Arriva finalmente nelle
sale italiane The Woman King, l’atteso film
con
Viola Davis protagonista, qui comandante
dell’esercito africano delle Agojie, composto da
sole donne e che operò nell’Africa Occidentale del 1823. Con questa
pellicola, la regista Gina Prince-Bythewood
conferma di voler restituire al pubblico opere che esplorino il
passato ma non si dimentichino delle preoccupazioni dell’attuale
secolo, proprio come ha fatto con The Old Guard
(2020), una gradita reinterpretazione della formula del
cinecomic.
The Woman King: la storia delle
Agojie
Quella di The Woman
King si presenta come
un’epopea storica ispirata a eventi realmente accaduti nel
Regno del Dahomey, uno degli Stati più potenti dell’Africa nel
XVIII e XIX secolo. La trama del film segue
Nanisca (Davis), generale
dell’unità militare tutta al femminile, e Nawi
(Thuso Mbedu), ambiziosa recluta.
Insieme hanno combattuto contro i nemici che hanno violato il loro
onore, ridotto in schiavitù il loro popolo e minacciato di
distruggere tutto ciò per cui avevano vissuto.
Avventurandosi nella storia di
questo peculiare esercito, il film ci mostra una serie di
esperienze preziose, in cui spiccano i temi dell’eroismo, servizio,
disciplina, leadership, amicizia e lealtà. Incontriamo l’ambiente
di addestramento e di reggimento delle Agojie,
donne che danno il massimo per i principi speciali di questa unità
d’élite, fedele al re e alla sua leadership interna, in
un’atmosfera di continua motivazione, di rigida disciplina, di
partecipazione diretta dei comandanti che insegnano con l’esempio e
la loro presenza in prima linea nell’azione. Queste donne vivono a
palazzo, in quanto fungono da guardia personale del re, dove sono
isolate dalla vita normale della popolazione e da qualsiasi tipo di
relazione amorosa. Si addestrano per il combattimento corpo a
corpo, pronte a sconfiggere i nemici sui campi di battaglia
adiacenti ai villaggi, alle giungle e ai campi, senza mai
concedergli tregua.

Un film dall’intenzione
incerta
Sebbene The Woman
King utilizzi la sua consapevolezza di genere come prova
della sua originalità, finisce per poggiarsi sugli stessi cliché di
titoli dallo stesso respiro, tra cui
Braveheart e
Il Gladiatore – indubbiamente rivoluzionari al
loro tempo. Pur rendendo omaggio e facendo conoscere alla gran
maggioranza del pubblico occidentale le guerriere Agojie, continua
a non sapere se preferisce funzionare come film d’azione o
esplorare temi profondi quali la schiavitù, il colonialismo o le
violenze e sevizie a cui le donne erano sottoposte.
Il punto di forza del film sono
sicuramente le sequenze di combattimento, che enfatizzano come
queste guerriere lottino per esorcizzare i traumi che si portano
dietro in quanto donne in un periodo e luogo a loro sfavorevole,
tratto che conferisce a questi frangenti una componente
indubbiamente catartica. È un peccato, quindi, che il film sia
molto più intento ad accumulare sottotrame di vendetta, storie di
amore proibiti e parenti perduti improbabilmente ritrovati, che
spingono il film in territorio melodrammatico. La lacuna maggiore
di The Woman King è che non si preoccupa di
approfondire la storia delle Agojie quanto avremmo voluto, né di
mettere loro in bocca qualcosa in più di aforismi e discorsi
motivazionali: il film è così impegnato a sottolinearne la loro
rilevanza simbolica che dimentica di renderle interessanti.
The Woman King non
cerca di mettere in discussione la mascolinità del genere, ma si
limita a sostituire i Leonida dell’epoca con donne
iper-mascolinizzate. Adotta i principi di forma di
300, un film che ha cambiato il modo di
rappresentare i corpi maschili al cinema, ma viene da domandarsi
se, così facendo, riesca davvero a portare una prospettiva diversa
nel genere.
Viola Davis, il cui approccio poderoso alla
recitazione l’ha portata ad incarnare personaggi caparbi senza mai
rinnunciare alla propria femminilità, sembra prostarsi al servizio
di un action-movie beffardo, che si presenta come inno femminista
ma non fa che invertire la fantasia virile dei nostalgici del
testosterone anni ’80, quella che film come American
Psycho si sono divertiti a sovvertire.

I punti di forza di The Woman
King
La fotografia e il design della
produzione sono certamente due elementi di punta di The
Woman King, che ne evidenziano la portata epica con cui
vuole imporsi sullo schermo. Non meno di rilievo sono le
interpretazioni: Thuso Mbedu, Lashana
Lynch, Sheila Atim, interpreti delle
Agojie, alzano i loro bastoni, scudi, fucili e coltelli per
difendere se stesse e tutto ciò a cui tengono e che è stato loro
sottratto per anni. Corrono, saltano e attaccano con movimenti
decisi, calcolati, rapidi e feroci. Improvvisamente, siamo con
loro: la loro energia risucchia certamente lo spettatore e
garantisce una visione quantomeno intrattenitiva.
In definitiva, la storia delle
nazioni africane, così ricca di episodi, di epopee, di contrasti
tra coraggio, trionfo, umiliazione e sfruttamento, finisce per
essere raccontata sotto le influenze di un passato molto complesso
e di visioni in costruzione non ancora sufficientemente strutturate
e culturalizzate: storie come quella delle donne Agoji, del loro
mitico comandante e dei loro giovani guerrieri, aiutano in qualche
modo a sanare il passato e a sognare un futuro migliore.
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