Come ormai noto, l’attrice
premio Oscar Charlize Theron fa parte del cast di
Odissea, il nuovo film di Christopher Nolan. Mentre i ruoli di alcuni
membri del cast sono ad oggi stati confermati (Matt
Damon sarà Odisseo, Tom Holland sarà Telemaco), il personaggio che
Theron interpreterà nel film è fino ad ora rimasto un mistero.
Proprio l’attrice, però, ha spezzato questo segreto rivelando il
suo ruolo.
In un’intervista sul red carpet con
Variety, la Theron ha infatti
confermato che interpreterà la dea della stregoneria,
Circe. Circe è una delle principali “antagoniste”
dell’Odissea, una potente maga che intrappola l’eroe protagonista e
i suoi uomini sulla sua isola e trasforma parte dell’equipaggio in
animali. Sebbene non ci sia stato alcun annuncio ufficiale da parte
di Nolan o della Universal, la risposta di Theron nell’intervista
conferma che interpreterà effettivamente Circe.
Quale ruolo avrà la Circe di
Charlize Theron in Odissea?
Circe, nella narrazione, ostacola
dunque Odisseo nel suo viaggio di ritorno a casa per più di un
anno. Oltre a trasformare metà dei suoi uomini in animali con vino
e formaggio drogati, seduce l’eroe e, nella mitologia ampliata, dà
alla luce un figlio con lui di nome Telegono. Dopo aver soggiornato
sull’isola di Circe per un anno, Odisseo e i suoi uomini (che sono
stati trasformati nuovamente in esseri umani) partono e vengono
consigliati/aiutati da Circe per il resto del loro viaggio.
È dunque un personaggio complesso
nel contesto dell’Odissea di Omero, e lo è ancora di più dato che
suo figlio avuto da Ulisse finisce per uccidere accidentalmente suo
padre. Il fatto che un’attrice del calibro della Theron sia stata
scelta per interpretare Circe potrebbe fornire alcuni indizi su ciò
che includerà la trama di Odissea di Nolan. Il
poema epico originale comprende 24 “libri” in totale e per adattare
accuratamente l’intera opera sarebbe necessaria una serie TV di più
stagioni, non un singolo film (anche se della durata di tre
ore).
Sembra che la sosta di Odisseo ad
Eea (l’isola di Circe) sarà un arco narrativo importante nel film,
che non potrà includere tutte le deviazioni del viaggio ventennale
di Ulisse verso casa. Circe potrebbe quindi finire per essere la
cosa più vicina a una vera e propria nemica all’interno del film,
dato il suo coinvolgimento continuo nel viaggio di Ulisse, anche se
questo non è esattamente il suo ruolo nel poema originale per cui è
lecito aspettarsi ulteriori sfumature di questo personaggio.
Il regista Joseph
Kosinski ha parlato del finale adrenalinico di F1 – Il
film (qui
la recensione) e ha fatto luce sulla scena post-credits. Il
film d’azione sportivo con Brad Pitt e Damson Idris ha
già battuto diversi record al botteghino, e le ottime recensioni e
i punteggi del pubblico dovrebbero garantirgli un buon successo
nelle prossime settimane nelle sale. Con momenti drammatici
ispirati a incidenti reali di
Formula 1, personaggi simpatici e gare mozzafiato, F1 – Il
film intrattiene fino al suo
emozionante finale. Tuttavia, c’è un’interessante scena
post-credits che ha lasciato il pubblico a chiedersi se sia in
programma un sequel.
In un’intervista con GQ, Kosinski ha dunque parlato della
scena finale ambientata nel deserto, in cui Sonny corre nella Baja
1000, una gara fuoristrada annuale che si tiene in Messico. GQ
osserva che la scena era in realtà pensata per l’inizio del film,
prima che Ruben Cervantes (Javier
Bardem) proponesse a Sonny di entrare a far parte del
team APX. Riguardo a se questa scena può anticipare un sequel,
Kosinski ha detto:
“Questo sta al pubblico
deciderlo. Penso che abbiamo lasciato un finale davvero aperto per
Sonny, per Kate [interpretata da Kerry Condon] e per Joshua. Quindi
sì, penso che ci sia sicuramente altro da raccontare sul team APXGP
e su dove andrà Sonny Hayes da qui in poi. Ma non è una decisione
che spetta a me”.
Il produttore (e famoso pilota di
F1) Lewis Hamilton e il CEO della Mercedes
Toto Wolff hanno deciso di inserire questa gara
fuoristrada solo al termine del film poiché non c’era “nulla di
traducibile” tra questo stile di corsa e quello della Formula 1.
Invece della Baja 1000, all’inizio del film Sonny viene dunque
mostrato mentre partecipa alla Rolex 24 a Daytona, la famosa gara
di endurance. Il suo passaggio ad un diverso ramo
dell’automobilismo potrebbe dunque effettivamente lasciare aperta
la porta ad un sequel.
Possiamo aspettarci un sequel di F1 – Il
film?
Il film, come noto, vede Pitt nei
panni dell’ex pilota di Formula 1 Sonny Hayes, la cui carriera è
stata interrotta da un grave infortunio più di 30 anni prima degli
eventi di F1 – Il film. Su richiesta del suo ex
compagno di squadra (Bardem), aiuta un talentuoso esordiente
(Idris) e il resto del team APX Grand Prix, ultimo in classifica, a
trovare il loro posto nel mondo ad alto rischio della Formula 1.
Sebbene Sonny sembri aver chiuso con la Formula Uno per il momento,
il fatto che Kosinski abbia incluso una scena in cui lui continua a
correre in qualche modo indica che la storia di Sonny non è
finita.
In realtà, questo dipinge
essenzialmente l’intera esperienza nella Formula 1 come poco più
che un’altra tappa nel percorso nomade di Sonny come pilota a
contratto. È del tutto possibile che Sonny torni nel team APX in un
sequel, ma come tecnico o team principal. Con la sua relazione con
Kate McKenna, interpretata da Kerry Condon,
lasciata in sospeso, ha comunque una motivazione per tornare in
futuro.
Sonny ha anche chiarito
perfettamente a Ruben che preferirebbe morire piuttosto che non
poter guidare. Nonostante il suo ritiro forzato dal team APX, c’è
sicuramente una possibilità che torni come pilota di riserva o
anche come pilota a contratto per un altro team interessato al suo
talento al volante. Stando a quanto dichiarato da Kosinski, però,
tutto dipenderà dai risultati del film al box office e dal grado di
apprezzamento del pubblico.
Vin Diesel ha sorpreso il pubblico sabato al
FuelFest nella California
meridionale, annunciando che l’ultimo film della
serie Fast & Furious uscirà nelle sale
nell’aprile 2027. Diesel, che ha recitato in tutti
i film della serie tranne uno dal 2001, ha rivelato altre novità
durante il suo intervento sul palco, confermando che Fast
& Furious 11 sarà ambientato a Los Angeles e che
vedrà il ritorno del personaggio di Dominic Toretto, interpretato
da Diesel, insieme a Brian O’Conner, interpretato
da Paul Walker.
Walker, come noto, ha recitato con
Diesel in cinque film della saga prima di morire tragicamente in un
incidente stradale nel novembre 2013 all’età di 40 anni. Le scene
rimaste in sospeso per Fast & Furious
7 sono dunque state girate con l’aiuto dei fratelli
di Walker e con la sovrapposizione del volto dell’attore sui loro
corpi. È probabile che, per far comparire in scena Brian O’Conner
per quello che potrebbe essere semplicemente un cameo conclusivo
che riunisce i due amici, verrà utilizzata la stessa tecnica.
Diesel aveva già utilizzato i suoi
canali social per sollecitare la Universal Pictures a fissare la
data di uscita di Fast & Furious 11, il seguito di
Fast X del 2023 che ha incassato oltre 700 milioni
di dollari al botteghino mondiale. Il sequel è stato annunciato
come l’ultimo film della serie, ma bisognerà dunque attendere
ancora due anni prima di poterlo vedere. Non resta dunque che
attenderer maggiori novità a riguardo, sapendo però che il ritorno
di O’Conner in scena potrebbe dar vita ad un finale di saga
particolarmente emozionante.
Dove eravamo rimasti con
Fast X?
Alla conclusione di Fast
X, siamo rimasti con un cliffhanger quando Dante
di Jason
Momoa sembrava andarsene con il sopravvento su
Dominic Toretto di
Vin Diesel, dopo aver tentato di raggiungere il figlio
di Dom, Brian, tramite l’aiuto del voltagabbana Aimes (
Alan Ritchson). Il fratello di Dom, Jakob
(John
Cena), si sacrifica per salvare Brian e portarlo in
salvo. Dom e Brian si gettano in acqua, ovviamente, da una diga e
sopravvivono a malapena. Nel frattempo, Letty (Michelle
Rodriguez) si ritrova in una prigione artica insieme a
Cipher di Charlize
Theron, prima che Gisele di Gal
Gadot, presumibilmente morta dopo gli eventi
di Fast
and Furious 6, arrivi in un sottomarino per
aiutare.
Una scena a metà titoli rivela che
anche
Dwayne Johnsontornerà
nel franchise per il finale. Dopo essere stato etichettato
come criminale, Hobbs è stato al lavoro per rintracciare i
suoi obiettivi e scoprire una delle reti di sorveglianza di
Dante. Dante promette che anche Hobbs sarà un obiettivo,
creando una potenziale faida che potrebbe estendersi anche a un
altro film spin-off in cui
Dwayne Johnson sarà il protagonista, una volta che la
sua attuale storia in WWE sarà terminata.
Contrariamente a quanto
ha detto una parte consistente della critica, la
terza stagione di The
Bear aveva molti aspetti positivi. Tra
tutti, la “stasi” degli episodi, ovvero l’impossibilità di
sviluppare un arco narrativo preciso. Carmy prima di tutto, ma in
fondo anche Sydney e Richie, continuano a rimanere impantanati nei
propri problemi personali, e questo restituiva il sapore della vita
vera, dove dalle proprie gabbie psicologiche si esce con molta
fatica e tempo impiegato, o addirittura proprio non se ne esce.
La sfida di The Bear Stagione 4
Il problema è che la
finzione, quando realizzata con lucidità come nel caso di
The Bear, può avvicinarsi alla realtà, ma non
restituirla. A un certo punto bisogna necessariamente che storie e
personaggi percorrano un processo di evoluzione (o involuzione) che
generi una narrazione, ed era quindi questa la sfida della quarta
stagione. Per le prime sei puntate, ciò non succede, e questo si
rivela un periodo di tempo troppo lungo perché la serie non perda
una certa efficacia, continuando a offrire psicologie e situazioni
che sono sempre le stesse, messe in scena con cura ma non in
maniera diversa da quanto già visto in precedenza. Certamente ci
sono in questi episodi momenti commoventi, come ad esempio il
toccante finale della terza puntata, ma nel complesso si ha la
sensazione che il blocco non abbia molto da raccontare, o almeno
nulla di particolarmente interessante.
Poi arriva la settima
puntata da un’ora abbondante, specchio del tanto celebrato sesto
episodio della Season 2. Ma la nuova, gigantesca
riunione familiare di The Bear Stagione 4
al contrario possiede una finezza di racconto, una gentilezza nel
tocco che sa andare in profondità. E infatti si rivela il momento
in cui alcune delle figure fondamentali dello show iniziano
veramente a fare i conti con i propri scheletri nell’armadio. Non
ci sono colpi di scena radicali, e questo rende lo spettacolo ancor
più reale e toccante. Davvero un gran momento di televisione
seriale, esplicitato dalla scena che vede protagonista
Jeremy Allen White e un altro
attore che ritorna in un cammeo prezioso (no spoiler).
Se The Bear
Stagione 4 fosse finita in quel momento, la considerazione
complessiva sull’intera stagione sarebbe stata molto migliore.
Invece il creator e regista Christopher Stoter
doveva arrivare a dieci episodi. Dopo averne regalati un altro paio
di buon effetto e tenuta narrativa accettabile, sceglie di chiudere
il tutto con una sorta di kammerspiel che vede protagonisti i
personaggi principali, i quali vengono quasi costretti dall’unità
di luogo a confrontarsi, ad aprirsi in maniera anche drammatica. Se
sulla carte questa poteva essere un’idea vincente, la sua
realizzazione ottiene purtroppo l’effetto contrario. L’ultimo
episodio di The Bear Stagione 4 risulta infatti
forzato, eccessivamente “urlato” (quando invece la quasi totale
assenza di momenti “over the top” si era rivelata una scelta
intelligente), e una certa retorica fa capolino sia nei dialoghi
che nell’arco narrativo che viene proposto per chiudere i conti. Un
finale piuttosto artefatto, non in linea con la coerenza interna
apprezzabile o meno dei precedenti episodi, ma comunque
tangibile.
La stagione più
ondivaga
Della stagioni di
The Bear realizzate fino a oggi, quest’ultima è
decisamente quella maggiormente ondivaga, spesso potente ma anche
talvolta imprecisa. L’ipotesi è che Storer stia iniziando
leggermente ad allungare il filo della narrazione affidandosi un
po’ troppo alla tensione drammatica insita nei personaggi, o nelle
atmosfere spesso intime del set principale, ovvero la cucina del
ristorante. Una eventuale Stagione 5 – ancora non confermata –
potrebbe portare novità sostanziali, le quali pur lasciando incerti
i fan dello show potrebbero al contrario rappresentare un toccasana
per la sua continuazione. Staremo a vedere. Intanto Carmy, Sydney
Richie e gli altri “orsi” continuano a farci soffrire come la buona
televisione sa fare…
Squid
Game conclude finalmente la sua corsa con
la terza stagione, non solo risolvendo tutti i punti fondamentali,
ma anche con un cameo intrigante nei momenti finali. L’ultima
puntata della serie coreana di successo Netflix inizia con il ritorno di Gi-hun
nella sala comune dei giochi e il ricongiungimento con i
sopravvissuti. Tuttavia, dopo aver perso il suo amico Jung-bae e
ritenendosi responsabile della morte di molti innocenti, Gi-hun si
sente distrutto e senza speranza. Il suo lato oscuro emerge quando
uccide Dae-ho durante il primo gioco della terza stagione di Squid Game, sperando che dare la colpa
a qualcun altro lo faccia sentire un po’ meglio.
L’uccisione di Dae-ho rende
Gi-hun ancora più disilluso ed emotivamente vuoto, ma alla fine
riesce a liberarsi dalla spirale discendente quando sia Geum-ja che
Jun-hee gli affidano la responsabilità di prendersi cura del
neonato di Jun-hee. Determinato a garantire la sopravvivenza del
bambino, Gi-hun entra nell’arena del gioco finale, dove tutto,
dalla sua moralità alla sua capacità di sopravvivere, viene messo
alla prova.
In più di un senso, Gi-hun alla
fine esce vittorioso, ma paga un prezzo molto alto per trovare la
pace e la redenzione.
Perché Gi-hun si sacrifica per
far vincere il bambino nel finale della terza stagione di Squid
Game
Gi-hun capisce il suo vero
scopo
La seconda stagione di Squid
Game presentava una scena confusa ma apparentemente
significativa in cui la sciamana diceva a Gi-hun che era arrivato
così lontano solo perché aveva uno scopo da compiere. Guardava
persino Jun-hee mentre parlava dello scopo di Gi-hun, suggerendo
che la fine della sua storia avrebbe avuto qualcosa a che fare con
lei. Per la maggior parte della serie, la sciamana Seon-nyeo
sembrava solo delirante. Tuttavia, la sua previsione sulla
profezia che Gi-hun doveva compiere si è avverata quando Gi-hun
ha salvato il bambino di Jun-hee mettendo a rischio la propria
vita.
All’inizio della terza stagione,
Gi-hun era sul punto di diventare spietato come il Front Man. Ha
persino sfiorato l’immoralità quando ha ucciso Dae-ho durante il
gioco a nascondino. Tuttavia, a differenza del Front Man,
Gi-hun ha conservato ciò che restava della sua umanità non
scatenando una carneficina contro gli altri giocatori sopravvissuti
quando il Front Man gli ha dato l’opportunità di farlo. Se avesse
accettato l’offerta del Front Man e ucciso i suoi avversari nel
sonno, non sarebbe stato diverso da Myeong-gi, disposto a uccidere
suo figlio per vincere.
È stato proprio il suo senso
di umanità a dare a Gi-hun la forza di sacrificarsi per il
bambino.
È stato proprio il suo senso di
umanità a dare a Gi-hun la forza di sacrificarsi per il bambino.
Verso la fine, Gi-hun sembra anche rendersi conto che non potrà
mai vivere in pace con se stesso dopo tutto quello che ha fatto e
vissuto. Il bambino, tuttavia, potrebbe finalmente rompere il
ciclo di violenza perpetuato dai giochi e crescere in un mondo
molto migliore di quello in cui ha vissuto Gi-hun. Squid Game – stagione 3 ha un finale simile a quello
della stagione 1 per diversi motivi, dato che, come Sang-woo,
Gi-hun si rende conto del prezzo delle sue azioni e permette a
qualcun altro di vincere il premio.
Il cameo di Cate Blanchett nel
finale della terza stagione di Squid Game spiegato
L’attrice hollywoodiana
potrebbe sostituire Gong Yoo
Prima che inizino i titoli di coda
della terza stagione di Squid Game, una sequenza mostra Cate Blanchett vestita come l’iconico
venditore interpretato da Gong Yoo. Interpreta il gioco di
reclutamento di Squid Game, Ddakji, con un uomo e lo schiaffeggia
ogni volta che non riesce a capovolgere le buste nel gioco. Questa
scena sembra suggerire che il rumored spin-off americano di Netflix
di Squid Game sia già in lavorazione. Solo il tempo dirà se
Cate Blanchett avrà un ruolo nella prossima
serie, ma la scena finale potrebbe significare che lei è la nuova
venditrice.LO SAPEVATE CHE: Il creatore di Squid Game, Hwang
Dong-hyuk, ha anche un’idea per uno spin-off che si svolgerebbe tra
la prima e la seconda stagione e descriverebbe “cosa facevano i
reclutatori, il capitano Park (Oh Dal-su), gli ufficiali o gli
uomini mascherati in quel periodo”.
Considerando che Gong Yoo è
stato uno degli attori più famosi del cast di Squid Game,
avrebbe senso che il remake americano avesse un’attrice famosa come
Cate Blanchett nel ruolo della Venditrice. Il futuro del
franchise di Squid Game rimarrà incerto fino a quando
Netflix non farà annunci ufficiali su ciò che ci aspetta. Tuttavia,
anche se i remake di serie acclamate dalla critica possono spesso
rivelarsi difficili, il potenziale coinvolgimento di Cate Blanchett
nello spin-off rende il progetto molto interessante.
“Non siamo cavalli. Siamo
esseri umani. Gli esseri umani sono…”: spiegazione delle ultime
parole di Gi-hun
Gi-hun sembra in conflitto con
se stesso nei suoi ultimi istanti
Fin dai primi momenti, Squid
Game ha utilizzato i cavalli come metafore efficaci per i
giocatori dei giochi che danno il titolo alla serie. Nell’arco
narrativo iniziale, Gi-hun investe molto in una corsa di cavalli,
sperando di vincere alla grande e risolvere definitivamente i suoi
problemi finanziari. Tuttavia, ben presto, diventa lui stesso un
cavallo quando i VIP scommettono su di lui e sugli altri giocatori
mentre compete per vincere una corsa per il loro divertimento.
“Voi scommettete sui cavalli.
Qui è lo stesso, ma noi scommettiamo sugli esseri umani. Voi siete
i nostri cavalli”, dice il Front Man nella prima stagione,
ricordando a Gi-hun come le persone come lui siano ridotte a
semplici strumenti di intrattenimento dai ricchi. Come i
cavalli, anche Gi-hun e gli altri giocatori si conformano e lottano
per partecipare ai giochi senza considerare i loro diritti e la
loro autonomia come esseri umani. Tuttavia, verso la fine della
serie, Gi-hun usa le sue ultime forze per protestare contro gli
organizzatori del gioco e ricordare loro che non sono cavalli, ma
esseri umani.
Nella prima stagione, Gi-hun
risponde con sicurezza al Front Man e gli dice: “Ascolta
attentamente. Non sono un cavallo. Sono una persona. Ecco perché
voglio sapere chi siete… e come potete commettere tali atrocità
contro le persone.“ Purtroppo, dopo aver visto il meglio e
il peggio dell’umanità durante i giochi, il personaggio si sente in
conflitto su ciò che pensa degli esseri umani. Pertanto, si
ferma a ”gli esseri umani sono…” invece di dire qualcosa di
più o di meno.
Chi prende il premio vinto da
Gi-hun nella prima stagione dalla camera d’albergo (e
perché)
Il Front Man lo passa a
qualcuno che lo merita
Una figura misteriosa irrompe
nella camera d’albergo dove Gi-hun aveva conservato tutto il denaro
vinto nella prima stagione, e Woo-seok fatica a capire chi possa
averlo preso. Nei momenti finali della serie, il Front Man,
In-ho, si presenta a casa della figlia di Gi-hun e le dice che
conosceva suo padre. La figlia sembra arrabbiata con suo padre e
afferma di non voler avere nulla a che fare con lui. Tuttavia, il
suo cuore si scioglie quando In-ho le rivela che suo padre è
morto.
Ha lasciato tutta la
ricchezza di Gi-hun a sua figlia perché ha capito che era ciò che
Gi-hun avrebbe voluto.
In-ho se ne va subito dopo averle
lasciato una scatola piena degli effetti personali del padre. Oltre
alla tuta da ginnastica di Squid Game, la scatola contiene una
piccola busta con una carta di debito, che sembra dare alla figlia
accesso al premio in denaro di Gi-hun. Questo conferma che
In-ho ha preso i soldi di Gi-hun e li ha messi al sicuro in una
banca. Ha lasciato tutta la ricchezza di Gi-hun alla figlia perché
ha capito che era quello che avrebbe voluto Gi-hun.
Perché il front man lascia il
bambino a suo fratello
Si rende conto che Jun-ho darà
al bambino una vita migliore di quella che lui potrà mai
dargli
Come suggeriscono le storie di
Jun-ho e In-ho, In-ho ha sempre tenuto molto al suo fratellastro
minore, Jun-ho, e gli ha persino donato uno dei suoi reni.
Tuttavia, si è allontanato da lui dopo che le difficoltà
finanziarie e l’impossibilità di curare la moglie malata lo hanno
costretto a partecipare alla 28ª edizione di Squid Game. La terza
stagione di Squid Game rivela anche che, per vincere i giochi,
In-ho ha sgozzato tutti i suoi concorrenti mentre
dormivano.
Nell’arco finale di Squid
Game, In-ho si rende conto che non tutti gli esseri umani sono
egoisti e freddi come i giochi gli hanno fatto credere. Capisce
che, anche se le circostanze lo hanno fatto perdere il senso della
moralità, c’è ancora del buono in persone come suo fratello e
Gi-hun. Il sacrificio di Gi-hun lo aiuta a capire che gli esseri
umani meritano una seconda possibilità e non possono essere
trattati come pedine in un sistema creato dall’élite corrotta.
Pertanto, decide di allontanare la bambina dal suo mondo distorto,
lasciandola a casa di suo fratello.
Squid Game non approfondisce
troppo la vita del Front Man dopo i giochi, ma lui sembra
preoccupato quando vede il personaggio interpretato da Cate
Blanchett reclutare nuovi giocatori per una sede negli Stati
Uniti.
Rendendosi conto che suo fratello è
un brav’uomo, gli lascia persino il premio in denaro della
bambina. Squid Game non approfondisce troppo la vita del
Front Man dopo i giochi, ma lui sembra preoccupato quando vede il
personaggio interpretato da Cate Blanchett reclutare nuovi
giocatori per una sede negli Stati Uniti. Questo suggerisce che,
dopo aver visto il sacrificio di Gi-hun, In-ho ha capito che i
giochi non dovrebbero esistere.
No-eul riuscirà a riunirsi con
sua figlia in Cina?
Il futuro di No-eul rimane
incerto
Quando No-eul esamina i registri
delle guardie nella sede dei giochi, trova alcuni documenti su se
stessa. I suoi documenti rivelano che sua figlia è morta. Dopo aver
appreso il destino di sua figlia, No-eul si sente distrutta, ma il
sacrificio di Gi-hun la incoraggia a vivere e a tornare nel mondo
esterno. Con sua grande sorpresa, il suo investigatore privato
le rivela di aver trovato qualcuno in Cina che sembra corrispondere
alla descrizione di sua figlia.
Con una nuova speranza, No-eul si
reca in Cina, credendo di poter finalmente riunirsi con sua figlia.
La serie lascia la sua storia un po’ in sospeso, non rivelando se
lei riesca a rivedere sua figlia. Tuttavia, come spettatori, è
difficile non sperare che tutto finisca bene per il personaggio di
Park Gyu-young in Squid Game.
Perché Jun-ho non spara a suo
fratello In-ho
Ricorda come suo fratello lo ha
risparmiato
Jun-ho arriva al luogo dei giochi
proprio prima che In-ho stia per andarsene con il bambino. Questo
offre a Jun-ho l’occasione perfetta per fermare suo fratello
uccidendolo. Tuttavia, sceglie comunque di risparmiarlo perché
suo fratello ha fatto lo stesso nella prima stagione.
Nonostante sia diventato freddo dopo aver partecipato ai giochi e
averli infine organizzati come Front Man, In-ho sembra non aver mai
perso il suo affetto complicato ma profondo per il suo
fratellastro. Anche Jun-ho se ne rende conto, ed è per questo che
fatica a premere il grilletto nel finale della terza stagione di
Squid Game.
Quali personaggi principali di
Squid Game sono ancora vivi dopo la fine della terza
stagione
Solo due giocatori
sopravvivono
Tra i giocatori, il bambino
(giocatore 222) sopravvive perché Gi-hun garantisce la sua
incolumità sacrificando la propria vita. Anche Kyung-seok
(giocatore 246) finisce per sopravvivere perché No-eul lo protegge.
Lei gli spara intenzionalmente in una zona non vitale e finge di
stare al gioco delle altre guardie che trafficano in esseri umani.
Tuttavia, non appena lo portano dal medico per asportargli gli
organi, lei uccide le guardie e chiede al medico di curare la
ferita del giocatore 246.
Poi ricatta l’ufficiale per
ottenere una barca per lei e il Giocatore 246. Anche se il
Giocatore 246 rischia di essere ucciso durante il viaggio di
ritorno, Jun-ho e i suoi uomini lo salvano all’ultimo momento.
No-eul lo fa perché in precedenza ha incontrato sua figlia nel
mondo esterno e ha persino scoperto che sta combattendo contro il
cancro. Rendendosi conto che Kyung-seok era ai giochi solo per
ottenere i soldi per le cure di sua figlia, lei prova empatia per
lui e decide di intraprendere una missione per riunirlo con sua
figlia. In questo modo, spera di redimersi per aver lasciato suo
figlio in Corea del Nord.
Il vero significato dell’intera
storia di Squid Game spiegato
La serie presenta una metafora
inquietante per molte questioni del mondo reale
Per molto tempo è stato difficile
non vedere il Front Man come il cattivo principale della serie.
Tuttavia, l’arco narrativo finale di Squid Game mostra come
anche In-ho fosse un tempo un giocatore disperato, determinato a
creare una vita migliore per sé stesso e la sua famiglia. Vedeva i
giochi come una fonte di salvezza piuttosto che di crudeltà, ma la
sua disperazione si è presto trasformata in distacco. Alla fine, ha
perso se stesso nel sistema generale, evidenziando quanto sia
facile cadere preda degli schemi dei potenti quando viene offerta
una parvenza di controllo in cambio della propria moralità e
coscienza.CorrelatiSpiegata la durata scioccante della terza
stagione di Squid GameLa terza stagione di Squid Game è la più
breve della serie, con solo sei episodi, uno in meno della già
breve seconda stagione, ma c’è una buona ragione per questo.
Mentre le vicende di In-ho e di
molti altri personaggi sono un monito su come la caduta morale di
una persona raramente sia improvvisa e spesso sia guidata dal
semplice desiderio di sopravvivere, la storia di Gi-hun e il suo
sacrificio finale mostrano come un singolo giocatore possa portare
ondate di cambiamento e sfidare le fondamenta di un sistema basato
sullo sfruttamento.
Squid Game può anche
essere visto come un gioco sull’illusione del libero arbitrio che
spesso esiste nei sistemi capitalistici. Come i giocatori, gli
individui sono portati a credere di essere liberi di plasmare il
proprio destino e vincere un grande premio in denaro, ma sono
ostacolati dalle disuguaglianze e dalle divisioni di classe.
Un personaggio significativo della
prima stagione fa un cameo nella
terza stagione di Squid
Game, influenzando notevolmente la storia di Gi-hun.
Dopo tre stagioni, il thriller horror distopico di successo di
Netflix è giunto al termine, concludendo la serie TV
coreana e preparando il terreno per lo spin-off americano
Squid
Game. La terza stagione di Squid Game, che purtroppo
è la più controversa tra i fan e la critica, riprende da dove la
storia si era interrotta. Gi-hun è costretto a tornare ai giochi e
viene ammanettato nel tempo libero per impedire ulteriori tentativi
di ribellione.
Poiché Gi-hun è stato il
personaggio principale di Squid Game fin dall’inizio,
sembrava scontato che sarebbe arrivato alla finale, anche se alla
fine fosse morto. Tuttavia, il suo percorso per arrivarci è stato
sicuramente interessante.
Uno dei momenti più significativi
lo vede faccia a faccia con un personaggio della prima stagione di
Squid Game, che gli offre un consiglio molto utile.
Jung Ho-yeon riprende il ruolo
di Sae-byeok nella terza stagione di Squid Game
Sae-byeok appare nella terza
stagione di Squid Game, episodio 5, “Circle Triangle
Square”
Durante tutta la prima stagione di
Squid Game, Jung Ho-yeon interpreta il personaggio stanco ma
adorabile di Kang Sae-byeok, alias Giocatore 067. Grazie alla sua
astuzia e alla sua grinta, riesce ad arrivare fino alla finale a
tre, prima di soccombere a una ferita causata dai vetri frantumati
del ponte. Dopo la morte di Sae-byeok nella prima stagione di
Squid Game, Jung Ho-yeon non era prevista per il ritorno.
Tuttavia, il regista Hwang Dong-hyeok ha accennato alla possibilità
di un suo ritorno ai SAG Awards 2022 (tramite
RFA), dicendo: “Molti personaggi sono morti nella prima
stagione, ma stiamo cercando di riportarli in vita nella seconda.
Forse Sae-byeok ha una sorella gemella”.
Il suo personaggio rimane
morto, ma appare come un ricordo o una visione a Gi-hun nel momento
in cui ne ha più bisogno.
La possibilità che Jung Ho-yeon
apparisse è diventata ancora più remota quando non ha avuto alcun
ruolo di rilievo nella seconda stagione. Tuttavia, hanno trovato un
modo per riportarla in vita, dato che l’attrice ha ripreso il ruolo
di Sae-byeok nella terza stagione di Squid Game.
Fortunatamente, non hanno fatto un colpo di scena alla Oh Il-nam
rendendola una dei VIP o riportandola in vita. Sarebbe stato
imperdonabile, considerando che è uno dei personaggi più amati di
Squid Game. Invece, il suo personaggio rimane morto,
apparendo solo come un ricordo o una visione a Gi-hun nel momento
in cui ne aveva più bisogno.
Perché Gi-hun vede davvero
Sae-byeok prima della partita finale
Gi-Hun aveva bisogno di un
promemoria di chi è
Gi-hun la vede prima della partita
finale, dopo aver avuto l’opportunità di uccidere gli altri
concorrenti. Non è chiaro se stia ricordando la loro interazione
passata o se creda che lei sia davvero nella stanza con lui. In
ogni caso, l’apparizione di Sae-byeok è probabilmente indotta dallo
stress, dai sentimenti contrastanti e dalla mancanza di sonno. Nel
momento in cui sta per uccidere il giocatore 100, lei gli dice la
stessa cosa che gli aveva detto prima della partita finale nella
prima stagione di Squid Game: “Non farlo. Tu non sei
così”.
Questa frase lo ha riportato
all’umanità a cui aveva cercato di aggrapparsi dopo la ribellione
fallita. La terza stagione di Squid Game ha portato Gi-hun
in un luogo oscuro, ma Sae-byeok lo ha riportato alla luce.
Da quel momento in poi, sembra che stia cercando di rimanere l’uomo
che Sae-byeok credeva che fosse. Forse non riuscirà a sfuggire al
trauma e alla rabbia causati dalla partecipazione ai giochi, ma può
aggrapparsi a quel piccolo barlume di chi era prima.
La scena di Sae-byeok nella
terza stagione di Squid Game chiude il cerchio
Sae-byeok gli ha dato il
consiglio di cui aveva bisogno in una situazione quasi
identica
Oltre a regalare ai fan un cameo
felice, la breve scena di Sae-byeok nella terza stagione di
Squid Game ha contribuito a chiudere il cerchio della
narrazione. Gi-hun aveva la possibilità di porre fine ai giochi
nella prima stagione uccidendo Cho Sang-woo mentre il suo amico
dormiva prima della partita finale. Lui e Sae-byeok avrebbero
potuto potenzialmente uscirne vivi. Tuttavia, ciò avrebbe richiesto
che lui tradisse uno dei suoi valori fondamentali, trasformandolo
in qualcuno che non è. Sae-byeok lo capiva.
Alla fine, Gi-hun si ritrova
praticamente nella stessa posizione alla
fine della terza stagione di Squid Game. Aveva i mezzi e
l’opportunità di tagliare la gola a tutti gli altri membri per
salvare se stesso e il bambino.
Tuttavia, le sue azioni lo
avrebbero spinto oltre il limite, perché avrebbe dovuto diventare
un assassino a sangue freddo. È giusto che Sae-byeok gli ricordi
ancora una volta chi è nella stagione finale di Squid Game.
Squid
Game è giunto al termine e il creatore ha affrontato il
controverso colpo di scena e il vincitore. Dopo la fallita
ribellione nella seconda stagione, Gi-hun (Lee Jung-jae) crolla
nella seconda metà dei giochi, ma alla fine si assume la
responsabilità di prendersi cura del bambino di Jun-hee (Jo Yu-ri)
fino al finale della serie. Questo porta con sé il
colpo di scena di Squid Game, quando il bambino
prende il posto di Jun-hee come giocatore 222.
Invece di mostrare Gi-hun vincitore
di un’altra serie di giochi, Sky Squid Games ha lasciato a Gi-hun
la scelta di vincere i giochi o di dare invece un’opportunità al
bambino. Avendo partecipato per protestare contro la brutalità dei
giochi stessi, ha finito per sacrificarsi per dimostrare che il
Front Man (Lee Byung-hun) aveva torto. Il figlio di Jun-hee è
diventato il vincitore ufficiale, guadagnando 4,56 miliardi di
won.
In un’intervista con The Hollywood Reporter, il creatore Hwang Dong-hyuk ha
espresso che il bambino rappresentava “la coscienza
umana,” ed è proprio per questo che ha scelto di concludere
la storia con la morte di Gi-hun. Pur mettendo in mostra gli
aspetti più oscuri dell’esperienza umana, Hwang sperava di mettere
in luce anche le sue qualità migliori. Di seguito la sua citazione
dettagliata:
Dato che si trattava del finale,
ho pensato che alzare la posta in gioco e correre un rischio
maggiore, in vero stile Squid
Game, fosse la scelta giusta. In questo modo, volevo mostrare
in modo ancora più accuratoil fondo dell’umanità e anche
far luce su una speranza ancora più luminosa. Credo che
attraverso il bambino, Gi-hun sia in grado di mostrare questi temi
in modo più dettagliato.
Credo che tutti noi siamo in
grado di vivere in questo mondo grazie agli sforzi e alle lotte che
la generazione precedente ha affrontato per darci un mondo
migliore. E il motivo per cui dobbiamo cercare di correggere il
corso del mondo è perché vogliamo dare un mondo migliore alla
generazione futura. Quindi, nella nostra storia, il bambino non
rappresenta solo la coscienza umana, ma anche la generazione futura
per la quale dobbiamo sistemare le cose.
Cosa significa questo per il
finale di Squid Game
I giochi non sono
finiti
Gi-hun è tornato ai giochi per
trovare un modo per porvi fine per sempre, ma non è riuscito a
ribellarsi adeguatamente controil Front Man. Al
contrario, è stato costretto a giocare l’intero gioco, con la
possibilità di vincere alla sua seconda apparizione consecutiva.
Sfortunatamente per Gi-hun,la presenza del bambino
significava che avrebbe dovuto sacrificare la sua umanità solo per
vincere.
Con le voci costanti su un
Squid Game ambientato negli Stati Uniti, non dovrebbe sorprendere
che Gi-hun abbia fallito la sua missione.
Se fosse stato meglio preparato
per il suo ritorno, Gi-hun avrebbe potuto trovare un modo per
fermare i giochi. La sua intera missione era quella di fermare
l’orrore, mainvece non è riuscito a salvare la vita dei
molti candidatiche sarebbero stati inevitabilmente
eliminati. Fortunatamente, è riuscito a salvare un bambino e
potenzialmente a dimostrare che l’umanità può essere buona.
CorrelatiSquid Game Stagione 3:
spiegazione del finale: chi vince il gioco finale?Il finale della
terza stagione di Squid Game non solo risolve tutti i nodi con una
nota agrodolce, ma presenta anche uno strano cameo che allude al
futuro del franchise.
Anche se Myung-gi (Yim Si-wan) era
disposto a uccidere sua figlia, Gi-hun non avrebbe mai ucciso un
bambino, e le sue azioni potrebbero cambiare le aspettative dei
futuri giocatori. È la prova che l’umanità non è sempre terribile e
che le persone continueranno a lottare per proteggere la
generazione successiva. In una forte dichiarazione a Netflix, Hwang ha espresso questo concetto in modo
approfondito:
Credo che abbiamo anche la
responsabilità e il dovere di fare tutto ciò che è in nostro potere
per lasciare un mondo migliore alle generazioni future. Il fatto
che il bambino sia uscito vincitore erain linea con il
significato di Squid Game.
Purtroppo, anche se Gi-Hun si è
mosso per proteggere il bambino, gli altri esseri umani non sono
altrettanto umani. Con le continue voci su una versione
statunitense di Squid Game, non dovrebbe sorprendere che Gi-hun non
abbia avuto completamente successo nella sua missione. Ci deve
essere un seguito, che inevitabilmente continuerà ad attingere a
ciò che ha interessato gli spettatori in primo luogo: i giochi.
Palazzina
Laf, film d’esordio alla regia per Michele
Riondino, è uno dei titoli italiani più sorprendenti e
intensi degli ultimi anni. Presentato in anteprima nella sezione
Giornate degli Autori alla Mostra del Cinema di Venezia 2023, il
film ha conquistato critica e pubblico grazie alla sua capacità di
raccontare una storia profondamente radicata nella realtà sociale
del nostro Paese. Ambientato a Taranto negli anni ’90, il film
affronta temi complessi e universali come il lavoro, l’alienazione,
la manipolazione psicologica e la violenza sistemica all’interno
del mondo operaio, con particolare riferimento al colosso
industriale dell’Ilva.
Oltre a curarne la regia, Riondino
interpreta il protagonista Caterino, un uomo semplice e fedele
all’azienda che lentamente si ritrova intrappolato in un meccanismo
di repressione e isolamento. Accanto a lui, un cast di grande forza
espressiva, in cui spiccano nomi come Elio Germano, Vanessa
Scalera, Gianni D’Addario e
Domenico Fortunato. Il film ha poi ottenuto
riconoscimenti importanti, tra cui tre David di Donatello,
rispettivamente, per il Miglior attore protagonista (a Riondino),
al Miglior attore non protagonista (a Germano) e alla Migliore
canzone originale (La mia terra, scritta e interpretata da
Diodato).
Il titolo stesso, Palazzina
Laf, fa riferimento a un luogo realmente esistente, un
edificio utilizzato per isolare e punire i lavoratori “scomodi”.
Questo dettaglio ha spinto molti spettatori a chiedersi se la
vicenda raccontata sia ispirata a fatti realmente accaduti. Nei
prossimi paragrafi, esploreremo proprio questa dimensione, cercando
di rispondere alla domanda: Palazzina Laf è tratto
da una storia vera? Analizzeremo le fonti, i riferimenti reali e il
contesto storico da cui il film prende spunto.
Michele Riondino in Palazzina Laf
La trama di Palazzina Laf
1997. Caterino, uomo semplice e rude
è uno dei tanti operai che lavorano nel complesso industriale
dell’Ilva di Taranto. Vive in una masseria caduta in disgrazia per
la troppa vicinanza al siderurgico e nella sua indolenza condivide
con la sua giovanissima fidanzata il sogno di trasferirsi in città.
Quando i vertici aziendali decidono di utilizzarlo come spia per
individuare i lavoratori di cui sarebbe bene liberarsi, Caterino
comincia a pedinare i colleghi e a partecipare agli scioperi solo
ed esclusivamente alla ricerca di motivazioni per denunciarli.
Ben presto, non comprendendone il
degrado, chiede di essere collocato anche lui alla Palazzina LAF,
dove alcuni dipendenti, per punizione, sono obbligati a restarvi
privati delle loro consuete mansioni. Questi lavoratori non hanno
altra attività se non quella di passare il tempo ingannandolo
giocando a carte, pregando o allenarsi come fossero in palestra.
Caterino scoprirà sulla propria pelle che quello che sembra un
paradiso, in realtà non è che una perversa strategia per piegare
psicologicamente i lavoratori più scomodi, spingendoli alle
dimissioni o al demansionamento. E che da quell’inferno per lui non
c’è via di uscita.
La storia vera dietro il film
La forza emotiva e politica di
Palazzina Laf deriva in larga parte dalla sua
ispirazione a fatti realmente accaduti. Il film prende infatti
spunto da un episodio oscuro ma documentato della storia recente
dell’Ilva di Taranto, uno degli stabilimenti siderurgici più grandi
e controversi d’Europa. Negli anni ’90, all’interno dell’imponente
struttura industriale, esisteva davvero una palazzina – la
cosiddetta Palazzina Laf, dal nome di un reparto –
dove venivano trasferiti i lavoratori considerati “problematici”,
ovvero coloro che si opponevano a certi meccanismi aziendali,
denunciavano irregolarità o semplicemente venivano ritenuti scomodi
dalla dirigenza.
Michele Riondino in Palazzina Laf
Questi lavoratori venivano assegnati
a mansioni inutili o ripetitive, oppure lasciati senza compiti
precisi, in uno stato di isolamento e inattività forzata, con
l’evidente intento di logorarne la stabilità psicologica e
costringerli alle dimissioni. Si trattava di una forma di mobbing
istituzionalizzato, un abuso di potere sistemico che ha segnato
profondamente la comunità operaia tarantina. Michele
Riondino, originario proprio di Taranto, ha raccontato di
aver scoperto questa vicenda da ragazzo e di essere rimasto colpito
dalla sofferenza silenziosa di tante persone, spesso lasciate sole
anche dalle istituzioni e dall’opinione pubblica.
Il regista ha quindi costruito il
film sulla base di testimonianze dirette, documenti e interviste a
ex operai dell’Ilva, rielaborando i fatti con uno sguardo
drammaturgico ma senza tradirne l’essenza. Palazzina
Laf non è un biopic né una cronaca esatta, ma un’opera di
finzione ispirata a eventi reali e supportata da un’attenta
ricostruzione del contesto sociale e lavorativo dell’epoca. La
figura di Caterino, interpretata dallo stesso Riondino, è un
personaggio simbolico che incarna la condizione di molti, un uomo
ingenuo ma leale che si ritrova lentamente stritolato da un
meccanismo che non comprende fino in fondo.
Attraverso la vicenda di Caterino,
il film denuncia così una realtà fatta di soprusi, silenzi e
violenze psicologiche, mostrando come anche un ambiente di lavoro
possa trasformarsi in un luogo di reclusione. L’intento degli
autori non è però solo quello di raccontare un caso specifico, ma
di portare alla luce un sistema più ampio di emarginazione e
punizione sociale, ponendo lo spettatore davanti a domande urgenti
sulla dignità umana, la responsabilità collettiva e la memoria
storica.
Diretto nel 2011 da Gavin
O’Connor, Warrior si colloca
perfettamente all’interno della filmografia del regista, per il
modo in cui fonde azione e dramma con un’intensa componente
emotiva. Già noto per Miracle (2004), basato sulla vera
storia della squadra di hockey statunitense, e per Pride and
Glory (2008), O’Connor ha spesso raccontato storie di uomini
in conflitto – con il mondo, con la famiglia, con se stessi. Con
questo film, firma una delle sue opere più riuscite, capace di
coniugare l’energia di un film sportivo con la profondità di un
dramma familiare. A sostenere il tutto, un cast potente guidato da
Tom Hardy, Joel Edgerton e Nick Nolte,
quest’ultimo poi candidato all’Oscar per il suo ruolo.
Il film racconta la storia di due
fratelli separati da anni – Tommy e
Brendan – che si ritrovano a gareggiare nello
stesso torneo di arti marziali miste, lo “Sparta”, ognuno per
motivi personali e profondamente diversi. Intorno a loro, la figura
del padre alcolizzato in cerca di redenzione e una serie di
dinamiche familiari spezzate, cariche di dolore e rabbia repressa.
Ma Warrior non è soltanto una storia di lotta
fisica: è un racconto di riconciliazione, perdono e sacrificio,
costruito con una sensibilità che lo eleva al di sopra del tipico
film sportivo.
Temi come la seconda possibilità, la
redenzione e il peso delle scelte personali sono centrali
nell’evoluzione dei personaggi. Il contesto sportivo dell’MMA
diventa così la metafora perfetta per affrontare i conflitti
interiori dei protagonisti. Proprio per la sua intensità e il suo
realismo emotivo, molti spettatori si chiedono:
Warrior è tratto da una storia vera? Nei prossimi
paragrafi risponderemo a questa domanda, analizzando le fonti
d’ispirazione del film e il suo legame con eventi reali.
Warrior è basato su una storia
vera?
La risposta è che no,
Warrior non è basato su una storia vera. La
sceneggiatura – scritta da Gavin O’Connor, Anthony
Tambakis e Cliff Dorfman – è interamente
inventata e concepita originariamente per il film. Secondo il
co-sceneggiatore e regista O’Connor, il film è però nato da
“qualcosa” della sua vita personale. “Credo che l’idea o la
comprensione del perdono fosse qualcosa che stavo davvero cercando
di afferrare, e quando dico questo non intendo solo le parole ma il
vero perdono nel cuore”, ha dichiarato a GQ.
Oltre al tema del perdono, lo sfondo
delle arti marziali miste deriva anche dalla vita personale di
O’Connor. “Credo che contemporaneamente l’idea di esplorare le
arti marziali miste come sfondo di un film mi allettasse perché
sono un fan di questo sport, lo seguo da un po’ e non l’ho mai
visto al cinema”, ha aggiunto. La storia di due fratelli
allontanati si è poi aggiunta all’idea che O’Connor stava
sviluppando. Per il regista, l’idea proponeva anche la questione di
come “guarire e perdonare”, che ha influenzato i conflitti tra
Tommy, Brendan e il loro padre.
La sfida successiva per O’Connor è
stata quella di concepire il torneo e il conflitto di due fratelli
che si battono in una gara a chi vince di più, il fulcro del dramma
sportivo. “[…] ho preso spunto dai tornei Pride e K1 in
Giappone, dove si svolgono i tornei Grand Prix. Ma questi ragazzi
[Tommy e Brendan] sono in rotta di collisione tra loro, e poi
quando devono entrare nella gabbia per il campionato mondiale dei
pesi medi, per chi fai il tifo? E questa per me è stata una sfida
interessante come regista, perché non ricordo di aver mai visto una
cosa del genere prima d’ora, in cui ti viene chiesto di
scegliere“, ha dichiarato a GQ.
Anche se il film è di fantasia, si
possono fare dei paralleli tra i personaggi e le figure reali. La
vita dell’ex campione dei pesi medi UFC Rich “Ace”
Franklin, che era un insegnante di scuola superiore,
assomiglia alla vita di Brendan come insegnante.
Secondo quanto riportato, la vita del sergente dei Marines degli
Stati Uniti Ewan G.P. Pennington ha invece
parzialmente ispirato il passato di Tommy nel corpo dei Marines.
Frank Grillo, che interpreta Frank Campana, si
sarebbe ispirato all’allenatore di MMA Greg
Jackson per concepire la sua performance.
L’“imbattibile”
Koba nel film assomiglia invece a Fedor
Emelianenko, un artista russo dei pesi massimi di arti
marziali miste. Il personaggio del commentatore Bryan
Callen ricorda il commentatore dell’UFC Joe
Rogan. Sebbene la narrazione di Warrior
sia effettivamente fittizia, nel film compaiono inoltre numerosi
combattenti di MMA e personaggi degli sport da combattimento
realmente esistiti, come Kurt Angle, Nate
Marquardt, Anthony Johnson, Roan
Carneiro, Yves Edwards, Amir
Perets e Dan Caldwell. L’aggiunta di
combattenti reali aumenta l’autenticità del film e lo avvicina
quindi alla realtà.
L’incubo di Maggie
(il cui titolo originale è Dangerous Snow Day) è un
thriller psicologico per la televisione che rientra pienamente
nella tradizione dei Lifetime movies, quei film costruiti
attorno a tensioni familiari, minacce latenti e conflitti
psicologici intensi, spesso con protagoniste femminili al centro di
situazioni drammatiche e pericolose. Diretto da Brittany Underwood, il
film è un esempio classico di domestic thriller, dove la
casa – simbolo di sicurezza e protezione – si trasforma nel teatro
di un incubo ad occhi aperti. L’atmosfera claustrofobica,
alimentata da un’ambientazione invernale e isolata, amplifica il
senso di vulnerabilità e sospetto che accompagna la
protagonista.
Come in molte storie di questo
genere, le apparenze sono ingannevoli e i pericoli più minacciosi
arrivano dall’interno delle mura domestiche o dalle persone
considerate più vicine. Per questo motivo si può accostare
L’incubo di Maggie a titoli simili come
Lo stalker della stanza accanto o Inganno
dal passato. Il film della Underwood, però, utilizza in
maniera efficace la dinamica della paranoia e della manipolazione,
affrontando temi come la fiducia, l’identità e la protezione della
propria famiglia da minacce invisibili ma pervasive.
Nel corso dell’articolo, verrà
fornita una dettagliata spiegazione del finale del film, utile a
chiarire gli snodi narrativi del terzo atto e a mettere in luce i
sottotesti tematici. L’epilogo, come spesso accade in questo tipo
di thriller, non si limita a risolvere i conflitti della trama, ma
offre anche una riflessione sul percorso della protagonista e sul
significato più ampio delle sue scelte. Per chi ha visto il film o
è curioso di scoprirne i retroscena, l’analisi del finale
rappresenta una chiave di lettura utile per comprendere le
implicazioni psicologiche e narrative dell’intera storia.
Nicolette Langley in L’incubo di Maggie
La trama di L’incubo di Maggie
Giovane e brillante studentessa,
Maggie (Nicolette Langley) viene
assunta come tata da una ricca famiglia apparentemente perfetta.
Quando inizia a lavorare per Kristen (Kate
Watson) e Frederick Cargill
(Matthew Pohlkamp), Maggie è entusiasta della
possibilità di costruirsi una nuova vita. Tuttavia, l’atmosfera
elegante e ben curata della casa comincia presto a mostrare delle
crepe. Maggie si accorge infatti che qualcosa non va: strane
tensioni tra i coniugi, comportamenti ambigui e la sparizione
misteriosa di una tata precedente gettano un’ombra sinistra sulla
sua nuova occupazione.
Con il passare dei giorni e l’arrivo
di una tempesta di neve che isola la casa dal mondo esterno, Maggie
inizia a sentirsi sempre più minacciata. Mentre cerca di scoprire
cosa si nasconde dietro il sorriso glaciale di Kristen, diventa
chiaro che la famiglia Cargill cela un segreto pericoloso. La
situazione precipita quando Frederick viene arrestato e Kristen si
mostra per ciò che è veramente: una donna disturbata, gelosa e
assetata di controllo. In un crescendo di tensione, Maggie sarà
costretta a lottare per la propria sopravvivenza.
La spiegazione del finale
Nel finale, il mistero si svela durante una violenta nevicata che
isola la casa dei Cargill: Maggie, la tata, è rimasta a badare ai
bambini mentre Kristen, la moglie, è andata a trovare la
madre.
Proprio quella notte Hannah, l’amica di Maggie, viene investita e
gravemente ferita, segno che qualcuno vuol zittire le testimoni. Il
marito Frederick viene arrestato come sospetto, ma Maggie è
convinta che la verità sia un’altra e inizia.
Scatenato, Frederick la accusa del suo arresto e la minaccia in
casa. Ma quando pare sia arrivata la svolta, emerge la vera nemica:
Kristen.
Harlow Bleu e Kate Watson in L’incubo di Maggie
Dopo aver neutralizzato il marito con una pala, la moglie si rivela
come la vera assassina della precedente tata, comprese la scomparsa
di Ashley Coleman. Kristen lega entrambi, infligge violenza
psicologica e li accusa di tradimento e gelosia, confessando i suoi
crimini. In una lotta disperata, Maggie riesce a difendersi,
riuscendo a resistere fino all’arrivo delle forze dell’ordine, che
arrestano Kristen e Frederick. Il film si chiude così con Maggie in
stato di shock mentre la polizia porta via i coniugi in
manette. Maggie, insieme allo sceriffo Holden, adottano i
loro figli e danno vita alla loro propria famiglia.
Il
colpo di scena di L’incubo di Maggie mostra
dunque come l’oscurità spesso si nasconda dietro le maschere della
quotidianità: Kristen, personaggio fino alla fine percepito come
vittima, si rivela invece l’autentica minaccia domestica. Questo
tema, caro ai domestic thriller, ribalta le aspettative
dello spettatore, invitandolo a riflettere su quanto possa essere
sottile il confine tra affetto e perversione all’interno della
famiglia. Maggie, da vittima isolata e sfruttata, si trasforma però
in sopravvissuta.
Il
suo atto finale di difendersi da Kristen rappresenta una
liberazione interiore: spezza la dinamica tossica instaurata da una
figura di potere materno e padrone. La neve e il freddo, simboli
iniziali di quiete e pulizia, diventano così metafore di tensione e
sangue, accompagnando il percorso verso la verità e la rinascita
della protagonista. Questo epilogo risuona anche sul piano
simbolico: l’arresto dei coniugi libera Maggie da una gabbia
psicologica, ma il prezzo è l’esperienza traumatica di aver
scoperto che il male vero si annida dove meno te lo aspetti.
Il direttore della fotografia di
Spider-Man: Brand New Day, Brett
Pawlak, ha condiviso sul suo account Pinterest alcune
immagini molto interessanti, che molti fan interpretano come la
conferma che il Bruce Banner/Hulk di Mark Ruffalo apparirà nel film. Le immagini
(che si possono vedere qui, qui e qui) che si pensa facciano parte di un
mood board per il film, sono un misto di fotogrammi dei precedenti
film di Spider-Man con Peter Parker (Tom
Holland) e MJ (Zendaya),
e di fumetti che mostrano il Wall-Crawler sia in squadra che in
lotta con Hulk.
Un recente rumor ha affermato che il
Golia Verde sarà il cattivo del film, il che presumibilmente
significherebbe che Hulk Intelligente, o Professor Hulk se
preferite, tornerà alla sua forma selvaggia e si imbarcherà in una
delle sue tipiche furie. Ciò sarebbe in linea con le precedenti
indiscrezioni relative ai piani della Marvel per il personaggio e
potrebbe gettare le basi per un
futuro evento ispirato alla World War Hulk.
Al momento il coinvolgimento di Hulk
o di Ruffalo in Spider-Man: Brand New Day
non è stato ancora confermato ufficialmente, ma con l’ormai
prossimo inizio della produzione si attendono notizie ufficiali. A
parte la presenza di Hulk in queste immagini, si nota in ogni caso
un’atmosfera piuttosto cupa, segno che il film – alla luce degli
eventi verificatisi nel finale di Spider-Man:
No Way Home – potrebbe prendere una simile direzione.
Anche in questo caso, tuttavia, non resta che attendere conferme
ufficiali.
Quello che sappiamo su Spider-Man: Brand New
Day
Ad oggi, una sinossi generica del
film è emersa all’inizio di quest’anno, anche se non è chiaro
quanto sia accurata.
Dopo gli eventi di Doomsday,
Peter Parker è determinato a condurre una vita normale e a
concentrarsi sul college, allontanandosi dalle sue responsabilità
di Spider-Man. Tuttavia, la pace è di breve durata quando emerge
una nuova minaccia mortale, che mette in pericolo i suoi amici e
costringe Peter a riconsiderare la sua promessa. Con la posta in
gioco più alta che mai, Peter torna a malincuore alla sua identità
di Spider-Man e si ritrova a dover collaborare con un improbabile
alleato per proteggere coloro che ama.
L’improbabile alleato potrebbe
dunque essere il The Punisher di Jon Bernthal –
recentemente annunciato come parte del film – in una situazione
già vista in precedenti film Marvel dove gli eroi si vedono
inizialmente come antagonisti l’uno dell’altro salvo poi allearsi
contro la vera minaccia di turno.
Di certo c’è
che Spider-Man: Brand New Day condivide il
titolo con un’epoca narrativa controversa, che ha visto la Marvel Comics dare all’arrampicamuri un nuovo
inizio, ponendo però fine al suo matrimonio con Mary Jane Watson e
rendendo di nuovo segreta la sua identità. In quel periodo ha
dovuto affrontare molti nuovi sinistri nemici ed era circondato da
un cast di supporto rinnovato, tra cui un resuscitato Harry
Osborn.
Spider-Man: Brand New
Day è stato recentemente posticipato di una settimana dal
24 luglio 2026 al 31 luglio 2026. Destin Daniel
Cretton, regista di Shang-Chi e la Leggenda
dei Dieci Anelli, dirigerà il film da una
sceneggiatura di Chris McKenna ed Erik Sommers. Tom Holland guida un cast che include
anche Zendaya, Sadie Sink e Liza Colón-Zayas
e Jon Bernthal. Michael Mando è
stato confermato mentre per ora sono solo rumors il coinvolgimento
di Steven Yeun, Charlie
Cox e di Mark Ruffalo.
Spider-Man: Brand New
Day uscirà nelle sale il 31 luglio 2026.
È stato svelato il primo poster
dell’avventura spaziale di Ryan Gosling, Project
Hail Mary. Diretto da Phil Lord e Christopher Miller
(21 Jump Street, The LEGO Movie), il film è tratto
dall’omonimo romanzo di Andy Weir e uscirà nelle sale nel marzo
2026.
Gosling interpreta Ryland Grace, un
insegnante di scienze che si risveglia su un’astronave senza alcun
ricordo di come sia arrivato lì. Tuttavia, ben presto si rende
conto di essere stato incaricato di risolvere un mistero che
minaccia la Terra: cosa sta causando la morte del sole?Project Hail Mary vede anche la partecipazione di
Sandra Hüller, Lionel Boyce, Ken Leung e Milana
Vayntrub.
Amazon MGM Studios ha dato il via
alla promozione di Project Hail Mary pubblicando il primo
poster, che mostra un astronauta (probabilmente Gosling) che
sfreccia su uno sfondo spaziale colorato mentre viene trascinato da
una nave. Il poster è accompagnato dalla notizia che il primo
trailer sarà rivelato lunedì 30 giugno. Guarda il poster qui
sotto:
Cosa significa questo per
Project Hail Mary
Project Hail Mary è
previsto per il 20 marzo 2026, quindi il poster e il trailer
arrivano a poco meno di un anno dalla sua uscita. Nel caso del
poster, non è molto sorprendente, dato che gli studi
cinematografici generalmente pubblicano i poster base mesi prima
dell’uscita.
Il debutto del trailer,
tuttavia, è degno di nota. Negli ultimi anni, gli studi
cinematografici hanno tenuto segrete le prime immagini fino a poco
prima dell’uscita; ad esempio, il primo trailer di Jurassic
World – La Rinascita, che uscirà il 2 luglio, è stato
pubblicato a febbraio, solo cinque mesi prima dell’uscita. La
Disney non ha ancora rivelato il trailer di Avatar: Fuoco e Cenere, in uscita
quest’anno.
La decisione di Amazon MGM di
iniziare a promuovere Project Hail Mary con quasi nove mesi
di anticipo suggerisce che ha molta fiducia nel progetto e crede
che possa riscuotere successo. Con quasi un anno di tempo per
suscitare interesse, Amazon MGM può rendere Project Hail
Mary uno dei film più chiacchierati del 2026.
Una nuova immagine di Avatar: Fuoco e
cenere anticipa un incontro carico di tensione tra
Quaritch (Stephen Lang) e Spider (Jack Champion). Quaritch,
antagonista principale del film Avatar di
James Cameron, è morto alla fine del primo
film. Ha lasciato un figlio, Spider, che è stato poi cresciuto da
Jake Sully e Neytiri su Pandora.
In Avatar: La
via dell’acqua, Quaritch è tornato in vita sotto
forma di Avatar e ha nuovamente minacciato la pace delle loro vite,
causando la morte del figlio maggiore di Jake e Neytiri,
Neteyam.
Ora, Empire ha rivelato una nuova immagine, che anticipa
un incontro teso tra Quaritch e suo figlio biologico.
Nell’immagine, Quaritch sembra cercare di parlare con Spider, ma
Spider lo tiene per un braccio mentre si allontana da lui. Parlando
con la rivista, Lang ha rivelato che il loro prossimo incontro non
porterà a una risoluzione e ha avvertito che “il tradimento”
è dietro l’angolo. Leggi il suo commento qui sotto:
“Si ricongiungono per necessità.
Il loro legame non è esclusivo. Ci sono momenti in cui tutti si
uniscono a un certo livello. Ma quando i nemici cooperano, puoi
stare certo che il tradimento è dietro l’angolo“.
”Spider confonde Quaritch. Ma
Quaritch vuole chiarezza. C’è qualcosa in Spider che Quaritch ama
davvero, una parola che non associamo a lui. Penso che il rispetto
e l’ammirazione crescano davvero, così come l’animosità e la
manipolazione. Il rapporto si approfondirà, nel bene o nel
male”.
Cosa significa questo per
Avatar: Fuoco e cenere
Quaritch e Spider si
affronteranno
Nel sequel, Spider si ricongiunge
con il padre biologico resuscitato, ma la caccia senza tregua di
Quaritch a Jake e alla sua famiglia lo mette in una posizione
complicata. Alla
fine di Avatar: La via dell’acqua, nonostante tutto ciò che
Quaritch ha fatto, Spider salva suo padre dall’annegamento.
Tuttavia, la nuova immagine suggerisce che la riunione imminente
non avrà toni felici.
CorrelatiI cattivi Na’vi di
Avatar 3 sembrano ancora più
terrificanti dopo il nuovo teaser sul ritorno di QuaritchAvatar:
Fire and Ash vedrà il debutto di una nuova tribù Na’vi spietata,
destinata a diventare ancora più pericolosa grazie all’alleanza con
Quaritch.
Nella stessa intervista, Lang ha
fatto luce su come il suo personaggio potrebbe sentirsi nei
confronti di Spider dopo la lunga separazione. Ha rivelato che il
colonnello potrebbe essere confuso su chi sia diventato Spider.
Sebbene l’amore paterno e l’ammirazione siano presenti, ha anche
avvertito che l’approfondimento del loro legame potrebbe
rivelarsi un’arma a doppio taglio.
La terza stagione di Silo
non è ancora stata pubblicata su Apple
TV+, ma ci sono già aggiornamenti sulla quarta
stagione della serie. Un mese dopo la prima della seconda stagione
di Silo sulla piattaforma di streaming, Apple ha annunciato
che la serie fantascientifica di successo è stata rinnovata per la
terza e la quarta stagione. Tuttavia, la quarta stagione di
Silo sarà l’ultima della serie, concludendo la storia
distopica basata sui romanzi di Hugh Howey. Questo potrebbe
sorprendere alcuni, considerando il grande successo ottenuto dalla
serie, soprattutto se si considera la performance della
protagonista Rebecca Ferguson nel cast di Silo. Il finale della seconda stagione di
Silo ha aperto le porte al
futuro della serie Apple TV+, con un flashback che
anticipa il disastroso evento che ha costretto le comunità a vivere
sottoterra in rifugi sotterranei. Il finale è andato in onda nel
gennaio 2025, ma a quel punto la terza stagione di Silo era già in fase di riprese, prima
di concludersi nel maggio 2025. Sembra inoltre che il cast e la
troupe non stiano perdendo tempo con l’ultima stagione della serie.
Durante un’intervista con
ScreenRant, il direttore della fotografia della
seconda stagione di Silo, Baz Irvine, ha confermato che
il team è “in procinto di iniziare” le riprese. Ecco
cosa ha detto Irvine sul lavoro alla seconda stagione e sul futuro
della serie:
No, no, la terza è appena
finita. Ma, cosa interessante, ho incontrato il regista, Michael
Dinner, con cui ho lavorato alla seconda stagione… ha deciso di
rimanere e di fare la terza e la quarta stagione, [e] stanno per
iniziare la quarta.
Quindi no, non sono tornato alla
terza stagione. La seconda stagione è stata incredibilmente lunga,
perché ero il direttore della fotografia principale, quindi sono
arrivato con 12 settimane di anticipo per preparare tutto. Ho anche
dovuto fare i conti con il COVID, lo sciopero degli attori [e] lo
sciopero degli sceneggiatori. E alla fine quello che avrebbe dovuto
essere un impegno di circa nove mesi, che era già molto lungo, è
diventato di 15 mesi.
Inoltre, gran parte del tempo è
stato trascorso in set sotterranei, impazzendo un po’ per la
mancanza di luce solare. Credo di aver avuto lo scorbuto, o una di
quelle malattie di una volta. Penso che quando fai un lavoro del
genere, devi chiederti se sei la persona giusta per portare avanti
il progetto la volta successiva. E penso che Silo sia un ottimo
esempio di serie in cui probabilmente è davvero utile avere un
nuovo punto di vista e un nuovo direttore della fotografia, proprio
per segnare la differenza e la variazione necessarie da una
stagione all’altra per far progredire una serie. Questa era la mia
logica, e inoltre volevo fare altre esperienze.
Cosa significa
l’aggiornamento sulla produzione della quarta stagione di Silo per
la serie
L’ultima stagione della
serie fantascientifica arriverà prima del previsto
Questa volta, sembra che Silo
tornerà in produzione per la quarta stagione prima ancora che la
terza stagione abbia una data di uscita su Apple TV+. Detto questo,
sulla base delle tempistiche di produzione precedenti,è
ragionevole pensare che Silo potrebbe puntare a un debutto
all’inizio del 2026. Ciò allineerebbe la serie al
periodo di post-produzione della seconda stagione, considerando che
le riprese della terza stagione sono terminate a maggio. Passare
direttamente alla quarta stagione potrebbe anche significare,
realisticamente, che l’ultima stagione di Silo potrebbe andare in
onda nella prima metà del 2027.CorrelatiTemo che Silo di Apple TV+
non riesca a coprire tutti e 3 i libri di Hugh Howey in quattro
stagioniSilo di Apple TV+ ha avuto un successo incredibile finora,
ma temo che non riesca a coprire tutti e 3 i libri di Hugh Howey
nelle 4 stagioni previste.9
Sebbene Silo abbia debuttato su
Apple TV+ nel 2023, i suoi unici ritardi sostanziali sono stati
causati da situazioni al di fuori del controllo del team creativo.
Come ha menzionato Irvine, lastagione 2 di Siloha dovuto affrontare il COVID, oltre ai ritardi nella produzione
causati dagli scioperi dei lavoratori di Hollywood nel 2023. A meno
di ritardi imprevisti nella produzione, la serie di Graham Yost
sembra essere sulla buona strada con il capitolo finale di
Silo.
Denis Villeneuve è ufficialmente il
regista del prossimo film della serie James
Bond, ed ecco come questo potrebbe influire sul calendario di
produzione di Dune:
Messiah. Attualmente uno dei registi di blockbuster più
acclamati dalla critica a livello mondiale, Denis Villeneuve non è
nuovo ai grandi franchise. È persino riuscito a elevarli agli occhi
dell’industria cinematografica, con i suoi film Dune che hanno ottenuto recensioni entusiastiche e
risultati straordinari al botteghino. Questo successo è esattamente
il motivo per cui Amazon lo ha reclutato per una delle sue più
grandi produzioni cinematografiche di sempre,
il prossimo capitolo della saga di James Bond.
I fan di Bond e Villeneuve sono
entusiasti, ma c’è solo un intoppo: Denis Villeneuve deve
completare la produzione di Dune:
Messiah prima di poter passare a James
Bond . Di conseguenza, il suo Bond potrebbe non vedere la
luce per diversi anni, a seconda di alcuni fattori importanti come
i tempi di produzione del terzo film di Dune e gli impegni
del regista per la post-produzione e il ciclo di distribuzione di
quel film. Ecco come il lavoro di Denis Villenueve su Dune:
Messiah e James Bond 26 potrebbe influire
sulle date di uscita dei due film.
Denis Villeneuve girerà Dune 3
prima di lavorare a James Bond 26
Dune: Messiah sarà girato
quest’anno in vista di un’uscita nel 2026
Denis Villeneuve dirigerà il 26°
film di James Bond, attualmente senza titolo, ma questo non sembra
complicare i suoi piani per la regia di Dune: Messiah
quest’estate. Nonostante le voci che lo davano in partenza dalla
serie, Denis Villeneuve ha confermato che tornerà per il terzo
Dune.
Dune: Messiah dovrebbe
iniziare le riprese quest’estate. In questo modo, l’epopea
fantascientifica potrà terminare la produzione e passare alla fase
di post-produzione in vista dell’uscita prevista per dicembre
2026. Ciò significa che Dune: Messiah uscirà
probabilmente molto prima che la versione di Villeneuve di James
Bond arrivi sul grande schermo.
Per quanto tempo Dune 3 terrà
Villeneuve lontano da Bond 26?
Alcuni fattori attenuanti
potrebbero tenere Villeneuve lontano da Bond per un po’
Sebbene sia emozionante vedere
Denis Villeneuve entrare a far parte del franchise di James Bond, i
fan dovranno probabilmente pazientare prima di poter dare
un’occhiata al suo approccio al personaggio. Date le dimensioni e
la portata della produzione, Dune: Messiah occuperà
probabilmente gran parte del tempo di Villeneuve per il resto del
2025.
Le riprese di Dune: Part Two sono durate circa cinque mesi. Se le
riprese principali di Dune: Messiah richiederanno lo stesso
tempo e inizieranno in estate, la produzione dovrebbe
concludersi alla fine dell’anno o all’inizio del 2026, per poi
passare alla fase di post-produzione.
È possibile che Villeneuve sia già
in fase di sviluppo e pre-produzione del suo James Bond, ma questo
dipende interamente da chi sta scrivendo la sceneggiatura.
Villeneuve è uno sceneggiatore di talento, avendo scritto le
sceneggiature dei suoi film precedenti e co-sceneggiato i film di
Dune. Tuttavia, gli sceneggiatori del suo film di James
Bond non sono stati ancora confermati.
Se sarà lui stesso a scrivere la
sceneggiatura, il film di Denis Villeneuve su James Bond potrebbe
non essere completamente definito dal punto di vista della trama
fino al termine delle riprese di Dune: Messiah. Se
Villeneuve affiderà la sceneggiatura a qualcun altro, la
sceneggiatura del nuovo film di James Bond potrebbe essere pronta
quando Villeneuve avrà terminato Dune: Messiah.
La produzione potrebbe dover
attendere fino alla seconda metà del 2026 per consentire a
Villeneuve di dedicarsi al lavoro di post-produzione di Dune:
Messiah. Anche dopo il completamento del film, Villeneuve dovrà
dedicare parte del suo tempo nella seconda metà del 2026 e
all’inizio del 2027 alla promozione del film, compresi
l’inevitabile tour mondiale per la stampa e la stagione dei
premi.
Tutto ciò significa che, anche se
Villeneuve avesse la possibilità di iniziare le riprese del
prossimo film di James Bond nel 2026, probabilmente non avrebbe
molto tempo da dedicare alla produzione. Data la portata naturale
di un film di James Bond, ciò significa che c’è una buona
probabilità che il prossimo James Bond non arriverà nelle sale
prima del 2027.
L’uscita di James Bond è
prevista per il 2027 o il 2028, a seconda di quando Denis
Villeneuve sarà libero
Il prossimo James Bond è un grande
punto interrogativo per gli appassionati di cinema, soprattutto
alla luce della drammatica uscita di Daniel Craig dalla serie in No Time to
Die e del maggiore controllo acquisito da Amazon sul franchise.
Assumere Denis Villeneuve è una mossa astuta da parte dello
studio, che si assicura così uno dei registi di blockbuster più
acclamati e cerebrali di Hollywood.
Tuttavia, l’impegno di Villeneuve
con Dune significa che la produzione del prossimo James Bond
potrebbe richiedere un po’ di tempo prima di decollare. Se
Villeneuve volesse dedicarsi completamente a James Bond, dovrebbe
aspettare fino al completamento di Dune: Messiah.
Soprattutto se il film dovesse diventare un candidato ai premi,
questo impedirebbe a Villeneuve di girare fino al 2027.
In tal caso, il pubblico potrebbe
aspettarsi il debutto del prossimo film di James Bond nel 2028.
Tuttavia, c’è la possibilità che Villeneuve possa iniziare la
produzione del sequel mentre lavora alla post-produzione di Dune:
Messiah. Ha già fatto qualcosa di simile in passato, quando ha
iniziato la produzione di Blade Runner 2049 mentre Arrival era
ancora in fase di montaggio.
Se Villeneuve adottasse questo
approccio, il prossimo film di James Bond avrebbe maggiori
possibilità di essere girato nel 2026 e di uscire nel 2027.
Tuttavia, si tratta di una responsabilità incredibilmente
impegnativa per un regista, e Villeneuve potrebbe non essere
interessato a ripetere lo stress di essere contemporaneamente
impegnato nella produzione e nella post-produzione.
Il passaggio di Villeneuve a
Bond conferma ulteriormente che non realizzerà Dune 4
Dune 4 potrebbe ancora vedere
la luce, ma Villeneuve non lo dirigerà
Sebbene rimangano ancora alcune
domande piuttosto importanti senza risposta sul futuro della serie
di James Bond, l’ingresso di Denis Villeneuve nel franchise
sembra confermare silenziosamente chenon sarà coinvolto
attivamente nella produzione di un ipotetico Dune 4, a
meno che questo film non esca tra diversi anni.
La serie Dune è un’epopea
tentacolare con molte altre storie da raccontare dopo gli eventi
probabilmente descritti in Dune: Messiah. Tuttavia,
l’annuncio che Villeneuve passerà a Bond suggerisce che non avrà
molto tempo per dedicarsi a quel progetto.
Sebbene questo possa essere
straziante per i fan della serie, probabilmente è la scelta giusta
per il regista. Dopo aver diretto una trilogia ambientata nel vasto
cosmo di Dune, sarà emozionante vedere Villeneuve
cimentarsi con un altro universo un po’ più concreto.
James Bond è un progetto
entusiasmante per il regista, poiché suggerisce che è pronto a
prendere le distanze dagli scenari fantascientifici che hanno
dominato gran parte del suo lavoro recente. Dune:
Messiah potrebbe ritardare il passaggio di Villeneuve a
James Bond, ma dovrebbe mettere in evidenza il motivo per cui i fan
del cinema sono entusiasti della sua interpretazione del
personaggio classico.
Secondo quanto riferito, per il
prossimo film di James
Bond si starebbe valutando tre star come candidati
come nuovo agente 007, dato che l’uscita del film nelle sale si
avvicina. Dopo l’uscita di scena di Daniel Craig nei panni di James Bond nel 2021,
non è ancora chiaro chi lo sostituirà. Amazon ha ora le redini del
franchise e è
stato appena annunciato che Denis Villeneuve dirigerà Bond 26,
il che significa che il nuovo film sta procedendo.
Secondo Variety, Tom Holland, 29 anni, Jacob Elordi, 28 anni, e Harris
Dickinson, 29 anni, sono in cima alla lista degli attori
che potrebbero vestire i panni di 007 nel prossimo. Amazon,
infatti, starebbe cercando un attore britannico sotto i 30 anni per
il ruolo, il che significa che i precedenti favoriti potrebbero
essere fuori dai giochi.
Sebbene Elordi sia australiano,
sembra che la società non sia troppo preoccupata al riguardo. Il
rapporto sottolinea inoltre che, in questa fase, non sono stati
organizzati incontri con le star. Per quanto riguarda la data di
uscita del nuovo film, secondo quanto riferito Amazon sta valutando
una data nel corso del 2028.
Chi potrebbe interpretare il prossimo James Bond?
Tom Holland è, ovviamente, famoso soprattutto
per aver interpretato Spider-Man nell’MCU, ma alcuni dei suoi
progetti non legati ai supereroi hanno avuto difficoltà.
Interpretare Bond potrebbe consolidare la sua fama di star del
cinema al di là del ruolo di lancia-ragnatele della Marvel. Holland ha anche un ruolo
da protagonista in The
Odyssey di Christopher Nolan (oltre al prossimo
Spider-Man:
Brand New Day), il che significa che i prossimi anni
potrebbero essere particolarmente entusiasmanti per l’attore.
Oltre ad essere noto per il suo
ruolo in Euphoria,
Elordi non è nuovo al mondo del cinema. Recentemente è apparso in
Saltburn
(2023) e Priscilla
(2023), oltre ad aver recitato nei tre film The Kissing
Booth. Dickinson è noto invece per titoli come Babygirl
(2024) e Triangle
of Sadness (2022), ma ha anche esperienza nel genere
d’azione, avendo recitato in The
King’s Man (2021).
Sebbene Amazon non abbia confermato
né smentito la notizia riguardante questi tre attori, quest’ultima
notizia – se confermata – suggerisce che il favorito di lunga data
Aaron Taylor-Johnson, 35 anni, potrebbe essere
fuori dai giochi. Se Variety avesse ragione, anche Henry Cavill, 42 anni, sarebbe troppo vecchio
per il ruolo. Una star sotto i 30 anni potrebbe significare che
Bond 26 fungerà da prequel per l’iconica spia.
Uscito nel 2006 e diretto da Fausto Brizzi, Notte prima degli
Esami è diventato rapidamente un film
generazionale, capace di raccontare in modo ironico e commovente le
ansie, le aspettative e le emozioni vissute dai maturandi italiani.
Ambientato nell’estate del 1989, il film ha colpito il pubblico per
la sua capacità di mescolare la leggerezza della commedia
all’importanza del momento di passaggio verso l’età adulta.
Con
personaggi memorabili e una colonna sonora che attinge al meglio
della musica italiana degli anni ’80, il film ha lasciato un segno
duraturo nell’immaginario collettivo. Ma viene spontaneo chiedersi:
quanto c’è di vero nella storia raccontata? È ispirata a fatti
reali o è frutto della pura invenzione?
Cosa succede in Notte prima degli Esami
Il
film segue le vicende di un gruppo di studenti romani alle prese
con l’esame di maturità, raccontando i loro ultimi giorni di
scuola, i sogni per il futuro e le paure legate all’incertezza del
domani. Protagonista è Luca, un diciottenne idealista che si
ritrova in un imprevisto conflitto con il severo professore di
lettere, il temutissimo Martinelli.
Accanto a Luca ci sono gli amici di sempre, che tra primi amori,
amicizie messe alla prova e inseguimenti rocamboleschi cercano di
affrontare l’ultima estate dell’adolescenza. L’incontro con
Claudia, una ragazza misteriosa e brillante, cambierà per sempre il
modo in cui Luca guarda al mondo, spingendolo a maturare in
fretta.
Il film, pur nella leggerezza del tono, affronta anche temi più
profondi come il rapporto con i genitori, l’identità, la paura del
futuro e la pressione scolastica, offrendo un ritratto sincero,
talvolta nostalgico, di un’epoca e di un’età che accomuna intere
generazioni.
Notte prima degli Esami è basato su una storia vera?
Notte prima degli Esami
non è direttamente tratto da una storia vera, ma trae forte
ispirazione dalla realtà. Il regista e sceneggiatore Fausto Brizzi
ha più volte dichiarato di aver costruito la trama del film
attingendo ai propri ricordi personali e a quelli dei suoi
coetanei. L’intento era raccontare un’esperienza collettiva e
universale: la maturità, con il suo carico di ansie e sogni,
vissuta da milioni di italiani.
Il
personaggio di Luca, così come i suoi amici e l’iconico professor
Martinelli (interpretato da Giorgio Faletti), sono figure che
rappresentano tipologie reali: l’insegnante inflessibile, la
ragazza inafferrabile, il gruppo di amici in cui ognuno si
riconosce. Sebbene nessuno di loro sia basato fedelmente su persone
esistenti, ognuno incarna situazioni vissute da chiunque abbia
affrontato l’ultimo anno di scuola.
In questo senso, il film si fonda su una verità emotiva e
generazionale più che biografica. È un’opera che si nutre di
autenticità, pur nella sua struttura narrativa di fiction. Proprio
questa miscela tra finzione e realtà condivisa ha reso
Notte prima degli Esami
un cult, capace di far sentire ogni spettatore parte di quella
lunga, indimenticabile notte.
Notte prima degli Esami ha
avuto il merito di riportare al centro dell’immaginario collettivo
un momento spesso trascurato dal cinema italiano: quello della
maturità, visto come rito di passaggio. Il successo del film ha
dato voce a una generazione che si è riconosciuta nei suoi
personaggi, ma ha anche saputo parlare ai più giovani e agli
adulti, grazie alla forza delle emozioni raccontate e alla
leggerezza del tono.
Il
film ha avuto anche un grande impatto culturale: non solo ha
generato un sequel e una versione ambientata ai giorni nostri
(Notte prima degli Esami –
Oggi), ma ha contribuito a rilanciare l’idea di una commedia
italiana capace di unire nostalgia e introspezione. La sua
ambientazione nel 1989, con la caduta del Muro di Berlino sullo
sfondo, aggiunge un ulteriore livello di significato storico,
ricordando come i grandi eventi mondiali si intreccino con le
piccole, grandi storie personali.
In definitiva, pur non essendo la cronaca fedele di una vicenda
realmente accaduta, Notte
prima degli Esami è autentico proprio perché racconta la
verità di un momento che tutti, in qualche forma, hanno vissuto. Ed
è forse questo il motivo per cui continua a essere amato, rivisto e
citato a distanza di quasi vent’anni dalla sua uscita: perché parla
di noi, delle nostre paure, delle nostre speranze e di quel preciso
istante in cui si diventa grandi.
Secondo quanto lasciano intendere
Matt Reeves e Mattson Tomlin con un crosspost su
Instagram, la sceneggiatura per The
Batman Parte II è pronta! I due hanno
condiviso una foto che li ritrae sullo sfondo, sfuocati, mentre in
primo piano compare uno script che ha sul frontespizio
l’inconfondibile logo dell’Uomo Pipistrello.
The Batman, con
Robert Pattinson, è uscito nelle
sale cinematografiche statunitensi il 4 marzo 2022. Un sequel del
film è stato annunciato ufficialmente dalla Warner Bros. Pictures
al CinemaCon 2022 il 26 aprile 2022, che in seguito si sarebbe
intitolato The Batman Parte II. Oltre tre anni
dopo abbiamo avuto la serie spin-off The
Penguin della HBO e ora (forse) abbiamo una
sceneggiatura e una data d’uscita fissata per il primo ottobre
2027.
Habemus Papam
(qui
la recensione), uscito nel 2011 e diretto da Nanni Moretti, rappresenta uno dei
momenti più singolari e intensi nella filmografia del regista
romano. Conosciuto per il suo sguardo ironico e spesso
autoanalitico, Moretti in questo film abbandona il tono più
autobiografico per abbracciare una riflessione surreale e
malinconica sul potere e sulla fragilità umana. Il film si apre con
la morte del Papa e l’elezione di un nuovo pontefice, interpretato
magistralmente da Michel Piccoli, il quale, colto
da una crisi di panico subito dopo l’annuncio, rifiuta il ruolo e
si nasconde, aprendo così una profonda riflessione sulla paura
della responsabilità e sull’identità individuale all’interno delle
istituzioni.
Ciò che rende Habemus
Papam un’opera affascinante è l’equilibrio tra satira e
umanità. Moretti, che interpreta anche uno psicanalista chiamato in
Vaticano per aiutare il pontefice in crisi, costruisce un racconto
dove la dimensione simbolica del potere religioso si scontra con la
vulnerabilità psicologica dell’uomo. La scelta di girare in interni
fastosi e solenni, con un uso calibrato della musica e dei silenzi,
contribuisce a creare un’atmosfera sospesa e quasi irreale. Il film
ha ricevuto il plauso della critica internazionale ed è stato
presentato in concorso al Festival di Cannes 2011,
ottenendo il plauso dei Cahiers du Cinema e raccogliendo
numerose candidature ai David di Donatello e ai
Nastri d’Argento.
Sebbene sia stato realizzato prima
dell’inaspettata abdicazione di Papa Benedetto XVI nel 2013,
Habemus Papam ha acquisito col tempo un’aura quasi
profetica. Moretti immagina infatti un pontefice sopraffatto dalla
grandezza del ruolo e incapace di accettarlo, un’ipotesi che
sembrava allora impensabile, ma che si è concretizzata solo due
anni dopo l’uscita del film. Nei prossimi paragrafi approfondiremo
dunque le sorprendenti coincidenze con la realtà, le differenze tra
finzione e storia vera, e come il film abbia anticipato un tema che
solo successivamente avrebbe trovato spazio nel dibattito pubblico
e religioso.
Michel Piccoli in Habemus Papam
La trama e il cast di
Habemus Papam
Il film si apre con la morte del
Santo Padre e il conclave per eleggere il nuovo Papa. Dopo alcune
fumate nere, viene finalmente nominato pontefice il
cardinale Melville (Michel
Piccoli). Tuttavia, il giorno della proclamazione, mentre
i fedeli sono in attesa nella piazza di San Pietro, il religioso va
improvvisamente nel panico e fugge, interrompendo l’annuncio
ufficiale della sua nomina. Sorpresi dall’inaspettata reazione, i
membri del conclave si trovano bloccati all’interno della Santa
Sede, in quanto – secondo il diritto canonico – finché il Papa non
si affaccia al balcone per mostrarsi ai fedeli, la cerimonia non
può dirsi conclusa e cardinali elettori non possono uscire dal
Vaticano.
Per venire a capo della crisi
esistenziale che sembra aver colpito il cardinale Melville, viene
chiamato in aiuto lo psicologo Brezzi
(Nanni Moretti). Dopo qualche infruttuosa seduta
analitica, il dottore consiglia al Papa di recarsi da uno
psicoanalista che non conosca la sua vera identità, indirizzandolo
allo studio della sua ex moglie (Margherita
Buy), anch’essa psicologa. Dopo la prima seduta – in
cui il religioso si spaccia per un attore – il pontefice si dà alla
fuga, seminando la sua scorta di sicurezza. Nel frattempo i
cardinali e il dottor Brezzi, ignari della situazione e rinchiusi
nella Santa Sede, passano il tempo giocando a un torneo di
pallavolo, in attesa del ritorno del Papa.
La storia vera che il film sembra
aver ispirato
Come anticipato, l’11 febbraio 2013,
a quasi due anni dall’uscita nelle sale di Habemus
Papam (2011) di Moretti, il mondo intero rimase sconvolto
da una notizia senza precedenti nella storia moderna della Chiesa
cattolica: Papa Benedetto XVI annunciava
ufficialmente la sua rinuncia al pontificato. Era la prima volta
dopo quasi 600 anni — l’ultimo era stato Gregorio
XII nel 1415 — che un Papa abdicava volontariamente. La
notizia colpì l’opinione pubblica e lo stesso clero con la forza di
un fulmine a ciel sereno, generando smarrimento e un senso di
disorientamento generale, simile a quello raccontato nel film di
Moretti.
Nanni Moretti in Habemus Papam
In Habemus Papam,
la figura immaginaria del cardinale Melville viene eletto Papa ma,
sopraffatto dal peso della responsabilità, va in crisi profonda e
si rifiuta di assumere il ruolo, fuggendo dal Vaticano. Nel film,
il protagonista è spinto da un senso di inadeguatezza e smarrimento
esistenziale, e la sua fuga diventa una metafora del dubbio, della
fragilità umana e della difficoltà di sopportare il carico
spirituale e istituzionale di essere il Vicario di Cristo. Quando,
due anni dopo, Benedetto XVI motivò le sue dimissioni con l’età
avanzata e le forze venute meno “nel corpo e nello spirito”, molti
non poterono fare a meno di cogliere un’inquietante e quasi
profetica somiglianza con quanto narrato da Moretti.
Quella che nel film era una finzione
ironica e tragica allo stesso tempo, divenne improvvisamente
realtà. Le dimissioni di Benedetto XVI sollevarono interrogativi
profondi non solo sulle sue condizioni personali, ma anche sul
significato del papato nel mondo contemporaneo. Alcuni osservatori
videro nel gesto una forma di coraggio e di onestà intellettuale,
altri una resa alle pressioni interne alla Chiesa. In entrambi i
casi, il parallelismo con Habemus Papam sembrava
innegabile: in entrambe le narrazioni, un uomo spirituale mette in
discussione la propria capacità di essere guida del mondo
cattolico, scegliendo di farsi da parte per il bene
dell’istituzione.
Il film, alla sua uscita, aveva
diviso l’opinione pubblica: per alcuni era irriverente, per altri
profondamente umano.
L’Avvenire aveva addirittura invitato a boicottare il film non
sostenendolo al botteghino. Ma dopo il gesto di Benedetto XVI,
l’opera di Moretti apparve sotto una luce nuova, quasi come
un’intuizione lungimirante dei dilemmi che possono attraversare
anche la figura più alta della Chiesa. La realtà superava la
finzione, o forse l’aveva solo seguita da vicino.
La Mummia – La tomba dell’Imperatore Dragone è il
terzo capitolo della celebre saga avventurosa iniziata nel 1999 con
La Mummia e proseguita
nel 2001 con La Mummia – Il ritorno. Diretto da Rob
Cohen, il film abbandona le sabbie egiziane per spostarsi
nell’antica Cina, offrendo al pubblico una nuova ambientazione,
nuove leggende e una mummia dal volto completamente diverso.
Brendan Fraser torna nei panni dell’intrepido
Rick O’Connell, mentre il personaggio di Evelyn ha
il volto di Maria Bello, che sostituisce Rachel Weisz. Con un tono ancora più
spettacolare e azioni mozzafiato, il film tenta di rinnovare la
formula mantenendo lo spirito di avventura classico che ha reso la
saga un cult del cinema popolare.
Uno
degli elementi più interessanti del film è il modo in cui fonde
elementi fantastici con leggende e figure realmente esistite della
cultura cinese. La mummia questa volta è quella dell’Imperatore
Qin Shi Huang, interpretato da Jet
Li, sovrano bramoso di potere che, dopo aver conquistato
buona parte del mondo conosciuto, viene maledetto insieme al suo
esercito da una potente strega (Michelle
Yeoh). L’introduzione del figlio di Rick ed Evelyn
come nuovo protagonista d’azione mostra inoltre la volontà di dare
un respiro più generazionale alla saga, anche se i cambiamenti non
sono stati accolti in maniera unanime dai fan della prima ora.
Nel corso di questo
approfondimento, si andrà ad analizzare in particolare quanto di
vero ci sia dietro alla figura dell’Imperatore Dragone e in che
modo il film prenda ispirazione dalla reale storia dell’Imperatore
Qin Shi Huang, noto per aver unificato la Cina e per essere stato
sepolto con il celebre esercito di terracotta. Sebbene il film
prenda molte libertà narrative e inserisca elementi completamente
fantastici, il contesto storico e archeologico che lo ispira è
affascinante e merita un’analisi più attenta.
La trama di La Mummia – La tomba dell’Imperatore
Dragone
Il film si apre nell’antica Cina del
III secolo a.C. Qui l’imperatore Qin shi Huang, un
signore della guerra brutale e tirannico servito da un esercito di
diecimila guerrieri, ricorre alla magia dei signori dell’occulto
per ampliare i suoi domini. All’ambizioso e spietato Han vengono
però concessi i poteri elementali, mentre il tiranno brama
l’immortalità ad ogni costo. Per questo invia suoi due fedelissimi
a cercare la maga Yuan che pare conosca il segreto
della vita eterna. Purtroppo per lui la sua crudeltà sarà anche la
sua rovina, la maga cercherà di fermarlo e lancerà una maledizione
su Huang che sarà tramutato in una statua di terracotta insieme al
suo esercito.
Duemila anni dopo, nel 1946, Rick ed
Evelyn O’Connell si sono ritirati nell’Oxfordshire
e hanno abbandonato i loro avventurosi viaggi in Egitto, che Evelyn
ha poi raccontato in due romanzi di grande successo. La mancanza di
adrenalina e di un soggetto per il terzo libro di Evelyn però si
farà presto sentire, portando i coniugi O’Connell ad accettare
un’ultima missione. Questa prevede lo scortare un prezioso
manufatto sino a Shangai per restituirlo alle autorità cinesi. Qui
scopriranno però che Alex, il loro figlio, ha
involontariamente risvegliato la mummia dell’Imperatore Dragone e
con lui anche il suo esercito. Fermarli prima che invadano il mondo
intero sarà un’impresa quantomai disperata.
La storia vera a cui ispira il
film
Il film La Mummia – La tomba
dell’Imperatore Dragone si ispira a una delle figure
storiche più affascinanti della Cina antica: Qin Shi
Huangdi, il primo imperatore dell’impero unificato cinese.
Nato nel 259 a.C., salì al trono a soli 13 anni come re dello stato
di Qin, ma fu solo nel 221 a.C. che, dopo aver conquistato tutti
gli altri regni rivali, si proclamò Imperatore della Cina. La sua
ascesa segnò la fine del periodo degli Stati Combattenti e l’inizio
di una nuova era sotto un governo centralizzato. Qin Shi Huangdi fu
un riformatore ambizioso, promotore della standardizzazione della
scrittura, delle monete e delle unità di misura, ma anche un
sovrano autoritario che reprimette duramente il dissenso e ordinò
la distruzione di testi storici e filosofici non conformi alla sua
visione.
Il progetto più celebre legato alla
figura dell’imperatore è senza dubbio la costruzione del suo
imponente mausoleo nei pressi dell’attuale Xi’an, nella provincia
dello Shaanxi. Secondo le cronache antiche, l’edificazione della
tomba iniziò non appena Qin salì al trono e coinvolse centinaia di
migliaia di lavoratori per decenni. Al suo interno, si dice che
fosse stato ricreato un mondo sotterraneo in miniatura, completo di
fiumi di mercurio e trappole per proteggere il sovrano anche
nell’aldilà. Tuttavia, il cuore del mistero rimane il leggendario
Esercito di Terracotta, scoperto
casualmente nel 1974 da alcuni contadini intenti a scavare un
pozzo.
L’Esercito di Terracotta è composto
da oltre 8.000 statue a grandezza naturale tra guerrieri, arcieri,
carri e cavalli, disposte in formazione militare e realizzate con
un livello di dettaglio sorprendente. Ogni soldato ha tratti unici,
come se fosse stato modellato a partire da una persona reale.
Questo straordinario esercito non era solo simbolico, ma
rappresentava la convinzione dell’imperatore di poter continuare a
governare anche dopo la morte, difeso da una forza immortale.
L’enorme complesso funerario, ancora oggi solo parzialmente
esplorato, è considerato uno dei ritrovamenti archeologici più
importanti del XX secolo.
Nel film, la figura di Qin Shi
Huangdi viene invece trasformata in un sovrano assetato di potere e
magia, maledetto per la sua brama di immortalità insieme al suo
esercito, che viene così trasformato in terracotta. Sebbene la
narrazione cinematografica prenda dunque molte libertà artistiche
rispetto alla realtà riguardanti Qin Shi Huangdi, il mito
dell’imperatore e del suo esercito sotterraneo continua ancora oggi
esercitare un forte fascino, alimentando il confine tra storia,
leggenda e fantasia.
White Elephant – Codice
criminale si inserisce nella fase conclusiva della
carriera di Bruce Willis, segnata da una lunga
serie di action thriller a basso budget realizzati tra il 2019 e il
2022, prima del suo ritiro dalle scene per motivi di salute. In
questo periodo, l’attore ha partecipato a numerosi progetti in
ruoli secondari o marginali, spesso interpretando figure di
autorità come poliziotti, detective o ex militari. Il film diretto
da Jesse V.
Johnson segue questa tendenza, ma si distingue per una
maggiore cura formale e per l’attenzione alla costruzione dei
personaggi, rispetto ad altri titoli simili della stessa fase.
Confrontato a pellicole come
Survive the
Night, Trauma Center e Hard Kill, questo film
mostra un respiro narrativo leggermente più ampio. Mentre negli
altri film Willis appare spesso relegato a semplici comparse con
poco spazio d’azione, qui il suo personaggio, un potente boss
criminale, ha un ruolo più attivo e influente sulla trama. La
storia ruota attorno a un sicario in crisi morale che si trova
diviso tra l’obbedienza agli ordini del proprio capo e il desiderio
di proteggere una testimone scomoda. Il conflitto etico e il
rapporto tra mentore e allievo offrono spunti che arricchiscono la
narrazione, pur restando nei limiti dell’action da home video.
Nel complesso, White
Elephant – Codice criminale rappresenta un tassello
interessante della recente filmografia recente di Willis, in cui
l’attore offre una performance coerente con la sua immagine di duro
imperturbabile, ma con sfumature più ciniche e crepuscolari. Pur
non raggiungendo le vette dei suoi successi passati, il film riesce
a coinvolgere grazie a un ritmo solido e a un tono da noir moderno.
Nel resto dell’articolo analizzeremo più nel dettaglio il finale
del film, spiegandone il significato e le implicazioni per i
personaggi principali.
La trama del film
Arnold
Solomon (Bruce
Willis) è un ricco e potente speculatore del
settore immobiliare, con legami con la criminalità organizzata e
intento ora a trattare un accordo con i russi. Per stare tranquillo
ed evitare interferenze da parte del suo rivale, Luis
Velasquez, a capo di un Cartello messicano, Arnold affida
al suo fidato sicario e caro amico Gabriel “Gabe”
Tancredi
(Michael
Rooker), un ex marine ora al servizio della
criminalità, il compito di gestire le negoziazioni. All’incontro
con Velasquez, Gabe si presenta con il suo aiutante Carlos
Garcia. Quando però le trattative con Velasquez
falliscono, Garcia decide di eliminarlo.
Gli agenti della polizia
investigativa Vanessa Flynn (Olga
Kurylenko) e Walter Koschek,
appostati per sorvegliare Velasquez, vedono Carlos uscire di corsa
e scampare per un pelo all’esplosione dell’ufficio del boss
messicano. Appreso dell’esistenza dei testimoni, Arnold ordina a
Gabe di eliminarli. Koschek viene allora ucciso a casa sua da Gabe
e Carlos, mentre per l’agguato a Vanessa, Carlos si porta dietro
alcuni amici per aiutarlo. L’ex marine decide però di infrangere il
codice criminale e aiuta la Flynn a sfuggire all’aggressione
mortale. Da quel momento per loro la situazione si complica e si
troveranno a dover fermare i suoi nemici prima che essi fermino
lei.
La spiegazione del finale del film
Nel terzo atto, la tensione esplode quando Gabriel Tancredi, ormai
in conflitto tra il proprio codice morale e la lealtà verso il boss
Arnold Solomon, decide di proteggere l’agente Vanessa, testimone di
un tentato omicidio orchestrato da Solomon. I colpi di scena
aumentano quando Solomon, informato della defezione di Gabriel,
ordina un massiccio assalto alla sua villa. In un crescendo di
scene d’azione, uomini armati irrompono tra corridoi bui,
esplosioni e colpi di arma da fuoco, in uno stile vicino alle
sequenze dei primi John Wick.
Durante l’assalto, Gabriel e Vanessa, alleati dallo spirito,
affrontano l’intera squadra di sicari nel cortile e all’interno
della villa. I combattimenti sono crudi, con effetti sanguinolenti
decisamente più improntati al “pratico” che al digitale.
Vanessa dimostra la sua abilità militare affrontando con freddezza
i sicari, mentre Gabriel ribadisce il proprio cammino verso la
redenzione. Solomon, resosi conto del fallimento, tenta la fuga, ma
viene fermato e giustiziato da Gabriel, che chiude così i conti con
il proprio passato. Il film si conclude con Gabriel e Vanessa che
si allontanano dal luogo del massacro, feriti ma vivi, lasciando
intendere un possibile inizio per entrambi al di fuori della
violenza e della criminalità.
Queste scene finali incarnano il tema centrale del film: la
possibilità di redenzione e il peso del proprio passato. Gabriel
decide di proteggere Vanessa non solo per affetto, ma per espiare
le azioni violente compiute, un vero punto di rottura con il
proprio codice da killer senza scrupoli. Solomon rappresenta invece
il passato che rifiuta il cambiamento, incarnando la brutalità
inamovibile del potere criminale. Il contrasto tra la
decisione morale di Gabriel e l’intransigenza del boss amplifica il
conflitto etico alla base della narrazione.
Inoltre, la distruzione della villa simboleggia lo smantellamento
del mondo oscuro in cui Gabriel ha vissuto per anni. La complicità
tra Gabriel e Vanessa, legate da traumi militari e personali, crea
un legame che va oltre la semplice alleanza: diventa manifestazione
di fiducia reciproca e supporto. Il loro confronto contro
l’organizzazione malavitosa trova, nel climax, un’impronta quasi
rituale: il vecchio sistema viene abbattuto per lasciar spazio a
una vita nuova, basata sulla protezione anziché sulla violenza.
La notizia sta circolando da qualche
ora sui social e arriva direttamente dai canali ufficiali RAI:
Whoopi Goldberg, una delle poche attrici al
mondo a fregiarsi del titolo di EGOT (vincitrice di Emmy,
Golden Globe, Oscar e Tony) è entrata a far parte del cast
di Un posto al sole, storica soap opera
italiana, in onda su Rai3 dal 1993.
Non si sa molto sul ruolo
dell’attrice ma per ora la rete fa sapere che il suo personaggio
debutterà in una storyline speciale come “recurring character” in
alcuni episodi in onda nel 2026.
La soap racconta la vita degli
abitanti di un condominio, palazzo Palladini, situato sulla collina
partenopea di Posillipo, con vista sul golfo di
Napoli e il Vesuvio.
Questo vero e proprio colpo di scena
nella carriera di Whoopi Goldberg si associa al progetto a
lungo coccolato del terzo capitolo di Sister Act.
Leo Woodall (One Day,
Bridget Jones: un amore di ragazzo) sarà il protagonista
della nuova miniserie NetflixVladimir, adattata
dall’acclamato romanzo di Julia May Jonas.
Interpreta il personaggio principale al fianco di Rachel Weisz.
Nella serie scritta da Jonas, mentre
la vita di una donna (Weisz) si sgretola, la ragazza diventa
ossessionata dalla sua affascinante nuova collega (Woodall). Ricca
di segreti sensuali e humor nero, la serie racconta cosa succede
quando una donna si ostina a trasformare le sue fantasie in
realtà.
Il progetto di otto episodi ha
ricevuto il via libera sulla piattaforma di streaming a marzo, con
Weisz come protagonista e produttore esecutivo al fianco del
creatore e sceneggiatore Jonas. Oltre a Jonas e Weisz, i produttori
esecutivi includono Sharon Horgan, Stacy Greenberg
e Kira Carstensen per Merman, Jason
Winer e Jon Radler per Small Dog Picture
Company, Shari Springer Berman e Robert
Pulcini. Lo studio è 20th Television, con cui Small Dog
aveva un accordo generale.
Leo Woodall è noto soprattutto per
aver interpretato Jack, uno dei protagonisti della seconda stagione
della serie di successo della HBO The White Lotus.
Più recentemente, ha interpretato Dexter Mayhew nel dramma romantico britannico
One Day di Netflix, al fianco di Ambika Mod, e lo
studente di matematica Edward Brooks nella miniserie Prime Target di Apple
TV+. Al cinema, ha interpretato il giovane interesse amoroso di
Renée Zellweger in Bridget Jones: Mad About the Boy di Peacock.
Woodall apparirà prossimamente in Nuremberg di James Vanderbilt,
basato sul libro di saggistica del 2013 The Nazi and the
Psychiatrist di Jack El-Hai.
Con
Eternal – Odissea negli
abissi, il regista danese Ulaa Salim abbandona le tensioni politiche
del suo debutto (Sons of Denmark) per tuffarsi –
letteralmente – in un’ambiziosa parabola fantascientifica che
intreccia disastro ecologico e rimpianti personali. Tuttavia,
quello che sulla carta potrebbe sembrare un connubio originale tra
l’immaginario catastrofico alla Nolan e il romanticismo malinconico
da cinema d’autore scandinavo, si rivela presto un’opera
sbilanciata, che confonde la profondità con la ripetizione e
l’introspezione con l’enfasi.
Un’idea promettente, ma presto annegata
Il
film si apre con un evento apocalittico: un terremoto in Islanda ha generato una
frattura nel fondo dell’oceano, un’anomalia
geologica che potrebbe destabilizzare il campo magnetico terrestre
e condurre all’estinzione della vita. Elias, giovane brillante
aspirante scienziato climatico, sogna di studiare da vicino il
fenomeno e contribuire alla sua risoluzione. Ma proprio nel momento
in cui incontra Anita, una cantante determinata a vivere il
presente e inseguire la propria carriera artistica, Elias si trova
a dover scegliere: restare e costruire una famiglia o partire per
salvare il mondo.
Dopo una prima parte efficace, che mette in scena con misura e
sensibilità l’incontro e la separazione dei due protagonisti, il
film si perde in un lungo flash-forward. Anni dopo, Elias – ormai
divenuto capitano di un sottomarino scientifico – è pronto a
scendere nelle profondità oceaniche per raggiungere la famigerata
frattura. Ma lì qualcosa si spezza: visioni di un passato
alternativo iniziano a tormentarlo. Una moglie. Un figlio. Una vita
mai vissuta. E il film si avvita su se stesso, tra dimensioni
parallele, simbolismi insistiti e ritorni ossessivi su un’unica
domanda: e se avessi
scelto diversamente?
La forma affascina, ma il contenuto zoppica
Dal punto di vista visivo, Eternal ha sicuramente delle qualità. Le scene
subacquee, girate con un occhio attento all’estetica, evocano
suggestioni à la 2001: Odissea nello
spazio e The
Abyss di
James Cameron. I cambi di formato, le lenti grandangolari, i
movimenti ipnotici della macchina da presa creano un’atmosfera
sospesa, in cui realtà e allucinazione si confondono. Tuttavia,
questa confezione curata non riesce a compensare una narrazione che
gira a vuoto.
La
sceneggiatura, infatti, è afflitta da una ripetitività strutturale che smorza ogni
slancio emotivo. Elias continua a rivedere Anita, a immaginare la
vita che avrebbe potuto avere, a struggersi per una decisione ormai
passata, ma ogni ritorno è privo di una reale evoluzione narrativa
o psicologica.
Frame dallo sci-fi Eternal – Odissea negli abissi – Cortesia di
Wanted Cinema
Sci-fi concettuale o melò travestito?
Eternal – Odissea negli abissi si propone come
fantascienza a basso impatto spettacolare e alto tasso emotivo, un
po’ come Interstellar ma con meno rigore scientifico
e più retorica sentimentale. Tuttavia, proprio la componente sci-fi
risulta la più debole: non c’è alcuna coerenza nelle regole
dell’universo narrativo, la frattura oceanica è usata come pura
metafora dell’anima
spezzata, e i fenomeni paranormali – visioni, flash di
altre vite, apparizioni – non vengono mai spiegati né
giustificati.
In
questo senso, l’opera sembra più vicina alla scuola del videoclip
che a quella della fantascienza d’autore. Non a caso,
Nanna Øland
Fabricius, che interpreta Anita da adulta, è nota anche
come cantante pop con il nome d’arte “Oh Land”, e alcune sequenze
sembrano costruite più per evocare una certa estetica indie che per
veicolare un racconto solido.
Un dramma d’amore che scivola nel narcisismo
Anche la storia d’amore centrale fatica a reggersi in piedi. Il
rapporto tra Elias e Anita, pur partendo da premesse coinvolgenti
(due giovani con sogni opposti ma ugualmente forti), si trasforma
in una narrazione a senso unico. Elias prende decisioni drastiche,
poi si pente, poi rivendica – anche con una certa arroganza – il
diritto di far parte della vita del figlio che non sapeva di avere.
Il film sembra non interrogarsi mai davvero sul punto di vista di
Anita, relegandola a figura evocativa, quasi fantasmatica, e
privandola della complessità che meriterebbe.
In
questo senso, nonostante l’intento poetico e riflessivo,
Eternal – Odissea negli abissi finisce per tradire la
sua stessa premessa: invece di proporre una meditazione sul libero
arbitrio e sulle conseguenze delle scelte, ci restituisce una
parabola unidirezionale, dove tutto ruota attorno al tormento
interiore del protagonista maschile.
Un’opera visivamente curata, ma troppo confusa
Distribuito in Italia da Wanted Cinemadal 26 giugno 2025,
Eternal – Odissea negli
abissi si presenta come un film autoriale, sofisticato,
destinato a un pubblico attento e sensibile. Eppure, sotto
l’eleganza della messa in scena si nasconde una struttura
traballante, che non riesce a tenere insieme i tanti generi e
registri che tenta di mescolare. Chi è in cerca di un’opera
riflessiva e simbolica, potrebbe trovarvi qualcosa di stimolante.
Ma chi si aspetta una narrazione solida, una vera tensione
drammatica e un uso coerente del linguaggio fantascientifico,
rischia di uscire dalla sala con più domande che emozioni.
Con la campagna
“Choose a Better Summer”, UCI Cinemas – il più grande
circuito cinematografico europeo, parte del gruppo ODEON Cinemas
Group – invita il pubblico a vivere al massimo l’estate,
scegliendo la qualità e l’emozione del grande schermo. Un’occasione
per trasformare il tempo libero in un’esperienza immersiva:
sale confortevoli, tecnologie avanzate, qualità audiovisiva
straordinaria e contenuti esclusivi accompagneranno le principali
uscite della stagione estiva.
La
campagna è stata presentata ufficialmente nella Capitale, presso
l’UCI Luxe Maximo, una delle multisala di punta del circuito in
Italia. “Oggi il pubblico non si accontenta più di guardare un
film: vuole viverlo, sentirsi parte della storia. In UCI Cinemas
crediamo che l’esperienza in sala debba andare in questa direzione:
per questo investiamo in tecnologie immersive, comfort e cura dei
dettagli, rendendo ogni proiezione un momento coinvolgente.
ConUCI, quindi, ogni visione diventa un modo per
lasciarsi trasportare dalle emozioni e sentirsi davvero parte
dell’azione. Con la campagna ‘Choose a Better Summer’ vogliamo
continuare a essere la scelta di chi cerca storie da vivere, non
solo da vedere, anche d’estate, quando la sala diventa il
posto ideale per rilassarsi, condividere il
tempo libero e assaporare al meglio il grande cinema”, dichiara
Ramon Biarnes,
Managing Director Southern Europe & Northern Europe di Odeon
Cinemas Group.
Si proseguirà con le
sorprese previste in occasione dell’uscita in sala di F1® Il
Film, diretto da Joseph Kosinski e interpretato da Brad
Pitt e Javier Bardem, un’uscita attesissima che porta sul
grande schermo tutta l’adrenalina del mondo della Formula 1. Dal
25 al 29 giugno 2025, infatti, chi acquisterà il biglietto
online riceverà in omaggio il poster ufficiale del film.
Inoltre, acquistando i biglietti sempre online entro il 6
luglio, si potrà partecipare al concorso che mette in palio
un viaggio a Monaco, iconica tappa del circuito cittadino. E
per chi sceglierà la versione IMAX, è previsto un poster
esclusivo con un artwork dedicato.
Dal 2 al 6 luglio
2025 per l’arrivo in sala di Jurassic
World: La Rinascita, il nuovo capitolo della saga
leggendaria diretto da Gareth Edwards, con un cast stellare che
include Scarlett Johansson, Jonathan Bailey e
Mahershala Ali, gli spettatori che acquisteranno il proprio
biglietto online riceveranno un badge esclusivo ispirato
all’iconico lasciapassare del parco, per sentirsi davvero parte
dell’avventura tra dinosauri. Ma l’esperienza non finirà in sala:
sempre acquistando il biglietto online fino al 13 luglio, si
potrà partecipare al concorso ad estrazione che metterà in palio
un’esperienza adrenalinica per quattro persone, per vivere
sulla propria pelle l’atmosfera di Jurassic World,
scegliendo tra avventure a tema “Terra” (tour in quad, arrampicata
su roccia o canyoning), “Acqua” (rafting, kayak o canoa) e “Aria”
(percorso sospeso, zip line o paracadutismo indoor).
Superman: vola
con poster e fumetto da collezione
Dal 9 al 13 luglio
2025, acquistando il biglietto online per Superman su app o sito
UCI Cinemas, gli spettatori riceveranno in regalo il poster
ufficiale del film. Per chi sceglierà, invece, la visione in
IMAX, è previsto un omaggio extra per fan e
collezionisti. Ovvero, un comic book in tiratura
limitata, ispirato al nuovo capitolo di Superman,
diretto da James
Gunn, con David Corenswet nel ruolo di Clark Kent, Rachel
Brosnahan nei panni di Lois Lane e Nicholas Hoult in quelli di Lex
Luthor.
Fantastici 4: Gli
Inizi: collezione in esclusiva
Dal 23 al 27 luglio
2025, per l’uscita di Fantastici 4: Gli Inizi –
con la regia di Matt Shakman e le interpretazioni di Pedro Pascal (Mr. Fantastic), Vanessa Kirby (Donna Invisibile), Joseph Quinn
(Torcia Umana), Ebon Moss‑Bachrach (La Cosa) – ogni biglietto
acquistato online su sito o app UCI per le proiezioni del film
Marvel previste in quei giorni,
consentirà di ricevere in omaggio uno dei quattro esclusivi
poster da collezione.
Un’esperienza
multisensoriale firmata UCI con Choose a Better
Summer
All’interno della campagna “Choose a
Better Summer”, UCI Cinemas ridefinirà l’esperienza in sala in ogni
dettaglio. Le sale LUXE offriranno poltrone reclinabili
di ultima generazione, tavolino personale e fino a
tre volte più spazio rispetto alle sale tradizionali. Un
comfort su misura, pensato per trasformare la visione in un momento
di totale relax.
La tecnologia IMAX garantirà,
poi, un’immersione visiva e sonora unica nel suo genere. Con oltre
53 milioni di microspecchi, proiettori laser di ultima
generazione e un audio calibrato su misura, dunque, ogni
film diventerà un viaggio sensoriale che coinvolgerà completamente
lo spettatore.
Tuttavia, il sito Puck ha ora riportato dei
dettagli che Amazon avrebbe imposto per il prossimo film e che
potrebbero aver escluso Nolan, trovando invece il consenso di
Villeneuve. Questi prevedrebbero dei limiti al coinvolgimento del
regista nella serie di Bond, che non avrebbe dunque il controllo
finale sul montaggio e non sarà considerato un produttore per i
successivi film e serie TV di Bond. Nonostante sia il primo film di
quella che dovrebbe essere una grande serie di Bond, il film di
Villeneuve sarà dunque – se confermati questi dettagli –
probabilmente soggetto ad alcune interferenze da parte dello
studio.
Piuttosto che avere carta bianca per
realizzare ciò che desidera, Villeneuve dovrà quindi lavorare entro
i limiti dello studio, costruendo qualcosa di più collaborativo e
sostenibile con la serie. I nuovi dettagli suggeriscono che il
coinvolgimento dello studio sarà dunque significativo anche dopo
che Barbara Broccoli avrà lasciato il franchise.
Molti credevano che il fatto che Nolan non avesse accettato di
dirigere un film di Bond in passato fosse dovuto a una
significativa supervisione da parte dello studio. Anche se i
Broccoli non fanno più parte della direzione creativa, sembra
quindi che Amazon intenda seguire il loro esempio.
Nolan è un regista di grande fama e
ha un’enorme influenza che può sfruttare per controllare
praticamente qualsiasi studio. Dopo l’incredibile successo di
Oppenheimer, è diventato uno dei pochi registi in
grado di ottenere il controllo creativo, compreso il montaggio
finale. Anche se non è chiaro se Nolan sia effettivamente stato
contattato, non sarebbe sorprendente che le limitazioni creative
fossero un motivo sufficiente per lui per non accettare il
lavoro.
Cosa aspettarsi dal prossimo James Bond
Il rapporto indica anche che la fase
successiva sarà quella di trovare lo sceneggiatore, soprattutto
perché Villeneuve sarà ora probabilmente impegnato in Dune –
Parte Tre. Ciò significa anche che il regista sarà
coinvolto nel processo di casting di Bond, in modo simile a come
Martin Campbell è stato coinvolto con Daniel Craig. Anche se non ci sono indizi su
come sarà il prossimo Bond e nonostante le possibile interferenze
da parte dello studio, l’arrivo di un autore come Villeneuve
potrebbe certamente indicare una potenziale raffinatezza.
Sembra proprio che Michael
Bay stia tornando al franchise di
Transformers, poiché secondo quanto riferito
avrebbe un nuovo film in fase di sviluppo che intende dirigere. Bay
ha portato sul grande schermo nel 2007 il franchise di film
live-action basato sull’iconica linea di giocattoli della Hasbro e
da quel momento ha diretto cinque film in totale. Questa era per la
saga ha avuto un enorme successo, con i film di Bay che hanno
incassato 4,3 miliardi di dollari.
Tuttavia, le recensioni negative
della critica e il basso incasso totale di 605 milioni di dollari
di Transformers: L’ultimo cavaliere hanno portato la
Paramount ad apportare dei cambiamenti. La serie è così stata
rilanciata e ha iniziato a riscuotere successo di critica.
Tuttavia, ciò è avvenuto in un momento in cui gli incassi al
botteghino continuavano a diminuire. Ora, Matt
Belloni di Puck News riferisce che Michael
Bay sta sviluppando un nuovo film di Transformers
che vorrebbe dirigere.
Il film avrebbe attualmente
Jordan VanDina (The Binge) come
sceneggiatore. Il rapporto sottolinea che è stato Bay a cercare un
ritorno al franchise, invece che lo studio a convincerlo a tornare.
Non si sa a che punto sia lo sviluppo del nuovo film, né è
confermato che Bay lo dirigerà. Come minimo, secondo Puck, sarà più
un “produttore attivo”. Non è inoltre chiaro se il film
sarà una continuazione della continuity che ha stabilito in
precedenza, se esisterà nella timeline riavviata o se sarà un reset
completo.
Cosa aspettarsi dal futuro
di Transformers?
Ma questo non è l’unico film di
Transformers in fase di sviluppo. Il rapporto sottolinea che il
regista di Transformers One, Josh Cooley, ha
recentemente concluso un accordo per dirigere un film live-action.
C’è anche il film crossover Transformers / G.I. Joe ancora in lavorazione,
per il quale Chris Hemsworth sarebbe
in fase di trattative. Infine, altri due film misteriosi
sarebbero anch’essi nelle prime fasi di sviluppo.
Insomma, il possibile ritorno di
Michael Bay al franchise di Transformers arriva in
un momento in cui sembra esserci molta voglia di realizzare nuovi
progetti ma non una precisa direzione su dove portare la saga. La
Paramount ha cercato di espandere il franchise in varie direzioni
dopo che Bay si è allontanato dalla serie, ma nulla di ciò che
hanno fatto senza il regista di successo dietro la macchina da
presa ha davvero conquistato il pubblico.
Transformers One doveva essere l’inizio di un nuovo
franchise quando è stato lanciato lo scorso anno. Il film
d’animazione ha ricevuto recensioni entusiastiche e ha preparato
perfettamente il terreno per un’intera trilogia incentrata sulla
guerra tra Optimus Prime e Megatron per il controllo di Cybertron.
Tuttavia, il film ha fatto flop al botteghino, incassando 129
milioni di dollari, e Cooley ha recentemente confermato che
non ci sarà un sequel.
Anche i film live-action hanno
sofferto finanziariamente in assenza di Bay. Mentre il pubblico
sembrava rifiutare il suo approccio anche quando è uscito Transformers: L’ultimo cavaliere, l’interesse non è
aumentato con Bumblebee
(467 milioni di dollari) o Transformers:
Il risveglio (441 milioni). È quindi logico che la
Paramount potrebbe essere d’accordo al fatto che Bay torni a
occuparsi di Transformers per riportare il franchise al successo al
botteghino. Ecco perché è degno di nota il fatto che sia stato Bay,
e non la Paramount, a guidare questa reunion. Come sempre, non
resta che attendere conferme ufficiali.
L’Unione
Italiana Casting Directors (U.I.C.D.) sarà protagonista
all’Ischia Film Festival 2025, diretto da
Michelangelo Messina, portando al centro del
dibattito il valore e la complessità del lavoro di casting nel
cinema contemporaneo. Lo farà in collaborazione con
l’International Casting Directors Association
(I.C.D.A.), promotrice dell’iniziativa attraverso Donna
Morong, membro del board I.C.D.A., che ha invitato
ufficialmente l’U.I.C.D. a partecipare.
Il programma
prevede due panel riservati agli allievi dell’Accademia di Belle
Arti di Napoli, che si svolgeranno lunedì 1° luglio nella storica
Villa La Colombaia – residenza di Luchino Visconti e oggi sede di
eventi culturali – nell’ambito del Casting
Symposium dedicato alla formazione delle nuove
generazioni.
Protagonisti
dell’incontro saranno tre figure di rilievo della U.I.C.D.:
Laura Muccino, Barbara Giordani e Maurilio
Mangano, quest’ultimo recentemente insignito del
David di Donatello per il Miglior Casting
per il film Vermiglio di Maura Delpero –
premio condiviso con Stefania Rodà e assegnato per
la prima volta nella storia del cinema italiano.
I panel del
1° luglio – riservati agli studenti
Ore 10:00
– Panel del mattino: “How to Elevate Your Project with a Global
Cast”
Un’introduzione al
lavoro del casting per giovani registi e autori. I membri di
U.I.C.D. e I.C.D.A. illustreranno come un casting efficace, anche
internazionale, possa amplificare la forza di un progetto. Modera
un giornalista bilingue.
Ore 15:00
– Panel del pomeriggio: “What Makes Them Say Yes?How Casting Connects Rising Filmmakers with Iconic
Talent”
Un dialogo tra
attrici, casting director e filmmaker su come coinvolgere grandi
interpreti in progetti indipendenti o d’autore. Interverranno
Marcia Gay Harden e la casting director americana
Donna Morong, con la partecipazione speciale di
Maurilio Mangano.
Sebbene il
finale della quarta stagione di The
Bear offra ampie possibilità di ritorno per la quinta
stagione, secondo alcune indiscrezioni ciò potrebbe non essere
possibile nell’immediato futuro. Nella quarta stagione,
Carmy (Jeremy
Allen White), Sydney (Ayo
Edebiri), Richie (Ebon
Moss-Bachrach) e Natalie
(Abby Elliott) hanno a disposizione un lasso di
tempo dolorosamente breve per risollevare le sorti del ristorante,
che culmina con Carmy che prende una decisione importante e che
cambierà la sua vita nel finale.
Un nuovo rapporto pubblicato da
Variety suggerisce che la quinta
stagione di The Bear – se verrà ufficialmente rinnovata, cosa che
al momento è ancora in dubbio – potrebbe non entrare in produzione
per un po’, a seconda dell’impegno di FX, dell’“intento creativo” e
della disponibilità dei suoi protagonisti. La serie di successi
agli Emmy di The Bear non solo ha attirato grandi
nomi a partecipare in ruoli da guest star, ma ha anche reso famosi
i suoi attori protagonisti.
Jeremy Allen White interpreterà
Bruce Springsteen nel film biografico Springsteen
– Liberami dal Nulla, Ebon Moss-Bachrach
è ora un membro ufficiale della prima famiglia Marvel e Ayo
Edebiri reciterà nel prossimo film dell’acclamato regista
Luca Guadagnino, al fianco della star di Hollywood
Julia Roberts. È comprensibile che questi
attori vogliano passare ad altri progetti, e non sarebbero i primi
a farlo. Fonti hanno però anche riferito a Variety che sono
“vincolati contrattualmente per una quinta stagione, qualora FX
e Storer decidessero di procedere”.
Quando potremo vedere The Bear – Stagione
5?
Variety riporta che al momento non
ci sono sceneggiature scritte per la quinta stagione di The
Bear, anche se il creatore della serie,
Christopher Storer, avrebbe già in mente una
direzione narrativa. Questo ritardo potrebbe indicare un
allontanamento dal precedente programma di produzione e
distribuzione della serie. Le stagioni 3 e 4 sono state girate una
dopo l’altra e, dal debutto della serie nel 2022, ogni anno a
giugno è stata pubblicata una nuova stagione, un gradito sollievo
rispetto alle attese di due anni che sono diventate una tradizione
nell’era dello streaming. Per la prossima stagione, però, potrebbe
volerci più del previsto.
Nonostante alcune lamentele
stranamente persistenti riguardo alla barba di Pedro Pascal, la maggior parte dei fan è
pienamente d’accordo con la scelta dell’attore per interpretare
Reed Richards in I
Fantastici Quattro: Gli Inizi. Prima ancora che il
reboot venga distribuito, Pascal è già stato affiancato dal resto
della Prima Famiglia dell’MCU sul set di Avengers: Doomsday (e, presumibilmente,
Avengers: Secret Wars
quando inizierà la produzione). Con questo, sembra destinato a
diventare una parte importante di questo franchise.
Durante una retrospettiva sulla sua
carriera con Vanity Fair, Pascal ha parlato
del suo approccio a Reed Richards/Mister Fantastic e ha rivelato
l’unico aspetto della sua interpretazione che gli è stato chiesto
di attenuare durante le riprese. “Il teatro è qualcosa in cui
bisogna entrare. Non so se lo faccio bene”, ha condiviso
l’attore, sempre umile. “Hanno dovuto continuare a frenarmi da
un modo di parlare molto atlantico dei primi anni ’60. Avevano un
coach di dialetto che ci avrebbe aiutato a entrare in quel tipo di
dialetto”.
“Mi sono calato così bene nella
parte che hanno dovuto prendermi da parte… mi hanno detto: ‘Uh,
parla più come te stesso’. Ho fatto fatica a farlo perché ero così
immerso in quell’epoca, che per me era qualcosa in cui immergersi,
dato che è diversa da ciò che abbiamo visto prima”, ha
osservato Pascal. “Quello che hanno creato è qualcosa che non
abbiamo mai visto prima”.
È interessante che la Marvel Studios
abbia chiesto a Pascal di moderare l’accento ispirato alla costa
atlantica degli anni ’60. Tuttavia, ha senso se si considera che
questi personaggi condivideranno lo schermo con gli attuali
Avengers della Terra-616 tra poco più di un anno. A meno che il
piano non sia quello di continuare il Multiverso dopo Secret
Wars, l’aspettativa è che i Fantastici Quattro finiranno per
abitare la stessa realtà degli Avengers, degli X-Men e di
Spider-Man. Di conseguenza, avremo un unico Marvel Cinematic
Universe coeso e ricco di più personaggi che mai.
La trama e il cast di I Fantastici Quattro: Gli
Inizi
Il film Marvel Studios I
Fantastici Quattro: Gli Inizi introduce la prima
famiglia Marvel composta da Reed Richards/Mister Fantastic
(Pedro
Pascal), Sue Storm/Donna Invisibile (Vanessa
Kirby), Johnny Storm/Torcia Umana (Joseph
Quinn) e Ben Grimm/la Cosa (Ebon
Moss-Bachrach) alle prese con la sfida più difficile
mai affrontata. Costretti a bilanciare il loro ruolo di eroi con la
forza del loro legame familiare, i protagonisti devono difendere la
Terra da una vorace divinità spaziale chiamata Galactus
(Ralph Ineson) e dal suo enigmatico Araldo, Silver
Surfer (Julia Garner). E se il piano di Galactus
di divorare l’intero pianeta e tutti i suoi abitanti non fosse già
abbastanza terribile, la situazione diventa all’improvviso una
questione molto personale.