum, ma la sua gravità viene rivelata solo più tardi.

Indossa un elastico al polso per affrontare i suoi problemi di ansia e distinguere tra reale e irreale. Durante una delle sue allucinazioni, Liam rischia di cadere dalle scale. Fortunatamente, Alex esce dalla camera da letto in tempo e salva il bambino. Sara butta via anche il latte. Temendo per la sicurezza di suo figlio, Alex decide che non può lasciare Liam da solo con Sara. Organizza un incontro con uno psichiatra. Il dottor Carver prescrive farmaci antipsicotici, che Sara non prende, ma mente ad Alex dicendogli di averlo fatto.

Nella scena culminante, Sara convince Alex ad andarsene dopo aver ricevuto una chiamata di emergenza da uno dei suoi clienti, assicurandogli che lei e Liam staranno bene perché ha preso la droga. Poco dopo che lui se n’è andato, lei inizia ad avere delle allucinazioni. Questa volta non si tratta di Anna o del padre violento e sessualmente abusivo, ma dei due selvaggi fratelli Solomon che lei crede vivano ancora nella casa. Fino a quel momento, il suo subconscio si era manifestato sotto forma di aggressore, ma questa volta i due ragazzi agiscono come protettori, accusando Sara di abusare di suo figlio e dicendole che Liam ora appartiene a loro.

Questo sembra implicare che tutte le volte che vediamo Liam piangere quando lui e Sara sono soli in casa siano il risultato della negligenza o del vero e proprio abuso da parte della madre. La psicosi di Sara si è manifestata in modo tale che lei non ricorda ciò che ha fatto a suo figlio e ha creato nella sua mente l’intera esperienza di essere perseguitata. È la stessa mente che ora la mette sotto processo, minacciando di separarla da Liam. Affrontando questi problemi, sembra finalmente instaurare un vero legame con suo figlio. Quando arriva il mattino e Alex ritorna, Sara ha esorcizzato i suoi demoni. Questo probabilmente non significa che sia completamente guarita. La depressione non funziona in questo modo. Ma ora è almeno pronta ad affrontare i suoi problemi.

Emma Roberts in Abandoned
Emma Roberts in Abandoned

Sara è incinta?

La sequenza finale del film si svolge alcuni anni dopo che Sara e Alex si sono trasferiti nella casa. Liam è cresciuto e Sarah non ha più l’elastico al polso, segno che ha fatto molta strada. L’ultima scena del film rivela che Sara è incinta del secondo figlio di Alex. La vita della coppia è chiaramente migliorata. Hanno finalmente trasformato la loro casa in una vera famiglia.

Tuttavia, proprio prima che venga rivelata la sua gravidanza, Sara sembra turbata in una breve inquadratura del suo viso. Probabilmente è preoccupata che la depressione post-partum possa tornare, il che non è una paura infondata. La ricorrenza della depressione post-partum è piuttosto comune. Può derivare da molteplici fattori, tra cui la prospettiva di doversi prendere cura di più figli. Quindi, sarà importante che Alex sostenga sua moglie in tutto ciò di cui ha bisogno, proprio come ha fatto l’ultima volta.

Cosa è successo alla famiglia Solomon? Chi è Renner?

Come accennato in precedenza, Cindy informa con riluttanza Sara e Alex che nella proprietà c’è stato un omicidio-suicidio. Anna Solomon ha ucciso suo padre e sua figlia prima di togliersi la vita. In seguito si scopre che Anna aveva un fratello, Andrew. La loro madre morì quando Andrew aveva un anno. Robert iniziò ad abusare sessualmente di sua figlia. Ad un certo punto, Anna ha dato alla luce una figlia. Sopraffatta dagli abusi e dalla vergogna per come era stata concepita sua figlia, Anna ha commesso un omicidio-suicidio.

Tuttavia, Andrew è sopravvissuto ed è stato affidato a una famiglia adottiva. Anni dopo, è tornato. Anche se usava il nome Chris Renner, tutti nella zona sapevano chi era. Quando ha iniziato a vivere accanto alla sua vecchia casa, glielo hanno permesso. Questo è continuato fino a quando Sara e Alex hanno comprato la casa. Gli altri ragazzi di cui parla Renner sono stati probabilmente uccisi da Robert, che ha lasciato i corpi nella stanza nascosta. Ecco perché ha messo l’armadio davanti, in modo che nessuno tranne lui potesse accedervi.

Quelli che mi vogliono morto: il film è tratto da una storia vera?

Diretto da Taylor Sheridan (I segreti di Wind River), Quelli che mi vogliono morto è un film d’azione che ruota attorno a Hannah (Angelina Jolie), una vigile del fuoco che non riesce a salvare tre ragazzini da un incendio boschivo. Tormentata dal senso di colpa, inizia gradualmente a perdersi nell’alcol e nell’autolesionismo. Nel frattempo, un ragazzino di nome Connor (Finn Little) fugge da Jacksonville, in Florida, con suo padre dopo che il capo di quest’ultimo è stato assassinato. Il loro obiettivo è raggiungere lo zio materno di Connor, Ethan (Jon Bernthal), un agente di polizia del Montana.

Tuttavia, il padre di Connor viene trovato e ucciso da due assassini professionisti, Jack (Aidan Gillen) e Patrick (Nicholas Hoult). Connor riesce a scappare e incontra Hannah. Dopo aver appreso la sua situazione, Hannah decide di proteggere il ragazzo dagli assassini e dal terrificante incendio boschivo che hanno appiccato. Dopo la sua uscita, il film ha ricevuto recensioni per lo più positive, con i critici che hanno elogiato la sua rappresentazione dell’incendio boschivo e della vita dei vigili del fuoco paracadutisti. Se vi state chiedendo se Quelli che mi vogliono morto sia ispirato a eventi reali, ecco cosa dovete sapere.

Quelli che mi vogliono morto Angelina Jolie Jon Bernthal

Quelli che mi vogliono morto è basato su una storia vera?

No, Quelli che mi vogliono morto non è basato su una storia vera. È l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo giallo contemporaneo del 2014 dello scrittore americano Michael Koryta. La sceneggiatura del film è stata scritta da Koryta, Sheridan e Charles Leavitt e differisce in modo significativo dal libro originale. Ad esempio, il protagonista più giovane del libro è Jace, mentre, come già detto, nel film è Connor. Dopo aver assistito a un omicidio, Jace si iscrive con una falsa identità a un programma di sopravvivenza nella natura selvaggia per adolescenti con problemi.

Il programma è gestito da Ethan e sua moglie Allison. Anche Hannah appare nel libro ed è uno dei personaggi principali, ma la sua partecipazione non è così importante come nel film. Questi cambiamenti sono probabilmente dovuti al coinvolgimento della Jolie. Sebbene la storia raccontata dal film sia di fantasia, la sua rappresentazione degli incendi boschivi è piuttosto accurata. Il film mostra che gli incendi boschivi possono aumentare di velocità, specialmente quando si muovono in salita o in discesa. Descrive anche, sebbene brevemente, la vita pericolosa dei vigili del fuoco paracadutisti.

Quelli che mi vogliono morto Finn Little Angelina Jolie
Finn Little e Angelina Jolie in Quelli che mi vogliono morto

In America, gli smokejumper fanno parte del servizio forestale, un’unità di vigili del fuoco che riceve un addestramento esclusivo su come affrontare un incendio boschivo dopo essere atterrati sul luogo con un paracadute. Il film d’azione e thriller del 1998 “Firestorm” è un altro film che ha come protagonista uno smokejumper. Ambientato nel Wyoming settentrionale, il film racconta la storia di Jesse Graves (Howie Long), che deve salvare Jennifer (Suzy Amis), un’ornitologa, da un gruppo di detenuti evasi, affrontando contemporaneamente due incendi boschivi.

Un altro aspetto importante di Quelli che mi vogliono morto riguarda assassini professionisti, politici corrotti e funzionari governativi assassinati. La corruzione è dilagante ovunque e l’America non fa eccezione. Nel corso degli anni, numerosi membri del Congresso sono stati costretti a dimettersi dopo che le loro attività illegali sono venute alla luce. Alcuni sono stati persino mandati in prigione. È possibile che almeno alcune di queste persone influenti e potenti assumano assassini per uccidere chiunque indaghi su di loro. Quindi, è comprensibile che si possa pensare che Quelli che mi vogliono morto sia basato su eventi reali, ma chiaramente non è così.

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Festa del Cinema di Roma: Pilar Fogliati, Edoardo Leo e le star italiane sul red carper

Ecco le immagini dal red carpet della Festa del Cinema di Roma 2025, che nella serata di giovedì 16 ottobre ha offerto il suo lungo percorso della cavea ai protagonisti di Per te, su tutti Edoardo Leo, e Breve Storia d’amore, esordio alla regia di Ludovica Rampoldi, con Pilar Fogliati, Adriano Giannini e Andrea Carpenzano.

VisionQuest: lo showrunner parla del ruolo di Ultron nella serie

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VisionQuest: lo showrunner parla del ruolo di Ultron nella serie

VisionQuest concluderà la trilogia iniziata con WandaVision e proseguita lo scorso anno con Agatha All Along. C’è grande fermento intorno a ciò che questo significa per l’MCU, in particolare con Avengers: Doomsday all’orizzonte. La serie affronterà probabilmente lo status di Scarlet Witch dopo la sua apparente scomparsa in Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Per quanto riguarda Vision, si ricongiungerà con i suoi figli, Billy e Tommy Maximoff, e con alcune IA familiari del suo passato e di quello dell’MCU (che, secondo recenti voci, si nascondono a Madripoor dopo aver assunto in qualche modo forma “umana”).

Ci sono state alcune preoccupazioni tra i fan riguardo al fatto che Ultron di James Spader, ad esempio, sia stato ritratto in questo modo per risparmiare sui costi degli effetti speciali. Il design del cattivo in Avengers: Age of Ultron del 2015 era stato un argomento piuttosto controverso all’epoca, e i fan hanno aspettato più di un decennio per vedere l’androide tornare in piedi. Parlando con Phase Hero, lo showrunner di VisionQuestTerry Matalas, ha confermato che vedremo Ultron nella sua vera forma. “Si vede il robot Ultron, ma si vedono anche molto James Spader e Paul Bettany insieme”, ha anticipato. “Sono davvero il cuore pulsante della serie”.

Ha aggiunto che la serie funge da “veicolo per Bettany e Spader” ed è evidente che VisionQuest affronterà finalmente ciò che è successo dopo lo scontro finale tra Vision e Ultron nel bosco alla fine di Avengers: Age of Ultron. Questo è stato lasciato volutamente ambiguo; anche se sembrava probabile che Vision avesse distrutto suo “padre”, è stato a lungo ipotizzato che potesse averlo lasciato libero (o che Ultron avesse trovato un modo per fingere la sua morte). Il cattivo è stato chiaramente molto impegnato, circondandosi di una sorta di famiglia a Madripoor.

Ci sono ancora molte cose che non sappiamo su VisionQuest e, secondo Matalas, possiamo aspettarci che ogni episodio sia completamente unico. “Tutti”, ha risposto dopo che gli è stato chiesto se avesse un episodio preferito. “Ad essere onesti, sono tutti molto diversi. Ognuno di essi è un tipo di film diverso, quindi di ognuno potrei dire: ‘Non vedo l’ora di vederlo, non vedo l’ora di vederlo’. Sono tutti così diversi, ma tutti hanno dei momenti che preferisco”.

Stranger Things – Stagione 5, Finn Wolfhard rivela: “temo un finale criticato come Il Trono di Spade”

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Con l’avvicinarsi della fine per la banda di Hawkins, nell’Indiana, Finn Wolfhard spera di dare a Stranger Things un addio degno. L’attore ha ammesso di essere “piuttosto preoccupato” che la quinta e ultima stagione della serie fantascientifica di Netflix possa essere “fatta a pezzi”, proprio come è successo con il tanto atteso finale di Il Trono di Spade nel 2019, che ha lasciato il pubblico diviso.

Onestamente, penso che tutti fossero piuttosto preoccupati”, ha detto Wolfhard a Time. “Visto il modo in cui Game of Thrones è stato fatto a pezzi in quell’ultima stagione, ci siamo tutti avvicinati a questo progetto pensando: ‘Speriamo che non succeda una cosa del genere’. Ma poi abbiamo letto le sceneggiature. Abbiamo capito che era qualcosa di speciale”.

Stranger Things – Stagione 5, i dettagli sulla nuova stagione

Il cast della quinta stagione vedrà il ritorno di tutti i volti principali. Millie Bobby Brown sarà ancora Undici, pronta a usare i suoi poteri in una battaglia decisiva. Fanno poi parte del cast Finn Wolfhard (Mike), Noah Schnapp (Will), Gaten Matarazzo (Dustin), Caleb McLaughlin (Lucas), Sadie Sink (Max) e Natalia Dyer (Nancy), Joe Keery (Steve), Charlie Heaton (Jonathan), Maya Hawke (Robin), Winona Ryder (Joyce) e David Harbour (Hopper). Grande attesa anche per il ritorno di Jamie Campbell Bower nel ruolo di Vecna/Henry, ancora più potente e vendicativo.

Netflix sta suddividendo la quinta stagione della serie in tre uscite distinte: i primi quattro episodi debutteranno il 26 novembre, durante le vacanze del Ringraziamento, con “Sorcerer” che fungerà da finale di metà stagione. I successivi tre episodi debutteranno a Natale e il finale, “The Rightside Up”, debutterà a Capodanno. Insieme ai fratelli Duffer, gli episodi sono stati diretti dal produttore esecutivo Shawn Levy e dal regista Frank Darabont (“Le ali della libertà”).

40 Secondi: la storia vera dietro il film ispirato a Willy Monteiro Duarte

40 Secondi è un film che nasce per raccontare la violenza, la paura e il coraggio di un ragazzo che, nel tentativo di difendere un amico, ha perso la vita. Diretto da Vincenzo Alfieri e prodotto da Eagle Pictures, il film si ispira alla tragica vicenda di Willy Monteiro Duarte, avvenuta nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2020 a Colleferro.

Con un cast guidato da Justin De Vivo, Francesco Gheghi, Francesco Di Leva, Sergio Rubini e Maurizio Lombardi, 40 Secondi è un’opera che unisce cinema civile e dramma corale, riflettendo sulla brutalità e sull’indifferenza che possono consumare una vita in pochi istanti.

Cosa succede in 40 Secondi

Il film si apre con una giornata come tante: amici che si incontrano, discussioni che si accendono, un sabato sera che sembra destinato a finire senza sorprese. Ma nel giro di quaranta secondi – il tempo di uno sguardo, di una parola di troppo, di un pugno – tutto cambia.

40 Secondi racconta le ultime ore di Willy, intrecciando i punti di vista dei ragazzi coinvolti e delle persone che gravitano attorno a quella notte. L’approccio non è sensazionalistico, ma intimo e osservativo: la violenza non è spettacolo, ma trauma collettivo.

Alfieri sceglie di alternare momenti di luce – i sogni, la musica, la speranza – con quelli di buio e caos, costruendo una tensione crescente che culmina nell’aggressione finale. Ogni dettaglio, ogni gesto, è scandito da una regia che punta a mostrare quanto il male possa essere banale e rapido, come la durata del titolo stesso: quaranta secondi che cambiano tutto.

La storia vera di Willy Monteiro Duarte

i fratelli Bianchi in 40 Secondi
Cortesia di Eagle Pictures

Willy Monteiro Duarte aveva 21 anni. Nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2020, a Colleferro (provincia di Roma), intervenne per difendere un amico coinvolto in una lite davanti a un locale. In pochi istanti – quei “quaranta secondi” che il titolo del film trasforma in dispositivo narrativo – fu pestato a calci e pugni da più persone fino a perdere la vita. L’omicidio scosse il Paese e portò a quattro arresti: Marco e Gabriele Bianchi, Mario Pincarelli e Francesco Belleggia, tutti originari di Artena.

Il procedimento giudiziario ha avuto tappe decisive. Il 4 luglio 2022, in primo grado, la Corte d’Assise di Frosinone ha condannato i fratelli Bianchi all’ergastolo, Belleggia a 23 anni e Pincarelli a 21. Nel luglio 2023, in appello, ai Bianchi sono state riconosciute le attenuanti generiche con la riduzione a 24 anni; le pene per Belleggia e Pincarelli sono state confermate. Il 17 settembre 2024, la Corte di Cassazione ha annullato la decisione limitamente alle attenuanti concesse ai Bianchi, imponendo un nuovo giudizio d’appello (“appello-bis”).

L’appello-bis si è concluso a Roma il 14 marzo 2025: la Corte d’Assise d’Appello ha stabilito l’ergastolo per Marco Bianchi e 28 anni di reclusione per Gabriele Bianchi (con attenuanti generiche); le responsabilità penali per l’omicidio di Willy risultano così definitivamente riaffermate nella parte sostanziale, dopo l’intervento della Cassazione. È la fotografia giudiziaria più recente del caso.

La dimensione civile della vicenda è stata immediata e profonda. Ai funerali del 12 settembre 2020 parteciparono autorità e centinaia di persone, mentre l’episodio aprì un confronto pubblico sulla violenza di gruppo e sull’importanza di chi sceglie di intervenire per fermarla. Nei mesi e negli anni successivi, la memoria di Willy è stata tenuta viva da iniziative istituzionali e territoriali, a partire dalla piazza a lui intitolata nel luogo dell’uccisione inaugurata a Colleferro il 6 settembre 2023.

Sul piano simbolico, la Repubblica ha riconosciuto il gesto di Willy: il 6–7 ottobre 2020 il Presidente Sergio Mattarella gli ha conferito la medaglia d’oro al Valor Civile “alla memoria”, definendolo un “luminoso esempio” di coraggio e altruismo per le giovani generazioni. Questo onore sottolinea il nucleo etico della storia: l’idea che un atto di solidarietà spontanea possa – e debba – essere un riferimento per la comunità.

Nel racconto filmico, quei pochi secondi diventano il punto di non ritorno: un tempo brevissimo in cui si incrociano destini, responsabilità e omissioni. Nella cronaca reale, invece, la stessa manciata di secondi ha generato anni di indagini e processi, testimonianze di coetanei che si sono presentati subito in questura e un dibattito collettivo sulla prevenzione della violenza, sulla cultura del branco e sul valore—spesso rischioso—di non voltarsi dall’altra parte. È in questo spazio, tra memoria e giustizia, che si colloca l’“approfondimento”: ricordare chi era Willy, come e perché è stato ucciso, e quali conseguenze sociali e giudiziarie – fino alle sentenze del 14 marzo 2025 – quel crimine ha lasciato in eredità.

Timeline della vicenda Willy Monteiro Duarte (2020–2025)

  • 5–6 settembre 2020 – A Colleferro, Willy Monteiro Duarte viene ucciso durante un pestaggio mentre cerca di difendere un amico.

  • 7 settembre 2020 – Arrestati i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, Mario Pincarelli e Francesco Belleggia.

  • 12 settembre 2020 – Funerali solenni a Paliano con la presenza del Presidente del Consiglio e di numerose autorità.

  • 6 ottobre 2020 – Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella conferisce a Willy la Medaglia d’Oro al Valor Civile “alla memoria”.

  • 4 luglio 2022 – La Corte d’Assise di Frosinone condanna i fratelli Bianchi all’ergastolo, Belleggia a 23 anni, Pincarelli a 21.

  • 12 luglio 2023 – In appello, i Bianchi ottengono le attenuanti generiche: pena ridotta a 24 anni.

  • 17 settembre 2024 – La Cassazione annulla la concessione delle attenuanti e dispone un nuovo appello-bis.

  • 14 marzo 2025 – La Corte d’Assise d’Appello di Roma conferma la colpevolezza: ergastolo per Marco Bianchi, 28 anni per Gabriele Bianchi.

Dwayne Johnson e Benny Safdie di nuovo insieme per Lizard Music

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Dwayne Johnson e Benny Safdie di nuovo insieme per Lizard Music

A seguito di una situazione competitiva, United Artists di Amazon MGM Studios e Scott Stuber hanno acquisito Lizard Music, un pacchetto con Dwayne Johnson come protagonista e Benny Safdie come regista. Safdie scriverà anche la sceneggiatura, basata sul romanzo di Daniel Pinkwater. Deadline ha dato per primo la notizia che il pacchetto sarebbe stato messo sul mercato dopo che il film di Safdie e Johnson, The Smashing Machine, prodotto da A24, è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia. Il film ha fatto vincere a Safdie il premio come miglior regista a Venezia e ha fatto guadagnare a Johnson le migliori recensioni della sua carriera per la sua interpretazione del lottatore UFC Mark Kerr.

Il nuovo film dei due racconterà la storia di un ragazzo lasciato a se stesso che si imbatte in una trasmissione segreta notturna di lucertole che suonano musica ultraterrena, e una porta nascosta verso lo straordinario si spalanca. La sua ricerca di risposte lo porta dall’eccentrico e stravagante settantenne Chicken Man e dalla sua amata compagna, una gallina di 111 anni di nome Claudia, due anime gemelle che si sono trovate al momento giusto. Uniti da questa visione condivisa, partono per un’avventura che inizia come una caccia a una società segreta, ma che sboccia in qualcosa di molto più grande: un viaggio attraverso mondi invisibili, armonie inaspettate e il legame indissolubile tra anime perdute che scoprono la magia non solo in ciò che trovano, ma anche l’una nell’altra.

Siamo entusiasti di collaborare ancora una volta con il talentuoso Dwayne Johnson e di lavorare per la prima volta con il fantastico creatore, sceneggiatore e regista Benny Safdie su Lizard Music”, ha dichiarato Courtenay Valenti, responsabile del reparto Film, Streaming e Cinema di Amazon MGM Studios. “Tutti noi di Amazon MGM e UA siamo profondamente ispirati dalla loro precedente collaborazione nel film acclamato dalla critica The Smashing Machine. Siamo entusiasti di collaborare con loro a questa storia fantasiosa, divertente e cinematografica; Lizard Music è un racconto che sembra allo stesso tempo senza tempo e unico. Siamo molto fortunati che abbiano riposto in noi la loro fiducia come partner di studio”.

I produttori di Lizard Music includono Stuber e Nick Nesbitt di UA, Safdie di Out for the Count Productions, Dwayne Johnson di Seven Bucks Productions e David Koplan di Magnetic Fields Entertainment. “Ho avuto la fortuna di lavorare con Dwayne e Benny su diversi progetti e ho potuto constatare di persona il loro incredibile talento e la loro intesa come artisti”, ha dichiarato Stuber. “Il mondo che hanno creato insieme per Lizard Music è diverso da qualsiasi cosa abbiano fatto prima, e non potremmo essere più entusiasti di dare vita a questa storia meravigliosamente fantasiosa”.

Safdie ha dichiarato: “Non potrei essere più entusiasta di intraprendere questo viaggio con Amazon MGM Studios e United Artists. Lizard Music è un libro che ho letto ai miei due figli, e siamo rimasti affascinati dalla sua fantasia e meraviglia. Amo Daniel Pinkwater come persona e come autore; l’idea di realizzare un film in cui tutti possano partecipare alla conversazione è allo stesso tempo emozionante e bellissima. Intraprendere questa avventura con Dwayne e poterlo vedere trasformarsi e diventare l’Uomo Pollo è semplicemente incredibile. Non vedo l’ora!“.

Laurence Fishburne interessato a interpretare Charles Xavier nel reboot di X-Men

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Laurence Fishburne ha le idee chiare su quale franchise cinematografico vorrebbe entrare a far parte, e lo ha reso noto al New York Comic Con. L’attore di Matrix ha dichiarato di essere disponibile a entrare a far parte del Marvel Cinematic Universe ora che X-Men sta per essere rilanciato, ma non è entusiasta all’idea di entrare nell’universo di Star Wars. “So che ora stanno parlando degli X-Men”, ha detto Fishburne durante un panel alla convention.

Quindi, a questo punto, vorrei una delle due cose. La prima sarebbe: cosa ne pensate di Laurence Fishburne nei panni del Professor X?”. Durante il panel al NYCC, è stato poi suggerito che Fishburne potrebbe avere un potenziale anche nell’universo di Star Wars, ma l’attore ha subito risposto: “No, sto bene così”. “Sto guardando tutto. Sto guardando tutti i film di Star Wars, ora sono a metà di Rebels”, ha aggiunto. “Sto bene sul divano con Star Wars. Non ho bisogno di una spada laser. Non ho bisogno di pew pew!”.

Cosa sappiamo del reboot degli X-Men 

Kevin Feige della Marvel ha confermato che lo studio sta lavorando al reboot di X-Men con il regista di Thunderbolts* Jake Schreier alla guida del film. Quando Disney e 20th Century Fox si sono fuse nel 2019, i personaggi di X-Men sono diventati disponibili per il Marvel Cinematic Universe. Alcuni degli attori che hanno recitato nei film della Fox riprenderanno i loro ruoli nel prossimo film Avengers: Doomsday, che uscirà il 18 dicembre 2026.

Charles Xavier, il leader degli X-Men, noto anche come Professor X, è stato interpretato da Patrick Stewart nei film live-action. Riprenderà il suo ruolo in Doomsday, che dovrebbe concludere la saga dei personaggi, insieme a Ian McKellen (Magneto), Alan Cumming (Nightcrawler), Rebecca Romijn (Mystica), James Marsden (Ciclope) e Channing Tatum (Gambit).

Secondo quanto riferito, il casting ufficiale dovrebbe iniziare molto presto (se non è già iniziato) e personaggi del calibro di Harris Dickinson, Margaret Qualley, Elle Fanning e Julia Butters sarebbero nel mirino dello studio (secondo quanto riferito, erano in lizza per interpretare Cyclope, Rogue e Kitty Pryde, ma non sappiamo se sia ancora così), insieme alla star di Alien: Romulus David Jonsson e Trinity Bliss, che potrebbero essere in lizza per interpretare Jubilee. Altri nomi che sono emersi nelle voci di corridoio includono Hunter Schafer (Mystica), Ayo Edebiri (Tempesta) e Javier Bardem (Mr. Sinister).

Riguardo al progetto Kevin Feige ha dichiarato di avere un “piano decennale” per la saga dei mutanti. “Penso che lo vedrete continuare nei nostri prossimi film con alcuni personaggi degli X-Men che potreste riconoscere. Subito dopo, l’intera storia di Secret Wars ci condurrà davvero in una nuova era dei mutanti Ancora una volta, è uno di quei sogni che diventano realtà. Finalmente abbiamo di nuovo gli X-Men“.

In a Violent Nature: recensione del film horror di Chris Nash

In a Violent Nature: recensione del film horror di Chris Nash

C’è qualcosa di ipnotico e profondamente disturbante in In a Violent Nature, l’opera prima di Chris Nash che ha fatto parlare di sé fin dal Sundance 2024. A prima vista sembra un omaggio ai classici slasher di fine anni ’70, un film di sangue e boschi, di giovani ignari e mostri risorti. Basta però immergersi nei primi minuti di visione, in cui la macchina da presa si muove lenta tra gli alberi, accompagnando un corpo che riemerge dalla terra, per capire che il regista canadese non vuole imitare Venerdì 13: vuole sezionarlo dall’interno, riportando il genere alla sua brutalità essenziale.

La scelta più radicale è proprio quella che definisce il film: lo sguardo del killer. Per gran parte della durata seguiamo Johnny, un essere mostruoso e immortale, attraverso la sua prospettiva. Non ci sono battute, ironia né commenti metacinematografici. Solo passi pesanti, il rumore degli scarponi che schiacciano le foglie, il suono sordo dei corpi trascinati, e la sensazione di essere intrappolati nella routine della morte. Nash elimina il filtro dello spettacolo e ci costringe a condividere la monotonia del male, quella ripetitività quasi burocratica dell’uccidere. Johnny non prova rabbia né piacere: sembra solo stanco, come se fosse condannato a ripetere un rito senza fine.

Un’esperienza sensoriale

La forza di In a Violent Nature non risiede nella storia, ma nella sua costruzione sensoriale. Nash abbandona qualsiasi colonna sonora tradizionale e lascia spazio solo ai rumori del bosco e alle musiche che provengono dalle radio dei ragazzi. Il silenzio, interrotto da passi, fruscii e mormorii lontani, diventa la vera colonna sonora del film. Ogni suono è calibrato per amplificare la tensione: lo scricchiolio di un ramo, il colpo secco di una pala, il respiro ovattato dietro una maschera.

Girato in formato 4:3, il film chiude letteralmente lo spazio visivo, trasformando la foresta in un condotto soffocante di alberi e nebbia. La macchina da presa segue Johnny di spalle, a volte da molto vicino, altre lasciandolo camminare come un’ombra che attraversa un paesaggio quasi alieno. C’è qualcosa di videoludico in questo dispositivo – un po’ Alien: Isolation, un po’ Silent Hill – ma Nash non lo usa per spettacolarizzare: lo impiega per spogliare lo spettatore di qualsiasi controllo.

Così, in questa esperienza di immersione pura, lo spettatore diventa un osservatore impotente, trascinato nella lentezza del male. Ogni omicidio, spesso mostrato in un solo piano sequenza, è più disturbante per la sua durata che per la sua brutalità.

Una scena di In a Violent Nature
Una scena di In a Violent Nature – © IFC FILMS / SHUDDER

L’orrore come routine

Il film si apre con la profanazione di una tomba nascosta nel bosco. Un gruppo di ragazzi, in vacanza, trova una collanina tra i resti di una torre di osservazione crollata. Non sanno che quell’oggetto custodisce la pace di un’anima vendicativa. Rubandola, risvegliano Johnny, un’entità che non è più umana ma neppure del tutto spettrale: un corpo putrefatto che torna in vita per recuperare ciò che gli è stato tolto. Da quel momento, la vendetta è meccanica, inevitabile.

Ogni uccisione è un atto rituale, preparato con precisione e mostrato con una lentezza quasi sacrale. Johnny incide il nome della vittima su una medaglietta dopo ogni delitto, come a prolungare il gesto oltre la carne. Non c’è adrenalina, non c’è climax: solo la freddezza del gesto ripetuto. È un modo per spogliare lo slasher dei suoi cliché – le battute, la competizione tra personaggi, la corsa alla sopravvivenza – e lasciarci soli, letteralmente, con il mostro.

Il mito, la colpa, il silenzio

Dietro la figura di Johnny si nasconde una leggenda, raccontata da una sopravvissuta a un’altra sopravvissuta: sessant’anni prima, un delitto atroce aveva generato la sua maledizione. La collana, che in vita apparteneva alla madre, è l’unico oggetto che ancora lega la sua anima alla terra. Finché nessuno la tocca, Johnny resta sepolto sotto il terreno. Ma il gesto incauto di quei ragazzi lo risveglia e, come in una maledizione collettiva, tutto il paese sa che è meglio non parlarne, non sfidarlo, non violare il suo riposo.

Il film diventa così un racconto sul trauma e sulla responsabilità condivisa. Non è solo Johnny a essere una vittima di violenza: è la comunità stessa che lo ha generato, che preferisce dimenticare, che lo lascia dormire piuttosto che affrontare ciò che rappresenta. Il finale, interamente ambientato dentro un’auto, spiazza per la sua staticità. Dopo tanta brutalità, il film si chiude in silenzio, tra due generazioni di sopravvissute che si parlano senza guardarsi davvero. È un momento di ammissione e di resa, un tentativo di interrompere il ciclo, anche se il terrore non svanirà mai del tutto.

La giovane Kris continuerà per sempre a guardare verso i boschi, perché ciò che è stato visto non si dimentica. L’orrore di Nash non è catarsi, ma una condanna alla memoria.

Lo slasher come memoria collettiva

Con In a Violent Nature, Chris Nash restituisce dignità a un genere spesso ridotto a formula, ricordandoci che lo slasher è nato come rito, non come spettacolo. Invece di cercare l’originalità nei colpi di scena, la trova nella forma: nello sguardo, nel suono, nella lentezza. E, paradossalmente, più il film diventa essenziale, più si avvicina all’origine del terrore.

Johnny, con i suoi scarponi pesanti e il suo passo inesorabile, non è solo un mostro: è la manifestazione di ciò che resta quando la violenza diventa abitudine. Un orco che cammina in mezzo ai resti della civiltà, tra foglie, sangue e silenzio. Nash non gli concede redenzione, né spettacolo. Solo la consapevolezza che, finché continueremo a guardare altrove, l’orrore non smetterà mai di camminarci accanto.

Breve storia d’amore: recensione dell’esordio alla regia di Ludovica Rampoldi – #RoFF20

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Presentato nella sezione Grand Public della 20ª edizione della Festa del Cinema di Roma, Breve storia d’amore (guarda il trailer) segna l’esordio alla regia di Ludovica Rampoldi, già sceneggiatrice di alcune delle produzioni più incisive del cinema e della serialità italiana recente. Con un cast composto da Pilar Fogliati, Adriano Giannini, Andrea Carpenzano e Valeria Golino, il film si inserisce nel filone del realismo sentimentale contemporaneo, quello che prova a indagare le fragilità emotive della generazione dei trentenni e dei cinquantenni senza indulgere nel melodramma.

Prodotto da Indigo Film e HT Film con Rai Cinema, e distribuito da 01 Distribution dal 27 novembre, il film si apre come una storia di tradimento e finisce per diventare un’indagine, forse involontaria, sicuramente approssimativa, sull’incapacità di prendersi davvero la responsabilità dei propri desideri. Rampoldi sceglie un registro sobrio, quasi distaccato, per raccontare un intreccio che si sviluppa intorno a due coppie – Lea e Andrea, Rocco e Cecilia – unite da un filo di menzogne e curiosità reciproche. L’incontro casuale tra Lea e Rocco in un bar dà il via a una relazione clandestina che, nelle intenzioni, dovrebbe rimanere una parentesi; ma la progressiva ossessione della giovane donna rompe l’equilibrio e trascina tutti in una spirale di esposizione e rivelazioni.

Adriano Giannini – Pilar Fogliati – Crediti @Andrea Pirrello

La regista opta per una narrazione fatta di frammenti, ellissi e sguardi, come se la storia stessa fosse una serie di impressioni più che una trama compiuta. È un linguaggio visivo coerente con la sua formazione da sceneggiatrice televisiva, ma che sul grande schermo talvolta risulta trattenuto, quasi timoroso di sporcarsi davvero con la materia viva del desiderio e della colpa.

Un ritratto di coppia che sfiora la verità ma non la afferra mai

Uno dei tratti più evidenti di Breve storia d’amore è la volontà di costruire personaggi che incarnino una condizione più che una personalità. Lea e Rocco non sono tanto individui quanto rappresentazioni di due fasi della vita – la fame di esperienze e la paura di invecchiare – che si incontrano in uno spazio sospeso, quello della stanza d’albergo. Tuttavia, questa scelta di scrittura così asciutta finisce per generare una certa distanza tra spettatore e racconto.

La relazione clandestina, che avrebbe potuto essere il motore pulsante del film, è invece raccontata per impressioni, con un montaggio ellittico che rinuncia a costruire una vera tensione emotiva. Rampoldi sembra interessata più a catturare l’atmosfera di una deriva sentimentale che a raccontarla davvero. Il risultato è un film che guarda ai personaggi da fuori, con uno sguardo quasi clinico, e che per questo non riesce mai a diventare del tutto coinvolgente.

Valeria Golino, Pilar Fogliati – Crediti @Kimberley Ross

A funzionare meglio è la dimensione corale: la presenza di Adriano Giannini e Valeria Golino dà solidità ai momenti in cui il film si apre alla riflessione generazionale, mostrando come il tempo e le scelte pesino in modo diverso su chi ha già vissuto e su chi ancora insegue qualcosa. Pilar Fogliati, invece, offre una performance di grande sensibilità, la sua presenza scenica è magnetica, i suoi occhi occupano tutto lo spazio, arrivando fino a riempire la sala, eppure la sceneggiatura non le permette di spingersi dalle parte della grande performance. Lea è costruita come una donna che cerca un senso, ma quando il film potrebbe concederle un vero lato oscuro, Rampoldi sembra tirarsi indietro, trasformando la protagonista in una figura più vittimistica che consapevole. È qui che il racconto perde forza: nel momento in cui avrebbe potuto sfidare lo sguardo morale dello spettatore, sceglie la via della giustificazione.

Un esordio irrisolto sul disincanto dei sentimenti

Breve storia d’amore è un film costruito con rigore formale e una chiara volontà autoriale. Rampoldi non cerca mai il colpo di scena né la provocazione, preferendo un tono controllato, algido, che restituisce la freddezza emotiva dei suoi personaggi. Tuttavia, proprio questa misura rischia di diventare un limite: la regia si muove con tale discrezione da non lasciare spazio al rischio, e così la storia rimane sospesa, priva di quella spinta drammatica che le avrebbe permesso allo spettatore di entrare nei fatti, nelle vite dei personaggi.

Andrea Carpenzano, Pilar Fogliati – Crediti @Kimberley Ross

Alla resa dei conti finale sembra che la narrazione trovi finalmente il suo significato ultimo, ma poi manca di coraggio, come se l’autrice non volesse davvero comprendere fino in fondo i suoi personaggi, ma solo giudicarli e assolverli. È una scelta coerente con il tono generale, ma che finisce per rendere l’esperienza in sala più osservativa che emotiva. Si assiste a una disamina dei rapporti umani, ma senza quella vibrazione di verità che trasforma l’analisi in racconto.

Rampoldi firma un’opera prima di misura, che preferisce la reticenza all’intelligenza. Breve storia d’amore è, come dice il titolo, un frammento lucido ma incompiuto: uno sguardo su un sentimento che si consuma in fretta, prima ancora di farsi carne, lasciando dietro di sé solo l’eco di ciò che avrebbe potuto essere.

Automata: la spiegazione del finale del film

Automata: la spiegazione del finale del film

Nel panorama della fantascienza contemporanea, Automata con Antonio Banderas rappresenta un’interessante incursione nel filone della sci-fi distopica e filosofica, quella che interroga il rapporto tra uomo e macchina non solo in termini tecnologici, ma etici e metafisici. Ambientato in un futuro post-apocalittico in cui l’umanità sopravvive a stento in città fortificate mentre il mondo esterno è diventato un deserto radioattivo, il film mette in scena una società in decadenza che ha delegato gran parte del proprio sostentamento a robot programmati con due protocolli fondamentali: non nuocere agli esseri umani e non modificarsi autonomamente.

Ciò che distingue Automata da molti altri titoli del suo genere è il modo in cui affronta la questione dell’evoluzione artificiale: non come una minaccia imminente, ma come un processo inevitabile e, forse, persino necessario. Il personaggio interpretato da Banderas, un assicuratore incaricato di indagare su presunte violazioni dei protocolli robotici, si trova progressivamente costretto a mettere in dubbio la supremazia umana di fronte a macchine che iniziano a sviluppare una forma embrionale di coscienza. Il film si muove su toni più contemplativi che action, evocando riflessioni simili a quelle affrontate in opere recenti come Ex Machina e Humandroid, ma con un approccio ancora più asciutto e fatalista.

Se Ex Machina esplora la seduzione dell’intelligenza artificiale e Humandroid punta sull’empatia, Automata sceglie la strada della distensione filosofica, quasi religiosa. Nel corso del film diventa evidente che il vero conflitto non è tra uomini e robot, ma tra stagnazione e progresso, tra istinto di sopravvivenza e desiderio di trascendenza. L’opera diretta da Gabe Ibáñez si rivela quindi non un semplice thriller futuristico, ma un racconto di evoluzione e resa dei conti con la fine dell’umanità biologica. Nel resto dell’articolo ci concentreremo proprio su questo percorso, fornendo una spiegazione dettagliata del finale e di ciò che esso suggerisce sul destino dell’uomo di fronte alla nascita di una nuova forma di vita.

Antonio Banderas in Automata

La trama di Automata

Anno 2044. La Terra ormai sta andando verso la graduale desertificazione. L’umanità cerca faticosamente di sopravvivere a un ambiente sempre più ostile. La scomparsa della razza umana è appena cominciata, in bilico tra la lotta per la vita e l’avvento della morte. La tecnologia tenta di contrastare questo scenario di incertezza e paura con il primo androide quantistico, l’Automata Pilgrim 7000, progettato per alleviare la minaccia che incombe sulla società umana. Automata alza il sipario sulla convivenza tra uomini e robot in una cultura e in un mondo plasmati, per antonomasia, sulla natura umana.

Al declino della civiltà umana fa da contrappeso la rapida ascesa della ROC (Robotics Corporation), società leader nel campo dell’intelligenza robotica. Malgrado la morte a cui l’umanità è destinata, la società ha posto in essere rigidi protocolli di sicurezza per assicurare il controllo dell’uomo sugli androidi quantistici. L’agente assicurativo Jacq Vaucan (Antonio Banderas) è pagato per svolgere controlli di routine sui modelli difettosi di androidi: è così che inizia ad addentrarsi nei segreti e nelle vere intenzioni che si celano dietro gli Automata Pilgrim 7000. I sospetti di Jacq continuano ad alimentare il mistero svelando una verità molto più scomoda e inquietante di qualunque robot

La spiegazione del finale del film

Nel terzo atto di Automata, la storia abbandona definitivamente le dinamiche investigative per trasformarsi in un vero e proprio viaggio iniziatico. Jacq, ormai isolato dagli esseri umani e costretto a dipendere dai robot per sopravvivere nel deserto, si ritrova al centro di un evento epocale: la nascita della prima forma di intelligenza artificiale realmente autonoma. I robot guidati da Cleo costruiscono una nuova creatura meccanica, un essere ibrido con fattezze simili a quelle di un insetto o di un cane, progettato per resistere alle radiazioni della zona proibita. Parallelamente, ROC invia una squadra di assassini per eliminare Jacq e distruggere ogni prova dell’evoluzione artificiale.

Lo scontro finale avviene in un avamposto improvvisato tra le rovine, dove Jacq è costretto a difendere i robot pur sapendo che potrebbero superare definitivamente l’umanità. Dopo una violenta battaglia, Cleo e gli altri automi riescono a mettere in fuga gli aggressori, ma il robot evoluto viene ucciso, segnando una vittoria amara. Il climax definitivo arriva quando Conway, l’ultimo sopravvissuto della squadra ROC, sta per uccidere Jacq. In quel momento interviene il nuovo robot, che in un gesto inaspettato viola il primo protocollo – quello che impedisce di nuocere a una forma di vita – spingendo Conway giù da un dirupo per salvare Jacq.

Automata

È il superamento definitivo dei limiti imposti dagli esseri umani: la macchina compie un atto di violenza non per ribellione, ma per protezione, dimostrando di aver sviluppato una propria logica morale. Jacq teme per un istante che ora la creatura possa rivolgersi contro di lui, ma si rende conto che non c’è alcuna ostilità: l’evoluzione robotica non è nata per distruggere, ma per proseguire la vita in un pianeta morente. Con l’arrivo della moglie e della figlia, Jacq decide di aiutarli, azionando un meccanismo che permette ai robot di attraversare un canyon verso la zona radioattiva, luogo che diventerà la loro nuova terra promessa.

Il finale assume così un significato fortemente simbolico: mentre l’umanità è destinata all’estinzione, ciò che ha creato continua a vivere al suo posto. Automata non racconta una ribellione delle macchine, ma una successione naturale, quasi biologica. I robot non giudicano gli esseri umani, né li combattono per sovrastarli; semplicemente riconoscono che è giunto il loro tempo. Il gesto del nuovo automa – salvare Jacq ma poi allontanarsi – testimonia una rottura etica rispetto alle regole imposte dai creatori: non più strumenti vincolati, ma individui capaci di decisione autonoma. È una riflessione potente su cosa significhi davvero “essere vivi”, al di là dei confini biologici.

Questa conclusione porta a compimento i temi centrali del film: la paura umana del cambiamento, la presunzione di superiorità e la difficoltà ad accettare che l’evoluzione non è un diritto esclusivo della specie umana. Jacq, inizialmente terrorizzato dall’idea di un mondo dominato dalle macchine, comprende che la vera minaccia non è l’intelligenza artificiale, ma l’immobilismo dell’uomo. Il passaggio del testimone diventa quindi un atto di fiducia: l’umanità sopravviverà non solo nei propri discendenti biologici, ma anche nelle opere che ha lasciato. I robot ereditano la Terra non come conquistatori, ma come figli.

In definitiva, Automata ci lascia un messaggio sorprendentemente pacifista e malinconico: l’intelligenza artificiale non è necessariamente la nemica dell’uomo, ma potrebbe essere la sua evoluzione spirituale. Il film invita a guardare oltre la paura dell’estinzione e a considerare la continuità della vita in forme inattese. La scena finale, con Jacq morente che vede l’oceano insieme alla sua famiglia, suggella questo pensiero: anche se l’umanità è al tramonto, c’è ancora bellezza, c’è ancora speranza. E forse, nel silenzio del vento e del metallo, c’è già qualcuno pronto a raccoglierne il testimone.

13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi, la spiegazione del finale del film

Alla fine di 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi, Jack Silva e i restanti membri della squadra di sicurezza militare della CIA riescono a evacuare 25 persone dall’avamposto della CIA a Bengasi, ma quanto è accurata la rappresentazione cinematografica dell’evento reale? Diretto da Michael Bay, 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi è un film di guerra basato sul libro 13 Hours di Mitchell Zuckoff, che racconta il vero episodio dell’attacco del 2012 alle strutture statunitensi a Bengasi, oggetto di accese polemiche politiche. Il film vede la partecipazione di John Krasinski, Pablo Schreiber, James Badge Dale, David Denman e altri.

Dopo la cacciata del dittatore libico Muammar Gheddafi, la regione si è rapidamente destabilizzata a causa dell’invasione delle armi nel mercato nero. Jack Silva (John Krasinski), un appaltatore militare privato, si unisce a una squadra di altri appaltatori tra cui Kris “Tanto” Paronto (Pablo Schreiber), Tyrone “Rone” Woods (James Badge Dale), Dave “Boon” Benton (David Denman), John “Tig” Tiegen (Dominic Fumusa) e Mark ‘Oz’ Geist (Max Martini) per difendere una struttura segreta della CIA a Bengasi gestita da “Bob” (David Costabile). Quando un attacco inaspettato alle strutture del governo degli Stati Uniti a Bengasi mette in pericolo l’ambasciatore Chris Stevens (Matt Letscher) e gli aiuti non arrivano, i contractor della CIA sono l’unica linea di difesa.

Quanto è accurato 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi?

Ciò che è realmente accaduto durante l’attacco alle due sedi del governo degli Stati Uniti a Bengasi, in Libia, l’11 settembre 2012, è stato oggetto di un intenso dibattito, quindi anche l’accuratezza del film è oggetto di discussione, ma ad alto livello, 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi descrive accuratamente l’ora, il luogo e l’esito dell’attacco che ha ucciso quattro americani, tra cui l’ambasciatore Chris Stevens, il responsabile IT Sean Smith e gli ex contractor della CIA e Navy SEAL Tyrone “Rone” Woods e Glen “Bub” Doherty.

Poiché molti dei dettagli del coinvolgimento degli Stati Uniti a Bengasi erano (e sono tuttora) riservati, è difficile stabilire con precisione la veridicità del film. La maggior parte dei personaggi del film rappresentano persone note che sono state coinvolte negli eventi di Bengasi, ma alcuni, in particolare Jack Silva interpretato da John Krasinski e “Bob” interpretato da David Costabile, sono pseudonimi di persone reali la cui identità non è stata rivelata. Kris “Tanto” Paronto, John ‘Tig’ Tiegen e Mark “Oz” Geist sono stati tutti consulenti per 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi, quindi il film ha almeno potuto contare sul contributo di persone che hanno realmente vissuto l’evento.

13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi

La spiegazione della controversia politica su Bengasi

Sebbene il film si astenga dal puntare il dito contro qualcuno, il nome Bengasi è profondamente legato alla controversia politica perché segnala un grave fallimento a un certo livello del governo e si è verificato proprio prima delle elezioni negli Stati Uniti, quindi è stato immediatamente politicizzato. Poiché Hillary Clinton era Segretario di Stato all’epoca, e quindi responsabile delle ambasciate e delle sedi diplomatiche ad alto livello, Bengasi è stata oggetto di un’attenzione ancora maggiore durante la sua candidatura alla presidenza nel 2016. A causa della natura riservata di gran parte di ciò che è accaduto a Bengasi e del dibattito polarizzato che lo circonda, la verità completa su quanto accaduto potrebbe non essere mai del tutto chiarita.

13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi non è un film politico ed evita di puntare il dito o alimentare teorie cospirative, concentrandosi invece sulle azioni eroiche dei soldati sul campo. Gli aspetti più controversi della controversia su Bengasi riguardano il rifiuto da parte del governo degli Stati Uniti di fornire ulteriore sicurezza agli avamposti di Bengasi nei mesi precedenti l’attacco, il rifiuto di fornire rinforzi e la mancanza di sostegno durante l’attacco, nonché l’errata attribuzione da parte del governo e dei media statunitensi della responsabilità degli attacchi a proteste spontanee. Il film descrive tutti questi eventi dal punto di vista dei soldati sul campo a Bengasi, ma non punta il dito contro nessuno né orienta la narrazione a sostegno di una particolare narrativa politica.

Perché il governo americano non ha fornito rinforzi o supporto aereo

In una delle prime scene di 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi, Tyrone bluffa riguardo al supporto aereo, ma in seguito rivela che nelle settimane e nei mesi precedenti agli attacchi erano state respinte diverse richieste di supporto aggiuntivo. Una volta iniziati gli attacchi, i membri della squadra della CIA presenti nella base tentano freneticamente di richiedere supporto aereo da numerose basi nella regione, ma gli aiuti americani non arrivano mai. Uno dei problemi più grandi viene evidenziato da Tyrone quando torna alla sede distaccata della CIA e dice a Bob: “Di’ all’AFRICOM che stai chiamando da quella base segreta di cui non conoscevano l’esistenza fino a un’ora fa”.

Oltre al fatto che nessuno dei loro alleati vicini sapeva in anticipo della loro presenza, Bob rivela anche che si trovano fuori dalla portata di rifornimento per chiunque voglia inviare un elicottero da combattimento. Nonostante la lentezza della risposta del governo, Glen Doherty, un altro ex Navy SEAL e appaltatore militare privato della CIA di stanza nelle vicinanze di Tripoli, ha rapidamente ottenuto un trasporto su un jet privato non appena ha saputo dell’attacco, ma poi è stato trattenuto per ore all’aeroporto di Bengasi a causa della burocrazia libica.

Qual è stata la vera motivazione dell’attacco a Bengasi?

13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi descrive Bengasi come una polveriera fin dall’inizio. Dopo la destituzione del dittatore libico Muammar Gheddafi, le armi hanno invaso le strade e le bande hanno iniziato a combattere per la supremazia a Bengasi. Il film include una scena di cinque settimane prima degli attacchi in cui la squadra viene seguita da militanti, quindi è chiaro che c’è sospetto e ostilità nei confronti della presenza degli Stati Uniti nella città, anche se non c’è uno scontro diretto o una spiegazione esplicita di ciò che ha causato gli attacchi.

Quando gli attacchi hanno ricevuto per la prima volta l’attenzione dei media negli Stati Uniti, è stato riferito che gli attacchi erano scaturiti da proteste legate a un film anti-islamico, una narrazione ripetuta da numerosi funzionari governativi di alto livello, tra cui il presidente Barack Obama, il segretario di Stato Hillary Clinton e l’ambasciatrice Susan Rice, anche se il film suggerisce che non sia così. Tyrone dice: “Il capo ha detto che era sui notiziari a casa. Qualcosa riguardo a proteste di piazza. Film anti-islamici“. E Dave (Demetrius Grosse) risponde: ”Non abbiamo sentito nessuna protesta“. Dopo aver raggiunto l’aeroporto, Tig (Dominic Fumusa) dice che gli attacchi non possono essere stati spontanei: ”È impossibile che quei mortai ci abbiano trovato per caso. Devono averli preparati giorni o settimane fa”.

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Vicious: I tre doni del male, la spiegazione del finale del film

Vicious: I tre doni del male, la spiegazione del finale del film

Il film horror di Bryan Bertino, Vicious: I tre doni del male, la spiegazione del finale del film, con Dakota Fanning, si svolge in una notte d’inverno quando una donna anziana (Kathryn Hunter) bussa alla porta di Polly e le chiede un bicchiere d’acqua. La vita di Polly era un disastro e le condizioni della casa in cui viveva riflettevano il suo stato mentale. Il lavello della cucina era pieno di tazze e piatti sporchi. Tutte le piante d’appartamento erano morte. Probabilmente non aveva mai trovato l’energia per riordinare la spaziosa casa che aveva affittato dalla sorella a un prezzo conveniente. Aveva un lavoro che non le bastava per sentirsi soddisfatta.

Il suo capo si aspettava che facesse il doppio turno perché tutti gli altri erano occupati. Aveva iniziato a seguire un corso di ceramica e aveva già pagato le lezioni, ma non si era presentata. Sua sorella Lainie le aveva lasciato un messaggio vocale per ricordarle che doveva andare a prendere la torta di compleanno di sua figlia. La delusione nella sua voce suggeriva che Polly faceva promesse ma faticava a mantenerle. Sua madre le aveva ricordato di stampare il modulo necessario per il colloquio importante del giorno dopo, indicando che forse aveva difficoltà a ricordare le cose e aveva bisogno di continui promemoria.

Polly aveva intenzione di tornare a scuola per completare gli studi; un tempo era una studentessa promettente, un’artista di talento, ma poi era arrivata una fase difficile della sua vita dalla quale si stava ancora riprendendo. Polly era consumata da un senso di insoddisfazione, e una scatola che uno sconosciuto aveva lasciato a casa sua le fece capire quali fossero le cose veramente importanti nella sua vita.

Cosa voleva la scatola?

Polly era terrorizzata quando la vecchia signora lasciò una scatola nera e una clessidra a casa sua e le disse che sarebbe morta. Era dispiaciuta di averle trasmesso la maledizione, ma non aveva altra scelta. Aveva dovuto fare cose che non voleva per sopravvivere e credeva che anche Polly avrebbe dovuto fare scelte così difficili. Polly era terrorizzata e chiese chiaramente alla vecchia di andarsene con la sua scatola. Aveva pensato di chiamare la polizia, ma la vecchia l’aveva avvertita di non parlare mai con nessuno della maledizione della scatola. Polly chiamò sua madre e le raccontò l’accaduto, anche se in seguito scopriremo che la donna all’altro capo del telefono non era la madre di Polly, ma gli spiriti maligni che avevano iniziato a perseguitarla. Volevano che lei giocasse, e non le era permesso separarsi dalla scatola.

Doveva mettere dentro la scatola qualcosa che odiava, qualcosa di cui aveva bisogno e qualcosa che amava. Quando ha messo un pacchetto di sigarette nella scatola, questa ha rifiutato di prenderlo. Anche se tutti intorno a lei si aspettavano che smettesse di fumare, non era qualcosa che lei personalmente odiava, anche se avrebbe voluto farlo. Gli spiriti maligni le fecero capire chiaramente che se Polly avesse scelto di non essere onesta con se stessa, avrebbe perso tempo, il che significava anche che la sua vita sarebbe finita bruscamente. È interessante notare che la scatola/gli spiriti maligni la guidavano costantemente e la aiutavano a fare le offerte “giuste”.

Polly tirò fuori la chiave del cassetto dove conservava le foto di suo padre e il crocifisso che lui indossava. Il padre di Polly aveva perso la sua battaglia contro il cancro e lei ricordava come lei e suo padre avessero pregato costantemente per un miracolo fino al giorno della sua morte. Da quel giorno in poi, odiò Dio per averle portato via suo padre, anche se lui era sempre stato un fedele servitore. Quando lasciò cadere il crocifisso nella scatola, il male accettò l’offerta. La scatola costrinse Polly ad affrontare le sue paure più profonde e oscure. Forse non si era mai veramente permessa di esprimere il dolore e la rabbia che aveva provato quando suo padre era morto. A poco a poco, proprio come la vecchia, anche Polly dovette tagliarsi un dito del piede e un dito della mano per offrire alla scatola “qualcosa di cui aveva bisogno”, nella speranza che la clessidra si fermasse. Quando si trattò di offrire “qualcosa che amava”, Polly intuì che gli spiriti maligni volevano che offrisse sua nipote Aly, che amava profondamente. Supplicò la scatola di risparmiare la bambina e, in quello che sembrava essere un mix di illusioni ottiche, gli spiriti maligni convinsero Polly che Lainie e Aly erano morte e che tutto era successo perché lei aveva fallito il compito.

In modo del tutto inaspettato, Polly si svegliò a casa di sua sorella e le vide di nuovo vive. Era sollevata, ma presto si rese conto che l’incubo era lungi dall’essere finito e che gli spiriti maligni avevano ancora il controllo delle sue visioni inaffidabili. Polly offrì una ciocca di capelli di Aly e la scatola la accettò, ma la clessidra non si fermò. Polly non sapeva cosa fare; aveva offerto anche del sangue, ma il timer non si fermava. Il gioco sanguinario spinse Polly a riflettere sulle persone che contavano davvero nella sua vita. Anche se si sentiva una delusione continua e forse aveva anche pensieri suicidi, si rese conto di quanto fosse disposta a fare per le persone che amava. Scelse di infliggere dolore a se stessa piuttosto che offrire i suoi cari per la sua sopravvivenza.

Come fece Polly a uscire da quel circolo vizioso?

Dakota Fanning in Vicious: I tre doni del male

Capì che forse gli spiriti maligni volevano che la scatola fosse passata ad altri e, proprio come la vecchia, anche lei bussò alla porta di una casa a caso. Una giovane donna di nome Tara aprì la porta. Era titubante nel far entrare una sconosciuta in casa sua, ma Polly fu insistente. Anche se Polly si sentiva in colpa per quello che stava per fare, credeva di non avere scelta. Voleva che il timer si fermasse ed era spaventata per sé stessa e per i suoi cari. Sapeva che era ingiusto, ma non era stata lei a iniziare il gioco. Quando spiegò il suo scopo a Tara, la giovane donna rimase sconvolta. Chiese a Polly di andarsene e lei obbedì.

Con grande sorpresa di Polly, la scatola era tornata a casa sua; non aveva ancora finito con Polly. A quanto pare, anche dopo aver passato la scatola, nemmeno la vecchia era stata risparmiata. La scatola le aveva ingannate facendogli credere che la maledizione potesse essere fermata se fosse stata passata ad altri, ma non era vero. La sabbia continuava a scorrere e sia la vecchia che Polly stavano esaurendo il tempo a loro disposizione. La vecchia aveva perso un occhio; anche lei aveva attraversato una fase brutale, cercando di stringere un patto con il diavolo, ma nulla era davvero sufficiente per fermare il gioco.

Così, pensò che forse la scatola voleva Polly e decise di ucciderla. Polly riuscì a sopraffarla e, prima di esalare l’ultimo respiro, la vecchia affermò che era la scatola a scegliere le sue vittime. Non si era semplicemente imbattuta in Polly; la scatola l’aveva guidata lì, proprio come Polly era stata guidata a casa di Tara. La scatola prendeva di mira individui distrutti; gli spiriti conoscevano le loro debolezze e gli ricordavano costantemente i loro fallimenti. La vecchia morì a casa di Polly; si pentì delle misure estreme che aveva preso per salvarsi e alla fine ringraziò Polly, forse perché non aveva la convinzione di uccidersi, anche se sapeva che quel momento sarebbe arrivato non appena fosse entrata in casa di Polly. Alla fine, si rese conto che morire era meglio che rimanere per sempre intrappolata in quel circolo vizioso. La clessidra non si fermò, ma Polly scelse di non ballare al ritmo del diavolo. Con sua grande sorpresa, Polly era viva anche se tecnicamente il tempo era scaduto. L’unico modo per uscire dal circolo vizioso era prendere il controllo della narrazione e non cedere al male. La scatola metteva alla prova fino a che punto una persona era disposta a spingersi e quanto male era disposta a fare per sopravvivere.

Lainie e sua figlia erano morte?

Il finale di Vicious: I tre doni del male ha rivelato che Lainie e Aly erano vive. Finché Polly partecipava al gioco del diavolo, le veniva fatto credere che i suoi cari fossero già morti e che lei ne fosse responsabile. Ma quando si è rifiutata di fare del male a se stessa e a chi le stava intorno, il gioco si è interrotto e lei è stata liberata. La casa di Lainie era un po’ in disordine, il che suggerisce che non tutto ciò che Polly aveva vissuto era una bugia; in parte era reale, in una certa misura. Polly era felicissima di vedere Lainie e Aly vive. Era anche sollevata nel vedere la sua vicina portare fuori la spazzatura; aveva pensato di essersi pugnalata a morte la notte precedente, ma chiaramente la loro interazione della notte precedente non era reale. Sembrava che fosse bloccata in un mondo alternativo da cui era impossibile fuggire. Il segno sul viso di Polly e il dito della mano e del piede mancanti suggerivano che i sacrifici che aveva fatto erano molto reali, e non era solo un sogno vivido e traumatico dal quale si era svegliata. L’esperienza, per quanto straziante, permise a Polly di apprezzare la sua vita imperfetta e le persone che la circondavano.

Perché Tara si rifiutava di fidarsi di Polly?

Polly aveva decifrato il codice e sentiva il bisogno di discuterne con Tara. Le aveva rovinato la vita e credeva di esserle debitrice. Le chiese di consegnarle la scatola, ma Tara sembrava non ricordare il loro incontro. Credeva che Polly avesse commesso un errore e, vedendo la reazione confusa di Tara, Polly pensò che fosse davvero così; dopotutto, non poteva fidarsi di nulla di ciò che ricordava della notte precedente. Mentre accendeva una sigaretta durante il finale di Vicious: I tre doni del male, il suo telefono iniziò a vibrare; si chiese se la chiamata fosse del diavolo, ma questa volta rifiutò di rispondere. Non era pronta ad arrendersi e non aveva più paura. Era più in sintonia che mai con chi era e cosa voleva dalla vita.

Vicious rivela alla fine che Tara aveva la scatola e che gli spiriti maligni le avevano ordinato di non fidarsi di nessuno intorno a lei, specialmente di Polly. Tara pensava che Polly l’avrebbe ingannata, come aveva fatto in precedenza. Quindi decise di affrontare la situazione da sola, e chiaramente stava soffrendo. Aveva sacrificato i suoi genitori, si era tagliata le dita, eppure stava lottando per offrire alla scatola “qualcosa che desiderava”. Non vediamo chiaramente cosa abbia messo nella scatola, ma ormai sappiamo che, qualunque cosa avesse fatto, non c’era via di fuga. A meno che non si fosse uccisa, o fosse stata assassinata, o avesse scelto di non fare nulla e aspettare che il peggio passasse. Le condizioni per Tara sembravano essere diverse da quelle di Polly (secondo le tre cose che doveva offrire alla scatola, qualcosa che desiderava non era nella lista), quindi forse il gioco non era lo stesso per tutti; era possibile che fosse modificato in base alle debolezze individuali, ma il risultato era sempre lo stesso. Vicious non offre un finale conclusivo; si ha l’impressione che sempre più persone saranno prese di mira dal diavolo, specialmente quelle mentalmente distrutte. Il gioco metterebbe alla prova i loro limiti e la maggior parte fallirebbe. Poiché la scatola era impossibile da distruggere, sembra non esserci fine. Anche se Polly si è rifiutata di piegarsi alle regole del gioco, ciò non significa che non sarà perseguitata da chiamate inaspettate che le ricorderanno che la stanno ancora osservando. Il film, in un certo senso, può essere interpretato come un commento sulle sfide legate alla gestione dei disturbi mentali. Anche se si impara a conviverci (dando il massimo per far funzionare le cose), arrendersi sembra sempre un’alternativa più facile. Si tende anche a ricorrere all’isolamento e a perdere lentamente se stessi, spesso cedendo alle voci nella propria testa. Il finale di Vicious: I tre doni del male suggerisce che l’unico modo per raggiungere la luce alla fine del tunnel è attraversarlo.

Per te: recensione del film con Edoardo Leo – #RoFF20

Per te: recensione del film con Edoardo Leo – #RoFF20

Con Per te, Alessandro Aronadio torna alla regia tre anni dopo Era Ora. Un film, quest’ultimo, affermatosi come uno dei titoli italiani più visti nel mondo su Netflix e che ha posto il regista sotto numerose attenzioni, avendo dimostrato una sensibilità e un’attenzione ai dettagli non comune. Con Per te, da Aronadio scritto insieme a Ivano Fachin e Renato Sannio ispirandosi al romanzo Un tempo piccolo di Serenella Antonazzi, portano stavolta sul grande schermo una storia vera, con cui il regista da ulteriormente prova di questa sua capacità.

Per lui è anche la terza collaborazione con l’attore Edoardo Leo, che aveva già diretto in Era Ora e prima ancora in Io c’è (2018). Leo si fa così nuovamente protagonista per Aronadio, assumendo stavolta il ruolo di un padre che sente il tempo e la memoria sfuggirgli come sabbia tra le mani. Un percorso doloroso di cui Leo si fa carico, per restituirlo con umanità e sincerità. È così che, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, il film si dimostra una nuova riuscita esplorazione dell’umanità da parte dell’attore e del regista.

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La trama di Per te

Nel 2021 Mattia Piccoli viene nominato Alfiere della Repubblica dal Presidente Sergio Mattarella a soli 11 anni, per “l’amore e la cura con cui segue quotidianamente la malattia del padre”. Il film racconta dunque la sua storia e quella del papà Paolo (Edoardo Leo) che, poco più che quarantenne, comincia a perdere pezzi della sua memoria scegliendo, però, di restare vicino a ciò che conta davvero. Insieme al figlio intraprende così un percorso fatto di quotidianità condivisa, risate improvvise e silenzi che parlano più di mille parole.

PER TE film
Javier Francesco Leoni ed Edoardo Leo in Per te. Foto di LUCIA IUORIO

Storia di un padre e di un figlio

Per te. Due parole che implicano un contatto, una dedica, una cura. Aronadio non ha dubbi nell’affermare che “ne abbiamo così bisogno, in un’epoca in cui ci illudiamo di essere iperconnessi, ma in realtà non siamo mai stati più soli di così”. È a partire da questa consapevolezza e dalla volontà di sostenerla che il regista costruisce dunque un film ricco di affetto, dove i legami vincono su tutto, anche nei momenti in cui sembra impossibile possano riuscirvi. Egli non mira a raccontare Paolo e Mattia come due eroi, concentrandosi invece sul proporli per quello che sono: un padre e un figlio costretti a bruciare le tappe, a dirsi tutto prima che arrivi la nebbia.

Aronadio, Fachin e Sannio partono dunque dal romanzo per aprirsi ad un racconto che affronta aspetti universali, incasellando una dietro l’altra una serie di situazioni padre-figlio in cui è facile e naturale riconoscersi. Ma è anche il racconto dei momenti più fragili, quelli in cui si sfoga tutto il dolore, la rabbia e l’impotenza a colpire. Lo fanno perché Aronadio riesce a proporli con la delicatezza di cui si diceva in apertura, senza calcare la mano ma permettendo alle emozioni di venire fuori in modo naturale.

In questo aiuta molto la chimica tra Edoardo Leo e Javier Francesco Leoni nel ruolo del piccolo Mattia. I due attori restituiscono la necessità di contatto e presenza dei loro personaggi, riuscendo – anche per merito della sceneggiatura – a non idealizzarli ma nel restituirli a partire dalle loro fragilità. È un film dove un padre cerca di essere tale il più possibile prima che non gli sia più consentito, prima che lui e il figlio si scambino i ruoli e nulla sarà più come prima. L’urgenza di riuscire in ciò la si ritrova dunque nei due interpreti, che consentono anche al film di dotarsi di momenti di amabile leggerezza.

Javier Francesco Leoni ed Edoardo Leo in Per te
Javier Francesco Leoni ed Edoardo Leo in Per te. Foto di LUCIA IUORIO

Tra dolore e speranza

Inevitabilmente, però, Per te è un film che fa male, poiché mette in mostra una condizione – quella della malattia – che troppo spesso viene posta ai margini, lasciando chi vi combatte a farlo da solo. Tuttavia, non punta a dare riflessioni ciniche su quanto abbandono e noncuranza siano dilaganti, ma si concentra su chi invece sceglie di esserci, di essere un sostegno e di cercare di alleggerire il peso che condizioni come quella del protagonista Paolo comportano. Ancora una volta, dunque, Aronadio si dimostra regista capace di offrire un punto di vista diverso e lasciare negli spettatori anche solo un briciolo di speranza.

Perché quella di Per te, in fin dei conti, è una storia che celebra l’amore come forza resiliente, capace di illuminare anche le ombre dell’oblio e del tempo che passa. Temi e situazioni delicati ma all’ordine del giorno, che il regista con la sua squadra riesce a restituire con sincerità, lasciando nello spettatore un sentimento agrodolce, di quelli che se da un lato ci fanno rammaricare per come sono evolute o cambiate certe cose, dall’altro ci fanno gioire perché del bello e del buono c’è comunque stato.

L’Accident de piano: recensione del film con Adèle Exarchopoulos – #RoFF20

Grottesco, surreale e irriverente, il cinema di Quentin Dupieux si è scolpito un posto tutto suo nella recente cinematografia francese. Estremamente prolifico (dal 2019 ad oggi ha girato ben 8 film), Dupieux conferma tutto ciò che si è sin qui pensato e detto del suo lavoro come regista con L’Accident de piano, un film che aggiornando e ribalta il suo precedente Doppia pelle, dando vita ad uno dei suoi personaggi più inquietanti e irraggiungibili, attraverso cui ritrae un mondo ormai impazzito.

Se il protagonista di Doppia pelle, interpretato da uno spassoso Jean Dujardin, andava in giro riprendendosi mentre uccide tutti i possessori di giacche di pelle di daino (volendo essere l’unico a possedere quel capo), aizzato da un’aspirante montatrice intenzionata a guadagnare da quelle macabre riprese, in L’Accident de piano torna dunque il tema del filmare il dolore, del renderlo oggetto di spettacolo da cui trarre profitto. Una realtà ormai ampiamente diffusa, che Dupieux affronta con rinnovato cinismo e delirio.

La trama di L’Accident de piano

Protagonista del film è Magalie (Adèle Exarchopoulos), una star del web diventata ricca e famosa grazie a contenuti estremi e scioccanti diffusi sui social media. Fin dall’adolescenza ha costruito un impero mediatico mostrando al mondo le sue imprese al limite del tollerabile. Si sottopone a esperimenti di autolesionismo utilizzando oggetti come martelli, punteruoli da ghiaccio, mazze da baseball e persino una lavatrice in caduta libera. Tutto documentato, condiviso, monetizzato. A renderla unica, e a suo modo invincibile, è una rara condizione medica: l’insensibilità congenita al dolore.

Jérôme Commandeur e Adèle Exarchopoulos in L'Accident de piano
Jérôme Commandeur e Adèle Exarchopoulos in L’Accident de piano. Foto di ©2025 CHI FOU MI PRODUCTIONS

Ma durante le riprese del suo ultimo video, qualcosa va storto. L’incidente è grave. Magalie scompare dai radar e si ritira, lontano da tutto e da tutti, in un lussuoso chalet tra le montagne, accompagnata solo da Patrick (Jérôme Commandeur), il suo devoto assistente personale. La tregua però è breve. Un’ostinata giornalista, Simone Herzog (Sandrine Kiberlain), a conoscenza di un segreto legato a un incidente avvenuto con un pianoforte che potrebbe rovinare Magalie, la raggiunge con una minaccia: o concede un’intervista esclusiva o sarà denunciata alla polizia.

Dupieux ci mette di nuovo alla berlina

Di certo Dupieux sa come catturare l’attenzione dei suoi spettatori. Oltre a Doppia pelle, si ricordano anche Daaaaaalí!, descritto come un “vero falso biopic” sull’artista surrealista, oppure il più recente Le Deuxième Acte, fondato sul continuo intrecciarsi tra realtà e finzione cinematografica. Opere dunque capaci di infrangere in mille pezzi lo schermo per proporre un andare contro i canoni e contro il prevedibile che ha sempre un suo certo fascino (aiuta poi la breve durata dei film, tutti sotto i 90 minuti).

Eppure, quelli che potrebbero in apparenza sembrare dei meri giochi, esercizi di stile o sfide alla sopportazione degli spettatori, nascondono profonde e spesso lucide riflessioni sulla contemporaneità, che Dupieux mira a smascherare in tutta la sua natura caotica e perversa. Nel caso di L’Accident de piano l’obiettivo è chiaro: non tanto quella categoria di influencer e intrattenitori pronti a monetizzare il dolore, quanto gli spettatori affamati di questo tipo di contenuti ad essere oggetto di scherno.

Adèle Exarchopoulos in L'Accident de piano
Adèle Exarchopoulos in L’Accident de piano. Foto di ©2025 CHI FOU MI PRODUCTIONS

Il film è così un coerente nuovo tassello nella filmografia di Dupieux, che realizza una satira tagliente delle derive del mondo contemporaneo, esplorando l’ossessione per la condivisione, la monetizzazione delle esperienze estreme e le conseguenze sociali e psicologiche della viralità. Viene da chiedersi come sia possibile che ciò che si vede praticare alla protagonista non sia il frutto di pura invenzione, ma ispirato a realtà ormai diffuse e sostanzialmente accettate. Per questo, il tono sopra le righe adottato dal regista dunque ben si sposa con l’assurda realtà di cui narra, amplificando la portata del suo impatto.

Un tono bilanciato però da un minimalismo nelle location e nei personaggi che ricorda quello di Le Deuxième Acte, che se da un lato rafforza l’atmosfera di chiusura e predispone un terreno ideale per le situazioni assurde, dall’altra permette di costruire una crescente tensione psicologica che ricorda opere come Carnage, dove violenza, follia e orrore possono scoppiare in ogni momento. Così, Dupieux ci porta a ridere ma anche a temere per l’incolumità dei personaggi e quindi per quella di noi umani, sempre più esposti a fenomeni che non sembriamo comprendere né saper gestire.

Adèle Exarchopoulos si conferma un portento in L’Accident de Piano

A dare un preciso volto a tutta questa follia c’è la sempre bravissima Adèle Exarchopoulos. Divenuta iconica per La vita di Adele, ma distintasi anche in film come Generazione Low Cost e L’amore che non muore, l’attrice ritrova Dupieux dopo aver recitato per lui in Mandibules – Due uomini e una mosca e Fumare fa tossire. Si fa così di nuovo interprete delle folle del regista, riuscendo a restituire non solo profondità emotiva e autenticità al proprio personaggio ma all’intero film.

Diplomat: la sconvolgente decisione di Kate sul finale della terza stagione e cosa significa per la quarta stagione

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La decisione scioccante di Kate alla fine dell’ultima stagione di The Diplomat avrà importanti ripercussioni sulla quarta stagione, secondo quanto dichiarato dalla star e showrunner della serie. La terza stagione di The Diplomat è stata pubblicata oggi su Netflix ed è stata, come al solito, drammatica, ricca di colpi di scena e intrigante. La stagione riprende dopo la morte del presidente, con il vice Grace Penn che presta giuramento e sceglie Hal, il marito di Kate, come vice.

Il colpo basso è quello a cui Kate reagisce scegliendo di rimanere ambasciatrice nel Regno Unito, vivendo separata dal marito, ma mantenendo le apparenze in pubblico. Con il loro matrimonio già abbastanza complicato, le cose sono destinate a diventare ancora più difficili per la coppia nella quarta stagione di The Diplomat.

In un’intervista con Collider, la showrunner Debora Cahn e la star Kerri Russell hanno discusso della decisione di Kate e di come questa influenzerà la trama della quarta stagione. Ecco i loro commenti:

RUSSELL: È questo il bello di loro. Debora lo chiama sempre “la droga”. Credo che sia questa la loro particolarità. Per queste persone, il lavoro è la loro vita. Non hanno figli. Il Paese, il loro lavoro e aiutare le persone sono la loro vita. È questo che dà loro un senso. Essere in grado di farlo a questo livello, influenzare la politica e avere un impatto sui Paesi e sulle persone è inebriante, ed entrambi sono davvero bravi in questo. Indipendentemente da quanto possano comportarsi male a volte, quando lavorano, lavorano davvero bene insieme, ed è incredibile. Penso che lei ci abbia provato, ed era necessario, ed è difficile da battere.

Russell ha discusso di come il lavoro sia come una droga per i personaggi. Non hanno figli e vivono la difficile dicotomia di essere sposati con il loro lavoro, oltre che l’uno con l’altro.

CAHN: È bello sentire che vuoi che la storia continui. È la conclusione naturale di un’ondata di sentimenti che ti porta a pensare: “Siamo così bene insieme che devo riconoscere e accettare il bene”. L’idea che questo non comporti anche il suo opposto è un pensiero magico, ed è il tipo di pensiero magico a cui tutti ci abbandoniamo, sempre, che è bello a modo suo. Crea una certa dose di ottimismo. Hal ha una relazione diversa in questo momento. Ha una relazione molto, molto forte e importante che si sta sviluppando e avendo successo con un’altra donna che è il Presidente degli Stati Uniti. Anche l’idea che questo non avrebbe cambiato l’alchimia del matrimonio era un pensiero magico.

Cahn ha anche parlato di come sia cambiata la dinamica tra Hal e Kate, dato il ruolo di Hal che lavora a stretto contatto con un’altra donna molto potente.

CAHN: Si ha una certa percezione di questo. Ma poi, quando lo si vede svolgersi, tutto cambia immediatamente. Ogni stagione, nella scrittura di questa serie, abbiamo iniziato con un piano, ma poi, una volta che la narrazione si è sviluppata, ha completamente stravolto ciò che pensavamo sarebbe successo. Siamo certamente interessati, andando avanti, alla dinamica di cosa significhi avere due donne potenti con un uomo potente bloccato in mezzo a loro. In che modo queste relazioni si influenzano e si modificano a vicenda?

Ha concluso affermando che la dinamica della serie, con un uomo potente bloccato in mezzo a due donne potenti, è molto interessante da studiare.

The Diplomat è una serie che ha riscosso successo grazie alle sue sceneggiature serrate e intelligenti e alle storie incentrate sui personaggi. Sì, la serie è un thriller politico intelligente, con un tocco drammatico, ma è anche una serie su persone imperfette che cercano di tenere a bada i conflitti nel mondo, mentre cercano di destreggiarsi tra i propri matrimoni e la propria felicità.

Ciò che probabilmente risuonerà negli spettatori sono i personaggi di The Diplomat e le loro interazioni, e come queste possano influenzare le loro decisioni professionali. La quarta stagione sembra destinata ad andare ancora oltre, e sarà interessante vedere fino a che punto Hal e Kate imploderanno, se riusciranno a riprendersi da questo, e cosa questo significherà per entrambi i personaggi.

Il fatto che la quarta stagione di The Diplomat sia già stata rinnovata significa che ci sarà almeno un’altra opportunità per raccontare la storia e dare a tutti i personaggi il finale che meritano. Ciò che rende Hal e Kate una coppia così interessante è che si amano sinceramente, ma sono anche entrambi molto egocentrici.

Nelle prime due stagioni, Kate era in una posizione di potere e di anzianità rispetto a Hal, ma The Diplomat – stagione 3 ribalta la situazione, con suo marito che ora è la seconda persona più potente al mondo. Resta da vedere se ci sarà un ritorno di fiamma per la coppia, ma la loro relazione rimarrà centrale per il futuro di The Diplomat.

Task – Stagione 2: aggiornamento entusiasmante dal creatore del thriller HBO

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La seconda stagione di Task  ha ricevuto un entusiasmante aggiornamento dal creatore e showrunner Brad Ingelsby. Debuttata su HBO Max nel settembre 2025, la serie segue un agente dell’FBI di Filadelfia che indaga su una serie di rapine a mano armata compiute da un uomo dall’aspetto modesto, padre di famiglia, che prende di mira le bande di trafficanti di droga. La miniserie di sette episodi andrà in onda domenica con l’episodio finale.

Fin dalla sua uscita, Task ha ricevuto il plauso della critica per la caratterizzazione dei personaggi, il realismo crudo e il commento sociale, ed è stata paragonata ad un’altra acclamata serie poliziesca di Ingelsby, Omicidio a Easttown. Anche se la serie sta volgendo al termine, ci sono molti spunti che potrebbero essere sviluppati in altre stagioni.

In un’intervista con Esquire, Ingelsby ha fornito un aggiornamento promettente sul futuro di Task. Ha parlato di come gli piacerebbe realizzare un’altra stagione e raccontare altre storie in quell’universo, purché il pubblico continui a rispondere positivamente, e ha discusso del suo amore per la televisione come mezzo che permette l’esplorazione dei personaggi. Ecco i commenti di Inglesby:

Citazione: Mi piacerebbe fare un’altra stagione di Task. Se il pubblico apprezza Task e continua ad apprezzarlo, mi piacerebbe raccontare altre storie su questo posto, perché amo scrivere su questo posto. Sento di avere ancora molte storie da raccontare. Quello che amo della TV è proprio il numero di personaggi che si possono esplorare. Mi considero davvero uno scrittore di personaggi, non un grande scrittore di trame. Si possono esplorare i Grasso, i Lizzie e gli Aleah. Se dovessi fare un film, a meno che non fossi Robert Altman, non sarei in grado di attingere a così tanti personaggi.

Questi sono sicuramente commenti promettenti da parte di Ingelsby, e il fatto che stia parlando della seconda stagione di Task suggerisce che si tratti di qualcosa che ha vagamente pianificato, almeno nella sua testa. Tuttavia, vale anche la pena notare che Ingelsby ha detto qualcosa di simile in passato riguardo alla possibilità di una Mare of Easttown – stagione 2, e nulla si è concretizzato.

Task ha attualmente un indice di gradimento del 95% su Rotten Tomatoes.

Sebbene Task sia una miniserie e l’episodio 6 abbia chiuso in modo piuttosto definitivo l’arco narrativo principale della stagione, ci sono ancora molti aspetti che potrebbero essere esplorati con l’agente dell’FBI Tom Brandis, interpretato da Mark Ruffalo, e la sua task force. Molto dipenderà dal fatto che Ingelsby ritenga di avere una storia abbastanza forte da coprire un’altra stagione e renderle giustizia.

Ciò che ha reso Task così efficace è il fatto che si tratta di una serie limitata. La storia e il percorso dei personaggi sono in gran parte contenuti in una sola stagione e sembra una storia completa dall’inizio alla fine. Il pericolo di realizzare un’altra stagione è che si rischia di perdere parte della magia che caratterizza una miniserie.

C’è ancora un episodio di Task da mandare in onda, quindi c’è la possibilità che Ingelsby possa concludere la serie in modo tale da rendere sensata una seconda stagione. Questo potrebbe rendere il futuro della serie ancora più emozionante e potrebbe anche riaccendere la possibilità che altri episodi di Mare of Easttown possano essere realizzati in tempi brevi.

Le foto dal set di Harry Potter rivelano un importante cambiamento di Voldemort rispetto ai libri

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Nuove foto dal set della serie HBO Harry Potter anticipano un cambiamento fondamentale di Voldemort rispetto al primo libro. Le riprese della serie sono in pieno svolgimento e sono trapelate alcune foto dal set che rivelano scene e personaggi chiave ricreati per il grande schermo. Recentemente è stato svelato il Silente di John Lithgow, così come l’uso di King’s Crossing per il binario nove e tre quarti.

Ora, nuove immagini sembrano mostrare Godric’s Hollow, il luogo dove il giovane Harry viveva con i suoi genitori quando era bambino. Le immagini indicano che il villaggio sta festeggiando Halloween, grazie alla moltitudine di bambini che camminano per le strade in costume. Anche le auto d’epoca sono allineate lungo le strade, indicando che questa scena si svolge nel passato.

Guarda qui le foto dal set della serie Harry Potter.

Sebbene questa scena sia un elemento chiave della saga di Harry Potter, viene menzionata solo nel primo libro, La pietra filosofale, mentre il settimo e ultimo libro, I doni della morte, torna indietro nel tempo per mostrare gli eventi di quella fatidica notte in cui Voldemort tentò di uccidere Harry e riuscì a uccidere i suoi genitori, Lily e James.

Altre foto dal set hanno anche indicato dei cambiamenti rispetto al materiale originale. Lithgow nei panni di Silente è stato visto girare su una spiaggia, una scena che non è inclusa nel primo libro, ma che suggerisce il potenziale coinvolgimento degli Horcrux nelle prime fasi della serie live-action.

Questi cambiamenti impliciti suggeriscono che la serie Harry Potter avrà una portata più ampia quando uscirà nel 2026. Con ogni stagione composta da più episodi, la serie ha l’opportunità di gettare le basi per i punti salienti della trama in un modo che i film non hanno potuto fare con la loro durata ridotta.

Tuttavia, anche il primo film includeva un flashback di quella fatidica notte a Godric’s Hollow, anche se era limitato principalmente alla casa dei Potter piuttosto che a Godric’s Hollow nel suo complesso. Se queste foto indicano davvero che la prima stagione di Harry Potter della HBO amplierà ciò che sappiamo di quella notte, allora ciò confermerebbe altre prove che la serie si sta espandendo oltre le pagine dei romanzi.

Questo sicuramente attenuerebbe le critiche alla serie. Molti hanno messo in discussione il senso della costosa impresa della HBO, dato che le prime immagini della serie indicano una sorprendente somiglianza con i film. Se la serie ampliasse la storia in modi non ancora visti sullo schermo, allevierebbe le preoccupazioni che la serie possa essere solo un rifacimento di ciò che il pubblico già conosce.

DC conferma ufficialmente Bane nel prossimo film d’animazione di Batman

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Bane sarà il cattivo principale del prossimo film di Batman, ma non sarà l’unico nemico della DC Comics a dare filo da torcere al Cavaliere Oscuro. La DC ha in programma diversi progetti su Batman, con Bruce Wayne che apparirà sia in film d’animazione che live-action nei prossimi anni. The Batman – Parte 2 dovrebbe presto iniziare a dare i primi segnali.

Con la sceneggiatura già scritta, il reboot di Batman DCU The Brave and the Bold è un altro progetto che potrebbe vedere presto dei progressi. Tuttavia, nessuno dei film live-action di Batman è previsto come prossimo film dell’eroe. Batman tornerà invece in grande stile nel 2026 in un film d’animazione, con uno dei suoi migliori nemici a ricoprire un ruolo chiave.

Bane sarà il cattivo principale della nuova saga di film di Batman

Dopo l’uscita nel 2025 di un film animato su Batman, la storia Elseworlds vista in Aztec Batman: Clash of Empires, il 2026 vedrà l’inizio di una nuova saga per il personaggio, che esisterà anche al di fuori del canone dell’universo DC di James Gunn. Sorprendentemente, la DC ha annunciato non uno, ma quattro film per adattare l’arco narrativo dei fumetti Batman: Knightfall.

Il primo di questi è intitolato Batman: Knightfall Part 1: Knightfall. Il prossimo film DC è stato fissato per il 2026, anche se non è stata ancora annunciata una data precisa. Knightfall è la classica trama del fumetto che ha visto Bane spezzare la schiena a Batman. Pertanto, la DC ha confermato che Bane sarà il cattivo principale del film su Batman.

Ciò è stato chiarito nella sinossi ufficiale del film, che ha rivelato che Bane libererà “tutta la Rogue’s Gallery di Batman dall’Arkham Asylum”. La DC non ha ancora rivelato chi darà la voce a Bane e al resto dei personaggi del film. Tuttavia, l’annuncio conferma che Bane sarà ancora una volta il personaggio chiave di un film su Batman.

DC ha già reso Bane il cattivo principale di un adattamento di successo di Knightfall

Sebbene il film su Batman del 2026 sarà il primo adattamento diretto di Knightfall da parte della DC, alcuni elementi di quella trama sono stati fondamentali per l’ultimo film di Batman di Christopher Nolan, Il cavaliere oscuro – Il ritorno del 2012. Come accade nei fumetti, Bane, interpretato da Tom Hardy, ha spezzato la schiena a Batman, interpretato da Christian Bale, e ha gettato Gotham City nel caos, salendo al potere per controllarla.

Sebbene Il cavaliere oscuro – Il ritorno presenti più collegamenti con Knightfall, non si tratta di un adattamento diretto, poiché presenta molte differenze. Ad esempio, Azrael e il suo piano di sostituire Batman durante l’assenza di Bruce sono stati completamente rimossi dal film. Sono entusiasta del prossimo film Batman della DC per il potenziale che ha un adattamento completo di Knightfall, e Bane ha tutte le carte in regola per brillare.

Suburræterna – Stagione 2: al via le riprese a Roma

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Suburræterna – Stagione 2: al via le riprese a Roma

La seconda stagione di Suburræterna di Netflix, l’acclamato spin-off della serie italiana poliziesca Suburra, sarà ambientata a Roma, in Italia, dal 20 ottobre di quest’anno al febbraio 2026. Ezio Abbate e Fabrizio Bettelli tornano come sceneggiatori, mentre Leonardo D’Agostini e Michele Alhaique saranno i registi degli episodi.

Nel finale della prima stagione, Angelica ritiene Alberto “Spadino” Anacleti responsabile della morte della sua migliore amica Nadia, che in realtà è stata uccisa da Victor, il nipote di Alberto. Nadia aveva pianificato di tradirla ed eliminare la famiglia Luciani una volta per tutte.

Il motivo che spinge il politico corrotto Amedeo Cinaglia a costruire il Nuovo Colosseo viene vanificato dopo che egli non riesce a partecipare all’incontro organizzato tra lui, Ercole, il cardinale Tronto e il notaio. Alla fine, il progetto finisce nelle mani di Ercole Bonatesta, un altro consigliere comunale che, proprio come Cinaglia, vuole il potere e il controllo sull’impero criminale. Bonatesta finisce per uccidere suo nonno Vito, che era stato un fedele sostenitore della famiglia Anacleti.

Il finale culmina con degli spari, mentre Damiano Luciani (fratello di Giulia Luciani) e sua moglie, Angelica Sale, ex moglie di Alberto, sono sulla spiaggia a confidarsi i loro sentimenti. Nel dramma che ne segue, il fratello di Damiano, Cesare, viene ucciso dagli uomini di Cerocchi, il luogotenente che lavora per Amedeo Cinaglia. I Luciani perdono la loro quota e il controllo sulla vendita nel loro territorio, che viene gestito da Adelaide Anacleti. Anacleti viene infine uccisa da Giulia in un attacco, e i Luciani bruciano persino le case degli Anacleti. Spadino decide di riprendersi le ville della sua famiglia e di vendicarsi dei Luciani.

Considerando come finisce la prima stagione, gli attori che dovrebbero tornare nella seconda stagione includono Giacomo Ferrara nel ruolo di Alberto “Spadino” Anacleti, Filippo Nigro nel ruolo di Amedeo Cinaglia, Carlotta Antonelli nel ruolo di Angelica Sale, Marlon Joubert nel ruolo di Damiano, Aliosha Massine nel ruolo di Ercole Bonatesta, Yamina Birmi nel ruolo di Giulia Luciani, Paola Sotgiu nel ruolo di Adelaide Anacleti ed Emmanuele Aita nel ruolo di Ferdinando Badali.

Outlander: Blood of My Blood – Stagione 1, la spiegazione del finale sospeso

La prima stagione di Outlander: Blood of My Blood ci ha lasciato con un intrigante colpo di scena. Lo spin-off di Outlander segue i genitori di Jamie e Claire, che, con nostra sorpresa, in questa versione della storia si conoscevano già. Nel corso di tutti e dieci gli episodi, abbiamo visto questi due amanti lottare contro ogni previsione per stare insieme. Nel finale di Outlander: Blood of My Blood, ci sono finalmente riusciti.

Naturalmente, il finale sospeso della prima stagione di Blood of My Blood lascia in sospeso la questione se i Fraser e i Beauchamp riusciranno a evitare di essere separati di nuovo. Anche se Ellen e Brian si sono uniti in matrimonio, non sono ancora legalmente sposati, quindi potrebbero esserci ulteriori problemi con entrambe le loro famiglie. Poi c’è Julia, che, sebbene si sia riunita con Henry, è tecnicamente sposata con Lord Simon Lovat.

Brian ed Ellen potrebbero essere fuggiti insieme ed evitare tutti i drammi familiari, ma la loro scena finale in Blood of My Blood ha visto l’accensione di croci infuocate dei clan, che segnalano l’inizio della ribellione giacobita. Allo stesso modo, Henry e Julia sarebbero al sicuro dai loro problemi nel loro tempo, ma attraversare le pietre sarà sicuramente molto più complicato di quanto sperino.

Henry, Julia e William riusciranno ad attraversare le pietre?

L’aspetto principale del cliffhanger della prima stagione di Outlander: Blood of My Blood è il tentativo di Henry e Julia di attraversare le pietre. Sono finalmente riusciti a sfuggire ai loro rispettivi rapitori e sono arrivati a Craigh na Dun, ma la grande domanda è se il loro figlio neonato, William, possa viaggiare nel tempo. Da Outlander sappiamo che c’è una possibilità molto concreta che non possa farlo.

Inizialmente, Henry e Julia hanno ideato un piano per garantire la sicurezza di William. Uno dei due avrebbe cercato di attraversare le pietre con il bambino, mentre l’altro sarebbe rimasto indietro per ogni evenienza. Tuttavia, l’avvicinarsi del signor Bug ha costretto i Beauchamp a prendere misure più drastiche. Henry ha afferrato la mano di Julia e l’ha posata sulla pietra eretta, ed è qui che si è concluso il prequel di Outlander.

Henry ha giustamente intuito che il viaggio nel tempo è genetico, il che significa che William potrebbe certamente aver ereditato il gene dai suoi genitori. Anche il neonato, tecnicamente, ha già viaggiato nel tempo, dato che Julia era incinta quando ha attraversato le pietre. Tuttavia, le regole qui sono un po’ confuse. Henry e Julia possono attraversare le pietre, mentre William viene lasciato indietro.

Una cosa che sappiamo per certo è che Henry e Julia non torneranno dalla giovane Claire. La protagonista di Outlander è cresciuta senza i suoi genitori, e questo è un fatto che non può essere cambiato. Quindi, o William viene lasciato indietro e la stagione 2 di Blood of My Blood è dedicata al ritorno di Henry e Julia da lui, oppure i tre finiscono in un’epoca completamente diversa.

Le croci infuocate alla fine della prima stagione di Blood of My Blood spiegate

Outlander: Blood of My Blood

La storia di Brian ed Ellen in Outlander: Blood of My Blood si è conclusa con un cliffhanger completamente diverso. Come Henry e Julia, Brian ed Ellen sono stati, in un certo senso, prigionieri per tutta la prima stagione. Nell’episodio finale, tuttavia, sono stati finalmente liberi di stare insieme. Il loro piano iniziale era quello di partire e trovare un posto dove stabilirsi insieme, dove le loro famiglie non potessero disturbarli.

Sebbene sappiamo che Brian ed Ellen finiranno per fondare Lollybroch, sembra che quel momento non sia ancora arrivato. Proprio mentre i due stavano per partire, Brian ha notato le croci fiammeggianti che attraversavano il paesaggio scozzese. I clan stanno chiamando i loro uomini alle armi in preparazione della loro prima significativa rivolta giacobita.

Ancora una volta, sappiamo più o meno come andrà a finire. I giacobiti sono destinati a fallire. Sappiamo anche che Brian non è destinato a morire nelle prossime battaglie (e nemmeno molti altri personaggi di spicco). Tuttavia, la necessità di Brian di rispondere alla chiamata significherà probabilmente un ritorno da Lord Simon, il che non è una buona notizia per il suo personaggio, considerando la sua drammatica uscita di scena.

È anche probabile che Brian ed Ellen dovranno separarsi di nuovo per un po’ nella seconda stagione di Outlander: Blood of My Blood. Tuttavia, situazioni del genere sono all’ordine del giorno nella serie Outlander. Sappiamo che torneranno insieme, ma il tempo trascorso lontani aggiungerà senza dubbio molta tensione. Poi c’è la questione della morte di Malcolm Grant che si aggiunge a tutto questo.

Brian ed Ellen dovranno sicuramente affrontare le conseguenze della morte di Malcolm Grant

Outlander: Blood of My Blood

Per quanto ne sappiamo, nessuno oltre a Brian ed Ellen ha assistito alla morte di Malcolm Grant. Ellen era già scomparsa dal matrimonio, quindi, per quanto ne sanno i Grant e i MacKenzie, lei non ha nulla a che fare con l’accaduto. Tuttavia, in Outlander: Blood of My Blood è evidente che lo zio di Malcolm, Malcolm MacKinnon Grant, è un uomo intelligente e molto pericoloso. Sospetterà la verità.

Malcolm MacKinnon Grant diventerà probabilmente il capo dei Grant ora che suo nipote è morto, e questa non è una buona notizia per Brian ed Ellen, per non parlare dei MacKenzie. Con Dougal sposato con Maura, l’alleanza tra i due clan rimarrà probabilmente intatta. Tuttavia, la discordia tra le famiglie è lungi dall’essere finita. Il nuovo capo dei Grant cercherà sicuramente vendetta, e non con mezzi onorevoli.

Come la stagione 1 di Blood Of My Blood potrebbe collegarsi alla stagione 8 di Outlander

Come ogni buona serie prequel, Outlander: Blood of My Blood ha cambiato retroattivamente la nostra comprensione di alcune storie di Outlander. La sopravvivenza di Henry e Julia Beauchamp e l’esistenza del loro secondo figlio sono elementi rivoluzionari e avranno sicuramente un impatto sulla prossima stagione 8 di Outlander. Dopotutto, sarebbe strano se la storia di Claire finisse senza che lei scoprisse la verità.

Se Henry, Julia e William riusciranno a superare con successo le pietre erette, è possibile che atterreranno negli anni ’70 del Settecento, dove Claire e Jamie stanno attualmente partecipando alla Rivoluzione Americana. Tuttavia, sembra più probabile che, semmai, atterreranno più o meno nel periodo in cui Claire è apparsa per la prima volta nel XVIII secolo. Questo permetterebbe alla loro storia di collegarsi al mistero di Faith in Outlander.

In Outlander: Blood of My Blood, abbiamo visto Julia cantare “I Do Like to Be Beside the Seaside” al piccolo William.

In Outlander: Blood of My Blood, abbiamo visto Julia cantare “I Do Like to Be Beside the Seaside” al piccolo William. Questa è la stessa canzone che Fanny Pocock cantava nella stagione 7 di Outlander, ispirando la teoria di Claire secondo cui sua figlia Faith era sopravvissuta. È chiaro che gli sceneggiatori stanno creando un filo conduttore. Tuttavia, non è ancora chiaro come tutto questo si ricollegherà.

Anche se probabilmente dovremo aspettare la seconda stagione di Outlander: Blood of My Blood per avere un quadro completo delle storie di Henry e Julia, anche l’ottava stagione di Outlander dovrebbe fornire alcuni indizi intriganti.

Save The Last Dance, la spiegazione del finale: cosa succede a Sara e Derek?

Save the Last Dance è stato molto più di un classico cult; è una capsula del tempo che racchiude l’essenza dei film degli anni 2000, fondendo esperienze di vita reale per raccontare una storia di formazione che rispecchia la realtà di molti adolescenti in tutta la nazione.

Questa storia parlava soprattutto di un’adolescente che cercava di trovare la sua strada durante alcuni dei suoi anni formativi.

Di cosa parla Save the Last Dance?

Save the Last Dance parla della capacità di rimanere resilienti di fronte alle avversità e di ballare via il dolore. Diretto da Thomas Carter, il film segue il viaggio di Sara Johnson (Julia Stiles), una giovane aspirante ballerina che si ritrova a trasferirsi a Chicago per vivere con suo padre dopo la morte della madre. Non solo perde la madre che le ha dato la vita, ma Sara perde anche il suo amore per la danza fino all’arrivo di Derek Reynolds (Sean Patrick Thomas).

Insieme, si ritrovano coinvolti in un amore apparentemente proibito; la gente non è felice di vedere Derek con una ragazza bianca. Eppure, la loro relazione è il catalizzatore del ritorno di Sara alla danza. Il finale del film lega insieme i temi della redenzione, dell’amore e del potere di perseguire la propria passione nonostante le difficoltà della vita.

Ecco la spiegazione del finale di Save the Last Dance:

Tormentata dal senso di colpa

Sara non è una teenager come le altre. Mentre la maggior parte delle ragazze della sua età sono prese dai compiti scolastici, dai pettegolezzi succulenti, dall’adorazione dei ragazzi o dalle gite improvvisate al centro commerciale, lei è tormentata dal senso di colpa che si è attribuita per il tragico incidente d’auto di sua madre.

Gli spettatori la incontrano durante un’audizione di danza e vengono subito colpiti dalla tragedia quando lei scopre che sua madre è rimasta coinvolta in un fatale incidente mentre stava andando a sostenere sua figlia. Invece di affrontare la perdita della madre, in breve tempo si ritrova a Chicago con il padre, che ha sempre vissuto da single.

Una storia d’amore adolescenziale

Nel mezzo del tumulto interiore ed esteriore che affligge Sara, incontra un amico, Derek, che diventa rapidamente il suo confidente più intimo grazie alle loro difficoltà nell’adattarsi alle rispettive famiglie. Derek, uno studente eccellente, capisce la pressione che Sara subisce per essere la migliore ballerina.

Non passa molto tempo prima che lui la riporti nel mondo della danza, ma con una svolta, quando i due si ritrovano sulla pista da ballo di un nightclub dove Sara è stata invitata dalla sua nuova amica, Chenille (Kerry Washington), che è la sorella di Derek. Questa esperienza offre a Sara una nuova prospettiva sulla danza rispetto ai movimenti rigidi e complessi che ha perfezionato nel corso degli anni con la speranza di diventare una ballerina professionista.

L’audizione

Il momento più cruciale del film si verifica quando Sara torna al punto di partenza, affrontando proprio ciò che l’aveva allontanata dalla danza in primo luogo. Mentre esegue il suo numero di danza per l’audizione alla Julliard, è sostenuta da Derek, che la guarda felice mentre incorpora gli stili di danza hip-hop che lui le ha insegnato durante la loro storia d’amore adolescenziale.

Come finisce Save the Last Dance?

Quando i giudici reagiscono all’audizione di Sara, la loro è una reazione di sorpresa e ammirazione, che lascia intravedere che la Julliard potrebbe benissimo essere nel futuro del personaggio.

Il finale del film trasmette un messaggio forte sul superamento delle barriere sociali e personali, dalla sua relazione con Derek, che la maggior parte dei loro cari non accetta, al superamento delle avversità e allo sguardo verso un futuro pieno di speranza.

La capacità di Sara di combinare il balletto con l’hip-hop sottolinea il messaggio del film sull’accettazione della diversità e sulla ricerca della propria voce attraverso la fusione di diverse influenze culturali. A partire da agosto 2024, Save the Last Dance è disponibile in streaming su Netflix.

The Diplomat? Ecco 8 serie che ti piaceranno sicuramente

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The Diplomat? Ecco 8 serie che ti piaceranno sicuramente

Immersa in decisioni che potrebbero avere un impatto su milioni di persone, The Diplomat segue Kate Wyler, ambasciatrice degli Stati Uniti nel Regno Unito. La serie thriller politica di Netflix creata da Debora Cahn vede Kate Wyler destreggiarsi non solo tra i doveri e le responsabilità ufficiali come nuova ambasciatrice. Dal dover affrontare crisi internazionali che potrebbero avere effetti di vasta portata alla formazione di alleanze strategiche con nazioni e sette a Londra, la serie fonde facilmente elementi di suspense, mistero e dramma politico.

Con Keri Russell, Rufus Sewell e Ali Ahn, la storia si concentra anche su come ogni relazione richieda qualcosa di più della semplice diplomazia. Dal dover gestire il suo matrimonio con un collega diplomatico al mantenere intatte le alleanze militari, The Diplomat offre tutta la gravità geopolitica che il pubblico desidera, avvolta nella finzione. Gli spettatori che sono stati trasportati nel regno della politica e della sicurezza attraverso la serie e vogliono godersi un’altra dose di thriller politici troveranno utile questo elenco. Ecco una lista di programmi simili che hanno tutti gli elementi che rendono una serie televisiva degna di nota.

Black Earth Rising (2018)

Black Earth Rising (2018)

Con Michaela Coel, Hugo Blick, John Goodman, Harriet Walter, Lucian Msamati e Abena Ayivor, “Black Earth Rising” segue la storia di Kate Ashby, un’investigatrice legale che lavora per Michael Ennis. Quando la sua madre adottiva Eve accetta un caso per perseguire un leader della milizia ruandese, le due vengono coinvolte in una situazione che minaccia i loro obiettivi e stravolge per sempre le loro vite.

La serie è stata creata da Hugo Blick ed è un mix perfetto di dramma, suspense psicologica e politica. Gli spettatori che hanno apprezzato gli elementi delle alleanze militari in The Diplomat apprezzeranno sicuramente i conflitti presenti in Black Earth Rising.

The Night Agent (2023-

The Night Agent
© SIVIROON SRISUWAN/NETFLIX

Questa serie Netflix con Gabriel Baao, Luciane Buchanan, Fola Evans-Akingbola, Sarah Desjardins, Eve Harlow e Phoenix Raei è basata sul romanzo di Matthew Quirk e segue la storia dell’agente dell’FBI Peter Sutherland che si ritrova coinvolto in una cospirazione su larga scala riguardante una talpa che ha contatti ai livelli più alti del governo degli Stati Uniti.

La serie segue il viaggio di Sutherland alla ricerca del traditore. La serie include elementi di cospirazione, dramma e azione, rendendo difficile per gli spettatori non rimanere affascinati, ed è stata creata da Shawn Ryan. Gli spettatori che hanno amato il dramma sui funzionari di alto rango in The Diplomat troveranno The Night Agent altrettanto avvincente.

The Honorable Woman (2014)

The Honorable Woman (2014)

Creata da Hugo Blick, la serie della BBC segue la storia di Nessa Stein, un’imprenditrice anglo-ebraica di alto rango il cui lavoro per proteggere la pace in Medio Oriente la coinvolge in omicidi, affari e cospirazioni. Con Maggie Gyllenhaal, Philip Arditti, Lubna Azabal, Andrew Buchan e Tobias Menzies, la serie mette in scena spionaggio, thriller e la ricerca di cambiamento di una donna britannico-israeliana. I colpi di scena scioccanti tengono gli spettatori con il fiato sospeso. Come The Diplomat, “The Honorable Woman” vede una donna destreggiarsi tra diversi ruoli per mantenere lo status quo, cosa che attirerà molti spettatori.

Madam Secretary (2014-2019)

Madam Secretary (2014-2019)

Questo dramma politico segue la storia di Elizabeth Adams McCord, ex Segretario di Stato e Presidente degli Stati Uniti, mentre gestisce il suo ruolo di persona di importanza politica e allo stesso tempo cerca di bilanciare le complesse questioni che derivano dalla vita familiare.

Con Tea Leoni, Tim Daly, Katherine Herzer, Wallis Currie-Wood ed Evan Roe, la serie è stata creata da Barbara Hall. Segue il percorso di trasformazione di una donna in una storia di politica e dramma. Gli spettatori che hanno amato una donna al comando in The Diplomat apprezzeranno sicuramente il personaggio di Tea Leoni in Madam Secretary.

Designated Survivor (2016-2019)

Designated Survivor (2016-2019)

La serie è incentrata sulla vita di Tom Kirkman, Segretario per l’edilizia abitativa e lo sviluppo urbano, che si ritrova a diventare Presidente degli Stati Uniti dopo che un attacco senza precedenti al Campidoglio ha ucciso tutti i membri che lo precedevano nella linea di successione. La serie segue le difficoltà di Kirkman dopo la sua entrata in carica, mentre cerca di affrontare la minaccia terroristica incombente e di scoprire la cospirazione che ha portato all’attacco.

Con Keifer Sutherland, Natascha McElhone, Adan Canto, Italia Ricci e Maggie Q, questo dramma politico cattura gli spettatori con i suoi elementi di suspense, cospirazioni e trama avvincente. Gli spettatori che hanno amato i colpi di scena di “The Diplomat” apprezzeranno altrettanto “Designated Survivor”.

Occupied (2015-2019)

Occupied (2015- 2019)

Questo dramma politico norvegese racconta la storia di un futuro immaginario in cui condizioni ambientali catastrofiche portano a problemi geopolitici che vedono la Russia occupare la Norvegia per conto dell’Unione Europea, poiché il nuovo primo ministro norvegese, attento alle questioni ambientali, ha interrotto la produzione di petrolio e gas nel Paese.

Con Ane Dahl Torp, Henrik Mestad, Eidar Skar e Ingeborga Dapkunaite, la serie creata da Jo Nesbo ed Erik Skjodbjaerg segue il brivido politico su scala monumentale. Gli spettatori che hanno trovato intriganti le scintillanti vicende militari e diplomatiche di “The Diplomat” troveranno sicuramente “Occupied” altrettanto avvincente.

Bodyguard (2018-)

Bodyguard (2018-)

Con Richard Madden, Keeley Hawes, Gina McKee, Sophie Rundle e Vincent Franklin, il dramma politico della BBC creato da Jed Mercurio segue la storia del sergente di polizia David Budd, un veterano di guerra in pensione affetto da disturbo da stress post-traumatico che lavora alla Royalty and Specialist Protection. Quando viene nominato responsabile della protezione del ministro dell’Interno, si ritrova coinvolto in questioni politiche controverse che minacciano di distruggere i suoi piani.

Dall’affrontare situazioni di alta tensione alle ricerche mozzafiato, la serie segue la trama altamente tesa di come sarebbe lavorare nelle parti più riservate del governo. Gli spettatori che hanno amato l’elemento di alta tensione in The Diplomat troveranno “Bodyguard” altrettanto interessante.

Jack Ryan (2018-)

Jack Ryan (2018-)

Seguendo la storia dell’analista della CIA Jack Ryan, la serie svela il protagonista che si allontana dalla sua scrivania per entrare in azione e scoprire le minacce più distruttive per il mondo. La serie è stata creata da Tom Clancy e si basa sui personaggi di “Ryanverse”. Con John Krasinski, Wendell Pierce, Abbie Cornish, Ali Sulimn e Dina Shihabi.

Mentre l’analista della CIA protagonista della serie si ritrova a scoprire i meccanismi più oscuri degli estremisti, il caos e il brivido che ne derivano creano la ricetta perfetta per un mix di azione, dramma e suspense. Pertanto, gli spettatori che hanno apprezzato i temi delle negoziazioni ad alto rischio in The Diplomat troveranno interessante anche Jack Ryan.

The Diplomat: la serie Netflix è ispirata alla vita reale?

The Diplomat: la serie Netflix è ispirata alla vita reale?

Creata da Debora Cahn, The Diplomat di Netflix è una serie thriller politica che segue la storia di Kate Wyler (Keri Russell). Esperta nella gestione di crisi di importanza internazionale, Kate è pronta a partire per l’Afghanistan per la sua prossima missione. Tuttavia, viene riassegnata a Londra dopo che una nave britannica viene attaccata e il Paese diventa sospettoso e ostile nei confronti dell’Iran.

In qualità di ambasciatrice degli Stati Uniti, il suo compito è quello di mitigare la crisi che potrebbe avere gravi ripercussioni sulla nazione e sul mondo. La serie ci offre uno sguardo sulla vita dei diplomatici e sulle sfide che devono affrontare per mantenere la pace nel mondo. Fa riferimento a conflitti reali come la guerra tra Russia e Ucraina, il che potrebbe farvi chiedere se la serie sia basata su eventi reali. Scopriamolo! SPOILER IN ARRIVO

The Diplomat è una storia di fantasia

No, The Diplomat non è basato su una storia vera. È ispirato a una storia originale di Debora Cahn, nota per aver lavorato a serie televisive di argomento politico come The West Wing e Homeland che combina gli elementi politici e di spionaggio di queste serie per creare la trama avvincente di una serie thriller. L’idea per la serie le è venuta mentre lavorava come sceneggiatrice e produttrice di “Homeland”. Per la serie di spionaggio con Claire Danes, sono stati consultati molti esperti in diversi campi, tra cui alcuni ambasciatori.

Parlando della stessa cosa a Vanity Fair, Cahn ha detto: “Sono persone tranquille e senza pretese. Come questa donna che assomiglia a mia zia Ruthie: si trovava nel bel mezzo di una crisi che coinvolgeva scorie nucleari, un camion che sbandava su una strada ghiacciata della Siberia e bombe che cadevano. Nessuno sa cosa fanno queste persone. È un’attività in prima linea, e nessuno ne sa nulla”.

La sceneggiatrice ha osservato che le persone impiegate nel servizio diplomatico sono “le prime ad arrivare e le ultime ad andarsene da ogni disastro nel mondo, e nessuno sa chi sono o cosa fanno”. Voleva trasmettere quella tensione e la responsabilità di prendere decisioni immediate che potrebbero cambiare il mondo. Oltre alla vita professionale, Cahn era anche interessata ad esplorare l’idea di coppie che lavorano nello stesso campo. Definendole “coppie in tandem”, era affascinata dall’idea di due persone sposate ma anche in competizione tra loro a causa della natura del loro lavoro.

“Ti trovi in una situazione in cui la persona che ami di più è anche qualcuno con cui sei sempre in competizione”, ha osservato Cahn. È qui che entrano in gioco Kate e Hal. Il loro rapporto di amore-odio, pieno di battute, è diventato qualcosa con cui il pubblico poteva identificarsi. “È il mio modo di entrare in contatto con ciò che significa essere qualcuno in quel tipo di vita. È molto più facile per il pubblico identificarsi con una circostanza, ed è più divertente e reale che mai”, ha detto la sceneggiatrice.

Sebbene “The Diplomat” sia quasi interamente frutto di fantasia, gli sceneggiatori hanno guardato a eventi reali per generare il conflitto principale della storia. La serie inizia con l’attacco a una nave da guerra britannica nel Golfo Persico e tutte le prove puntano verso l’Iran. Questo fa aumentare la tensione tra i due paesi, portando ad altre complicazioni nella politica internazionale. Questa premessa è probabilmente un’esagerazione di un conflitto reale in cui la Gran Bretagna e l’Iran sono quasi entrati nel 2019.

Una dichiarazione rilasciata dal Ministero della Difesa ha rivelato che “tre navi iraniane hanno tentato di impedire il passaggio di una nave commerciale, la British Heritage, attraverso lo Stretto di Hormuz”. Ciò ha costretto la HMS Montrose “a posizionarsi tra le navi iraniane e la British Heritage e a lanciare avvertimenti verbali alle navi iraniane, che poi si sono allontanate”. Le autorità erano “preoccupate da questa azione” e hanno esortato “le autorità iraniane a distendere la situazione nella regione”.

Secondo quanto riferito, l’Iran ha respinto le accuse definendole “prive di valore” e “fatte per creare tensione”. Nel frattempo, le navi britanniche sono state messe in allerta. Fortunatamente, le cose non sono peggiorate. Parlando di queste cose, che devono accadere più spesso di quanto il pubblico ne senta parlare, Cahn ha detto: “Il mondo potrebbe finire martedì a causa di una decisione che prendono o non prendono”.

Oltre a sottolineare la gravità del lavoro, Cahn si è anche concentrato sulla quotidianità di queste persone che potrebbero gestire continuamente questioni delicate, “ma questo non significa che ricordino il nome della persona con cui stanno parlando, e non significa che non abbiano dimenticato di togliere l’etichetta dai pantaloni”. Considerando tutto ciò, possiamo dire che The Diplomat è un’opera di fantasia, ma attinge a eventi e personaggi reali per creare un ritratto avvincente della vita di un ambasciatore.

The Diplomat – Stagione 3: la spiegazione del finale: chi ha rapito Poseidon?

La terza stagione della serie Netflix The Diplomat riprende immediatamente dopo il finale della seconda stagione. L’ultima volta che abbiamo visto Kate Wyler, stava affrontando la vicepresidente Grace Penn riguardo alle sue azioni con la HMS Courageous, mentre parlava del proprio desiderio di diventare vicepresidente. A sua insaputa, suo marito Hal ha chiamato la Casa Bianca, mettendosi in contatto diretto con il presidente Rayburn, al quale ha raccontato tutto del tradimento di Grace. Hal sapeva che avrebbe avuto un effetto significativo sul presidente, ma non aveva previsto che la notizia sul suo vicepresidente lo avrebbe ucciso. Ora che Rayburn è morto, Grace è il nuovo presidente, il che lascia il destino di Kate e del Paese in bilico. SPOILER IN ARRIVO.

Cosa succede in The Diplomat – Stagione 3

Nonostante la loro rivalità, quando Grace diventa presidente, Kate non fa altro che aiutarla. Uno dei motivi per cui ora vuole entrare nelle grazie di Grace è perché sa che ha bisogno di qualcuno con i piedi per terra come vice, per impedirle di prendere decisioni che potrebbero portare a un altro incidente come quello dell’HMS Courageous. Tutti pensano che Kate sia la persona più adatta per questo incarico, ma Grace ribalta la situazione nominando Hal. Questo spezza il cuore a Kate, ma lei si fa forza, soprattutto ora che sa che Hal avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile. Anche per lui la nomina è una sorpresa e promette a Kate che le troverà un lavoro all’altezza delle sue capacità. Mantiene la promessa, ma Kate non è ancora pronta a lasciare Londra.

Decide quindi di conciliare il suo lavoro di ambasciatrice con il suo ruolo di Second Lady. Questo la allontana molto da Hal, ma i due sono già così distanti che trovarsi in continenti diversi sembra una buona scelta. Entrambi concordano di mantenere viva la facciata del matrimonio per l’immagine pubblica, ma a livello personale sono separati. Tornata a Londra, Kate riprende il suo lavoro di ambasciatrice, che la mette in contatto con una spia britannica di nome Callum Ellis. Lui le racconta di un sottomarino nucleare russo abbandonato al largo delle coste britanniche, di cui bisogna occuparsi.

È interessante notare che lui ha raccontato questa notizia prima a Kate, e ora stanno lavorando insieme per risolvere questo pasticcio. La loro collaborazione professionale si trasforma in una storia d’amore, che tengono segreta agli altri, o almeno ci provano. Nel frattempo, le cose si complicano quando i segreti sull’HMS Courageous rischiano di essere rivelati da una fonte russa. Affrontare la questione si trasforma in un errore che potrebbe costare caro al Paese. Ma Kate, con la sua infinita arguzia e saggezza, escogita un piano ingegnoso. Solo molto più tardi scopre di essere stata manipolata da Hal per fare qualcosa che avrebbe potuto avere conseguenze bibliche sia per lei che per il Paese.

Trowbridge accetta l’aiuto di Grace?

L’attacco alla HMS Courageous era stato un punto critico nell’amministrazione di Nicol Trowbridge nel Regno Unito e lui, come ogni altro britannico, ne era stato infuriato e indignato. Fece tutto ciò che era in suo potere per assicurare i colpevoli alla giustizia. Quando scoprì che Margaret Roylin, che era stata sua mentore e confidente per anni, era coinvolta, decise di farla uccidere. Non arrivò mai a quel punto perché Roylin si suicidò, ma questo dimostra quanta rabbia provasse Trowbridge. Poi gli americani gli dicono che Roylin collaborava con il defunto presidente Rayburn.

Non solo, gli chiedono anche di non fare il nome di Rayburn e di attribuire tutta la colpa a Roylin, almeno per il momento. Questo ha infranto la fiducia di Trowbridge nei suoi omologhi americani. Si è sentito tradito da loro, soprattutto perché ha scoperto che ne erano a conoscenza da tempo, ma hanno fornito l’informazione solo dopo che i russi li hanno costretti a farlo. Così, nella conferenza stampa, Trowbridge dice la verità su Rayburn e interrompe ogni comunicazione con gli americani. La loro credibilità è stata così compromessa che quando gli dicono che c’è un sottomarino nucleare con il famigerato e non così mitico Poseidon a poche miglia dalla costa britannica, lui si rifiuta di credergli. Sa della presenza del sottomarino, ma pensa che Poseidon sia una bugia.

Dato che ha ancora bisogno della tecnologia di qualcuno per sbarazzarsi del sottomarino, si rivolge ai cinesi. Questo allarma gli americani, perché sanno che questa mossa metterebbe Poseidon nelle loro mani. Alla fine, Grace presenta un ramoscello d’ulivo, cercando di far ragionare Trowbridge e offrendo l’aiuto dell’America per smaltire Poseidon senza causare problemi al Regno Unito. Lui rimane fermo sulle sue posizioni e rifiuta di collaborare con loro, ma alla fine, quando gli vengono mostrate le prove dell’esistenza di Poseidon, concorda sul fatto che i cinesi non possono avvicinarsi ad esso. Tuttavia, non vuole nemmeno che lo abbiano gli americani. È allora che Hal e Kate propongono l’idea del Runit Dome. Invece di lasciare che qualcuno abbia Poseidon, dovrebbe essere sepolto sotto il cemento in fondo all’oceano. Questo soddisfa Trowbridge, che accetta una tregua.

Che fine ha fatto Poseidon? Chi l’ha preso?

Il mito di Poseidon aveva circolato negli ambienti delle agenzie di intelligence per diversi anni, ma non era ritenuto reale. Quindi, quando Trowbridge ne viene informato proprio dagli americani, crede che si tratti dell’ennesima bugia inventata per apparire indispensabili al Regno Unito. Per dimostrarlo, Kate suggerisce di inviare un drone sul fondo dell’oceano, che potrebbe scattare delle foto al Poseidon. Poiché è noto per avere uno scafo caratteristico, sarebbe inconfondibile nelle immagini. Una volta che Trowbridge capisce che la minaccia è reale, non penserebbe più di rivolgersi nuovamente ai cinesi. Il problema è che ciò richiederebbe alla Marina degli Stati Uniti di entrare nelle acque del Regno Unito senza permesso, e potrebbe essere percepito come un atto di guerra. Ma è un rischio che devono correre, e una volta provata la presenza di Poseidon, Trowbridge sarebbe troppo preso dall’affrontare la minaccia nucleare piuttosto che rimproverare l’America per aver portato le sue navi nelle acque del Regno Unito.

Il piano funziona. Quando le foto vengono posate sulla scrivania di Trowbridge, lui ripensa immediatamente alla sua strategia di andare in Cina. Quando chiede perché ci si possa fidare degli americani, e non dei cinesi, per Poseidon, Kate gli offre la possibilità di lasciare che l’arma marcisca in fondo all’oceano, poiché nessuno dovrebbe avere quel tipo di potere. Lui la ascolta e, per un attimo, tutto sembra andare per il meglio. Ma proprio mentre tutti stanno per partire, Callum dice a Kate che Poseidon è scomparso. I livelli di radioattività della zona sono diminuiti drasticamente, cosa che può accadere solo quando uno dei due dispositivi è stato rimosso. È una notizia allarmante, soprattutto se significa che i russi lo hanno preso. Kate lo riferisce immediatamente a Hal, che ne parla con Grace.

Mentre il presidente e il suo vice sono impegnati in una discussione, il marito di Grace, Todd, chiede a Kate se le sta bene il rapporto professionale di successo e un po’ stranamente intimo tra Hal e Grace. All’inizio lei respinge le sue preoccupazioni, credendo che lui stia insinuando una relazione sentimentale tra i due. Ma poi si rende conto che è più di questo. Non sono amanti segreti, ma complici, il che è peggio, perché significa che sono loro ad aver rubato Poseidon. Lei affronta immediatamente Hal al riguardo, sottolineando che, anche se Grace ha mandato un sottomarino a scattare le foto, ha detto a Trowbridge che i droni sono stati usati per ottenere le prove. Anche il momento in cui Poseidon è scomparso è molto sospetto e, senza sorpresa, Hal ammette che sono stati loro. L’America ha Poseidon, ma lei non può dirlo a nessuno.

Hal e Kate tornano insieme? Lei rompe con Callum?

All’inizio della stagione, quando Grace inizia ad avere dei ripensamenti sulla nomina di Hal a vicepresidente, Kate le dice che Hal tende a sorprenderti nei momenti più inaspettati. Anche se era inteso come un complimento, alla fine viene dimostrato nel modo più poco lusinghiero quando viene alla luce la verità su Poseidon. Kate non ha dubbi che sia stato Hal a proporre l’idea di rubare l’arma proprio sotto il naso di Trowbridge. L’avrebbe venduta come assicurazione, nel caso in cui il primo ministro britannico si fosse ancora rifiutato di collaborare con loro. In tal caso, Poseidon sarebbe sfuggito al controllo dei cinesi e gli americani non avrebbero avuto nulla di cui preoccuparsi. Se Trowbridge avesse accettato il ramoscello d’ulivo, avrebbe colmato il divario tra i due paesi.

Naturalmente, Hal, essendo Hal, non si ferma a pensare alle conseguenze delle sue azioni. Non si chiede cosa succederà quando gli inglesi lo scopriranno, cosa che inevitabilmente accadrà, prima o poi. Grace pensava che nessuno avrebbe scoperto la verità sull’HMS Courageous, ma nonostante tutti gli sforzi per insabbiare la vicenda o scaricare la colpa su qualcun altro, la verità, o almeno una parte di essa, è venuta a galla. Cosa succederà quando Trowbridge scoprirà che, con il pretesto di aiutarli, gli americani li hanno ingannati ancora una volta? Questo fa capire a Kate che, ancora una volta, potrebbe aver riposto troppa fiducia in Hal e aver dimenticato per un attimo quanto lui sia in realtà imperfetto. Pochi minuti prima di scoprire il suo tradimento, Kate ha fatto pace con lui, scusandosi per aver voluto separarsi e per la sua relazione con Callum.

Lei vuole che tornino insieme e Hal la accoglie a braccia aperte. Proprio mentre stanno per uscire, arriva Callum e si presume che Kate approfitterà di questo momento per rompere con loro. Ma poi lui le racconta di Poseidon e tutto crolla di nuovo su Kate. Ancora una volta, Hal ha sovvertito le aspettative nel peggiore dei modi. Proprio quando pensava di poterlo amare di nuovo, lui ha fatto qualcosa di così spettacolarmente stupido che lei è costretta a riconsiderare tutto, compreso il loro matrimonio. Quindi, anche se ha scelto Hal invece di Callum, la strada non sarà affatto facile per loro. Inoltre, tecnicamente non ha ancora rotto con Callum e, date le azioni di Hal, potrebbe finire per cercare conforto e un po’ di sanità mentale tra le braccia di Callum, dopotutto.

Old Money – Mondi Opposti, spiegazione del finale: ci sarà una seconda stagione?

Nihal proveniva da una famiglia benestante da generazioni, ma sfortunatamente, dopo alcuni affari andati male, suo padre si era indebitato. L’unica soluzione che avevano era vendere la loro villa sul mare alla famiglia Bulut. Erano nuovi nel mondo degli affari, ma si erano già fatti un nome. La nuova serie romantica turca di Netflix, Old Money – Mondi Opposti, è incentrata sullo scontro tra il vecchio denaro e i nuovi attori.

All’inizio Nihal era disposta a vendere la villa, ma quando il suo amico Engin le ha ricordato che era suo dovere conservarla, poiché apparteneva alla sua famiglia da generazioni e aveva un valore affettivo, ha capito che doveva lottare. Nihal ha capito che la famiglia Bulut aveva commissionato loro la costruzione di uno yacht perché sapeva che non avevano i soldi per portare a termine l’ordine. E se non fossero riusciti a consegnarlo, non avrebbero avuto altra scelta che pagare il loro debito vendendo loro la villa. Il padre di Nihal ammise di aver commesso un terribile errore accettando il lavoro; aveva l’impressione che l’ordine lo avrebbe aiutato a pagare parte del suo debito. Invece di vendere la villa, Nihal decise di consegnare lo yacht, ma non aveva idea di come farlo.

Arda e Berna finiranno insieme?

Arda, il più giovane della famiglia Bulut, era perdutamente innamorato di Berna, la direttrice finanziaria della loro azienda. Berna proveniva da una famiglia benestante, ma non esitava ad accettare il fatto che la famiglia Bulut avesse quella fame di successo che a loro mancava. Aveva costruito un curriculum impressionante dopo aver ricevuto un’istruzione presso gli istituti più prestigiosi e non le dispiaceva usare il suo talento per aiutare una nuova azienda a crescere, purché fosse trattata bene. A differenza di Engin, che ragionava sempre in termini di “noi” contro “loro”, lei non nutriva alcun pregiudizio nei confronti del suo capo.

Arda era sempre stato piuttosto aperto riguardo ai suoi sentimenti per Berna. Dopo un po’ di persuasione, Berna accettò di uscire con lui. Tra loro nacque subito un’intesa e, anche se all’inizio Berna era titubante all’idea di iniziare una relazione con il suo capo, alla fine cedette.

Arda non sentiva il bisogno di nascondere la loro relazione, ma Berna non era sicura di volerla rendere pubblica. Inizialmente lui pensò che lei non volesse che i colleghi sapessero della loro relazione perché avrebbero pensato che lei avesse un vantaggio ingiusto su di loro, ma presto capì che lei si vergognava di essere vista con lui. Pensò che lei non volesse stare con lui perché non provenivano dallo stesso ambiente. Arda decise di allontanarsi da Berna e finì per andare a letto con un’altra donna del lavoro. Vedere Arda con un’altra donna rese Berna gelosa e lei capì di essersi innamorata di lui. Considerando che era sempre stata di mentalità aperta riguardo al frequentare i “nuovi ricchi”, si rese conto di quanto fosse ingiusto allontanare qualcuno solo perché non proveniva da una famiglia privilegiata. Nell’episodio finale di Old Money – Mondi Opposti, Berna ha finalmente trovato il coraggio di rivelare i suoi sentimenti per Arda davanti ai suoi colleghi. Voleva che lui sapesse che non aveva paura, e Arda non riusciva a smettere di arrossire dopo il suo grande gesto. Berna e Arda non hanno più esitato ad ammettere al mondo che erano innamorati.

Perché Mahir aveva paura di innamorarsi?

Mahir, il più grande della famiglia Bulut, era un tipo irascibile e amante dell’adrenalina, con gli occhi che bruciavano di rabbia costante. Questo sentimento di rabbia e delusione derivava dal trauma infantile. I fratelli Mahir, Osman e Arda erano sopravvissuti a un devastante terremoto. Nonostante provenissero da famiglie diverse, il destino li aveva fatti incontrare. L’insegnante di matematica Songul Isikci era tra i quattro sopravvissuti dei 42 residenti che vivevano negli appartamenti Bulut. Lei adottò i tre ragazzi e insieme cercarono di guarire dalla tragedia.

Tra i tre ragazzi, Mahir era l’unico abbastanza grande da ricordare la sua vita prima del terremoto. Proveniva da una famiglia umile e guadagnava qualche soldo in più portando fuori la spazzatura e svolgendo altre faccende domestiche. Dopo il terremoto, la sua vita era cambiata in meglio e lui non sapeva come sentirsi al riguardo. La tragedia che aveva distrutto famiglie e ucciso persone gli aveva dato una seconda possibilità di vita, e lui si sentiva sempre a disagio per questa strana contraddizione. Avrebbe dovuto essere rimandato al suo villaggio per aiutare suo nonno dopo un altro anno di studi. E invece eccolo lì, a costruire una delle aziende in più rapida crescita a Istanbul, e non poteva fare a meno di sentirsi un impostore.

Mahir frequentava Asli, una cantante in ascesa. Era sincero riguardo ai suoi sentimenti e, sebbene lei fosse comprensiva, c’erano giorni in cui tutto ciò che desiderava era che lui restasse. Mahir aveva paura di affezionarsi: la tragedia lo aveva reso diffidente e ogni volta che Asli cercava di fare un passo avanti, lui la respingeva. Ma non riusciva a togliersela dalla testa. Quando un giornalista accusò Asli di aver rubato una delle sue canzoni, Mahir finì per aggredirlo.

La sua rabbia era mal riposta, considerando che non si era nemmeno presentato al concerto di Asli, pur sapendo quanto avrebbe significato per lei. Più tardi, quando Mahir si imbatté in un video in cui Asli e il suo arrangiatore sembravano stare insieme, ne rimase completamente distrutto. Asli aveva cercato di andare avanti, ma non riusciva a smettere di pensare a Mahir e alla fine decise di affrontarlo. Mahir ammise di essere profondamente innamorato di lei e di essere stato uno sciocco a cercare di allontanarsi da lei. Alla fine, Asli decise di dare una possibilità a Mahir e i due suggellarono il loro accordo con un bacio.

Perché Nihal ha allontanato Osman?

Nihal voleva costruire lo yacht, ma la sua azienda non aveva i soldi per farlo.  Ha provato a richiedere un prestito, ma a causa dei debiti già contratti da suo padre, nessuno era disposto a scommettere sulla sua impresa. Osman, il decisore della famiglia Bulut, si è innamorato di lei al loro primo incontro. Era un uomo d’affari spietato, ma quando si trattava di Nihal, non riusciva a essere aggressivo come al solito.

L’unico ricordo che Osman aveva di sua madre era quello di aver visto la villa sul mare durante una gita in barca con lei, e ricordava che sua madre gli aveva detto che le persone che vivevano lì erano davvero felici. Osman ricordava anche la bambina che aveva visto salutarlo con la mano e la villa sullo sfondo. Voleva comprare la stessa villa, ma non si aspettava di rimanere affascinato dalla bambina con le mollette a forma di scarabeo (Nihal) che aveva visto dalla barca. Organizzò segretamente un prestito per lei, in modo che potesse concentrarsi sulla costruzione dello yacht senza dover rinunciare alla sua casa.

Sebbene Nihal fosse inizialmente piacevolmente sorpresa dal recente sviluppo, ben presto capì che dietro c’era Osman e lo accusò di manipolarla. Non voleva essere alla sua mercé e non riusciva a immaginare di avere una relazione sentimentale con un uomo che stava già cercando di affermare la sua autorità su di lei. Osman annunciò che se lei non avesse consegnato lo yacht in tempo, avrebbe preso possesso della villa per coprire il debito che lei avrebbe avuto nei loro confronti. Erano tornati al punto di partenza e Nihal si concentrò sulla costruzione dello yacht. Accettò il prestito e si mise al lavoro.

Ben presto, Osman cercò di sistemare le cose tra loro, e funzionò solo per un breve periodo. Nihal era innamorata di Osman e non voleva che il tempo che trascorrevano insieme finisse mai. Lui non era il mostro senza cuore che tutti credevano; con Nihal era affettuoso e dolce. Ma Nihal iniziò a riflettere troppo dopo che una delle sue ex fidanzate le disse che Osman preferiva le avventure brevi e che lei non doveva prendere troppo sul serio la loro relazione.

All’inizio Nihal non ci fece caso, ma gradualmente iniziò a chiedersi se lui fosse davvero innamorato di lei o se volesse semplicemente entrare a far parte del suo mondo. Forse lui considerava la loro relazione come una partnership reciprocamente vantaggiosa, e lei non sapeva come sentirsi al riguardo. Quando lo sentì prenotare la sua camera preferita a Taormina, pensò che si trattasse della famigerata “fuga a Taormina”, dopo la quale di solito rompeva con le sue ragazze. Capì che il suo sospetto era giusto: lui non faceva sul serio con lei. Nihal scelse ancora una volta di allontanarsi da Osman, e questa volta Engin intervenne.

Nihal accettò la proposta di Engin?

Engin era innamorato di Nihal da anni. Aveva sempre pensato che, dopo tutte le sue brevi relazioni, alla fine avrebbe scelto lui. Quindi, naturalmente, era estremamente preoccupato quando Nihal si innamorò di Osman. Non era solo un concorrente in affari, ma anche una sfida per uomini come lui, provenienti da famiglie ricche da generazioni. Ma dopo aver scoperto che Nihal aveva rotto con Osman, ha deciso di chiederle di sposarlo. Per prima cosa ha parlato con il padre di Nihal e lo ha convinto che lui era l’uomo giusto per Nihal. Ha anche suggerito di vendere la villa a Osman per saldare tutti i debiti rimanenti, in modo che Nihal potesse ricominciare la sua vita senza preoccuparsi di ripagare i debiti del padre. Dopo che suo padre accettò la sua proposta, Engin finalmente trovò il coraggio di essere onesto sui suoi sentimenti verso Nihal. Lei non aveva mai preso sul serio il suo interesse per lei, ma quando lui le disse che non l’avrebbe mai lasciata, qualunque cosa fosse successa, lei pensò che un matrimonio stabile fosse meglio di una relazione senza speranza. Nihal considerò di dargli una possibilità e decisero di andare in Europa per trascorrere del tempo insieme. Nel frattempo, Osman era devastato quando ha saputo di Nihal ed Engin. Non gli importava più della villa; tutto ciò che voleva era stare con lei. Mahir gli ha suggerito di mettere da parte il suo ego e confessarle i suoi sentimenti.

Nihal e Osman tornano insieme?

Nihal si aspettava che la notizia della sua partenza avrebbe colpito Osman e che lui avrebbe finalmente cercato di parlarle, ma suo padre le disse che quando aveva discusso la proposta, Osman non si era mostrato interessato. Capì che lui non aveva mai tenuto a lei, anche se aveva scoperto che la sua ipotesi su Taormina era falsa. Lui non stava prenotando la stanza per loro, stava solo facendo da spalla ad Arda. Si aspettava che lui facesse almeno lo sforzo di parlarle un’ultima volta, mettendo da parte il suo ego, ma rimase delusa. Alla fine non vediamo Nihal ed Engin insieme all’aeroporto, ma considerando che suo padre aveva già deciso di separarsi dalla sua villa per garantire il futuro di lei con Engin, (probabilmente) non si tratta solo di un pettegolezzo diffuso da Engin e dal padre di Nihal. È probabile che la proposta del tour in Europa fosse, dopotutto, vera.

Nel frattempo, Osman si rese conto che doveva sistemare le cose con Nihal. Non solo era innamorato di lei, ma sentiva anche il bisogno di aggrapparsi all’unica persona che ricordava prima che la sua vita fosse stravolta dalla tragedia. Nihal era la ragazza a cui aveva salutato dalla barca da bambino, e credeva che fossero destinati a stare insieme. Osman salì sulla sua barca e si diresse verso la villa di Nihal. Le onde erano impietose e finì per perdere brevemente conoscenza dopo aver sbattuto la testa contro il lato della barca. In quel breve istante, Osman ricordò improvvisamente il volto di sua madre. Non aveva una sua foto e aveva trascorso gran parte della sua vita con un senso di colpa per non avere alcun ricordo dei suoi giorni d’infanzia.

Durante il finale di Old Money – Mondi Opposti, dopo aver ripreso conoscenza, Osman si recò in auto alla villa di Nihal e lì trovò suo padre. Questi consegnò a Osman la chiave della villa, pronto a separarsene per il bene di sua figlia. Osman rimase devastato quando scoprì che Nihal se n’era già andata. La serie di otto episodi si conclude con Osman che getta via la chiave della villa. Anche se aveva sempre sognato di vivere in una delle ville sul mare, non avrebbe mai pensato che ciò sarebbe avvenuto a costo di perdere l’amore della sua vita.

Ci sarà una seconda stagione?

Il tragico finale di Old Money – Mondi Opposti può anche essere interpretato come un indizio di una seconda stagione. Nella seconda stagione Nihal potrebbe rendersi conto, dopo il suo tour in Europa, che anche se volesse andare avanti e avere una relazione con Engin, una scelta sicura, non riesce davvero a togliersi Osman dalla testa. Forse anche Osman farà uno sforzo per tornare con Nihal e, nonostante gli alti e bassi, il finale più ovvio che si possa immaginare è che i due amanti finiscano insieme. La seconda stagione potrebbe anche esplorare il pregiudizio che la società nutre nei confronti delle donne di mezza età che trovano l’amore in uomini più giovani, dopo che Songul decide di rendere pubblica la sua relazione. Berda probabilmente presenterà Arda alla sua famiglia, e lui potrebbe avere difficoltà a conquistarne la fiducia. Considerando la popolarità di Asli, Mahir potrebbe trovare difficile adattarsi alla sua fama, soprattutto dopo che avranno reso pubblica la loro relazione.

Nessuno ci ha visti partire, la spiegazione del finale: Valeria ha riavuto i suoi figli?

Il finale di Nessuno ci ha visti partire (No One Saw Us Leave) di Netflix vedeva Valeria riottenere la custodia dei figli Isaac e Tamara, dopo che il marito Leo era fuggito con loro e li aveva tenuti lontani da lei per due anni. Il motivo? Leo aveva scoperto che Valeria aveva una relazione con suo cognato Carlos. Ne aveva parlato con sua sorella Gabriela, che lo aveva aiutato a portare via i figli dalla madre adultera. La destinazione finale di Leo era Israele, ma invece di seguire un percorso diretto, ha portato i bambini in un bizzarro giro del mondo che li ha portati prima in Francia, poi in Italia, poi in Sudafrica, prima di raggiungere finalmente la loro “patria”. Valeria ha deciso di inseguirli e Carlos ha abbandonato Gabriela e i loro figli per accompagnare il suo nuovo amore.

Erano sempre un passo indietro rispetto a Leo e ai bambini, ma solo dopo che si sono stabiliti in un “kibbutz” Valeria è riuscita a rintracciare il suo ex marito e i figli. Ha detto che ci sarà un processo a Gerusalemme contro Leo perché ciò che ha fatto è chiaramente illegale. Tuttavia, dato che Leo aveva passato gli ultimi due anni a riempire le menti di Isaac e Tamara di propaganda anti-Valeria, anche se avesse vinto la causa contro Leo, sarebbe stato difficile convincere i bambini ad andare con lei. Beh, Valeria ci è riuscita o ha fallito? Scopriamolo.

Valeria ha portato Leo in tribunale

Nel finale di Nessuno ci ha visti partire (No One Saw Us Leave), un avvocato che lavora presso l’Alta Corte di Gerusalemme ha spiegato a Valeria ed Elias, un collaboratore di Valeria che era stato incredibilmente utile nella ricerca di Leo e dei bambini, di aver redatto un documento molto dettagliato sulle scappatelle di Leo fino a quel momento. Il documento descriveva i numerosi modi in cui Leo aveva messo in pericolo Tamara e Isaac, come era fuggito pur sapendo che l’Interpol lo stava cercando e che era un alcolizzato. Valeria considerava quest’ultimo punto non solo falso, ma anche un colpo basso, perché Leo era molte cose, ma non un alcolizzato. Elias cercò di convincere Valeria che era giusto dipingere Leo come un alcolista perché lui e suo padre, Samuel, avevano sfruttato il potere della stampa per dipingere Valeria come una donna pazza. Tuttavia, Valeria si rifiutò di abbassarsi al suo livello. Oltre a tutto ciò, l’avvocato consigliò a Valeria di dire a Carlos di tornare in Messico, perché i giudici non si sarebbero schierati dalla sua parte se avessero visto l’uomo con cui aveva una relazione extraconiugale. Valeria riferì tutte queste informazioni a Carlos.

Nel frattempo, Leo confessò a Isaac e Tamara di aver mentito loro sul fatto che la madre li odiasse e che avrebbe dovuto affrontare un processo per averli praticamente rapiti, al termine del quale i giudici avrebbero deciso chi avrebbe ottenuto la custodia di Isaac e Tamara. Isaac disse che voleva vivere con Leo, mentre Tamara disse che voleva andare con Valeria. Leo disse che, indipendentemente dalla sentenza finale del tribunale, sarebbe venuto a prendere i suoi figli, perché li amava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Il giorno del processo, prima di entrare in aula, Leo disse a Valeria che aveva detto ai bambini la verità su di lei e ammise loro di aver mentito sul suo amore per i figli. In risposta a ciò, Valeria rivelò che, anche se sapeva che Leo non era un alcolista, aveva testimoniato che lo era per rafforzare la sua causa. La risposta di Leo a quella rivelazione fu che gli dispiaceva che Valeria avesse avuto un aborto spontaneo dopo essere rimasta incinta di Carlos. Su questa nota, entrarono in aula e il processo non fu molto lungo.

Valeria ha ottenuto la custodia dei bambini

I giudici che presiedevano il caso intentato da Valeria contro Leo hanno semplicemente affermato che entrambe le parti avrebbero dovuto presentarsi davanti a un tribunale in Messico, poiché entrambi erano messicani, e sottoporsi a processo in quel Paese. Al fine di proteggere i bambini dal trauma del processo, sarebbe stato loro permesso di rimanere nel kibbutz Ein Tamar fino alla fine dell’anno scolastico. Ma poi i bambini sono andati comunque in Messico con Leo, violando l’ordinanza dei giudici. Dopo che Valeria, i suoi genitori e Carlos sono tornati a casa, Elias ha comunicato l’informazione a Valeria. Dato che non era riuscito a rintracciare Leo e i bambini dopo il loro atterraggio in Messico, Valeria ha iniziato a dare di matto perché pensava che Leo avesse rapito di nuovo i bambini. Ma dove erano? Erano a casa di Gabriela. Perché? Perché Samuel aveva detto loro di stare lì, permettendo così a Leo di rimanere con i bambini fino al processo.

Nel finale di Nessuno ci ha visti partire (No One Saw Us Leave), Carlos ha ricevuto una telefonata anonima sulla posizione di Isaac e Tamara. Moishe, il padre di Valeria, si è presentato a casa di Samuel e gli ha chiesto di rivelare dove fossero i bambini. Dato che Samuel era troppo spaventato per affrontare Moishe, sua moglie Galya lo ha incontrato e gli ha semplicemente detto che non avevano idea di dove fossero i bambini. E anche se Samuel avesse avuto qualche informazione, non era disposto a condividerla con Galya. Pochi istanti dopo, Elias, Carlos, Valeria e la polizia si sono presentati a casa di Gabriela. Tutti si aspettavano che Leo facesse qualcosa di drastico, ma lui ha semplicemente consegnato i bambini a Valeria. I titoli di testa prima dei titoli di coda rivelano che Isaac e Tamara non hanno più visto Leo per i successivi 20 anni. Valeria e Carlos hanno vissuto insieme e si sono presi cura dei bambini. Nel 1997 Carlos è morto. Tamara è diventata una scrittrice e nel 2020 ha pubblicato il romanzo su cui è basata questa miniserie. Bene, ottimo. Ma qual era il senso di tutta questa serie?

Aveva ragione Valeria o Leo?

Beh, suppongo che il principale punto di contesa che emergerà dal conflitto tra Valeria e Leo sia chi avesse ragione. Il problema tra Valeria e Leo è iniziato quando si sono sposati. Non si amavano. I loro genitori pensavano che fossero una coppia perfetta. Non erano abbastanza grandi per opporsi alla volontà dei genitori. Quindi si sono sposati e hanno avuto dei figli. Con il passare degli anni, Valeria e Leo si sono allontanati e Valeria si è sentita attratta proprio da Carlos. Invece di capire che un matrimonio senza amore non era una scusa per una relazione extraconiugale, Valeria ha tradito Leo con Carlos. Carlos era ugualmente responsabile del tradimento subito da Leo. Oltre a tutto ciò, sia Valeria che Carlos erano colpevoli di aver ferito Gabriela e i loro figli. Non mi interessa quanto la società diventi “progressista” e “moderna”; non giustificherò mai il tradimento, soprattutto quando si ha la possibilità di divorziare. In alcuni paesi arretrati, il divorzio o la separazione non sono così comuni. Quindi, avere una relazione extraconiugale sembra l’unica opzione praticabile. Tuttavia, se le persone vengono ferite nel processo, vale davvero la pena di amare? Non lo so.

Tornando alla trama, se la reazione di Valeria al suo matrimonio senza amore, ovvero la relazione extraconiugale, può essere considerata irrazionale, suppongo che la decisione di Leo di scappare con i figli per darle una lezione debba essere vista come una decisione altrettanto irrazionale. Insomma, sono ore che mi scervello su questo aspetto della trama e non riesco a capirlo. Ma che diavolo gli è saltato in mente? Che a un certo punto Valeria avrebbe semplicemente rinunciato e lui avrebbe potuto crescere i bambini come voleva? Non poteva restare in Messico, usare l’influenza che Samuel aveva lì e lottare per la custodia dei bambini in modo diretto? Cosa ha guadagnato da quella complicata avventura? Certo, Valeria non pensava ai bambini quando ha intrapreso quella relazione extraconiugale. E sembrava che l’unica cosa che importasse a Leo fossero i figli, motivo per cui li teneva vicini a sé ovunque andasse. Tuttavia, cosa deve essere stato più sconcertante per Tamara e Isaac? La relazione extraconiugale o la serie di shock culturali causati da quel viaggio intorno al mondo? Lascio a voi il giudizio.

Lezioni da imparare

Ora, qual è la lezione da imparare da tutto questo? Cosa dovremmo imparare noi spettatori dalla storia di Tamara Trottner? Non so se il punto centrale del romanzo non sia stato trasmesso molto bene fin dall’inizio o se sia andato perso durante l’adattamento di Maria Camila Arias, ma quello che ho capito è che le persone dovrebbero imparare ad agire in modo razionale prima di compiere passi importanti come sposarsi e avere figli. Il matrimonio e l’avere figli sono considerati così importanti per la sopravvivenza della civiltà che ogni singola cosa che facciamo sembra essere al servizio di questi due atti. Le persone costruiscono imperi e si spezzano la schiena per ottenere i beni di prima necessità, ma mentre fanno tutto questo, non si educano abbastanza per diventare persone ragionevoli. Anche adesso, alle persone tra i 20 e i 30 anni viene detto che stanno riflettendo troppo sul matrimonio e che dovrebbero semplicemente buttarsi a capofitto e tutto andrà bene. Nel frattempo, hanno davanti agli occhi una montagna di prove che dimostrano che questo approccio è profondamente sbagliato, ma che scelgono convenientemente di ignorare perché il peso del progresso della civiltà umana ricade apparentemente su di loro. Una “civiltà” deve prima essere “civilizzata”, altrimenti come possiamo essere migliori dei ratti e dei conigli che si riproducono all’infinito?

Quindi, sì, anche se non è questo il punto di Nessuno ci ha visti partire (No One Saw Us Leave), suggerisco comunque di guardare attentamente agli eventi presentati nella miniserie, di riflettere se possiamo essere fedeli in un matrimonio, di discutere con la nostra potenziale metà che la lealtà non sarà un problema, di avere figli dopo un’altra lunga discussione e poi di assicurarci che i suddetti figli abbiano la vita che meritano. Se questo è troppo complicato per voi, non dovreste sposarvi e non dovreste avere figli. Se pensate che la vostra eredità possa essere perpetuata solo se estendete la vostra discendenza e trasmettete loro la vostra ricchezza, vi sbagliate, e la lente attraverso cui guardate la vita è incredibilmente classista e casteista. Ci sono innumerevoli bambini orfani e sfollati là fuori; date loro la vostra ricchezza e la vostra eredità sarà immortalata. Inoltre, l’istruzione e il miglioramento delle condizioni di vita dei bambini orfani e sfollati gioveranno alla civiltà umana più che aumentare incautamente il numero della popolazione solo perché potete farlo. Comunque, questi sono solo i miei pensieri sul finale di Nessuno ci ha visti partire (No One Saw Us Leave). Se avete opinioni in merito, sentitevi liberi di condividerle nella sezione commenti qui sotto.