L’attore Sullivan
Stapleton si è distinto negli anni per i suoi ruoli da
duro in celebri film e serie TV. Passando con naturalezza dal
grande al piccolo schermo, Stapleton è infatti riuscito a
costruirsi una discreta fama e un buon seguito, che gli permettono
ancora oggi di lavorare a pieno ritmo all’interno dell’industria.
Ecco 10 cose che non sai di Sullivan
Stapleton.
Sullivan Stapleton: i suoi film e
le serie TV
10. Ha recitato in alcune
celebri serie TV. Nel corso della sua carriera l’attore ha
conquistato una crescente popolarità partecipando ad episodi di
serie come Neighbours (1998), Blue Heelers –
Poliziotti con il cuore (1996-2003), The Secret Life of
Us (2003-2005), con Joel
Edgerton,Rush – Corsa all’oro (2008) e
Satisfaction (2007-2009). È poi diventato noto grazie al
ruolo del sergente Damien Scott nella serie Strike Back
(2010-2018) e di Kurt Weller in Blindspot
(2015-2019).
9. Ha preso parte a noti
film. Dopo aver debuttato sul grande schermo con il film
River Street – La frode (1996), l’attore partecipa a film
come Al calare delle tenebre (2003), I ragazzi di
dicembre (2007), con Daniel Radcliffe,
The Condemned – L’isola della morte (2007), con Rick
Hoffman, Animal Kingdom (2010), con
Ben
Mendelsohn e Guy
Pearce, The Hunter
(2011), con Willem
Dafoe e Sam
Neill, Gangster
Squad (2013), con Sean
Penn, e 300 – L’alba di un
impero (2014), dove è protagonista accanto all’attrice
Eva
Green e Rodrigo
Santoro. Nel 2017 torna al cinema con Renegades –
Commando d’assalto.
Sullivan Stapleton è su
Instagram
8. Ha un account
personale. L’attore è presente sul social network
Instagram con un profilo seguito da 318 mila persone. All’interno
di questo l’attore è solito condividere fotografie scattate in
momenti di svago, di luoghi da lui visitati o di momenti quotidiani
in compagnia di famigliari o amici. Non mancano inoltre anche
immagini promozionali dei suoi progetti da interprete.
Sullivan Stapleton: chi è sua
moglie
7. Ha sposato una sua
collega. Sul set della serie Neighbours l’attore
conosce Carla Bonner, con la quale intraprende una
relazione sfociata poi nel matrimonio, tenuto per lo più lontano
dai riflettori. Particolarmente riservati, i due evitano infatti di
condividere dettagli della propria vita sentimentale. Tuttavia,
annunciano nel 2007, dopo due anni e mezzo di unione, di essersi
separati.
6. Ha una nuova
compagna. Attualmente Stapleton frequenta l’attrice
Alexis Kelley, nota per essere apparsa in serie
come Master of None e Blacker. I due hanno in più
occasioni confermato la propria relazione tramite alcuni post sui
rispettivi profili Instagram. Nonostante ciò, anche loro si sono
dimostrati attenti a cosa condividono, evitando di attirare troppo
i riflettori sulla propria vita privata.
Sullivan Stapleton in 300 – L’alba
di un impero
5. Ha interpretato un
celebre condottiero. Nel film 300 – L’alba di un impero, sequel del celebre 300 con Gerard Butler, l’attore ricopre il ruolo di
Temistocle, politico e militare ateniese realmente vissuto tra il
530 e il 459 a.C. Il personaggio viene in particolare raffigurato
nel corso della dura guerra che contrappose la Grecia alla Persia,
guidata dal re Serse.
4. Ha firmato un contratto
per più film. Nell’accettare il ruolo di protagonista del
film, l’attore firmò un contratto che lo prevedeva come
protagonista non solo di quel film, ma anche di un potenziale
sequel. Il finale aperto lascia infatti spazio ad un terzo capitolo
della trilogia. Ad oggi, tuttavia, non si hanno notizie in merito e
per ora la produzione di un terzo capitolo non sembra essere in
atto.
3. Ha dovuto perdere peso
per il film. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare,
all’attore è stato chiesto di perdere circa dieci chili di grasso e
muscoli, poiché dando vita ad un ateniese era necessario che
risultasse più asciutto fisicamente. Gli ateniesi erano infatti
notoriamente più esili rispetto agli spartani da un punto di vista
fisico. Stapleton ha comunque dovuto esercitarsi per sfoggiare
addominali scolpiti, richiesti per la parte.
2. Non si aspettava che il
film fosse così dialogato. Nell’assumere il ruolo di
Temistocle l’attore pensava che avrebbe dato vita per la maggior
parte a scene di guerra e lotta, prevedendo dunque poche battute da
dover recitare. Invece, poiché il suo personaggio è anche un noto
politico, molte sono le scene di dialogo e contrattazione politica
presenti nel film.
Sullivan Stapleton: età e
altezza
1. Sullivan Stapleton è
nato a Melbourne, Australia, il 14 giugno 1977. L’attore è
alto complessivamente 185 centimetri.
Noto per aver preso parte ad alcune
tra le più celebri serie degli ultimi anni, l’attore Greg
Germann è oggi membro fisso di Grey’s
Anatomy, grazie alla quale ha potuto consolidare la sua
fama sul piccolo schermo. Negli anni Germann non ha però mancato di
recitare anche per il cinema, recitando in alcuni popolari
film.
Ecco 10 cose che non sai di
Greg Germann.
Greg Germann: i suoi film e le
serie TV
10. Ha recitato in celebri
serie TV. L’attore ottiene una prima notorietà in
televisione grazie alle serie Vietnam addio
(1989-1990), Per amore della legge (1994-1995)
e Ned and Stacey (1995-1997). Diventa poi
popolare grazie al ruolo di Richard Fish in Ally McBeal,
dove recita dal 1997 al 2002. Successivamente prende parte ad
alcuni episodi di serie come Desperate
Housewives (2006), con Eva
Longoria, CSI: Scena del
crimine (2009), House of Lies (2012),
conDon
Cheadle, Le regole del delitto
perfetto (2014), con Viola
Davis, e Limitless (2015-2016),
con Jennifer
Carpenter. Ottiene un ruolo di maggior rilievo
grazie a C’era una volta (2016), dove è Ade, e
Compagni di università (2017-2019), con Cobie
Smulders. Dal 2017 ricopre invece il ruolo del dottor
Thomas Koracick in Grey’s Anatomy, dove recita accanto
agli attori Ellen Pompeo,Chandra
Wilsone James Pickens
Jr.
9. Ha preso parte ad alcuni
film per il cinema. L’attore debutta sul grande schermo
nel 1985 con il film Prostituzione, per poi recitare in
La bambola assassina 2 (1990), Ancora una volta
(1991), Sotto il segno del pericolo (1994), con Harrison
Ford, Sweet November (2001), con Keanu
Reeves, Ritorno dal paradiso (2001), Joe
Somebody (2001), Friends with Money (2006), con
Jennifer
Aniston, Quarantena (2008),
Colpi da maestro (2012) e Duri si
diventa (2015), con Will
Ferrell e Kevin
Hart.
8. Ha partecipato al
doppiaggio di un noto film. Nel 2008 l’attore esordisce
nel mondo del doppiaggio con il film d’animazione Bolt – Un
eroe a quattro zampe. 48° Classico Disney, il film è
incentrato su un cagnolino di nome Bolt che, dopo essere stato la
star di una serie televisiva, si convince di avere dei superpoteri.
Qui Germann dà voce all’agente di polizia presente nel film,
recitando la sua parte accanto a John
Travolta, che dà invece voce al protagonista.
Greg Germann: chi è sua
moglie
7. Ha sposato
un’attrice. Germann si è sempre dimostrato molto
protettivo nei confronti della propria vita privata. Di questa si
sa infatti molto poco. È noto, tuttavia, il suo matrimonio con
l’attrice Christine Mourad, con la quale ha anche
recitato nel film Friends with Money. I due hanno anche
dato alla luce una figlia, nata nel 1997.
Greg Germann è Ade
6. Ha interpretato il dio
degli inferi. L’attore è comparso per la prima volta in
C’era una
volta a partire dal dodicesimo episodio della quinta
stagione. Qui ha portato in scena il personaggio di Ade, noto dio
degli inferi che cerca di sfruttare a suo vantaggio ognuno degli
altri personaggi. L’attore ha affermato di aver particolarmente
apprezzato il personaggio, poiché non viene raffigurato come
totalmente cattivo, ma è invece dotato di lati umani che lo rendono
particolarmente tridimensionale.
Greg Germann in Ally McBeal
5. Ha recitato in ogni
episodio della serie. Germann è uno dei soli tre attori ad
aver recitato in tutti i 112 episodi della serie. Qui ha ricoperto
il ruolo di Richard Fish, uno degli avvocati che recluta la giovane
protagonista per il proprio studio legale.
4. Non crede nel reboot
della serie. Anche su ufficialmente conclusasi nel 2002,
le voci intorno alla serie non hanno mai smesso di generare
dibatti. Il principale di questi vedrebbe un reboot della serie
sempre prossimo alla messa in produzione. Germann si è tuttavia
dichiarato scettico a riguardo, affermando che non c’è bisogno di
aggiungere nulla a quanto già raccontato poiché ritiene la serie
perfetta così com’è.
Greg Germann in Grey’s
Anatomy
3. È diventato parte del
cast principale. Dopo essere comparso come guest star
nelle stagioni 14 e 15 di Grey’s Anatomy, l’attore ha
indossato il camice in modo continuo a partire dalla sedicesima
stagione, riprendendo così il ruolo del dottor Thomas Koracick e
divenendo parte del cast principale della serie. Ad oggi l’attore
ha recitato in un totale di 43 episodi.
2. Il suo personaggio ha
acquisito sempre più importanza. Volto relativamente nuovo
della serie, l’attore ha espresso soddisfazione per il percorso che
gli sceneggiatori hanno scritto per il suo personaggio, e che lo ha
portato ad ottenere sempre più rilevanza all’interno della storia.
Nel corso della sedicesima stagione, infatti, Koracick diventerà il
capo del reparto di chirurgia.
Greg Germann: età e altezza
1. Greg Germann è nato a
Houston, Texas, Stati Uniti, il 26 febbraio 1958. L’attore
è alto complessivamente 178 centimetri.
Attrice cinematografica e
televisiva, Camilla Luddington è negli anni
divenuta celebre per i suoi ruoli in importanti titoli, come la
serie Grey’s Anatomy. È inoltre conosciuta per
essere la voce di un noto personaggio dei videogiochi, che ha
permesso alla Luddington di estendere il proprio raggio d’azione
all’interno dell’industria audiovisiva. Ecco 10 cose che
non sai di Camilla Luddington.
Camilla Luddington: i suoi film e
le serie TV
10. Ha recitato in celebri
serie televisive. L’attrice debutta sul piccolo schermo
recitando in un episodio della serie The Forgotten (2010),
per poi acquistare ulteriore notorietà partecipando a CSI –
Scena del crimine (2010), The Defenders (2011),
Amici di letto (2011) e Californication (2012), dove
recita nel ruolo di Lizzie. Nello stesso anno è in True Blood, dove
ricopre il personaggio di Claudette condividendo la scena con
l’attore Alexander
Skarsgård. Dal 2012 ad oggi è invece divenuta celebre
per il ruolo della dottoressa Jo Wilson in Grey’s
Anatomy, dove recita accanto agli attori Ellen Pompeo,
Chandra Wilson,
James Pickens Jr.,
Jesse
Williams e Caterina
Scorsone.
9. Ha partecipato ad alcuni
film per il cinema. Il primo ruolo cinematografico, seppur
minore, per l’attrice arriva grazie al film Behaving Badly
(2009), ma nel 2014 recita nel ruolo di June Abbott, protagonista
di The Pact II, accanto all’attrice Caity
Lotz. Nel 2017 recita invece nel film Quello che
veramente importa, dove ricopre la parte di Cecilia.
8. È anche
doppiatrice. Nel 2017 l’attrice viene scelta per dar voce
al personaggio di Zatanna nel film d’animazione Justice League Dark, dove recita anche
l’attrice Rosario
Dawson, la quale ha prestato la voce a Wonder Woman. Dopo aver partecipato al
doppiaggio anche di un episodio della celebre serie Robot
Chicken (2019), la Luddington torna a ricoprire il ruolo di
Zatanna nel film Justice League Dark: Apokolips War
(2020), a cui partecipa anche l’attore Shemar
Moore nel ruolo di Cyborg.
Camilla Luddington è su
Instagram
7. Ha un account
personale. L’attrice è presente sul social network
Instagram con un profilo seguito da 3,3 milioni di persone.
All’interno di questo l’attrice è solita condividere fotografie
scattate durante momenti di svago o nel corso della propria
quotidianità. Non mancano però anche immagini promozionali dei suoi
progetti da interprete o che la ritraggono nel corso di eventi di
gala.
Camilla Luddington: chi è suo
marito
6. È molto
riservata. L’attrice ha sempre affermato che non le piace
condividere troppi dettagli riguardanti la propria vita privata, ma
non ha mancato di rendere noto il proprio matrimonio con l’attore
Matthew Alan. Questi è inoltre comparso
nell’episodio ventiduesimo della tredicesima stagione
di Grey’s
Anatomy, recitando accanto alla moglie nel ruolo di
David Fisher. La coppia annuncia poi, nel marzo del 2017, la
nascita della prima figlia, mentre a fine 2019 rendono nota la
seconda gravidanza dell’attrice.
Camilla Luddington è Tomb
Raider
5. Ha dato voce al celebre
personaggio. Nel 2013 l’attrice viene scelta per doppiare
il personaggio di Tomb Raider nel nuovo videogioco a lei dedicato.
La performance piacque tanto ai produttori quanto ai
videogiocatori, che permisero al titolo di diventare un grande
successo. Sull’onda di ciò, fu realizzato un sequel videoludico,
intitolato Rise of the Tomb Raider (2015), dove l’attrice
ha nuovamente dato voce alla protagonista.
4. Il personaggio è stato
adattato alle sembianze dell’attrice. Per la prima volta
nel franchise di Tomb Raider, le movenze del personaggio sono state
basate sui reali movimenti dell’attrice che vi prestava anche la
voce. La Luddington ha infatti dato vita ad una performance in
motion capture per reandere più realistico il personaggio, il cui
volto è inoltre stato formato sulle fattezze dell’attrice.
Camilla Luddington è Kate
Middleton
3. Ha interpretato la
celebre duchessa. Nel 2011 l’attrice interpreta Kate
Middleton nel film televisivo William & Kate – Una favola
moderna. Per interpretare tale ruolo l’attrice ha seguito
alcuni particolari corsi per “diventare una principessa”, imparando
i modi e i toni con cui i reali sono soliti esprimersi. Pur se
generalmente accolto in modo negativo, il film ha permesso
all’attrice di ottenere grande popolarità.
Camilla Luddington in Grey’s
Anatomy
2. Ha raggiunto un ruolo
centrale nella serie. L’attrice era comparsa in qualità di
guest star nel corso della nona stagione della serie. Dato
l’apprezzamento di pubblico nei confronti del suo personaggio, la
Luddington è divenuta un membro fisso del cast a partire dalla
decima stagione, dando così vita in modo più approfondito alla
storia di Josephine Karev, il personaggio da lei ricoperto. Ad oggi
l’attrice è comparsa in circa 188 episodi.
Camilla Luddington: età e
altezza
1. Camilla Luddington è
nata ad Ascot, in Inghilterra, il 15 dicembre 1983.
L’attrice è alta complessivamente 165 centimetri.
Kirstie Alley, che
ha vinto un Emmy per Cin Cin, ha recitato in
numerosi film tra cui la trilogia di Senti chi
parla, famosissima in Italia, e ha continuato a dirigere
Veronica’s Closet e ad apparire in numerosi show
senza sceneggiatura, è morta di cancro, stando a quanto riferisce
un post ufficiale sui suoi account social. Aveva 71 anni.
Alley ha ottenuto cinque nomination
consecutive agli Emmy come attrice protagonista dal 1988 al 1993
per aver interpretato Rebecca Howe in Cin
Cin, essendosi unita alla commedia della NBC alla sua
sesta stagione dopo che la star originale Shelley
Long se n’è andata. Ha vinto l’Emmy nel 1991. Alley ha
anche vinto un Emmy per il suo ruolo da protagonista nel telefilm
del 1994 David’s Mother ed è stata nominata nel
1998 per il suo ruolo da protagonista in Veronica’s
Closet della NBC. Ha anche ricevuto una nomination agli
Emmy per un ruolo secondario nella miniserie del 1997
L’Ultimo Padrino.
Cabinet of
Curiosities di Guillermo del Toro (2022)
è l’attesa serie curata dal regista de Il Labirinto del Fauno e La forma dell’acqua, il cui nome è da sempre
uno dei “marchi” potenti del settore horror. In questo caso,
tuttavia, Del Toro non ha diretto nessuno degli
otto mediometraggi che compongono l’antologia di
Netflix, che ha debuttato la settimana prima di Halloween dal
martedì al venerdì, con una strategia inedita per la
piattaforma.
Alla maniera di un
Hitchcock in “Alfred Hitchcock
Presents“, ma senza il suo umorismo nero e contagioso – o,
meglio, alla maniera di un Rod Serling in
“Mistero in galleria” – Guillermo del
Toro ha scelto otto storie per la prima stagione di questa
serie di sua creazione, introducendoci in ogni episodio al mobile
antico del titolo, da cui estrae un oggetto legato alla storia che
ci sta per raccontare.
Cabinet of
Curiosities è un ritorno alle antologie classiche dal
sapore vintage, in cui la mano di Del Toro – anche se da lontano –
ha un riscontro visivo innegabile. Come nella sua micro-antologia
Scary Stories to Tell in the Dark, predominano
la fotografia scura, le scenografie elaborate e, inoltre, la
maggior parte degli episodi incorpora qualche creatura, proprio
quelle figure ambigue e inquietanti a cui Del Toro
ha dedicato gran parte della sua filmografia.
Cabinet of Curiosities: la trama
degli otto episodi
Ad aprire l’antologia
Cabinet of Curiosities è Lotto
36, basato su uno script originale di Guillermo
del Toro. Racconta la storia di un uomo che cerca di non
annegare nel suo mare di debiti. Un giorno, egli nota un magazzino
pieno di oggetti misteriosi e crede che questa sia l’unica via
d’uscita che porrà fine ai suoi problemi una volta per tutte. È
diretto da Guillermo Navarro (Il padrino
di Harlem). Il secondo episodio è invece I ratti
del cimitero, che segue un ladro di tombe che mette gli
occhi sulle ricchezze del nuovo arrivato nel cimitero, ma per
metterci le mani sopra deve prima affrontare un labirinto di tunnel
e… alcuni topi. Basato su un racconto di Henry
Kuttner, è diretto da Vincenzo Natali
(The
Strain).
Passiamo poi a
L’Autopsia, uno degli episodi più scioccanti della
serie in cui un medico legale dovrà mettersi al lavoro su un gruppo
di minatori morti in un’esplosione causata da un sospetto serial
killer. Ma questa autopsia non sarà come se l’aspettava. L’episodio
è diretto da David Prior (The
Empty Man). Uno dei titoli più suggestivi
dell’antologia è senza dubbio L’Apparenza, diretto
da Ana Lily Amirpour (A Girl Walks Home
Alone at Night), favola dark sugli standard di bellezza a
cui le donne sono talvolta inutilmente sottoposte.
Il modello di
Pickman e I sogni nella casa stregata
sono gli episodi resi disponibili quest’oggi, entrambi adattamenti
di racconti del celebre scrittore americano H. P.
Lovecraft. Il primo è diretto da Keith
Thomas e racconta la storia di uno studente d’arte che
sembra avere visioni demoniache quando vede i dipinti di Crispin
Glover. Il secondo parla di un giovane che appartiene a una società
spirituale ed è ossessionato dall’idea di accedere all’aldilà per
ricongiungersi con l’amata sorella defunta. Questo proposito si
trasforma in una missione suicida, poiché il protagonista è
costretto a trasferirsi nella casa di una strega; è diretto da
Catherine Hardwicke (Twilight).
Dovremo aspettare venerdì 28
ottobre per goderci quello che la critica internazionale considera
il miglior episodio della serie: La Visita.
Panos Cosmatos dirige questa storia ambientata nel
1979, quando uno scienziato, uno scrittore e un produttore musicale
sono invitati a incontrarsi a casa di un misterioso miliardario,
che vive con un medico esperto di siringhe. L’ottavo e ultimo
episodio è invece Il brusio, diretto da
Jennifer Kent (Badabadook).
Segue una coppia di ornitologi che finisce in una casa isolata in
riva al mare, dove gli spettri che li perseguitano li
costringeranno a confrontarsi con qualcosa di ancora più
terrificante: i loro stessi demoni.
Sviscerare l’orrore
Uno dei punti più sorprendenti
dell’antologia Cabinet of Curiosities sono le
diverse variazioni lessicali e metaforiche dell’orrore che
ci presenta: una selezione basata sulla particolare visione che il
creatore ha dell’oscurità spirituale e delle sue conseguenze. La
produzione va addirittura oltre: esplora la natura del bene, del
male, dell’oscurità e della bellezza con un’esecuzione brillante
che garantisce alla serie uno sguardo insolito su più generi
contemporaneamente, che è allo stesso tempo un viaggio emotivo in
luoghi oscuri abitati dalle inquietudini collettive.
Cabinet of
Curiosities fa tutto questo tramite un’eloquente
esplorazione del terrore come emozione: cos’è la bontà o il male,
chi sono i veri mostri in un mondo cinico sembrano essere i quesiti
alla base degli episodi. Si tratta di ossessioni comuni all’opera
del regista, che in questa antologia assumono una nuova forma. Non
manca nulla in questa esplorazione di come il tempo, la condizione
umana, gli errori e le virtù individuali, creino un mondo simile al
soprannaturale. Tuttavia, è bene notarlo, la qualità degli episodi
è piuttosto altalenante e passiamo da quelli in cui queste
tematiche vengono sviscerate al meglio e innervano anche il tessuto
scenografico, a quelle che sembrano aggrapparsi a tropi ormai
obsoleti del genere e non sfruttano adeguatamente il minutaggio
concessogli.
Naturalmente, tutti i temi sono
accomunati dall’inquietudine e da alcuni “spazi vuoti” che non
vanno necessariamente colmati. Cabinet of
Curiosities non è un’antologia facile da capire e questo
sembra essere l’intento di Guillermo del Toro. Per
la maggior parte, ciò che viene presentato è concettualmente valido
e il cast di ogni episodio offre interpretazioni credibili. Detto
questo, la qualità disomogenea delle storie dimostra che nemmeno
Del Toro è riuscito a sfuggire alle insidie
tipiche della maggior parte delle antologie horror.
Ecco il poster ufficiale di Dungeons & Dragons: L’Onore dei Ladri, dal 30
marzo nei cinema italiani. Il film è basato sull’omonimo celebre
gioco di ruolo fantasy creato per la prima volta nel 1974.
Chris Pine,
Michelle Rodriguez sono stati i primi a entrare nel
cast principale del film, seguiti da Justice
Smith. Anche Hugh
Grant si è unito ufficialmente al cast nei panni
dell’antagonista principale che dovrebbe chiamarsi Forge Fletcher.
Nel cast anche Sophia Lillis nota per aver interpretato la
versione adolescente di Beverly Marsh in IT e
IT – Capitolo Due, entrambi diretti da
Andy Muschietti. Nel film sarà Doric.
Guillermo del Toro, grazie al lungometraggio di
Pinocchio realizzato con la
stop-motion, ha riportato sul grande schermo una
tecnica tanto spettacolare quanto particolare che, nel tempo, ha
contribuito alla realizzazione di grandi capolavori della storia
del cinema. Produrre una pellicola usando la stop-motion richiede
dedizione e passione, ed estrema meticolosità. La capacità della
tecnica di restituire incanto e magia si deve sposare appieno con
l’aspetto ruvido e realistico che molto spesso appartiene ai film
realizzati a passo uno.
È invece indispensabile che si colga
il suo essere una forma d’arte, oltre che un vero e proprio
prodotto d’artigianato fatto da mani sapienti ed esperte. Gli
operatori che si occupano della stop-motion sono
consapevoli che la realizzazione di una pellicola improntata su
questa tecnica è molto impegnativa e richiede una precisione
estrema, la meraviglia trasmessa deve essere contemporaneamente
credibile e realistica.
La tecnica della stop-motion mette
in grado gli animatori di dare vita, con espressioni e movimenti, a
oggetti reali e inanimati, che, a fine processo, prendono vita. Per
replicare il movimento di pupazzi e burattini, questi vengono
fotografati 24 volte in un secondo, ogni volta in una posizione
diversa e progressiva, così da replicare un movimento il più
realistico e fluido possibile. Ma come nasce questa tecnica? E
quali sono i film d’animazione più belli realizzati sino ad oggi,
oltre il Pinocchio di Del Toro?
Méliès, la stop-motion nel primo
cinema
La tecnica della
stop-motion si è sviluppata nello stesso periodo
della nascita del cinema con i fratelli Lumière, grazie a un film
realizzato fra il 1897 e il 1898 da J. Stuart Blackton e Albert E.
Smith intitolato The Humpty Dumpty Circus. Nonostante del
prodotto non siano rimaste tracce, sembra che i registi per
realizzarlo fecero uso di bambole della figlia per riprodurre
acrobati e animali in movimento. La tecnica si diffuse però a
partire dal 1900, quando artisti del calibro di George
Méliès, cominciarono a usarla nella creazione dei loro
trucchi. È passato infatti alla storia, l’uso della stop-motion in
capolavori del cinema quali Le Voyage Dans La Lune.
Sviluppandosi principalmente
nell’industria europea, con la collaborazione di visionari queli il
citato Méliès e il russo naturalizzato
francese Ladislas Starevich (nato Władysław), la
stop-motion raggiunge Hollywood con il lavoro di Ray
Harryhausen. Da Gli Argonauti a oggi, l’animazione a passo
uno ha fatto grandi progressi, differenziandosi per tecniche e rese
visive.
Tipologie di stop-motion
Nelle pellicole d’animazione i
registi scelgono quale fra le tipologie
stop-motion disponibili più si confà al loro
stile. La scelta dipende da fattori artistici e produttivi, ai
quali si adegua lo stile e la visione del regista coinvolto. Una
delle più usate è quella della Puppet Animation,
con cui
Guillermo del Toro ha realizzato il suo
Pinocchio. Si tratta di pupazzi, modellini e
marionette che vengono posizionati in una scenografia in miniatura
e poi ripresi nei loro micromovimenti. Sempre a dei pupazzi
animati, ma fatti di plastilina, si affida la
Claymation, molto utilizzata nello studio
d’animazione inglese Aardman Animations e che si
ritrova in film come Galline in fuga o Giù per
il tubo.
Altra tipologia è la
Pixilation, non frequentissima, in cui il soggetto
dell’animazione è un attore dal vivo. Questa è utilizzata spesso
nei video clip musicali. C’è poi la Object
Animation, dove in questo caso i soggetti animati sono
oggetti che non hanno fattezze umane o animali: un esempio usano
questa tecnica i Brickfilm, realizzati con i mattoncini LEGO.
Ancora, un’altra tecnica, usata principalmente agli albori
dell’animazione, prende il nome di Cutout
animation in cui i personaggi prendono vita grazie a pezzi
di carta ritagliati. E per finire la Model
Animation in cui vengono animati dei modellini dentro
lungometraggi live-action che hanno come scopo quello di inserire
creature fantastiche nel profilmico reale. Di seguito, i film più
belli realizzati con le diverse tecniche stop-motion citate, in
particolare con la Puppet Animation e la Claymation.
La storia di Lumetto
Il film è una delle pellicole in
stop-motion diventate fra le più famose. In
inglese si chiama Rudolph the Red-Nosed Reindeer, ed è
stato prodotto da Rankin/Bass con la regia di Larry Roemer e
mandato in onda per la prima volta negli Stati Uniti il 6 dicembre
del 1964, sulla NBC. Il personaggio da cui si è tratto ispirazione,
per l’appunto Rudolph, fu creato da Robert L. May nel 1939. La
pellicola è considerata uno degli speciali natalizi di
maggior successo, e dal suo esordio il canale statunitense
non ha mai smesso di trasmetterla ad ogni stagione natalizia. La
tecnica stop-motion qui usata prende il nome di Animagic, un lavoro
molto preciso fatto con dei pupazzi di legno e feltro. Le
animazioni furono realizzate dallo studio MOM Productions in
Giappone con la supervisione di Tadahito Mochinaga. L’impegno che
fu messo nel produrlo si evince dal fatto che per girare una
mezz’ora di film, gli operatori impiegarono 18 mesi. In Italia La
storia di Lumetto è approdata su Rai 1 il 25 dicembre del 1965,
circa un anno dopo.
The Nightmare Before Christmas
Un classico senza tempo che porta il
marchio
Tim Burton. The Nightmare Before Christmas si può
considerare, senza ombra di dubbio, la pellicola d’animazione cult
nella categoria della stop-motion. Seppur il
film si porti dietro la polemica nata sulla questione di chi fosse
realmente il regista, che è bene specificare essere
Henry Selick, la storia di Jack Skeletron ha fatto breccia nel
cuore di chiunque si sia lasciato trasportare nel suo mondo fatto
di contrasti, di chiaroscuri, di luci e ombre, di orrore e
felicità, ma soprattutto di rinascita. The Nightmare Before
Christmas, oltre a vantare una suggestiva colonna sonora la
cui canzone This is Halloween è oramai iconica, è stato il
primo lungometraggio d’animazione a essere nominato agli Oscar per
i migliori effetti speciali.
Galline in fuga
Fra i più grandi successi della
DreamWorks spicca Galline in fuga, la pellicola in
stop-motion che alla sua uscita ebbe un risultato
enorme al botteghino, riscuotendo più di 224 milioni di dollari. È
infatti considerato il film usante tale tecnica che ha incassato di
più nella storia del genere. Galline in fuga ha avuto in
cabina di regia Peter Lord e Nick Park, la cui sceneggiatura
scritta da Karey Kirkpatrick è basata su una storia originale dei
due registi. Il lungometraggio è pregno di umorismo slapstick,
rendendolo oltre che scorrevole e frizzante, decisamente brillante.
È stato molto apprezzato poi per le tematiche di cui si fa carico e
che spaziano dal femminismo, al marxismo e, addirittura, al
fascismo.
La sposa cadavere
La sposa cadavere è la prima vera pellicola in
stop-motion diretta da Tim Burton insieme a Mike
Johnson e distribuita dalla Warner Bros. Il film si inserisce
all’interno del genere dark fantasy, con una storia il cui setting
suggestivo è caratterizzato dall’atmosfera gotica dell’epoca
vittoriana in Inghilterra. La trama si è sviluppata basandosi su un
racconto popolare ebraico del XVII secolo, presentato a Burton da
Ranft mentre The Nightmare Before Christmas era nelle
ultime fasi della sua produzione.
Le scenografie evocative, i
personaggi curati con meticolosità, la combinazione di colori tetri
e vividi, l’intreccio fra vita, amore e morte, costituiscono i
punti cardini di una storia pregna dei tratti tipici burtoniani,
risaltandone la macabra ma meravigliosa bellezza. Il lungometraggio
ha avuto un incredibile successo al botteghino, incassando 118,1
milioni di dollari. La sposa cadavere si è guadagnata una
candidatura alla 78ª edizione degli Academy Awards per il miglior
film d’animazione, ha vinto il National Board of Review per il
miglior film d’animazione e nel 2006 anche l’Annie Awards Ub Iwerks
Award for Technical Achievement.
Coraline
Se con Nightmare Before
Christmas Henry Selick è stato messo un po’ in ombra a causa
della fama di Tim Burton, con Coraline il regista ha avuto
modo di riscattarsi, realizzando una pellicola in
stop-motion dai toni horror dark fantasy nel 2009.
Il film è un adattamento animato dell’omonima novella di Neil
Gaiman, amante del lavoro che Selick aveva svolto proprio con il
lungometraggio burtoniano. Coraline è stato il primo film dello
studio
Laika, il cui successo al botteghino l’ha posizionato al terzo
posto fra quelli utilizzanti lo stop-motion che hanno incassato
maggiormente.
L’estetica del film predilige
un’atmosfera dai toni inquietanti, la cui venatura spettrale è
piena di sentimento. Coraline può vantare una serie di
vittorie agli Annie Awards: Migliore musica in un lungometraggio
d’animazione, il Miglior design dei personaggi in un lungometraggio
d’animazione e il Miglior design di produzione in un lungometraggio
d’animazione, con una nomination agli Oscar nella categoria Miglior
film d’animazione.
La casa del lupo
Una pellicola in
stop-motion riuscita a riscuotere successo è
La casa del lupo, realizzata da Cristobal
León e Joaquín Cociña e rientrante nel genere horror. Alla sua
uscita, la critica al film fu sorprendente: la sua bellezza
inquietante era riuscita a generare orrore e macabra suggestione,
tanto da essere definito dal New York Times “sorprende, con
incredibile forza, in ognuno dei suoi 75 minuti.” La trama attinge
dalla vera storia della Colonia Dignidad, colonia diventata famosa
per essere stata luogo di attività criminali e abusi sui minori.
La casa del lupo è stato presentato
in anteprima mondiale al 68esimo Festival Internazionale del cinema
di Berlino.
Il regista Walter
Hill ha dato vita nel corso della sua carriera ad alcuni
dei più iconici thriller e action movie degli anni Settanta e
Ottanta. Film come Driver l’imprendibile,I
guerrieri della notte e Strade di fuoco sono i titoli
più noti e apprezzati della sua filmografia, a cui bisogna
aggiungere anche Danko, da lui realizzato
nel 1988. Similmente ad un altro suo celebre titolo quale 48 ore, interpretato da
Eddie Murphy,
anche Danko appartiene al cosiddetto buddy cop,
ovvero quella tipologia di film che prevede una storia coppia di
poliziotti costretti a lavorare insieme per risolvere il caso su
cui sono al lavoro.
Basato su un’idea originale dello
stesso Hill, il film offre dunque una buona dose di comicità ma
anche, e soprattutto, un racconto thriller ben strutturato capace
di offrire colpi di scena, tensione e quel ruvido ritratto urbano
di cui Hill è un maestro. Riscrivendo la sceneggiatura
parallelamente al procedere delle riprese, il regista ha così dato
vita a quello che è oggi considerato un altro dei suoi più
importanti lungometraggi, apprezzato da molta della critica
dell’epoca come anche da quella odierna. Quella di Danko,
inoltre, è stata la prima troupe americana autorizzata a fare
riprese a Mosca dal periodo della Perestrojka.
A fare di Danko un piccolo
gioiellino che ogni appassionato del genere farebbe bene a
recuperare, sono naturalmente i due attori protagonisti:
Arnold Schwarzenegger e James
Belushi, irresistibilmente divertenti insieme quanto anche
credibili nei rispettivi ruoli. Prima di intraprendere una visione
del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
Danko: la trama del
film
Protagonista del film è Ivan
Danko, a capo della milizia sovietica in Russia. L’uomo è
da tempo sulle tracce di Viktor “Rosta” Rostavili,
temibile criminale al quale Danko ha ucciso il fratello nel
tentativo di acciuffarlo. Questo, per vendicarsi, ha poi ammazzato
il suo collega di polizia per poi scappare negli Stati Uniti e
sfuggire a Danko. Quando Viktor commette un errore e viene
arrestato a Chicago, Danko ha finalmente l’occasione di mettere le
mani sul criminale. Si reca dunque negli Stati Uniti, dove viene
incaricato di occuparsi dell’estradizione, insieme ai colleghi
Art Ridzik e Tom Gallagher.
Tuttavia. quando stanno per partire, la gang del criminale,
conosciuta come le “Teste Lustre”, riesce a farlo evadere.
Nella fuga, però, l’uomo perde una
chiave molto importante che finisce proprio nelle mani di Danko. La
caccia al delinquente ha dunque nuovamente inizio, anche se
nell’inedito scenario degli Stati Uniti, nel quale Danko fatica
inizialmente ad ambientarsi. Durante le indagini egli conosce però
Abdul Elijah, altro potente boss della malavita
locale, che dalla prigione manda avanti tutto il crimine
organizzato della città. Tramite lui, Danko cercherà di
rintracciare Viktor e consegnarlo una volta per tutte alla
giustizia. Per riuscirci, però, avrà bisogno di tutto l’aiuto
possibile del collega Ridzik. I due, costretti a collaborare
nonostante le differenze che intercorrono tra loro, daranno dunque
vita ad una coppia tanto insolita quanto tenace.
Danko: il cast di attori
del film
Come anticipato, ad interpretare uno
dei protagonisti, Ivan Danko, vi è l’attore Arnold
Schwarzenegger. Hill disse di aver concepito il film
anche per poter avere un progetto che gli permettesse di lavorare
con Schwarzenegger. Quando all’attore venne proposto tale progetto,
Hill non aveva ancora una sceneggiatura completa, ma Schwarzenegger
accettò ugualmente essendo un fan dei film di Hill. Per poter
interpretare Danko, però, l’attore dovette perdere circa 4 chili,
così da risultare meno imponente e più naturale in mezzo a tutti
gli altri attori. Hill, inoltre, chiese a Schwarzenegger di
studiare l’interpretazione di Greta Garbo in
Ninotchka come anche di imparare un po’ della lingua
russa.
Accanto all’attore, nei panni del
collega Art Ridzik vi è invece l’attore James
Belushi, oggi principalmente noto per la sit-com La
vita secondoJim. Se a Schwarzenegger fu chiesto di
perdere 4 chili, Belushi al contrario dovette acquisirne ben 10.
Questo gli permise di non sfiguare poi troppo accanto al muscoloso
collega. Per prepararsi al ruolo, inoltre, Belushi lavorò per due
settimane nel distretto della polizia di Chicago. Nel film sono poi
presenti gli attori Peter Boyle nei panni del
comandante Lou Donnelly e Laurence Fishburne in
quelli del tenente Charlie Stobbs. L’attore Ed
O’Ross, invece, ricopre il ruolo del criminale russo
Viktor “Rosta” Rostavili.
Danko: il trailer e dove
vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Danko grazie alla sua presenza su alcune
delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Google Play e
Apple iTunes. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma
di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere
un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale
comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre
presente nel palinsesto televisivo di lunedì 5
dicembre alle ore 21:00 sul canale
Iris.
Una Milano combattuta tra mondo
dell’arte e lavoro pragmatico fa da sfondo al triangolo amoroso che
coinvolge Toni (Giuseppe
Maggio), Paola (Margherita
Vicario) e Chiara (Carolina
Sala). Con Perfetta Illusione, il
regista Pappi Corsicato (Il
volto di un’altra) mette in piedi un dramma sentimentale
dalle molteplici sfumature. Il film è stato presentato il
1° dicembre 2022 alla 40ª edizione
del Torino
Film Festival e uscirà in sala a partire
dal 15 dicembre. Nonostante la sentimentalità
del film, Perfetta Illusione non è
affatto una pellicola natalizia. Scopriamo perché.
Perfetta Illusione: la sinossi del
film
Toni (Giuseppe
Maggio) lavora come addetto alle pulizie in un hotel. È da
poco sposato con Paola (Margherita
Vicario) e conduce una vita modesta ma serena. L’unico suo
dispiacere è quello di non poter dedicare abbastanza tempo alla sua
grande passione: la pittura. Non appena si presenta per
Toni l’occasione di una promozione, un gesto poco
professionale nei confronti di un’importante cliente dell’hotel
(Chiara) causa il licenziamento dell’uomo. L’ascesa
lavorativa ed economica di Toni si arresta
improvvisamente.
Non trovando il coraggio di dire la
verità a Paola, Toni vaga per Milano in
cerca di un nuovo impiego. L’occasione arriva presto: un nuovo e
più piacevole incontro con Chiara – che si scopre
essere una gallerista – offre a Toni non
soltanto la possibilità di tornare a lavorare, ma anche una
prospettiva di carriera nel mondo
dell’arte. Toni non può che accettare la
collaborazione con Chiara. Nemmeno da dire, la
comune passione per l’arte tra Chiara e Toni si
mette presto in mezzo alla relazione tra quest’ultimo
e Paola…
Giuseppe Maggio: il tenebroso
protagonista
Giuseppe
Maggio è uno dei protagonisti della scena
cinematografica italiana contemporanea: da Amore
14 del 2009, a Un fantastico
via vai (Leonardo
Pieraccioni) del 2013, fino ai più recenti
Baby, Sul più bello, 4
metà e La
mia ombra è tua, l’attore interpreta spesso ragazzi
(prima) e uomini (poi) combattuti. In Perfetta
Illusione, Maggio è un
protagonista tenebroso ed intrigante. Toni è uno
spirito artistico soffocato dal pragmatismo: ha accantonato il suo
sogno di diventare un pittore per trovare un lavoro stabile che
potesse dare stabilità a lui e Paola. Questo sogno è
rimasto soltanto assopito: infatti, non appena Toni
conosce Chiara, l’ambizione non tarda a
riemergere.
Né Chiara né Paola
conoscono fino in fondo Toni, ma una sensazione simile
viene lasciata anche allo spettatore. Sicuramente, il protagonista
è il personaggio più interessante di Perfetta
Illusione: pur non essendo moralmente
impeccabile, Maggio impersonifica un
carattere molto umano, a tratti disilluso a tratti sognatore, che
sa essere al contempo egoista e romantico.
Gli altri due vertici del
triangolo
Non si può dire la stessa cosa delle
due donne che compongono il triangolo con
Toni. Chiara e Paola sono
personaggi molto stilizzati. La prima, Chiara, è
l’esemplare della ‘figlia di papà’ che prova a prendere le distanze
dalla famiglia benestante e snob da cui proviene, ma che non riesce
davvero a staccarsene. Paola è invece una donna pragmatica
e semplice, pensa ai soldi e disprezza le futilità. Il triangolo
vissuto da Toni non è solo carnale o amoroso, ma è
l’emblema di un conflitto morale tra l’ambire e l’accontentarsi,
tra l’incertezza e la stabilità, tra l’arte e la vita. Quella al
centro di Perfetta Illusione è una bella metafora,
ma sicuramente poteva essere sviluppata di più, sia per quanto
concerne gli interpreti, sia per quanto riguarda la sceneggiatura e
i dialoghi. Le scene e le battute sono spesso le classiche e
prevedibili situazioni da film sentimentale italiano mainstream,
nulla di particolarmente nuovo e avvincente.
Una Milano protagonista
Un altro elemento cardine
di Perfetta Illusione è Milano. Il film
è chiaramente ambientato nel capoluogo lombardo: riprese aeree e
campi lunghissimi esaltano luoghi iconici della città. Milano ben
si adatta ai temi e ai conflitti del film: i salotti borghesi, gli
hotel di lusso e le gallerie d’arte si mescolano alla periferia e
agli anonimi negozi lontani dal centro. Gli spazi, susseguendosi ed
incastrandosi scena dopo scena, rimandano all’idea di conflitto: un
conflitto che, in PerfettaIllusione, è interiore tanto quanto sociale.
Il regista di 1917Sam Mendessi
circonda nuovamente di un grande cast (Olivia
Colman, Colin
Firth, Micheal Ward) per
realizzare un film meta-cinematografico dal gusto retrò e
nostalgico. Empire of
Light è una storia interamente ambientata in un
cinema, luogo in cui tutto diventa possibile, questa volta non solo
sullo schermo. Nell’attesa dell’uscita del film in sala il
23 Febbraio, ecco la recensione di Empire of
Light.
Empire of Light:
la sinossi del film
Negli anni Ottanta di Margaret
Thatcher e degli skin
heads,Stephen, un ventenne nero, è la new
entry dello staff di un elegante cinema sulla costa inglese. Tra i
membri del cinema Empire c’è anche la
cinquantenne Hilary (Olivia Colman),
una donna gentile e pacata ma anche molto sola. Tra psicofarmaci e
squallidi rapporti sessuali con il direttore del cinema
(Colin Firth), Hilary conduce
un’esistenza tranquilla ma anche monotona. Fin da subito,
tra Stephen e Hilary s’instaura un
intesa speciale: tra similitudini caratteriali e grosse differenze,
i due si scoprono anime sole e complementari.
Le differenze d’età e sociali non
rendono la storia tra Stephen e Hilary
affatto semplice. Presto il cinema Empire si
trasforma in un luogo in cui perdersi, nascondersi, scontrarsi e,
soprattutto, evadere dagli aspetti più freddi e sconsolanti della
realtà.
Olivia Colman domina e cattura la
scena
Lei è l’Attrice di mezza età inglese
per eccellenza: Olivia Colman è maestosa anche
in Empire of Light. Nel film la vediamo
interpretare una donna mentalmente fragile, dotata di tantissime
sfaccettature emozionali. Hilary è appena uscita da un
esaurimento nervoso e sta tentando di tornare in
carreggiata: la vediamo fluttuare tra le emozioni,
positive e negative, rimanerne travolta ma anche navigarle con
forza. A differenza di personaggi più regali e impenetrabili come
Regina Elisabetta IIin The
Crown o Anne in La
Favorita, in Empire of
lightColman compensa la parte
glaciale, che sappiamo riuscirle tanto bene, con quella più umana
ma anche con quella impulsiva ed estrema. La prova attoriale
richiesta alla protagonista del film è notevole,
ma Colman se la cava divinamente, sia nei
panni della folle che in quelli della donna matura e solitaria.
Tutto il cast
di Empire of
Lightè all’altezza della prova richiesta dal
regista e sceneggiatore Sam Mendes: ironici e drammatici, un
po’ freak, un po’ nerd ed alienati, tutti i membri
dell’Empire sono curiosi e perfettamente calati nel
contesto vintage e vagamente decadente del film. Il direttore
incravattato e viscido Colin Firth, il
ragazzo sempre ottimista dai gusti stravaganti Micheal
Ward, ma anche la stagista punk e lo scorbutico operatore,
tutti i personaggi mostrano i propri colori, più o meno accesi.
Un film dalle tinte forti e dagli
strati molteplici
Non si capisce fino in fondo che
storia voglia
raccontare Mendes con Empire
of light. È un elogio alla settima arte? È una critica al
razzismo e agli skin heads? O ancora è una dedica
agli amori fuori dall’ordinario? Le piste aperte nel corso del film
sono tante, come anche i momenti d’epilogo. Non si tratta di un
film a episodi, ma le sequenze sono spesso autoconclusive e molto
specifiche. Nell’intrigo delle linee narrative, Empire
of Light è comunque un film che si regge bene in
piedi e che riesce ad intrattenere. E, per la settima arte, questo
è l’importante: partire dal vero e creare, attraverso il
fascio di luce, mondi straordinari.
Quello di Empire of
Light è davvero un mondo magico e straordinario. Le
immagini sono perfettamente costruite e settano il contesto in modo
potente: siamo calati nell’Inghilterra – costiera e piovosa – degli
anni Ottanta, dentro ad un cinema anni Sessanta mezzo in disuso.
Ambienti e personaggi danzano davanti alla macchina da presa
costruendo, appunto, la magia plausibile e fantastica di questa
storia.
Pochi show televisivi
negli ultimi anni hanno affrontato il western con successo:
pensiamo alla serie Hell on Wheels che purtroppo in Italia è
arrivata con discreto ritardo e non troppo clamore, oppure alla
notevole miniserie Godless realizzata da Netflix. Amazon Prime Video in collaborazione con BBC
tenta di seguire questa strada grazie a The
English, un progetto in sei puntate che conferma e al
tempo stesso ribalta le coordinate del genere.
Se a livello puramente
estetico infatti troviamo molti degli archetipi stessi del genere –
soprattutto per come lo ha inteso e a suo modo “creato”
Sergio Leone – nel contenuto invece The
English propone un’angolazione diversa e originale.
Protagonisti della vicenda sono infatti una donna inglese venuta in
America per vendicare la morte del figlio e il nativo americano
incontrato per caso all’inizio del suo percorso sul suolo
straniero. Cornelia Locke (Emily
Blunt) ed Eli Whipp (Chaske Spencer)
fanno della loro convivenza prima forzata e successivamente sempre
più voluta il punto di forza per continuare a lottare in una terra
ostile e violenta, dove solo la legge del più forte sembra contare
veramente.
The English, la trama della serie
Per almeno tre puntate
The English è una miniserie erratica, divertente
da seguire, generosa anche quando appare vagamente scoordinata nel
seguire diversi percorsi narrativi, oppure influenze derivanti da
altri generi: molto spesso infatti lo show interamente scritto e
diretto da Hugo Blick (The
Honorable Woman con Maggie Gyllenhaal) flirta coraggiosamente con
il genere, soprattutto quando vuole mettere in scena sotto forma di
metafora quanto l’America delle pianure sia stata un luogo
selvaggio e violento, capace di portare l’essere umano ai limiti
della propria natura animale, e molto spesso anche superarli. Gli
insieme al proprio cast sembra in un certo modo divertirsi a
giocare col western, ad inserire toni che nel DNA storico non gli
appartengono.E tutto questo all’interno di una confezione che però
sfrutta i grandi spazi alla maniera dei classici, oppure le musiche
dirompenti come faceva Sergio Leone.
Insomma, The
English possiede una sua energia particolare, sprigionata
da molteplici influenze tenute insieme nella prima parte da una
messa in scena frizzante. Poi il quarto episodio cambia le carte in
tavola, in quanto compatta la trama e la indirizza verso un
traguardo ben preciso, e allo stesso tempo conferisce uno spessore
emotivo – leggete pure drammatico – all’intera operazione. Questo
perché dopo un percorso a tappe che ha proposto vari antagonisti
sacrificabili al fluire della trama, il reale “villain” di
The English si palesa in maniera poderosa e
terrificante. Nell’episodio di cui è assoluto protagonista, un
Rafe Spall in versione assolutamente inedita offre
una prova che lascia il segno, regalandoci una versione del suo
personaggio capace in un paio di momenti di gelare il sangue nelle
vene. Bisogna scrivere che, quando c’è lui in scena, i pur molto
efficaci Emily Blunt e Chaske
Spencer insieme a tutti gli altri attori del cast
francamente scompaiono. Davvero da applausi.
Come anticipato, una
volta incanalata la tram nella direzione principale The
English eleva il tono esplicitando la sua anima
melodrammatica, impreziosendo le figure principali – soprattutto
Cornelia – con una backstory dolorosa e capace di scuotere. Blunt
si trasforma in una notevole eroina tragica, segnata da un destino
di cui non è responsabile ma che abbraccia senza paura. È lei a
diventare suo malgrado emblema di quanto l’America sia stata
costruita (anche) sull’abuso, sul dolore dei più deboli, sull’idea
che il singolo sia più importante della comunità e il suo benessere
condiviso. Sotto questo punto di vista la miniserie targata
Amazon/BBC è molto più contemporanea di quanto l’ambientazione non
riveli. Purtroppo…
Non c’è che dire, ci si
diverte molto e con uno strano senso del tragico a seguire
The English: bisogna forse lasciargli il tempo di
svilupparsi, di trovare la propria strada, ma ne vale assolutamente
la pena. E nel frattempo, in questo cammino fatto di sangue,
pallottole, serpenti a sonagli e “mostri” che indossano una divisa
dell’esercito, si può gustare di episodio in episodio l’arte di
grandi caratteristi come ad esempio Ciarán Hinds,
Toby Stephens e soprattutto il mai dimenticato
Stephen Rea, uno degli attori più raffinati e
malinconici che il cinema britannico ha prodotto negli ultimi
quarant’anni. Lui e tutti gli altri vanno accomunati in un applauso
sentito, capaci di intrattenere e dopo un secondo colpire al cuore.
Proprio come The English.
Annunciato oggi il nuovo cast della
seconda stagione dell’epico period drama Sky Original
Domina. Ambientata durante uno dei periodi più
stimolanti della storia romana, la serie segue la straordinaria
ascesa della terza moglie di Gaio, l’imperatore Cesare Augusto,
Livia Drusilla, interpretata da
Kasia Smutniak (Perfetti Sconosciuti, Loro,
Diavoli). Domina è prodotta da Tiger Aspect—
parte di Banijay UK.
Le riprese della seconda
stagione, svoltesi in questi mesi negli storici studi di
Cinecittà, sono recentemente terminate. La serie debutterà in
esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW nel 2023, in tutti i
paesi in cui Sky opera in Europa.
La seconda
stagione di Domina racconta la lotta per il controllo dell’Impero
Romano – e della famiglia imperiale di Roma – da una inedita
prospettiva femminile. Nella prima stagione, Livia Drusilla, la
ragazza d’oro dell’importante famiglia dei Claudii, torna a Roma
dopo dieci anni di esilio, determinata a riconquistare tutto ciò
che le era stato rubato. Ora, dopo essere arrivata in cima a un
impero ormai frammentato e a una dinastia alquanto disfunzionale,
dovrà lottare per preservare il suo matrimonio con Gaio, anche per
fare in modo che sia uno dei suoi figli a sedersi sul trono, mentre
nuovi e vecchi rivali le contendono la posizione, in un mondo in
cui è impossibile sapere di chi fidarsi.
Già nel cast della prima, oltre a
Kasia Smutniak ritornano sul set della seconda
stagione Matthew McNulty (Gaio Giulio Cesare),
Liah O’Prey (Julia), Ben Batt
(Agrippa), Ewan Horrocks (Druso), Claire
Forlani (Ottavia), Darrell D’Silva
(Pisone),Christine Bottomley (Scribonia),
Alais Lawson (Marcella).
I nuovi attori di Domina – seconda stagione
Tre nuovi attori vengono invece
annunciati oggi. Benjamin Isaac (Holmes &
Watson) interpreterà Tiberio, figlio maggiore di Livia,
traumatizzato da oscuri ricordi della sua infanzia. È sempre più
riluttante a realizzare le ambizioni della madre per lui e suo
fratello e la missione di restaurare la Repubblica. Sebbene trovi
un po’ di luce e amore con la nuova moglie Vipsania, la corruzione
di Roma lo travolge e rischia di distruggere la sua famiglia.
David Avery (Doctor Who, Lost in London,
Finalmente maggiorenni) vestirà i panni del giovane e
ambizioso aristocratico Domitius, da poco entrato a far parte della
famiglia di Gaio grazie al matrimonio con la figlia di Ottavia,
Antonia. Perfido e astuto, si dimostrerà ben presto una spina nel
fianco di Livia. E infine Joelle (Dune, L’accademia del bene e del male),
che nei nuovi episodi darà vita al personaggio ricorrente di
Vipsania, la figlia di Agrippa, che si rifiuta di partecipare ai
consueti giochi di potere che fanno parte della vita aristocratica
romana. È felicemente sposata con un outsider, Tiberio, ed è una
delle principali forze positive nella vita del marito.
La serie è creata da Simon
Burke (Fortitude, Strike Back), che ne è anche
produttore esecutivo insieme a Lucy Bedford, Head of Drama per
Tiger Aspect, Muirinn Lane Kelly e Carmel Maloney. MGM+ detiene i
diritti per gli Stati Uniti. Il distributore internazionale è
Banijay Rights.
Disney+ ha annunciato oggi che
sono iniziate a Napoli le riprese di
Uonderbois, la nuova serie originale
italiana con la regia di Andrea De Sica e
Giorgio Romano. e creata da Barbara
Petronio e Gabriele Galli
Uonderboi, la trama
Uonderbois è un serie a cui fanno da
cornice le leggende popolari di una città unica al mondo:
Napoli. È facile farsi rapire dalla bellezza di
questo luogo, ma a tutto ciò che di magico e leggendario si cela
nella città hanno accesso solo coloro che sanno vedere oltre le
apparenze. I Uonderbois sono tra questi: un gruppo
di cinque dodicenni – accomunati dalla fervida
fantasia di chi è cresciuto tra le strade di Napoli – che
crede fermamente nell’esistenza del loro mito Uonderboi, un
incrocio tra la leggendaria figura del Munaciello
e un moderno Robin Hood. Insieme si avventureranno nella
Napoli sotterranea e scopriranno che in ogni
racconto c’è sempre un pizzico di verità, l’importante è saper
cogliere quell’equilibrio tra realtà e magia sul quale la città
partenopea si regge da millenni.
La serie è interpretata da
Serena Rossi, Massimiliano Caiazzo, Junior Rodriguez, Melissa
Caturano, Catello Buonocore, Christian Chiummariello, Gennaro
Filippone, Giordana Marengo, Giovanni Esposito, Ernesto Mahieux,
Francesco Di Leva, Ivana Lotito e con la
partecipazione straordinaria di Nino D’Angelo.
Per la regia di Andrea De Sica e Giorgio Romano, la serie è
tratta da un soggetto originale di Barbara
Petronio, che è anche Produttore Esecutivo, Gabriele Galli
e Giorgio Romano, creata da Barbara Petronio e
Gabriele Galli e scritta da Barbara Petronio, Gabriele
Galli, Francesco Balletta, Rossella Di Campli, Veronica Galli.
Uonderbois è prodotta da Raffaella e Andrea Leone per
Lotus Production, una società di Leone Film Group.
FATIMA, dramma sul
potere della fede diretto Marco Pontecorvo (“L’oro
di Scampia”, “Nero a metà”, “Alfredino – Una storia italiana”),
arriva in prima tv mercoledì 7 dicembre alle
21.15 su Sky Cinema Due, in streaming su NOW e disponibile on
demand.
Ispirato alle celebri apparizioni
della Madonna avvenute nel 1917, vede nel cast Joaquim De
Almeida, Goran Visnjic, Stephanie
Gil, Alejandra Howard, Jorge
Lamelas, Lucia Moniz, Marco
d’Almeida, Joana Ribeiro, Sonia
Braga e Harvey Keitel. Il soggetto e la
sceneggiatura sono di Marco Pontecorvo e
Valerio D’Annunzio.
La trama
Nel 1917 a Fatima, in Portogallo,
una pastorella di 10 anni e i suoi due giovani cugini riferiscono
di aver avuto visioni della Vergine Maria. Mentre la parola della
loro profezia si diffonde, decine di migliaia di pellegrini
religiosi accorrono sul luogo nella speranza di assistere a un
miracolo. Ciò che sperimentano cambierà la loro vita per sempre.
Mercoledì 7 dicembre in prima tv alle 21.15 su Sky Cinema
Due e in streaming su N0W.
Da New Line Cinema arriva
l’avventura d’azione Black
Adam, il primo lungometraggio in assoluto ad esplorare
la storia del Supereroe DC, interpretato da
Dwayne Johnson, e diretto da Jaume
Collet-Serra (“Jungle Cruise”).
Quasi 5.000 anni dopo che gli sono
stati conferiti i poteri onnipotenti delle antiche divinità, e
imprigionato altrettanto rapidamente, Black
Adam (Dwayne Johnson) viene liberato dalla sua tomba
terrena, pronto a scatenare la sua forma unica di giustizia nel
mondo moderno.
Johnson recita al fianco di
Aldis Hodge (“City on a Hill”, “Quella notte a
Miami”) nei panni di Hawkman; Noah Centineo
(“Tutte le volte che ho scritto ti amo”) nei panni di Atom Smasher;
Sarah Shahi (“Sex/Life”, “Rush Hour – Missione
Parigi”) in quelli di Adrianna; Marwan
Kenzari(“Assassinio sull’Orient
Express”, “La Mummia”) è Ishmael; Quintessa
Swindell (“Voyagers”, “Trinkets”) è Cyclone; Bodhi
Sabongui (“A Million Little Things”) è Amon, mentre
Pierce Brosnan (i franchise di “Mamma Mia!” e
James
Bond) interpreta il Dr. Fate.
Collet-Serra ha diretto il film da
una sceneggiatura di Adam Sztykiel, Rory Haines e
Sohrab Noshirvani, su una screen story degli
stessi Adam Sztykiel, Rory Haines e Sohrab Noshirvani, basata sui
personaggi DC. Black Adam è stato creato da Bill
Parker e C.C. Beck. I produttori del film
sono Beau Flynn, Dwayne
Johnson, Hiram Garcia e Dany Garcia, con
Richard Brener, Walter Hamada, Dave Neustadter, Chris Pan,
Eric McLeod, Geoff Johns e Scott
Sheldon.
Black
Adam è stato distribuito in tutto il mondo dalla
Warner Bros. Pictures.
Direttamente da una Sicilia ancora
in mano alle famiglie mafiose, The bad guy è una
nuova serie prodotta da Amazon in collaborazione con Indigo Film
che presenta gli intrighi che si creano tra le famiglie Suro e
Tracina e Nino Scotellaro, un procuratore siciliano. La serie è al
momento formata da una stagione da sei episodi, ognuno di circa 50
minuti. Nel cast ritroviamo Luigi Lo Cascio nei panni di
Scotellaro, e l’attrice
Claudia Pandolfi nel ruolo di Luvi Bray. In questo articolo
andremo a scoprire i primi tre episodi: come è iniziato tutto.
The bad guy: il magistrato
mafioso
Nino Scotellaro, procuratore
antimafia, insegue da ormai 15 anni uno dei maggiori capi di Cosa
Nostra: il boss Mariano Suro. Ad ogni operazione, ogni agguato
riesce a fuggire alla giustizia; Scotellaro, durante una frustrante
conferenza stampa, avanza l’ipotesi che ci sia una spia
dall’interno. Con una serie di intercettazioni telefoniche,
l’infiltrato di Suro sembra essere proprio lui. Incastrato e
condannato a quindici anni di carcere, Scotellaro riesce a sfuggire
dopo il crollo del ponte di Messina. Dato per morto, dedica la sua
vita da latitante fantasma ad un solo scopo: uccidere Suro. Ad
aiutarlo nel suo piano folle ci sarà Salvatore Tracina, boss
mafioso divenuto poi collaboratore di giustizia. Dopo l’assassinio
da parte di Suro di gran parte della sua famiglia, anche Tracina
cova vendetta. Contemporaneamente, anche la polizia, guidata anche
da Leonarda Scotellaro, sorella di Nino, dà la caccia a Suro,
grazie a un infiltrato nel clan mafioso.
Nino Scotelllaro mentre gli vengono fatte le foto
segnaletiche
L’antieroe moderno
The bad guy si
apre con una riflessione da una voce narrante, dello stesso Nino
Scotellaro, riguardo a come gli eroi possono essere tramutati dagli
altri in cattivi. Nino era un procuratore bravo nel suo lavoro e
rispettato per questo, ma con una personalità molto forte: dopo la
conferenza stampa, finisce per farsi molti nemici anche tra coloro
che gli sarebbero dovuti essere amici. L’opinione che la gente si
era fatta di lui ha offuscato chi lui era realmente, trasformandolo
nella spia, nel colpevole. Senza amici, senza famiglia, senza casa,
anche così la sete di Scotellaro di giustizia non si placa,
semplicemente si trasforma con un pizzico di vendetta.
Parallelamente alle vicende del
procuratore, nella serie si segue anche il lutto di Luvi. L’attrice
Claudia Pandolfi trasmette al massimo il dolore e senso di colpa
del suo personaggio, facendo immedesimare e provare empatia allo
spettatore. Luvi stessa, in quanto avvocato, ha difeso suo marito
durante il processo, non riuscendo però a far emergere la sua
innocenza. Per questo motivo sente dentro di sé un senso di colpa
atroce, chiaro per il pubblico da tutta una serie di battute e
affermazioni glaciali che Luvi fa: lei lascia per molti anni la sua
professione, inizia a bere.
The bad guy è
caratterizzato a tratti da scene particolarmente violente:
trattandosi di una serie che narra la lotta mafiosa era abbastanza
prevedibile. L’aspetto positivo però è che molte non vengono
interamente rese visibili allo spettatore, ma solo in parte oppure
lasciate intese.
Dal punto di vista linguistico si
possono notare delle incongruenze: durante tutta la serie è chiaro
l’intento della produzione di mantenere una certa autenticità nel
linguaggio, utilizzando il dialetto siciliano sottotitolato.
L’incoerenza si crea rispetto al titolo: se si tratta di una serie
di produzione italiana, ambientata in Sicilia, ed in cui si
preserva l’aspetto linguistico, perché chiamarla The bad
guy e non Il cattivo, ad esempio?
Il ponte sullo stretto: il
(possibile) emblema della mafia
Nino Scotellaro riesce a fuggire
durante un trasferimento dal carcere ad un altro centro per
svolgere lavori socialmente utili: durante il passaggio sul
ponte di Messina, la struttura cede. È interessante notare come
la regia abbia scelto per The bad guy proprio il
ponte sullo stretto per le vicende, e non qualche altra
infrastruttura già esistente; la scelta non sembra essere casuale.
Il ponte in questione è un’idea avanzata sistematicamente da
politici vari, solitamente di orientamento di centro destra, da
ormai diversi decenni, senza essere mai realizzata. Anche l’attuale
ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini ha
proposto nuovamente l’ipotesi di attuare il progetto. Le
motivazioni ufficiali che hanno portato ad un continuo rimandare
dell’opera sono i danni ambientali in una zona di riserva naturale,
ed i danni sociali alla comunità di Torre faro. Ma un’altra triste
motivazione per cui probabilmente si teme a realizzare il ponte è
il concreto pericolo di infiltrazione mafiosa.
Con Mayor of Kingstown, serie
realizzata per Paramount+, Taylor Sheridan,
insieme al co-creator Hugh Dillon – continua a
raccontare l’America di confine. Nel suo film d’esordio da regista
I segreti di Wind River e nello show Yellowstone aveva adoperato i grandi spazi per
raccontare come lo stato morale e sociale del singolo individuo si
pieghino sotto il peso di situazioni al limite, in cui la legge e
lo stato hanno abbandonato i cittadini a se stessi. In
Mayor of Kingstown questo discorso viene spinto
alle estreme conseguenze attraverso un ribaltamento fondamentale:
in questo caso protagonisti sono gli spazi angusti, i muri alti e i
soffitti troppo bassi delle prigioni. Ambienti dove tutti, sia
coloro che rappresentano la legge quanto quelli che l’hanno
infranta, vivono in una condizione di violenza fisica e psicologica
perpetua.
La trama di Mayor of Kingstown
La serie vede
protagonisti due fratelli, Mike e Mitch McKlusky, due avvocati che
si occupano di mantenere la “pace” tra detenuti, criminali del
luogo, polizia e guardie carcerarie in una cittadina che ha fatto
dell’istituzione carceraria il fulcro della propria esistenza, con
ben sette differenti prigioni nel giro di poche miglia quadrate (da
segnalare che Kingstown, Michigan è un’ambientazione inventata
eppure basata su Kingston, Ontario, dove Hugh Dillon è cresciuto e
dove risiedono addirittura nove istituti correzionali). Ai due il
compito di piegare la legge al fine di mantenere uno stato di
equilibrio instabile che, se infranto, potrebbe causare enormi
spargimenti di sangue sia dentro che fuori le mura dei
penitenziari.
Che lavori a un progetto
come sceneggiatore, regista, produttore creator, Taylor
Sheridan impone il suo marchio di fabbrica fatto di
personaggi “forti”, che non esitano a estrarre la pistola e
adoperarla quando si tratta di difendere quello status quo in cui
credono (forse fin troppo) ciecamente, e hanno spesso dedicato la
propria vita. Il suo modo di fare storytelling è potente, non
lavora di certo in sottrazione, anche se poi lascia spesso che
siano le frasi non dette a comporre la psicologia dei suoi
personaggi. Con Mayor of Kingstown si spinge però
dove non aveva fatto in precedenza, creando una serie di impatto a
volte quasi insostenibile.
La perdita di valori e di
umanità del mondo in cui Mike McKlusky tenta di
salvare il salvabile si esplicita in un tono livido, disperato.
Ogni episodio è impregnato di una tensione verso la violenza
tangibile e asfissiante, tanto da mettere in alcuni momenti a dura
prova la resistenza dello spettatore. In particolare l’ottavo dei
dieci episodi di cui è composta la prima stagione si tramuta in un
vero e proprio bagno di sangue come non se ne erano visti da molto
tempo a questa parte in una serie che non sia esplicitamente un
horror. Insomma, se volete vedere Mayor of
Kingstown siate pronti a immergervi dentro un incubo
contemporaneo che mette in scena la piaga dello stato delle carceri
americane con una forza espressiva come non se ne vedeva dai tempi
di Oz (HBO), di cui il prodotto di Sheridan e
Dillon è a tratti esplicito debitore.
Protagonista assoluto di
questa ballata dolorosa è un Jeremy Renner che sa benissimo come
interpretare un antieroe creato da Sheridan, come aveva già
straordinariamente dimostrato in I segreti di Wind River. È l’attore due volte
candidato all’Oscar che in più di un’occasione rende credibile o
quantomeno comunque efficace una serie che non evita di scivolare
talvolta in una certa retorica di fondo, pur non cercando mai di
nasconderla.
Mayor of
Kingstown infatti possiede il pregio di possedere una
confezione chiaramente mainstream senza concedere comunque nulla
allo spettacolo fine a sé stesso. Non addolcisce la pillola
riguardo quello che vuole denunciare e mostrare, al contrario lo
sbatte in faccia al pubblico con un coraggio e una forza che, anche
quando non pienamente condivisibili, rimangono comunque ammirevoli.
Mayor of Kingstown è un potente e preciso pungo
allo stomaco, e forse il dolore che provoca nel vederlo potrebbe
essere proprio quello che serve…
Il Noir in
Festival rende omaggio a un maestro del genere con un
incontro dedicato ai finalisti del Premio
Caligari, il riconoscimento che premia il miglior film
noir di produzione italiana.
Martedì 6 alle ore
17.00 presso l’Università IULM il pubblico del festival
potrà dialogare con gli autori e gli interpreti delle opere
finaliste, uscite in sala nell’ultimo anno. Il film vincitore del
Premio Caligari 2022 e quello che riceverà la Menzione Speciale di
Cinecittà News saranno invece annunciati in sala mercoledì 7
dicembre (ore 21.00, Cinema Arlecchino).
La giornata del 6 dicembre al Noir
celebra anche il cinema francese con uno dei titoli più acclamati
del 2022 ovvero Saturn Bowling,
co-produzione franco-belga diretta da Patricia Mazuy, che
introdurrà il film (ore 19.00, Cinema Arlecchino). Inserito dai
Cahiers du Cinema nella classifica dei migliori dieci film
dell’anno, il film racconta la storia di due fratelli intrappolati
in una spirale di oscurità in seguito alla morte del padre.
Il Noir in Festival vuole inoltre
rendere omaggio al grande regista Bertrand
Tavernier, a un anno dalla sua scomparsa: grazie alla
collaborazione tra il festival, l’Institut Français di Milano e il
festival lionese Quais du Polar, presso il CinéMagenta63 sarà
presentata una delle pellicole più amate di
tavernier, Quai d’Orsay (ore
18.00).
Il 2022 è stato un anno di successi
ma anche fallimenti per i Marvel Studios e, con la fine della
Fase 4 del MCU,
possiamo analizzarne ormai i maggiori errori. Dopo l’uscita dello
speciale natalizio di Guardiani della Galassia, la
Fase 4 è finita e Kevin Feige
e compagnia stanno cercando di gettare le basi per una nuova era
del franchise sulla scia di Avengers: Endgame, soprannominata
“Saga del Multiverso”.
Sebbene si speri in una rinascita
del MCU
anche per quanto riguarda la serie tv, è ormai evidente che i
Marvel Studios non sono altrettanto
abili nel raccontare storie in televisione quanto lo sono al cinema
e che, a volte, anche gli stessi film ci abbiano fatto storcere il
naso…
Un Multiverso mediocre…
Non sappiamo a chi dare la
colpa se Doctor Strange nel Multiverso della Follia ha
deluso: ai Marvel Studios, ai cospiratori del
web o alle nostre ridicole aspettative. In definitiva, è
probabilmente una combinazione di tutti e tre. Dopo che Spider-Man: No Way Home ci aveva fatto capire
quanto il Multiverso nel MCU
potesse essere folle, il film, presentato come il progetto che ci
avrebbe portato direttamente nel Multiverso, ci ha regalato solo
una manciata di realtà alternative e una schiera di
Illuminati.
L’uccisione di questi personaggi in
così rapida successione, dopo solo un brevissimo scorcio del loro
mondo, ne ha diminuito l’impatto, così come l’essere poco più che
carne da macello per una svolta malvagia della Strega Scarlatta che
nessuno voleva. Se questo è il massimo che il
Multiverso potrà ottenere, beh… forse siamo pronti
per la fine di questa saga.
Eternals Chi?
Eternals
potrebbe essere stato il primo film “marcio” su Rotten Tomatoes dei
Marvel Studios, ma il modo in cui è
stato trascurato nella Fase 4 è stato a dir poco sconcertante. Lo
shock di un gigantesco Celestiale di marmo che
emerge dall’Oceano Indiano non ha meritato nemmeno una menzione in
Black Panther: Wakanda
Forever, il sequel che ha portato Namor il
Sub-Mariner nel MCU.
Non se ne è mai più parlato, anche se lo stesso si potrebbe dire
per la maggior parte dei grandi eventi della Fase 4.
Quest’anno c’è stata una vera e
propria mancanza di interdipendenza tra i vari eventi, che ha fatto
sì che questo mondo condiviso sembrasse meno coeso che mai. È
probabile che la colpa sia della sovrapposizione dei programmi di
produzione, ma la mancanza di riferimenti anche minimi ha fatto sì
che sembrasse ci avessero presentato solo una serie di storie
casuali.
La durata “standard” di due
ore
Le recensioni negative
ottenute da Eternals – con molte lamentele rivolte alla
durata di 2 ore e mezza – sembrano aver scioccato i Marvel Studios, spingendo lo studio
a rendere i due film successivi, Doctor Strange nel Multiverso della Follia e
Thor: Love and Thunder, molto più brevi.
Entrambi i sequel sono durati circa 2 ore e le rispettive storie
sono sembrate incredibilmente affrettate. Quest’ultimo, in
particolare, non ha mai rallentato, e questo sembra più una
decisione commerciale sbagliata che una decisione creativa.
Eliminare 20 o 30 minuti dalla
durata di un film del MCU
significa poterlo proiettare su un numero molto maggiore di
schermi, aumentando così gli incassi al botteghino. Con i titoli
2021 dei Marvel Studios in difficoltà a
causa della pandemia, siamo tentati di “dare la colpa” all’ex
amministratore delegato della Disney Bob Chapek.
Speriamo che Black Panther: Wakanda Forever sia un
segno che le due ore di durata non sono più un obbligo.
Troppa libertà a Taika Waititi
Pur non piacendo a tutti,
Thor: Ragnarok è stato il nuovo inizio di cui
il franchise aveva disperatamente bisogno. Anche tra tutte le
battute e le frasi fatte, c’era una grande storia in gioco, che lo
ha reso uno dei migliori film dei Marvel Studios. Non si può dire lo
stesso di Thor: Love and Thunder.
Nonostante avesse tutti gli
ingredienti giusti per funzionare, compresi personaggi come
Mighty Thor e Gorr: Il Macellatore di
Dei, Taika Waititi ha avuto la libertà di
fare quello che voleva e il risultato è stato un blockbuster
disordinato, infantile e al limite dell’inguardabile, secondo molti
fan. Lo spreco di Christian Bale, tuttavia, potrebbe essere uno
dei più grandi crimini dei Marvel Studios di quest’anno.
L’arco narrativo di Mighty Thor era buono, anche
se affrettato, ma il Dio del Tuono ha ancora una volta un disperato
bisogno di un reboot… forse senza il contributo di Waititi.
La CGI di She-Hulk
She-Hulk:
Attorney at Law è stato messo sotto accusa per una
serie di motivi, la maggior parte dei quali erano piuttosto
ingiusti col senno di poi. Le lamentele sulla CGI, tuttavia, erano
del tutto giustificate. She-Hulk
è apparsa in gran parte delle scene, ma quelle nel suo ufficio non
erano molto meglio di quelle di molti videogiochi. Tralasciando le
clip modificate sui social media che hanno fatto apparire Jen 10
volte peggiore, i Marvel Studios hanno probabilmente
tagliato il budget per le serie, e si vede.
Vale la pena menzionare anche il
finale, difficile da digerire, che ha visto i Marvel Studios darsi una pacca
sulla spalla con il debutto di K.E.V.I.N. in uno
dei momenti più irritanti del franchise. La rottura della terza
parete come questa non è quello che speriamo di vedere in
Deadpool 3.
Poche “presentazioni speciali”
Riprendendo il nostro
ultimo punto, se i Marvel Studios hanno imparato
qualcosa nel 2022, è che le presentazioni speciali sono un’opzione
molto migliore degli show televisivi. Anche se vogliamo ancora
delle serie settimanali, i 50 minuti di Werewolf by Night funzionano molto meglio come
introduzione per questo personaggio (insieme a Man-Thing e Elsa
Bloodstone) di Moon
Knight, Ms. Marvel e She-Hulk: Attorney at Law messi
insieme.
Quest’ultima ci ha tenuti
sintonizzati per nove settimane, solo per dirci che non aveva
importanza nel finale. Gli altri due show, pur essendo delle solide
introduzioni per questi eroi, sono stati molto discontinui; forse è
troppo tardi per il 2023, ma speriamo che il 2024 dia la priorità
alle presentazioni speciali piuttosto che ad altre serie TV.
La mutante Ms. Marvel
A parte i
Clandestini (che sono tra i peggiori cattivi del
MCU),
Ms. Marvel è stata una serie televisiva
solida. Iman Vellani si merita molti elogi e
questi sei episodi sono serviti per introdurre Kamala
Khan. Dove i Marvel Studios hanno davvero
sbagliato è stato con i poteri dell’adolescente. Prendere un
personaggio dei fumetti del tutto unico e dargli abilità generiche
in stile Lanterna Verde è una decisione che ancora ci lascia
perplessi, soprattutto quando ha portato a lasciare sulla pagina
molti dei suoi poteri migliori e più iconici.
Per quanto riguarda la decisione di
rendere Kamala una mutante, l’abbiamo amata sul
momento, ma ha meno senso più ci pensiamo. Capiamo che i Marvel Studios vogliano lasciare
stare gli Inumani, ma il fatto che Ms. Marvel sia una mutante prima di aver visto
anche un solo X-Man… beh, sembra che Kevin e
compagnia se lo stiano inventando di sana pianta, e non in senso
positivo.
La versione insoddisfacente di Moon
Knight
Non possiamo dire una sola
parola negativa sul lavoro di Oscar Isaac, e Moon Knight è iniziato e terminato in modo
eccellente. Tuttavia, la mancanza di azione in costume, una visione
riduttiva della malattia mentale di Marc Spector e
una visita incredibilmente deludente al manicomio hanno contribuito
a rendere questa serie più un fallimento che un successo.
Le ultime scene sembrano essere
state inserite dopo le riprese, con la presenza di Arthur
Harrow che non ha alcun senso; inoltre, gli elementi
horror non hanno funzionato molto bene e siamo ancora divisi sulla
comicità di Steven Grant. Nonostante ciò, Moon Knight rimane un personaggio con un certo
potenziale nell’MCU,
ma se c’è un progetto del 2022 che riassume quanto i Marvel Studios siano diventati
discontinui, è proprio questo.
Il capolavoro della letteratura
francese, I tre moschettieridi
Alexandre Dumas, tornerà in un nuovo, colossale adattamento
cinematografico. Eva
Green, Vincent
Cassel e Louis
Garrel saranno i protagonisti del primo dei due
lungometraggi che completeranno il racconto, entrambi diretti
da Martin
Bourboulon (Eiffel,Papa ou
Maman e Papa ou Maman 2), I
Tre Moschettieri – D’Artagnan.
Eva Green si calerà nei panni di Milady de
Winter, Vincent Cassel interpreterà il ruolo di Athos
e Louis Garrel sarà Re Luigi XIII. Nei
panni dell’iconico protagonista, François
Civil (Wolf Call), affiancato
da Romain Duris nei panni di Aramis
e Pio Marmai in quelli di Porthos. I film
introdurranno anche un nuovo personaggio: Hannibal, basato sulla
vera storia di Louis Anniaba, il primo moschettiere di colore della
storia francese.
D’Artagnan, giovane e vivace
guascone, viene dato per morto dopo aver cercato di salvare una
ragazza da un rapimento. Quando arriva a Parigi, cerca in tutti i
modi di scovare gli aggressori ma non sa che la ricerca lo condurrà
nel cuore di una vera guerra che mette in gioco il futuro della
Francia. Alleandosi con Athos, Porthos e Aramis, tre Moschettieri
del Re, D’Artagnan affronterà le macchinazioni del Cardinale
Richielieu. Ma, innamorandosi di Costance, la confidente della
Regina, si metterà in serio pericolo guadagnandosi l’inimicizia di
colei che diventerà il suo peggior nemico: Milady.
La star di AvatarStephen Lang ha finalmente affrontato il tema del
suo ritorno a sorpresa nei panni del malvagio
Quaritch in Avatar: La via dell’acqua, offrendo una
spiegazione su come il personaggio riesca a risorgere dopo la sua
morte.
Il Quaritch di
Stephen Lang ha avuto un grande impatto come
cattivo principale di Avatar, e
alla fine ha avuto ciò che si meritava dopo essere stato colpito al
petto da una freccia dalla Neytiri di Zoe Saldana. In principio, sembrava si fosse
trattato di una morte definitiva, ma il cattivo dell’RDA è
destinato in qualche modo a risorgere in Avatar: La via dell’acqua, che uscirà il 15
dicembre.
Lo sapevamo già da un po’: le voci
che l’attore avrebbe interpretato un personaggio diverso sono state
presto smentite quando è stato confermato che avrebbe ripreso il
suo ruolo dal film campione d’incassi del 2009.
Dopo mesi di speculazioni sul
possibile ritorno di Quaritch, abbiamo finalmente
ottenuto una risposta da parte dello stesso Lang.
“È un avatar autonomo geneticamente modificato“, ha
spiegato l’attore a
Empire Online. “Gli hanno trasferito la mente, le emozioni
e, cosa ancora più interessante, forse lo spirito di
Quaritch“.
“Ora, queste sono tutte cose
piuttosto esoteriche. Gli viene fornita una riserva di memoria
completa fino al momento in cui si sottopone al trasferimento del
DNA. Quindi ci sono cose di cui non ha alcun ricordo. Non ha
memoria della sua morte“.
Sembra che Quaritch
sarà tra i soldati resuscitati del sequel Avatar: La via dell’acqua, noti come in
inglese come Recombinants, e sembra che
Quaritch sia destinato a guidare una squadra di
questi contro i pacifici Na’vi.
Tuttavia, non ricordando la sua
morte – e forse tutto ciò che abbiamo visto in
Avatar – questa versione del personaggio potrebbe
avere una visione un po’ meno sinistra di Pandora?
Non ci scommettiamo e puntiamo sul fatto che sia in cerca di
vendetta contro coloro che probabilmente sanno che hanno posto fine
al suo periodo da umano.
Ambientato più di dieci anni dopo
gli eventi del primo film, il sequel racconterà la storia della
famiglia Sully (Jake,
Neytiri e i loro figli), i problemi che devono
affrontare, i tentativi per tenersi al sicuro l’un l’altro, le
battaglie che combattono per rimanere in vita e le tragedie che
subiscono.
Dopo la sua ultima storia d’amore
nell’universo cinematografico Marvel, la star di Daredevil:
Born AgainCharlie Cox valuta la possibilità di un
triangolo amoroso tra She-Hulk e Karen Page. L’avvocato cieco di Cox, Matt
Murdock, è recentemente tornato nel MCU con Spider-Man: No Way Home e
She-Hulk:
Attorney at Law, l’ultimo dei quali ha visto il
personaggio iniziare a frequentare la Jennifer Walter di Tatiana
Maslany negli ultimi due episodi della serie. Con Cox che tornerà
anche per Daredevil:
Born Again, il pubblico si è posto la domanda su quale
relazione l’avvocato porterà avanti.
In occasione del Comic-Con Winter Edition tedesco, a Charlie Cox è stato chiesto cosa ne
pensasse del triangolo amoroso di Daredevil con She-Hulk e Karen
Page. La star del MCU ha rivolto il suo affetto alla
sua co-protagonista di Daredevil, Deborah Ann
Woll, sentendo:
“Come Matt Murdock, non credo
che la sua relazione con Kare Page diventi più profonda, e un
applauso alla meravigliosa Deborah Ann Woll, che è semplicemente
fantastica. Stavo dicendo questo a [Elden Henson] ieri… non so cosa
accadrà con gli altri personaggi nella nuova serie, ma so per certo
che Elden e Deborah erano il centro di quello che abbiamo fatto
prima, e la serie è un successo grazie a loro.”
Abbiamo visto
Daredevil nel MCU già in due occasioni: nel cameo
di Spider-Man: No Way Home e in
due puntate di She-Hulk, dove lo abbiamo visto
anche in azione, nella sua nuova tuta che omaggia l’origine del
personaggio nei fumetti.
Una nuova immagine del film The
Flash mostra uno sguardo ancora più ravvicinato al
costume di Barry Allen nel Multiverso, mentre
Ezra Miller interpreta numerose incarnazioni dell’eroe
DC nel film in uscita. Dopo diversi anni in cui è rimasto bloccato
nell’inferno dello sviluppo, il film The
Flash arriverà nei cinema la prossima estate. Il film
DCU (precedentemente noto come DCEU) si
concentrerà sul Velocista Scarlatto che tenta di cambiare il suo
passato tornando indietro nel tempo per salvare sua madre dal suo
triste destino. Tuttavia, questo fa sì che The
Flash venga spinto nel Multiverso.
Mentre The
Flash non uscirà ancora per diversi mesi, il prodotto
DCU è stato recentemente presentato al CCXP di
quest’anno. Attraverso Flash Film News, all’evento è stata
mostrata una nuova immagine raffigurante le illustrazioni delle
nuove tute Flash del film, che probabilmente mostrano i design che
verranno utilizzati nel merchandising. L’Art vede la versione
principale di Miller di The
Flash dalla normale continuità DCU e un’altra versione di Allen. Come già
mostrato dal teaser trailer di The
Flash che non uscirà fino al 2023, Miller interpreta
anche un doppelganger del Multiverso del suo personaggio, e la
nuova immagine mostra in dettaglio il costume alternativo
dell’altro Barry.
The
Flash arriverà finalmente nelle sale il 23 giugno
2023. Il film vede
Ezra Miller riprendere il ruolo di Barry Allen da
Justice League e sarà affiancato da
Sasha Callie nei panni di Supergirl e Michael Keaton nel suo grande ritorno nei
panni di Batman, 31 anni dopo la sua ultima apparizione in
Batman Il Ritorno.
Tutto quello che c’è da sapere su
The Flash con Ezra Miller
Confermata anche la presenza
di Michael
Keaton e Ben
Affleck, che torneranno entrambi a vestire i panni di
Batman. Kiersey Clemons tornerà nei
panni di Irish West dopo essere apparsa in Zack
Snyder’s Justice League (il personaggio era stato
tagliato dalla versione theatrical). Nel cast ci saranno anche
l’attrice spagnola Maribel Verdú (Il
labirinto del fauno), che interpreterà Nora Allen (la
madre di Barry) e l’attrice statunitense Sasha
Calle(Febbre d’amore) che interpreterà
Supergirl.
Il produttore esecutivo di The Walking Dead, Greg
Nicotero, spiega come la trilogia di film pianificata del
franchise incentrata su Rick Grimes si è
evoluta nella serie spin-off di Rick e
Michonne in arrivo il prossimo anno. Dopo la cattura di
Rick da parte del CRM nella stagione 9, episodio 5, AMC ha
annunciato che l’ex protagonista di The Walking
Dead sarebbe tornato in una trilogia di film che
spiegavano la sua assenza durante un salto temporale di sei anni
nella serie principale. Tuttavia, all’inizio di quest’anno, i film
sono stati cancellati e sostituiti da uno spin-off guidato da
Rick e Michonne che non solo spiegherà cosa è
successo a Rick dopo la sua cattura, ma esplorerà anche il viaggio
di Michonne per trovarlo.
Apparendo come ospite nel podcast
Talking Strange di Den of Geek, Greg
Nicotero spiega il processo di pensiero alla base della
trasformazione della trilogia del film di Rick Grimes di The
Walking Dead in uno spin-off televisivo. Afferma che, mentre le
sceneggiature per il primo film erano state scritte, la produzione
dei film semplicemente non ha funzionato.
“Diverse iterazioni della
sceneggiatura [del film] sono andate in giro e alla fine non si
sono realizzate. L’idea di fare una serie di Rick Grimes è nata
probabilmente un anno e mezzo fa. Non credo che nessuno pensasse
davvero che sarebbe successo. Ed ecco, mentre ci avviciniamo
iniziamo a realizzare: “Guarda, se non faremo i film, allora forse
c’è il potenziale per una serie, lì”.
La giovinezza di Jack
O’Connell è stata segnata dagli eccessi e dalla violenza,
scaturiti in seguito ad un profondo dolore. Per sua fortuna, sempre
più si è appassionato e avvicinato al mondo della recitazione, che
gli ha permesso letteralmente di salvarsi. Grazie ad alcune
interpretazioni di alto livello, oggi O’Connell è un attore di
tutto rispetto, con una solida carriera sulle spalle e un’energia
che ripropone ad ogni sua nuova interpretazione.
2. Ha recitato anche in note
serie TV. Oltre al cinema, O’Connell ha recitato anche in
diverse serie televisive, come Doctors (2005),
Metropolitan Police (2005), Waterloo Road (2007)
e Wire in the Blood (2007). Ottiene poi grande popolarità
recitando in Skins (2009-2010). In seguito recita nei film
TV Dive (2010) e United (2011), per poi avere un
ruolo di rilievo in The Runaway (2011) e Godless
(2017). Nel 2021 recita invece in The North Water, mentre
nel 2022 è nella miniserie SAS Rogue Heroes.
Jack O’Connell in Skins
3. Ha recitato nella celebre
serie. O’Connell ha trovato la fama per la prima volta
interpretando James Cook, un ragazzo travagliato e dalla vita dura,
tra i protagonisti della terza e quarta stagione del dramma per
adolescenti Skins (2009-10). Il personaggio è stato da
subito molto apprezzato e ha permesso ad O’Connell di vincere anche
un TV Choice Award per il miglior attore. Parlando di Cook,
O’Connell ha affermato che questi è il personaggio più simile a ciò
che anche lui è stato in gioventù, con la differenza che lui è poi
riuscito a maturare e salvarsi.
Jack O’Connell in 300 – L’alba di un impero
4. Si è fatto notare con
questo film. Una prima grande occasione per farsi notare è
arrivata per O’Connell grazie al film 300 – L’alba di un
impero, sequel/spin-off di 300, incentrato sulla
guerra tra greci e i persiani. Nel film l’attore interpreta un
ruolo di supporto, quello del guerriero ateniese Calisto, ma tanto
è bastato perché egli venisse notato e acquisisse maggiore
popolarità. Dopo questo suo primo blockbuster, infatti, O’Connell
ha guadagnato sempre maggiore popolarità.
Jack O’Connell in Unbroken
5. Si è preparato a lungo
per il ruolo. Nel 2014 l’attore ottiene il suo primo ruolo
da protagonista, quello dello sportivo e reduce di guerra Louis
Zamperini nel film Unbroken. Per
prepararsi al ruolo, si è sottoposto a una dieta rigorosa,
necessaria per perdere quasi 30 chili, e ha lavorato con un coach
per il dialetto per mascherare il suo forte accento del Derbyshire.
Per sembrare ancor più italiano, date le origini di Zamperini,
O’Connell decise di tingersi di nero i capelli. La sua
interpretazione è poi stata ampiamente lodata.
6. È svenuto due volte sul
set. Proprio a causa della rigidissima dieta che doveva
seguire, che gli avrebbe permesso di dimagrire al punto da
risultare un credibile prigioniero nei campi militari in Giappone,
O’Connell è svenuto per ben due volte sul set. Ciò è accaduto
durante le riprese della scena in cui solleva il legname. L’attore
non si è però fatto scoraggiare e ha preteso di poter interpretare
da sé la scena, senza ricorrere ad altri mezzi, riuscendo infine
nell’impresa.
Jack O’Connell in Ferrari
7. Interpreterà un noto
pilota di Formula 1. Uno dei film del 2023 più attesi è
Ferrari, il biopic diretto da
Michael Mann e con protagonista Adam Driver nei
panni del noto Enzo Ferrari. Nel film che ripercorrerà la vita
dell’imprenditore e dirigente sportivo, O’Connell reciterà nei
panni del pilota di Formula 1 Peter Collins,
vincitore di 3 Gran Premi e prematuramente deceduto nel 1958
all’età di 26 anni per via di un incidente durante il Gran Premio
di Germania.
Jack O’Connell: chi è la sua fidanzata
8. Non è noto il suo
status. Attualmente non è dato sapere se l’attore sia
impegnato o meno in una relazione sentimentale. Come noto, egli è
stato brevemente fidanzato con l’attrice Kaya Scodelario
nel corso del 2009, periodo in cui entrambi condividevano il set
della serie Skins. Successivamente ha avuto una breve
relazione nella primavera del 2012 con la cantante
Tulisa. Da quel momento, però, l’attore è
diventato molto più riservato, evitando che si diffondessero
notizie relative alla sua vita sentimentale.
Jack O’Connell non è su Instagram
9.Non
possiede un account. Cercando l’attore su Instagram si
potrà notare come egli non possieda alcun account. O’Connell ha
infatti confermato di non avere profili ufficiali sul noto social
network, preferendo per ora non condividere le proprie attività su
di esso. Se ci si imbatte in un profilo con lo stesso nome
dell’attore e con tanto di spunta blu, è bene sapere che si tratta
semplicemente di un omonimo. Per i fan di O’Connell è tuttavia
possibile seguire alcune fan page molto attive nel condividere
novità legate unicamente alla sua vita professionale.
Jack O’Connell: età e altezza dell’attore
10. Jack O’Connell è nato a Derby, in Inghilterra, il 1
agosto del 1990. L’attore è alto complessivamente 1,71
metri.
L’attore della BallerinaKeanu Reeves rivela finalmente quando sarà
ambientato il primo spin-off di John Wick. Il franchise di John Wick si espanderà ulteriormente nel 2023,
con John Wick: Chapter 4 in uscita il prossimo
marzo e il suo film spin-off, Ballerina,
che uscirà più avanti nel corso dell’anno, anche se non è stata
ancora rivelata una data di uscita ufficiale. È stato confermato
che Reeves riprenderà il ruolo di Boogeyman nello spin-off, insieme
ad Ana de Armas che sarà la protagonista del
film.
Ora, durante una recente apparizione
al CCXP (tramite HyperOmelete),
Reeves ha rivelato quando è ambientato lo spin-off. Mentre si
sarebbe potuto facilmente immaginare che il film sarebbe stato
ambientato dopo John Wick: Capitolo 4, l’attore
conferma il contrario. “Quindi il film Ballerina in cui
recita Ana de Armas ed è diretto da Len Wiseman ha già iniziato le
riprese, e si svolge tra John Wick: Capitolo 3 e John Wick:
Capitolo 4.”
Len Wiseman
(Underworld ; Lucifer) dirigerà
Ballerina,
da una sceneggiatura di Shay Hatten (John Wick: Capitolo 3 –
Parabellum ; Army of the Dead). John
Wick: Chapter 4 uscirà nei cinema il 23 marzo
2023; Ballerinadovrebbe
arrivare TBD 2023/2024.
Milioni di famiglie potrebbero non
aver mai costruito quel pupazzo di neve, se la prima nota creativa
di Frozen fosse stata messa in opera nel film
campione di incassi della Disney. Jennfier Lee,
chief creative officer di Walt Disney Animation e co-regista di
Frozen, ha confessato che l’amato personaggio Olaf – un pupazzo di
neve che accompagna i suoi amici umani in un viaggio per salvare la
Regina Elsa – era la prima cosa che voleva tagliare dal progetto
del 2013 quando è stata coinvolta.
Lee ha ricevuto il Distinguished
Storyteller Award dal Los Angeles Press Club domenica sera alla 15a
edizione degli Arts and Entertainment Journalism Awards, un onore
che le è stato conferito dalla voce dello stesso Olaf, l’attore
Josh Gad.
“Josh è Olaf”, ha detto
Lee, aggiungendo che non stava parlando metaforicamente. Ha
spiegato di essere entrata in Frozen dopo che il progetto era già in fase di
sviluppo. Dopo aver visto un primo taglio, Lee ha confessato che
“La mia prima nota è stata ‘uccidi il pupazzo di
neve'”.
Fortunatamente, un animatore
“subdolo” dello staff aveva elaborato una sceneggiatura di tre
pagine pensando a Josh Gad che aveva impressionato
i cineasti con un’apparizione televisiva a tarda notte. Lee lo
trovava irresistibile, e il resto è storia al botteghino.
Frozen avrebbe
vinto due Academy Awards e incassato oltre 1,2 miliardi di dollari
al botteghino mondiale. Nel suo discorso, in cui ha riconosciuto i
colleghi premiati del L.A. Press Club come Ryan Seacrest e il
miliardario dei media Byron Allen, ha detto a Gad che non vedeva
l’ora di vivere
molte altre avventure creative insieme. “E no“, ha
detto alla platea dei giornalisti, “questo non è un
annuncio“.
In Doctor Strange nel Multiverso della Follia
abbiamo avuto un fugace incontro con Captain Carter, un personaggio
protagonista di un episodio di What If… ? e
interpretato da Hayley Atwell, la Peggy Carter del cuore di
ogni fan del MCU. Nel film, il personaggio fa
una brutta fine, rimanendo uccisa brutalmente nello scontro con una
folle Scarlet Witch, tuttavia la sua interprete si aspettava
qualcosa in più per lei.
In un’intervista con
Digital Spy, Atwell ha parlato del ruolo del
Capitano Carter in Doctor Strange nel Multiverso della Follia,
dicendo che non è stato il viaggio che nelle sue aspettative
avrebbe intrapreso Peggy. Atwell afferma che è straordinario
pensare che un personaggio interpretato 10 anni fa abbia ancora un
impatto sulle persone di oggi, e che sebbene Captain Carter non sia
sopravvissuto all’attacco di Wanda agli Illuminati, c’è ancora un
potenziale per Peggy per tornare al MCU.
“Sicuramente non era, sai, la
traiettoria che vedevo per Peggy. Mi piacerebbe sicuramente che
avesse altro da fare. È così divertente, perché, sai, l’ho fatto 10
anni fa, e la amo perché ama le persone e non sai mai [se
potrebbero essercene di più]”.
Per Peggy in effetti ci sarebbe
ancora uno spazio d’azione, visto che ora sappiamo che ha avuto la
possibilità di condividere la vita con Steve
Rogers. Sarebbe bello vedere come i due innamorati hanno
deciso di impiegare la loro seconda possibilità.
In una recente intervista con
Deadline, Jonathan Kasdan ha spiegato come
Star Wars: Episode VII – Il Risveglio della
Forza abbia influenzato la serie sequel di
Willow. Lo showrunner ha ammesso che attraverso il suo
legame con il film di Star
Wars – un film a cui suo padre Lawrence Kasdan
ha contribuito come sceneggiatore – ha imparato il valore degli
effetti pratici durante la creazione di immagini fantastiche per lo
spettacolo.
“Il
Risveglio della Forza ha avuto una grande influenza su
questo show perché è stata un’esperienza così formativa sia per
Michelle [Rejwan] che per me in termini di capire cosa funziona e
cosa no e quanto vuoi provare a portare avanti le cose e quanto
vuoi dare alle persone ciò che si aspettano. Ci sono stati giorni
in cui avevamo 30 troll completamente protesizzati… Sembrava che la
dichiarazione d’intenti fosse: come rendere tutto il più reale
possibile? E come ti facciamo porre la domanda, cosa hanno fatto
veramente e cosa è digitale?”
Il risultato, in
Willow, è davvero sorprendente. La serie è disponibile
su Disney+, con un nuovo episodio a
settimana.
Dal titolo Sr.
Robert Downey Jr. con la regia di Chris Smith racconta in un
documentario in bianco e nero la vita del padre Robert Sr., un
eclettico pioniere del cinema sperimentale. Il documentario girato
nel 2019 fino al 2021 quando il regista è venuto a mancare a causa
di complicanze dovute al Parkinson. Il suo lungometraggio Putney
Swope ha ricevuto dalla Biblioteca del Congresso americano il
titolo “culturalmente significativo”. Il suo nome è stato
di ispirazione a molti registi tra cui Paul Thomas Anderson che
compare nel documentario. Sr. è disponibile su
Netflix dal 2 dicembre.
Sr., la recensione
Il ritratto di un anticonformista
Robert DowneySr. e quello
che propone il nuovo documentario di Netflix. Non si presenta come un’asettica linea
temporale che ripercorre le date più significative del regista ma
ha carattere e irriverenza tipici del protagonista. L’assenza di
colore dona al formato del documentario la nostalgia di quel tempo
che non c’è più. Ci imbattiamo in scene di normale quotidianità
mentre Sr. Cerca di dirigere la sua versione del
documentario: “Non si tratta solo dei tuoi film. Si tratta di
sapere chi sei“.
Pungente, sicuramente è questo un
altro aggettivo per descrivere Bob Sr. Il suo
racconto come regista underground della New York degli anni ’60
viene filtrato anche dagli occhi dello stesso Downey
Jr. che già nella culla ascoltava i ciak a ripetizione. La
sua carriera inizia nel 1966 con Chafed Elbows
(1966) un film talmente avanti con i tempi che, come ricorda lo
stesso Sr., anche la madre ha odiato. La pellicola
parlava di un pazzo che sposa la madre, una sindrome di Edipo
amplificata. Poi sono arrivati Babo 73 e
The Sweet Smell of Sex prima del successo nel 1969
con Putney Swope.
Uno dei punti nevralgici della sua
carriera è stata proprio la preparazione al film. Quando il figlio
gli domanda da dove aveva avuto l’idea di una trama – così attuale
oggi come all’ora durante le agitazioni per i diritti civili.
“Un giorno un uomo di colore che lavorava con me mi disse ‘Tu
fai più soldi di me nonostante facciamo lo stesso lavoro’“. E
l’irriverenza del regista non si è fermata alla pellicola ma anche
alla locandina promozionale del film che sbatte a tutti un bel dito
medio in primo piano.
Un uomo pieno di misteri che con
l’età è stato in grado di smussare gli angoli più duri del suo
carattere. Dopo il successo del 1969 il suo nome è stato notato
anche dai nomi più illustri di Hollywood. Ma uno dei momenti che
tiene a ricordare è l’incontro con Paul Thomas Anderson. Il regista di Boogie
Night racconta dell’ammirazione dei confronti di Downey Sr. e in
Sr. il sentimento nei confronti del regista viene ricambiato. Il
figlio infatti scherza: “Siamo tutti d’accordo che Paul
Thomas Anderson è il figlio che mio padre avrebbe
voluto”. Infatti, lo stesso Anderson anni prima ha girato
alcuni video amatoriali di un viaggio in treno con
Sr. che sono state inserite nel documentario.
Padre e figlio uniti da un
ciak
Mentre Sr.
ripercorre la sua vita come regista, Robert Jr.
parla della sua vita come attore, nata dalla costante presenza del
cinema nella sua vita. A 5 anni, infatti, il padre – in mancanza di
un baby-sitter a cui affidarlo – lo mette davanti la macchina da
presa: “Sapevo che non doveva andare a scuola, ma che sarebbe
diventato un attore”. Nasce così Robert Downey
Jr. attore che oggi vanta il titolo di uno degli attori
più pagati di Hollywood. Ma non è stato sempre facile creare un
semplice rapporto padre-figlio.
Il cinema, la possibilità di sedersi
l’uno accanto all’altro e poter parlare della pellicola insieme è
stato uno dei motori del loro rapporto così intenso. Ma dopo il
1972 con Greaser’s Palace, dove
Sr. fa una reinterpretazione comica della vita di
Cristo che tutto va a rotoli. come afferma lui stesso nel
documentario. “Mi facevo di cocaina e marijuana per lo
più”, e questo ha portato anche alla fine del matrimonio con
la prima moglie, Elsie. La madre di Robert Jr. ha
lavorato al fianco di Sr. per tutta la vita –
nonostante alcuni critici del momento dicessero che fosse sprecata
per i suoi film. Aveva un talento straordinario e mi ha insegnato
tutto su come recitare.
Mentre le due versioni del
documentario prendono forma grazie a Sr.’s cut,
viene mostrato l’unico lavoro diretto da Sr. sotto il controllo di
uno studios hollywoodiano. E quando Robert Sr.
parla dell’inizio della sua rovina intende proprio questo. Il suo
rapporto con le droghe si è riversato anche sul figlio: “Tutti
alteravamo la nostra coscienza attraverso l’uso di sostanze. Volevo
continuare a sballarmi”. Piscine – film del 1997 con dei
giovanissimi Alyssa Milano e Patrick
Dempsey – racconta molto bene il suo percorso di
dipendenza e successiva ripresa. Il film autobiografico mette in
scena un periodo molto difficile della vita di
Sr.
Una vita dedicata al cinema
Fino alla fine Sr.
ci mostra Robert in preda ai suoi montaggi mentre
guarda su una grande tv il figlio esibirsi in uno spettacolo in
tedesco. Questo lavoro sul documentario durato un paio d’anni porta
davanti l’occhio esperto della macchina da presa la vita di un uomo
semplice che amava fare cinema. Era eclettico, sconsiderato e
irriverente tutte qualità che ha trasmesso nelle sue opere
indipendenti, molto più di quelle consacrate a Hollywood.
Sr. non era fatto per la vita nella ridente e
soleggiata Los Angeles ma più di ogni cosa amava la vita frenetica
di New York.
Dopo aver completato il suo processo
creativo ci avviciniamo al momento della morte. Questo è quello che
fate nella vostra famiglia, voi attori fate della vostra vita
un’arte. Si tratta di sapere chi sei. La famiglia
Downey ha fatto della cinepresa l’obiettivo attraverso il
quale riflettere dei propri momenti tristi e divertenti. E così
come lo era stato per i filmini di famiglia anche il momento più
triste nella vita di un uomo, come la scomparsa del proprio padre,
è affidato simbolicamente a una 16 mm.
“Credo in voi, credo che ce
la farete. Credo che potrete aiutarvi a vicenda a rendere il mondo
un posto migliore in cui vivere”.