Ci sono atti di umanità a cui non ci si può – o non ci si dovrebbe – sottrare. Anche quando compierli può compromettere la propria posizione, come ci si potrebbe guardare poi allo specchio o sedersi tra i propri cari facendo finta di nulla? Il protagonista di Piccole cose come queste, film diretto dal regista belga Tim Mielants e scritto dall’autore irlandese Enda Walsh (sceneggiatore di Hunger), di certo non può, e non vuole. È così che il ritorno sul grande schermo di Cillian Murphy dopo l’Oscar vinto per Oppenheimer avviene in nome della fermezza d’animo, dell’umanità e del fare ciò che è giusto.
L’occasione è una storia basata sul romanzo Piccole cose da nulla (2021) di Claire Keegan, in cui si racconta dello scandalo irlandese legato alle Case Magdalene, istituti femminili religiosi per donne ritenute immorali, dove queste ultime venivano sfruttate e maltrattate. Film d’apertura al Festival di Berlino 2024 (dove Emily Watson ha vinto l’Orso d’argento per la migliore interpretazione da non protagonista), Piccole cose come queste si costruisce dunque sui silenzi e gli sguardi di un’intera comunità, attraversando toni sommessi e la rigidità data dall’atmosfera invernale, che non può però raffreddare il cuore del protagonista.
La trama di Piccole cose come queste
Il film ci porta nell’Irlanda del 1985. Bill Furlog (Cillian Murphy) è un uomo silenzioso, dall’animo semplice, che ha dedicato la vita al lavoro (commercia e distribuisce legna e carbone), alla moglie Eileen (Eileen Walsh) e alle loro cinque figlie. Nei giorni che precedono il Natale, quando Bill entra nel cortile del convento locale, diretto da Suor Mary (Emily Watson), per consegnare del carbone, fa però un incontro che riporta a galla ricordi sepolti nella sua memoria. Non può ignorarli anche perché lo portano a scoprire segreti e verità che lo sconvolgeranno. Sarà il momento per Bill di decidere se voltarsi dall’altra parte o ascoltare il proprio cuore e sfidare il silenzio di un’intera comunità.

Il conflitto di un uomo
Ha il sapore di un racconto di Charles Dickens (Canto di Natale, Oliver Twist) il film di Tim Mielants. Non a caso l’autore britannico, celebre in particolare per i suoi romanzi sociali in cui denuncia i mali della società inglese ottocentesca, viene citato in più occasioni all’interno di Piccole cose come queste. Il motivo è la somiglianza tra ciò che entrambi vogliono restituire al proprio pubblico, con racconti che mirano non solo ad evidenziare certi orrori avvenuti nell’indifferenza generale, ma anche la necessità di compiere le giuste scelte quando ci si presenta il momento di farlo.
Con questo obiettivo, il film procede sommessamente tra grandi silenzi e una certa compostezza formale che sembra essere specchio delle emozioni soffocate del protagonista. Un’ora e mezza di racconto particolarmente densa, in cui tutto ciò che avviene accade dentro il cuore e la mente di Bill, con Cillian Murphy chiamato dunque a restituire tuttò ciò attraverso i suoi sguardi dolenti. Compito in cui l’attore è notoriamente un maestro, trasmettendo un senso di disagio crescente e che si svela a poco a poco con l’esplorazione del suo passato attraverso dei flashback.
Ma quello strano non è Bill, bensì chi – per un motivo o per un altro – gli suggerisce di rimanere in silenzio, di volgere altrove lo sguardo, di convincersi delle menzogne che gli vengono offerte. Per tutto il film il protagonista è dunque continuamente scisso tra la tentazione di ascoltare questi consigli e l’ignorarli per fare ciò che sente moralmente giusto. Non è però il periodo natalizio a fare di Bill un uomo più buono, cresciuto sin da piccolo con la consapevolezza che aiutare chi è in difficoltà – come a suo tempo lo fu sua madre – è l’unico modo per far guarire un mondo malato.

Cose che non si possono ignorare
Non bisogna dunque aspettarsi particolari colpi di scena né tantomeno improvvisi cambiamenti di registro. Piccole cose come queste trova la sua forza proprio nella delicatezza con cui propone il proprio racconto, quasi come ci venisse sussurrato. Certo, c’è un evidente prima e dopo rispetto alla sequenza in cui Bill ha finalmente l’occasione di entrare nel convento di Suor Mary. Un momento del film che vira verso un registro da horror, con gli spazi scuri e angusti, oltre ai volti minacciosi delle suore (su cui spicca una mefistofelica Emily Watson). Ma è proprio in seguito a questo momento che i dubbi di Bill iniziano a sciogliersi.
Dopo aver visto l’orrore, ogni sospetto lascia il posto alla terrificante certezza, che gli impedisce di sedersi a tavola con le sue figlie sapendo di ciò che ragazze come loro subiscono. A questo punto lo spettatore giunge al massimo del coinvolgimento possibile, desideroso di scoprire quale scelta compirà il protagonista, poiché se da un lato scegliere fare la cosa giusta sembra scontato, dall’altra i motivi per non farla sarebbero molti e tutti apparentemente validi. Di certo, è anche nel portare lo spettatore a domandarsi cosa avrebbe fatto al posto di Bill che il film si dimostra riuscito nei suoi intenti.
Sono le piccole cose come queste a fare la differenza
Piccole cose come queste, come anticipato, ci narra una storia vera, ma andando oltre di essa risulta difficile non attualizzare il conflitto di Bill all’oggi, ad una società che, davanti a terribili guerre, si divide in chi volge lo sguardo altrove e in chi invece tende una mano al prossimo. Sono le piccole cose come queste del titolo a fare la differenza, molto più di quelle “grandi”. Azioni e gesti quotidiani che infondono speranza e salvano l’umanità, come specie e come natura. Il film ce lo ricorda con grande eleganza, regalandoci un protagonista tutt’altro che perfetto, ma che proprio per questo può essere di grande esempio.