Emanuela Fanelli guiderà la
cerimonia di inaugurazione dell’82. Mostra nella serata di mercoledì 27 agosto sul palco della Sala Grande
(Palazzo del Cinema al Lido), nonché la cerimonia di chiusura di
sabato 6 settembre, in occasione della quale saranno annunciati i
Leoni e gli altri premi ufficiali dell’82. Mostra.
Attrice versatile e profonda,
Emanuela Fanelli è capace di passare con
naturalezza dalla comicità al dramma senza mai perdere coerenza
espressiva. Il suo lavoro è apprezzato non solo per le doti
interpretative, ma anche per la capacità di raccontare, con sguardo
personale e profondo, le ironie e le contraddizioni del presente. È
autrice dei suoi stessi monologhi.
Ecco il primo trailer di The
Running Man è disponibile on-line. Il film di
Edgar Wright uscirà il 6 novembre distribuito da
Eagle Pictures e vede nel cast Glen Powell, William H. Macy,
Lee Pace, Emilia Jones, Michael Cera, Daniel Ezra, Jayme Lawson con
Colman Domingo e Josh Brolin.
L’originale adattamento di L’Uomo in
Fuga di Stephen King, del 1987 vedeva
Arnold Schwarzenegger nei panni di Ben
Richards, un poliziotto condannato ingiustamente in un’America
distopica.
La trama di The Running Man
The Running
Manè il programma televisivo più seguito al
mondo: un reality show estremo in cui i concorrenti, chiamati
“Runner”, devono rispettare una sola regola per restare vivi:
fuggire per 30 giorni, in diretta TV, braccati da
killer professionisti, detti “Cacciatori”, mentre il pubblico,
incollato agli schermi, esulta a ogni esecuzione.
Ben Richards (Glen
Powell) non è un eroe. È un uomo qualunque, costretto a una
scelta impossibile: entrare nel gioco per salvare la figlia malata.
A convincerlo è Dan Killian (Josh Brolin), il carismatico e
spietato produttore dello spettacolo, maestro nel trasformare la
sofferenza in spettacolo, la paura in share, la morte in
intrattenimento.
Ma Ben non segue il copione.
Corre, lotta, resiste. E contro ogni previsione diventa un idolo:
il pubblico lo acclama, gli ascolti volano.Più il
successo cresce, più il gioco si fa mortale. Ora Ben non deve
affrontare solo i suoi inseguitori… ma un’intera nazione che vuole
vederlo cadere.
Il regista Antoine Fuqua si è
affermato negli anni come uno dei registi più talentuosi per quanto
riguarda i film d’azione a tinte crime. Tra i suoi titoli più
celebri si annoverano Training Day, Brooklyn’s Finest, la
trilogia di The
Equalizer eAttacco al Potere –
Olympus Has Fallen. Nel tempo ha comunque sperimentato
anche altri generi, dallo storico King Arthur al film di
pugilato con Southpaw, dal western
I magnifici 7 fino al
dramma Emancipation. Nel 2021
si è invece confrontato per la prima volta con la fantascienza,
realizzando Infinite (qui la recensione).
Tratto dal romanzo intitolato
The Reincarnationist Papers di D. Eric
Maikranz, il film mantiene sì una forte attenzione nei
confronti dell’azione e delle sparatorie tanto care a Fuqua, ma
presenta tutto ciò in una cornice fantascientifica. Non si tratta
di un film ambientato in particolari futuri o in contesti
distopici, ma affronta invece il tema della reincarnazione e di
come questa può diventare lo strumento per fare del bene o del
male, a seconda degli obiettivi che si hanno. Si costruisce così
un’intricata rete di vicende che ora, grazie all’arrivo su
Netflix del film, sta
entusiasmando numerosi spettatori.
Prima di intraprendere una visione
del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori. Si forniranno poi alcuni chiarimenti
sulla timeline del film e le differenze
che ci sono tra questo e il libro da cui
è tratto. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
La trama e il cast di Infinite
Il film racconta la storia di
Evan McCauley, un uomo perseguitato da alcune
allucinazioni, che scopre essere visioni di un lontano passato.
L’uomo, infatti, ha ricordi che non ha mai vissuto e conosce posti
che non ha mai visitato. Mentre cerca di capire perché questi
flashback lo perseguitano, scopre anche l’esistenza di una sette
segreta, denominata Infiniti, composta da persone che riescono a
controllare gli eventi che segnano o hanno segnato la storia
dell’umanità. Proprio ad Evans questi si rivolgono affinché egli
salvi l’umanità da Bathurst, un ex membro della
setta che vuole distruggere il mondo.
Ad interpretare Evan McCauley,
protagonista del film, vi è l’attore Mark Wahlberg. Il ruolo, inizialmente, era
stato pensato per Chris Evans, il quale dovette però
rinunciarvi per via di altri impegni. Wahlberg è così tornato a
recitare per Fuqua dopo il loro primo film insieme, Shooter. In
Infinite recitano poi anche Chiwetel
Ejiofor nei panni del Bathurst del 2020, personaggio
interpretato da Rupert Friend nella versione del
1985. Dylan O’Brien è
Heinrich Treadway, mentre Sophie Cookson
interpreta Nora Brightman. Completano il cast Jason
Mantzoukas nel ruolo dell’Artigiano e Toby
Jones in quello di Bryan Porter.
Le differenze tra il film e il libro
Come anticipato,
Infinite è basato sul romanzo di fantascienza
intitolato The Reincarnationist Papers di D. Eric
Maikranz. Il film, tuttavia, presenta delle notevoli
differenze rispetto al libro. In The Reincarnationist
Papers, ad esempio, il protagonista Evan Michaels non sa di
essersi reincarnato ed è tormentato dai ricordi delle sue due vite
passate. Ciò si è trasformato nel fatto che Evan McCauley è stato
istituzionalizzato come schizofrenico nel retroscena del film. Nel
libro, inoltre, Evan incontra una donna reincarnata di nome Poppy,
che è stata trasformata in Nora Brightman nel film, sebbene Poppy
ricordi solo sette vite mentre Nora ne dichiara dozzine.
Come in Infinite,
Poppy invita Evan in una società segreta di altre 28 persone
reincarnate chiamate Cognomina. Il film ha però aumentato la
portata del concetto, ampliando il numero degli Infiniti a
centinaia e trasformando la Cognomina in una guerra di fazioni tra
i Credenti, che vogliono usare le loro abilità per migliorare
l’umanità, e i Nichilisti, che vogliono invece porre fine al mondo.
Mentre il romanzo esplora completamente le gioie e i pericoli
derivanti dal rivivere continuamente le proprie vite passate,
Infinite ha toccato solo di sfuggita questi temi
concentrandosi sull’azione e una trama molto più standard di un
eroe che cerca di salvare il mondo da un supercriminale.
Il trailer di
Infinite e dove vederlo in streaming
È possibile fruire di
Infinite grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten
TV, Apple iTunes, Prime Video e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la
piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o
sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video.
Infinite (qui la recensione) si conclude
con l’eroe d’azione reincarnato del film, Evan
McCauley, che salva il mondo, ma pone anche le basi per un
sequel che potrebbe espandere l’universo senza Mark Wahlberg come protagonista. Diretto da
Antoine Fuqua,
è questo un film di fantascienza e azione che racconta la storia di
un ramo della razza umana chiamato Infiniti, che si reincarna nel
corso della storia conservando intatti tutti i ricordi delle vite
passate. Evan si unisce alla fazione eroica degli Infiniti chiamata
i Credenti per impedire ai Nichilisti, guidati dal maniaco
Bathurst (Chiwetel
Ejiofor), di uccidere tutti gli abitanti del
mondo.
Nell’atto finale di
Infinite, Bathurst conquista la base segreta dei
Credenti, The Hub, e recupera la fonte di energia per la sua arma
apocalittica, l’Uovo, dal cadavere di Heinrich
Treadway (Dylan O’Brien), che era la vita
precedente di Evan McCauley. I Nichilisti attaccano anche il
rifugio di Artisan (Jason
Mantzoukas), dove Bathurst spara a Evan alla testa con il
suo Dethroner, una pistola che spara proiettili speciali in grado
di estrarre l’anima da un Infinite, impedendogli di reincarnarsi.
Tuttavia, Evan sopravvive e segue la sua alleata, Nora
Brightman (Sophie Cookson), nella tenuta
di Bathurst in Scozia.
Con l’Uovo completato, Bathurst era
finalmente pronto a realizzare il suo obiettivo di genocidio di
massa, in modo da potersi liberare dalla “maledizione” della
reincarnazione perpetua. Ciò ha portato a uno scontro ricco di
azione tra i Credenti Evan e Nora contro Bathurst e la sua
scagnozza nichilista, l’agente Shin
(Wallis Day), con in gioco il destino del mondo e
la vita di tutti gli Infiniti. Alla luce di ciò,
Infinite ha dunque introdotto alcuni concetti
stimolanti e ha presentato idee intriganti su cosa significherebbe
se una persona potesse reincarnarsi in un nuovo corpo conservando
tutti i propri ricordi.
Tuttavia, essendo un film d’azione
fantascientifico ad alto budget, le riflessioni di
Infinite sulla reincarnazione sono passate in
secondo piano rispetto ai cliché dei film d’azione e alla trama
stereotipata dei buoni che cercano di impedire ai cattivi di
distruggere il mondo. Per cercare di fare chiarezza, in questo
approfondimento proponiamo un’analisi del finale di
Infinite, di come prepara il terreno per un altro
film e del più vasto mondo qui descritto, passando anche per una
spiegazione della timeline della storia.
Come Evan ha fermato il piano di
Bathurst per distruggere il mondo
Il piano di Bathurst era quello di
volare dalla sua tenuta a Glasgow per far esplodere l’Uovo, che
avrebbe poi avuto un effetto a cascata in tutto il mondo e avrebbe
accelerato uccidendo sempre più persone. In realtà, l’Uovo è così
letale che ucciderebbe anche tutte le piante e gli animali del
mondo. Bathurst è così folle che, anche se uccidere tutti gli
esseri umani gli avrebbe permesso di raggiungere il suo obiettivo
di non lasciare nessuno in cui potersi reincarnare, voleva comunque
che ogni forma di vita sulla Terra morisse. Tuttavia, Evan riusce a
lanciarsi con la moto da una scogliera e ad atterrare sull’ala
dell’aereo di Bathurst, dove ha usato la sua spada da samurai per
evitare di essere sbalzato dal veicolo.
Grazie al serbatoio di memoria di
Artisan, Evan ha qui finalmente sbloccato tutti i suoi ricordi,
soprattutto quelli di Heinrich Treadway. Evan è anche sopravvissuto
al colpo alla testa di Bathurst con il Dethroner perché aveva una
placca d’acciaio nella testa a causa di un incidente d’auto
avvenuto in gioventù. Ora che ha pieno accesso ai ricordi di
Treadway, Evan scarica anche i poteri soprannaturali che Treadway
ha imparato a padroneggiare, tra cui la capacità di influenzare il
mondo che lo circonda sfidando le leggi della fisica. McCauley
riuscì a camminare sull’ala dell’aereo senza essere scaraventato
via ed entrò nell’aereo per combattere Bathurst.
Ora che Evan è diventato Treadway, è
anche in grado di tagliare i proiettili di Bathurst a mezz’aria con
la sua spada. L’aereo viene danneggiato dalla battaglia tra Evan e
Bathurst e l’Uovo viene espulso dal velivolo. Entrambi gli Infiniti
si lanciano all’inseguimento e combattono a mezz’aria, ma Evan
riusce a disarmare il dispositivo. Per finire Bathurst, Evan lo
trapassa con la sua katana, prende il Dethroner e spara a Bathurst
alla testa, uccidendo il cattivo e impedendogli di reincarnarsi.
Quindi, in un certo senso, Bathurst ottiene comunque ciò che
voleva, poiché finalmente si libera della maledizione della vita
eterna. Tuttavia, Evan non sopravvive alla caduta nell’oceano, ma
muore eroicamente salvando il mondo e fermando Bathurst.
Nora libera le anime
intrappolate
Mentre Evan ferma Bathurst, il
compito di Nora è quello di liberare il muro di anime infinite che
Bathurst aveva accumulato. Bathurst ha trascorso innumerevoli anni
sparando ai Credenti con il suo Dethroner e l’anima di ogni persona
che uccideva con i suoi proiettili speciali veniva scaricata in un
microchip che il cattivo esponeva in un muro nella sua tenuta in
Scozia. Una delle anime nel muro apparteneva ad Abel
Trask (Tom Hughes), l’amante di Nora
nelle loro numerose vite insieme. Fortunatamente, per liberare le
200 anime infinite raccolte da Bathurst è bastato usare degli
esplosivi per distruggere il muro.
Tuttavia, Nora rimane ferita
mortalmente nella lotta per raggiungere la villa di Bathurst,
quindi ha detto ad Artisan di andarsene mentre lei rimaneva
indietro per far esplodere il muro e liberare le anime degli
Infiniti. Nora è poi morta nell’esplosione, ma è felice di poter
ricongiungersi con Abel nella loro prossima vita. Inoltre, dato che
Bathurst è stato colpito dal Dethroner di Evan, il cattivo potrebbe
essere l’unico Infinito ora definitivamente morto, poiché Nora ha
distrutto la sua unità di stoccaggio delle anime e non c’è alcun
microchip sopravvissuto in cui l’anima di Bathurst può essere
scaricata.
Infinite prepara
un sequel senza Mark Wahlberg
Con l’Uovo distrutto e le 200 anime
liberate, tutti gli Infiniti (eccetto Bathurst) sono stati in grado
di reincarnarsi e sono tornati in vita contemporaneamente in tutto
il mondo sotto forma di neonati. Infinite fa poi un salto in avanti
di anni nel futuro, dove un Artigiano più anziano trova
Treadway/Evan reincarnato a Giacarta, in Indonesia (L’Artigiano lo
chiama “Treadway” perché lo conosceva come Treadway, mentre con
Evan McCauley aveva avuto solo un incontro relativamente breve).
Dopo aver dato al padre del rinato Treadway il suo biglietto da
visita, restituisce la spada samurai di Treadway al suo giovane
proprietario.
Tuttavia, il nuovo Treadway non solo
possiede tutte le sue abilità precedenti, ma ha anche tutti i suoi
ricordi, dato che chiede ad Artisan: “Perché ci hai messo così
tanto?”. Nel frattempo, l’eterna storia d’amore tra Nora e
Abel continuava e gli amanti reincarnati si ritrovano ancora una
volta nel “Principio”, ovvero Angkor Wat in Cambogia, il loro
tradizionale luogo d’incontro. La rinata Nora e Abel sembrano
adolescenti, ma hanno tutti i loro ricordi e si riconoscono
immediatamente nonostante abbiano nuovi corpi. Stranamente, Abel si
riferisce alla sua amata come “Nora”, nonostante non la conoscesse
con quell’identità perché era rimasto intrappolato nel muro
dell’anima di Bathurst durante tutta la sua vita come Nora
Brightman.
Probabilmente questo era solo per
chiarire al pubblico che si trattava della reincarnazione di Abel e
Nora. Il finale di Infinite chiarisce anche che i
personaggi specifici interpretati da Mark Wahlberg e Sophie
Cookson sono morti, quindi gli attori non sarebbero
tornati per un sequel sul nuovo Treadway e Nora. Dovrebbero essere
nuovi attori a interpretare i loro ruoli reincarnati, compreso un
protagonista maschile asiatico nel ruolo di Treadway in un
Infinite 2. In alternativa, il film ha tutta la
storia da utilizzare per un prequel, ma anche in questo caso
Wahlberg non potrebbe recitare, poiché ha scoperto di essere una
reincarnazione solo nel corso del film. Un’altra possibilità
sarebbe quella di espandere l’universo di Infinite
e realizzare un altro film su personaggi completamente diversi, ma
utilizzando comunque Artisan come collegamento comune tra i
film.
La spiegazione della confusa linea
temporale di Infinite
I fan dei film sui guerrieri
immortali come The Old
Guard, Highlander ed Eternals
della Marvel potrebbero trovare
Infinite un po’ confuso, poiché non è lo stesso
personaggio fisico che continua nel tempo, ma solo le loro anime in
nuovi corpi, che richiedono attori diversi per interpretarli una
volta reincarnati. Il film può anche essere fonte di confusione per
il modo in cui il film presenta la vita dei personaggi principali e
il momento in cui si svolgono gli eventi del film. Sebbene ci siano
occasionali scorci delle vite passate di Treadway, Bathurst e Nora,
la storia principale di Infinite è ambientata in
tre diversi momenti temporali.
Il prologo che coinvolge Treadway,
Abel e la precedente incarnazione di Nora, Leona
(Joana Ribiero), che combatte contro Bathurst
(Rupert Friend) a Città del Messico, è ambientato
nel 1985. La storia principale di
Infinite si svolge nel 2020, il
che significa che, dato che Treadway e Leona sono morti nella
stessa notte nel 1985, sia Evan McCauley che Nora Brightman hanno
35 anni. La situazione diventa ancora più confusa poiché non è
stato chiaramente stabilito che il Bathurst del 1985 sia morto
anche lui quell’anno.
Tuttavia, il Bathurst del 2020,
interpretato da
Chiwetel Ejiofor, sembra più vecchio di 35 anni, ma ha
la stessa età o potrebbe anche essere più giovane di Evan McCauley.
Infine, le scene finali di Infinite sono un
flashforward ambientato almeno 15 anni dopo, dato che Treadway,
Nora e Abel reincarnati sono adolescenti, quindi deve essere
ambientato intorno al 2035, cosa che si riflette
anche nell’invecchiamento di Artisan. Per comprendere il film,
occorre dunque tenere a mente queste tre date, pur sapendo che non
necessariamente vengono rispettate con assoluta precisione.
Dopo il deludente epilogo
della trilogia nuova trilogia, Jurassic World –
La Rinascita riporta finalmente la saga creata da
Steven Spielberg nel 1993 alle sue
radici più nobili. Con questo ambizioso progetto, il regista
Gareth Edwards (Godzilla,
Rogue One) e lo sceneggiatore
David Koepp (già autore del primo Jurassic
Park) costruiscono un film d’avventura potente e avvincente,
capace di emozionare, divertire e spaventare nel modo giusto.
Senza ricorrere al fan
service più banale, Edwards rifiuta la deriva kitsch delle ultime
tre pellicole e dirige con rigore e intelligenza, ispirandosi al
modello originale di Spielberg, sia nei toni che nel ritmo
narrativo. Niente cast storico, niente cameo forzati: La
Rinascita è un soft reboot che riparte da zero, con un nuovo
gruppo di personaggi credibili e ben scritti, impegnati in una
missione impossibile su un’isola misteriosa dove i dinosauri – e
non solo – dominano incontrastati.
Jurassic
World – La Rinascita ha trama d’avventura
classica con personaggi forti e ben delineati
Il film prende il via con
una missione al limite del suicidio: Martin Krebs (Rupert
Friend), dirigente senza scrupoli di una multinazionale
farmaceutica, recluta Zora Bennett (Scarlett
Johansson), ex soldatessa dei corpi speciali, e Henry
Loomis (Jonathan
Bailey), un giovane paleontologo allievo del
Dr. Alan Grant, per prelevare campioni di sangue
da tre dinosauri colossali – un Mosasaurus, un Titanosaurus e un
Quetzalcoatlus – sull’isola proibita di Ile Saint-Hubert, dove il
tempo sembra essersi fermato.
Johansson è perfetta nel
ruolo della leader dura e senza compromessi, un deciso passo avanti
rispetto alla Bryce Dallas Howard della trilogia
precedente. La sua Zora ha grinta e spirito, ma anche il cuore al
posto giusto. Bailey, invece, interpreta un personaggio che fonde
l’intelligenza di Ian Malcolm con la meraviglia di
Alan Grant, restituendo allo spettatore il punto
di vista dello scienziato affascinato dalla natura selvaggia, e
anche un certo sex appeal che non guasta mai. A bordo della nave
Essex, guidata da Duncan Kincaid (Mahershala
Ali), il gruppo affronta pericoli crescenti e svela i
segreti dell’isola, dove esperimenti genetici fuori controllo hanno
dato vita a nuove creature ibride, come il terrificante
Distortus Rex.
Un omaggio sentito a
Steven Spielberg e al cinema d’avventura di un tempo
Uno degli aspetti più
riusciti di La Rinascita è il suo spirito da film
d’avventura d’altri tempi. Edwards cita e omaggia non solo
Jurassic Park, ma anche Jaws, Indiana Jones e
perfino King Kong, con un gusto visivo che preferisce la
tensione alla spettacolarità fine a sé stessa. La scelta di girare
in pellicola e in location reali, limitando l’uso della CGI,
restituisce un realismo che mancava ai recenti episodi della
saga.
Le sequenze d’azione sono
orchestrate con grande maestria. Indimenticabile la scena d’attacco
del Mosasaurus al largo dell’isola, che riecheggia direttamente
Lo Squalo per costruzione e tensione. In un’altra sequenza
memorabile, il gruppo si imbatte in una mandria di Titanosauri
intenti in un rituale di corteggiamento: Edwards rallenta il ritmo
e ci ricorda che i dinosauri, prima che mostri, sono creature vive,
dotate di comportamenti e rituali che meritano rispetto e
contemplazione.
Oltre alla trama
principale, La Rinascita introduce un secondo gruppo di
personaggi: una famiglia in vacanza (Manuel Garcia-Rulfo,
Luna Blaise, Audrina Miranda e David
Iacono) naufragata sull’isola dopo un attacco marino. La
loro presenza, inizialmente superflua, si rivela funzionale: ogni
membro affronta, nel proprio percorso, uno dei dinosauri iconici
del primo film, in una sorta di pellegrinaggio attraverso la
memoria collettiva del pubblico.
Anche se alcune dinamiche
familiari appaiono forzate, il film trova il modo di raccontare
l’esperienza dei “normali” di fronte al meraviglioso e al
mostruoso. Ed è proprio attraverso questi personaggi che il film
introduce un’idea nuova: forse i dinosauri meritano di
sopravvivere, nonostante gli errori umani del passato. Questa
riflessione, che va oltre l’azione, arricchisce il film di un
sottotesto inaspettato, più maturo rispetto alla media dei
blockbuster.
Un grande
intrattenimento, tra tensione, meraviglia e musica epica
La colonna sonora,
firmata da Alexandre Desplat, fonde abilmente i
suoi temi originali con gli iconici motivi di John
Williams, creando un impatto emotivo fortissimo in più
momenti chiave. La musica diventa parte integrante dell’esperienza,
un ponte tra passato e presente che accresce la forza delle
immagini.
Tra battaglie
spettacolari, creature spaventose, e momenti di meraviglia pura,
Jurassic World – La Rinascita riesce a
essere un grande film d’intrattenimento, che diverte e coinvolge
senza risultare mai stupido o ripetitivo. Certo, non è
rivoluzionario, e non offre una direzione chiara per il futuro del
franchise, ma è un degno ritorno alle origini. E soprattutto, è un
film che ci ricorda perché ci siamo innamorati dei dinosauri, del
cinema, e di quel celebre ruggito che ancora oggi ci mette i
brividi.
Secondo il co-presidente dei DC
Studios, James
Gunn, Superman
e Batman hanno più probabilità di essere alleati nel DCU piuttosto che nemici o alleati riluttanti. Il
rapporto tra Batman e Superman varia nei fumetti. A
volte è piuttosto conflittuale, come si vede in Batman v Superman: Dawn of Justice, e in altri
casi i due sono quasi fratelli.
Secondo il co-presidente dei DC
Studios e regista di Superman, James Gunn, nel DCU
è probabile che l’Uomo d’Acciaio e il Cavaliere Oscuro
abbiano un rapporto più simile a quest’ultimo. Inoltre, dato che
Superman ha già tre anni di esperienza nel film, è probabile che i
migliori del mondo si siano già incontrati.
L’argomento è stato sollevato
specificamente in un’intervista tra Gunn ed ExtraTV, dove al
regista della trilogia dei Guardiani della
Galassia è stato chiesto come avrebbe reagito Superman
all’incontro con il protettore di Gotham. La risposta di Gunn ha
sicuramente rallegrato l’intervistatore, ma non sono stati forniti
ulteriori dettagli al riguardo.
“Beh, innanzitutto, non sappiamo
se abbia già visto un uomo vestito da pipistrello”, ha detto
Gunn quando gli è stato chiesto del loro primo incontro. Ha
aggiunto: “Ma penso che probabilmente vedrebbe un’anima gemella
in quell’altra persona pazza che indossa un costume pazzesco,
[anche se] con un intento molto diverso”.
Nei fumetti, la prima volta che
Batman e Superman appaiono insieme è in All-Star
Comics n. 7 (1941); tuttavia, canonicamente si conoscevano già,
essendo entrambi membri di riserva della Justice Society of
America.
Gli storici dei fumetti generalmente
ritengono che il loro primo incontro sia avvenuto in Superman
n. 76 (1952), dove Bruce Wayne e Clark Kent sono casualmente
entrambi passeggeri di una nave da crociera. Quando emerge una
crisi, entrambi finiscono per indossare i loro costumi a distanza
ravvicinata, rivelandosi reciprocamente le loro identità
segrete.
Altre versioni retcon del loro primo
incontro includono Post-Crisis on Infinite Earths (1986): Man of
Steel #3, dove Superman è un nuovo eroe che decide di andare a
Gotham e affrontare un Batman veterano, descritto dai media come un
folle fuorilegge vigilante. Con Batman che ha molta più esperienza,
l’incontro non va bene per Superman.
Anche The New 52 del 2011
ha riproposto il loro primo incontro, questa volta concentrando
l’evento sulla formazione della Justice League, mentre vari eroi DC indagavano
sull’arrivo di tubi radioattivi e parademoni sulla Terra. Questa
serie a fumetti è stata d’ispirazione per Justice
League di Zack Snyder.
Superman introduce gli spettatori in
un universo DC in cui i metaumani esistono da generazioni e Clark
Kent ha già tre anni di esperienza come il più forte protettore
della Terra. Quindi, come dovrebbe svolgersi il suo primo incontro
con Batman? Condividete le vostre opinioni nei commenti qui
sotto.
Un altro scontro tra Ben Kenobi e
Darth Vader potrebbe essere all’orizzonte? Secondo una nuova
indiscrezione, Lucasfilm avrebbe finalmente preso atto della
richiesta dei fan e ora starebbe procedendo con la seconda
stagione di Obi-Wan Kenobi…
Obi-Wan
Kenobi era stato originariamente concepito come un
film e sarebbe rientrato nella categoria “A Star
Wars Story“. Gli scarsi incassi di Solo
hanno messo fine a questa possibilità e, con la Disney desiderosa
di rafforzare la sua offerta streaming, è diventato una serie TV in
sei parti.
Nonostante alcune idee e personaggi
controversi, la serie è stata un successo ed è stata elogiata per
aver colmato le lacune tra gli eventi di “La vendetta dei
Sith” e “Una nuova speranza“. Lucasfilm
ha persino trovato il modo di offrire ai fan una rivincita tra
Obi-Wan e Darth Vader, dando vita a quella scena ormai iconica in
cui abbiamo intravisto ciò che rimane di Anakin Skywalker sotto
l’elmo del Signore dei Sith.
Nonostante il continuo entusiasmo di
Ewan McGregor, abbiamo sentito ripetutamente dalla
presidente di Lucasfilm, Kathleen Kennedy, che non
ci sono piani per una seconda stagione. Ora, però, qualcosa
potrebbe essere cambiato.
Secondo l’indiscreto Daniel
Richtman (tramite SFFGazette.com), “Una seconda
stagione di Obi-Wan Kenobi è in fase di sviluppo presso
Lucasfilm”. Non sono stati forniti ulteriori dettagli, ma dopo
che The Acolyte ha diviso le opinioni e
Skeleton Crew è stato ignorato da molte persone,
concentrarsi su un personaggio noto e amato sembra saggio.
Al Comic-Con di Los Angeles dello
scorso ottobre,
Ewan McGregor ha partecipato a una sessione di domande
e risposte con i fan e ha confermato che lo studio stava
“esplorando” idee per altri personaggi di Obi-Wan
Kenobi. Si dice che l’attore abbia rivelato il suo
desiderio di indossare l’armatura di Obi-Wan di Clone Wars e di
riunirsi con
Hayden Christensen.
“La verità è che ho parlato per
anni di dover coprire la realizzazione della stagione di Obi-Wan,
ho dovuto mentire al riguardo e non lo farò ora”, aveva
precedentemente dichiarato McGregor riguardo al futuro della serie.
“Non lo so. Non ho ricevuto nessuna telefonata da Lucasfilm o
dalla Disney che mi dicesse ‘Facciamolo un altro’. Obi-Wan è stato
realizzato come miniserie, è uscito e piace alla gente, e ne sono
molto, molto contento.”
Obi-Wan Kenobi
inizia 10 anni dopo i drammatici eventi di Star Wars: La
vendetta dei Sith, in cui Obi-Wan Kenobi ha dovuto
affrontare la sua più grande sconfitta: la caduta e la corruzione
del suo migliore amico e apprendista Jedi, Anakin
Skywalker, passato al lato oscuro nei panni del malvagio
Signore dei Sith Darth Vader.
La serie vede
Ewan McGregor riprendere il ruolo dell’iconico Maestro
Jedi e segna anche il ritorno di Hayden
Christensen nel ruolo di Darth Vader, ruolo che ha poi
ripreso anche in Ahsoka. Si uniscono al cast anche
Moses Ingram,
Joel Edgerton, Bonnie Piesse, Kumail Nanjiani,
Indira Varma, Rupert Friend, O’Shea Jackson Jr., Sung Kang, Simone
Kessell e Benny Safdie. Obi-Wan Kenobi è
attualmente disponibile in streaming su Disney+.
Sono arrivate le prime recensioni di
Jurassic
World – La Rinascita e, con i critici
discordanti sul nuovo inizio pianificato dal regista Gareth
Edwards per il franchise, il film ha debuttato con un
punteggio “Rotten” (Marcio).
Come riportato per la prima volta su
SFFGazette.com, sono arrivate le recensioni di Jurassic
World – La Rinascita. Sfortunatamente, sembra che
la prossima parte della stagione estiva dei blockbuster avrà un
inizio turbolento.
Luglio si preannuncia un mese
impegnativo per le sale cinematografiche, con questo film,
Superman, I Puffi e
I Fantastici Quattro: Gli Inizi, tutti in
competizione per l’attenzione degli spettatori. Tuttavia, le
cattive notizie per Jurassic
World – La Rinascita potrebbero essere buone
notizie per l’Uomo di Domani se la prima ondata di recensioni
contrastanti dovesse avere un impatto negativo sulle prospettive di
incassi del nuovo inizio di Gareth Edwards per il
franchise.
Al momento in cui scriviamo, su
Rotten Tomatoes sono state contate 73 recensioni per il film, che
attualmente si attesta su un “Rotten” del
58%. Il lato positivo è che il punteggio lo rende
ben lontano dall’episodio con le peggiori recensioni del
franchise.
Jurassic World
Dominion del 2022 ha un misero 29%, mentre
Jurassic World: Il regno distrutto ha il 47%.
Seguono Jurassic Park III (49%), Il mondo
perduto: Jurassic Park (52%), Jurassic
World (72%) e Jurassic Park, l’unico
“Certified Fresh” con il 91%.
Vale la pena notare che il franchise
di Jurassic è in genere a prova di critica, il che significa che ci
sono buone probabilità che La Rinascita
sia ancora uno dei più grandi successi dell’estate. “È
improbabile che Jurassic
World – La Rinascita sia in cima alla classifica di
qualcuno”, scrive The Hollywood Reporter. “Ma i fan di
lunga data (me compreso) dovrebbero divertirsi.” Variety
osserva: “Gareth Edwards rifiuta la
superficialità dei tre film precedenti, dirigendo Scarlett Johansson e
Jonathan Bailey attraverso una serie di scene tese
ed emozionanti che si avvicinano di più al classico del 1993 di
Steven Spielberg”.
IGN è stato meno
entusiasta, spiegando: “Per un film che promette una
‘Rinascita’, l’ultimo Jurassic World gioca sulla frustrante
sicurezza, rifacendosi al progetto del film originale, ma senza
eliminare nessuno dei problemi dei film più recenti”.
IndieWire ha fatto eco a questo sentimento affermando: “Inutile
dire che ‘Rinascita’ non si fa alcun favore rifacendosi così spesso
all’originale. Per quanto brutti siano stati alcuni dei sequel
precedenti, nessuno di loro è stato così desideroso di misurarsi
con il capolavoro di Spielberg”.
Suggerendo che i critici siano
divisi, The Guardian ribatte: “Sembra
rilassato e sicuro nel suo pastiche di Spielberg, nei suoi grandi
momenti di pericolo con i dinosauri e nel suo dispiegamento di
emozioni e risate. Forse la serie non può e non dovrebbe andare
avanti all’infinito: abbiamo bisogno di idee nuove e originali.
Questa sarebbe fantastica da realizzare”.
Entertainment
Weekly aggiunge: “Jurassic Park – La Rinascita è uno
dei capitoli più riusciti e soddisfacenti del franchise proprio
perché, ehm, trova il modo di mantenere vivo il mantra di Loomis,
mettendo in primo piano il senso di meraviglia del film rispetto a
una mera e palese ricerca di denaro”.
Infine, Rohan Patel
di ComicBookMovie.com afferma: “Jurassic
World – La Rinascita inaugura una nuova era audace per il
franchise, un’era che privilegia tensione, paura e spettacolo
rispetto alla tradizione e all’esposizione. È un film adrenalinico
che piace al pubblico e che capisce esattamente di cosa si tratta e
mantiene esattamente ciò che promette”.
L’uscita di Superman
nei cinema è ormai alle porte e il film sta decisamente
intensificando gli sforzi promozionali, tanto che oggi arriva anche
la prima occhiata alla Hall of Justice. Quando le riprese
si sono spostate da Cleveland e Cincinnati nel febbraio 2024, erano
già iniziate le speculazioni sulla possibile inclusione del
quartier generale della Justice League.
Diamo un primo sguardo a come
apparirà la Hall of Justice in Superman, grazie a
uno spot/promozione Toyota.
“Vedi la Hall of Justice e ti accorgi che non è ancora
finita”, ha detto James
Gunn in una precedente intervista. “È di proprietà
di Maxwell Lord, e lui è il proprietario della Justice
Gang.”
Il quartier generale della DCU è ancora in costruzione, il che spiega il suo
aspetto semplice per ora, come afferma Gunn. Ha anche
precedentemente confermato che la Justice League
non si è ancora formata, nonostante Superman sia attivo da tre
anni.
Nel cast anche
Rachel Brosnahan,
Nicholas Hoult, Edi Gathegi, Anthony Carrigan,
Nathan Fillion,
Isabela Merced, Skyler Gisondo, Sara Sampaio, María Gabriela de
Faría, Wendell Pierce,
Alan Tudyk, Pruitt Taylor Vince e Neva
Howell. Il film sarà al cinema dal 9
luglio distribuito da Warner Bros.
Pictures.
“Superman”, il
primo film dei DC Studios in arrivo sul grande schermo, è pronto a
volare nei cinema di tutto il mondo quest’estate, distribuito da
Warner Bros. Pictures. Con il suo stile inconfondibile, James Gunn
trasporta il supereroe originale nel nuovo universo DC reinventato,
con una miscela unica di racconto epico, azione, ironia e
sentimenti, consegnandoci un Superman guidato dalla compassione e
da una profonda fiducia nella bontà del genere umano.
Produttori esecutivi di
“Superman” sono Nikolas Korda, Chantal Nong Vo e
Lars Winther. Dietro la macchina da presa, Gunn si è avvalso del
lavoro di suoi collaboratori fidati, tra cui il direttore della
fotografia Henry Braham, la scenografa Beth Mickle, la costumista
Judianna Makovsky e il compositore John Murphy, oltre al
compositore David Fleming (“The Last of Us”), ai montatori William Hoy
(“The Batman”) e Craig Alpert (“Deadpool 2”, “Blue Beetle”).
Il regista di F1 – Il
film(qui
la recensione) Joseph Kosinski ha rivelato che
a un certo punto era stato girato un finale alternativo per la gara
finale del film, che vedeva un vincitore completamente diverso. Nel
finale che possiamo oggi vedere al cinema, il veterano Sonny apre
la strada al suo compagno di squadra per portarlo al primo posto e
vincere la gara, ma un incidente permette poi proprio a Sonny di
correre verso la vittoria. In un’intervista con GQ, il regista Joseph Kosinski ha ora
però rivelato che nel finale alternativo è invece Joshua a vincere
la gara.
“In realtà abbiamo girato anche
un finale in cui Damson vince… Dove sale sul podio e solleva il
trofeo”, dice il regista Kosinski, prima di interrogarsi.
“L’abbiamo girato con le telecamere? Mi sembra che l’abbiamo
girato solo per confondere le idee. Probabilmente i fan
avrebbero comunque indovinato che Sonny avrebbe vinto la gara
finale: è praticamente la regola di qualsiasi film sportivo
soddisfacente e adatto al grande schermo che l’eroe superi le
difficoltà e ne esca vittorioso… Ma chi se ne importa?
“I film riguardano più il
viaggio che la destinazione. È lì che sta il divertimento. Voglio
dire, chiunque può indovinare il finale di un film”, ha
concluso Kosinski. Anche se non è mai stato effettivamente girato,
è importante notare che Kosinski e il suo team sono arrivati al
punto di inscenare il finale, il che significa che c’è stata almeno
una certa valutazione di quello che doveva essere il risultato
finale, invece di cercare semplicemente di ingannare gli
spettatori. Tuttavia, sulla base dei commenti di Kosinski, sembra
che la vittoria di Sonny Hayes fosse già stata decisa sin da
subito.
F1 – Il film è la storia della redenzione di
Sonny Hayes
La storia di Sonny Hayes in
F1 – Il film è una storia di redenzione. La sua
carriera, un tempo promettente, è stata interrotta da un incidente
devastante, basato su un incidente realmente accaduto, e negli
ultimi trent’anni ha inseguito il brivido delle corse ad alta
velocità, anche se lontano dai riflettori che un tempo lo
illuminavano. La vittoria di Sonny nella gara finale, sebbene
prevedibile come esito scontato di qualsiasi dramma sportivo,
rappresenta per Sonny una conquista catartica. Grazie alla fortuna
e alle circostanze, è riuscito a tornare in Formula Uno,
considerata la competizione automobilistica di più alto
livello.
La sua vittoria offre un finale
necessario all’arco narrativo del suo personaggio. Il finale
alternativo lo avrebbe probabilmente visto sacrificarsi
(metaforicamente) nella gara finale affinché il suo giovane
compagno di squadra, la cui carriera è appena agli inizi, potesse
ottenere la vittoria e intraprendere il percorso che Sonny non è
mai riuscito a completare. Sarebbe stata una svolta ammirevole per
il suo personaggio e avrebbe avuto perfettamente senso dal punto di
vista narrativo, dato che il tempo di Sonny era finito e il momento
apparteneva a Joshua.
Tuttavia, il colpo di scena finale
nella gara che permette a Sonny di vincere fornisce una misura di
definitività che il suo personaggio sembra aver inseguito sin da
quando era giovane. Anche se Sonny ha vinto molte altre gare nella
sua carriera di pilota, la vittoria in un Gran Premio di Formula
Uno è stata il punto esclamativo che ha riscattato il suo
infortunio di tanto tempo fa che aveva posto fine alla sua
carriera.
James Gunn ha risposto alle voci secondo cui
starebbe valutando la possibilità di affidare ad Adria
Arjona il ruolo di Wonder Woman
nell’Universo DC. In una nuova intervista, al co-capo dei DC
Studios è stato infatti chiesto del suo seguire Arjona sui social
media, cosa che ha spinto i fan a chiedersi se le avrebbe offerto
il ruolo della supereroina. “Seguo Adria su Instagram, ma tutti
sono usciti fuori dicendo: ‘L’ha appena seguita, significa che è
Wonder Woman’”, ha detto Gunn in un’intervista a Extra.
“Sarebbe una grande Wonder
Woman, comunque”. Gunn ha poi continuato: “Era in un film
che ho fatto sette anni fa. Siamo amici e ci conosciamo da allora.
L’ho seguita allora, non ho iniziato a seguirla solo ora”. Per
il momento, dunque, Gunn non si sbilancia. Sappiamo che un nuovo
film su Wonder Woman è attualmente in fase di sviluppo, dunque
quando la sceneggiatura sarà completa potrà iniziare il processo di
casting e scopriremo se Adria Arjona otterrà davvero il ruolo.
Adria Arjona è la preferita dei fan
per interpretare Wonder Woman
Il film in cui Arjona ha recitato è
stato The Belko Experiment del 2016, diretto da Greg
McLean e scritto da James
Gunn, che lo ha anche prodotto insieme al partner dei
DC Studios Peter Safran. Per quanto riguarda l’attrice, in
un’intervista rilasciata all’inizio di quest’anno, alla Arjona è
stato chiesto del fatto che è la favorita dai fan per il ruolo
diWonder Woman. “Amo James Gunn”, ha detto l’attrice in
quell’occasione. “Mi ha dato il mio primo film in assoluto, che
era tipo il mio primo film in studio, quindi gli devo
molto”.
Hot Summer Nights è
un film del 2017 diretto da Elijah Bynum, che si
inserisce all’interno del filone coming of age con una forte impronta neo-noir e crime
drama. Ambientato durante un’afosa estate del 1991 a Cape Cod,
Massachusetts, il film mescola romanticismo adolescenziale, droga,
criminalità e una costante tensione emotiva che cresce fino a un
epilogo drammatico. Attraverso un’estetica visiva marcata, una
colonna sonora rétro e una regia stilizzata, il film propone dunque
un racconto di formazione distorto, sensuale e pericoloso, in cui
l’innocenza svanisce sotto il sole cocente e tra i fumi della
marijuana.
Hot Summer Nights
si inserisce così nel solco di film di formazione ambientati in
contesti estivi densi di tensione, desiderio e pericolo, come
Come un tuono, Chiamami
col tuo nome (con lo stesso Chalamet) o A Bigger Splash. Tutti questi titoli condividono una
narrazione che intreccia crescita personale, eros e violenza
latente, spesso sullo sfondo di paesaggi assolati e isolati. Come
già detto, il film di Elijah Bynum si distingue poi per il suo mix
tra crime e romanticismo malinconico, avvicinandosi anche al tono
cupo e nostalgico di American Honey o Thirteen,
raccontando una giovinezza bruciata troppo in fretta, in un’estate
destinata a non finire mai davvero.
Il film ha ricevuto reazioni
contrastanti per il suo stile volutamente eccessivo e per la trama
che alterna momenti di pura adrenalina a pause più introspettive.
Tuttavia, è proprio il suo finale ambiguo e malinconico ad aver
colpito e spiazzato molti spettatori. Nel prosieguo dell’articolo
ci soffermeremo proprio su questo: analizzeremo cosa accade nel
terzo atto e cosa suggerisce il destino dei personaggi principali,
cercando di fornire una spiegazione chiara e approfondita del
significato ultimo del film.
Il film è ambientato nel 1991 e
racconta la storia di Daniel (Timothée
Chalamet), un adolescente impacciato, riservato e
solitario, la cui vita cambierà radicalmente nel corso di una calda
estate. La madre di Daniel, in seguito alla morte del padre, decide
di mandare il figlio a trascorrere l’estate a casa di una zia
sull’isola di Cape Cod, sperando che possa trovare un po’ di
serenità. Il giovane fa però fatica ad integrarsi, vivendo giornate
anonime e senza direzione, fino a che non si imbatte nel ribelle
della zona, Hunter Strawberry (Alex Roe). Daniel
accetta di coprirlo nascondendo per lui delle bustine di marijuana
mentre il delinquente è braccato da un poliziotto locale.
Entra così nelle grazie di Hunter e
diventa suo socio nello spaccio di droga. Complice l’adrenalina del
rischio e la sete di affermazione, Daniel comincia così a ottenere
una nuova consapevolezza di se stesso, cambiando progressivamente
atteggiamento e modo di vivere, arrivando anche a innamorarsi
dell’enigmatica sorella del suo collega, McKayla
(Maika
Monroe). Ma il brio di infrangere le regole e
l’ambizione crescente di Daniel porteranno presto a conseguenze
drammatiche, irreversibili e fuori dal suo controllo.
La spiegazione del finale
Così, nel terzo e drammatico atto di Hot Summer
Nights, l’arresto del sogno malavitoso dei protagonisti
avviene con ritmo incalzante. Daniel e
Hunter incontrano Dex
(Emory Cohen) per un affare di cocaina, un passo
che supera i limiti del loro traffico di marijuana. L’attività
clandestina precipita quando però Dex scopre che i due vendono la
droga senza passare per lui. Ordina così a Hunter l’omicidio di
Daniel. Con un ultimo atto di lealtà, Huner avverte però l’amico di
scappare e non tornare mai più. Ma l’inevitabile accade: Dex,
indignato da questo ennesimo tradimento, intercetta Hunter e lo
uccide brutalmente.
Alex Roe, Emory Cohen e Timothée Chalamet in Hot Summer
Nights
Il tutto avviene durante l’arrivo dell’uragano Bob, che diventa
metafora distruttiva del caos imminente.
In piena tempesta, Daniel si precipita da McKayla, ma trova la sua
casa vuota e distrutta. Scopre così il corpo di Hunter,
orribilmente ucciso, e la giovane, sconvolta, salta su un autobus,
congedandosi per sempre da Cape Cod insieme a Daniel. Il narratore,
un ragazzino testimone, chiude la storia sussurrando che nessuno
dei due è mai più stato visto, forse diretti verso una nuova vita
altrove.
Questo drammatico finale ribalta l’illusione di libertà che aveva
animato Daniel e Hunter: la tempesta, simbolo potente della
stagione e delle loro vite, devasta non solo la costa, ma anche i
loro sogni. Hunter, l’esemplare selvaggio e ribelle, muore per
aiutare Daniel, il timido outsider. Questo atto di sacrificio
rappresenta il culmine della lealtà maschile e della loro profonda
amicizia, ma soprattutto scuote Daniel, segnando un passaggio
catartico verso l’età adulta .
McKayla, specchio emotivo del racconto, esce invece dalla tragedia
con forza rinnovata. La morte del fratello la spinge verso un
cambiamento radicale, ribadendo un’interpretazione femminista del
film: le donne non sono semplici figure sullo sfondo; diventano
artefici del proprio destino. Il finale aperto – con Daniel e
McKayla in fuga, mai visti di nuovo – rimanda invece al desiderio
di liberazione, ma anche all’incertezza radicale che caratterizza
le scelte estreme. La storia diventa così un’indagine sulla
responsabilità personale e sulla violenza implicita del crescere
sotto pressione, in una stagione breve ma devastante.
Asher, film del
2018 diretto da Michael Caton-Jones,
segna un interessante ritorno del regista britannico a un cinema
più essenziale, quasi da camera, dopo un percorso variegato che lo
ha visto affrontare generi e registri differenti, da Rob
Roy a The Jackal. Lontano dai fasti hollywoodiani dei suoi
lavori più noti, Caton-Jones costruisce con questo film un noir
crepuscolare, asciutto, intimo, che si muove tra i codici del
thriller e del dramma psicologico. Il film racconta la storia di un
sicario ormai in là con gli anni che si trova, inaspettatamente, a
desiderare un riscatto esistenziale proprio mentre il suo mondo
inizia a sgretolarsi.
A dare volto e corpo al protagonista
troviamo un intenso Ron Perlman, che interpreta
Asher con un equilibrio calibrato di durezza e vulnerabilità.
Accanto a lui, Famke Janssen regala una prova delicata nel
ruolo di Sophie, una donna che entra inaspettatamente nella vita
del killer, offrendo una possibilità di redenzione. Il cast si
completa con attori solidi come Richard Dreyfuss,
Peter Facinelli e Jacqueline
Bisset. La sceneggiatura, firmata da Jay
Zaretsky, privilegia i silenzi e i gesti rispetto ai
dialoghi esplicativi, costruendo così una narrazione che punta
all’atmosfera più che alla tensione tradizionale.
Il film si inserisce nel solco di un
cinema neo-noir esistenziale, vicino per temi e stile a titoli come
A
Beautiful Day (You Were Never Really Here) di
Lynne Ramsay o
The American con George Clooney. Come in quei film, anche in
Asher la figura del killer diventa una metafora
per riflettere sull’identità, il tempo che passa e la possibilità
di cambiare. Ma mentre questi elementi si intrecciano alla trama
con sobrietà, il film si avvia verso un finale che pone
interrogativi profondi e inaspettati. Proprio il finale sarà
oggetto di analisi e spiegazione nei paragrafi successivi
dell’articolo.
Ron Perlman in Asher
La trama di Asher
Protagonista del film è un ex agente
del Mossad, Asher (Ron Perlman),
che ha passato tutta la sua vita a svolgere incarichi da sicario
per il boss Avi (Richard
Dreyfuss). Stanco di dover uccidere per mantenersi, privo
ormai di illusioni su un possibile futuro migliore e con il corpo
che inizia a cedere, Asher accetta gli ultimi tre lavori da Avi
prima di ritirarsi del tutto da quella vita. Ma a causa di un
improvviso svenimento un colpo va storto ed è però così che il
killer incontra la bellissima insegnante di danza
Sophie (Famke
Janssen).
I due si conoscono per caso e Asher,
sebbene non possa condividere nulla del suo passato violento e
solitario, è deciso per la prima volta nella sua vita a non voltare
le spalle a qualcosa di buono e puro come l’amore. Quando però le
cose vanno male durante un colpo insieme al suo apprendista
Uziel (Peter Facinelli), Asher si
ritrova con un bersaglio sulla testa, che minaccerà di portargli
via tutto ciò che ha appena scoperto di voler proteggere.
Costretto a fare i conti con le sue scelte, dovrà affrontare una
resa dei conti definitiva.
La spiegazione del finale
Nel terzo atto di
Asher, la tensione accumulata nel corso del film
giunge a un punto di rottura. Dopo una lunga carriera come sicario
per conto di un’organizzazione criminale, Asher capisce che il suo
tempo è finito. La scelta di disobbedire agli ordini, legata al
crescente desiderio di una vita diversa accanto a Sophie, lo rende
però un bersaglio. Quando l’organizzazione decide di eliminarlo,
Asher si ritrova in una spirale di violenza che culmina in un
confronto diretto con il suo ex mentore e amico Avi. In un
combattimento finale, carico di silenzi e colpi lenti ma
definitivi, Asher riesce ad avere la meglio, ma il prezzo è
altissimo.
Ron Perlman e Famke Janssen in Asher
La sua sopravvivenza resta incerta,
il suo corpo ferito e la sua mente logorata. Nel finale vero e
proprio, Asher torna da Sophie. Il loro ultimo incontro è segnato
da un silenzio intenso e da uno sguardo che dice più di qualsiasi
parola. Non c’è lieto fine esplicito, né una chiusura rassicurante:
il film si conclude con una cena in casa di Sophie, dove Asher si
presenta vestito con abiti civili, come se volesse affermare
un’identità nuova. Ma la scena è ambigua: non è chiaro se ciò che
vediamo sia reale o solo una proiezione del desiderio del
protagonista. La macchina da presa indugia su dettagli quotidiani,
quasi a voler suggerire che, per un attimo, anche un uomo come
Asher può immaginare un’esistenza normale.
Tematicamente, il finale di
Asher rappresenta la tensione irrisolta tra
redenzione e condanna. Il protagonista è consapevole che il suo
passato non può essere cancellato, ma tenta comunque un atto finale
di trasformazione. Il suo ritorno da Sophie non è solo il desiderio
di un amore possibile, ma anche la ricerca di un’identità che vada
oltre quella del killer. Il fatto che il film scelga di non
mostrare apertamente la sua sorte definitiva riflette l’idea che il
cambiamento non è mai garantito: può essere tentato, forse sognato,
ma raramente raggiunto.
In questo senso,
Asher si avvicina a un certo cinema noir
esistenziale in cui il protagonista non trova una vera via
d’uscita, ma solo un’illusione di salvezza. Il finale è volutamente
sospeso, malinconico, segnato da una quiete che non sa se essere
pace o resa. Non è tanto la morte o la sopravvivenza di Asher a
contare, quanto l’intensità dell’ultimo gesto: un uomo che ha
vissuto nell’ombra prova, per un breve momento, a camminare nella
luce.
Interceptor – Il guerriero
della strada rappresenta un capitolo fondamentale nella
saga post-apocalittica diretta da George Miller,
posizionandosi come sequel diretto del primo Mad Max – Interceptor (1979). A differenza
dell’esordio, che presentava un mondo ancora in bilico tra ordine e
caos, il secondo film ci immerge in un’Australia ormai
completamente collassata, dominata dalla legge del più forte e da
bande di predoni motorizzati. Questo salto temporale e narrativo
contribuisce a ridefinire il tono della saga, rendendola un punto
di riferimento per l’estetica e l’immaginario del cinema
post-apocalittico.
Il film introduce diversi elementi
destinati a diventare iconici all’interno del franchise:
l’immaginario visivo fatto di deserti sterminati, costumi punk,
veicoli corazzati e inseguimenti mozzafiato. Ma Interceptor
– Il guerriero della strada segna anche un’evoluzione nel
personaggio di Max, interpretato da Mel Gibson, che da ex
poliziotto devastato dalla perdita della famiglia diventa un
solitario disilluso, apparentemente senza più alcuna motivazione se
non la sopravvivenza. Il film bilancia perfettamente l’azione
adrenalinica con momenti di introspezione, offrendo un racconto
secco ed essenziale che ha ispirato numerose produzioni successive,
da Waterworld a The Book of Eli.
Accolto con entusiasmo da critica e
pubblico, Interceptor – Il guerriero della strada
consolidò la fama internazionale di Miller e trasformò Mad Max in
un’icona globale. Il film fu lodato per il suo ritmo serrato, la
regia inventiva e la capacità di costruire un mondo credibile e
originale con risorse limitate. Parte del suo successo risiede
anche in un finale potente e sorprendente, che rilegge il ruolo
dell’eroe solitario e della comunità in un contesto di distruzione
e rinascita. Nel resto dell’articolo analizzeremo proprio questo
finale, fornendo una spiegazione approfondita del suo significato
simbolico e narrativo.
La trama
di Interceptor – Il guerriero della
strada
A seguito di una terza guerra
mondiale, il mondo vive ora una serie di regressioni. Numerose sono
le risorse ormai prossime all’estinzione, con la conseguenza che
interi popoli si ritrovano a vivere in uno stato brado. A
complicare la situazione, vi la totale scomparsa della legge e
dell’ordine, con il naturale proliferare della criminalità e della
violenza. In questo contesto, l’ex agente di polizia Max
Rockatansky vaga a bordo della sua V8 Interceptor alla
ricerca di cibo e carburante. Nel corso dei suoi viaggi, egli
finisce con l’imbattersi nella Tribù del Nord, capeggiata da
Pappagallo.
Da loro, Max viene a conoscenza dei
continui soprusi che sono costretti a subire da una banda
criminale. Questa è guidata dal sanguinario Lord
Humungus, un uomo muscolo dal viso sfigurato, che copre
dunque con una maschera da hockey. Proprio mentre Max si trova lì,
la Tribù riceve un ultimatum dal gruppo di banditi. Se lasceranno
loro l’impianto di carburante, potranno lasciare indenni quella che
è ora rinominata la Valle della Morte. A quel punto, Max si offrirà
di proteggerli ma il compito si rivelerà molto più pericoloso del
previsto.
La spiegazione del finale del
film
Nel terzo atto di
Interceptor – Il guerriero della strada, Max
accetta di aiutare la comunità di sopravvissuti che custodisce una
preziosa riserva di carburante, insidiata dalla violenta gang di
Humungus. Dopo un primo tentativo fallito di fuga, Max propone un
piano rischioso: distrarre i predoni lanciandosi in una corsa
disperata alla guida di un’autocisterna, mentre gli altri membri
della comunità fuggono attraverso un percorso secondario. Ne nasce
un lungo e spettacolare inseguimento nel deserto, dove Max affronta
un assalto brutale e adrenalinico, contrastando gli aggressori con
ogni mezzo. Durante l’attacco finale, Wez, il feroce braccio destro
di Humungus, riesce ad aggrapparsi alla cisterna, ma viene ucciso
nello scontro. Anche Humungus trova la morte schiantandosi
frontalmente contro il veicolo guidato da Max.
Dopo la carneficina, Max esce
gravemente ferito dal relitto dell’autocisterna. È in quel momento
che il film svela il suo colpo di scena: il camion che Max ha
rischiato la vita per proteggere non trasportava carburante, ma
sabbia. Il vero carburante era stato caricato sui veicoli con cui
gli altri membri della comunità si erano messi in salvo,
all’insaputa dei predoni e degli spettatori. Il narratore, che si
rivela essere il giovane “Ragazzo Selvaggio” ormai adulto, racconta
che Max non si unì mai alla loro nuova colonia, ma divenne una
leggenda, il guerriero solitario che li aveva aiutati a iniziare
una nuova vita.
Il finale di Interceptor –
Il guerriero della strada rafforza uno dei temi
centrali della saga: l’eroismo involontario e la redenzione di un
uomo che non cerca gloria né riconoscenza. Max rimane un outsider,
segnato dal trauma, ma la sua scelta di rischiare tutto per aiutare
gli altri rappresenta una rinascita morale. In un mondo dove
l’umanità sembra perduta, la solidarietà e il sacrificio assumono
un valore rivoluzionario. Il colpo di scena finale non è solo
narrativo, ma etico: Max diventa l’esempio di un eroe che agisce
nonostante la sfiducia, spinto da un istinto di giustizia che
nemmeno l’apocalisse ha cancellato.
Inoltre, il film chiude con una nota
ambigua e malinconica, ma al tempo stesso aperta. Max sopravvive,
ma non si unisce alla nuova civiltà: la sua missione è finita, e la
sua solitudine continua. Questo epilogo anticipa perfettamente
Mad Max oltre la sfera del tuono, il terzo capitolo
della saga, dove Max sarà nuovamente coinvolto – suo malgrado – nei
destini di una nuova comunità, confermando il suo ruolo di figura
messianica e tragica, condannata a vagare nel deserto ma incapace
di voltare le spalle a chi ha bisogno di aiuto.
Al via la 14ª edizione di Ciné –
Giornate di Cinema, manifestazione promossa
da ANICA (Associazione Nazionale
Industrie Cinematografiche Audiovisive e Digitali) in
collaborazione con ANEC (Associazione
Nazionale Esercenti Cinematografici), con la partecipazione
di ACEC (Associazione Cattolica
Esercenti Cinema), sostenuta dal MiC,
dalla Regione Emilia-Romagna,
dalla Emilia-Romagna Film Commission e
dal Comune di Riccione, prodotta e
organizzata da Cineventi.
Dopo aver inaugurato gli
appuntamenti riccionesi per il pubblico con il palinsesto di Ciné
in Città, martedì 1 luglio entra nel vivo la convention business
che proseguirà fino al 4 luglio all’interno del Palazzo dei
Congressi.
Ad aprire i lavori di Ciné (ore
14.45, Sala Polissena) sarà il consueto appuntamento con il
convegno a cura di Box Office, incentrato quest’anno su
Produzione italiana e nuovi linguaggi
narrativi. Il convegno, moderato da Paolo Sinopoli
(Responsabile Box Office), sarà l’occasione per riflettere
sull’evoluzione del cinema nazionale, tra modelli produttivi
emergenti e forme espressive in trasformazione, con interventi di:
Isabel Aguilar (Sceneggiatrice), Paolo Del Brocco (Amministratore
Delegato di Rai Cinema), Marta Donzelli (Produttrice di Vivo Film),
Giampaolo Letta (Vicepresidente e Amministratore Delegato di Medusa
Film), Annamaria Morelli (Ceo di The Apartment), Massimo Proietti
(Ceo di Vision Distribution e Deputy Managing Director di Universal
Pictures International Italy).
La Sala Concordia aprirà le porte
alle ore 16.45 con la Cerimonia di inaugurazione della 14 edizione
alla presenza di Alessandro Usai (Presidente ANICA), Luigi
Lonigro (Presidente Unione Editori e Distributori Cinematografici
ANICA), Benedetto Habib (Presidente Unione Produttori ANICA), Mario
Lorini (Presidente ANEC), Fabio Abagnato (Direttore Emilia-Romagna
Film Commission), Daniela Angelini (Sindaca Comune di
Riccione).
Le convention, momento centrale della manifestazione,
prenderanno il via alle ore 17.30 con Universal
Pictures, seguita da I Wonder
Pictures (ore 18.45), che presenteranno i loro
listini per la prossima stagione.
Tantissimi saranno i registi e i
protagonisti che durante la manifestazione si daranno appuntamento
a Riccione per mostrare e raccontare ciò che arriverà in sala nei
prossimi mesi. Accanto ai nomi già annunciati, tra cui Diego
Abatantuono, Geppi Cucciari, Andrea Di Stefano, Pierfrancesco Favino, Paolo Virzì,
Valerio Mastandrea, Michele Riondino, Massimiliano Bruno e Edoardo
Leo, nuovi ospiti si aggiungono alla manifestazione. Saranno
infatti presenti all’interno della convention
di Notorious PicturesMonica
Guerritore per Anna, Diego
Abatantuono, Max Angioni e il
regista Volfango De
Biasi per Esprimi un desiderio, mentre
per PiperFilm arriveranno Lillo
Petrolo, Naska e Maurizio
Lastrico per Tutta colpa del
rock di Andrea Jublin, Claudio
Amendola per Fuori la verità di
Davide Minnella e Edoardo
Leo per Per te di Alessandro
Aronadio.
Spazio anche alle anteprime con La famiglia
Leroy di Florent Bernard (ore 20.00, Cinepalace,
proiezione aperta anche al pubblico), commedia francese con
protagonista Charlotte Gainsbourg, al cinema a settembre con Wanted
Cinema, e Warfare
– Tempo di guerra (ore 22.00, Cinepalace,
proiezione riservata a esercenti e stampa, con prenotazione), film
A24 di Alex Garland e Ray Mendoza, esperienza immersiva nella
sconvolgente realtà dei conflitti moderni, in uscita ad agosto con
I Wonder Pictures.
La serata proseguirà con Ciné in città, il
programma di appuntamenti gratuiti per il pubblico che trasformerà
Riccione in una sala cinematografica a cielo
aperto. Protagonista della serata sarà Anna
Foglietta, attrice e Presidente della Onlus Every Child Is
My Child, che presenterà il suo nuovo progetto
video È come sembra, realizzato
nell’ambito del laboratorio artistico promosso
dalla Fondazione Una Nessuna Centomila e
prodotto da AssoConcerti, sul tema della
violenza di genere. Il talk sarà moderato da Piera Detassis
(giornalista e Presidente e
Direttrice Artistica dell’Accademia del Cinema Italiano –
Premi David di Donatello), cui seguirà la proiezione
di Questi fantasmi!, adattamento
dell’omonima commedia di Eduardo De Filippo interpretato da Anna
Foglietta e Massimiliano Gallo per la regia di Alessandro
Gassmann.
Martedì 1 luglio prende il via anche Ciné Camp – Il camp di
cinema per gli under 18, la sezione di cinema di Ciné dedicata a
ragazzi e ragazze dai 10 ai 17 anni, in collaborazione
con Giffoni Film Festival, con film, laboratori e incontri con
le star. I giovani appassionati avranno la possibilità di
partecipare ai laboratori di Set cinematografico (a cura di Almost
Famous Produzione), di Improvvisazione scenica (a cura di Giffoni
Film Festival) e di Animazione (a cura di Movimenti Productions),
oltre che di rivedere sul grande schermo un classico
dell’animazione come Lilli e il Vagabondo di
Hamilton Luske, Clyde Geronimi e Wilfred Jackson (ore 19.30,
Arena).
La produzione dell’attesissimo
Il diavolo veste Prada 2 della 20th Century Studios è
in pieno svolgimento, e i quattro attori principali Meryl
Streep, Anne Hathaway, Emily Blunt e Stanley
Tucci sono stati ufficialmente annunciati dalla Disney, ma
c’è un’aggiunta: il premio Oscar Kenneth Branagh
che interpreterà il marito di Miranda Priestly, la regina di
ghiaccio della Streep e direttrice della rivista di moda.
Un tempismo perfetto per la 20th
Century Studios per quanto riguarda l’uscita definitiva di questo
film, dato che l’industria della moda si trova ora in un’epoca in
cui la caporedattrice di Vogue Anna Wintour si è
appena dimessa dopo 37 anni (si vocifera che l’autrice originale
del bestseller del New York Times, Lauren
Weisberger, si sia ispirata a Wintour, di cui era
l’assistente personale).
Focus Features ha
pubblicato un nuovo trailer ufficiale ed esteso di Downton
Abbey: Il Grand Finale, il terzo e ultimo film della
serie cinematografica basata sulla serie televisiva in costume
della PBS creata da Julian Fellowes. Il film uscirà nelle sale il
12 settembre.
La trama e il cast
di Downton Abbey: Il Gran Finale
Questo nuovo capitolo segue la
famiglia Crawley e il suo personale all’inizio degli anni ’30.
Quando Mary si ritrova al centro di uno scandalo pubblico e la
famiglia deve affrontare difficoltà finanziarie, l’intera famiglia
deve fare i conti con la minaccia del disonore sociale. I Crawley
devono accettare il cambiamento mentre il personale si prepara a un
nuovo capitolo con la prossima generazione che guiderà Downton
Abbey verso il futuro.
Simon Curtis torna
alla regia dell’ultimo capitolo dopo aver diretto Una Nuova Era.
Fellowes ha scritto tutti e tre i film.
Il cast familiare torna anche per
Downton Abbey: Il Grand Finale, che include
Michelle Dockery,Hugh Bonneville, Laura
Carmichael, Jim Carter, Raquel Cassidy, Brendan Coyle,
Michelle Dockery, Kevin Doyle, Michael Fox, Joanne Froggatt,
Paul Giamatti, Harry Hadden-Paton, Robert James-Collier, Allen
Leech, Phyllis Logan, Elizabeth McGovern, Sophie McShera, Lesley
Nicol,
Dominic West, Penelope Wilton, Joely Richardson, Paul
Copley e Douglas Reith.
Nel cast del franchise compaiono
anche Joely Richardson, Alessandro Nivola, Simon Russell Beale e
Arty Froushan. I produttori sono Gareth Neame, Fellowes e Liz
Trubridge. Nigel Marchant è il produttore esecutivo.
Le prime immagini di L’ultima missione: Project Hail Mary,
il nuovo film Sony Pictures diretto dai premi Oscar® Phil
Lord e Christopher Miller (Spider-Man – Un nuovo
universo) con i candidati al premio Oscar® Ryan Gosling (Barbie, La La
Land) e Sandra Hüller (Anatomia di una
caduta, La zona d’interesse).
Il film è basato sul romanzo
“Project Hail Mary” di Andy Weir, autore di “The Martian”. Nel cast
anche Lionel Boyce (The
Bear), Ken Leung (A.I. – Intelligenza
artificiale), Milana Vayntrub (A cena con
il lupo – Werewolves Within). L’ultima missione:
Project Hail Mary sarà nelle sale italiane da marzo
2026 distribuito da Eagle Pictures.
La trama di L’ultima missione: Project Hail Mary
L’insegnante di scienze Ryland Grace
(Ryan
Gosling) si sveglia su un’astronave lontano da casa
anni luce e senza alcun ricordo di chi sia o di come sia arrivato
lì. Con il riaffiorare della sua memoria, torna alla luce lo scopo
della sua missione: risolvere l’enigma della misteriosa sostanza
che sta causando il collasso del Sole. Dovrà fare affidamento sia
sulle sue conoscenze scientifiche che sulle sue capacità di pensare
fuori dagli schemi per salvare dall’estinzione la vita sulla Terra…
ma un’inaspettata amicizia gli farà capire che non è solo in questa
impresa.
Si sono appena concluse, dopo sette
settimane a Roma, le riprese di “Il Dio
dell’amore” la nuova commedia sull’amore contemporaneo
raccontato attraverso gli occhi “storici”, curiosi e indagatori di
un padrino d’eccezione, il grande letterato, maestro di seduzione,
poeta esperto d’amore: Ovidio, interpretato da Francesco
Colella. Nel cast Benedetta Cimatti, Francesco
Colella, Corrado Fortuna,
Vinicio Marchioni, Isabella Ragonese, Vanessa
Scalera.
Il Dio dell’Amore è
un viaggio, o un’esplorazione, nelle relazioni amorose. Una storia
sui destini sentimentali di alcune persone, sui loro modi di
amarsi, di sfiorarsi, di entrare in contatto uno con l’altro. È un
racconto corale dal tono ironico, sorridente ma anche amaro, che
disegna una umanità impelagata nel caos dei sentimenti che da
sempre ci agitano e ci meravigliano. I personaggi sono tutti
collegati da relazioni amorose e, se visti tutti insieme, tutti
parte di un fitto disegno, una tessitura dove ognuno è un nodo, un
inizio e una fine. Il loro destino è in mano al Dio dell’Amore, una
creatura capricciosa e imprevedibile, a volte benevolo e mite e a
volte invece agguerrito e battagliero. A condurci in questo viaggio
è il poeta Ovidio, l’eterno cantore dell’amore che, al di là di
ogni sentimentalismo e di ogni morale, torna dalla Roma Imperiale
direttamente nella nostra contemporaneità per raccontarci questa
storia.
Il dio dell’amore – foto di Emanuela Scarpa
Il film, scritto da Enrico
Audenino e Francesco Lagi, è diretto da Francesco
Lagi ed è una produzione Cattleya – parte di ITV Studios –
BartlebyFilm e Vision Distribution in collaborazione con SKY.
Girato interamente a Roma vede tra gli altri interpreti
Anna Bellato, Enrico Borello, Chiara Ferrara e
Elia Nuzzolo.
Il film uscirà al cinema prossimamente distribuito da Vision
Distribution.
Dopo aver alimentato il mistero nel
corso della serie, la terza stagione di Squid
Game (leggi
qui la recensione della Stagione 3) rivela finalmente il vero
motivo per cui In-ho è diventato il Front
Man, e la verità mette in luce la dolorosa realtà del
trauma. Uno dei nuovi personaggi più interessanti della seconda
stagione (qui
la recensione), In-ho, l’uomo dietro la maschera del Front Man,
si unisce ai giochi insieme a Gi-hun per la
seconda volta. Prima di questo, il pubblico aveva saputo di lui
attraverso Jun-ho, suo fratello, che lo aveva
cercato per anni dopo che In-ho era partito per partecipare ai
giochi.
Nonostante In-ho appaia in tutta la
seconda stagione (qui
la spiegazione del finale di stagione) di Squid
Game, la serie non fa nulla per rispondere alla domanda
più urgente sul personaggio: come è diventato il Front Man.
Fortunatamente, il pubblico scopre la verità su ciò che ha portato
l’ex campione a diventarlo grazie ai flashback della terza
stagione.
I flashback di In-ho nella terza
stagione di Squid Game rivelano come ha vinto i giochi
Dopo la seconda e la terza stagione
di Squid Game, In-ho è forse il personaggio più
interessante e moralmente complesso della serie. Sebbene si
comporti in modo calcolato e freddo, nella seconda stagione sembra
anche avere un codice morale e un briciolo di umanità. Ciò è
particolarmente evidente quando si tratta di proteggere Jun-hee.
Ciò solleva la domanda su come abbia vinto il 28° Squid Game.
L’empatia renderebbe senza dubbio la vittoria in Squid Game
incredibilmente difficile. Fortunatamente, la vittoria di In-ho ha
molto più senso dopo aver visto il flashback nella terza
stagione.
Il suo forte codice morale e la sua
umanità sembrano essere stati solo una recita. Invece di vincere il
premio in denaro in modo onesto, In-ho ha vinto senza giocare la
partita finale. Invece, In-ho ha scelto la via codarda e ha barato.
Nel flashback dell’episodio 5 della terza stagione di Squid
Game, Oh Il-nam gli parla mentre indossa la maschera VIP.
Offre a In-ho un coltello per tagliare la gola a tutti i suoi
concorrenti, in modo che possa vincere i miliardi di won senza
dover giocare l’ultima partita. In-ho accetta questa proposta, il
primo passo verso la sua trasformazione in Front Man.
In-ho ha dovuto rinunciare alla sua
umanità per vincere i giochi prima del round finale
L’accordo di In-ho di uccidere gli
altri giocatori con il coltello erode la sua ultima goccia di
compassione. Si potrebbe sostenere, tuttavia, che fosse disperato
di prendersi cura di sua moglie, una scelta radicata nell’amore.
Tuttavia, il colpo di grazia alla sua umanità è il coltello che lui
stesso conficca nel petto dei suoi concorrenti. Il suggerimento era
semplicemente quello di tagliare la gola ai concorrenti, ma In-ho
fa un passo in più. Quando uccide un giocatore, la telecamera fa
una panoramica per mostrare che i corpi dei concorrenti sono
brutalmente pugnalati e squarciati.
Sembra essere in uno stato di
frenesia, vista la velocità con cui pugnalata l’altro giocatore e
il suo linguaggio del corpo. Sebbene non sia spiegato
esplicitamente perché abbia fatto di tutto invece di limitarsi a
tagliare loro la gola, possiamo dedurre dal contesto che il trauma
dei giochi lo ha fatto scattare. Questo rende ancora più
interessanti i parallelismi e le differenze tra In-ho e Gi-hun,
perché entrambi avevano motivazioni relativamente simili e hanno
vissuto esperienze relativamente analoghe durante i giochi, ma con
esiti diversi.
Gi-hun e In-ho avevano entrambi una
persona cara con spese mediche che non potevano coprire. Entrambi
sono arrivati fino alla fine, vedendo morire le persone intorno a
loro. Tuttavia, In-ho ha ceduto al sistema che lo ha traumatizzato,
perdendo la sua umanità e diventando l’incarnazione della frase “le
persone ferite feriscono gli altri”. Nel frattempo, Gi-hun ha
mantenuto la sua umanità, anche se ha avuto momenti più bui nella
terza stagione di Squid Game. Ha messo a rischio
la sua vita per combattere contro i giochi, dimostrando che non
tutti coloro che subiscono traumi orribili fanno subire agli altri
la stessa cosa.
In-ho uccide spietatamente gli
altri concorrenti e dimostra a Il-nam di essere speciale
Sebbene il pubblico veda come In-ho
vince il suo round di Squid Game, non viene
mostrato mentre assume il comando del Front Man. Viene spontaneo
chiedersi perché Il-nam abbia scelto In-ho come nuovo Front Man
invece di scegliere un vincitore di un altro anno. La risposta
potrebbe trovarsi nella spietatezza con cui In-ho uccide gli altri
giocatori. Il fatto che la stessa proposta venga offerta sia nella
28ª che nella 27ª edizione di Squid Game suggerisce che ai
concorrenti più promettenti venga fatta esattamente la stessa
offerta prima della partita finale.
In-ho probabilmente non è il primo a
dire di sì all’idea di uccidere gli altri giocatori con un coltello
per poter avere tutti i soldi. Tuttavia, quando si tratta di
uccidere, va ben oltre, dimostrando involontariamente a Il-nam che
sarebbe un membro prezioso del team. Considerando il modo estremo
in cui ha ucciso i suoi concorrenti, non avrebbe alcuna remora a
dare l’ordine alle guardie rosa di sparare ai concorrenti con
mitragliatrici.
Il-nam ha fatto a In-ho ciò che
In-ho ha cercato di fare a Gi-hun nella terza stagione di
Squid Game
Come spiegato, Gi-hun è riuscito a
mantenere la sua umanità durante le stagioni 2 e 3 di Squid
Game, ma non è stato facile. La sua scelta di uccidere
Dae-ho potrebbe essere stata pratica, dato che doveva passare al
gioco successivo, ma è stato anche un atto di vendetta molto
personale. Ciò ha prefigurato la possibilità che Gi-hun superasse
il punto di non ritorno per quanto riguarda la sua umanità.
Poi, alla fine della terza stagione
di Squid Game, In-ho fa a Gi-hun la stessa offerta
che lui stesso ha ricevuto. Vedendo come si è comportato con
Dae-ho, In-ho potrebbe aver sperato che i giochi avessero
annientato la sua umanità. Come spettatori, viene da chiedersi se
sarebbe passato all’oscurità. In-ho sperava che Gi-hun prendesse la
stessa decisione, rendendolo insensibile alla vita umana.
Fortunatamente, quando ne ha più
bisogno, Gi-hun vede Sae-byeok. Lei gli disse di non uccidere
Sang-woo a sangue freddo nella stagione 1 di Squid
Game perché non è quello che lui è come persona. Questo
ricordo o allucinazione (non è chiaro quale dei due) gli ricorda
chi era prima che i giochi lo indurissero. È la sveglia di cui ha
bisogno. Se avesse ucciso i suoi avversari, avrebbe potuto
trasformarsi in qualcuno in grado di assumere il ruolo di Front Man
negli anni futuri. L’ultimo gesto di Sae-byeok nella storia, molto
tempo dopo la sua morte, è dunque quello di salvare Gi-hun.
Daredevil:
Rinascita (qui
la recensione) era stata originariamente concepita come un
nuovo inizio per l’Uomo senza paura. Come nel caso della DCU, la serie avrebbe dovuto mantenere alcuni
degli attori della serie NetflixDaredevil, ma ignorare in
gran parte ciò che era accaduto in precedenza. Poi, però, è
avvenuta una revisione creativa. La serie Disney+ è diventata essenzialmente la
quarta stagione, riportando in scena personaggi che in precedenza
sarebbero stati accantonati, tra cui Karen Page e
Foggy Nelson.
Nella nuova stagione, inoltre,
Wilson Fisk diventa sindaco e prende il controllo
della città. Nel finale, schiaccia poi la testa del commissario
della polizia di New York a mani nude, probabilmente la scena più
cruenta mai vista nell’MCU. Nonostante ciò, un fan ha recentemente scritto su
X all’interprete di Fisk, Vincent D’Onofrio, affermando che la Disney ha
“indebolito” la sua versione del Kingpin del crimine. Come ci si
poteva aspettare, l’attore non è d’accordo.
“Devo dire che non sono
d’accordo con tutto ciò che dici. Ad essere sincero, le mie
interpretazioni sono state definite in molti modi, ma mai
indebolite”, ha affermato D’Onofrio. “Tuttavia, non recito
la parte solo per te, e tu non guardi la TV solo per me. Quindi
siamo pari, e accetto la tua critica. Non importa la mancanza di
sportività, correttezza e legittimità”.
Il fan in questione ha continuato a
insistere sulla questione, spingendo la star di Daredevil:
Rinascita a rispondere: “Sono io a controllare la
performance del mio personaggio. Lei è un po’ inesperto quando si
tratta di realizzare uno show. I dettagli, la sceneggiatura, le
tecnologie e la struttura e l’architettura complessiva nella
definizione della trama e nell’esecuzione delle
performance”.
“Continua a dire che il problema
è la sceneggiatura. Forse non le piace. A molti invece piace. Non
possiamo accontentare tutti, ma possiamo accontentare milioni di
persone, e loro lo hanno detto. I nostri fan sono molto
rumorosi“. “Mettiamo che io fossi al tuo posto e odiassi
la rappresentazione di Kingpin tanto quanto te”, ha continuato
D’Onofrio. “Ne starei alla larga. Sosterrei la narrazione che
amo invece di criticare gli sceneggiatori e la performance di
qualcuno”, ha concluso l’attore.
In Daredevil:
Rinascita della Marvel Television, Matt Murdock
(Charlie
Cox), un avvocato cieco con capacità straordinarie,
lotta per ottenere giustizia nel suo vivace studio legale, mentre
l’ex boss mafioso Wilson Fisk (Vincent
D’Onofrio) persegue le sue iniziative politiche a New
York. Quando le loro identità passate iniziano a emergere, entrambi
gli uomini si ritrovano inevitabilmente su una rotta di collisione.
Entrambi torneranno nella Stagione 2.
La serie vede la partecipazione
anche di Margarita Levieva, Deborah Ann Woll, Elden Henson,
Zabryna Guevara, Nikki James, Genneya Walton, Arty Froushan, Clark
Johnson, Michael Gandolfini, con Ayelet
Zurer e Jon Bernthal. Dario
Scardapane è lo showrunner.
In una recente intervista, la
costumista di SupermanJudianna Makovsky ha rivelato che la decisione di
far indossare all’Uomo d’Acciaio interpretato da David Corenswet gli iconici slip rossi è stata
presa all’ultimo minuto e che lo stesso James
Gunn era molto indeciso a riguardo. “C’erano molte
persone che non volevano gli slip e molte altre che invece li
volevano. James era molto indeciso. E devo dire che mi sono
rifiutata di arrendermi”, ha dichiarato Makovsky.
Alla fine, si è deciso di optare per
il look classico, ma questo significa che Superman ha creato un
precedente? I fan devono aspettarsi che anche Batman, Lanterna
Verde, Martian Manhunter e altri eroi DC seguano la scelta
adoperata per l’Ultimo Figlio di Krypton? “Non abbiamo
ancora deciso. Le mutande vanno bene. Vedremo cosa succederà”,
ha detto Gunn a Comicbook. Ha poi aggiunto:
“Penso che sia meno probabile che alcuni degli altri personaggi
indossino i pantaloncini”.
A riguardo, concentrandosi su
Batman, ha dichiarato: “Sono più parte del costume di Superman
che di quello di Batman, anche se nei fumetti Batman li ha
indossati spesso”. Sembra poi che nel film Superman
ci sarà un motivo specifico che spiega perché Superman indossa i
mutandoni rossi sopra il costume, ma la discussione ha preso
un’altra piega per evitare spoiler.
Come noto, il primo sguardo al
costume di David Corenswet è stato rivelato nel maggio 2024 e ci
sono state molte discussioni su questi dettagli, incentrate sulla
decisione di includere i pantaloncini. A più di un anno di
distanza, l’opinione pubblica è notevolmente cambiata e molti fan
ora vedono il costume in modo più positivo. Per quanto riguarda
Batman, però, sembra che possiamo aspettarci un costume senza
questo particolare dettaglio.
Tutto quello che sappiamo su
The Brave and the Bold
Parlando l’anno scorso dei piani dei
DC Studios per
The Brave and the Bold, James Gunn ha detto: “Questa è
l’introduzione del Batman del DCU. È la storia di
Damian Wayne, il vero figlio di Batman, di cui non conoscevamo
l’esistenza per i primi otto-dieci anni della sua vita. È stato
cresciuto come un piccolo assassino e assassina. È un piccolo
figlio di puttana. È il mio Robin preferito“. “È basato
sulla run di Grant Morrison, che è una delle mie run preferite di
Batman, e la stiamo mettendo insieme proprio in questi
giorni“.
Il co-CEO dei DC Studios, Peter
Safran, ha aggiunto: “Ovviamente si tratta di un lungometraggio
che vedrà la presenza di altri membri della ‘Bat-famiglia’
allargata, proprio perché riteniamo che siano stati lasciati fuori
dalle storie di Batman al cinema per troppo tempo“. Il film
sarà scritto e diretto da Andy Muschietti. Alla
sceneggiatura, oltre a Muschietti, dovrebbe esserci anche
Rodo Sayagues, noto per aver firmato le
sceneggiature di
La casa,
Man in the Dark e Alien:
Romulus.
Questo aggiornamento getta però
ulteriore incertezza sul futuro di Squid Game dopo
la terza stagione. Secondo alcune indiscrezioni, lo spin-off
occidentale sarebbe in fase di sviluppo dal 2023. Tuttavia, il capo
di Netflix ha già smentito l’idea, insistendo sul fatto che si
trattava solo di una voce. Hwang ha già dichiarato che non intende
tornare alla serie dopo la terza e ultima stagione. Ha anche
affermato di non essere stato ufficialmente informato di uno
spin-off. Sebbene Squid Game abbia immediatamente conquistato la
vetta della classifica di Netflix dopo l’arrivo della terza
stagione, la nuova stagione ha ulteriormente diviso il pubblico e
la critica.
La terza stagione di Squid
Game riporta infatti un punteggio dell’83% da parte dei
critici e del 52% da parte del pubblico su Rotten Tomatoes. Sebbene
la maggior parte abbia avuto un’ottima esperienza di visione,
alcuni hanno criticato il finale e la maggiore attenzione della
serie ai personaggi secondari. Al momento, dunque, il cameo della
Blanchett potrebbe anche semplicemente lasciar intendere che
l’esperienza di Squid Game si svolge anche in altre parti del
mondo, ma che non necessariamente vedremo racconti su di esse. Non
resta dunque che attendere notizie ufficiali da parte di
Netflix.
Nella terza e ultima
stagione di Squid Game, ritroviamo Gi-hun
(Lee Jung-jae) dopo che ha perso il suo miglior
amico nel gioco ed è stato portato alla completa disperazione dal
Front Man (Lee Byung-hun), che ha nascosto la sua
vera identità per infiltrarsi nel gioco. Gi-hun non demorde nel suo
obiettivo di porre fine ai giochi, mentre il Front Man prosegue con
la sua prossima mossa e le scelte dei giocatori sopravvissuti
causano gravi conseguenze a ogni round. Il mondo attende con ansia
di vedere l’incredibile finale scritto e diretto da Hwang
Dong-hyuk, che ha promesso di portare la storia alla sua
meritata conclusione. Ci sarà un barlume di speranza per l’umanità
sullo sfondo della realtà più crudele?
Il regista Hwang
Dong-hyuk, che ha fatto la storia alla 74a edizione dei Primetime
Emmy diventando il primo asiatico a vincere il premio come Miglior
regia di una serie drammatica, è ancora una volta al timone della
serie come regista, sceneggiatore e produttore. Nel cast della
terza stagione troviamo Lee Jung-jae, Lee
Byung-hun, Yim Si-wan, Kang
Ha-neul, Wi Ha-jun, Park Gyu-young, Park
Sung-hoon, Yang Dong-geun, Kang Ae-sim, Jo Yu-ri, Chae Kuk-hee, Lee
David, Roh Jae-won, e Jun Suk-ho, con la
partecipazione speciale di Park Hee-soon.
In
Star Wars: Gli ultimi Jedi (qui
la recensione), Luke Skywalker si allontana
dagli eventi galattici e si rifugia sul remoto pianeta Ahch-To,
oppresso da un profondo senso di fallimento, rimorso e disillusione
nei confronti dell’eredità Jedi e dei propri fallimenti. Il suo
ritiro è in gran parte determinato da un momento cruciale di
debolezza, la sua reazione istintiva all’oscurità che percepiva
crescere in suo nipote, Ben Solo.
Sebbene non abbia mai agito
sull’impulso di colpire Ben, il solo pensiero è stato sufficiente a
distruggere il loro legame e a far precipitare Ben nella sua
identità di Kylo Ren. Per Luke, questo incidente ha cristallizzato
una convinzione più profonda: che l’Ordine Jedi non fosse una
soluzione, ma parte di un ciclo ripetitivo di arroganza e
collasso.
Piuttosto che tentare di ricostruire
quello che considerava un sistema fallimentare, Luke ha scelto di
allontanarsi completamente, cercando la solitudine nel luogo del
primo Tempio Jedi, non per proteggere la sua eredità, ma per
assicurarsi che i Jedi finissero con lui. Il regista Rian
Johnson ha voluto che questa trama mostrasse che anche gli
eroi leggendari sono vulnerabili al dubbio e alla disperazione, e
che il fallimento può plasmare una persona tanto quanto il
trionfo.
Nonostante questa ambizione
tematica, la scelta creativa si è rivelata polarizzante. Molti fan
di lunga data hanno ritenuto che questa rappresentazione fosse in
contrasto con il carattere di Luke. Si aspettavano che affrontasse
le avversità con speranza, non con l’isolamento, che cercasse di
salvare Ben piuttosto che abbandonare la galassia al suo
destino.
Mark Hamill rivela il retroscena
inizialmente ideato per Luke Skywalker
Mark Hamill, che ha
dato vita a Luke, ha espresso le stesse riserve, dichiarandosi in
più occasioni deluso da come il personaggio è stato sviluppato.
Durante la produzione, ha dunque concepito un’interpretazione
personale alternativa dell’evoluzione del personaggio per
conciliare la sceneggiatura con la sua visione di chi fosse
diventato Luke. Durante la sua apparizione al podcast Bullseye with Jess Hord, Hamill ha però
elogiato Johnson e ha ammesso che avrebbe preferito tacere le sue
riserve sul motivo dell’isolamento di Luke.
Tuttavia, ha rivelato di aver detto
a Rian che, secondo lui, ciò che era successo a Ben e al resto dei
suoi allievi avrebbe spinto Luke a raddoppiare i suoi sforzi per
ripristinare l’Ordine Jedi. “Rian, ho visto interi pianeti
essere spazzati via. Semmai, Luke raddoppia la sua determinazione e
rafforza la sua risolutezza di fronte alle avversità”.
Ha poi aggiunto: “Ho pensato:
cosa potrebbe spingere qualcuno a rinunciare alla devozione a
quella che è fondamentalmente un’entità religiosa… a rinunciare a
essere un Jedi? Beh, l’amore di una donna. Quindi lui si innamora
di una donna. Rinuncia a essere un Jedi. Hanno un figlio insieme. A
un certo punto il bambino, ancora piccolo, prende una spada laser
incustodita, preme il pulsante e muore all’istante… La moglie è
così piena di dolore che si suicida“.
Un retroscena decisamente tragico,
che avrebbe sì potuto spingere Luke ad allontanarsi dal proprio
ruolo di Jedi per vivere in solitudine il proprio dolore. Un
risvolto però probabilmente fin troppo drammatico, che avrebbe
necessitato di più tempo per essere esplorato in tutte le sue
conseguenze. Motivo per cui Hamill sembra aver compreso che forse
quanto proposto da Johnson non è interamente da rimuovere dalla
memoria.
Come ormai noto, l’attrice
premio Oscar Charlize Theron fa parte del cast di
Odissea, il nuovo film di Christopher Nolan. Mentre i ruoli di alcuni
membri del cast sono ad oggi stati confermati (Matt
Damon sarà Odisseo, Tom Holland sarà Telemaco), il personaggio che
Theron interpreterà nel film è fino ad ora rimasto un mistero.
Proprio l’attrice, però, ha spezzato questo segreto rivelando il
suo ruolo.
In un’intervista sul red carpet con
Variety, la Theron ha infatti
confermato che interpreterà la dea della stregoneria,
Circe. Circe è una delle principali “antagoniste”
dell’Odissea, una potente maga che intrappola l’eroe protagonista e
i suoi uomini sulla sua isola e trasforma parte dell’equipaggio in
animali. Sebbene non ci sia stato alcun annuncio ufficiale da parte
di Nolan o della Universal, la risposta di Theron nell’intervista
conferma che interpreterà effettivamente Circe.
Quale ruolo avrà la Circe di
Charlize Theron in Odissea?
Circe, nella narrazione, ostacola
dunque Odisseo nel suo viaggio di ritorno a casa per più di un
anno. Oltre a trasformare metà dei suoi uomini in animali con vino
e formaggio drogati, seduce l’eroe e, nella mitologia ampliata, dà
alla luce un figlio con lui di nome Telegono. Dopo aver soggiornato
sull’isola di Circe per un anno, Odisseo e i suoi uomini (che sono
stati trasformati nuovamente in esseri umani) partono e vengono
consigliati/aiutati da Circe per il resto del loro viaggio.
È dunque un personaggio complesso
nel contesto dell’Odissea di Omero, e lo è ancora di più dato che
suo figlio avuto da Ulisse finisce per uccidere accidentalmente suo
padre. Il fatto che un’attrice del calibro della Theron sia stata
scelta per interpretare Circe potrebbe fornire alcuni indizi su ciò
che includerà la trama di Odissea di Nolan. Il
poema epico originale comprende 24 “libri” in totale e per adattare
accuratamente l’intera opera sarebbe necessaria una serie TV di più
stagioni, non un singolo film (anche se della durata di tre
ore).
Sembra che la sosta di Odisseo ad
Eea (l’isola di Circe) sarà un arco narrativo importante nel film,
che non potrà includere tutte le deviazioni del viaggio ventennale
di Ulisse verso casa. Circe potrebbe quindi finire per essere la
cosa più vicina a una vera e propria nemica all’interno del film,
dato il suo coinvolgimento continuo nel viaggio di Ulisse, anche se
questo non è esattamente il suo ruolo nel poema originale per cui è
lecito aspettarsi ulteriori sfumature di questo personaggio.
Il regista Joseph
Kosinski ha parlato del finale adrenalinico di F1 – Il
film (qui
la recensione) e ha fatto luce sulla scena post-credits. Il
film d’azione sportivo con Brad Pitt e Damson Idris ha
già battuto diversi record al botteghino, e le ottime recensioni e
i punteggi del pubblico dovrebbero garantirgli un buon successo
nelle prossime settimane nelle sale. Con momenti drammatici
ispirati a incidenti reali di
Formula 1, personaggi simpatici e gare mozzafiato, F1 – Il
film intrattiene fino al suo
emozionante finale. Tuttavia, c’è un’interessante scena
post-credits che ha lasciato il pubblico a chiedersi se sia in
programma un sequel.
In un’intervista con GQ, Kosinski ha dunque parlato della
scena finale ambientata nel deserto, in cui Sonny corre nella Baja
1000, una gara fuoristrada annuale che si tiene in Messico. GQ
osserva che la scena era in realtà pensata per l’inizio del film,
prima che Ruben Cervantes (Javier
Bardem) proponesse a Sonny di entrare a far parte del
team APX. Riguardo a se questa scena può anticipare un sequel,
Kosinski ha detto:
“Questo sta al pubblico
deciderlo. Penso che abbiamo lasciato un finale davvero aperto per
Sonny, per Kate [interpretata da Kerry Condon] e per Joshua. Quindi
sì, penso che ci sia sicuramente altro da raccontare sul team APXGP
e su dove andrà Sonny Hayes da qui in poi. Ma non è una decisione
che spetta a me”.
Il produttore (e famoso pilota di
F1) Lewis Hamilton e il CEO della Mercedes
Toto Wolff hanno deciso di inserire questa gara
fuoristrada solo al termine del film poiché non c’era “nulla di
traducibile” tra questo stile di corsa e quello della Formula 1.
Invece della Baja 1000, all’inizio del film Sonny viene dunque
mostrato mentre partecipa alla Rolex 24 a Daytona, la famosa gara
di endurance. Il suo passaggio ad un diverso ramo
dell’automobilismo potrebbe dunque effettivamente lasciare aperta
la porta ad un sequel.
Possiamo aspettarci un sequel di F1 – Il
film?
Il film, come noto, vede Pitt nei
panni dell’ex pilota di Formula 1 Sonny Hayes, la cui carriera è
stata interrotta da un grave infortunio più di 30 anni prima degli
eventi di F1 – Il film. Su richiesta del suo ex
compagno di squadra (Bardem), aiuta un talentuoso esordiente
(Idris) e il resto del team APX Grand Prix, ultimo in classifica, a
trovare il loro posto nel mondo ad alto rischio della Formula 1.
Sebbene Sonny sembri aver chiuso con la Formula Uno per il momento,
il fatto che Kosinski abbia incluso una scena in cui lui continua a
correre in qualche modo indica che la storia di Sonny non è
finita.
In realtà, questo dipinge
essenzialmente l’intera esperienza nella Formula 1 come poco più
che un’altra tappa nel percorso nomade di Sonny come pilota a
contratto. È del tutto possibile che Sonny torni nel team APX in un
sequel, ma come tecnico o team principal. Con la sua relazione con
Kate McKenna, interpretata da Kerry Condon,
lasciata in sospeso, ha comunque una motivazione per tornare in
futuro.
Sonny ha anche chiarito
perfettamente a Ruben che preferirebbe morire piuttosto che non
poter guidare. Nonostante il suo ritiro forzato dal team APX, c’è
sicuramente una possibilità che torni come pilota di riserva o
anche come pilota a contratto per un altro team interessato al suo
talento al volante. Stando a quanto dichiarato da Kosinski, però,
tutto dipenderà dai risultati del film al box office e dal grado di
apprezzamento del pubblico.
Vin Diesel ha sorpreso il pubblico sabato al
FuelFest nella California
meridionale, annunciando che l’ultimo film della
serie Fast & Furious uscirà nelle sale
nell’aprile 2027. Diesel, che ha recitato in tutti
i film della serie tranne uno dal 2001, ha rivelato altre novità
durante il suo intervento sul palco, confermando che Fast
& Furious 11 sarà ambientato a Los Angeles e che
vedrà il ritorno del personaggio di Dominic Toretto, interpretato
da Diesel, insieme a Brian O’Conner, interpretato
da Paul Walker.
Walker, come noto, ha recitato con
Diesel in cinque film della saga prima di morire tragicamente in un
incidente stradale nel novembre 2013 all’età di 40 anni. Le scene
rimaste in sospeso per Fast & Furious
7 sono dunque state girate con l’aiuto dei fratelli
di Walker e con la sovrapposizione del volto dell’attore sui loro
corpi. È probabile che, per far comparire in scena Brian O’Conner
per quello che potrebbe essere semplicemente un cameo conclusivo
che riunisce i due amici, verrà utilizzata la stessa tecnica.
Diesel aveva già utilizzato i suoi
canali social per sollecitare la Universal Pictures a fissare la
data di uscita di Fast & Furious 11, il seguito di
Fast X del 2023 che ha incassato oltre 700 milioni
di dollari al botteghino mondiale. Il sequel è stato annunciato
come l’ultimo film della serie, ma bisognerà dunque attendere
ancora due anni prima di poterlo vedere. Non resta dunque che
attenderer maggiori novità a riguardo, sapendo però che il ritorno
di O’Conner in scena potrebbe dar vita ad un finale di saga
particolarmente emozionante.
Dove eravamo rimasti con
Fast X?
Alla conclusione di Fast
X, siamo rimasti con un cliffhanger quando Dante
di Jason
Momoa sembrava andarsene con il sopravvento su
Dominic Toretto di
Vin Diesel, dopo aver tentato di raggiungere il figlio
di Dom, Brian, tramite l’aiuto del voltagabbana Aimes (
Alan Ritchson). Il fratello di Dom, Jakob
(John
Cena), si sacrifica per salvare Brian e portarlo in
salvo. Dom e Brian si gettano in acqua, ovviamente, da una diga e
sopravvivono a malapena. Nel frattempo, Letty (Michelle
Rodriguez) si ritrova in una prigione artica insieme a
Cipher di Charlize
Theron, prima che Gisele di Gal
Gadot, presumibilmente morta dopo gli eventi
di Fast
and Furious 6, arrivi in un sottomarino per
aiutare.
Una scena a metà titoli rivela che
anche
Dwayne Johnsontornerà
nel franchise per il finale. Dopo essere stato etichettato
come criminale, Hobbs è stato al lavoro per rintracciare i
suoi obiettivi e scoprire una delle reti di sorveglianza di
Dante. Dante promette che anche Hobbs sarà un obiettivo,
creando una potenziale faida che potrebbe estendersi anche a un
altro film spin-off in cui
Dwayne Johnson sarà il protagonista, una volta che la
sua attuale storia in WWE sarà terminata.
Contrariamente a quanto
ha detto una parte consistente della critica, la
terza stagione di The
Bear aveva molti aspetti positivi. Tra
tutti, la “stasi” degli episodi, ovvero l’impossibilità di
sviluppare un arco narrativo preciso. Carmy prima di tutto, ma in
fondo anche Sydney e Richie, continuano a rimanere impantanati nei
propri problemi personali, e questo restituiva il sapore della vita
vera, dove dalle proprie gabbie psicologiche si esce con molta
fatica e tempo impiegato, o addirittura proprio non se ne esce.
La sfida di The Bear Stagione 4
Il problema è che la
finzione, quando realizzata con lucidità come nel caso di
The Bear, può avvicinarsi alla realtà, ma non
restituirla. A un certo punto bisogna necessariamente che storie e
personaggi percorrano un processo di evoluzione (o involuzione) che
generi una narrazione, ed era quindi questa la sfida della quarta
stagione. Per le prime sei puntate, ciò non succede, e questo si
rivela un periodo di tempo troppo lungo perché la serie non perda
una certa efficacia, continuando a offrire psicologie e situazioni
che sono sempre le stesse, messe in scena con cura ma non in
maniera diversa da quanto già visto in precedenza. Certamente ci
sono in questi episodi momenti commoventi, come ad esempio il
toccante finale della terza puntata, ma nel complesso si ha la
sensazione che il blocco non abbia molto da raccontare, o almeno
nulla di particolarmente interessante.
Poi arriva la settima
puntata da un’ora abbondante, specchio del tanto celebrato sesto
episodio della Season 2. Ma la nuova, gigantesca
riunione familiare di The Bear Stagione 4
al contrario possiede una finezza di racconto, una gentilezza nel
tocco che sa andare in profondità. E infatti si rivela il momento
in cui alcune delle figure fondamentali dello show iniziano
veramente a fare i conti con i propri scheletri nell’armadio. Non
ci sono colpi di scena radicali, e questo rende lo spettacolo ancor
più reale e toccante. Davvero un gran momento di televisione
seriale, esplicitato dalla scena che vede protagonista
Jeremy Allen White e un altro
attore che ritorna in un cammeo prezioso (no spoiler).
Se The Bear
Stagione 4 fosse finita in quel momento, la considerazione
complessiva sull’intera stagione sarebbe stata molto migliore.
Invece il creator e regista Christopher Stoter
doveva arrivare a dieci episodi. Dopo averne regalati un altro paio
di buon effetto e tenuta narrativa accettabile, sceglie di chiudere
il tutto con una sorta di kammerspiel che vede protagonisti i
personaggi principali, i quali vengono quasi costretti dall’unità
di luogo a confrontarsi, ad aprirsi in maniera anche drammatica. Se
sulla carte questa poteva essere un’idea vincente, la sua
realizzazione ottiene purtroppo l’effetto contrario. L’ultimo
episodio di The Bear Stagione 4 risulta infatti
forzato, eccessivamente “urlato” (quando invece la quasi totale
assenza di momenti “over the top” si era rivelata una scelta
intelligente), e una certa retorica fa capolino sia nei dialoghi
che nell’arco narrativo che viene proposto per chiudere i conti. Un
finale piuttosto artefatto, non in linea con la coerenza interna
apprezzabile o meno dei precedenti episodi, ma comunque
tangibile.
La stagione più
ondivaga
Della stagioni di
The Bear realizzate fino a oggi, quest’ultima è
decisamente quella maggiormente ondivaga, spesso potente ma anche
talvolta imprecisa. L’ipotesi è che Storer stia iniziando
leggermente ad allungare il filo della narrazione affidandosi un
po’ troppo alla tensione drammatica insita nei personaggi, o nelle
atmosfere spesso intime del set principale, ovvero la cucina del
ristorante. Una eventuale Stagione 5 – ancora non confermata –
potrebbe portare novità sostanziali, le quali pur lasciando incerti
i fan dello show potrebbero al contrario rappresentare un toccasana
per la sua continuazione. Staremo a vedere. Intanto Carmy, Sydney
Richie e gli altri “orsi” continuano a farci soffrire come la buona
televisione sa fare…
Squid
Game conclude finalmente la sua corsa con
la terza stagione, non solo risolvendo tutti i punti fondamentali,
ma anche con un cameo intrigante nei momenti finali. L’ultima
puntata della serie coreana di successo Netflix inizia con il ritorno di Gi-hun
nella sala comune dei giochi e il ricongiungimento con i
sopravvissuti. Tuttavia, dopo aver perso il suo amico Jung-bae e
ritenendosi responsabile della morte di molti innocenti, Gi-hun si
sente distrutto e senza speranza. Il suo lato oscuro emerge quando
uccide Dae-ho durante il primo gioco della terza stagione di Squid Game, sperando che dare la colpa
a qualcun altro lo faccia sentire un po’ meglio.
L’uccisione di Dae-ho rende
Gi-hun ancora più disilluso ed emotivamente vuoto, ma alla fine
riesce a liberarsi dalla spirale discendente quando sia Geum-ja che
Jun-hee gli affidano la responsabilità di prendersi cura del
neonato di Jun-hee. Determinato a garantire la sopravvivenza del
bambino, Gi-hun entra nell’arena del gioco finale, dove tutto,
dalla sua moralità alla sua capacità di sopravvivere, viene messo
alla prova.
In più di un senso, Gi-hun alla
fine esce vittorioso, ma paga un prezzo molto alto per trovare la
pace e la redenzione.
Perché Gi-hun si sacrifica per
far vincere il bambino nel finale della terza stagione di Squid
Game
Gi-hun capisce il suo vero
scopo
La seconda stagione di Squid
Game presentava una scena confusa ma apparentemente
significativa in cui la sciamana diceva a Gi-hun che era arrivato
così lontano solo perché aveva uno scopo da compiere. Guardava
persino Jun-hee mentre parlava dello scopo di Gi-hun, suggerendo
che la fine della sua storia avrebbe avuto qualcosa a che fare con
lei. Per la maggior parte della serie, la sciamana Seon-nyeo
sembrava solo delirante. Tuttavia, la sua previsione sulla
profezia che Gi-hun doveva compiere si è avverata quando Gi-hun
ha salvato il bambino di Jun-hee mettendo a rischio la propria
vita.
All’inizio della terza stagione,
Gi-hun era sul punto di diventare spietato come il Front Man. Ha
persino sfiorato l’immoralità quando ha ucciso Dae-ho durante il
gioco a nascondino. Tuttavia, a differenza del Front Man,
Gi-hun ha conservato ciò che restava della sua umanità non
scatenando una carneficina contro gli altri giocatori sopravvissuti
quando il Front Man gli ha dato l’opportunità di farlo. Se avesse
accettato l’offerta del Front Man e ucciso i suoi avversari nel
sonno, non sarebbe stato diverso da Myeong-gi, disposto a uccidere
suo figlio per vincere.
È stato proprio il suo senso
di umanità a dare a Gi-hun la forza di sacrificarsi per il
bambino.
È stato proprio il suo senso di
umanità a dare a Gi-hun la forza di sacrificarsi per il bambino.
Verso la fine, Gi-hun sembra anche rendersi conto che non potrà
mai vivere in pace con se stesso dopo tutto quello che ha fatto e
vissuto. Il bambino, tuttavia, potrebbe finalmente rompere il
ciclo di violenza perpetuato dai giochi e crescere in un mondo
molto migliore di quello in cui ha vissuto Gi-hun. Squid Game – stagione 3 ha un finale simile a quello
della stagione 1 per diversi motivi, dato che, come Sang-woo,
Gi-hun si rende conto del prezzo delle sue azioni e permette a
qualcun altro di vincere il premio.
Il cameo di Cate Blanchett nel
finale della terza stagione di Squid Game spiegato
L’attrice hollywoodiana
potrebbe sostituire Gong Yoo
Prima che inizino i titoli di coda
della terza stagione di Squid Game, una sequenza mostra Cate Blanchett vestita come l’iconico
venditore interpretato da Gong Yoo. Interpreta il gioco di
reclutamento di Squid Game, Ddakji, con un uomo e lo schiaffeggia
ogni volta che non riesce a capovolgere le buste nel gioco. Questa
scena sembra suggerire che il rumored spin-off americano di Netflix
di Squid Game sia già in lavorazione. Solo il tempo dirà se
Cate Blanchett avrà un ruolo nella prossima
serie, ma la scena finale potrebbe significare che lei è la nuova
venditrice.LO SAPEVATE CHE: Il creatore di Squid Game, Hwang
Dong-hyuk, ha anche un’idea per uno spin-off che si svolgerebbe tra
la prima e la seconda stagione e descriverebbe “cosa facevano i
reclutatori, il capitano Park (Oh Dal-su), gli ufficiali o gli
uomini mascherati in quel periodo”.
Considerando che Gong Yoo è
stato uno degli attori più famosi del cast di Squid Game,
avrebbe senso che il remake americano avesse un’attrice famosa come
Cate Blanchett nel ruolo della Venditrice. Il futuro del
franchise di Squid Game rimarrà incerto fino a quando
Netflix non farà annunci ufficiali su ciò che ci aspetta. Tuttavia,
anche se i remake di serie acclamate dalla critica possono spesso
rivelarsi difficili, il potenziale coinvolgimento di Cate Blanchett
nello spin-off rende il progetto molto interessante.
“Non siamo cavalli. Siamo
esseri umani. Gli esseri umani sono…”: spiegazione delle ultime
parole di Gi-hun
Gi-hun sembra in conflitto con
se stesso nei suoi ultimi istanti
Fin dai primi momenti, Squid
Game ha utilizzato i cavalli come metafore efficaci per i
giocatori dei giochi che danno il titolo alla serie. Nell’arco
narrativo iniziale, Gi-hun investe molto in una corsa di cavalli,
sperando di vincere alla grande e risolvere definitivamente i suoi
problemi finanziari. Tuttavia, ben presto, diventa lui stesso un
cavallo quando i VIP scommettono su di lui e sugli altri giocatori
mentre compete per vincere una corsa per il loro divertimento.
“Voi scommettete sui cavalli.
Qui è lo stesso, ma noi scommettiamo sugli esseri umani. Voi siete
i nostri cavalli”, dice il Front Man nella prima stagione,
ricordando a Gi-hun come le persone come lui siano ridotte a
semplici strumenti di intrattenimento dai ricchi. Come i
cavalli, anche Gi-hun e gli altri giocatori si conformano e lottano
per partecipare ai giochi senza considerare i loro diritti e la
loro autonomia come esseri umani. Tuttavia, verso la fine della
serie, Gi-hun usa le sue ultime forze per protestare contro gli
organizzatori del gioco e ricordare loro che non sono cavalli, ma
esseri umani.
Nella prima stagione, Gi-hun
risponde con sicurezza al Front Man e gli dice: “Ascolta
attentamente. Non sono un cavallo. Sono una persona. Ecco perché
voglio sapere chi siete… e come potete commettere tali atrocità
contro le persone.“ Purtroppo, dopo aver visto il meglio e
il peggio dell’umanità durante i giochi, il personaggio si sente in
conflitto su ciò che pensa degli esseri umani. Pertanto, si
ferma a ”gli esseri umani sono…” invece di dire qualcosa di
più o di meno.
Chi prende il premio vinto da
Gi-hun nella prima stagione dalla camera d’albergo (e
perché)
Il Front Man lo passa a
qualcuno che lo merita
Una figura misteriosa irrompe
nella camera d’albergo dove Gi-hun aveva conservato tutto il denaro
vinto nella prima stagione, e Woo-seok fatica a capire chi possa
averlo preso. Nei momenti finali della serie, il Front Man,
In-ho, si presenta a casa della figlia di Gi-hun e le dice che
conosceva suo padre. La figlia sembra arrabbiata con suo padre e
afferma di non voler avere nulla a che fare con lui. Tuttavia, il
suo cuore si scioglie quando In-ho le rivela che suo padre è
morto.
Ha lasciato tutta la
ricchezza di Gi-hun a sua figlia perché ha capito che era ciò che
Gi-hun avrebbe voluto.
In-ho se ne va subito dopo averle
lasciato una scatola piena degli effetti personali del padre. Oltre
alla tuta da ginnastica di Squid Game, la scatola contiene una
piccola busta con una carta di debito, che sembra dare alla figlia
accesso al premio in denaro di Gi-hun. Questo conferma che
In-ho ha preso i soldi di Gi-hun e li ha messi al sicuro in una
banca. Ha lasciato tutta la ricchezza di Gi-hun alla figlia perché
ha capito che era quello che avrebbe voluto Gi-hun.
Perché il front man lascia il
bambino a suo fratello
Si rende conto che Jun-ho darà
al bambino una vita migliore di quella che lui potrà mai
dargli
Come suggeriscono le storie di
Jun-ho e In-ho, In-ho ha sempre tenuto molto al suo fratellastro
minore, Jun-ho, e gli ha persino donato uno dei suoi reni.
Tuttavia, si è allontanato da lui dopo che le difficoltà
finanziarie e l’impossibilità di curare la moglie malata lo hanno
costretto a partecipare alla 28ª edizione di Squid Game. La terza
stagione di Squid Game rivela anche che, per vincere i giochi,
In-ho ha sgozzato tutti i suoi concorrenti mentre
dormivano.
Nell’arco finale di Squid
Game, In-ho si rende conto che non tutti gli esseri umani sono
egoisti e freddi come i giochi gli hanno fatto credere. Capisce
che, anche se le circostanze lo hanno fatto perdere il senso della
moralità, c’è ancora del buono in persone come suo fratello e
Gi-hun. Il sacrificio di Gi-hun lo aiuta a capire che gli esseri
umani meritano una seconda possibilità e non possono essere
trattati come pedine in un sistema creato dall’élite corrotta.
Pertanto, decide di allontanare la bambina dal suo mondo distorto,
lasciandola a casa di suo fratello.
Squid Game non approfondisce
troppo la vita del Front Man dopo i giochi, ma lui sembra
preoccupato quando vede il personaggio interpretato da Cate
Blanchett reclutare nuovi giocatori per una sede negli Stati
Uniti.
Rendendosi conto che suo fratello è
un brav’uomo, gli lascia persino il premio in denaro della
bambina. Squid Game non approfondisce troppo la vita del
Front Man dopo i giochi, ma lui sembra preoccupato quando vede il
personaggio interpretato da Cate Blanchett reclutare nuovi
giocatori per una sede negli Stati Uniti. Questo suggerisce che,
dopo aver visto il sacrificio di Gi-hun, In-ho ha capito che i
giochi non dovrebbero esistere.
No-eul riuscirà a riunirsi con
sua figlia in Cina?
Il futuro di No-eul rimane
incerto
Quando No-eul esamina i registri
delle guardie nella sede dei giochi, trova alcuni documenti su se
stessa. I suoi documenti rivelano che sua figlia è morta. Dopo aver
appreso il destino di sua figlia, No-eul si sente distrutta, ma il
sacrificio di Gi-hun la incoraggia a vivere e a tornare nel mondo
esterno. Con sua grande sorpresa, il suo investigatore privato
le rivela di aver trovato qualcuno in Cina che sembra corrispondere
alla descrizione di sua figlia.
Con una nuova speranza, No-eul si
reca in Cina, credendo di poter finalmente riunirsi con sua figlia.
La serie lascia la sua storia un po’ in sospeso, non rivelando se
lei riesca a rivedere sua figlia. Tuttavia, come spettatori, è
difficile non sperare che tutto finisca bene per il personaggio di
Park Gyu-young in Squid Game.
Perché Jun-ho non spara a suo
fratello In-ho
Ricorda come suo fratello lo ha
risparmiato
Jun-ho arriva al luogo dei giochi
proprio prima che In-ho stia per andarsene con il bambino. Questo
offre a Jun-ho l’occasione perfetta per fermare suo fratello
uccidendolo. Tuttavia, sceglie comunque di risparmiarlo perché
suo fratello ha fatto lo stesso nella prima stagione.
Nonostante sia diventato freddo dopo aver partecipato ai giochi e
averli infine organizzati come Front Man, In-ho sembra non aver mai
perso il suo affetto complicato ma profondo per il suo
fratellastro. Anche Jun-ho se ne rende conto, ed è per questo che
fatica a premere il grilletto nel finale della terza stagione di
Squid Game.
Quali personaggi principali di
Squid Game sono ancora vivi dopo la fine della terza
stagione
Solo due giocatori
sopravvivono
Tra i giocatori, il bambino
(giocatore 222) sopravvive perché Gi-hun garantisce la sua
incolumità sacrificando la propria vita. Anche Kyung-seok
(giocatore 246) finisce per sopravvivere perché No-eul lo protegge.
Lei gli spara intenzionalmente in una zona non vitale e finge di
stare al gioco delle altre guardie che trafficano in esseri umani.
Tuttavia, non appena lo portano dal medico per asportargli gli
organi, lei uccide le guardie e chiede al medico di curare la
ferita del giocatore 246.
Poi ricatta l’ufficiale per
ottenere una barca per lei e il Giocatore 246. Anche se il
Giocatore 246 rischia di essere ucciso durante il viaggio di
ritorno, Jun-ho e i suoi uomini lo salvano all’ultimo momento.
No-eul lo fa perché in precedenza ha incontrato sua figlia nel
mondo esterno e ha persino scoperto che sta combattendo contro il
cancro. Rendendosi conto che Kyung-seok era ai giochi solo per
ottenere i soldi per le cure di sua figlia, lei prova empatia per
lui e decide di intraprendere una missione per riunirlo con sua
figlia. In questo modo, spera di redimersi per aver lasciato suo
figlio in Corea del Nord.
Il vero significato dell’intera
storia di Squid Game spiegato
La serie presenta una metafora
inquietante per molte questioni del mondo reale
Per molto tempo è stato difficile
non vedere il Front Man come il cattivo principale della serie.
Tuttavia, l’arco narrativo finale di Squid Game mostra come
anche In-ho fosse un tempo un giocatore disperato, determinato a
creare una vita migliore per sé stesso e la sua famiglia. Vedeva i
giochi come una fonte di salvezza piuttosto che di crudeltà, ma la
sua disperazione si è presto trasformata in distacco. Alla fine, ha
perso se stesso nel sistema generale, evidenziando quanto sia
facile cadere preda degli schemi dei potenti quando viene offerta
una parvenza di controllo in cambio della propria moralità e
coscienza.CorrelatiSpiegata la durata scioccante della terza
stagione di Squid GameLa terza stagione di Squid Game è la più
breve della serie, con solo sei episodi, uno in meno della già
breve seconda stagione, ma c’è una buona ragione per questo.
Mentre le vicende di In-ho e di
molti altri personaggi sono un monito su come la caduta morale di
una persona raramente sia improvvisa e spesso sia guidata dal
semplice desiderio di sopravvivere, la storia di Gi-hun e il suo
sacrificio finale mostrano come un singolo giocatore possa portare
ondate di cambiamento e sfidare le fondamenta di un sistema basato
sullo sfruttamento.
Squid Game può anche
essere visto come un gioco sull’illusione del libero arbitrio che
spesso esiste nei sistemi capitalistici. Come i giocatori, gli
individui sono portati a credere di essere liberi di plasmare il
proprio destino e vincere un grande premio in denaro, ma sono
ostacolati dalle disuguaglianze e dalle divisioni di classe.
Un personaggio significativo della
prima stagione fa un cameo nella
terza stagione di Squid
Game, influenzando notevolmente la storia di Gi-hun.
Dopo tre stagioni, il thriller horror distopico di successo di
Netflix è giunto al termine, concludendo la serie TV
coreana e preparando il terreno per lo spin-off americano
Squid
Game. La terza stagione di Squid Game, che purtroppo
è la più controversa tra i fan e la critica, riprende da dove la
storia si era interrotta. Gi-hun è costretto a tornare ai giochi e
viene ammanettato nel tempo libero per impedire ulteriori tentativi
di ribellione.
Poiché Gi-hun è stato il
personaggio principale di Squid Game fin dall’inizio,
sembrava scontato che sarebbe arrivato alla finale, anche se alla
fine fosse morto. Tuttavia, il suo percorso per arrivarci è stato
sicuramente interessante.
Uno dei momenti più significativi
lo vede faccia a faccia con un personaggio della prima stagione di
Squid Game, che gli offre un consiglio molto utile.
Jung Ho-yeon riprende il ruolo
di Sae-byeok nella terza stagione di Squid Game
Sae-byeok appare nella terza
stagione di Squid Game, episodio 5, “Circle Triangle
Square”
Durante tutta la prima stagione di
Squid Game, Jung Ho-yeon interpreta il personaggio stanco ma
adorabile di Kang Sae-byeok, alias Giocatore 067. Grazie alla sua
astuzia e alla sua grinta, riesce ad arrivare fino alla finale a
tre, prima di soccombere a una ferita causata dai vetri frantumati
del ponte. Dopo la morte di Sae-byeok nella prima stagione di
Squid Game, Jung Ho-yeon non era prevista per il ritorno.
Tuttavia, il regista Hwang Dong-hyeok ha accennato alla possibilità
di un suo ritorno ai SAG Awards 2022 (tramite
RFA), dicendo: “Molti personaggi sono morti nella prima
stagione, ma stiamo cercando di riportarli in vita nella seconda.
Forse Sae-byeok ha una sorella gemella”.
Il suo personaggio rimane
morto, ma appare come un ricordo o una visione a Gi-hun nel momento
in cui ne ha più bisogno.
La possibilità che Jung Ho-yeon
apparisse è diventata ancora più remota quando non ha avuto alcun
ruolo di rilievo nella seconda stagione. Tuttavia, hanno trovato un
modo per riportarla in vita, dato che l’attrice ha ripreso il ruolo
di Sae-byeok nella terza stagione di Squid Game.
Fortunatamente, non hanno fatto un colpo di scena alla Oh Il-nam
rendendola una dei VIP o riportandola in vita. Sarebbe stato
imperdonabile, considerando che è uno dei personaggi più amati di
Squid Game. Invece, il suo personaggio rimane morto,
apparendo solo come un ricordo o una visione a Gi-hun nel momento
in cui ne aveva più bisogno.
Perché Gi-hun vede davvero
Sae-byeok prima della partita finale
Gi-Hun aveva bisogno di un
promemoria di chi è
Gi-hun la vede prima della partita
finale, dopo aver avuto l’opportunità di uccidere gli altri
concorrenti. Non è chiaro se stia ricordando la loro interazione
passata o se creda che lei sia davvero nella stanza con lui. In
ogni caso, l’apparizione di Sae-byeok è probabilmente indotta dallo
stress, dai sentimenti contrastanti e dalla mancanza di sonno. Nel
momento in cui sta per uccidere il giocatore 100, lei gli dice la
stessa cosa che gli aveva detto prima della partita finale nella
prima stagione di Squid Game: “Non farlo. Tu non sei
così”.
Questa frase lo ha riportato
all’umanità a cui aveva cercato di aggrapparsi dopo la ribellione
fallita. La terza stagione di Squid Game ha portato Gi-hun
in un luogo oscuro, ma Sae-byeok lo ha riportato alla luce.
Da quel momento in poi, sembra che stia cercando di rimanere l’uomo
che Sae-byeok credeva che fosse. Forse non riuscirà a sfuggire al
trauma e alla rabbia causati dalla partecipazione ai giochi, ma può
aggrapparsi a quel piccolo barlume di chi era prima.
La scena di Sae-byeok nella
terza stagione di Squid Game chiude il cerchio
Sae-byeok gli ha dato il
consiglio di cui aveva bisogno in una situazione quasi
identica
Oltre a regalare ai fan un cameo
felice, la breve scena di Sae-byeok nella terza stagione di
Squid Game ha contribuito a chiudere il cerchio della
narrazione. Gi-hun aveva la possibilità di porre fine ai giochi
nella prima stagione uccidendo Cho Sang-woo mentre il suo amico
dormiva prima della partita finale. Lui e Sae-byeok avrebbero
potuto potenzialmente uscirne vivi. Tuttavia, ciò avrebbe richiesto
che lui tradisse uno dei suoi valori fondamentali, trasformandolo
in qualcuno che non è. Sae-byeok lo capiva.
Alla fine, Gi-hun si ritrova
praticamente nella stessa posizione alla
fine della terza stagione di Squid Game. Aveva i mezzi e
l’opportunità di tagliare la gola a tutti gli altri membri per
salvare se stesso e il bambino.
Tuttavia, le sue azioni lo
avrebbero spinto oltre il limite, perché avrebbe dovuto diventare
un assassino a sangue freddo. È giusto che Sae-byeok gli ricordi
ancora una volta chi è nella stagione finale di Squid Game.