Shang-Chi and the Legend of the Ten
Rings sarebbe dovuto arrivare nei cinema a
febbraio 2021, ma l’emergenze Covid-19 ha letteralmente stravolto
il calendario delle uscite dei prossimi attesissimi film del
MCU, facendo slittare il cinecomic
di Destin Daniel Cretton prima a maggio e poi a
luglio del prossimo anno.
Le riprese del film erano partite in
Australia prima che il lockdown dello scorso marzo fermasse tutte
le produzioni cinematografiche su scala mondiale. Successivamente,
il cast e la troupe del film sono ritornati sul set per completare
le riprese australiane e spostarsi così a San Francisco. Adesso, è
stato proprio Cretton a confermare via Instagram
che le riprese del cinecomic al Maestro delle Arti Marziali si sono
ufficialmente concluse.
Vista l’attuale situazione legata al
Coronavirus, è impossibile prevedere quale sarà il reale futuro di
Shang-Chi and the Legend of the Ten Rings: per
ora il film è atteso nelle sale per luglio del 2021, ma non è
escluso che le cose possano cambiare ancora una volta. Sulla trama
del film sappiamo ancora poco, se non che il vero Mandarino farà
finalmente il suo debutto nell’Universo Cinematografico Marvel e
che il protagonista sarà coinvolto in una sorta di torneo di
combattimento per entrare in possesso dei Dieci Anelli a cui fa
riferimento il titolo.
I primi dettagli sulla trama di
Shang-Chi
Stando ai primi dettagli sulla trama
emersi diverso tempo fa, Shang-Chi non sarà soltanto il Maestro
delle Arti Marziali che i fan hanno imparato a conoscere grazie ai
fumetti: sembra, infatti, che il protagonista avrà l’abilità di
dare vita ad una serie di cloni di se stesso (un potere simile a
ciò che è già in grado di fare nei fumetti), e sarà proprio
quest’abilità a metterlo nel radar del Mandarino. Cresciuto in uno
speciale orfanotrofio dov’è stato addestrato al combattimento,
Shang-Chi decide di fuggire per poi finire, anni dopo, di nuovo
nelle grinfie del villain. Il Mandarino promette a Shang-Chi soldi,
potere e – cosa ancora più importante – la libertà, se accetterà di
combattere in un torneo dove al vincitore verranno consegnati i
Dieci Anelli a cui fa riferimento il titolo.
Vi ricordiamo che nei panni del
protagonista ci sarà l’attore canadese Simu
Liu, visto di recente nella commedia di NetflixKim’s Convenience. Insieme a
lui, nel cast, figureranno anche Tony
LeungChiu-wai nei panni del
Mandarino, e Awkwafina,
che dovrebbe interpretare un “leale soldato” del Mandarino, e se è
vero che il villain qui sarà il padre di Shang-Chi, in tal caso ci
sono ottime possibilità che si tratti di Fah Lo Suee. Chi ha letto
i fumetti saprà che è la sorella dell’eroe del titolo e che il suo
superpotere è l’ipnosi.
È possibile raccontare al cinema il
drammatico periodo che l’Italia ha vissuto, e sta ancora vivendo, a
causa della pandemia di Covid-19? Tale quesito ha acceso nelle
ultime settimane innumerevoli dibattiti, alimentato anche
dall’uscita in sala del film Lockdown all’italiana di
Enrico Vanzina. Se per molti una commedia ad
equivoci non era il genere più idoneo per affrontare il tema,
potrebbe invece esserlo il documentario Fuori era
primavera – Viaggio nell’Italia del Lockdown, del
regista premio Oscar Gabriele
Salvatores. La differenza sta che in quest’ultimo ad
avere voce in capitolo sono proprio gli italiani, popolo imperfetto
ma straordinario, chiamato ad affrontare negli scorsi mesi una
delle sfide più dure dal secondo dopoguerra ad oggi.
Presentato durante la Festa
del Cinema di Roma, il film del regista
di Il ragazzo
invisibile ricalca l’esperimento già compiuto nel 2014 con
Italy in a Day – Un
giorno da italiani. La modalità è la stessa: nel corso
delle settimane in cui gli italiani sono rimasti in casa per
limitare i contagi, il regista ha chiesto a tutti loro di inviargli
delle video testimonianze di quella loro insolita quotidianità.
Ancora una volta, dunque, l’Italia si è riscoperta popolo di
narratori. Nel giro di breve, si raccolgono oltre 16 mila video, e
dalla loro unione nasce un ritratto divertente, commovente ma anche
frustrante di quanto accaduto e del modo in cui le persone vi si
sono relazionate.
Nel costruire il racconto,
Salvatores ha seguito un chiaro ordine cronologico. Si parte con i
primi timori dell’arrivo del virus, fino a quel fatidico 9 marzo in
cui l’Italia viene dichiarata zona rossa nella sua totalità. Da lì
hanno inizio tre mesi di piazze vuote, ospedali pieni e balconi in
festa con il tentativo di sentirsi tutti meno soli. Si delineano
diverse figure di eroi, dai medici e gli infermieri ai fattorini
del cibo d’asporto, nonché l’attenzione verso le notizie globali e
la rinascita della natura. Tutto questo e molto altro va a dar voce
ad un paese che ha sofferto, soffre, ma fa comunque di tutto per
resistere.
Fuori era primavera: tra documento
ed emozione
Nella nostra società contemporanea
la documentazione dell’evento è ormai per le persone un atto
pressoché irrinunciabile. Che siano più o meno importanti, questi
trovano sempre spazio nel nostro personale archivio mediale. Di
fronte ad una pandemia globale, che ha radicalmente trasformato le
abitudini mondiali, era dunque prevedibile che ognuno nel suo
privato avrebbe intensificato tale attività. Sono così spuntati in
rete tutorial di ogni tipo, video-diari, e simili. Le videochiamate
di lavoro o tra amici si sono moltiplicate, così come anche la
tanto nominata didattica a distanza.
Se tutte queste voci prese
singolarmente possono essere un racconto parziale, smettono
naturalmente di esserlo nel momento in cui vengono accostate a
testimonianze più o meno simili. È quello che succede con Fuori
era primavera, documentario che presenta in sé due grandi
elementi di forza. Il primo è quello del valore testimoniale. È a
progetti come questi che in futuro si guarderà per avere un’idea di
quello che è ora il nostro mondo presente. Nel documentario di
Salvatores si ritrova il racconto di un vero e proprio momento di
passaggio, che ha nella video testimonianza del reale il suo
marchio di qualità.
Di ciò che viene mostrato, infatti,
non importa tanto il cosa quanto il come. Il film è un’ennesima
prova del potere dei social network e dei moderni canali di
comunicazione. Questi permettono infatti di colmare virtualmente le
distanze che cause naturali obbligano a mantenere a livello fisico.
L’altro grande valore del film è invece quello della sincerità.
Sarebbe infatti fin troppo facile costruire un racconto ruffiano su
ferite ancora così vive. Salvatores riesce ad evitare tale rischio
omettendo i più comuni stereotipi a riguardo, privilegiando
elementi che sappiano di novità. Così facendo, il suo film acquista
un grande, e sincero, cuore.
Fuori era primavera: la
recensione
Dati questi due grandi pregi del
film, dunque, Fuori era primavera – Viaggio nell’Italia del
Lockdown si configura come un esperimento doppiamente
interessante. Questo, come riporta anche il sottotitolo, è un vero
e proprio viaggio dal Nord al Sud del Bel Paese. Grazie al potere
del cinema, è possibile percorrere questo senza spostarsi di un
metro, avvertendo ugualmente tutta la carica emotiva che gli
italiani hanno da trasmettere. Si rimane infatti commossi dinanzi
alla forza di questo popolo, che quando vuole sa dimostrare di
essere davvero il più bello del mondo. L’attualità di quanto
narrato certamente influisce sul giudizio emotivo, ma rimane
ugualmente difficile non provare grande commozione davanti alle
immagini proposte.
Salvatores vince dunque la sfida di
voler raccontare tale periodo rinunciando alla finzione
cinematografica. Nessuno più dei veri protagonisti del lockdown
sembra in grado di poter raccontare cosa è stato questo momento
storico. Le loro voci danno vita ad un paese ricco di somiglianze e
differenze, che si scopre bello anche grazie a queste ultime. Tra
l’Inno di Mameli cantato tutti insieme sul balcone, e la pizza
fatta in casa del sabato sera, si manifesta la forza di un popolo
costretto tra quattro mura mentre fuori ha luogo la primavera.
Simbolo di rinascita e speranza, questa non poteva che diventare il
titolo del film.
L’esordio registico e attoriale di
Suzanne Lindon, ventenne figlia d’arte degli
attori Vincent Lindon e Sandrine
Kiberlaine, s’intitola Seize
printemps, ovvero sedici primavere: l’età della
protagonista, che guarda caso si chiama come la regista, Suzanne.
Lindon si dà anche il compito di interpretarla, esplorandone dubbi
e incertezze adolescenziali, ma anche i primi amori. Presentato al
Festival di Toronto a settembre, avrebbe dovuto
partecipare a quello di Cannes, annullato a causa della pandemia.
Ora arriva alla Festa del Cinema di Roma.
Seizeprintemps, la trama
Suzanne, Suzanne
Lindon, ha 16 anni. Frequenta il liceo, ma la scuola e i
compagni da un po’ di tempo la annoiano. I compagni sono troppo
superficiali e la scuola è sempre la stessa, una routine ormai
priva di interesse. In tutt’altro ambito, succede la stessa cosa a
Raphael, Arnaud Valois, trentacinquenne attore di
teatro, stanco del suo mestiere, ogni sera uguale a sé stesso e dei
suoi colleghi di lavoro. Così, un po’ per gioco, un po’ per
curiosità, i due cominciano a vedersi ogni mattina, al bar vicino
al teatro e alla scuola di Suzanne. S’innamorano, trovando uno
nell’altra la propria fuga dalla monotonia della quotidianità, una
boccata d’aria fresca in un orizzonte piatto.
Pur essendo acerba, come ci si
aspetta che sia l’opera prima di una ventenne, che ne ha scritto la
sceneggiatura a soli 15 anni, Seize
printemps colpisce per il suo delicato romanticismo,
in controtendenza rispetto ai tempi spavaldi ed esibizionisti che
oggi viviamo. Lindon attrice si propone come una nuova
Charlotte Gainsbourg, o Sophie
Marceau e questo suo esordio potrebbe essere visto come
una sorta di Il tempo delle mele degli
anni 2000.
Uno sguardo ancora
immaturo, ma originale e in controtendenza sulle sedici
primavere
Per quel che riguarda il racconto di
una storia d’amore, questo semplicissimo e per certi versi ingenuo
film riesce a comunicare con più efficacia il sentimento amoroso –
in particolare la fragilità e l’impaccio di quei primi amori
adolescenziali, platonici, che però non per questo sono meno
profondi e meno intensi – rispetto ad esempio ad un film come
l’atteso Ammonite di Francis
Lee, in cui comunque non si riesce a venir fuori da una
certa rigidità che raffredda il sentimento.
Seizeprintemps
è la dimostrazione di come, se si ha un’idea e una buona
sensibilità per realizzarla, anche con poco si riesce ad arrivare
agli spettatori, ad emozionare, complice anche la buona sintonia
tra Lindon e il protagonista maschile Arnaud
Valois (120 battiti al
minuto).
I dialoghi sono quasi assenti, al
loro posto gesti teatrali, balli e musica. Tuttavia, questo non è
solo un modo per scegliere la strada più facile, ma è una precisa
scelta che si apprezza da spettatori, e ancora una volta si mostra
in controtendenza rispetto a tanta cinematografia, soprattutto
francese, caratterizzata da una sovrabbondanza di parole, ultimo
esempio Le discours, presentato proprio
qui a Roma pochi giorni fa. Qui, al contrario, si lavora quasi solo
con il corpo, i movimenti, gli sguardi. In questo i protagonisti
sono bravi entrambi. Anche qui c’è del teatro, ma non è
affabulazione, bensì sensazioni, rumori e gesti quasi da mimo. Come
luogo poi, il teatro, il palcoscenico sono i luoghi simbolo
dell’incontro tra i due, quelli a cui l’arrivo di Suzanne dà un
nuovo senso per Raphael, che se ne stava allontanando.
Detto questo, non
mancano le ingenuità ed è un peccato che la regista abbia fretta di
portare a compimento la vicenda – il film dura 73 minuti – questa
sì, figlia senz’altro dell’inesperienza e di una scrittura che deve
ancora crescere molto. Sarebbero serviti 15-20 minuti in più e un
epilogo più compiuto al lavoro. Invece, si ha la sensazione di
correre verso il finale in maniera troppo sciatta.
Un talento da tenere d’occhio
Tuttavia, Suzanne
Lindon si dimostra un talento da tenere d’occhio. Sa
trattare con freschezza, non senza una vena di ironia, e con un
rispetto insolito, ma efficacissimo e quasi commovente questa
educazione sentimentale. Fotografa poi bene l’adolescenza: quella
fase della vita in cui ancora non si sa chi si è e cosa si vuole,
ma si ha chiaro che non si è più bambini e che molto di ciò che
prima rendeva felici, non soddisfa più. Una fase in cui ci si sente
potenti e vulnerabili al tempo stesso, fragili e forti. Quelle
sedici primavere potrebbero essere della regista stessa, come di
chiunque altro e sono importanti nella vita di ciascuno, motivo per
cui, ne è convinta Suzanne Lindon, vanno trattate
con estrema cura.
Ci è sempre stato insegnato che il
nostro è un mondo dove chiunque ha diritto ad una seconda
possibilità, ma è davvero così? La regista giapponese Miwa
Nashikawa si pone questo importante quesito nel
realizzare il suo nuovo film Under the OpenSky, presentato in anteprima alla
Festa del Cinema diRoma. Allieva
del grande Hirokazu
Kore’eda (Un affare di
famiglia), nel corso della sua filmografia ha sempre
raccontato storie particolarmente personali. Per la prima volta qui
si affida invece ad un romanzo dal titolo Mibuncho, opera
del noto scrittore Saky Ryuzo.
Questo è basato sulla vera figura di
un detenuto e sulla sua difficile vita una volta uscito di
prigione. Grazie a tale storia, adattata al presente, la regista ha
modo di esplorare nuove tematiche. Queste ruotano a loro volta
intorno ad un ritratto dell’odierna società giapponese, con i suoi
pregi e i suoli limiti. Il racconto che ne deriva è delicato come
una carezza, pur raccontando una situazione drammatica, da cui si
possono generare numerose riflessioni. Un’abilità, questa, che la
regista dimostra di aver ereditato dalle sue numerose
collaborazioni con i grandi maestri del cinema giapponese.
La storia qui raccontata ha per
protagonista Mikami (YakushoKoji), ex esponente dell’organizzazione criminale
Yakuza. Dopo 13 anni di prigione per omicidio, egli è ora un uomo
libero, pronto a riconquistare la sua vita. Per lui ha però inizio
un difficile inserimento nella società, dove fatica a trovare un
lavoro stabile. Causa di ciò è anche il suo codice di condotta,
profondamente radicato nelle regole alle quali apparteneva. Queste
risultano però ormai appartenenti ad un mondo in via di estinzione,
e non si adattano all’ordinato sistema di assistenza sociale del
Giappone. Catapultato in un mondo che non capisce, Mikami dovrà
allora riuscire a controllare la sua natura impulsiva, fidandosi di
quanto vogliono aiutarlo davvero.
Under the Open Sky: una prigione a
cielo aperto
La società giapponese è cambiata in
modo radicale negli ultimi decenni, e spesso ad una velocità quasi
spaventosa. Chi non riesce a stare al passo, e rimane indietro,
sembra così essere destinato ad una vita di fatiche e di stenti per
cercare il proprio posto in tutto ciò. A tali cambiamenti si
aggiunge la sempre più evidente indisposizione ad accettare coloro
che necessitano di una seconda possibilità. Da qui parte la vicenda
del protagonista di Under the Open Sky, il quale sembra
uscire da una prigione per entrare in una realtà che la ricorda
molto, pur non prevedendo confini spaziali. L’ironico titolo del
film suggerisce infatti il senso di oppressione provato da Mikami
pur trovandosi finalmente “libero”.
Nel corso del film egli si trova a
doversi relazionare con una serie di personaggi e procedure che
evidenziano la sua difficoltà a dialogare con il mondo
contemporaneo. Dalle offerte di lavoro fallite ai pregiudizi nei
suoi confronti, dalla stringente burocrazia ai deludenti sussidi
statali, tutto sembra cospirare contro il suo reinserimento nella
società. La sua situazione viene resa ancor più esplicita tramite
una composizione delle inquadrature che lo pone spesso ai margini,
ma anche da situazioni più concrete come la semplice difficoltà di
guidare un automobile.
La verità è che Mikami appartiene ad
un mondo che sempre più fa parte del passato. Più volte è infatti
possibile imbattersi in dialoghi e personaggi che manifestano tale
malinconica consapevolezza. Far parte della Yakuza è una
responsabilità che pochi sono ancora disposti ad assumersi. Quel
mondo di attività illecite lascia sempre più spazio ad una realtà
di uffici, pratiche da compilare e svaghi di vario tipo. Nel dare
la sua personale risposta al quesito alla base del film, la regista
non manca di evidenziare come tale trasformazione della società non
sia meno soffocante di quella a cui il protagonista
apparteneva.
Under the Open Sky: la
recensione
Ancora una volta i registi
giapponesi dimostrano una grande capacità nel raccontare in modo
semplice ma mai banale la realtà del loro paese. Allo stesso tempo,
le loro storie si dimostrano sorprendentemente universali. Con
Under the OpenSky, la Nashikawa aggiunge un
nuovo tassello a tale racconto nazionale, dimostrando una
delicatezza nei toni e nell’atmosfera capace di emozionare con
poco. Vi sono infatti piccoli gesti e parole in grado di
racchiudere il cuore più profondo del film. Nel corso delle due
ore, la drammaticità di quanto accade al protagonista viene così
dissimulata dall’interesse verso la sua fragilità umana.
All’interno di questo racconto non
mancano possibilità e strade non prese, come quella relativa alla
ex compagna del protagonista. Se da un lato queste sembrano
caricare eccessivamente il film, dall’altra ribadiscono
ulteriormente come certe cose perse, possono rimanerlo per sempre.
Proprio come un film che tenta di rappresentare al meglio la
semplicità della vita, Under the Open Sky commuove e
diverte, ponendo anche importanti riflessioni. E se anche non tutti
i suoi elementi sembrano essere al loro posto, pur nei suoi difetti
questo riesce ad offrire un appassionante spaccato di vita, troppo
spesso sottovalutato.
Il Presidente del Consiglio
Giuseppe Conte ha firmato un nuovo Dpcm in cui si decreta,
tra le altre misure restrittive per far fronte alla seconda ondata
di contagi da COVID-19, che i cinema, i teatri e le sale da
concerto dovranno chiudere, dal 26 ottobre al 24 novembre, un nuovo
stop di un mese che mette in gravissime condizioni l’intero
settore.
Tutta la filiera, dalla sala,
all’esercente, ma anche a chi i film li produce a chi lavora sui
set, fino a chi permette ai set di funzionare, parliamo anche di
macchinisti, elettricisti, addetti al catering, rischia così una
vera e propria sciagura.
Été 85 di François Ozon si
aggiudica il “Premio del Pubblico BNL” alla quindicesima edizione
della Festa del Cinema di Roma.
Il film vincitore del “Premio del
Pubblico BNL”, in collaborazione con il Main Partner della Festa
del Cinema, BNL Gruppo BNP Paribas, è stato il più votato dagli
spettatori fra i titoli della Selezione Ufficiale.
Le repliche di Été 85 di François Ozon
si terranno oggi, domenica 25 ottobre alle ore 20, presso la Sala
Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica e al cinema My Cityplex
Europa.
Nel corso dell’estate del 1985,
l’estate dei suoi sedici anni, mentre si trova in vacanza in una
cittadina balneare sulle coste della Normandia, Alexis si salva
dall’annegamento grazie a un atto eroico del diciottenne David:
Alexis ha appena incontrato l’amico che ha sempre sognato di avere.
Ma questo sogno realizzato riuscirà a durare più di un’estate? Il
film è tratto dal romanzo “Danza sulla mia tomba” di Aidan
Chambers.
Ozon ha scritto del film: Ho
letto il romanzo da cui è tratto il film nel 1985, quando avevo
diciassette anni, e l’ho adorato. Il libro sembrava parlare
personalmente all’adolescente che ero. Mi piacque così tanto che,
quando iniziai a dirigere cortometraggi, mi dicevo sempre: “Se un
giorno farò un lungometraggio, sarà un adattamento di questo
romanzo”. In tutti questi anni non ho girato questo film perché in
realtà volevo soprattutto vederlo, esserne lo spettatore! Ed ero
sicuro che qualcun altro l’avrebbe fatto, magari un regista
americano. Ma, con mia grande sorpresa, non è mai successo. Questa
storia ha avuto bisogno di tempo per maturare in me, affinché
sapessi come raccontarla. Alla fine sono rimasto fedele al romanzo
nella sua struttura narrativa. Ho adattato il contesto della storia
alla Francia e l’ho trasferita al tempo in cui ho letto il libro.
Nel film c’è sia la realtà del libro, sia il mio ricordo di come mi
sono sentito a leggerlo per la prima volta.
Sembra che un nuovo Dpcm debba
essere diffuso nelle prossime ore, forse già domani, un nuovo
documento che potrebbe mettere definitivamente la parola fine alla
sala. Secondo le prime notizie non ufficiali, sembra che il testo
del decreto riporti le seguenti affermazioni:
Sono sospese le attività di sale giochi, sale scommesse e
sale bingo e casinò. Sono sospesi gli spettacoli aperti al pubblico
in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in
altri spazi anche all’aperto.
Questo significherebbe che le sale
cinematografiche, insieme a tutte le altre attività di
intrattenimento e spettacolo dal vivo, si troverebbero ad
affrontare un nuovo periodo di chiusura che ne sancirebbe, forse
per sempre, la morte. Senza contare che chiudere i cinema non solo
mette in ginocchio la struttura-sala, ma anche l’industria a tutti
quelli che ci lavorano, e non si parla di attori e registi famosi,
ma di tecnici, elettricisti, macchinisti, manovalanza numerosa che
necessita di lavorare, perché se il cinema non è una priorità il
lavoro lo è per tutti.
La situazione sanitaria italiana sta
precipitando nella tenaglia della seconda ondata di contagi,
tuttavia i dati relativi alle attività legate al cinema sono stati
più che positivi, registrando un timido ritorno alla normalità e
un’incidenza pari a zero rispetto ai nuovi contagi. Nella sale, nei
teatri, il flusso di pubblico è controllato, è tracciabile, è
sicuro.
Il settore intero, da chi il cinema
lo crea, lo produce, lo fruisce, fino anche a chi lo racconta
(anche Cinefilos.it fa parte di questa filiera) scongiura una nuova
chiusura: #NonChiudeteICinema.
Punta sacra, Il
film-documentario di Francesca Mazzoleni, si
aggiudica due premi nell’ambito di Alice nella
Città: il Premio Speciale della
Giuria assegnato dalle due giurie di
Alice – quella dei ragazzi e quella degli
esperti composta da Eva Cools, Agostino
Ferrente, Caterina Guzzanti, Claudio Noce e Roberta Torre
– e la Menzione speciale alla colonna
sonora nell’ambito del Premio Rolling
Stone alla Miglior Colonna Sonora, assegnato da una giuria
composta da Morgan (presidente), Alessandro Giberti
(Direttore Rolling Stone), Louis Siciliano (musicista e
compositore), Pino Farinotti (critico cinematografico) e
Gianni Santoro (La Repubblica).
“Il Premio Speciale
della Giuria va a Francesca Mazzoleni per aver saputo
raccontare in modo mai banale una comunità dalle mille
sfaccettature, riuscendo a mostrare bellezza e malinconia, luci e
ombre di chi la vive quotidianamente” – questa la motivazione
espressa dalle due giurie di Alice, quella dei ragazzi e quella
degli esperti.
Questa la motivazione relativa alla
Menzione speciale alla colonna sonora: “La
regista ha lavorato con due nomi già noti alla scena cine-musicale
italiana, Lorenzo Tomio e Theo Teardo, ma vi ha affiancato i brani
originali del rapper Chiky Realeza e il suo mix tra urban nostrano
e atmosfere classiche sudamericane, da Héctor Lavoe a Victor Jara.
Un risultato sperimentale, controcorrente e libero per il panorama
italiano, come il film a cui fa da commento sonoro”.
La regista Francesca
Mazzoleni: “Questi premi hanno per me e per tutte le
persone che mi hanno aiutato a realizzare questo film un valore
davvero speciale. Li voglio dedicare alle ragazze, alle madri, alle
nonne, meravigliose, folli e combattive dell’Idroscalo di Ostia, e
a tutte le persone che oggi, in ogni parte del mondo, stanno
combattendo per ottenere i loro naturali diritti. Spero che,
guardando mondi apparentemente lontani più da vicino, le distanze
finalmente si accorcino e i pregiudizi crollino. E spero e chiedo
che da oggi per Punta Sacra ci sia un futuro, e finalmente più
ascolto, dialogo e confronto”.
La storia di Peter
Pan è nota a grandi e piccoli, ma probabilmente meno si sa
del suo scrittore, James Matthew Barrie. Vissuto
tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento egli ha
trovato nuova popolarità al cinema grazie al film biografico a lui
dedicato e intitolato Neverland – Un sogno per
lavita, diretto da Marc
Forster (Ritorno al Bosco del
100 Acri). Il film narra infatti in maniera piuttosto
fedele quella che è la vita dello scrittore al momento
dell’ideazione del celebre personaggio di fantasia nonché della
celebre Isola che non c’è, in inglese chiamata appunto
Neverland.
Il film è basato sull’opera teatrale
The Man Who Was Peter Pan, scritta nel 1988 da
Allan Knee. Composto da un cast di celebri
interpreti, il film è stato presentato Fuori Concorso alla Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2004. Qui è
stato accolto in maniera particolarmente positiva dalla critica,
che lo ha definito un gioioso e magico racconto su una delle più
celebri storie della letteratura. Spinto da tali pareri, come anche
dai nomi legati al film, al momento della sua uscita al cinema il
titolo si è rivelato anche un buon successo di box office. A fronte
di un budget di 25 milioni di dollari, questo ne ha infatti
incassati globalmente circa 118.
Neverland – Un sogno per la
vita è poi stato anche uno dei principali protagonisti durante
la stagione dei premi. Il film guadagnò infatti ben 11 nomination
ai Bafta Awards e 5 ai Golden Globe. Ai prestigiosi premi Oscar si
presentò poi con 7 candidature, tra cui quella per il miglior film,
il miglior attore protagonista e la miglior sceneggiatura non
originale. Vinse però soltanto come miglior colonna sonora,
composta dal polacco Jan Andrzej Paweł
Kaczmarek. Prima di una visione del titolo in
streaming o in TV, proseguendo nella lettura sarà possibile
scoprire i principali dettagli sulla trama e il cast di attori
presenti nel film.
Neverland – Un sogno per la vita:
la trama del film
Nei primi del Novecento James
Matthew Barrie è uno stimato autore teatrale. Nonostante i suoi
lavori trovino spesso l’approvazione del pubblico, egli continua a
sentire in essi la mancanza di quel qualcosa che potrebbe
permettergli di ottenere un successo ancor più ampio. Mentre egli è
alla ricerca di un perfezionamento delle sue storie, è costretto a
dover buttar giù sempre più copioni, richiesti a gran voce dal
produttore dei suoi spettacoli, Charles Frohman, disperato per gli
incassi non eccellenti. Per Barrie tutto cambia nel momento in cui,
intento a scrivere su di una panchina, si imbatte in Sylvia Llewlyn
Davies e i suoi quattro figli. In questi ultimi, lo scrittore trova
una preziosa fonte di ispirazione, avvertendo in sé la nascita di
una storia dal grande potenziale.
James inizia così a trascorrere
sempre più tempo con i bambini, impegnandosi nel trovare per loro
degli intrattenimenti con cui possano divertirsi. In particolare,
egli stringe un rapporto speciale con Peter, il più taciturno dei
quattro. Questi è poco incline al sorriso, rimasto profondamente
turbato dalla scomparsa del padre. Per aiutarlo ad esprimere le sue
paure, James lo invoglia alla scrittura. Sarà però proprio Peter a
dare origine a quello che diventerà il personaggio noto come Peter
Pan. Mentre si cimenta nella stesura della sua nuova promettente
opera, James deve però fare i conti con la malattia di Sylvia,
affetta da tubercolosi. Capirà allora di avere una grande
responsabilità nei confronti di quella famiglia e in particolare
nei confronti dei bambini.
Neverland – Un sogno per la vita:
il cast del film
Per garantire un buon successo al
film, i produttori si sono assicurati di poter aver in questo
alcuni tra i maggiori attori di quel momento. Nel ruolo di James
Matthew Berrie è così possibile ritrovare Johnny
Depp, che grazie a questo film ottenne la sua seconda
nomination al premio Oscar. Per la sua interpretazione, egli si
documentò molto sulla vita e le opere dello scrittore, cercando
attraverso tali fonti di ricostruire il suo personaggio. Per lui fu
inoltre importante sviluppare un ottimo rapporto con i giovani
interpreti dei bambini. Ciò avrebbe permesso loro di risultare
ancor più realistici nell’interazione tra i loro personaggi. In
particolare, Depp rimase particolarmente colpito da Freddie
Highmore, che ricopre qui il ruolo di Peter.
Questi divenne noto proprio grazie a
tale film. Una delle prime scene da lui girate, inoltre, fu proprio
una delle più intense del personaggio, dove scoppia a piangere e
distrugge una casa per le bambole. La sua interpretazione di tale
momento gli fece guadagnare le attenzioni e il rispetto di tutti
gli altri membri del cast. Nel film è poi presente la premio Oscar
Kate
Winslet nel ruolo di Sylvia Llewelyn Davies, la madre
dei ragazzi. Anche in questo caso, l’attrice ricevette numerosi
riconoscimenti per il suo ruolo, ancora oggi ricordato come uno dei
suoi più noti. In ruoli di rilievo si ritrovano poi anche due
celebri veterani della recitazione. Il primo è Dustin
Hoffman, il quale interpreta l’impresario Charles
Frohman. La seconda è l’attrice Julie Christie,
nei panni della madre di Sylvia.
Neverland – Un sogno per la vita:
il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
Per gli appassionati del film, o per
chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne
grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali
piattaforme streaming oggi disponibili. Neverland – Un sogno
per la vita è infatti presente su Chili Cinema, Google
Play e Now TV. Per poter usufruire del film, sarà
necessario sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il
singolo film. In questo modo sarà poi possibile vedere il titolo in
tutta comodità e al meglio della qualità video, senza limiti di
tempo. Il film è inoltre in programma in televisione
per venerdì 23 ottobre alle
ore 21:15 sul canale Paramount
Channel.
Arriva a Roma nella
Selezione Ufficiale della Festa
delCinema il nuovo film del regista
premio Oscar con Belle Époque,
Fernando Trueba. El olvido que
seremos vuole coniugare pubblico e privato in un
affresco familiare, sociale e politico della Colombia recente,
mostrando un esempio di rara virtù ma anche di profonda umanità e
umiltà. A interpretare il medico e attivista per i diritti umani
Hector Abad Gomez, un bravissimo JavierCámara (Parla con lei,
Truman – Un vero amico è per sempre).
El olvido que seremos, la
trama
Colombia 1983. Héctor Jr,
Juan Pablo Urrego, studia all’università di Torino
quando viene richiamato in Colombia, dove vive la sua famiglia, per
la cerimonia d’addio del padre, Héctor Abad Gómez, Javier
Cámara, all’insegnamento universitario. Medico impegnato
in campagne di salute pubblica, insegnante ad Antiochia e noto
attivista per i diritti umani, Abad Gómez è sempre stato inviso
alle autorità per le sue aspre critiche al governo e alle sue
politiche e viene spedito in pensionamento anticipato. Il viaggio
verso casa è l’occasione per il figlio di ripensare all’infanzia a
Medellín nei primi anni ’70, allo stretto rapporto col padre, alla
felice vita di famiglia con la madre e le sorelle. Un periodo aureo
in cui la figura del padre è stata per Héctor un punto di
riferimento indiscusso. Il presente non è altrettanto roseo e
mentre il clima in città si fa pesante, con uccisioni e sparizioni
ad opera di gruppi paramilitari, che mirano a colpire qualsiasi
forma di dissenso o opposizione sociale e politica, anche Abad
Gómez è sempre più a rischio.
Héctor Abad Gómez,
l’apostolo dei diritti umani
Sembra lo chiamassero così gli
abitanti di Antiochia, soprattutto i meno fortunati, perché è stato
il primo ad occuparsi di loro, a dire che la salute pubblica doveva
essere un diritto di tutti e ad impegnarsi in prima persona
affinché ciò si realizzasse: per far avere a tutti l’accesso
all’acqua potabile, con massicce campagne di vaccinazione e di
igiene pubblica, ma anche fornendo quando poteva, un aiuto che
andava al di là della sua professione. Héctor Abad Gómez è
descritto come un uomo dalla sconfinata bontà, che faceva del bene
con estrema naturalezza e spontaneità. È con altrettanta facilità e
naturalezza che sarà ucciso da gruppi paramilitari in una Colombia
dominata dalla violenza. Attraverso le sue scelte Abad Gómez era
entrato a far parte di un’opposizione libera: con la fondazione del Comitato per la difesa dei diritti
umani ad Antiochia; con la sua attività di editorialista per
diversi giornali del paese, in cui denunciava le condizioni di
arretratezza e di mancanza delle più elementari misure sanitarie in
molta parte della Colombia; con l’attività di politico nel Partito
Liberale; fino alla candidatura a sindaco di Medellín per questo
stesso partito.
Tuttavia, ciò che interessa a
Fernando Trueba non è etichettare politicamente il
personaggio. Infatti nel film – adattamento ad opera di
David Trueba, fratello del regista, del romanzo
El olvido que seremos, scritto dal figlio di Abad Gómez e
diventato un testo di culto in America Latina – il protagonista
lamenta di essere bersaglio di critiche sia da destra che da
sinistra. Intento del regista è dipingere un uomo che aveva a cuore
la sua professione e il prossimo e solo in virtù di questo, dei
valori umani più alti, non di una appartenenza politica, si
impegnava.
Un saga familiare e uno
sguardo ampio alla collettività
Si potrebbe dire
che il padre domina sull’attivista in questo ritratto, che si
sarebbe potuto esaltare di più la lotta e l’impegno del
protagonista. Non è poi così vero, Trueba trova un
equilibrio tra pubblico e privato. Ed è proprio attraverso il
secondo che riesce a coinvolgere lo spettatore, facendo presa anche
su chi era politicamente lontano dal protagonista. Abad
Gómez è un padre di famiglia premuroso e gioviale, con un rapporto
privilegiato con l’unico figlio maschio, ma che adora la moglie e
le figlie. La vicenda della famiglia nella prima parte del film ha
toni allegri e leggeri, e il personaggio principale non può non
creare empatia, grazie ad una interpretazione di grande livello da
parte di Javier Cámara. La gioiosità del suo
personaggio, pur costretto ad operare in contesti difficili in un
paese dalle forti criticità, è contagiosa e va di pari passo con la
scelta dell’immagine a colori.
Nella seconda parte domina invece il
bianco e nero. In quell’universo sereno si affaccia il dolore, la
scomparsa di una figlia. L’allegria dell’inizio lascia il posto a
una malinconia che non impedisce però al protagonista di dedicarsi
a ciò in cui crede. Cámara dà al personaggio moltissime sfumature e
tocca diversi registri.
L’ultima parte, la più poetica, è
quella in cui sembra essere contenuto il messaggio principale del
film. Molti come Abad Gómez sono diventati eroi loro malgrado:
volevano solo fare del bene alla collettività, non avevano nessun
desiderio di apparire, di essere riconosciuti, non erano mossi da
ambizioni personali. Il protagonista, insomma, non fa ciò che fa
per essere ricordato. È questo il senso della poesia Aquì,
hoy, un testo attribuito a Jorge Luis Borges, che compare nel
film e contiene le parole del titolo, El olvido que
seremos – l’oblio che saremo.
Tutto il cast del film offre buone
prove: un gruppo di donne che si muovono quasi all’unisono intorno
a Héctor e Héctor Jr: la moglie Cecilia, interpretata da
Patricia Tamayo, le figlie Mariluz, Maria
Teresa Barreto, Clara, Laura Londoño ,
Vicky, Elizabeth Minotta, Martha, Kami
Zeha e Sol Camila Zárate. Anche i
due bambini che interpretano Hector e Sol da piccoli,
Nicolás Reyes Cano e Luciana
Echeverry, sono molto spontanei e credibili, cosa non
facile da ottenere.
El olvido que
seremos è prodotto da Caracol
Televisión e Dago García Producciones.
Per il momento è prevista un’uscita in Francia a primavera. La
speranza è di vederlo presto anche in Italia.
Dopo il
primo trailer la ABC ha diffuso il secondo trailer
ufficiale di The Good Doctor 4, l’attesissima
quarta stagione di The Good
Doctor.
The Good Doctor 4
The Good Doctor 4
è la quarta stagione della serie tv The Good
Doctor creata da David Shore per il network americano
della ABC. In The Good Doctor 4
Il dottor Shaun Murphy, un giovane chirurgo con autismo e sindrome
del savant, continua a usare i suoi straordinari doni medici presso
l’unità chirurgica del St. Bonaventure Hospital. Man mano che le
sue amicizie si approfondiscono, Shaun continua ad affrontare il
mondo degli appuntamenti e delle relazioni romantiche e lavora più
duramente di quanto abbia mai fatto prima, navigando nel suo
ambiente per dimostrare ai suoi colleghi che il suo talento di
chirurgo salverà vite. La serie vede nel cast Freddie Highmore nei
panni del dottor Shaun Murphy, Antonia Thomas nei panni della
dottoressa Claire Browne, Hill Harper nei panni del dottor Marcus
Andrews, Richard Schiff nei panni del dottor Aaron Glassman,
Christina Chang nei pann
In The Good
Doctor protagonisti Freddie Highmore come Dr. Shaun Murphy,
Antonia Thomas come Dr. Claire Browne,
Nicholas Gonzalez come Dr. Neil Melendez,
Hill Harper come Dr. Marcus Andrews,
Richard Schiff come Dr. Aaron Glassman,
Christina Chang come Dr. Audrey Lim, Fiona
Gubelmann nel ruolo del Dr. Morgan Reznick, Will
Yun Lee nel ruolo del Dr. Alex Park, Paige
Spara nel ruolo di Lea Dilallo e Jasika
Nicole nel ruolo del Dr. Carly Lever.
Il network americano
FOX ha diffuso il teaser promo “Help Is On The
Way” di 9-1-1 4, l’annunciata
quarta stagione di 9-1-1.
9-1-1 4
9-1-1 4 è la
quarta stagione della serie 9-1-1
creata da Ryan Murphy e Tim Minear per
il network americano FOX. Dai creatori Ryan Murphy e Brad
Falchuk (il franchise di “American Horror Story”, “Nip /
Tuck”), il nuovo dramma procedurale 9-1-1
esplora le esperienze ad alta pressione di agenti di polizia,
paramedici e vigili del fuoco che sono spinti nel più situazioni
spaventose, scioccanti e strazianti. Questi soccorritori devono
cercare di bilanciare il salvataggio di coloro che sono più
vulnerabili nel risolvere i problemi della propria vita.
In 9-1-1
4 protagonisti sono Athena Carter Nash,
(stagione 1-in corso), interpretata da Angela
Bassett, Robert “Bobby”
Nash (stagione 1-in corso), interpretato
da Peter Krause, Evan “Buck”
Buckley (stagione 1-in corso), interpretato
da Oliver Stark, Henrietta “Hen”
Wilson (stagione 1-in corso), interpretata
da Aisha Hinds, Howard
“Howie”/”Chimney” Han (stagione 1-in corso), interpretato
da Kenneth Choi, Michael
Grant (stagione 1-in corso), interpretato
da Rockmond Dunbar, Abigail “Abby”
Clark (stagione 1, guest star stagione 3), interpretata
da Connie Britton, Madeline “Maddie”
Buckley Kendall (stagione 2-in corso), interpretata
da Jennifer
Love Hewitt, Edmundo “Eddie”
Diaz (stagione 2-in corso), interpretato da Ryan
Guzman, May Grant (ricorrente
stagione 1, stagioni 2-in corso), interpretata
da Corinne Massiah, Harry
Grant (ricorrente stagione 1, stagioni 2-in corso),
interpretato da Marcanthonee Jon Reis.
C’è uno strano senso di timore che
investe il critico che si approccia ad analizzare l’opera di
Aaron Sorkin. Tra le mani, lo sentiamo, lo
sappiamo, abbiamo una reliquia preziosa, un’opera dotata di
unicità, saldata dalla forza iconica delle parole e di un’alacrità
che vive sulla scia di un talento più unico che raro. Ogni parola
viene soppesata, calibrata, esaminata dal mirino di un telescopio
verso cui ci pieghiamo, consci che nessun aggettivo potrà mai
veramente consegnare la bellezza di quanto impresso prima su carta,
poi su schermo, da Sorkin.
Da The West Wing,
passando per The Newsroom, arrivando a The
Social Network, questo sceneggiatore ha dimostrato negli
anni la sua abilità da prestigiatore delle parole; il vero salto
nel buio era estendere questo talento nel campo della regia. Un
tentativo riuscito a metà con Molly’s Game, dove
lo sguardo ancora acerbo del Sorkin regista non era ai livelli di
quello del Sorkin sceneggiatore, e che proprio per questo ha
ammantato di curiosità l’uscita del suo nuovo film, Il processo ai Chicago 7.
Ama Sorkin approcciarsi con i
lasciti del passato, soprattutto quelli in cui l’umanità affronta
le cadute nel baratro, tra incriminazioni, processi, e
rivendicazioni personali. E così il gioco clandestino di
Molly’s Game lascia spazio con Il processo ai Chicago 7a
rivolte soppresse con la forza, imbrogli e omertà da parte di
istituzioni accecate di pregiudizio e ideali politici. Il risultato
che ne consegue è quello di uno dei migliori film di questo 2020.
Certo, la concorrenza è ridotta quasi a zero, complice i continui
rinvii di titoli più o meno attesi dal grande pubblico, ma la
sontuosità della sceneggiatura, l’adrenalina di un montaggio che
vola tra passato, presente e futuro, e un cast incredibilmente in
parte, regalano una gemma da custodire nella mente con delicatezza
e rispetto.
Chicago,1968. La guerra del Vietnam
impazza continuando a mietere vittime innocenti quando, in
occasione della convention del Partito Democratico, un gruppo di
attivisti guida una manifestazione contro Nixon e la sua
scelleratezza bellica. Lo scontro tra manifestanti, polizia e
Guardia Nazionale, era prevedibile, ma ciò che non era stato
previsto è un processo/farsa dal sapore chiaramente politico che
segna una pagina nerissima (e molto nota) della recente storia
americana. In un colpo solo il governo del neo-eletto presidente
Nixon tenta di eliminare l’opposizione sradicando la controcultura
di sinistra attraverso l’incriminazione dei suoi leader, accusati
ingiustamente di cospirazione e incitamento alla sommossa.
Tutto il mondo è teatro, o un
processo politico
Arduo il compito di scrivere una
critica su un’opera come Il processo ai Chicago 7, perché se è facile
parlare di film colmi di errori e cadute di stile, il discorso
cambia quando hai davanti un’opera in cui ogni elemento è al suo
posto e nessuna tessera in questo puzzle cinematografico
perfettamente oliato è andata perduta. Ad aprire il sipario su un
teatro della vita camuffato da processo non civile o penale, ma
politico, è un prologo che vive della stessa furia di bottiglie
infiammate lanciate contro le vetrate degli uffici di reclutamento
americani. Quelli che corrono davanti gli occhi dello spettatore
sono dieci minuti di puro godimento.
Un antipasto dal sapore esplosivo di
una vera e propria bomba giocata sull’alternanza perfetta tra
materiali di repertorio e girato filmico. È una giostra di immagini
che non hanno paura di investire e colpire a un ritmo serratissimo
gli occhi del proprio pubblico, iniettandoli di meraviglia, quella
che introduce il film di Sorkin; un piccolo assaggio delle due ore
successive, che non fanno altro che esaltare quanto il pubblico si
appresterà ad assistere da lì a poco. Quando decidi di affrontare
un film interamente fatto di dialoghi, devi dimostrarti davvero
bravo con le parole, e Sorkin è un burattinaio del verbo. Il
processo attorno a cui ruota l’intero intreccio poteva tramutarsi
in corpo vestito di tedio e noia insofferente. Un battibecco
continuo tra incoerenza e colpe celate, disseminate, scoperte.
Sorkin prende ogni lembo di quel corpo per rivestirlo di ironia e
con esso colpire a fondo lo spettatore, perché una volta dissipato
il ricordo della risata, a risiedere in bocca è un sapore di
bruciante amarezza per un’ingiustizia mai veramente scomparsa, ma
perpetuamente in procinto di ritornare più cruenta di prima.
L’aula del
tribunale si sveste così del suo significato primario per rivelarsi
nella sua anima più cruda, violenta. È un far west dove non ci sono
pallottole a volare libere, ma parole, attacchi edulcorati dalla
forza del black-humor, sparate con la forza del caustico umorismo.
Le arringhe degli avvocati e il racconto dei testimoni chiamati
alla sbarra, sono partite di tennis giocate tra il passato e il
presente, dove la pallina è un barlume mnemonico lanciato con forza
da una domanda, un suggerimento, pronto a catapultare lo spettatore
tra i ricordi di un passato volto a colmare passaggi indispensabili
alla comprensione totalizzante della storia.
I sette samurai del 1968
È un meccanismo perfettamente
congegnato, Il processo ai Chicago 7. Uno sguardo sui pregiudizi di
diritti sottratti, e sentenze manipolate sulla scia di ideali
politici e favori personali. Ricalcando la struttura vertebrale su
cui si sorregge The Social Network, Aaron Sorkin
investe di umanità la propria opera, tramutandola in un saggio
scritto con la forza dell’empatia e della mancanza di retorica. E
se il cuore della pellicola batte tra le mura di un tribunale, a
fare da arterie lungo cui lasciare scorrere il sangue delle
rivendicazioni di diritti tanto personali, quanto universali, sono
i corpi degli attori che compongono un cast corale a dir poco
sbalorditivo. Senza interpreti perfettamente in parte, anche la
sceneggiatura più fresca e impeccabile cadrebbe nell’ombra,
ingoiata dal buio della superficialità. E invece ogni attore riesce
a riportare qui in vita i propri personaggi, tra atteggiamenti
deplorevoli, come quelli del giudice Julius Hoffman
(un Frank Langella talmente in parte da
risultare straordinariamente odioso) a stralci di onestà
intellettuale e sensibilità sorprendenti (si pensi al Richard
Schultz di Joseph Gordon Lewitt). A dominare sullo
schermo questo gruppo assortito e coeso sono soprattutto i
due yippies Abbie Hoffman e Jerry Rubin
(rispettivamente Sacha Baron
Cohen e Jeremy Strong).
Un duo capace di dar vita a
siparietti tanto comici quanto carichi di spunti di riflessioni.
Strong e Baron Cohen sono micce pronte a far scattare il fuoco
della rivolta a ritmo di risate, calamite attrattive che chiamano a
sé lo sguardo degli spettatori, per poi canalizzarli verso il cuore
dei loro comprimari, tra cui spiccano un Eddie
Redmayne finalmente libero da smorfiette e mimiche
facciali fin troppo marcate, un sempre e ingiustamente
sottovalutato John Carroll Lynch e, soprattutto, del solito,
carismatico Mark Rylance nei panni dell’avvocato William Kunstler.
I corpi che si muovono, gli sguardi che infiammano gli spazi
dell’aula di tribunale, la nebbia che avvolge i manifestanti
durante le rivolte, o le vetrate di locali eleganti frantumate dal
peso di ribelli lanciati dalla polizia, sono tante schegge di una
giostra impazzita che lascia a bocca aperta lo spettatore, offrendo
la stessa importanza mediatica rivestita più di cinquant’anni prima
dagli eventi reali dei Chicago 7.
Riflettere il passato sullo
specchio del presente
Flashback dai colori freddi, che
lasciano spazio a un presente dalle tonalità calde che di rosso
hanno solo il fuoco della passione che scorre inesorabile nelle
vene di questi personaggi; un montaggio serratissimo, che passa con
facilità (ma senza disorientare per questo il proprio pubblico) tra
passato e presente, coinvolgendo ogni spettatore in questi salti
temporali vertiginosi; una sceneggiatura che colpisce con la stessa
forza dei manganelli sui corpi dei manifestanti, Il processo ai Chicago 7 è uno specchio
del passato sul nostro presente. Non c’è nessun Narciso a rimanere
colpito dal proprio riflesso, ma spettatori di tutto il mondo
pronti a elevare ognuno di questi sette samurai del 1968 come
modello di vita, attraverso cui rivendicare i propri diritti,
sorvolando pregiudizi atti a infangare e accecare anche chi
dovrebbe difenderci, tramutandosi da difensore a boia, da vittima a
carnefice.
Perché gli anni passano, ma il
sangue che copre le manifestazioni civili, e i bavagli che tentano
di soffocare le voci di coloro che si sostituiscono a chi voce non
ne ha, si ritrova un po’ di 1968 in questo 2020. Ed è dunque
nell’America di ieri che si può raccontare al meglio l’America di
oggi. E non c’era penna migliore di quella di Aaron Sorkin per
creare, pezzo dopo pezzo, questo specchio meraviglioso, bramoso di
passione, uguaglianza, democrazia.
“The World is watching” si
sente urlare nel corso dell’opera. E il mondo continua a guardare
questo processo rivedendo se stesso, qui raccontato da Sorkin nel
suo spirito più profondo e con semplicità, dimostrando quanto la
doppia faccia dell’America continui a sopravvivere, alimentata dal
fuoco delle ribellioni, dell’odio, di un potere che supera il
raziocinio, di una vittoria che sa di sconfitta, e viceversa.
Poche cose sono certe nella vita e
una di queste è accendere la tv e trovare almeno un episodio di
Law and Order in onda. Nata nell’ormai lontano
1990 dal genio di Dick Wolf, la famosa serie crime negli anni è
diventata il prodotto televisivo più longevo e amato al mondo.
Dal 1990, la serie Law and
Order – I Due Voltidella Giustizia ha
superato ogni record, arrivando al 2010 con ben 20 stagioni e 456
episodi all’attivo, senza contare il numero impressionante di
spin-off nati nel corso degli anni. Quello creato da Dick
Wolf si è infatti trasformato in un vero e proprio
media franchise che, oltre alla serie madre, comprende
anche cinque spin-off, un film per la tv e un remake televisivo
affidato ai media britannici. Abbiamo quindi le serie Law &
Order – Unità vittime speciali, Law & Order:
Criminal Intent, Law & Order – Il
verdetto, Conviction e Law &
Order: LA, il film tv Omicidio a
Manhattan e il remake inglese Law & Order:
UK.
Law and Order trama
La struttura della serie non è
particolarmente complessa e ogni episodio è pressocchè simile al
precedente. Law and Order racconta più da vicino dei due volti
della giustizia americana, quello investigativo e
quello legale. L’incipit di ogni puntata, infatti,
è sempre lo stesso e recita:
“Nel sistema penale, lo stato è
rappresentato da due gruppi distinti, eppure di uguale importanza:
la polizia, che indaga sul crimine, e i procuratori distrettuali,
che perseguono i criminali. Queste sono le loro storie.”
In ogni episodio si analizza un
particolare crimine e, mentre la polizia indaga e raccoglie prove,
il dipartimento collabora a stretto contatto con l’ufficio del
procuratore distrettuale affinché i colpevoli vengano assicurati
alla giustizia. La prima parte di ogni episodio ha come
protagonista quindi la Polizia di New York. Nello
specifico, ci sono una coppia di detective che giunge sulla scena
del crimine e, insieme ai tecnici della scientifica, raccoglie
prove e testimonianze.
I detective cominciano a elaborare
le prime teorie sulla dinamica del delitto e fermano alcuni
sospettati. Man mano che le indagini proseguono, le supposizioni
iniziali vengono confermate o cambiano e i detective sono costretti
a trovare strade alternative per la risoluzione del caso. Quando
finalmente si giunge a una conclusione, la palla passa all’accusa e
la scena si sposta dalla centrale di polizia all’ufficio del
procuratore.
Ogni cittadino americano, per
legge, ha diritto a una difesa ed è quindi compito dei magistrati,
trovare il modo giusto per riuscire a far condannare il colpevole.
L’azione quindi si sposta nelle aule di tribunale dove l’accusa e
la difesa dovranno esporre le loro ragioni dinnanzi a un giudice e
alla giuria. Quest’ultima, ascoltando attentamente le ragioni
dell’una e dell’altra parte e analizzando le prove, dovrà emettere
una sentenza di colpevolezza o innocenza.
Law and Order cast completo
Non sempre la giuria si esprime in
favore dell’accusa e capita spesso che pericolosi criminali vengano
rilasciati. Il meccanismo complesso della giustizia americana
mostra quindi le sue falle e debolezze non riuscendo troppo spesso
a garantire il rispetto della legge.
Per le persone che si adoperano
ogni giorno a combattere la violenza nelle strade della Grande
Mela, ogni fallimento del sistema giudiziario è una ferita che non
si rimargina. Fare il detective o il magistrato ed essere costretti
a fare i conti giornalmente con la crudeltà umana, è qualcosa che
ti logora dall’interno.
Per questo motivo (e non solo), i
protagonisti di Law and Order sono cambiati spesso nel corso del
tempo. Dal 1990 al 2010 la serie ha subito diversi avvicendamenti
di cast, modificando le fila dei ruoli principali e secondari. Tra
i personaggi che hanno fatto la storia di Law & Order ricordiamo il
detective Mike Logan, interpretato da
Chris Noth attivo per ben cinque stagioni.
Ancora, il Capitano Donald
Cragen, alias Dann Florek, al comando
della squadra anticrimine fino alla terza stagione. Il suo
personaggio lascia quindi la serie madre per trasferirsi all’unità
crimini speciali, diventando la punta di diamante dello spin-off
Law and Order – Unità Vittime Speciali (SVU).
A sostituire Cragen all’inizio
della quarta stagione arriva il tenente Anita Van
Buren, interpretata da S. Epatha
Merkerson. Il suo personaggio, a differenza di altri,
resta attivo nella serie dalla quarta fino alla ventesima e
conclusiva stagione. Tra i veterani di Law & Order, inoltre, c’è
anche il grande J. K.
Simmons che dall’ottava alla ventesima stagione
interpreta il Dr. Emil Skoda, psichiatra spesso
impiegato dalla polizia per i casi più difficili. In pianta stabile
nella serie troviamo anche il vice-procuratore Jack
McCoy, interpretato da Sam Waterson,
attivo dalla quinta alla ventesima stagione.
Law and Order – Unità Vittime
Speciali (SVU)
Capita di rado che il pubblico
finisca col preferire uno spin-off alla sua serie madre eppure
questo è proprio il caso di Law and Order SVU.
Dopo il grandissimo successo ottenuto con le prime nove stagioni di
Law & Order, nel 1999 Dick Wolf lancia in tv una
nuova serie dal titolo Law and Order – Unità Vittime
Speciali (in inglese Special Victim Unit).
In questo spin-off i protagonisti
sono sempre la polizia e il dipartimento di New York e la struttura
narrativa degli episodi resta pressochè invariata. A cambiare,
tuttavia, è la tipologia di casi seguiti dalla squadra,
specializzata in crimini particolarmente cruenti e a sfondo
sessuale. Questo cambio di rotta si ripercuote un po’ su tutti gli
aspetti fondamentali della serie, partendo dall’incipit che nello
spin-off recita così:
“Nel sistema giudiziario
statunitense, i reati a sfondo sessuale sono considerati
particolarmente esecrabili. A New York opera l’Unità Vittime
Speciali, una squadra di detective specializzati che indagano su
questi crimini perversi. Ecco le loro storie.”
Law and Order SVU,
a differenza della serie madre, è molto meno edulcorata e in ogni
episodio la squadra si trova a dover affrontare crimini talvolta
difficili anche solo da immaginare. La serie tocca infatti diversi
argomenti scottanti come lo stupro, la prostituzione, la pedofilia,
il traffico di esseri umani e molto altro ancora. Inoltre,
trattandosi di crimini complessi da risolvere, in quasi tutti gli
episodi, a prevalere è sempre la parte investigativa a discapito di
quella giudiziaria.
Ma la vera forza della serie sta
nei suoi personaggi, meno sfuggenti e molto più emotivi.
Protagonista indiscussa di Law and Order SVU è la
coppia di detective formata da Elliot Stabler (Christopher
Meloni) e Olivia Benson (Mariska
Hargitay), i personaggi più amati dell’intero
franchise di Law & Order.
Law and Order – Unità Vittime
Speciali cast
Scelti da Dick
Wolf in persona tra centinaia di attori,
Christopher Meloni e Mariska
Hargitay hanno lavorato insieme alla serie SVU per ben 12
stagioni, dal 1999 al 2011. Nel corso degli anni il pubblico ha
imparato a conoscere i personaggi di Olivia e
Elliot, entrambi detective in gamba ma con un passato
difficile e doloroso alle spalle.
Elliot
Stabler è un ex marine specializzato nel combattimento
corpo a corpo, nonché uno dei detective più ‘anziani’ della
squadra. Cresciuto in una famiglia cattolica, è un uomo molto
devoto e soprattutto alla sua famiglia. Elliot vive nel Queens, è
sposato con la bella Kathy e ha cinque splendidi figli, Maureen,
Kathleen, Dick, Lizzie e Eli. Uomo fiero e tutto d’un pezzo, di
rado accetta aiuto da parte di amici e colleghi e spesso si trova
ad agire d’impulso. Sarà proprio un caso finito male a spingerlo
alle dimissioni.
A fare da partner a Elliot c’è
Olivia
Benson, una donna molto forte, determinata e
passionale, perseguitata dai fantasmi del suo passato. Nata a
seguito di uno stupro subito da sua madre, nel corso delle stagioni
è la stessa Olivia a restare vittima di un’aggressione durante una
missione sotto copertura. Grazie però alle sue esperienze, la
Benson riesce a essere molto più empatica con le vittime di crimini
a sfondo sessuale delle quali riesce subito a guadagnare la
fiducia. Dopo la dimissioni di Elliot, Olivia continua a cambiare
periodicamente partner fino a quando, facendo carriera nel
dipartimento, non prende il posto vacante prima di sergente e poi
di capitano.
A supportare la coppia
Stabler-Benson nelle indagini c’è il detective John Munch
(Richard Belzer), uno dei più anziani del
dipartimento che, prima di approdare all’unità, aveva fatto parte
della polizia di Baltimora. Il partner di Munch è il detective
Odafin Tutuola, detto Fin (Ice-T), ex marine
nonché ex detective della narcotici, entra a far parte della
squadra dalla seconda stagione.
Capitano dell’intera squadra
crimini speciali è Donald Cragen (Dann Florek), un
uomo mite ma fermo e giusto nelle sue decisioni. E’ un capo molto
amato e stimato dai suoi colleghi e sottoposti così come lo è anche
in famiglia. Cragen è sposato da tanti anni ed è padre adottivo di
un bambino che adora. La sua vita e la sua carriera vanno in pezzi
quando viene coinvolto in uno scandalo sessuale – che più tardi si
scoprirà essere una montatura -, evento che lo spinge al
pensionamento.
Nonostante le defezioni prima di
Christopher Meloni e poi di Dann Florek, Law and Order SVU è ancora
in onda e ad oggi è arrivato a 21 stagioni e 478 episodi. La
ventiduesima stagione, già annunciata, è purtroppo ferma a casa
della pandemia da Coronavirus ancora in corso.
Law and Order: Criminal
Intent
Grazie all’incredibile successo
ottenuto da Law & Order SVU, qualche anni più
tardi Dick olf decide di produrre un nuovo show, collegato alla
serie madre. E così nel 2001 nasce Law and Order: Criminal
Intent secondo spin-off del franchise Law &
Order.
A differenza del suo predecessore,
Criminal Intent si concentra unicamente sulla
parte investigativa tralasciando completamente l’aspetto
giudiziario dei casi. La serie, sempre ambientata a New York, ha
come protagonisti infatti i membri della squadra crimini maggiori.
Trattandosi di casi complessi e di crimini ad ampio raggio, l’unità
adotta un approccio più psicologico, servendosi delle prove per
delineare il profilo del criminale. In questo modo la squadra
riesce a capire e talvolta ad anticipare le sue mosse.
“Nella guerra al crimine della
città di New York, i peggiori criminali sono perseguiti dai
detective della Major Case Squad. Queste sono le loro
storie.”
https://youtu.be/fGZpbkO6VpI
I detective della crimini maggiori
sono Robert Goren (Vincent
D’Onofrio) e Alexandra Eames (Kathryn
Erbe). I due più che semplici detective, svolgono quasi
l’attività di profiler, tracciando il modus operandi del criminale
attraverso le prove raccolte. Anche in Criminal Intent, però, negli
anni ci sono stati diversi avvicendamenti di cast.
Tra la quinta e l’ottava stagione,
la serie prende in prestito da Law and Order – I Due Volti della
Giustizia, il detective Mike Logan (Chris Noth) e
la sua partner, la detective Megan Wheeler (Julianne
Nicholson). Successivamente, dalla nona stagione,
assistiamo all’ennesimo cambio di protagonisti ed entra in campo la
coppia di detective formata da Zach Nichols (Jeff
Goldblum) e Serena Stevens (Saffron
Burrows).
Nonostante i continui cambiamenti
nel cast, la serie Law & Order: Criminal Intent è
andata in onda per ben 10 stagioni e 197
episodi ospitando anche varie guest star come Whoopi
Goldberg, Fran Drescher,
Brooke Shields e Bobby
Cannavale.
Law and Order streaming
Tutte le stagioni di Law
and Order – I Due Volti della Giustizia e degli spin-off
Law and Order – Unità Vittime Speciali e
Law and Order: Criminal Intent, sono disponibili
in streaming sulla piattaforma a pagamento di Amazon Prime Video.
Sin dalla prima scena
Sang-ho Yeon ci riporta indietro nel tempo, e
subito è come se fossimo ancora su quel Train to Busan che nel 2016 entusiasmò il
Festival di Cannes diventando un vero caso
internazionale e imponendo il nome del suo regista all’attenzione
internazionale. Quest’anno sulla Croisette non si sono accese le
luci, ma il sequel di quel cult dell’action horror ha trovato
ospitalità proprio alla Festa di Roma, dove abbiamo potuto vedere
Peninsula, altresì noto come Train to Busan 2.
Tornano gli zombi coreani
Sono passati quattro anni dallo
scoppio dell’epidemia zombi che avevamo visto devastare la penisola
coreana, ma abbandonati i protagonisti di allora stavolta scopriamo
il dramma di Jung-seok, sopravvissuto a caro prezzo al disastro e
rifugiatosi in una Hong Kong ostile nei confronti dei profughi come
lui. L’occasione per tornare indietro gli viene offerta da un
criminale locale, intenzionato a recuperare il ricco carico di un
camion abbandonato nel centro di Seul. Ma come trovarlo,
sopravvivere a orde di morti viventi affamati e tornare alla base
entro tre giorni? Soprattutto considerata la misteriosa Unità 631
che controlla la città e il rischio che qualcosa di imprevisto
possa apparire sul suo cammino…
Quattro anni sono passati anche dal
poco noto prequel animato Seoul Station – uscito solo un mese dopo
il film originario e distribuito in Italia allegato alla sua
versione Home Video – che fa sì che si possa effettivamente parlare
di vera e propria trilogia. Che qui pare chiudersi. Al di là di
ragionevoli dubbi, e del desiderio e la curiosità di vedere Sang-ho
Yeon mettersi alla prova con qualcosa di diverso, è interessante
godere di questo ultimo capitolo seguendone l’evoluzione, e i vari
cambi di direzione.
Azione spettacolare e ottimi
maestri
Ritorna l’atmosfera
claustrofobica che aveva costituito la vera cifra, e l’anima, del
precedente, per quanto principalmente nel prologo, ma sono altri
gli escamotage sfruttati dal furbo regista in questa nuova
avventura. Stabilita la connessione che in molti si aspettavano,
non può che esser giudicata positivamente la scelta di prendere le
distanze da quel successo tentando una nuova strada. Che purtroppo
tanto nuova non è. Difficile aggiungere qualcosa di originale allo
zombi movie come genere, d’altronde… ci son riusciti in pochi. Yeon
incluso. Che però stavolta punta su una ragionata ed equilibrata
commistione di action, moralismo e buone idee già viste al cinema.
Per esempio in 1997: Fuga da New York e
Mad Max.
Il tasso di adrenalina resta alto,
con zombi ipercinetici capaci di incredibili contorsionismi e
acrobazie scenografiche, ma la vicenda scricchiola quando si
incaponisce nello spiegarci i contesti etici e sentimentali dei
protagonisti. Persino interrompendo l’azione ed eccedendo in fermi
immagine, pause a effetto e insistiti temi musicali buoni per un
Anime strappacuore. Un didascalismo davvero poco
necessario.
Sensi di colpa epici ed
espiazione
Come da tradizione, sono molti i
temi sottesi allo sviluppo narrativo generale. A partire
dall’immancabile rappresentazione degli espatriati bisognosi di
asilo e mal sopportati dalla popolazione locale, fino alla lotta
tra poveri che ne deriva (si direbbe) immancabilmente o al senso di
colpa degli adulti nei confronti di una generazione costretta a
vivere in un mondo devastato e ormai ben oltre l’orlo del baratro
ecologico. Ovviamente anche a muovere l’Eroe è il desiderio di
espiare una macchia inaccettabile, ma le tappe del suo percorso di
redenzione sono forse troppo convenzionali. Persino le regole
destinate a essere infrante sembrano enunciate esclusivamente con
quello scopo, sin dall’inizio. Alla fine l’apparizione più gustosa
rimane sicuramente quella delle due giovanissime componenti di un
‘Rescue Team’ molto particolare, per le loro abilità e creatività
tanto quanto la capacità di riciclare strumenti di un’età passata e
forse mai vissuta. Esempi della possibilità di una rivincita che
non prescinda da una buona dose di innocenza e divertimento.
Ecco le nuove cover di Empire
Magazine che raffigurano i protagonisti di The Suicide Squad, il nuovo film di
James
Gunn che racconta, ancora una volta, lo sgangherato
gruppo di villain della DC Comics.
Con il film del 2014 Selma – La
strada per la libertà, la regista Ava
DuVernay si è imposta all’attenzione dell’industria e del
pubblico. All’interno del film dà infatti vita ad un’avvincente
rievocazione delle marce capitanate da Martin Luther King svoltesi
tra le città di Selma e Montgomery. Nel 1965, queste
rappresentarono uno dei principali momenti nella rivolta per il
diritto di voto ai cittadini afroamericani. Nel ritrarre questo
preciso evento, la regista dà così vita ad un racconto storico
ancora oggi estremamente attuale e bisognoso di essere tramandato e
ricordato.
Inizialmente scritto come storia
originale dallo sceneggiatore Paul Webb, il film
subì diversi ritardi produttivi, dovuti in particolare al cambiare
delle produzioni coinvolte come anche del nome del regista. Una
volta confermata la DuVernay, però, la realizzazione di Selma –
La strada per la libertà poté inifine concretizzarsi.
Decisivo, tra gli altri, fu il supporto ricevuto dalla Plan B
Entertainment di Brad
Pitt e dalla Harpo Film di Oprah
Winfrey. Dopo un’anteprima all’American Film Institute, il
film ebbe modo di arrivare nelle sale di tutto il mondo,
affermandosi come un grande successo.
Al box office il film arrivò
infatti ad un guadagno globale di circa 67 milioni di dollari, a
fronte di un budget di soli 20. Particolarmente entusiasta fu anche
l’accoglienza della critica, la quale lodò la regia come anche
l’interpretazione dei protagonisti. Il film si affermò poi come un
forte contendente durante la stagione dei premi. Agli Oscar,
tuttavia, ottenne solo due nomination, come miglior film e miglior
canzone originale Glory, vincendo poi in quest’ultima
categoria. L’assenza di nomination per la regia e l’attore
protagonista portò a diverse polemiche, ma i mancati riconoscimenti
nulla devono togliere al valore del film.
Selma – La strada per la libertà:
la trama del film
Ambientato nel 1964, il film ha
inizio con il conferimento del premio Nobel alla pace a Martin
Luther King. Questi viene poi ricevuto dal presidente degli Stati
Uniti Lyndon B. Johnson, a cui chiede di garantire il pieno diritto
di voto ai cittadini di colore. Questo è infatti loro negato,
specialmente negli stati del Sud, dove non possiedono alcun
rappresentante ai seggi. Le richieste di King non vengono però
soddisfatte, ma anzi vengono viste in modo molto negativo da parte
dei segregazionisti, tra cui si ritrova il governatore dell’Alabama
George Wallace. L’attivista inizia allora a pensare a nuovi modi
per ottenere una maggior visibilità a livello nazionale, arrivando
ad organizzare una prima marcia politica.
Durante questa, però, una
spedizione punitiva dei poliziotti finisce con il dar vita ad un
morto. Si tratta del giovane Jimmie Lee Jackson, ucciso a sangue
freddo da un agente. Tale evento sconvolge profondamente King, il
quale è ora più determinato che mai ad ottenere giustizia per il
suo popolo. Egli organizza così una seconda marcia di protesta non
violenta, la quale però suscita ancor di più l’ira di Wallace. Un
nuovo scontro si prospetta all’orizzonte, ma King è determinato a
portare alla luce i soprusi dei bianchi, e non si arrenderà pur
consapevole dei rischi a cui va incontro. Partito da Selma con al
seguito un folto gruppo, ha così per lui inizio una delle proteste
più celebri, rimaste impresse nella storia del paese.
Selma – La strada per la libertà:
il cast del film
Per interpretare il ruolo di Martin
Luther King, era necessario trovare un attore in grado di poter dar
vita nel modo migliore al carismatico leader. La scelta ricadde sin
da subito sull’attore britannico David Oyelowo,
divenuto noto grazie a film come L’alba del pianeta delle
scimmie e Lincoln. L’attore insistette per ben 7
anni pur di riuscire ad ottenere tale parte, dimostrando infine di
essere il candidato migliore. Fu lui a proporre poi la DuVernay
come regista del film, convinto delle sue capacità. Per prepararsi
alla parte, Oyelowo studiò a lungo la figura di King e i suoi
discorsi, cercando di interpretarlo nel modo più realistico
possibile tanto nella modo di parlare che in quello di comportarsi.
Il coinvolgimento emotivo fu talmente tanto che al momento di
girare l’ultima scena, l’attore scoppiò in lacrime.
Accanto a lui si ritrovano poi
diversi noti interpreti dell’industria statunitense.
Tim Roth è
presente nel ruolo del governatore dell’Alabama George Wallace.
L’attore ha affermato di ricordare bene la figura del politico, e
di aver lavorato a lungo per poter riprodurre la sua cattiveria,
cercando però di non giudicarlo. Tom Wilkinson è
invece il presidente Lyndon B. Johnson, mentre il rapper
Common recita nel ruolo di James Bevel. L’attrice
Carmen Ejogo dà invece vita a Coretta Scott King,
moglie di Martin e a sua volta attivista per i diritti ai neri.
Compaiono poi anche celebri nomi come Oprah
Winfrey nei panni di Annie Lee Cooper, Cuba
Gooding Jr. in quelli di Fred Gray e Keith
Sanfield per Jimmie Lee Jackson. Alessandro
Nivola interpreta John Doar, mentre Tessa
Thompson è Diane Nash.
Selma – La strada per la libertà:
il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
Per gli appassionati del film, o
per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne
grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali
piattaforme streaming oggi disponibili. Selma – La strada per
la libertà è infatti presente su Rakuten TV, Chili
Cinema e Apple iTunes. Per poter usufruire del film, sarà
necessario sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il
singolo film. In questo modo sarà poi possibile vedere il titolo in
tutta comodità e al meglio della qualità video, senza limiti di
tempo. Il film è inoltre in programma in televisione per
venerdì 23 ottobre alle
ore 23:40 sul canale Rai
Movie.
Maestro del body horror,
il regista David Cronenberg ha negli anni abituato
i suoi spettatori a storie particolarmente conturbanti, e con il
suo ultimo film Maps to the
Stars non è stato da meno. Presentato in concorso
al Festival di Cannes nel 2014, questo
propone una critica al rapporto tra il mondo dello spettacolo e la
cultura occidentale, andando a rivelare la natura malsana che si
nasconde dietro il mondo del cinema e nella vita delle sue
celebrità. Con fare satirico, il regista porta così con sé lo
spettatore in un viaggio attraverso le stelle di Hollywood, le
quali da vicino si rivelano però meno attraenti del previsto.
Prima di prendere forma, però, il
progetto è dovuto passare attraverso diverse rielaborazioni. Lo
sceneggiatore Bruce Wagner scrisse la prima
versione della sceneggiatura nel 2007, ma il progetto faticò a
trovare fondi per la sua realizzazione e venne infine cancellato.
Wagner decise allora di pubblicare la storia sotto forma di romanzo
con il titolo Dead Stars. Questa arrivò infine
all’attenzione di Cronenberg, il quale se ne interessò e ricercò
una produzione per il progetto. Con il coinvolgimento del regista,
il film prese così vita e le riprese poterono iniziare, svolgendosi
tra Los Angeles e Toronto.
Il film arrivò infine in sala,
accolto da una buona accoglienza da parte della critica. Questa
lodò in particolare le interpretazioni dei protagonisti e la
capacità di Cronenberg di dar vita a situazioni particolarmente
grottesche. Maps to the Stars non ottenne però un
particolare successo al box office, dove a fronte di un budget di
circa 13 milioni di dollari arrivò ad incassarne solo 4 a livello
globale. Il titolo poté però fregiarsi di alcuni importanti
riconoscimenti. Il più prestigioso tra questi è certamente quello
vinto da Julianne
Moore come miglior interprete femminile a Cannes.
Maps to the Stars: la trama del
film
Protagonista del film è Agatha
Weiss, giovane dal turbolento passato, la quale ritorna a Los
Angeles dopo esserne stata allontanata anni prima. Coinvolta in un
terribile incendio, durante il quale si è procurata le terribili
ustioni che sfoggia sulle braccia, è ora determinata a trovare una
propria redenzione nella città degli angeli, ricongiungendosi con
la sua famiglia. Suo padre Sanford è un famoso terapista di
celebrità, mentre la madre Cristina si occupa a tempo pieno della
carriera del figlio adolescente, star della televisione. Essendo
tutti così strettamente legati al mondo dello spettacolo, anche
Agatha decide di iniziare a cercare un proprio posto in questo.
Aiutata dal bell’autista di limousine Jerome riesce a diventare
l’assistente personale della grande attrice Havana Segrand. Nessuno
di questi è a conoscenza del fatto che le loro vite stanno per
cambiare radicalmente.
Maps to the Stars: il cast del
film
Ad interpretare la giovane Agatha
Weiss vi è l’attrice Mia
Wasikowska, divenuta celebre per essere stata la
protagonista di Alice in Wonderland. Grazie a tale ruolo
l’interprete ha potuto sfoggiare nuove sfumature drammatiche,
ottenendo ulteriori consensi da parte dell’industria. Il ruolo di
Havana Sagrand è invece interpretato dalla premio Oscar
Julianne Moore (Still Alice), la quale ha
per questo ricevuto numerosi premi. Attratta dalla complessità del
ruolo, l’attrice ha accettato di tingersi i capelli di biondo,
dando vita ad un personaggio tanto sgradevole quanto attraente.
Originariamente, però, questo era stato offerto all’attrice
Rachel Weisz
(La favorita), la quale dovette rifiutare per via di altri
impegni.
Nel ruolo del dottor Stafford Weiss
vi è invece John
Cusack (Essere John
Malkovich). Anche lui, come i suoi colleghi, rimase
particolarmente colpito dalla sceneggiatura, accettando senza
esitazione di prendere parte al progetto. Tale ruolo era però
inizialmente stato offerto a Viggo
Mortensen (Il Signore degli Anelli), il quale
aveva già collaborato con Cronenberg per La promessa
dell’assassino. L’attrice Olivia Williams
(Il sesto senso) è invece presente nel ruolo di Christina
Weiss, madre di Agatha, mentre il giovane Evan
Bird, noto per la serie The Killing, interpreta
Benjie Weiss. Maps to the Stars segna puoi una nuova
collaborazione tra il regista e Robert
Pattinson, già protagonista del precedente
Cosmopolis. Fu l’ingresso nel cast del celebre attore a
permettere la definita realizzazione del film.
Maps to the Stars: la spiegazione
del film
Con Maps to the Stars
Cronenberg ha potuto ribadire una volta di più il suo disprezzo nei
confronti dell’industria hollywoodiana, giudicata falsa e ipocrita.
Attraverso i personaggi rappresentati egli porta alla luce i
principali aspetti e difetti di questo mondo, molti dei quali si
ritrovano nel complesso personaggio di Havana Sagrand. In lei si
ritrovano le varie contraddizioni e ossessioni spesso riscontrabili
in molte reali celebrità. La stessa Moore, interprete del ruolo, ha
affermato di essersi basata su persone simili da lei realmente
conosciute. Le gesta del personaggio sono perfettamente coerenti
con il mondo che la circonda. La sua voglia di prevalere a
discapito di tutto e tutti diventa così il tratto prevalentemente
messo alla gogna dal regista.
Per la comprensione del film sono
poi esemplari anche i personaggi di Stafford e Benjie Weiss. Il
primo, che di professione svolge il lavoro di psicologo per
celebrità, si rivela essere una personalità manipolatrice, con più
cura per i propri interessi che per i problemi manifestati dai suoi
clienti. Cusack, interprete del ruolo, ha descritto tale
personaggio come una delle più aggressive accuse alla fama e ai
segreti di Hollywood. Il ruolo del giovane Benjie Weiss incarna
invece tutti quei bambini che iniziano a recitare sin dalla tenere
età. Egli nasconde inoltre seri problemi di droga, che vengono
continuamente nascosti dai genitori e dagli agenti. Anche
attraverso il suo ritratto si può ritrovare la spietata critica di
Cronenberg verso questi giovani interpreti, il più delle volte
vittime precoci dell’industria.
Maps to the Stars: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
Per gli appassionati del film, o
per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne
grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali
piattaforme streaming oggi disponibili. Maps to the Stars
è infatti presente su Rakuten TV, Chili Cinema, Google
Play, Rai Play e Tim Vision. Per poter usufruire del film,
sarà necessario sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare
il singolo film. In questo modo sarà poi possibile vedere il titolo
in tutta comodità e al meglio della qualità video, senza limiti di
tempo. Il film è inoltre in programma in televisione
per venerdì 23ottobre alle
ore 00:35 sul canale Rai
2.
Arriva a poco più di 10 giorni
dalle elezioni presidenziali 2020 negli USA Borat: seguito
di film, il secondo capitolo delle avventure del reporter
kazako ideato e interpretato da Sacha Baron Cohen e conosciuto in tutto il
mondo con il primo trascinante capitolo nel 2006.
In tempo di fake news,
nessuno sa gestire la materia meglio di Cohen, che con il suo
lavoro le ha in qualche modo inventante, portando il genere del
mockumentary (il finto documentario) ad un livello altissimo di
satira politica. Nel 2020, il raffinato interprete torna con il suo
personaggio in un mondo, e in un’America, che è profondamente
diversa da quella di 14 anni fa.
Borat: seguito di film, la recensione
E già la realizzazione del film è
un piccolo miracolo, visto che è stato girato e ultimato in piena
pandemia, oltre ad essere un atto comico di rivolta con una potenza
mediatica e una portata virale davvero incredibile, e sarà
sicuramente uno strumento di coinvolgimento importantissimo per gli
elettori, laddove non arrivano pubblicità e propaganda seri.
Come il suo precedente, anche
questo film ha le sembianze di un documentario approvato dal
regime, ed ha lo scopo di riabilitare il nome della nazione agli
occhi del mondo attraverso la captatio benevolentiae degli
Stati Uniti e quindi del suo presidente e dei suoi sostenitori.
Presi nel mirino ci sono in particolare il Vice Presidente
Mike Pence e l’ex sindaco di New York e
sostenitore di Trump, Rudolph Giuliani (che
sicuramente dovrà dare delle spiegzioni a seguito del film). Ma non
solo i personaggi politici, Borat “tocca” anche l’aborto, le teorie
complottiste, il razzismo ovviamente, fa apparire il Ku Klux Klan,
tutti elementi che, agli occhi del reporter, piacciono al “nuovo
magnifico premier”, McDonald Trump.
Ebbene sì, perché
di fronte ad un personaggio come Trump, che ha dimostrato una
totale impermeabilità alla parodia, Baron Cohen e il suo team di
co-autori sgretolano il personaggio Trump presentando un Borat che
venera il presidente, un uomo che dalla Stanza Ovale sostiene
razzismo e misoginia, trovandosi totalmente allineato con lui.
Un’ammirazione a distanza, quella del reporter per il presidente,
che nasconde tutta la chiave della satira di Sacha Baron Cohen.
Quando la politica diventa
ridicola, il lavoro della satira si fa più difficile, e a questo
risponde Borat: seguito di film, che fa fronte anche ad
un’altra difficoltà. Il film prende in giro non solo il presidente,
ma anche tutti i suoi sostenitori, e che tipo di effetto può avere,
oggi, che Borat in quanto personaggio è ormai famosissimo? Non a
caso Baron Cohen passa moltissima parte del film con travestimenti
buffi e improponibili invece che con il suo distintivo completo
grigio, cosa che gli ha permesso di infiltrarsi alla manifestazione
di estrema destra lo scorso giugno e che è finita nel film,
perfettamente in trama con ciò che la storia racconta.
Satira raffinata e comicità demenziale
Proprio la narrazione è una novità
rispetto al film precedente, dal momento che Borat: seguito di film
cinema ha una trama strutturata e precisa, che sicuramente toglie
freschezza e senso di improvvisazione, ma che rende questo prodotto
un oggetto forse più facile da fruire e sicuramente con meno
momenti sgradevoli e grevi rispetto al primo film (non che qui
siano assenti, tranquilli).
All’inzio del film troviamo Borat
in un lager, mentre è condannato ai lavori forzati per aver gettato
la vergogna sul suo paese, il Kazakistan (inteso come stato
generico geograficamente incollocabile da parte dell’americano
medio). Convocato dal ministro della propaganda, gli viene
assegnata la missione di ingraziarsi il favore e il rispetto di
Trump, e quindi del mondo, con un regalo. Prima viene scelta una
scimmia, poi, a seguito di problemi logistici, Borat decide di
offrire la sua figlia quindicenne, interpretata da Maria
Bakalova (anche qui troviamo finalmente una spiegazione ad
un’altra infiltrazione di Baron Cohen, questa volta alla CPAC,
travestito da Trump).
L’intuizione di Borat: seguito di film è quella di giocare
sullo stesso territorio dell’assurdo dell’obbiettivo della sua
satira. Certo, con un pubblico vigile e attento, che riconosce
Borat per strada, è difficile valutare, ora, quanto sia stato
documentato e quanto sceneggiato, resta però notevole la maniera in
cui Sacha Baron Cohen cammina sulla linea tra
umorismo becero e acuta satira politica.
ANICA, a SNGCI, AGIS e ANEC hanno
ricevuto una lettera da parte dei giornalisti cinematografici
italiani in cui si chiede una maggiore tutela e sicurezza in tempo
di Covid, pratiche da applicare in occasione delle anteprime e
delle attività stampa allo scopo di garantire agli stessi
giornalisti di settore di lavorare in sicurezza. Di seguito il
testo:
“Tutti noi giornalisti e critici
cinematografici dopo il lockdown siamo tornati alavorare con
fiducia e cautela. Abbiamo ricominciato a seguire proiezioni e
conferenze stampa in sala. Abbiamo partecipato e stiamo
partecipando a rassegne e festival che si sono attrezzati per
garantire le adeguate misure di sicurezza anti-Covid19. Tutti
insieme stiamo cercando di ripartire, con responsabilità e
attenzione, per far sì che il cinema in sala rimanga vivo e che il
giornalismo di settore continui a raccontarlo al meglio delle sue
possibilità. Abbiamo dato fiducia ai protocolli seguiti dalle
aziende e dalle istituzioni che ci hanno chiamato a partecipare ai
loro eventi e dobbiamo tutti essere certi che questi protocolli
funzionino.
Sappiamo però che lunedì 12
ottobre, in occasione dell’attività stampa per la promozione del
film Lockdown all’italiana, una persona, poi risultata positiva al
coronavirus, ha partecipato agli incontri in programma. Lo abbiamo
saputo per vie informali dal momento che non è partita alcuna
procedura di tracciamento e controllo dello stato di salute di chi
era presente all’attività stampa nonostante avessimo lasciato i
nostri nomi e i nostri contatti come richiesto. La cosa ci ha
allarmato perché l’organizzazione di quell’attività stampa ci è
sembrata esemplare per le misure di sicurezza prese: dunque i
protocolli non funzionano?
Alla luce di questo episodio –
non sappiamo se altre anteprime possano aver avuto lo stesso
problema, siamo certi di questo caso e anche dell’eccellenza dei
controlli effettuati in loco – ci sembra importante sollevare la
questione e proporre di individuare insieme, e poi mettere in atto,
delle procedure ancora più stringenti che ci facciano sentire tutti
pienamente tutelati nell’esercizio della nostra professione.ci
sembra importante sollevare la questione e proporre di individuare
insieme, e poi mettere in atto, delle procedure ancora più
stringenti che ci facciano sentire tutti pienamente tutelati
nell’esercizio della nostra professione.
Ad esempio ci sentiremmo più
tranquilli se, come alla Mostra di Venezia (e non solo), potessimo
sederci sempre in posti assegnati e registrati, in modo da poter
risalire con precisione al tracciamento dei contatti in seguito a
eventuali contagi. E se, in caso di positività di qualcuno dei
partecipanti all’attività stampa, l’informazione – ovviamente nel
rispetto della privacy dell’interessato – fosse comunicata con
tempestività. Confrontiamoci, troviamo soluzioni condivise e
facciamolo velocemente, perché purtroppo la situazione sanitaria,
come sapete, peggiora di ora in ora”.
I
firmatari:
Pedro Armocida Mauro Donzelli Michela Greco Ilaria Ravarino Gabriele Acerbo Stefano Amadio Valentina Ariete Gianluca Arnone Elena Balestri Martina Barone Giovanna Barreca Nicole Bianchi Giulia Bianconi Emanuele Bigi Federico Boni Margherita Bordino Antonio Bracco Valerio Cappelli Eva Carducci Paola Casella Francesco Castelnuovo Claudia Catalli Daniela Catelli Oscar Cosulich Alberto Crespi Antonio Cuomo Giacomo D’Alelio Piera Detassis Antonio D’Olivo Alessandro De Simone Carmen Diotaiuti Simone Emiliani Elisabetta Esposito Ilaria Feole Fabio Ferzetti Andrea Fornasiero Marzia Gandolfi Emanuela Genovese Mauro Gervasini Andrea Giordano Federico Gironi Silvio Grasselli Andrea Guglielmino Chiara Guida Luca Liguori Silvia Locatelli Giulia Lucchini Stefano Masi Raffaele Meale Domenico Misciagna Emiliano Morreale Chiara Nicoletti Gabriele Niola Emanuele Paglialonga Mattia Pasquini Anna Maria Pasetti Cristiana Paternò Francesca Pierleoni Federico Pontiggia Carola Proto Angela Prudenzi Emanuele Rauco Baba Richerme Valerio Sammarco Giulio Sangiorgio Marina Sanna Sonia Serafini Paola Schettino Nobile Ilaria Solari Boris Sollazzo Barbara Sorrentini Chiara Ugolini Alessandra Ventimiglia Giorgio Viaro Aurelio Vindigni Ricca Akim Zeijari Emiliano Morreale Angela Prudenzi Baba Richerme
Guarda due clip di I
predatori, il debutto alla regia di Pietro
Castellito, presentato in Concorso in
Orizzonti alla 77° Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia e vincitore del Premio Migliore
Sceneggiatura alla Mostra del Cinema di
Venezia.
Protagonisti sono Massimo
Popolizio, Manuela Mandracchia, Pietro Castellitto, Giorgio
Montanini, Dario Cassini, Anita Caprioli, Marzia Ubaldi, Antonio
Gerardi, Nando Paone, Vinicio Marchioni, Claudio Camilli, Liliana
Fiorelli, Renato Marchetti, Giulia Petrini, Francesco
Borghese.
I Predatori, la trama
Nel film I
predatori È mattina presto, il mare di Ostia è calmo.
Un uomo bussa a casa di una signora: le venderà un orologio. È
sempre mattina presto quando, qualche giorno dopo, un giovane
assistente di filosofia verrà lasciato fuori dal gruppo scelto per
la riesumazione del corpo di Nietzsche. Due torti subiti. Due
famiglie apparentemente incompatibili: i Pavone e i Vismara.
Borghese e intellettuale la prima, proletaria e fascista la
seconda. Nuclei opposti che condividono la stessa giungla, Roma. Un
banale incidente farà collidere quei due poli. E la follia di un
ragazzo di 25 anni scoprirà le carte per rivelare che tutti hanno
un segreto e nessuno è ciò che sembra. E che siamo tutti
predatori.,
I predatori è
una produzione FANDANGO con RAI
CINEMA prodotto da Domenico Procacci e Laura
Paolucci, opera realizzata con il sostegno della Regione Lazio
Fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo.
La Paramount ha
pubblicato il trailer ufficiale del film del regista Miles
Joris-Peyrafitte Dreamland con
protagonisti
Margot Robbie. Il film è un thriller drammatico nel
quale l’attrice interpreta una rapinatrice di banche ricercata con
una grande taglia sulla testa. Nel cast del film anche da Finn
Cole, noto per il suo ruolo in Peaky Blinders
Dreamland arriverà
in sale selezionate negli USA il 13 novembre e sarà disponibile
anche su VOD il 17 novembre.
Dreamland, il film
Ambientato nella lotta americana
durante la Grande Depressione,
Dreamland segue Eugene Evans, un giovane che
sogna di fuggire dalla sua piccola città del Texas. La sua
vita normale prende una svolta quando scopre un rapinatore di
banche ferito e fuggitivo Allison Wells (Robbie) che si nasconde
più vicino di quanto possa mai immaginare. Diviso tra la
rivendicazione della taglia per la sua cattura e la sua crescente
attrazione per il seducente criminale, niente è come sembra, ed
Eugene deve prendere una decisione che influenzerà per sempre la
vita di tutti coloro che ha amato.
Il film è interpretato dalla candidata
all’Oscar Margot
Robbie( I
Tonya , Birds of Prey ),
Finn Cole (Peaky Blinders),
Travis Fimmel
(Warcraft, Vikings), Kerry
Condon (Avengers: Infinity War) Lola
Kirke (American Made), Garrett Hedlund
(Tron: Legacy) e Darby Camp (Big Little
Lies).
Dreamland è
diretto da Miles Joris-Peyrafitte da una sceneggiatura scritta da
Nicolaas Zwart. Il film è prodotto da Margot Robbie,
Tom Ackerley e Josey McNamara di Lucky Chap Entertainment
e Brian Kavanaugh-Jones e Rian Cahill di Automatik. Brad Feinstein
di Romulus Entertainment sta producendo e finanziando. Il film è
stato presentato in anteprima mondiale lo scorso anno al Tribeca
Film Festival 2019.
Cresce l’attesa dietro
all’annunciato Thor: Love
and Thunder che sarà diretto ancora una volta da
Taika Waititi e oggi l’attrice Natalie Portman, che come sappiamo ritornerà
nel franchise, ha parlato nuovamente della pellicola che
entrerà in produzione a Gennaio 2021. Ebbene sappiamo
che l’attrice ha già iniziato gli allenamenti e la sua
trasformazione, ma oggi la Portman ha parlato di che tipo di film sarà
questo nuovo capitolo del Dio del Tuono.
L’occasione perfetta è stata la sua
partecipazione al The Tonight Show With Jimmy Fallon:
“Sarà davvero buffo, divertente e fantastico” ha
commentato l’attrice. “Abbiamo Taika Waititi, che è
meraviglioso, non vedo l’ora di lavorare con tutti loro“.
Vi ricordiamo che l’uscita
diThor: Love and
Thunder è prevista per l’11 febbraio 2022. Ad
oggi non sappiamo se Love and
Thunderaffronterà apertamente il tema del
cancro al seno di Jane Foster, come accaduto nei fumetti. Tempo fa,
in merito alla questione, Taika
Waititi aveva dichiarato: “Non lo
sappiamo. Quell’arco narrativo nei fumetti è stato di grande
ispirazione e ha influenzato le prime bozze della sceneggiatura. Ma
alla Marvel, cambiamo sempre tutto.
Potrei dire una cosa adesso, e tra due anni sarebbe completamente
l’opposto, addirittura quella cosa potrebbe non esistere più.
Continuiamo a scrivere anche in fase di
post-produzione.”
Thor: Love and
Thunder è il titolo ufficiale del quarto capitolo
sulle avventure del Dio del Tuono nel MCU, ma ad impugnare il
Mjolnir stavolta sarà Jane Foster, interpretata di nuovo
daNatalie
Portman, come confermato sabato durante il
panel dei Marvel Studios al Comic-Con. L’uscita nelle sale è
fissata invece al 11 febbraio 2022.
Taika Waitititornerà alla regia di un film dei
Marvel Studios dopo Thor:
Ragnarok, così come Chris
HemswortheTessa
Thompson riprenderanno i rispettivi ruoli di Thor
e Valchiria dopo l’ultima apparizione in Avengers:
Endgame. L’ispirazione del progetto arriva dal fumetto
“The Mighty Thor”, descritto da Waititi come “la perfetta
combinazione di emozioni, amore, tuono e storie appassionanti con
la prima Thor femmina dell’universo”
Mentre è attualmente impegnato sul
set della serie The Falcon and The Winter Soldier,
l’attore Anthony Mackie è tornato a parlare in un
intervista e ha colto l’occasione per ricordare il compianto
collega, amico e attore Chadwick Boseman, con il quale ha recitato in
diversi film del Marvel Cinematic
Universe.
“Ho
molti ricordi di Chad. Ci tenevo moltissimo a lui, come amico. La
prima volta che l’ho incontrato è stato nel 1998. Sono andato da
Howard e lui stava dirigendo uno spettacolo lì. La mia ragazza di
allora mi ha portato nel teatro per vedere la collezione Elizabeth
Catholic, ed era in quella scatola nera su una sedia da ufficio che
girava per la stanza”– Howard gli chiede “Ehi
Chad, voglio che tu incontri il mio compagno di classe alla
Juilliard, Anthony. – Lui risponde “Aspetta, mi sto concentrando.
Non interrompere la mia vibrazione”.Si limitava a
girare per la stanza e ho detto “È un piacere conoscerti,
amico”, lui risponde “Ci sono quasi!”
[Ride] …. tempo dopo quando le nostre carriere sono
decollate gli ho detto: “Ricordi la prima volta che ci
siamo incontrati?” e lui mi ha detto tipo “Sì, non
voglio parlarne. Stavo attraversando molte strani fase in giovane
età.”
L’attore
si è anche divertito a scherzare in merito al lavoro sul set ai
tempi della Pandemia: “Tutti hanno molta paura l’uno
dell’altro”, ha ammesso. “Il cibo è
pessimo perché devono impacchettarlo da qualche altra parte e
portarcelo in buste ziploc. Sì, è orribile. Stai letteralmente
vivendo in quarantena. Non è come la bolla NBA dove avevano un
barbiere e amici per uscire con.”“[Se] ti
avvicini a un metro e ottanta da qualcuno, c’è un tizio ceco che
viene e ti colpisce con un bastone dicendo: ‘Devi muoverti. Quindi
è dura’”, ha aggiunto
Mackie.
Sarà il regista, sceneggiatore e
produttore Simon Kinberg ha scrivere e produrre un
nuovo film di Battlestar Galactica per la
Universal Pictures. Ad annunciarlo è stato il noto
sito americano THR che dunque
rivela nuovi aggiornamenti sul progetto che è stato allungo
sviluppato da Universal.
Il sito
riferisce che il regista diDark
PhoenixSimon Kinberg ha
firmato per scrivere e produrre il progetto, che ha anche arruolato
Dylan Clark (War For The Planet of the Apes,
Birdbox) come produttore. “Battlestar Galactica è
un Santo Graal della fantascienza e non potrei essere più
entusiasta di portare qualcosa di nuovo al franchise, onorando ciò
che lo ha reso così iconico e duraturo” ha detto
Kinberg in una dichiarazione. “Sono così grato che
Dylan e i miei partner alla Universal si siano fidati di me con
questo incredibile universo.”
L’universo di Battlestar Galactica è iniziato con
la serie tv cult omonima degli anni ’70 prima di essere
reinventato in BSG nel 2004. Un
progetto per il piccolo schermo è ancora in sviluppo dal
creatore di Mr. Robot Sam Esmail. Si
prevede che questo nuovo adattamento introdurrà nuove
interpretazioni su artisti del calibro di Adama, Apollo, Starbuck e
quei Cylon fracking, ma dettagli specifici della trama non sono
stati ancora rivelati. Vi ricordiamo che Simon
Kinberg è anche il regista, sceneggiatore e produttore di
The 355, il cui
primo trailer è stato rilasciato qualche settimana fa
e che vede protagonista un cast stellare composto da
Jessica Chastain,
Penelope Cruz,
Lypita Nyong’O,
Diane Kruger e Bingbing Fan.
L’attrice Scarlett Johansson che presto vedremo
protagonista in Black
Widow ha firmato per diventare la protagonista di
The
Bride, il nuovo film che sarà diretto dal regista
Sebastián Lelio, che ha diretto tra gli altri i
successi di Gloria, Disobedience e il recente Gloria
Bell.
The
Bride, che da quanto apprendiamo sarà molto
influenzato per toni e atmosfere a La moglie di Frankenstein (Bride
of Frankenstein) il cult horror gotico del 1935 diretto da James
Whale, sarà scritto da Lauren Schuker Blum e
Rebecca Angelo, che stanno attualmente lavorando
al remake di The Wolfman di Blumhouse con Ryan Gosling. La trama seguirà “una donna
creata per essere una moglie ideale – la singolare ossessione di un
brillante imprenditore. Quando rifiuta il suo creatore, è costretta
a fuggire dalla sua esistenza confinata, affrontando un mondo che
la vede come un mostro. È in questa corsa che trova la sua vera
identità, il suo potere sorprendente e la forza di rifarsi come una
sua creazione”.
Da quello che sembra il film sarà
una nuova rilettura del cult come già accaduto a L’uomo
Invisibile, l’apprezzatissimo film scritto e diretto da
Leigh Whannel con Elisabeth Moss. Scarlett Johansson sarà anche produttrice del
film insieme al suo partner Jonathan Lia attraverso il loro società
These Pictures. “È atteso da tempo una nuova
rilettura ed è tempo che Bride (La Sposa) esca dall’ombra della sua
controparte maschile e stare da solo”ha
commentato l’attrice
Scarlett Johansson – “Lavorando al fianco di
Rebecca Angelo e Lauren Schuker Blum, Sebastian ed io siamo
estremamente entusiasti di emancipare questo classico anti-eroina e
rianima la sua storia per riflettere il cambiamento che vediamo
oggi.”
The
Bride è l’ultimo team-up per il gigante della
tecnologia e lo studio indipendente. Apple e A24 hanno
pubblicato il doc Boys State e sono i produttori dietro a
On the Rocksdi
Sofia Coppola con Bill Murray e Rashida Jones, così
come l’adattamento del romanzo di YA The Sky is
Everywhere.
Al via Digital Movie Days,
l’iniziativa promossa da Univideo in collaborazione con
Apple Tv, CG Digital, Chili, TheFilmClub, Amazon Prime Video, Rakuten Tv, Tim
Vision, intende promuovere l’offerta legale digitale di
prodotti audiovisivi, offrendo al grande pubblico, al prezzo
ribassato di oltre il 50%, un’ampia varietà di film per tutte le
età, fruiti attraverso i più evoluti standard tecnologici (4k Ultra
HD). Scopri il sito ufficiale e tutti i titoli che partecipando
alla promozione https://www.univideo.org/digitalmoviedays.html
In questo particolare e delicato
momento l’industria dell’audiovisivo ha voluto dare un contributo
importante promuovendo il “Digital Movie Days” dieci giorni
di promozione dove, grazie alla collaborazione di sette tra le più
importanti piattaforme di offerta audiovisiva legale, sarà
possibile acquistare 120 titoli tra novità e catalogo al prezzo di
4,99 euro, meno della metà rispetto a periodi normali. Film ad alta
definizione e per tutte le età: al via per dieci giorni una
campagna a favore della legalità e dell’offerta digitale dell’home
entertainment.
I Film rappresentano il contenuto
audiovisivo più cercato e fruito dagli italiani: secondo i dati
rilevati da GfK Italia per Univideo, sono stati il genere on demand
più visto durante il lockdown, superando anche le serie tv;
tendenza che si è mantenuta anche al termine della quarantena e che
ha allargato a nuove componenti della popolazione con una
accelerazione verso la riduzione del divario generazionale nella
fruizione dei media.
Nel 2019, sempre secondo GfK Italia
gli acquirenti di DVD e Blu Ray sono stati 2,3 milioni con una
propensione di spesa media pro-capite di quasi 50 euro, mentre il
numero di fruitori digitali è stato pari a 21, 2 milioni.
Un’affezione del grande pubblico verso i prodotti audiovisivi
marcata in modo particolare durante il periodo di quarantena in cui
si è registrata una crescita sostanziale (+32% rispetto alla fase
pre Covid) del tempo medio che le famiglie italiane hanno dedicato
alla fruizione di contenuti di intrattenimento. Tendenza che si è
confermata anche in questi ultimi mesi dove il ritrovato senso di
comunità e di condivisione di esperienze in famiglia ha riportato
tante persone a stare insieme guardando un film o una serie tv.
“La terza edizione dei Digital
Movie Days –spiega Lorenzo Ferrari Ardicini,
Presidente UNIVIDEO e Presidente CG Entertainment – ha un
significato molto particolare, viviamo un quotidiano incerto e
delicato e ciascuno di noi deve fare la propria parte per tutelare
non solo la salute delle persone ma anche l’economia e la coesione
sociale. L’industria audiovisiva è scesa in campo per essere al
fianco degli italiani provando, attraverso questa iniziativa, a
rafforzare quel senso di unione e di famiglia che aiuta a non
perdere di vista i veri valori. L’iniziativa che ci accingiamo a
vivere sarà importante perché permetterà a chiunque di poter
acquistare in digitale film di ogni genere a prezzi davvero unici e
con una qualità tecnologica altissima. Una scelta di responsabilità
quella compiuta dalle nostre imprese ma anche un segnale forte
contro la pirateria che rimane un problema rilevante per tutto il
nostro settore”.
UNIVIDEO è
l’associazione di categoria che rappresenta gli Editori Audiovisivi
su media digitali (DVD, Blu-ray, 4K Ultra HD) e online (piattaforme
di distribuzione digitale) www.univideo.org.
Con protagonista
Margot Robbie, Birds of Prey (e la fantasmagorica rinascita di Harley
Quinn), già disponibile su Infinity in 4K,
arriverà su Infinity Premiere dal 6 al 12 novembre. Quando il
malvagio narcisista di Gotham Roman Sionis e il suo zelante braccio
destro Zsasz prendono di mira la piccola Cass, la città viene messa
sotto sopra per trovarla. Le strade di Harley, Huntress, Black
Canary e Renee Montoya si incrociano, e l’improbabile quartetto non
ha altra scelta che allearsi per sconfiggere Roman.
Dal 13 al 19 novembre arriverà su Infinity Premiere Me contro Te Il Film – La vendetta del Signor
S. Una nuova avventura per Luì e Sofi (Me contro
Te), ancora una volta contro il malefico Signor S che sta tramando
vendetta e lavora ad un piano per diventare il padrone del mondo. I
Me contro Te dovranno impedirglielo, regalando ai loro piccoli fan
e a tutte le famiglie divertimento e tante sorprese.
Disponibile anche in 4K e interpretato da
Rebel Wilson,
Liam Hemsworth e Adam DeVine,
Non è romantico? è in arrivo su Infinity
Premiere dal 20 al 26 novembre. Natalie è un’architetta di New York
che lavora sodo, ma senza successo, per farsi notare dai suoi
superiori. Dopo un colpo in testa che le fa perdere i sensi,
Natalie, che in amore è un’inguaribile cinica, si risveglia e
scopre che la sua vita si è trasformata nel suo peggior incubo: una
commedia romantica di cui è la protagonista femminile.
Il Diritto di Opporsi, basato su fatti realmente
accaduti, sarà disponibile su Infinity Premiere dal 27 novembre al
3 dicembre. Già disponibile in 4k e interpretato da Michael B. Jordan e dai premi Oscar Jamie
Foxx e Brie Larson, il film segue il giovane avvocato Bryan
Stevenson e la sua storica battaglia per la giustizia: dopo essersi
laureato ad Harvard, Bryan avrebbe potuto scegliere fin da subito
di svolgere dei lavori redditizi ma, al contrario, si dirige in
Alabama con l’intento di difendere persone condannate
ingiustamente, con il sostegno dell’avvocatessa locale Eva
Ansley.
Per tutti gli appassionati dell’orco verde più celebre, su
Infinity sono in arrivo il terzo e il quarto capitolo della serie
cinematografica: Shrek terzo dal 3
novembre e Shrek e vissero felici e
contenti dal 4 novembre. Mentre dal 6 novembre sarà
disponibile anche lo spin-off Il Gatto con gli
stivali.
Le Regine del Crimine sarà disponibile
su Infinity dal 4 novembre. Con protagoniste Melissa McCarthy,
Tiffany Haddish ed Elisabeth Moss, il film segue le vicende di tre
casalinghe del quartiere di Hell’s Kitchen nel 1978, mogli di
mafiosi mandati in prigione dall’FBI. Lasciate da sole a gestire
gli interessi personali dei coniugi, le donne dovranno prendere in
mano le azioni criminali della mafia irlandese, dimostrandosi
inaspettatamente abili in tutto: dalla gestione del giro di racket,
fino all’eliminazione – letterale – della concorrenza.
Dal 5 novembre, arriverà su Infinity A Quiet Place –
Un posto tranquillo, con protagonisti Emily Blunt e John Krasinski. Una famiglia vive
un’esistenza isolata nel silenzio più assoluto, per paura di una
minaccia sconosciuta che segue solo il suono e attacca a qualsiasi
rumore.
Sarà disponibile su Infinity dal 12 novembre Lost
River, una storia oscura sull’amore, la famiglia e la
lotta per la sopravvivenza di fronte al pericolo. Esordio alla
regia di Ryan Gosling, il film vede nel cast la presenza
di Christina Hendricks, Saoirse Ronan, Iain De Caestecker e Matt
Smith.
Interpretato da Joaquin Phoenix, che ha ottenuto il Premio
Oscar® come Miglior attore protagonista,
Joker arriverà su Infinity dal 14
novembre. Disponibile anche in 4k, il film diretto da Todd Phillips
è incentrato sulla figura dell’iconico villain: l’esplorazione di
Phillips su Arthur Fleck è quella di un uomo che lotta per trovare
la sua strada in una società fratturata come Gotham. Durante il
giorno lavora come pagliaccio, di notte si sforza di essere un
comico di cabaret… ma scopre che lo zimbello sembra essere proprio
lui.
Dal 19 novembre sarà disponibile su Infinity Amici
come prima, con Christian De Sica e Massimo Boldi:
Cesare è lo stimato direttore di un hotel di lusso di Milano che
però, con l’arrivo di nuovi soci cinesi intenzionati a
rivoluzionare tutto, viene licenziato da Luciana, la figlia dello
storico proprietario dell’hotel. La prospettiva di uno stipendio
allettante spinge Cesare, rimasto senza lavoro, a travestirsi da
donna e candidarsi come badante per il padre di Luciana. Tra
esilaranti imprevisti e situazioni equivoche, nascerà un’intesa
perfetta.
Conta su di me, disponibile su
Infinity dal 23 novembre, è un commovente racconto sulla gioia e la
speranza per il futuro e sulla nascita di un’intensa amicizia tra
Lenny, un trentenne scapestrato che pensa solo a divertirsi, e
David, un quindicenne con una grave malformazione cardiaca la cui
quotidianità ruota attorno a cliniche e sale operatorie.
Con Stefano
Accorsi, Edoardo
Leo e
Jasmine Trinca, La Dea
Fortuna è in arrivo su Infinity dal 25 novembre.
Arturo e Alessandro sono una coppia da più di quindici anni ma
nonostante la passione e l’amore si siano trasformati in un affetto
importante, la loro relazione è in crisi da tempo. L’improvviso
arrivo nelle loro vite di due bambini lasciatigli in custodia per
qualche giorno da Annamaria, la migliore amica di Alessandro,
potrebbe però dare un’insperata svolta alla loro stanca routine. La
soluzione sarà un gesto folle. Ma d’altronde l’amore è uno stato di
piacevole follia.
Club Life sarà disponibile su Infinity
dal 26 novembre. Johnny Dadon, un grintoso ragazzo di Brooklyn con
dei grandi sogni nel cassetto, è stanco di vedere la bella vita
passargli accanto mentre è alla guida della limousine del padre. Ma
con quest’ultimo all’ospedale e i conti da pagare che si
accumulano, è tutto quello che può fare per arrivare alla fine del
mese. La vita di Johnny cambia drasticamente quando una notte
incontra Mark Cohen, il re della vita notturna di New York.
Le SERIE TV
Dal 4 novembre arriverà su Infinity
la seconda stagione completa di God Friended
Me, andandosi ad aggiungere alla prima stagione già
disponibile su Infinity. La serie è incentrata su Miles Finer, un
ragazzo intelligente, ottimista e pieno di speranza che sogna di
sfondare come autore e speaker di podcast sull’ateismo. La vita di
Miles viene stravolta quando riceve una richiesta di amicizia su
Facebook da un account di nome Dio.
La quarta e ultima stagione completa di The Good
Place sarà disponibile su Infinity dall’8 novembre,
andandosi ad aggiungere alla terza stagione già disponibile su
Infinity. Con un cast d’eccezione come l’irresistibile Kristen Bell
e il pluripremiato Ted Danson, nella quarta stagione i protagonisti
sono finalmente pronti a superare i loro limiti terreni e accedere
finalmente al “The Good Place”.
Per tutti i fan del più amato fisico teorico, Sheldon Cooper,
gli ultimi undici episodi della terza stagione di Young
Sheldon saranno disponibili dal 9 novembre con un
episodio a settimana. Spin-off e prequel di The Big Bang
Theory, la serie è incentrata sull’infanzia di Sheldon Cooper,
un bambino fuori dal comune che, per le sue eccezionali doti nelle
materie scientifiche, anziché frequentare la quarta elementare
viene direttamente ammesso alle superiori, nella stessa classe del
fratello maggiore Georgie. Su Infinity sono disponibili le prime
due stagioni complete di Young Sheldon, oltre al cofanetto
completo di The Big Bang Theory.
Dal 14 novembre sarà disponibile su Infinity la quinta stagione
completa di Chicago Med, medical drama e
secondo spin-off di Chicago Fire, in cui un coraggioso
gruppo di medici e infermieri affronta casi complessi e forma
impetuose relazioni nel pulsante pandemonio del nuovo centro traumi
all’avanguardia di Chicago.
Servan 2 è la
seconda stagione della serie
Servan prodotta da M. Night
Shyamalan e creata e scritta da Tony
Basgallop per Applet
TV+. M. Night Shyamalan, regista
autore di enormi successi di critica e di pubblico quali Il
Sesto Senso, Signs, Unbreakable e non ultimo
GLASS è anche produttore esecutivo.
Servan 2: quando esce e dove vederla in streaming
Servan 2 debutterà sul servizio streaming di
Apple il 15 Gennaio 2021.
Servant 2: trama e cast
La serie segue i genitori Dorothy e
Sean Turner, una coppia di Filadelfia in lutto dopo
un’indicibile tragedia che ha portato alla morte del loro piccolo
bambino. Il trauma crea una spaccatura nel loro matrimonio che
tentano di risanare con l’acquisto di una bambola molto realistica
per cercare di sopperire il dolore e la mancanza del proprio
bambino. La coppia assume anche un giovane tata Leanne per aiutare
a prendersi cura del loro bambino appena nato. Col passare del
tempo, diventa chiaro che “le cose non sono esattamente come
sembrano e la cosa sembra aver apre le porte a una forza misteriosa
che entra nella loro casa.
Nella seconda stagione Dorothy,
avendo visto la bambola Jericho per quello che è, crede che la vera
Jericho sia stata rubata. Chiama la polizia. Julian e
Natalie arrivano dai Turner, dove insieme a Sean escogitano
rapidamente un piano. Quando arriva la polizia, uno degli
agenti rivela che era presente il giorno della morte di
Jericho. Sean, Julian e Natalie riescono a convincere gli
ufficiali che Dorothy soffre di problemi psicologici perché si
rende conto che la bambola è solo una bambola. Gli ufficiali
se ne vanno nonostante Dorothy abbia spiegato la sua teoria sulla
zia May di Leanne che ha rubato il vero Jericho. Sean decide
di trovare Jericho anche se il bambino non è mai stato
suo. Dopo aver ispezionato le sue gravi ustioni sulla mano,
che non può sentire, Sean attraversa l’ex stanza di
Leanne. Trova un passaggio nella sua Bibbia con il suo nome
accanto – il brano elenca le prove della lebbra. Dorothy
ordina a Julian e Sean di distribuire poster mancanti per Jericho e
zia May, ma i due eliminano immediatamente i poster. Sean
suggerisce a Dorothy che Jericho potrebbe non essere
vivo. Dorothy poi dice a Sean che se Jericho fosse morta, si
sarebbe suicidata.
Nella stanza dei bambini, Julian
prende una delle scarpe di Jericho. 48 ore dopo la scomparsa
di Jericho, arriva un biglietto dai Turner con la scarpa di Jericho
attaccata. La nota recita: “Dillo a nessuno, il bambino
vive”. Julian va a riciclare la bambola Jericho, ma Sean la
salva all’ultimo minuto. Più tardi, Sean fa il bagno alla
bambola. Sean suggerisce a Dorothy che Jericho potrebbe non
essere vivo. Dorothy poi dice a Sean che se Jericho fosse
morta, si sarebbe suicidata. Nella stanza dei bambini, Julian
prende una delle scarpe di Jericho. 48 ore dopo la scomparsa
di Jericho, una nota arriva dai Turner con la scarpa di Jericho
attaccata. La nota recita: “Dillo a nessuno, il bambino
vive”. Julian va a riciclare la bambola Jericho, ma Sean la
salva all’ultimo minuto. Più tardi, Sean fa il bagno alla
bambola. Sean suggerisce a Dorothy che Jericho potrebbe non
essere vivo. Dorothy poi dice a Sean che se Jericho fosse
morta, si sarebbe suicidata. Nella stanza dei bambini, Julian
prende una delle scarpe di Jericho. 48 ore dopo la scomparsa
di Jericho, arriva un biglietto dai Turner con la scarpa di Jericho
attaccata. La nota recita: “Dillo a nessuno, il bambino
vive.” Julian va a riciclare la bambola Jericho, ma Sean la
salva all’ultimo minuto. Più tardi, Sean fa il bagno alla
bambola.
Nella seconda stagione di
Servant Lauren
Ambrose nel ruolo di Dorothy Turner (nata Pearce), una giornalista
televisiva locale, madre recentemente in lutto e moglie di Sean,
Toby Kebbell nei panni di Sean Turner, uno chef
consulente casalingo, padre e marito di Dorothy recentemente
defunti Nell. Tiger Free come Leanne Grayson, una
giovane tata misteriosa del Wisconsin assunta dai Turner e Rupert Grint nei panni di Julian Pearce,
fratello di Dorothy e cognato di Sean
Nei ruoli ricorrenti ci sono anche
Mason e Julius Belford come Gerico, Phillip James Brannon nei panni
di Matthew Roscoe, l’amico detective privato di Julian, Tony
Revolori è Tobe, il commis chef di Sean, SJ Son è Wanda, una baby
sitter con cui Leanne fa amicizia, Molly Griggs nel ruolo di
Isabelle Carrick, una reporter emergente di 8News dove lavora
Dorothy, Boris McGiver come zio George, lo zio di Leanne, Jerrika
Hinton nei panni di Natalie Gorman, amica e terapista di Dorothy e
Todd Waring è Frank Pearce, il padre di Dorothy e Julian.
In merito alla serie il regista
M. Night Shyamalan ha battezzato un nuovo format
televisivo: “Siamo cresciuti con commedie di situazione di 30
minuti, la sitcom; questo è un sit-thriller – con la
televisione, puoi avere una diversa traiettoria di movimento
[rispetto a un film più lungo]; perché stai producendo qualcosa che
dura solo 30 minuti, quindi puoi divorarli. Non c’è grasso
sull’osso.”
Gli episodi di Servant 2
In Servant 2×01
che si intitolerà “Bambola” Jericho e Leanne sono scomparsi. Dorthy
escogita un piano di gioco di 72 ore, mentre Sean e Julian
continuano a nascondere la verità.
In Servant 2×02
che si intitolerà “Spaceman” con l’aiuto di Natalie, Sean e Julian
scoprono dettagli inquietanti sul culto. Dorothy sacrifica la sua
reputazione professionale per la sua famiglia.
In Servant 2×03
che si intitolerà “Pizza” I Turner aprono un’azienda di famiglia
come copertura per una missione più importante.
Curiosità sulla serie tv:
Il 27 febbraio 2018, è stato
annunciato che Apple aveva dato alla produzione un ordine in serie
per una prima stagione composta da dieci episodi. La serie è stata
creata da Tony Basgallop, che ha anche scritto per la serie e la
produzione esecutiva insieme a M. Night Shyamalan , Ashwin Rajan,
Jason Blumenthal, Todd Black e Steve Tisch. Le società di
produzione coinvolte nello spettacolo includeranno Blinding Edge
Pictures.
Il 22 agosto 2018, è stato
annunciato che Lauren Ambrose e Nell Tiger Free erano stati scelti
per ruoli da protagonista. Il 30 novembre 2018, è stato riferito
che Rupert Grint si era unito al cast principale. Il 4 dicembre
2018, è stato annunciato che Toby Kebbell era stato scelto per un
ruolo da protagonista.
Cresce l’attesa per il debutto di
Grey’s Anatomy 17, l’annunciata
diciassettesima stagione di Grey’s
Anatomy, e oggi dopo il
secondo promo la ABC ha diffuso i titoli dei primi due
episodi.
L’episodio 17.01 è intitolato “All
Tomorrow’s Parties” mentre l’episodio 17.02 è intitolato “The
Center Won’t Hold”. Entrambi gli episodi andranno in onda il 12
novembre come parte di un evento crossover di 3 ore con la stazione
19.
La diciassettesima stagione di
Grey’s Anatomy uscirà giovedì 12 novembre 2020. Vincitrice del
Golden Globe Award 2007 per la migliore serie televisiva drammatica
e nominata per più Emmy, inclusa la serie drammatica “Grey’s
Anatomy” è considerato uno dei più grandi programmi televisivi del
nostro tempo. Il medical drama ad alta intensità, giunto alla
diciassettesima stagione, segue Meredith Gray e il team di medici
del Grey Sloan Memorial che devono affrontare quotidianamente
decisioni di vita o di morte. Cercano conforto l’uno dall’altro e,
a volte, qualcosa di più della semplice amicizia. Insieme
scoprono che né la medicina né le relazioni possono essere definite
in bianco e nero.
In
Grey’s Anatomy 17ritorneranno i personaggi
Meredith Grey (stagioni 1-in corso), interpretata da Ellen
Pompeo, Alexander “Alex” Michael Karev (stagioni 1-in
corso), interpretato da Justin
Chambers, Miranda Bailey (stagioni 1-in corso),
interpretata da Chandra
Wilson, Richard Webber (stagioni 1-in corso),
interpretato da James
Pickens, Jr., Owen Hunt (stagioni 5-in corso),
interpretato da Kevin
McKidd, Teddy Altman (stagioni 6-8, 15-in corso,
ricorrente 14), interpretata da Kim
Raver, Jackson Avery (stagione 7-in corso,
ricorrente 6), interpretato da Jesse
Williams, Josephine “Jo” Alice Wilson (stagione 10-in
corso, ricorrente 9), interpretata da Camilla
Luddington, Margaret “Maggie” Pierce (stagione 11-in
corso, guest 10), interpretata da Kelly
McCreary, Greg
Germann come Tom Koracick, Benjamin Warren
(stagioni 12-14, ricorrente 6-in corso, guest 7), interpretato
da Jason George, Andrew DeLuca
(stagione 12-in corso, guest 11), interpretato da Giacomo
Gianniotti e Caterina
Scorsone nei panni di Amelia Shepherd.
Grey’s Anatomy 17 è stato creato ed è prodotto da
Shonda Rhimes (“Scandal”, “How to Get Away with Murder”, “Station
19”). Betsy Beers (“Scandal”, “How to Get Away with Murder”,
“Station 19”), Mark Gordon (“Saving Private Ryan”), Krista Vernoff
(“Shameless”), Debbie Allen, Zoanne Clack, Fred Einesman, Andy
Reaser e Meg Marinis sono i produttori esecutivi. “Grey’s Anatomy”
è prodotto da ABC Signature, che fa parte dei Disney Television
Studios, insieme a 20th Television e Touchstone Television.