A un anno dall’uscita in sala di
Shang-Chi e la leggenda
dei Dieci Anelli, uno dei principali film della
Fase 4 del Marvel Cinematic Universe, l’attore
protagonista di questo, Simu Liu, ha deciso di
condividere con i fan le sue riflessioni sulle implicazioni
psicologiche che un ruolo di questo calibro comporta. Con un post
sul proprio profilo Instagram, l’attore ha infatti non solo colto
l’occasione per celebrare il primo anniversario del film, ma anche
per raccontare ciò che è venuto dopo il successo di questo.
“Esattamente un anno fa è uscito
questo piccolo film che ha cambiato completamente la mia vita. Si è
trattato di nient’altro che di un viaggio assolutamente
incredibile… ma dopo aver avuto del tempo per rifletterci so che
questa vita ha un credibile prezzo.” – ha scritto l’attore –
“Mi sono ritrovato improvvisamente catapultato in un mondo che
non mi apparteneva e non ero pronto a fare i conti con le
ramificazioni mentali di una vita vissuta
pubblicamente.”.
L’attore ha poi continuato
affermando che “oggi, nel giorno dell’anniversario dell’uscita
di Shang-Chi, sono particolarmente emozionato perché ho iniziato un
percorso di terapia e sto dando priorità alla mia salute. Sto
guarendo e sono sulla strada per diventare qualcosa di più di un
supereroe: un uomo bravo e rispettabile.”. Da quando il film
Marvel è stato distribuito, Liu è
diventato una celebrità a tutti gli effetti, venendo coinvolto in
molteplici progetti che lo hanno portato ad avere una vita
piuttosto frenetica. Come noto, Liu riprenderà poi il ruolo di
Shang-Chi nell’annunciato sequel, attualmente in fase di
sviluppo.
L’icona della WWE e star del cinema
di successo Dwayne Johnson ha
pubblicamente ringraziato su Twitter l’attore Brendan
Fraser per averlo supportato nel suo ingresso nel secondo
film del franchise di La Mummia: La
Mummia – Il ritorno, un film che, in generale, ha permesso a
Johnson di potersi attivamente dedicare ad una carriera nel mondo
del cinema. Il suo elogio è ora arrivato in risposta ad un video
divenuto virale dove si vede Fraser reagire con grande commozione
alla standing ovation tributatagli al Festival di Venezia per il
suo nuovo film da protagonista, The Whale.
Nel film diretto da Darren
Aronofksy, Fraser interpreta Charlie, un uomo limitato dal
suo sovrappeso che, sentendo avvicinarsi la morte, cerca di
riallacciare i rapporti con la figlia prima che sia troppo tardi.
Nel tweet, Johnson scrive: “Mi rende così felice vedere questa
bellissima ovazione per Brendan. Lu mi ha aiutato a entrare nel suo
franchise con La Mummia – Il ritorno, per quello che è stato
il mio primo ruolo in assoluto, che ha dato il via alla mia
carriera a Hollywood. Faccio il tifo per te e per il tuo successo
fratello e congratulazioni anche al mio amico Darren
Aronofsky.”
Johnson è solo l’ultimo di un lungo
elenco di personalità del cinema che accolgono con grande
entusiasmo il ritorno in auge di Fraser, un attore popolarissimo a
cavallo tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila ma caduto
poi nel dimenticatoio. Ora, oltre ad aver recitato in The
Whale, Fraser è atteso anche nel prossimo film di Martin
Scorsese, Killers of the Flower
Moon, dove reciterà accanto a Leonardo
DiCaprio e Robert De
Niro.
Man this makes me so happy to see this
beautiful ovation for Brendan. He supported me coming into his
Mummy Returns franchise for my first ever role, which kicked off my
Hollywood career. Rooting for all your success brother and congrats
to my bud Darren Aronofsky.
#TheWhale 👏🏾 https://t.co/SNBLPHHmEZ
Jamie Campbell
Bower, che ha di recente interpretato il cattivo Vecna
nella quarta stagione di Stranger Things, ha
affermato che gli piacerebbe moltissimo interpetare un villain in
uno dei prossimi film della saga di James Bond. Come noto, il primo
ruolo cinematografico dell’attore britannico risale al 2007, per il
film di Tim BurtonSweeney Todd – Il diabolico
barbiere di Fleet Street. Successivamente Bower ha
ottenuto maggior popolarità grazie al ruolo del vampiro cattivo
Caius nella The Twilight Saga e di Gellert Grindelwald in
Harry Potter e i Doni della
Morte: Parte 1 e Animali fantastici: I crimini di
Grindlewald. Proprio grazie a Stranger Things,
Bower sta oggi vivendo un nuovo periodo di grande popolarità.
La serie Netflix ha infatti
confermato le sue grandi capacità nell’interpretare personaggi
crudeli e spietati. Dotato di un volto angelico ingannevole, Bower
è infatti in grado di dar vita a personaggi che si rivelano poi in
tutta la loro malvagità. Nel corso dell’intervista rilasciata per
il podcast Happy, Sad, Confused l’attore ha raccontato di quanto si presentò
per il provino di Harry Potter, ma anche, appunto, di quanto
adorerebbe poter prendere parte alla saga di James Bond in qualità
di cattivo. Come noto, dopo No Time To Die non vi sono ancora piani ufficiali per
un prossimo film su James Bond, se non che occorrerà trovare un
nuovo protagonista dopo l’abbandono di Daniel
Craig.
Con la popolarità ritrovata, Bower
potrebbe dunque seriamente ambire ad ottenere il ruolo dei suoi
sogni e in seguito a questa sua rivelazione sono in molti a
ritenerlo perfetto per interpretare un nemico del celebre agente
007. Prima di quel momento, però, lo si potrà rivedere nel dramma
sulla guerra civile Horizon, nei panni del patriarca Ed
Becker nel dramma sull’esorcismo True Haunting, e,
naturalmente, ancora una volta nei panni di Vecna, il quale andrà
in cerca di vendetta nella stagione 5 di Stranger
Things.
In un momento storico in
cui registi affermati sembrano rivolgersi a se stessi per trovare
ispirazione di nuove storie, anche Emanuele
Crialese sceglie di raccontarsi con
L’Immensità,
film biografico presentato in concorso a Venezia 79.
L’Immensità, la trama
Roma, anni 70: un mondo
sospeso tra quartieri in costruzione e varietà ancora in bianco e
nero, conquiste sociali e modelli di famiglia ormai superati. Clara
e Felice si sono appena trasferiti in un nuovo appartamento. Il
loro matrimonio è finito: non si amano più, ma non riescono a
lasciarsi. A tenerli uniti, soltanto i figli su cui Clara riversa
tutto il suo desiderio di libertà. Adriana, la più grande, ha
appena compiuto 12 anni ed è la testimone attentissima degli stati
d’animo di Clara e delle tensioni crescenti tra i genitori. Adriana
rifiuta il suo nome, la sua identità, vuole convincere tutti di
essere un maschio e questa sua ostinazione porta il già fragile
equilibrio familiare ad un punto di rottura. Mentre i bambini
aspettano un segno che li guidi, che sia una voce dall’alto o una
canzone in tv, intorno e dentro di loro tutto cambia.
Impossibile scindere la
storia dalla persona con L’Immensità, film per cui
Crialese ha rilasciato molte dichiarazioni, tutte
attentissime nella scelta delle parole e nell’equilibrio delle
affermazioni. Perché se da una parte è
legittimo raccontarsi nel profondo attraverso il cinema, è
altrettanto legittimo scegliere fino a che punto esporsi. E così il
regista sceglie di raccontare la sua adolescenza alla ricerca di un
corpo che lo rappresentasse, ma non solo.
Penelope Cruz diventa la madre di Crialese
L’Immensità è un racconto di famiglie, di tempi
che non esistono più, di ispirazioni e di voglia di libertà, di
autenticità e di onestà, come comunica la scena molto intensa di
Penelope Cruz in chiave almodovariana, che
interpreta la madre (di Crialese) e che chiede al padre la libertà
di lasciarsi, l’onestà di accettare che quel matrimonio è
finito.
Forse proprio per il
grande coinvolgimento emotivo che c’è dentro a L’Immensità, sembra
che il racconto di Crialese sia spesso fuori fuoco, disorientato da
tanti spunti, alcuni onirici altri terribilmente realistici, con la
ferma intenzione di raccontare tanto senza però poi riuscire ad
approfondire nulla.
Il racconto di sé
Il risultato è un film
che procede per episodi e impressioni, ambientato in una calda luce
estiva, affogato in un’emozione fortissima che si avverte ma che
non riesce a fluire dallo schermo alla sala e che lascia
disorientati. Tra musical e racconto drammatico, autobiografia
romanzata e storia di formazione e accettazione,
L’Immensità è un film che si fa sommergere
dall’incertezza e della reticenza, come quando ci si sente
costretti a raccontare un segreto che non si è pronti a
condividere.
Molti fan della DC non vedono l’ora
di vedere in sala Shazam!
Fury of the Gods, soprattutto considerando che la
data di uscita del tanto atteso sequel è stata posticipata più
volte. Di recente, infatti, è stato annunciato che la sua
distribuzione è stata spostata dal dicembre di quest’anno al 17
marzo del prossimo anno. Una decisione apparentemente presa per
evitare la concorrenza con l’altro grande titolo di dicembre:
Avatar: The Way of Water. A causa di questo ennesimo
rinvio, i fan hanno iniziato a speculare sullo stato effettivo di
Fury of
the Gods.
In molti si sono infatti chiesti se
questa data di uscita ritardata avrà o meno un impatto sul film
stesso. Secondo il regista David F. Sandberg, già
dietro la macchina da presa del primo Shazam!, non è
questo il caso. Con il proprio account di Instagram egli ha infatti
smentito i rumor su delle ipotetiche riprese aggiuntive, volte a
migliorare alcuni aspetti poco convincenti. Stando a quanto
dichiarato dal regista, il montaggio finale del film è pronto e si
sta operando unicamente sugli effetti speciali, la color correction
e altri elementi di post-produzione. Il regista afferma inoltre che
lo studios è soddisfatto del risultato del film e che lo
spostamento nella data di uscita è da motivarsi unicamente con
strategie promozionali.
Shazam! Fury of
the Gods arriverà nelle sale il 17
marzo2023, e vedrà il ritorno di
Zachary Levi nei panni
dell’eroe del titolo. Nel cast è confermato anche il ritorno di
Asher Angel, mentre i villain saranno interpretati
dalle new entry Helen
Mirren, Rachel
Zegler eLucy
Liu. Mark Strong non
tornerà nei panni del Dottor Sivana, mentre Djimon Hounsou
sarà ancora una volta il Mago.
Gli attori Ben Stiller e
Sean Penn sono
stati ufficialmente banditi dalla Russia dal ministero degli Esteri
russo. Stiller, come noto, è il protagonista di popolari commedie
come Zoolander e Ti presento i miei,
nonché il regista di programmi come Escape at Dannemora e
la serie Apple
TV+Severance. Penn, invece, è l’attore premio Oscar
per Mystic River e
Milk, nonché il regista di film come Into The
Wild e Flag Day. I due avevano inoltre recitato
insieme nel film I sogni segreti di Walter
Mitty, da Stiller anche diretto.
I due attori sarebbero “colpevoli”
di aver preso le parti dell’Ucraina, invasa dalla Russia nel
febbraio di quest’anno. Entrambi hanno infatti visitato il paese e
parlato del conflitto con il presidente ucraino
Zelensky. Penn, inoltre, ha girato un documentario
sul conflitto, implorando in seguito il coinvolgimento degli Stati
Uniti in esso, affermando: “l’Ucraina è la punta della lancia
per un democratico abbraccio dei sogni. Se la lasciamo combattere
da sola, la nostra anima come America è perduta”. Stiller ha
invece visitato i rifugiati ucraini in Polonia e a Kiev, in qualità
di ambasciatore di buona volontà per l’Agenzia delle Nazioni Unite
per i rifugiati.
Il ministero degli Esteri russo ha
dunque bandito Stiller e Penn dal Paese, citando il “principio
di reciprocità“. Come reso noto, i due fanno parte di un
elenco di 25 “funzionari di alto rango, rappresentanti delle
comunità economiche e di esperti, nonché figure culturali” che
apparentemente hanno avuto un impatto negativo sulla reputazione
della Russia secondo le linee guida del Paese stesso. Il bando, che
sembra essere di natura permanente, ha nei mesi colpito anche altre
personalità del cinema con il regista Rob Reiner e
l’attore premio Oscar Morgan
Freeman.
Si intitola World
Apart – Mondi Lontaniil film diretto
da Cecilia Miniucchi, presentato durante una delle tre
Masterclass SIAE per le Giornate degli Autori, nell’ambito della
79a Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. In
questa occasione, abbiamo incontrato Bob Odenkirk, trai protagonisti del film, che
ci ha raccontato com’è stato lavorare a un progetto tanto
particolare, in un momento in cui il mondo cambiava per sempre.
Ma come mai l’attore di
Better Call Saul ha detto di sì a questo progetto?
“Ho accettato perché volevo
essere spaventato – ha spiegato – Mi piace essere
spaventato e mi piace correre rischi. Abbiamo cominciato a girare
il film all’inizio del lockdown: la vita era molto spaventosa, i
miei figli seguivano le lezioni universitarie nelle loro stanze e
stavamo fingendo che tutto andasse bene, ma non avevamo idea della
situazione. I giorni erano opprimenti e difficili, ma dal nulla mi
è arrivata una chiamata da Cecilia, che mi ha chiesto se volevo
fare un film girato con gli iPhone attraverso FaceTime. Mi ha detto
che avrebbe scritto una sceneggiatura con 3 coppie chiuse nelle
loro case e io ho detto sì. Volevo di nuovo sapore nella mia vita, volevo recitare perché
non ero sicuro che avremmo potuto farlo di nuovo. Non avevamo
ancora girato la sesta stagione di Better Call Saul, non sapevamo
come saremmo finiti e io volevo restare in contatto con la
recitazione. Inoltre io sono un fan di Danny Huston, sono un suo
fanboy. Quando ho saputo che Danny Huston avrebbe fatto del
progetto ho accettato, perché volevo lavorare con lui.”
L’attore ha raggiunto la
fama soprattutto per il ruolo di Saul Goodman nella serie Breaking
Bad, e poi diventato protagonista di Better Call Saul, serie spin
off di grande successo. Come avrebbe reagito il suo avvocato al
lockdown?
“Sarebbe diventato matto!
Sarebbe stato inferocito e frustrato, perché lui vive una vita di
interazione sociale e non vuole stare da solo con i suoi pensieri.
A questo proposito ero un po’ preoccupato per Worlds Apart, perché
penso che la storia riguardi queste persone, la loro frustrazione e
il fatto che stanno soffocando. Quando tutto questo passerà
definitivamente, le persone si dimenticheranno di come ci si
sentiva. Sono contento che Cecilia abbia messo in background i
report di notizie sulla diffusione del coronavirus, perché i
protagonisti sono davvero personaggi dentro una pentola a
pressione.”
Una delle principali
difficoltà del personaggio in World Apart è stata per Odenkirk,
paradossalmente, l’estrema vicinanza tra la sua situazione di
reclusione e quella del personaggio.
“Questi personaggi vivono il
momento che vivevamo noi stessi mentre giravamo. Cercano di
distrarsi, ma non possono fare altro se non aspettare e sperare che
la cosa si risolva. In un modo strano, abbiamo usato i sentimenti
che tutti stavamo provando in quel momento. Io ho guardato la TV
per settimane, con i report di notizie che invadevano casa mia.
Aspettavamo la parola vaccino o qualche altra buona notizia, e i
personaggi del film fanno la stessa cosa. Poi hanno la loro vita
personale, che è un disastro completo. Cecilia voleva scrivere una
commedia romantica, ma c’era la pressione di una pandemia. Il
nostro desiderio è quello di intrattenere, lei voleva che il tono
fosse leggero e infatti il cuore di questa storia non è
minaccioso.”
È giusto dimenticare il
periodo del lockdown?
“Penso che dobbiamo farlo. È
stato veramente difficile fare un film durante una pandemia e un
lockdown. Cecilia su FaceTime controllava l’angolo di ripresa
attraverso un computer che guardava un altro computer. Ha scritto
una storia in poche settimane con tre personaggi che si preoccupano
l’uno dell’altro e si desiderano a vicenda e ha dato a tutti una
sorta di arco narrativo. Questo è stato davvero difficile, sono
orgoglioso che lei sia riuscita a realizzare una storia in cui si
riescono a sentire le pressioni di quei personaggi. Ma il pericolo,
oltre alla sfida stessa, è che la gente non voglia più sentirne
parlare. Le persone vogliono dimenticare.”
Ecco la nostra intervista a
Pippo Mezzapesa, regista di Ti
mangio il cuore, presentato a Giornate degli Autori
nell’ambito di Venezia 79.
Puglia. Arso dal sole e dall’odio,
il promontorio del Gargano è conteso da criminali che sembrano
venire da un tempo remoto governato dalla legge del più forte. Una
terra arcaica da far west, in cui il sangue si lava col sangue. A
riaccendere un’antica faida tra due famiglie rivali è un amore
proibito: quello tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta, e
Marilena, bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione
fatale che riporta i clan in guerra. Ma Marilena, esiliata dai
Camporeale e prigioniera dei Malatesta, contesa e oltraggiata,
si opporrà con forza di madre a un destino già scritto.
Il D23 Expo 2022,
l’evento in cui la Disney è solita annunciare importanti novità
relative ai suoi progetti imminenti e futuri, avrà inizio nei
prossimi giorni ed è possibile che in quell’occsaione i Marvel Studios annuncino ufficialmente il
regista e il cast del film Fantastici 4
della Fase 6 del MCU. Da quando la Disney
ha riacquisito i diritti sulla celebre famiglia di supereroi, i fan
aspettano con impazienza un nuovo film su di loro, dopo
Fantastici Quattro (2005),
Fantastici Quattro e Silver Surfer (2007) e il poco
apprezzato Fantastic 4 (2015). Questi erano però tutti
progetti slegati dal Marvel Cinematic Universe, cosa che
il prossimo film non sarà.
Un primo assaggio del loro arrivo lo
si è avuto con la presenza di Reed Richards, interpretato da
John Krasinski,
nel film Doctor Strange nel Multiverso
della Follia. Ad oggi però ancora non è stato rivelato né
chi dirigerà né che interpreterà i protagonisti della pellicola.
L’imminente D23 Expo sembra ora l’evento ideale per annunciare
tutto ciò, considerando che il film è attualmente atteso in sala
per il novembre 2024. Per il fronte regia, il nome
più quotato in queste ultime settimane è quello di Matt
Shakman, già distintosi presso i Marvel Studios per aver diretto la miniserie
WandaVision.
Per quanto riguarda il cast invece,
per il ruolo di Reed Richards tra i fan sono ultimamente circolati
i nomi di Penn Badgley e Jamie Dornan,
oltre ovviamente a John Krasinski. Per la donna
invisibile Sue Storm, invece, le candidate ideali sembrerebbero
essere Lily James,
Amanda
Seyfried, Jodie Comer,
Saoirse Ronan e
Vanessa Kirby.
Per i ruoli di La Cosa e la Torcia Umana, invece, i rumor
vorrebbero in lizza attori come Jason Segel o
Seth Rogen per
il primo, e Dacre
Montgomery o Zac Efron per
il secondo. Si tratta ovviamente di sole teorie, che potrebbero
trovare conferma o meno all’imminente D23 Expo.
Ecco la nostra intervista a
Francesco Patané, protagonista maschile di
Ti mangio il cuore, di Pippo Mezzapesa, presentato a Giornate
degli Autori nell’ambito di Venezia
79.
Puglia. Arso dal sole e dall’odio,
il promontorio del Gargano è conteso da criminali che sembrano
venire da un tempo remoto governato dalla legge del più forte. Una
terra arcaica da far west, in cui il sangue si lava col sangue. A
riaccendere un’antica faida tra due famiglie rivali è un amore
proibito: quello tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta, e
Marilena, bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione
fatale che riporta i clan in guerra. Ma Marilena, esiliata dai
Camporeale e prigioniera dei Malatesta, contesa e oltraggiata,
si opporrà con forza di madre a un destino già scritto.
Nel cast del film di Pippo
Mezzapesa anche Elodie, Lidia Vitale,
Francesco Di Leva,
Michele Placido e Tommaso
Ragno.
Cinefilos.it offre
la possibilità di vedere al cinema, gratis, Margini, un film di Niccolò Falsetti con
Francesco Turbanti, Emanuele
Linfatti e Matteo Creatini presentato in
concorso alla 37° Settimana della Critica in occasione di Venezia
79.
Ecco le date in cui sarà possibile partecipare alle proiezioni
presso i cinema di Roma e Milano:
GIULIO CESARE ROMA
Giovedì 8 settembre – 10
inviti
Venerdì 9 settembre – 10
inviti
Sabato 10 settembre – 10
inviti
MIGNON ROMA
Giovedì 8 settembre – 10 inviti
Venerdì 9 settembre – 10 inviti
Sabato 10 settembre – 20 inviti
ANTEO PALAZZO DEL CINEMA MILANO
Giovedì 8 settembre – 5
inviti
Venerdì 9 settembre – 5
inviti
Sabato 10 settembre – 5
inviti
I biglietti saranno validi per
qualsiasi spettacolo indicato e potranno essere richiesti, fino ad
esaurimento, inviando una email a [email protected]
in cui andranno specificati
il giorno
in cui si intende utilizzare i biglietti e un
secondo giorno alternativo
nel caso per il giorno prescelto non ci sia più disponibilità di
posto.
Gli orari delle proiezioni andranno consultati direttamente sui
siti dei cinema.È di fondamentale importanza che nell’email venga evidenziato
che si sta chiedendo l’invito via CINEFILOS.
I biglietti potranno essere ritirati direttamente alla cassa dei
cinema presentando la email di conferma ricevuta unitamente ad un
documento di identità
Giulia Amati è la
regista di Kristos, l’ultimo bambino, documentario
selezionato in Notti Veneziane a Venezia 79.
Dei trenta abitanti di Arki,
un’isola del Dodecanneso battuta dal vento, Kristos è l’ultimo
bambino rimasto. Ha dieci anni ed è l’unico alunno della maestra
Maria che gli si dedica con devozione. Presto Kristos
inizierà il suo ultimo anno di scuola elementare. Per terminare la
scuola dell’obbligo dovrebbe lasciare Arki e trasferirsi in
un’isola più grande. La sua famiglia però non ha i mezzi per
permetterselo e suo padre vuole che diventi un pastore, un mestiere
che la famiglia si tramanda da generazioni. Maria non riesce ad
accettare questa situazione ed è determinata a trovare una
soluzione per farlo continuare a studiare. Kristos rimarrà
sull’isola per diventare un pastore come i suoi fratelli maggiori
oppure lascerà Arki per continuare gli studi lontano, dall’altra
parte del mare?
Olivia Wilde torna dietro la macchina da presa
per la seconda volta con uno dei film attesi dai più giovani della
Mostra del Cinema di Venezia 2022: Don’t
Worry Darling. La scelta dei due protagonisti per
questa prima incursione della Wilde nel thriller psicologico è ciò
che ha attirato attenzione mediatica nei confronti del progetto:
Harry Styles e Florence Pugh sono gli interpreti principali
di un film che rappresenta un grande passo indietro rispetto
all’esordio registico della Wilde, Booksmart – La rivincita delle
sfigate, in cui emergeva chiaramente tutta la sua
creatività. Contenuta da un budget sostanzioso, che punta tutto sul
casting e sulla spettacolarizzazione di due delle icone giovani più
amate del momento, Don’t
Worry Darling è un film dimenticabile e fuori
tempo massimo, con qualche intuizione interessante ma che si perde
nello stesso meccanismo gestionale che attanaglia i suoi
protagonisti.
Benvenuti al progetto Victory
Don’t
Worry Darlingsegue le vicende
Alice (Florence
Pugh) e Jack (Styles)
una giovane e appartentemente felicissima coppia che vive nella
comunità idealizzata di Victory, una città aziendale sperimentale
che ospita gli uomini che lavorano per il progetto top-secret
chiamato appunto Victory e le loro
famiglie. L’ottimismo della società degli anni Cinquanta,
propugnato dall’amministratore
delegato Frank (Pine) –
in egual misura visionario dell’azienda e life coach motivazionale
– sostiene ogni aspetto della vita quotidiana nell’affiatata utopia
del deserto.
Mentre i mariti trascorrono ogni
giorno all’interno del quartier generale del Victory
Project, lavorando allo “sviluppo di materiali avanzati”,
le loro mogli – tra cui l’elegante compagna
di Frank, Shelley (Chan)
– passano il tempo a godersi la bellezza, il lusso e la
dissolutezza della loro comunità. La vita è perfetta, con tutti i
bisogni dei residenti soddisfatti dall’azienda. Tutto ciò che
chiedono in cambio è discrezione e impegno indiscusso per la causa
di Victory.
Laddove una Florence Pugh – che ormai ha consolidato la
propria figura di giovane promessa del cinema – riesce a prendere
le redini del film e a offrire quanto meno una performance in linea
con le precedenti, Harry Styles sembra non riuscire ad afferrare
completamente la psicologia della sua dolce metà, inserendosi in
maniera ottimale nel contesto patinato e anni ‘50 del film,
concorde con il carisma che ha sempre esibito nelle performance
canore, ma senza quella consapevolezza e raffinatezza che lo avevo
innalzato in Dunkirk di Christopher Nolan.
Un ruolo in cui serviva espressività più che parole, e con cui si è
iniziato a parlare di una sua possibile carriera anche nell’ambito
della recitazione.
Don’t Worry Darling, un passo falso per Olivia Wilde
Don’t
Worry Darling è un film derivativo e questa è
forse la delusione più grande se pensiamo che a dirigerlo è stata
la stessa
Olivia Wilde
che, con arguzia e una regia frizzante, si era imposta nella scenda
indipendente con il primo film Book Smart – La rivincita
delle sfigate. La forte componente femminile, tanto sulla
scena quanto da un punto di vista ideologico, viene completamente
meno in una sceneggiatura che richiama tantissimo Black
Mirror, non in termini di lungimiranza narrativa, anzi,
quanto più nella spettacolarizzazione del pericolo e delle insidie
che si nascondono all’interno di cornici tecnologiche
apparentemente perfette.
Non stiamo parlando di un’aggiunta
significativa al fuori concorso di Venezia 2022,
ma Don’t
Worry Darling ha una nota di merito
importante: sarà un film che richiamerà l’attenzione e la presenza
del pubblico nelle sale, e che potrà comunque soddisfare il palato
degli appassionati di thriller grotteschi senza troppe pretese.
Tantissimi i riferimenti iconografici, tra Shutter
Island e The Truman Show, passando per
Sucker Punch e Stepford Wives,
che racchiudono Don’t Worry Darling in una morsa di
citazionismo e dinamiche interne ai personaggi che non conoscono
suspense o un crescendo tensivo che ne legittimi un comparto visivo
così prorompente.
Se Don’t Worry
Darling si consacrerà come un passo falso
nella carriera di Florence Pugh, questo non ci è
dato dirlo, ma l’auspicio è che Olivia Wilde
faccia presto ritorno alla scena indipendente, presentandoci
personaggi che possano davvero lasciare il segno e non vivere
nell’ombra dell’icona che li interpreta. Le donne di Victory si
coalizzano contro un sistema che le rende impotenti, le ha
sottratte dalle responsabilità che volevano avere, contrapponendole
a uomini di tutto punto, che nascondono più di un segreto. La
verità è che due semplici ragazze di 17 anni, Amy
e Molly, avevano raccontato molto più della
solidarietà femminile in Booksmart, celebrandola
in tutte le sue sfaccettature. Le donne di Don’t
Worry Darling, invece, dovrebbero preoccuparsi eccome
non solo del progetto Victory, ma anche della
sceneggiatura in cui sono state inserite.
Amanda (Benedetta
Porcaroli) ha ventiquattro anni ed è un’irrequieta
perdigiorno. È da sempre accompagnata da un senso di malessere:
sogna di avere un’amica e non ne ha mai posseduta una. I vari
traslochi e l’anaffettività dei membri della sua famiglia – ricca e
glaciale – non hanno di sicuro aiutato.
Amanda soffre di
una forte solitudine. Tuttavia, non appena scopre che da
piccolissima passava molto tempo con Rebecca
(Galatea Bellugi), figlia di un’amica della madre,
si pone un unico scopo: convincere Rebecca a diventare la
sua migliore amica. La missione non è semplice, dato che
Rebecca passa le sue giornate chiusa nella sua camera
da letto…
Amanda è un elogio della
stranezza
La regista e sceneggiatrice
di Amanda sceglie di fare un film che
ruota tutto attorno alle stranezze. Dalle due bambine iniziali che
si comportano come adulte snob a bordo piscina, fino ai costumi e
alle ambientazioni, tutto appare variopinto e fuori
dall’ordinario. Per prima cosa, sono i
personaggi ad essere eccentrici. La protagonistaè un
soggetto stravagante: si comporta come una ragazzina capricciosa e
viziata, fa ciò che vuole ma allo stesso tempo rifiuta e critica la
famiglia borghese che la sostiene.
Personaggi insoliti
Non sono meno strani
di Amanda i
suoi famigliari, dal padre fantasma e praticamente afono alla
nipote di sette anni che dichiara di amare ”Dio come persona”. E la
potenziale amica Rebecca non può che essere una ragazza
che soffre di agorafobia. In tutto il film non c’è un personaggio
banale o ordinario.
Guardando Amanda, sembra di entrare nella
casa di cura de La pazza gioia (Paolo
Virzì): nel film c’è così tanta follia da gestire che,
per praticità, viene normalizzata. Per questo motivo, il
lungometraggio risulta drammatico e divertente allo stesso tempo:
le battute arrivano caotiche e inattese, la azioni della
protagonista e dei suoi aiutanti sono imprevedibili. Il
nonsense domina ogni aspetto del film ma, invece di
sminuire la storia, diventa sostanza stessa delle immagini.
Un mondo a colori, ma
desaturato
Le tinte di Amanda
sono allo stesso tempo variopinte e desaturate: la villa in cui
vive la protagonista, come anche quella di Rebecca, i
sobborghi, gli abiti dei personaggi, tutto è ricco di sfumature. Da
un lato, guardando il lungometraggio sembra di essere dentro uno
spot pubblicitario di Gucci, dall’altro c’è una velatura grigia che
ricorda le atmosfere di Dogtooth (YorgosLanthimos).
L’estetica del film rispecchia in tutto e per tutto l’interiorità
della protagonista e dei personaggi principali. In
Amanda infatti, si parla di anime colorite e
esuberanti, ma velate di tristezza e, in ogni caso, outsider.
L’esordio di Michele Bravi come
attore
Amanda, nei suoi
pellegrinaggi notturni tra cantieri occupati e feste abusive,
conosce un ragazzo solitario tanto quanto lei. L’attore che si
nasconde dietro alla figura affascinante e gotica
è Michele Bravi, giovane cantante italiano
che esordisce come attore proprio con questo film. La performance
di Bravi è stata messa molto in evidenza
nella promozione di Amanda. Forse però, più che a
livello di interpretazione, l’interiorità del cantante è in linea
con la storia del film. Michele Bravi è
un musicista che, nelle sue canzoni e nei suoi spettacoli, parla di
dolore, psicoterapia e rinascita per celebrare la diversità e
l’accettazione di sé.
Sempre a livello
attoriale, Benedetta
Porcaroli, l’interprete della protagonista, è abile
nei panni della ragazza folle e infantile. La mimica, i movimenti
del corpo e il tono delle battute sono realistici e coinvolgenti.
Grazie alla sua
performance, Porcaroli sa esprimere il
senso totale del film e personifica molto bene l’oscillazione di
stati d’animo che Carolina
Cavallivuole raccontare.
Fuori concorso è stato presentato
stasera Don’t worry
darling, con protagonisti
Florence Pugh, Olivia Wilde, Chris
Pine, Gemma
Chan, Nick Kroll, Harry Styles. Ecco tutte le foto dei
protagonisti sul red della 79esima Mostra D’Arte Cinematografica di
Venezia.
Il commento di Olivia Wilde
Questo film è la mia lettera d’amore a quel
cinema che supera i confini della nostra immaginazione. È
ambizioso, ma penso che abbiamo realizzato qualcosa di molto
speciale. Immaginate una vita in cui avete tutto quello che
desiderate. Non soltanto le cose materiali o tangibili come una
bella casa, auto meravigliose, cibo delizioso e feste a non finire,
ma anche le cose veramente importanti: l’amore vero con il partner
perfetto, gli amici migliori e una vita con uno scopo
significativo. Che cosa vi farebbe rinunciare a tutto questo? Cosa
sacrifichereste per fare la cosa giusta? Sareste disposti a
smantellare il sistema che è stato progettato al vostro servizio?
Questo è il mondo, e la domanda, di Don’t worry
darling.
Alice e Jack vivono nella comunità
idealizzata di Victory, la città aziendale sperimentale che ospita
gli uomini che lavorano al progetto top-secret Victory e le loro
famiglie. L’ottimismo della società degli anni Cinquanta,
propugnato dall’amministratore delegato Frank – in egual misura
visionario aziendale e life coach motivazionale – caratterizza ogni
aspetto della vita quotidiana nell’affiatata utopia del deserto.
Mentre i mariti trascorrono ogni giorno all’interno del quartier
generale del Victory Project, lavorando allo “sviluppo di materiali
avanzati”, le loro mogli – tra cui l’elegante compagna di Frank,
Shelley – possono trascorrere il loro tempo godendosi la bellezza,
il lusso e la dissolutezza della loro comunità. La vita è
perfetta, con tutti i bisogni dei residenti soddisfatti
dall’azienda. Tutto ciò che chiedono in cambio è discrezione e
impegno indiscusso per la causa di Victory. Ma quando iniziano ad
apparire delle crepe nella loro vita idilliaca, mostrando sprazzi
di qualcosa di molto più sinistro che si nasconde sotto la
facciata attraente, Alice non può fare a meno di chiedersi
esattamente cosa stiano facendo a Victory, e perché. Quanto è
disposta a perdere Alice per svelare ciò che sta realmente
accadendo in questo paradiso?
Autore negli ultimi anni di
sofisticati thriller il cui obiettivo primario è quello di
esplorare l’animo umano, il premio Oscar Roman
Polanski ha nel 2011 firmato la regia di
Carnage (qui la recensione), ancora oggi
considerato uno dei migliori film ambientati interamente in un
unico ambiente. Impostato come una commedia nera, quest’opera
assume sempre più connotati inaspettati portando ben presto gli
spettatori a trovarsi di fronte a qualcosa di umanamente
spaventoso, dove tutti gli istinti primordiali e gli aspetti
taciuti vengono infine svelati, tra contraddizioni, ipocrisie,
manie e una lunga altra serie di vizi che caratterizzano l’essere
umano.
Scritto dallo stesso Polanski
insieme a Yasmina Reza, il film è basato
sull’opera teatrale scritta proprio da quest’ultima, intitolata
Il dio del massacro (in originale Le Dieu du
Carnage). Acclamata, premiata e messa in scena in più Paesi,
questa ha infine attirato l’attenzione di Polanski, il quale vi ha
ritrovato temi affini a quelli da lui trattati nel suo cinema più
recente. Presentato poi in concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia, il film Carnage ha poi ottenuto a sua volta ampi
consensi, merito in particolare di dialoghi taglienti, un quartetto
di grandissimi attori e una regia che porta lo spettatore ad essere
sempre vigile su quanto accade.
I film le cui storie si svolgono in
un unico ambiente sono infatti particolarmente delicati, un
elemento fuori posto può far perdere l’equilibrio che regge il
tutto, ma Carnage riesce egregiamente in questo compito.
Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente
utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a
questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile
ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e
al cast di attori. Infine, si elencheranno anche
le principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Carnage: la trama del film
La vicenda ha inizio in un parco di
Brooklyn, dove due bambini litigano violentemente e uno dei due
ferisce l’altro al volto, colpendolo con un bastone. È a quel punto
che entrano in gioco le famiglie dei due, che decidono di
incontrarsi per discutere dell’accaduto. I coniugi
Alan e Nancy Cowan vengono così
ospitati nell’appartamento di Penelope e
Michael Longstreet, genitori del bambino vittima
dell’aggressione. Le coppie si presentano da subito diametralmente
opposte e non è semplice intavolare una discussione proficua. Ben
presto, la contesa si sposterà dalle accuse reciproche
sull’educazione dei figli a questioni personali. Complice l’alcol,
i quattro si troveranno ad affrontare i più disparati argomenti in
un febbricitante e caotico carosello che li metterà tutti contro
tutti.
Carnage: il cast del film
Come anticipato, uno degli elementi
di maggior forza del film è il suo cast di attori, i quali sono
grossomodo solo quattro per tutto il film. Ad interpretare i
coniugi Alan e Nancy Cowan vi sono gli attori premio Oscar Christopher
Waltz e Kate Winslet.
Waltz, in particolare, ha per questo ruolo lavorato molto sul suo
accento, cercando di risultare un credibile americano. Penelope e
Michael Longstreet sono invece interpretati dalla premio Oscar
Jodie Foster e
dal candidato all’Oscar John C. Reilly.
Sono poi brevemente presenti anche i figli delle due coppie, con
Elvis Polanski nel ruolo di Zachary Cowan e
Eliot Berger in quello di Ethan Longstreet. Fa un
cameo anche lo stesso Polanski, il quale compare come vicino dei
casa dei Longstreet.
Carnage: il significato del film
All’interno del film si scontrano
dunque due coppie di adulti borghesi, ognuno con una propria
carriera professionale tale da conferirgli un certo grado di
autorità. Eppure, come anticipato, più il racconto viene portato
avanti e più emergono una serie di contraddizioni e vizi
apparentemente innate nell’animo umano. Polanski nel corso del film
concede allo spettatore numerosi segnali delle derive che si
manifesteranno ben presto, inquadrando i suoi personaggi in modo
stretto, claustrofobico, abbandonando dunque una dimensione
teatrale che sarebbe potuta essere fin troppo ovvia. Ciò che è
importante è infatti qui mostrare come la facciata di perbenismo
dei personaggi venga progressivamete abbandonata.
In loro il regista fa confluire
tutte le caratteristiche delle società per bene e civili, le quali
nascondono i propri difetti senza però mai risolverli davvero. I
quattro personaggi si svelano dunque come personalità consumate da
quel Dio del Massacro che dà il titolo all’opera teatrale. Un Dio
malvagio che si manifesta nell’egoismo, nell’individualismo e nel
desiderio di supremazia nei confronti degli altri. Si tratta dunque
di una deriva umana a cui tutti, in modo più o meno evidente,
sembrano destinati, svelando dunque un punto di vista
particolarmente cinico del regista. Unico elemento di speranza sono
proprio i bambini, con i due figli delle due coppie capaci infine
di riappacificarsi come i loro genitori non sono riusciti a
fare.
Carnage: il trailer e dove
vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Carnage grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Chili
Cinema, Infinity, Now e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
lunedì 5 settembre alle ore 00:50
sul canale Rete 4.
Ci sono scrittori di narrativa che
hanno conosciuto ulteriore popolarità grazie al cinema e tra questi
vi è indubbiamente Cormac McCarthy. Film come
Non è un paese per vecchi e
The Road, entrambi tratti da suoi acclamati romanzi, si
sono infatti affermati come titoli di particolare rilievo, in
special modo per la qualità del racconto offerto. Ancor prima di
questi, però, ad arrivare sul grande schermo nel 2000 è stato
Passione ribelle, tratto dal suo libro
Cavalli selvaggi. A dirigere il film vi è il premio Oscar
Billy Bob Thornton, qui
alla sua seconda regia dopo Lama tagliente, grazie a cui
aveva vinto la prestigiosa statuetta.
Il libro a cui il film si ispira è
stato pubblicato nel 1992 e rappresenta il primo capitolo della
cosiddetta Trilogia della frontiera, composta anche da
Oltre il confine e Città della pianura. Questi
tre volumi si incentrano sulle vicende formative di due giovani
cowboy lungo il confine tra Texas e Messico. I due successivi
romanzi non sono però mai stati adattati per il grande schermo,
principalmente a causa dello scarso entusiasmo verso Passione
ribelle. Il film, che aveva originariamente una durata di
circa tre ore, è stato pesantemente fatto modificare dal produttore
Harvey Weinstein, finendo con lo snaturarne il
racconto.
La versione originale esiste ancora,
ma per problemi di diritto d’autore non è mai stata rilasciata. Ai
fan del western, dunque, non rimane che riscoprire questo film
anche nei suoi difetti, potendovi ritrovare però anche diversi
elementi di fascino. Prima di intraprendere una visione del film,
però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali
curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà
infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama e al cast di attori.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Passione ribelle: la trama del film
La vicenda si svolge nel 1949, un
periodo in cui il mito del selvaggio west è ormai al tramonto.
Protagonista del film è John Grady Cole, un
giovane cowboy del Texas che parte all’avventura verso il Messico
assieme all’amico Lacey Rawlins. I due percorrono
il confine che divide lo Stato americano dal Messico, incontrando
lungo il tragitto numerosi personaggi bizzarri, caratteristici dei
luoghi visitati. Il loro vagabondare li porta infine presso il
ranch dell’aristocratico Don Hector de la Rocha y
Villarreal. L’uomo acconsente ad assumere i due, che
iniziano così a lavorare per lui. A cambiare ogni cosa, in
particolare per John, vi è però l’incontro con la bella
Alejandra.
Questa è la figlia di Don Hector, a
cui l’uomo è particolarmente legato e che tenta di proteggere da
ogni fattore esterno. Più i due giovani si conoscono, più la
passione l’uno per l’altro si fa forte. La zia di lei tenterà di
metterla in guardia, ma nulla potrà fermare il loro amore. Quando
questo verrà scoperto, Don Hector non esiterà ad eliminare il
problema facendo arrestare John e Lacey con l’accusa di omicidio. I
due giovani cowboy si trovano così costretti a dover sopravvivere
in quell’ambiente a loro estraneo e particolarmente difficile. Il
desiderio di rivedere Alejandra, però, sarà più forte di ogni cosa
e John non avrà pace finché non l’avrà soddisfatto.
Passione ribelle: il cast del film
Il ruolo del protagonista John Grady
Cole è interpretato dall’attore Matt Damon, anche se
originariamente prima di lui il ruolo era stato offerto a
Leonardo DiCaprio e Brad Pitt.
Damon, dichiaratosi particolarmente affascinato dal racconto,
dall’ambientazione e dai sentimenti presenti, partecipò con grande
entusiasmo al film. In seguito ai pesanti tagli imposti, egli
criticò apertamente le scelte dei produttori, affermando di non
riconoscere più il film per cui aveva nutrito tanta passione.
Accanto a lui, nel ruolo dell’amico Lacey Rawlins, vi è invece
l’attore Henry Thomas, conosciuto per essere stato
Elliott in E.T. – L’extraterrestre.
Lucas Black,
invece, compare nei panni di Jimmy Blevins, un ragazzo incontrato
dai due cowboy e che si rivelerà decisivo nel loro percorso. Ad
ottenere il ruolo della bella Alejandra, protagonista femminile del
film, è stata la premio Oscar Penelope Cruz,
all’epoca già particolarmente popolare. Per il ruolo era però stata
considerata anche Natalie Portman, che rifiutò, e
Jordana Brewster, che non ottenne però la parte.
L’attore e musicista Ruben Blades interpreta
invece il padre di lei, Don Hector, mentre Miriam
Colon è la zia Doña Alfonsa. Nel film si ritrova anche il
noto Sam Shepard nel ruolo di J. C. Franklin e
Robert Patrick in quelli di Cole, il padre di John
Grady.
Passione ribelle: il
trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile vedere o rivedere il
film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari
piattaforme streaming presenti oggi in rete. Passione
ribelle è infatti disponibile nel catalogo di
Rakuten TV, Chili, Google Play e Apple iTunes. Per
vederlo, in base alla piattaforma scelta, basterà iscriversi o
noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di poter fruire di
questo per una comoda visione casalinga. È bene notare che in caso
di solo noleggio, il titolo sarà a disposizione per un determinato
limite temporale, entro cui bisognerà effettuare la visione. Il
film sarà inoltre trasmesso in televisione il
giorno lunedì 5 settembre alle ore
21:10 sul canale Rai Movie.
Kill Bill – volume I e
II sono i film cult del 2003 e 2004 di Quentin
Tarantinon con Uma Thurman, David Carradine, Daryl
Hannah, Michael Madsen, Vivica A. Fox, Lucy Liu e
Samuel L. Jackson.
Il film si apre con la seguente
didascalia: “La vendetta è un piatto che va servito freddo”. Una
sposa gravida (Uma Thurman) è distesa a terra gravemente ferita in
una Chiesa il giorno del suo matrimonio. Prima di essere sparata
alla testa dice al suo aguzzino, un certo Bill (David Carradine),
che quello che porta in grembo è il suo bambino. Così lui la
risparmia.
Qualche tempo dopo, la donna trova
una certa Vernita Green (Vivica A. Fox) nella sua
abitazione e comincia un sanguinoso combattimento tra le due, che
viene sospeso quando la figlia di quest’ultima torna da scuola.
Emergerà dal loro dialogo che entrambe le donne sono ex membri
della Deadly Viper Assassination Squad, squadra di assassini
d’elite sotto la guida di Bill. Fu proprio questa squadra, dietro
comando di Bill ad attaccarla durante il suo matrimonio.
La donna riesce ad uccidere Vernita,
depennandola da una lista. Un gesto che fa il paio con la
didascalia iniziale, che ci fanno capire che la donna vuole
uccidere tutta la banda.
Da qui inizia una lunga serie di
feroci e coinvolgenti combattimenti, intervallati da lunghi
flashback che fanno sempre più chiarezza sulla storia. Una storia
molto lunga, tanto da essere divisa in due parti da 110 minuti
ciascuna, uscite al cinema nel 2003 e nel 2004. Non solo, per il
2014 è prevista anche una terza parte, con la sposa pronta di nuovo
a dare battaglia a dieci anni dalla morte di Bill.
Kill Bill vol 1 e vol 2
Questa volta Quentin
Tarantino l’ha fatta proprio grossa. Certo, nella sua
carriera ci ha regalato film complessi, violenti all’ennesima
potenza, deliranti, avvincenti, rimpinzati di citazioni
cinematografiche dall’alto del suo amore, tra gli altri, per il
cinema di Sergio Leone. Nella sua carriera, Tarantino ha sfiorato
spesso il capolavoro, raggiungendolo forse con l’ultimo suo
lungometraggio: Bastardi senza gloria, rivisitazione geniale sulla
fine del Nazismo.
Kill Bill pure
rischia di essere annoverato tra i capolavori sfiorati di Quentin,
forse per l’eccessiva lunghezza della storia, non essendo
sufficiente lo spezzettamento del film in due parti. La prima parte
infatti da sola non è autosufficiente, portando lo spettatore a
dover per forza di cose seguire anche la seconda parte.
Quest’ultima pecca di sequenze dilatate, eccessive focalizzazioni.
Il ritmo generale del film in questa seconda parte è molto più
lento della prima. Ed ecco dunque che, se quest’ultima può essere
considerata un capolavoro, la seconda tende a sfiatarsi, facendo
perdere al film “una stella” nelle valutazioni.
E’ giusto però dire
quali sono gli elementi che rendono Kill Bill un
potenziale capolavoro. Tarantino dirige un cast di prim’ordine,
dando a tutti i personaggi un giusto spazio nella storia. Nel cast
figurano, oltre a Uma Thurman, anche David Carradine,
Daryl Hannah, il fido Michael Madsen, Vivica A. Fox, Lucy Liu e
Samuel L. Jackson.
Perfetta anche la parte tecnica
della regia. Non un’inquadratura fuori posto, non un movimento di
camera infelice. Kill Bill formalmente si avvicina alla perfezione.
Gli anni hanno permesso di affinare una già ottima tecnica.
La brillantezza di Tarantino è
palesemente dimostrata anche dall’attenzione che il
regista-spettatore mostra verso le tendenze cinematografiche che
hanno dimostrato maggiore dinamismo negli ultimi anni, in primis
l’animazione. Vero e proprio film nel film, i venti minuti firmati
I.G. Production, che raccontano la tragica infanzia di una delle
future vittime della bionda protagonista, nella fattispecie la
strabica Lucy Liu, killer della Yakuza,
rappresentano una rara gemma di intensità emotiva e spessore
drammaturgico. Le sequenze animate della casa nipponica, oltre ad
essere un felicissimo esempio di contaminazione
meta-cinematografica, dimostrano inequivocabilmente la maturità
raggiunta da un mezzo espressivo, troppo spesso bistrattato dal
cinema “tradizionale”.
Superlativa anche a colonna sonora,
che spazia da brani dance anni ‘70 a motivi tradizionali
giapponesi, per finire in morbide ballate blues. Il giro del mondo
in una ventina di pezzi che vanno a comporre un quadro fecondo come
quello che accompagnò Pulp Fiction dieci anni
fa.
Insomma, dopo i precedenti
Four Rooms e Jackie Brown, che hanno fatto temere
ai più un adagiamento e appagamento creativo di Tarantino sui
successi dei primi due film (Le Iene e Pulp
Fiction), con Kill Bill Tarantino sfoggia tutta la propria
creatività e il proprio estro in cabina di regia superando anche sé
stesso.
Lei non ha figli, lui ha una
bambina. E si innamoreranno: il nuovo film della regista francese
Rebecca Zlotowski si intitola I Figli degli altri e si propone di indagare
il ruolo della donna/madre da una prospettiva inedita: quella dei
legami con figli che non sono nostri e le conseguenze della
gestione di un rapporto del genere qualora dovesse essere reciso.
Presentato in concorso a
Venezia 79, il quinto film di
Zlotowski vede gli attori Virginie
Efira e Roschdy Zem interpretare la
coppia protagonista e Callie Ferreira-Gonçalves
nei panni della piccola Leila.
I Figli degli altri: la matrigna
non è più cattiva
Rachel è una donna
di quarant’anni, senza figli. Ama la sua vita: gli studenti del
liceo in cui insegna, gli amici, il suo ex, le lezioni di chitarra.
Quando si innamora di Ali, stringe un legame
profondo anche con Leila, la figlia di quattro
anni dell’uomo. Le rimbocca le coperte prima di dormire, se ne
prende cura, le vuole bene come se fosse sua. Ma amare i figli
degli altri è un grosso rischio.
Questa nuova esplorazione della
figura femminile a cui si dedica Zlotowski nasce
da una profonda esperienza personale e dal desiderio di regalare su
schermo una narrazione protagonista a un personaggio da secoli
rimasto al margine: la matrigna. Non sono pochi gli inciampi in
corso d’opera, il pathos e la faciloneria arrivano spesso a
compensare la pregnanza di un racconto per altri versi credibile e,
in un certo senso, apripista.
Ciò che rimane e che va al di là di
ogni limite tecnico che il film, purtroppo, dimostra, è che
Rebecca Zlotowski ha voluto realizzare un film su
una generazione di donne – anche per quelle che verranno – per cui
la maternità è stata a lungo un’ingiunzione. Non ci sono verità
assolute in questo film, ma emerge una forte ideologia, il
desiderio di gridare che l’essere donna può comprendere la
maternità, ma che l’esperienza di questa può essere fatta anche
tramite la cura e l’ascolto che offriamo a chi ci sta intorno, che
diventa famiglia senza nessuna forzatura di sorta. La sceneggiatura
cerca di unire elementi della quotidianità – nostra e dei
protagonisti – ad emozioni che potremmo provare, ed è
nell’identificarsi come un totale “what if” che I Figli degli altri trova un’interezza
narrativa, che potrebbe toccare l’emotività di molti
spettatori.
La storia d’amore ne I Figli degli altrinon
è solo una: è l’unione di due relazioni intrecciate a cementare il
film più emotivo ed espressivo di Zlotowski. Se
l’amore tra Rachel e Ali è nato
da un’ardente passione, quello tra Rachel e Leila sedimenta nella
tenerezza più pura: le due si avvicinano e si distaccano, ma la
necessità fisica tende a riavvicinarle mentre navigano in una
relazione priva dei solidi punti di riferimento della genitorialità
tradizionale. Leila interroga ripetutamente il
padre sulla presenza costante di Rachel, e la
manciata di parole pronunciate dolcemente dalla bambina feriscono
l’insegnante come se fossero schiaffi. Anche
Rachel fa domande. Senza risposta, rimangono
nell’aria tra i due coniugi, trasformandosi gradualmente in un
ostacolo sempre più grande che fa crollare ciò che un tempo
sembrava così solido.
Efira offre
un’interpretazione al contempo tenue ma potente, che oscilla tra il
dolore trattenuto e l’affetto più gentile. Nei panni di
Rachel, i suoi occhi seguono
Leila nelle stanze in cui non è invitata, con
sguardi sottili che traducono l’enorme sentimento che anima questa
forma contorta di solitudine. La maternità, un desiderio che non
può soddisfare, si realizza attraverso l’istintiva attenzione verso
gli altri, che si tratti di uno studente o della sorella minore,
piccoli atti di cura che si trovano in una carezza sulla spalla o
nello stringersi le mani. Anche in mezzo a un dolore impensabile,
Rachel è ritratta da Efira come
assolutamente empatica – caratteristica che in alcuni tratti
diventa forse stucchevole – ma riesce a trasmettere la maturità
emotiva che deriva dal prendere atto che alcune domande sono
destinate a rimanere senza risposta.
Le ottime interpretazione de
I Figli degli altri sono sfortunatamente
accompagnate un tono troppo flessibile, che segue sì la prospettiva
di Rachel, nostra luminare in toto, protagonista,
narratrice onnisciente e donna, ma che si perde tra la comicità più
sfrenata quando non sarebbe richiesta e il doloroso racconto di
verità nascoste, drammatizzato fin troppo nella proposta di plurime
storyline, tra cui quella della madre biologica di
Leila. Tante esperienze di vita estremamente
interessanti, ma forse troppe da approfondire per un solo film.
L’indugiare nel passato non fa troppo bene a relazioni che devono
vivere nel presente narrativo, quello delle scelte,
dell’accettazione e, soprattutto, dell’educazione amichevole. Se
l’anno scorso in concorso a Venezia abbiamo sperimentato l’idea
brutale di maternità che Olivia Coleman aveva in The Lost Daughter di Maggie Gyllenhall, Rebecca
Zlotowski si concentra sulla parte più romantica – ma non
per forza meno dolorosa – di una maternità nuova, accogliente nelle
sue mille sfaccettature. Un racconto non perfetto, ma di cui si
apprezza sicuramente il cuore.
Dopo il 2017,
Andrea Pallaoro torna in Concorso a Venezia 79 con Monica, un
racconto molto intimo di una donna trans che fa i conti con la sua
vita passata.
La protagonista torna a
casa per la prima volta dopo una lunga assenza. Ritrovando sua
madre e il resto della sua famiglia, da cui si era allontanata da
adolescente, intraprende un percorso nel suo dolore e nelle sue
paure, nei suoi bisogni e nei suoi desideri fino a scoprire dentro
di sé la forza per guarire le ferite del proprio passato. Il
ritratto intimo di una donna che esplora i temi universali
dell’abbandono e dell’accettazione, del riscatto e del perdono.
Già con Hannah, Andrea Pallaoro aveva
raccontato la storia di una donna che provava a scendere a patti
con una nuova realtà, in questa nuova intima storia, il regista
segue la protagonista, interpretata da una splendida Trace Lysette, mentre cerca di riconnettersi
con quello che è stata in una vita precedente. Letteralmente. Dopo
tanti anni lontana da casa, la donna torna indietro per assistere
la madre malata e qui si scontra con ciò che era, una creatura a
disagio nel suo corpo.
Monica, la riappropriazione del passato
Il racconto della
transessualità in Monica è originale e delicato,
preso da un punto di vista insolito. Al regista non interessa tanto
il processo di transizione del corpo della protagonista, quanto la
trasformazione della percezione di sé nello specchio degli altri, e
non altri qualsiasi, ma la sua famiglia dei sangue: suo fratello e
sua madre.
Il percorso di
Monica è doloroso, è sofferto, ma è anche molto
consapevole. Forte della sua identità conquistata con fatica, la
donna si espone al giudizio e al rifiuto, trovando dall’altra parte
invece curiosità e, dopo, accoglienza.
Pallaoro accompagna questo processo
con discrezione, osservando da vicinissimo la sua protagonista,
senza invaderne mai gli spazi ma rimanendole sempre accanto, come
un amico o un confidente, qualcuno che è dalla sua parte, sempre.
L’occhio della macchina da presa vuole bene a Monica e la accarezza
e la incoraggia ogni volta che può.
Misurata e naturale l’interpretazione di Lysette, che ha incantato
il Lido e che, al momento, sembra la favorita per la Coppa Volpi,
premio che, nel caso, sarebbe epocale nella storia della Mostra.
Che dopotutto quest’anno è più Queer che mai, con le sue storie e i
suoi film. Ed era anche ora.
Al di là di questo
aspetto preciso, però, Monica è anche una storia
di ritorno e di accoglienza, di identità rispetto a ciò che gli
altri vedono e sentono rispetto al nostro io. Un viaggio nella
percezione di sé attraverso gli occhi di chi dovrebbe amarci
incondizionatamente.
Sembra strano immaginare
che, dopo 60 anni, Frederick Wiseman sia tornato a
fare un film di fiction, lui che con il suo sguardo sul mondo, lo
ha raccontato per molti aspetti meglio di tutti, attraverso i suoi
documentari-fiume, eppure, Un Couple, in Concorso
a Venezia 79 si annuncia proprio come il grande
ritorno del regista a una storia di finzione.
Non è esatto, però, dal
momento che il film è in definitiva un soliloquio di Sofia Tolstoj
che legge le sue lettere e i suoi diari scritti al marito, nel
corso di un matrimonio turbolento, d’uranio 36 anni, con 13 figli
di cui solo 9 sopravvissuti, e numerosi litigi e riconciliazioni.
Immersa nel giardino La Boulaye, sull’isola di Belle Île, la donna
legge/recita le parole che i due si scrivevano pur stando nella
stessa casa. Un dialogo continuo, il resoconto di una storia
passionale che spesso portava i coniugi allo scontro ma che
altrettanto spesso li vedeva riconciliarsi e continuare quel
cammino condiviso.
Un Couple, il racconto di una storia d’amore turbolenta
Il lavoro di Wiseman in
Un Couple è certosino e monumentale. Lo
spirito è sempre quello documentaristico e, quasi, naturalistico,
data l’importanza che la natura e la sua vitalità occupa negli
appena 64 minuti di film, ma è il lavoro sul testo che lascia
sorpresi. L’incredibile mole della corrispondenza domestica dei
coniugi Tolstoj è stata ridotta a un monologo coeso e narrativo,
che sviluppa una storia d’amore con un inizio e una fine e una
serie di montagne russe nel mezzo. Tutto semplicemente attraverso
il racconto e la riduzione dei testi di partenza.
Questa formula offre un
risultato abbastanza monotono, eppure interessante, soprattutto se
mostrato nell’ambito di una Mostra del Cinema, che, mai come
quest’anno, sembra giocare sul sicuro con tutta la selezione e che
con questo film, invece torna a essere esposizione di linguaggi
differenti e non sempre omologati con ciò a cui è abituato lo
spettatore medio.
Anche di fronte alla
piatta frontali del quadro, Frederick Wiseman si
mostra in tutto il suo genio, mettendo in luce il suo talento di
narratore al di fuori degli schemi classici del linguaggio del
cinema narrativo.
Trai film più attesi del Concorso di
Venezia 79 c’è sicuramente The Banshees of Inisherin, che uscirà in
Italia con il titolo: Gli Spiriti dell’Isola. Scritto e diretto da
Martin McDonagh, che torna al Lido dopo cinque
anni, il film vede il regista e sceneggiatore lavorare di nuovo con
Brendan Gleeson e
Colin Farrell, che aveva già diretto nel 2008 in
In Bruges – La coscienza dell’assassino.
E McDonagh non ci gira molto
intorno, dichiarando che il principale motivo che lo ha spinto a
fare questo film è stato che “volevo di nuovo questi due
ragazzi insieme, visto quanto ci eravamo divertiti in In Bruges. Da
sempre volevamo fare di nuovo qualcosa insieme. Colin e Brendan
sono stati il seme dell’idea.” E sulla location, invece,
l’isola di Inisherin, McDonagh ha detto: “Lavorare in quel
posto è stato maestoso, da bimbo ci andavo sempre, è il posto dove
è cresciuto mio padre.”
Sembra davvero che il sentimento sia
condiviso, dal momento che sia Gleeson che Farrell hanno espresso
parole di stima e affetto reciproci. “Ho sempre sperato di
lavorare di nuovo con loro. Con quel film abbiamo avuto un periodo
così felice che speravamo di rifarlo insieme.” ha detto
Gleeson. Mentre Farrell, che ha collaborato con McDonagh più
spesso, ha dichiarato: “Non riesco a immaginare di riuscire a
essere capace di trasmettere qualcosa che scrive Martin perché è
uno scrittore così straordinario e sono sempre così profondamente
commosso emotivamente e psicologicamente dai mondi che crea e dai
personaggi che disegna”, e ha poi aggiunto sulla sua co-star:
“Mi mancava Brendan, erano 14 anni che non ci lavoravo e
tornare a viverlo sul set è stato bello, come se non ci fossimo mai
lasciati.”
Il film si distingue, oltre che per
l’ottimo script, da sempre garanzia di Martin
McDonagh, anche per una grande sinergia trai due attori
protagonisti, che mettono in scena un’amicizia maschile davvero
insolita. Gleeson, in particolare, commenta: “Sono felice
di vedere l’amicizia maschile come qualcosa di prezioso nel momento
in cui il riadattamento delle relazioni di tutti con tutti è in
fase di riconsiderazione. Il valore dell’amicizia maschile rispetto
a un bromance per me è molto profondo e pertinente in questo
momento.”
Ma anche la conversazione e la
comunicazione tra le persone è un punto cardine della storia di Gli
Spiriti dell’Isola, tanto che Colin Farrell spiega:
“Conversazione, condivisione di pensieri e sentimenti
reciproci. È un mondo così veloce che è facile affrettare i giudizi
sull’altro, siamo così veloci ora a giudicare che è facilissimo
cancellare le relazioni, anche con la cancel culture e tutte queste
cose. Ma riuscire a parlare davvero, conversare e scambiare idee in
un modo che sia tanto aperto al cambiamento della tua opinione
quanto all’essere condiviso è una cosa meravigliosa. Non credo che
è un modo di fare che morirà mai anche se è stato un po’
soppiantato dalla tecnologia.”
Gli Spiriti dell’Isola
sarà distribuito da Disney nelle nostre sale a partire dal
2 febbraio 2023.
In Gli
Spiriti dell’Isola(The Banshees of
Inisherin) Ambientato su una remota isola al
largo della costa occidentale dell’Irlanda, The Banshees of
Inisherin segue le vicende di due amici di vecchia data, Padraic e
Colm, che si ritrovano in un’impasse quando Colm decide bruscamente
di porre fine alla loro amicizia. Padraic, sbalordito, non accetta
questo rifiuto e tenta di ricucire la relazione, aiutato dalla
sorella Siobhan e da Dominic, un giovane isolano tormentato. I
ripetuti sforzi di Padraic, tuttavia, non fanno che rafforzare la
determinazione dell’ex amico e, quando Colm lancia un disperato
ultimatum, gli eventi precipitano rapidamente, con conseguenze
scioccanti.
La regista Olivia Wilde ha presentato assieme al cast
composto da Harry Styles, Florence Pugh (assente dalla conferenza
stampa), Gemma Chan e Chris PineDon’t
Worry Darling, sua seconda incursione dietro la
macchina da presa dopo Booksmart – la rivincita delle sfigate e
presentato fuori concorso a
Venezia 79. Per la prima volta dopo le numerose
controversie sorte online e circondanti la produzione del film, il
team di Don’t Worry Darling ha affrontato la
stampa mondiale che, imperterrita, ha continuato a porre domande
sul ritiro di Shia LaBeouf dal progetto e
sull’assenza di Florence Pugh dalla conferenza
stampa di oggi.
Wilde ha parlato di Florence Pugh e della sua assenza dalla
conferenza stampa di Don’t Worry Darling senza
aggiungere niente di nuovo rispetto a quanto dichiarato nei giorni
scorsi: “Florence è una forza; siamo così grati che riuscirà a
venire stasera [alla prima] nonostante stia attualmente
girando Dune”. L’attrice e regista si è poi rifiutata di rispondere
a chi suggeriva ci fossero ragioni più profonde che potessero
giustificare questa assenza. “Per quanto riguarda tutti gli
infiniti pettegolezzi e rumori dei tabloid, internet si alimenta da
solo. Non sento di dovervi contribuire. È sufficientemente ben
nutrito“.
Styles ha riconosciuto a sua volte le forze
oscure dei social media. “Ci sono molti lati negativi”, ha
detto, “sono piuttosto evidenti per chiunque. Ma è sempre
importante ricordare che ci sono anche cose positive che accadono
nel mondo grazie ad essi“.
Oltre a spendere parole preziose per
i suoi fan, che lo hanno sempre sostenuto negli ormai 10 anni di
carriera, Harry Styles ha dovuto rispondere a numerose
domande su questa sua propensione alla recitazione: “La musica
e la recitazione sono opposte per molti aspetti. Fare musica è una
cosa molto personale e ci sono aspetti della recitazione in cui si
attinge dall’esperienza, ma per la maggior parte si fa finta di
interpretare qualcun altro. È questo che trovo più divertente.
Quello che mi piace della recitazione è che mi sembra di non avere
idea di quello che sto facendo“.
Il cast ha elogiato soprattutto il
lavoro degli scenografi, come ha osservato Harry Styles: “Siamo stati fortunati ad
avere quel mondo costruito così bene intorno a noi, in modo da
poter giocare e divertirci in questa realtà, non c’era troppa
recitazione“.
Chris Pine ha concordato: “La cosa
sorprendente è che quel mondo non è poi così diverso da quella che
era la realtà qualche decennio fa; per quanto riguarda Harry, non ha dovuto sforzarsi per recitare.
Le persone che stavamo interpretando erano persone reali in un
mondo che è molto simile al nostro”, ma con uno stile esasperato
che “mostra tutte le cose belle che compongono il nostro
mondo” e che hanno anche un lato oscuro.
Chris Pine ha poi speso qualche parola in più
sul suo personaggio in Don’t
Worry Darling, Frank, il “dittatore sexy messianico”
di Instagram. “È come se fosse il mio profilo Instagram”,
ha risposto. “Tutti i leader usano l’immagine come arma. Non ho
basato Frank su nessuno, è essenzialmente un ologramma di
sensualità intessuto di un parole bellissime ma subdole“.
Secondo Olivia WildeDon’t
Worry Darling è “purtroppo molto attuale ma è
anche un film senza tempo. Non credo che ci sarà mai un momento in
cui l’idea di controllare il corpo di qualcuno non sia qualcosa di
rilevante contro cui lottare“.
Ha aggiunto: “Eravamo davvero
interessati alla natura problematica della nostalgia stessa.
Abbiamo iniziato il film nell’era delo slogan “Make America Great
Again”, mettendo in discussione il suo significato… Spero che
provochi conversazioni e faccia riflettere le persone, mettendo in
discussione i differenti sistemi a cui devono sottostare. Voglio
che sia divertente e intenzionalmente provocatorio“.
Don’t
Worry Darling segue Alice
(Pugh) e Jack (Styles)
una giovane e appartentemente felicissima coppia che vive nella
comunità idealizzata di Victory, una città aziendale sperimentale
che ospita gli uomini che lavorano per il progetto top-secret
chiamato appunto Victory e le loro famiglie.
L’ottimismo della società degli anni Cinquanta, propugnato
dall’amministratore delegato Frank
(Pine) – in egual misura visionario dell’azienda e
life coach motivazionale – sostiene ogni aspetto della vita
quotidiana nell’affiatata utopia del deserto.
Mentre i mariti trascorrono ogni
giorno all’interno del quartier generale del Victory
Project, lavorando allo “sviluppo di materiali avanzati”,
le loro mogli – tra cui l’elegante compagna di
Frank, Shelley
(Chan) – passano il tempo a godersi la bellezza,
il lusso e la dissolutezza della loro comunità. La vita è perfetta,
con tutti i bisogni dei residenti soddisfatti dall’azienda. Tutto
ciò che chiedono in cambio è discrezione e impegno indiscusso per
la causa di Victory. La prima del film sarà questa sera, 5
settembre, alla
Mostra del Cinema di Venezia 2022.
Recentemente tornato alla ribalta
per aver interpretato Henry Creel/Uno/Vecna nella quarta stagione
di Stranger
Things, l’attore Jamie Campbell
Bower ha inizialmente ottenuto popolarità
interpretando Gellert Grindelwald in Harry Potter e i Doni della
Morte – Parte 1 e Parte 2, e poi dando
vita al vampiro Caius nei film New Moon, Breaking Dawn – Parte 1 e
Parte 2, facenti parte
della saga di Twilight. Bower ha però di recente rivelato
che proprio in queste due saghe avrebbe dovuto avere dei ruoli
molto diversi da quelli poi effettivamente interpretati.
Intervistato durante il podcast
Happy, Sad, Confused, l’attore ha raccontato
dell’audizione sostenuta per il ruolo principale della saga
cinematografica basata sulle opere di JK Rowling, ovvero quello di
Harry Potter stesso. “Incontrai Chris Columbus a Londra per il
primo Potter e mi chiese di preparare una battuta. Avevo appena
sentito questa barzelletta sul motivo per cui la fata si siede in
cima all’albero di Natale. È una battuta davvero sporca, perché
parla di un albero di Natale che sta nel sedere di qualcuno. Feci
l’errore di raccontare la barzelletta durante l’audizione. Rimasero
tutti zitti e io pensai: ‘Beh, questa ce la siamo
giocata.”
Diversamente andò invece per
Twilight, dove lo si voleva inizialmente per la parte di
Edward, poi andata a Robert
Pattinson. “Quelli di Twilight invece
erano molto interessati a farmi leggere per la parte di Edward.
– ha raccontato l’attore – All’epoca non riuscii a farlo
perché le riprese ebbero luogo più o meno nello stesso periodo in
cui stavo facendo Sweeny Todd. Penso che la vita fosse così folle e
frenetica che era solo una di quelle cose che non si sono mai
realizzate. Poi è arrivato il momento di fare il sequel e mi hanno
chiamato dicendomi: ‘Ehi, vuoi venire a interpretare un
cattivo?'”. Interpretando Caius, Bower ha da quel momento
potuto costruirsi una carriera come un convincente attore di
villain.
Con Thor: Love and Thunder in
arrivo su Disney+ l’8 settembre,
una nuova scena eliminata è stata rivelata e protagonisti di questa
sono Thor (Chris
Hemsworth), Jane (Natalie
Portman) e, in modo ancor più decisivo, Zeus (Russel Crowe).
Questa scena presenta una versione alternativa di un momento molto
toccante tra Thor e Jane in ospedale. I due, tuttavia, vengono
interrotti quando si rendono conto che Zeus stesso è in piedi
dietro di loro a mangiare un gelato. In contrasto con lo Zeus che i
fan hanno visto nel montaggio definitivo del film, qui il
personaggio sembra essere commosso dalla vicenda tra Jane e Thor e
si offre di aiutare il Dio del tuo, dicendogli che ha qualcosa di
speciale per lui.
Dal momento che non è stato fornito
alcun contesto aggiuntivo sulla scena eliminata, rimane in dubbio
cosa avesse in serbo esattamente Zeus per Thor. Alcuni hanno
ipotizzato che il dio greco intendesse dare a Thor il suo
leggendario Fulmine, piuttosto che farselo rubare come avviene nel
film. La scena eliminata offre però anche un lato più umano e
comprensivo di Zeus, che nel film appare invece come arrogante e
amareggiato nei confronti degli altri protagonisti. Il dio greco
interpretato da Crowe si è affermato come uno dei personaggi più
apprezzati del film e le rivelazioni offerte da questa scena
tagliata portano a chiedersi se non ci sia altro di lui rimasto
fuori dal film.
Oltre a questa versione alternativa
del personaggio di Zeus, sappiamo però dell’esistenza di materiale
tagliato realitivo dio greco Dioniso interpretato da
Russell Beale, come anche di altri personaggi
significativi quali The Grandmaster di Jeff Goldblum e
l’introduzione di Lena Headey
(Il Trono di Spade) in un ruolo non specificato. Tuttavia,
ad oggi non è noto se in futuro verranno rilasciate anche altre
scene eliminate da Thor: Love and Thunder.
L’ultimo film ad ora uscito della
saga di James Bond, No Time To
Die ha concluso l’avventura di Daniel Craig
nei panni dell’amato agente 007. Mentre si cerca di scoprire chi
raccoglierà questa pesante eredità, assumendo i panni del
personaggio ideato dallo scrittore Ian Fleming,
una nota attrice dell’ultimo film ha lasciato aperta la porta ad un
suo possibile ritorno anche nei prossimi lungometraggi della saga.
Si tratta della francese Lea Seydoux, che ha
recitato nei panni di Madeleine Swann nei film
Spectre e, appunto,
No Time To Die. Le dichiarazioni che seguono, rilasciate
dall’attrice, contengono uno spoiler
particolarmente importante sul finale dell’ultimo film. Se non si è
ancora visto questo, è bene evitare di continuare la lettura.
Nel corso di un’intervista con
Deadline, la Seydoux ha fatto notare come il finale di No Time
to Die lasci la porta aperta affinché possa riprendere il suo
personaggio nonostante il suo James Bond si sia ritirato dal
franchise. “Dopotutto, non sono morta”, ha spiegato
l’attrice. “E’ morto James, non Madeleine. Quindi, chissà?
Forse tornerò. È come una fake news, giusto? Ma se siamo seri per
un momento, Madeleine se ne va con sua figlia proprio alla fine
perché James li ha salvati. Ci sarà un nuovo Bond perché quello di
Daniel è morto, ma chi può dire che Madeleine non
tornerà?”.
Ad oggi non ci sono notizie di alcun
genere sul prossimo film della saga, se non ché, come affermato
dalla produttrice Barbara Broccoli, sarà una
completa reinvenzione del personaggio di Bond. Potrebbero dunque volerci anni
prima che qualcosa a riguardo venga confermato, a partire dal nuovo
interprete che assumerà i panni del personaggio. Ciò che sappiamo,
però, è che nel futuro della saga potrebbe ancora esserci posto per
Madeleine, un personaggio molto amato dai fan.
Quando si pensa ai compositori di
colonne sonore per il cinema, il primo nome che viene in mente è
senza ombra di dubbio quello di John Williams.
Autore delle musiche di film del calibro di Lo squalo, E.T. –
L’extraterrestre, Guerre Stellari, Indiana Jones,
Schindler’s List e innumerevoli altri, Williams è anche una
delle personalità più premiate di sempre, basti pensare ai suoi 5
Oscar su 52 candidature. Ancora oggi egli continua ad impreziosire
numerosi lungometraggi con le sue meravigliose musiche e il
prossimo film in cui si potranno ascoltare le sue nuove
composizioni è l’atteso Indiana Jones
5.
Ancora senza un titolo ufficiale, il
film sarà il quinto capitolo nella serie di Indiana Jones.
Harrison Ford
riprenderà nuovamente il ruolo dell’iconico avventuriero, mentre
accanto a lui ci saranno Mads Mikkelsen e
Phobe
Waller-Bridge, con dei ruoli ancora non rivelati.
Anche se atteso in sala per il 2023, il film inizia piano piano a
svelare sempre qualcosa di più su sé stesso. Un nuovo dettaglio a
riguardo l’ha rivelato proprio Williams, il quale nel corso di un
suo concerto al Hollywood Bowl ha eseguito il brano
Helena’s Theme, relativo dunque al
personaggio interpretato dalla Waller-Bridge.
“Stavo chiacchierando con il
nostro meraviglioso regista James Mangold. –
ha annunciato Williams nel corso del concerto – Mentre
registravamo la musica, Jim ha detto: ‘Perché non la suoni al Bowl
la prossima settimana?’ Ho detto: ‘Beh, Jim, il film non uscirà
prima del prossimo anno.’ “Non importa! Suonala al Bowl!” Quindi,
ecco a voi il tema di Phoebe”. Il video dell’esecuzione poi
diffuso online ha permesso anche a chi non era presente di poter
ascoltare il brano, il quale descrive in musica il personaggio di
Helena. Questo è stato anticipato come “un’avventuriera” e
“una femme fatale”, e Williams ha aggiunto che il suo tema
include “musica lirica come per una vecchia star del cinema, a
cui assomiglia”.
C’è grande attesa per il film
Halloween Ends, il capitolo conclusivo
della nuova trilogia dedicata al celebre assassino Michael Myers.
Dopo Halloween e Halloween Kills, questo
terzo film è ora atteso in sala il 20 ottobre. Nel
preparare i fan a tale lungometraggio horror, il regista
David Gordon Green ha svelato i tre film a cui si
è maggiormente ispirato per concludere questa sua trilogia. Come
noto, questa ha totalmente ignorato i precedenti sequel e remake
per dar vita invece a dei sequel diretti del primo
Halloween, diretto nel 1978 da John
Carpenter.
Riprendendo la trama 40 anni dopo,
si ritrova dunque Laurie Strode (interpretata come sempre da
Jamie Lee
Curtis) chiamata a confrontarsi nuovamente con il suo
acerrimo nemico, con in più l’obiettivo di proteggere sua figlia
Karen e la nipote Allyson. Per il gran finale, Green ha ora
dichiarato di essersi ispirato a due horror e, inaspettatamente, ad
una commedia per famiglie. I film in questione sono
Christine – La macchinainfernale, l’horror del 1983 diretto da
Carpenter e basato sull’omonimo romanzo di Stephen
King, Butcher, Baker, Nightmare Maker, lo
slasher del 1981 di William Asher e la commedia
del 1980 MyBodyguard,
di Tony Bill.
L’essenza della storia di
quest’ultimo riguarda lo scoprire la propria forza interiore e
imparare a resistere ai propri antagonisti. Non bisogna dunque
aspettarsi che Halloween Ends acquisisca toni comici, ma è
più probabile che il regista abbia preso spunto a livello tematico,
in particolare per quanto riguarda My Bodyguard, per
mostrarci una Laurie Strode che trova la forza e il modo di opporsi
al suo rivale di lunga data, magari tirando fuori aspetti di sé
ancora inesplorati. Per scoprire in che modo la storia si
concluderà, non resta dunque che attendere il 20 ottobre, magari
recuperando prima di quel momento i tre film citati dal
regista.
Atteso in sala per il 3
novembre 2023, il del Marvel Cinematic UniverseBladeha
finalmente una data precisa di inizio e fine riprese. Queste si
svolgeranno infatti dal 5 ottobre fino al
28 gennaio 2023. Tra le location ad ora annunciate
vi sono Atlanta, New Orleans, Cleveland, e il Marocco. Come noto,
il film introdurrà nel MCU il personaggio del vampiro
Blade,
che sarà interpretato dal due volte premio Oscar Mahershala Ali.
Si tratta di uno dei progetti più attesi della Fase 5, sia per
il suo tono tendente all’horror sia per i notevoli cambiamenti
narrativi che il progetto potrebbe apportare all’interno universo
cinematografico della Marvel.
Diretto da Bassam
Tariq, del film si sa ancora molto poco se non che
esplorerà la natura del personaggio, un vampiro in grado di
camminare alla luce del sole che usa i suoi poteri per dare la
caccia ai suoi simili malvagi. Il personaggio era già stato
raccontato al cinema con i film Blade, Blade II e Blade: Trinity, dove ad
interpretare il personaggio vi era l’attore Wesley Snipes.
La scelta di Ali per assumere ora tale ruolo sembra aver messo d’accordo
tutti, con l’attore indicato perfettamente idoneo sia a livello
estetico che di carisma.
Il Blade di
Ali, come noto, ha già avuto un suo piccolo ingresso nell’MCU. Sua è infatti la voce che si
può ascoltare nella scena post titoli di coda del film Eternals, quella in cui
compare anche l’attore Kit Harington e
la celebre Lama d’Ebano, che a sua volta sembra comparirà in
Blade.
Con il periodo di riprese annunciato, è solo questione di tempo
prima che inizio ad arrivare ulteriori notizie sul film, sia per
quanto riguarda il cast sia per quanto riguarda il look del
protagonista e dell’opera in sé.