Coproduzione
italo-francese, Promises
di Amanda Sthers fa parte della selezione ufficiale della
Festa del Cinema di Roma. È la storia di un amore mai
veramente vissuto, che continua però a vivere nei due protagonisti,
nonostante le loro esistenze prendano strade diverse. Ne parlano la
regista e il protagonista Pierfrancesco Favino.
Promises è un inno alla libertà di immaginare,
che rende il tempo circolare, in contrapposizione alla linearità
del tempo reale. La regista Amanda Sthers spiega così
come ha lavorato sul tempo nel film e che concezione ne ha:
“Tutti guardano al tempo in modo diverso. Un minuto non è sempre
uguale. A volte può essere davvero molto lungo. Tutti guardano a
come siamo almeno esternamente, ma interiormente siamo sempre gli
stessi. Riesci a capirlo quando diventi più grande. […] Le persone
spesso si aspettano che tu ti comporti in un determinato modo. […]
Sei un po’ prigioniera del tuo aspetto esteriore. La nostalgia, le
proiezioni, sono un modo per fuggire da questa prigione
rappresentata dalla tua persona. […] Ho sfruttato l’immaginazione
del personaggio di Alexander per avere due mondi: uno in cui si
immagina con un’altra donna, in un altro paese, e l’altro mondo,
che rappresenta la realtà. Penso che tutti viviamo in due realtà
diverse, con ricordi che […] ci fanno immaginare come sarebbe
potuta essere la nostra vita. Raramente viviamo nel
presente”.
A proposito di tempo,
alla domanda circa in che tempo si trovi la sua carriera,
Favino risponde così: “E’ un tempo molto bello. Ho sempre
guardato avanti nelle cose che faccio. Penso che l’errore più
grande che potrei fare è cristallizzarmi nell’idea di aver fatto
delle cose che sono andate bene e per questo non osare,
tentare di avere sempre le garanzie. Non credo che sarebbe giusto.
Nel mio lavoro vedo i margini che ancora ho di crescita: sono
legati molto all’abbandono, al consentire alle cose di avvenire in
una maniera più naturale. […] Punto alla stessa essenzialità che ha
il pittore quando riesce con tre segni a farti capire una cosa.
Quell’essenzialità non virtuosistica, ma di pienezza del gesto, è
quello che mi piacerebbe riuscire a guadagnare, ma non so se sarò
mai in grado”.
Amanda Sthers e Pierfrancesco Favino presentano Promises
Un tema che è emerge
in
Promises è quello dell’accettazione, della presa di
coscienza delle proprie fragilità. Tema tra l’altro molto
attuale oggi, considerato il momento che stiamo vivendo.
Pierfrancesco Favino sottolinea come il mestiere dell’attore
richieda di essere in costante contatto con le proprie emozioni le
proprie fragilità, e come il cinema e le arti possano essere una
guida nell’accostarsi alla sfera delle emozioni: “Non ho mai
pensato che essere in contatto con le proprie emozioni fosse un
sintomo di debolezza. Non ho mai vissuto la maschilità come
qualcosa che non si piega alle passioni e alle emozioni e la
ritengo una fortuna. Credo che in questo momento […] siamo molto in
contatto con la nostra fragilità, con la nostra paura. Questo
ultimo anno e mezzo ci ha costretto ad avere a che fare con noi
stessi. Abbiamo così, fortunatamente, scoperto quanto siamo
fragili, quanto abbiamo bisogno degli altri, e al contempo, quanto
ci siamo forse un po’ induriti […]. In questo momento c’è
una scelta da fare, secondo me, accettare questa fragilità con
tutte le conseguenze o contrapporsi ad essa. Io scelgo la prima
strada. Non mi stupisce che intorno a noi stiano accadendo grandi
movimenti. Movimenti emotivi, non unicamente politici o sociali.
Tutto il mondo sta vivendo un momento di grande connessione, ma
venendo da un lungo periodo in cui l’educazione emotiva sembra essere stata
cancellata, non sappiamo da che parte prenderla. Credo che il
cinema e le arti, che per tanto e troppo tempo sono state messe da
parte come se fossero tempo libero, siano esattamente la guida, […]
i luoghi dell’attenzione a questo mondo.”
Il suo personaggio,
Alexander, è un mercante di libri, e alcuni testi sono una
sorta di raccordo tra le diverse parti del lavoro. A chi gli
chiede quali libri abbiano segnato la sua infanzia e i suoi
vent’anni, Favino risponde: “E’ bizzarro dirlo, ma
penso che nell’infanzia ci siano dei libri che ti colpiscono per
varie vicende. Io più che nella lettura, ero molto colpito da
un’edizione della Divina Commedia illustrata da Gustave Dorè, che
avevamo in casa. Non è che la leggessi, però quelle illustrazioni
[…] parlavano ad un mondo immaginario […], avevano una grande
attrattiva per me. Poi, avevo anche per casa “Frigidare”, “Il
Male”, “Linus”. Sono stato un avido lettore di fumetti e non lo
rinnego affatto, anzi lo sono ancora. […] Verso i vent’anni ero più
vicino al mondo della poesia. […] Ero un baudelairiano, però,
giusto perchè rimorchiavo parecchio”. Mentre a chi domanda dei
suoi gusti attuali da spettatore cinematografico risponde
citando Another Round, che definisce “bellissimo e
commovente”, e L’ultimo film di Paolo Sorrentino che,
dice, “mi ha emozionato moltissimo”.
L’incontro diventa poi
un’occasione per approfondire il mestiere dell’attore. Favino
spiega come lo intende, quando gli si chiede se, dirigendo a
Firenze una scuola per attori, stia sviluppando una sua teoria
della recitazione. Questa diventa anche l’occasione per
ribadire la necessità della libertà creativa ed espressiva degli
attori e degli artisti in generale: “Non penso che esista un
metodo, un modo di fare l’attore. Non penso che esista, perchè
ognuno di noi è una persona e alcune cose funzionano di più
rispetto a che persona sei. Vi sono attori estremamente sensibili
alle immagini, per cui hanno bisogno di essere sollecitati con
delle immagini, con delle associazioni libere per aderire a dei
ruoli. […] In questo caso, per esempio, ci sono degli elementi del
personaggio che sicuramente si sono messi dentro di me perchè c’è
qualcosa di mio, lì. Sono andato a Londra a 11 anni. Ho sempre
vissuto la passione per quel mondo. Per un periodo avevo il
desiderio di chiamarmi “Johnny”. Poi non più. Allora, mi sono
domandato se questo potesse nutrire il personaggio di Alexander.
[…] Quello che povo a far insegnare […] nella mia scuola non è
imporre loro una maniera di lavorare, ma dare loro gli strumenti
per capire chi sono, in modo che possano usare, con la tecnica che
viene loro data, la loro specificità. Poi, che sappiano lavorare
insieme”. E aggiunge: “ Se c’è una cosa che non auguro loro
è il successo presto. Un attore prima di diventarlo ha bisogno di
tempo. Il suo viso non si forma prima dei 35 anni per gli uomini, e
25 per le donne. Così la sua identità artistica. C’è bisogno di
lasciare che questo avvenga. I grandi attori, che invecchiano bene,
sono quelli in cui non vedi più nessun tipo di sforzo. […] Ci vuole
tempo per arrivarci, non si può avere fretta. Ci vogliono
soprattutto ruoli e registi. Sfido a trovare una grande
interpretazione che non faccia parte di un grande film.”
Sulla necessità, poi,
di annullare ogni distanza tra sé e il personaggio, di non
giudicarlo, Favino aggiunge: “Non posso fare a meno di
abbracciare il personaggio. […] Alexander sarà sempre dentro di me
[…] dal punto di vista affettivo. Farei di tutto per salvare
Alexander. Farei di tutto per salvare il Libanese. L’attore è lo
strenuo difensore del personaggio che interpreta. Se crea una
distanza e ti fa vedere di non essere così, allora perchè vedere il
film? Devo lasciar libero lo spettatore di farsi il suo film, non
imporgli il mio. Per far questo c’è bisogno che l’attore maturi
anche un po’ di stanchezza, che non abbia sempre la pallottola in
canna e dia allo spettatore il ruolo che deve avere. […] Non mi
interessa andare sullo schermo a far vedere chi sono io. […] A me
la spontaneità non interessa, mi interessa la creazione artistica,
che può confondersi con la verità, ma la verità fine a sé stessa mi
interessa fino a un certo punto. Mi interessa la libertà espressiva
e creativa del cinema, quando si fa arte, quando diventa simbolo,
diventa altro”. Per quel che riguarda l’interpretazione di
personaggi storicamente esistiti ed anche controversi, come
Buscetta o Craxi, l’attore ribadisce che ciò che gli
interessa è il loro lato umano: “L’umanità, che tu voglia o no,
alberga anche in Craxi, quello è interessante. […] Alberga anche in
Buscetta. Dovremmo essere preoccupati di ritrovare in Buscetta
nostro padre o noi stessi, come padri, ma sollevati dal
fatto che, come
padri, non abbiamo scelto quella strada. Io però, alle sue lacrime
ci ho sempre creduto. Il rapporto tra lo spettatore e la storia è
sacro”. Dunque, in quel rapporto l’attore non deve
intromettersi con il suo ego o il suo giudizio. “Si tratta
comunque di una rappresentazione, e io sono molto affascinato dalla
rappresentazione artistica proprio perchè non è reale, perchè ha la
libertà di essere tutto ciò che vuole. […] Non si può pensare che
l’opera dell’artista stia ai laccioli della logica storica o
politica. L’artista […] deve avere la sacrosanta libertà, e gli va
riconosciuta, di immaginarsi che la realtà non vada come va, e di
emozionarsi. […] Sennò – conclude – che ci stiamo a
fare?”
Promises arriva nelle sale il 18 novembre,
distribuito da Vision.
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