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Avatar 2: ecco Kate Winslet sott’acqua con la tuta del mocap

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Avatar 2: ecco Kate Winslet sott’acqua con la tuta del mocap

Una nuova foto dal backstage di Avatar 2 ci mostra Kate Winslet impegnata a realizzare una sequenza sott’acqua. Il tanto atteso sequel del blockbuster di fantascienza di James Cameron è stato rimandato numerose volte nel corso degli anni: ad oggi l’uscita in sala è fissata per dicembre 2022. Ciò significa che, tra due anni, saranno passati 13 anni esatti tra il primo Avatar e il primo sequel; resta quindi da vedere se questo lungo divario avrà un impatto sulle prestazioni del franchise al box office.

Indipendentemente da ciò, c’è comunque un palese interesse nel modo in cui Cameron continuerà la storia di Jake Scully (Sam Worthington), Neytiri (Zoe Saldana) e gli altri abitanti di Pandora. I dettagli sulla trama di Avatar 2 non sono ancora stati svelati, ma sappiamo che Jake e Neytiri avranno una famiglia che dovranno proteggere. Proprio per questo, la coppia viaggerà verso gli oceani di Pandora e incontrerà il clan marino chiamato Metkayina, guidato dalla new entry del franchise Cliff Curtis, nei panni di Tonowari. È lì che troveranno anche Ronal, il Na’vi interpretato da Winslet. Non sono stati rivelati ancora molti dettagli sul personaggio dell’attrice premio Oscar, ma i fan hanno già avuto modo di vederla sul set in alcune foto rilasciate in precedenza.

E proprio Kate Winslet è la protagonista dell’ultima immagine dal dietro le quinte del film, diffusa attraveros l’account Twitter ufficiale della saga di Avatar. Nello scatto, Winslet è completamente sommersa dall’acqua e indossa l’ormai celebre tuta per il motion capture. La cosa più interessante è che sembra che il suo personaggio abbia le ali o, almeno, indossi una specie di mantello.

Nella didascalia che ha accompagnato l’immagine, è stato riportata una dichiarazione di Winslet fatta a THR: “Ho dovuto imparare ad immergermi in apnea per interpretare quel ruolo in Avatar, ed è stato semplicemente incredibile. Il mio respiro più lungo è stato di sette minuti e 14 secondi, come una cosa da pazzi”. Potete ammirare la foto di seguito:

Avatar 2 debutterà il 17 dicembre 2021, seguito dal terzo capitolo il 22 dicembre 2023. Per il quarto e quinto capitolo, invece, si dovrà attendere ancora qualche anno: 19 dicembre 2025 17 dicembre 2027.

Il cast della serie di film è formato da Kate WinsletEdie FalcoMichelle YeohVin Diesel, insieme ad un gruppo di attori che interpretano le nuove generazioni di Na’vi. Nei film torneranno anche i protagonisti del primo film, ossia Sam WorthingtonZoe SaldanaStephen LangSigourney WeaverJoel David MooreDileep Rao e Matt Gerald.

Chicago Fire 9×01: anticipazioni dall’episodio

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Chicago Fire 9×01: anticipazioni dall’episodio

Il network americano NBC ha diffuso le anticipazioni di Chicago Fire 9×01, il primo episodio dell’attesa nona stagione di Chicago Fire.

In Chicago Fire 9×01 che si intitolerà “Rattle Second City” Nella premiere della stagione 9, Firehouse 51 accoglie un nuovo membro nel team, la cui presenza potrebbe fornire alcune complicazioni. La leadership di Brett brilla durante una chiamata spaventosa. Boden vede un grande potenziale in Kidd e propone un’idea che potrebbe avere ripercussioni durature.

Chicago Fire 9×01

Chicago Fire 9 è la nona stagione di Chicago Fire, la serie creata da Michael Brandt e Derek Haas e prodotta da Dick Wolf per la NBC.

Nel cast di Chicago Fire 9 ritorneranno i personaggi Matthew Casey (stagione 1-in corso), interpretato da Jesse Spencer, Tenente del Camion 81. Quando non è di turno, lavora nel suo business di costruzione. Nella prima stagione è fidanzato con la tirocinante di medicina Hallie Thomas ma successivamente la ragazza lo lascia. Torna alla fine della stagione nel quale i due riprendono la relazione, fino a quando Hallie non rimane uccisa nell’incendio della clinica in cui lavorava. Nella seconda stagione si fidanza ufficialmente con Gabriela Dawson. Diventerà consigliere del quartiere, sotto incoraggiamento di Dawson.

Kelly Severide (stagione 1-in corso), interpretato da Taylor Kinney, tenente della Squadra di Soccorso 3. Ha vissuto insieme a Leslie Shay, sua migliore amica. È un “don Giovanni”. Nella prima stagione soffre di dolori alla spalla, che terrà sotto controllo prendendo antidolorifici senza prescrizioni. Soltanto alla fine della stagione si deciderà ad affrontare il problema e a farsi operare. Nella terza stagione si sposa a Las Vegas, ma dopo pochi mesi di relazione i due si lasciano; nonostante questo, la donna, aiuta Kelly a superare il trauma pe la morte di Shay. Nella quinta stagione, Kelly si metterà in testa di aiutare una donna malata di leucemia, facendo di tutto per donare il suo midollo osseo. Gabriela Dawson (stagione 1-in corso), interpretata da Monica Raymund, paramedico nell’Ambulanza 61 e amica di Leslie Shay. Successivamente seguirà il corso per diventare vigile del fuoco. Ha una relazione con Peter Mills nella prima stagione. Nella seconda stagione si fidanza con Matthew Casey di cui successivamente rimarrà incinta, ma nella quarta stagione perde il bambino. Successivamente prenderà in affido un bambino salvato da un incendio, Louie.

Comandante Wallace Boden (stagione 1-in corso), interpretato da Eamonn Walker, è il Comandante della Caserma 51. È molto autorevole e ha la mano ferma, ma è sempre in prima linea quando si tratta di difendere i suoi uomini. È divorziato e ha un figliastro che non vede da anni. Nella seconda stagione si sposa con Donna Robins da cui poi avrà un figlio, Terrence. Ha avuto una relazione con la madre di Peter Mills.Christopher Herrmann (stagione 1-in corso), interpretato da David Eigenberg, Vigile del fuoco del Camion 81. È sposato e ha 5 figli. Insieme a Dawson e Otis ha un locale, il Molly’s. Brian “Otis” Zvonecek (stagione 1-in corso), interpretato da Yuri Sardarov Vigile del fuoco del Camion 81. Ha avuto una relazione con la sorellastra di Kelly Severide. Ha abitato con Leslie Shay e Kelly Severide. Joe Cruz (stagione 1-in corso), interpretato da Joe Minoso, Vigile del fuoco del Camion 81. Ha avuto una relazione con Zoya, la cugina di Otis, arrivando anche a chiederle di sposarlo ma lei lo lascia tornando in Russia. È coinquilino di Otis e ha avuto una relazione con Sylvie Brett. Randy “Mouch” McHolland (stagione 1-in corso), interpretato da Christian Stolte, Vigile del fuoco del Camion 81. Si sposerà con il sergente Trudy Platt di Chicago P.D..

Chicago PD 8×01: anticipazioni dall’episodio

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Chicago PD 8×01: anticipazioni dall’episodio

Il network americano della NBC ha diffuso le anticipazioni di Chicago PD 8×01, il primo episodio dell’annunciata ottava stagione di Chicago PD.

In Chicago PD 8×01 che si intitolerà  “Fighting Ghosts” La squadra risponde alla sparatoria di una bambina di 5 anni e deve lavorare sul caso affrontando nuovi ostacoli che derivano dalla maggiore attenzione alla riforma della polizia. Atwater è preso di mira da un gruppo di agenti che vogliono ferirlo per essersi fermato contro il muro blu. Voight si domanda se è tagliato per una nuova forma di polizia mentre gestisce la supervisione del vice sovrintendente del CPD.

Chicago PD 8×01

Chicago PD 8 è l’ottava stagione della serie tv Chicago PD creata da Dick Wolf e che fa parte del franchise televisivo basato su Chicago trasmesso dal network americano NBC.

In Chicago PD 8 ritorneranno i personaggi Henry “Hank” Voight (stagioni 1-in corso), interpretato da Jason Beghe è il capo dell’Unità Intelligence del Dipartimento di Polizia di Chicago. Voight è un poliziotto tosto che finisce sempre quello che comincia, anche se significa non rispettare le regole. La sua squadra lo rispetta, anche se è sospettato di essere corrotto. Il suo defunto padre era un agente di polizia, proprio come lui. È rimasto vedovo di sua moglie, Camille. Jay Halstead (stagioni 1-in corso), interpretato da Jesse Lee Soffer, è un membro dell’Intelligence, e partner del Detective Erin Lindsay, che in seguito diventerà la sua fidanzata. È stato un Ranger dell’Us Army. È uno dei pochi che occasionalmente si oppone a Voight, trovando i suoi metodi troppo discutibili, ma nonostante tutto tra i due vige un forte rispetto reciproco. Adam Ruzek (stagioni 1-in corso), interpretata da Patrick John Flueger, è il partner del Detective Alvin Olinsky. Voight chiese ad Alvin di assumere un agente dall’accademia, e lui scelse Adam vedendo in lui un grande potenziale.

Kevin Atwater (stagioni 1-in corso), interpretato da LaRoyce Hawkins, è l’ex partner dell’agente Kim Burgess, promosso all’Intelligence. Nonostante sia cresciuto in un brutto quartiere, è un ragazzo onesto con un forte senso del dovere. Kimberly “Kim” Burgess (stagioni 1-in corso), interpretata da Marina Squerciati, è l’ex partner dell’agente Kevin Atwater ed è fidanzata con l’Agente Adam Ruzek. Prima di diventare un agente di polizia, era un’assistente di volo. Sergente Trudy Platt (stagioni 1-in corso), interpretata da Amy Morton, Sean Roman (stagioni 2-3, guest 7), interpretato da Brian Geraghty, Hailey Upton (ricorrente stagione 4, stagioni 5-in corso), interpretata da Tracy Spiridakos, Detective dell’unità rapine-omicidi, quando lavorerà insieme all’Intelligence in un caso di rapine in banca si unirà temporaneamente alla squadra sostituendo Kim la quale si era presa una pausa dal lavoro, per poi diventare un membro ufficiale del team in seguito alla partenza di Erin. Vanessa Rojas (stagione 7), interpretata da Lisseth Chavez, agente sotto copertura, è afro-latina, si unisce nell’Intelligence al posto del dimissionario Antonio Dawson. Quando era giovane ha vissuto in diverse case-famiglia, inoltre, prima di diventare un poliziotto, si metteva nei guai con la legge. È intelligente, ma anche impulsiva.

Fantastici Quattro: Doug Jones tornerebbe nei panni di Silver Surfer

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I Fantastici 4 e Silver Surfer, uscito nel 2007, è stato l’ennesimo passo falso della Fox con le proprietà dei Marvel Studios, nonostante la maggior parte dei fan abbia risposto bene alla versione di Silver Surfer ad opera di Doug Jones e Laurence Fishburne: quest’ultimo ha infatti doppiato il personaggio nella versione originale, mentre il primo ha fornito i movimenti di Norrin Radd.

Considerato il modo in cui la motion capture si è evoluta nel corso degli anni, è improbabile che saranno ancora necessari due attori distinti quando Silver Surfer farà finalmente il suo debutto nell’Universo Cinematografico Marvel. Per quel che può valere, Jones sarebbe interessato a tornare nei panni del brillante araldo di Galactus ed universi al MCU, come rivelato dallo stesso attore di Hellboy in una recente intervista.

“Se volessero riportare Silver Surfer al cinema, se me lo offrissero, coglierei l’occasione al volo”, ha dichiarato Doug Jones a ComicBook. “Mi piaceva interpretarlo. Era così eroico e angelico… quasi simile ad un Dio. È il tipo di supereroe che voglio essere nella mia vita reale. È bellissimo. Aveva il miglior sedere che abbia mai avuto in un film. Quindi se potessi interpretarlo di nuovo, coglierei al volo l’occasione, certo!”

I piani della Marvel con Silver Surfer

Nonostante sia bello sentire queste parole da Jones, è improbabile che la cosa diventi realtà. I Marvel Studios probabilmente assumeranno una star di serie A per interpretare Silver Surfer, anche se al momento non sappiamo nemmeno se il personaggio farà mai il suo debutto nell’universo condiviso.

I piani della Casa delle Idee sulla prima grande famiglia di supereroi della Marvel sono ancora avvolti nel mistero, quindi fare ipotesi al momento è soltanto pretenzioso. Lo scorso anno si era parlato di un possibile film interamente dedicato al villain, ma da allora non ci sono stati più aggiornamenti.

Iron Man 3: il vero motivo dietro la creazione della Iron Legion

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Iron Man 3: il vero motivo dietro la creazione della Iron Legion

Un nuovo report di Screen Rant chiarisce finalmente la vera ragione per cui Tony Stark (Robert Downey Jr.) ha deciso di creare la Iron Legion in Iron Man 3. Dopo il successo di The Avengers, i Marvel Studios hanno dato il via alla Fase 2 del MCU proprio con il film di Shane Black. Nel terzo e ultimo film in solitaria dell’eroe inaugurale dell’universo condiviso, Iron Man ha affrontato un disturbo post-traumatico da stress dopo la sua esperienza di pre-morte durante la battaglia di New York.

Iron Man 3 è uno dei pochi film del MCU incentrato esclusivamente sul personaggio principale, senza che la storia si impantanasse con gli sforzi di costruzione di un universo più ampio. Nel film vediamo Tony Stark contro Aldrich Killian (Guy Pearce), che ha usato il falso Mandarino (Ben Kingsley) per alimentare la paura. Oltre a combattere contro un tradizionale cattivo dei fumetti, il genio miliardiario ha anche lottato personalmente con uno stress post-traumatico. Come conseguenza, iniziò ad essere ossessionato dal tentativo di proteggere le persone a lui più care. L’ipotesi generale è che questo sia stato il motivo che lo abbia spinto a creare la Iron Legion, ma oggi scopriamo che non è andata proprio così…

Nel libro The Wakanda Files viene rivelata la vera motivazione per cui Tony ha deciso di creare dozzine di armature Iron Man controllate a distanza. Mentre l’eroe inaugurale del MCU rifletteva sugli eventi della Battaglia di New York e sulla devastazione che aveva lasciato sulla città, ha avuto l’idea che potesse aiutare a ridurre al minimo le vittime civili nel caso in cui in futuro si verificasse un’altra battaglia ambientata nella città metropolitana. Questo lo portò ad “attivare e assegnare una Legione di Ferro alla causa dei Vendicatori”; con l’uso dell’automazione, Tony ha predetto di essere in grado di inventare una dozzina di costumi in almeno una settimana, e all’epoca dei fatti narrati in Iron Man 3, aveva 35 armature volanti. Tony ha anche incaricato JARVIS (Paul Bettany) di “controllare a distanza alcune unità individualmente, secondo necessità”, il che spiega perché l’I.A. aveva accesso a diverse unità come si vede nel film.

Tony Stark e l’ossessione per la creazione della Iron Legion in Iron Man 3

Tony voleva anche utilizzare la Iron Legion come supporto se i Vendicatori avessero mai  dovuto affrontare un enorme esercito come hanno fatto in The Avengers. Mentre i Chitauri erano abbastanza facili da abbattere, gli eroi facevano fatica a contenerli perché erano ridicolmente sopraffatti e inferiori a livello numerico. Riconoscendo questo come un margine di miglioramento, Iron Man pensava che una serie di armature specializzate potesse aiutarli. Oltre ad essere un’estensione fisica per i Vendicatori, Tony pensava che la Iron Legion potesse aiutare con la diffusione delle informazioni, utilizzando le tute “per comunicare in modo efficace, in modo che non ci fosse alcuna disinformazione”.

Vale la pena notare che questo non era l’unico progetto di Tony dopo la Battaglia di New York; come rivelato in Spider-Man: Homecoming, ha anche collaborato con il governo degli Stati Uniti per creare il Department of Damage Control (D.O.D.C.), che ha assunto la direzione della pulizia della città.

Questa nuova informazione proveniente da The Wakanda Files evidenzia quanto fosse stato proattivo Iron Man quando si occupava di potenziali minacce sulla Terra. Anche dopo che la squadra di supereroi si è sciolta in Captain America: Civil War, ha continuato a lavorare da solo, rimanendo impegnato nella loro causa in qualità di difensori della Terra. Tutto ciò sembra anche contraddire direttamente ciò che è stato precedentemente rivelato, ossia la ragione principale alla base della creazione della Iron Legion. Tony ha detto esplicitamente a Rhodey/War Machine (Don Cheadle) in Iron Man 3 che pensava che non fossero sufficienti “per quello che sta arrivando”, un riferimento alla sua premonizione di un altro attacco extraterrestre che alla fine è avvenuto in Avengers: Infinity War.

James Gunn difende Suicide Squad di David Ayer

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James Gunn difende Suicide Squad di David Ayer

James Gunn, regista dell’attesissimo The Suicide Squad, ha finalmente parlato del film di David Ayer uscito nel 2016, difendendolo a spada tratta. Il cinecomic di Ayer, lo sappiamo, ha dovuto affrontare una serie di problematiche fin dalla fase di riprese, con la Warner Bros. che ha costretto il regista ad apportare una serie di modifiche sostanziali alla versione originale del film.

Il tagli effettuati durante il montaggio hanno restituito un film dalla trama confusa e poco attento alla psicologia dei personaggi; insomma, un prodotto profondamente diverso da quello che Ayer aveva inizialmente concepito. Tuttavia, nonostante l’accoglienza negativa da parte della critica e di alcuni fan, il film ha comunque incassato 746 milioni di dollari al box office mondiale. Diversi mesi dopo, sulla scia di quanto accaduto con la Snyder Cut di Justice League, David Ayer ha confermato di essere intenzionato a rilasciare il taglio originale del suo Suicide Squad, anche se al momento non sappiamo quali siano le intenzione della Warner in merito.

Prima ancora dell’uscita di Suicide Squad nelle sale, un sequel era già stato messo in cantiere, con Ayer che sarebbe dovuto tornare dietro la macchina da presa, ma che ha poi deciso di abbandonare la regia per dedicarsi a Gotham City Sirens (progetto DC finito, ad oggi, nel dimenticatoio). Con gli anni, soprattutto sulla scia dell’insuccesso del primo film, il sequel è diventato una sorta di riavvio, con James Gunn che è stato incaricato dalla WB di occuparsi della regia.

James Gunn su David Ayer: “Ha scelto attori fantastici con cui lavorare”

The Suicide Squad di James Gunn promette un approccio totalmente diverso alla Task Force X, ma ciò non ha impedito al “papà” del franchise di Guardiani della Galassia di prendere le difese del primo Suicide Squad ad opera di David Ayer. In un’intervista con Empire, infatti, Gunn ha lodato la scelta del cast e ha riconosciuto che il prodotto finale non era quello che Ayer aveva in mente.

“David Ayer ha avuto dei problemi con quel film”, ha spiegato Gunn. “So che non è venuto fuori come David voleva che uscisse. Ma ha fatto una cosa davvero, davvero grandiosa: ha scelto attori fantastici con cui lavorare. Ha affiancato questi attori nella costruzione dei loro personaggi in un modo davvero profondo, senza paura. È qualcosa per cui David merita sicuramente di essere lodato, ed è sicuramente qualcosa che traspare nel film.”

Il cast ufficiale di The Suicide Squad comprende i veterani Margot Robbie (Harley Quinn), Viola Davis (Amanda Waller), Joel Kinnaman (Rick Flag) e Jai Courtney (Captain Boomerang), insieme alle new entry Idris ElbaMichael RookerNathan FillionTaika WaititiJohn CenaPeter Capaldi, Sean Gunn, David Dastmalchian Storm Reid. Nel film reciteranno anche Pete Davidson, Juan Diego Botto, Joaquin Cosio, Flula Borg, Tinashe Kajese, Jennifer Holland, Julio Ruiz, Alice Braga, Steve Agee e Daniela Melchior.

Spider-Man 3: Tom Holland ha ricevuto la sceneggiatura!

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Dopo essere apparso nei panni di Nathan Drake nella prima foto di Uncharted, Tom Holland torna sui suoi social per annunciare di essere finalmente in possesso della sceneggiatura di Spider-Man 3.

Nelle sue stories di Instagram, l’attore ha informato che in questo momento si trova a casa sua ad Atlanta e lì ha ricevuto un pacco, dentro a quel pacco c’era un iPad, e su quell’iPad una sceneggiatura, proprio quella di Spider-Man 3. L’attore ha detto che non avrebbe rivelato niente perché “ho imparato la lezione”, ma ha detto che non vede l’ora di scoprire cosa succederà al suo eroe nella sua terza avventura.

Cosa sappiamo di Spider-Man 3?

Di Spider-Man 3 – che arriverà al cinema il 17 Dicembre 2021 – si sa ancora molto poco, sebbene la teoria più accredita è quella secondo cui il simpatico arrampicamuri sarà costretto alla fuga dopo essere stato incastrato per l’omicidio di Mysterio (e con il personaggio di Kraven il Cacciatore che sarebbe sulle sue tracce). Naturalmente, soltanto il tempo sarà in grado di fornirci maggiori dettagli sulla trama, ma a quanto pare il terzo film dovrebbe catapultare il nostro Spidey in un’avventura molto diversa dalle precedenti…

Tom Holland si è unito al MCU nei panni di Peter Parker nel 2016: da allora, è diventato un supereroe chiave all’interno del franchise. Non solo è apparso in ben tre film dedicati ai Vendicatori della Marvel, ma anche in due standalone: Spider-Man: Homecoming e Spider-Man: Far From Home. La scorsa estate, un nuovo accordo siglato tra Marvel e Sony ha permesso al personaggio dell’Uomo Ragno di restare nel MCU per ancora un altro film a lui dedicato – l’annunciato Spider-Man 3 – e per un altro film in cui lo ritroveremo al fianco degli altri eroi del MCU.

The Butler: la vera storia dietro al film con Forest Whitaker

The Butler: la vera storia dietro al film con Forest Whitaker

Sono tanti i film statunitensi che negli anni si sono concentrati sul raccontare la vita dei più noti presidenti del paese. Per una volta, invece, ad essere stata portata sul grande schermo è la storia di una figura apparentemente marginale, ma in grado di raccontare nuovi aspetti dell’America. Si tratta di Eugene Allen, maggiordomo di colore della Casa Bianca per più di trent’anni. La sua storia è raccontata nel film del 2013 The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca, diretto da Lee Daniels, e ispirato dall’articolo del Washington Post intitolato A Butler Well Served by This Election.

A seguito della scomparsa di Allen, avvenuta nel 2010, la Columbia Pictures acquisì infatti i diritti per realizzare un film su di lui, avvalendosi di un numeroso cast di grandi interpreti. Il film copre infatti un arco temporale particolarmente ampio, e numerosi sono i ruoli presenti nel film. Tale grandezza ha generato molte aspettative nei confronti del film, che venne poi accolto favorevolmente tanto dalla critica quanto dal pubblico. Al momento della sua uscita in sala, infatti, The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca incassò un totale di circa 176 milioni di dollari, a fronte di un budget di soli 30.

Il film fu considerato anche uno dei maggiori contendenti al premio Oscar, ritrovandosi poi però privo di nomination. Ciò non ha ovviamente inficiato sul valore del film, apprezzato in ogni dove per l’aver raccontato una storia tanto dimenticata quanto importante. Lo stesso presidente degli Stati Uniti di allora, Barack Obama, si dichiarò un grande fan del film, affermando di essere rimasto commosso nel vedere ritratto il valore della vita di Allen, simbolo per intere generazioni di oppressi ancora oggi.

The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca: la trama del film

Protagonista del film è Cecil Gaines, il quale negli anni Venti cresce nella piantagione di cotone dove la sua famiglia lavora. Sottoposto a torture e traumi, egli riesce infine a fuggire dalla tirannia conosciuta nel Sud, desideroso di costruirsi una vita migliore altrove. Egli inizia così a formarsi, acquisendo competenze che lo portano a lavorare come maggiordomo all’interno della Casa Bianca. Qui egli rimane dal 1957 al 1986, prestando servizio sotto ben sette presidenti, da Eisenhower a Kennedy, da Nixon a Reagan. Lavorando a stretto contatto con tali figure, egli diventa testimone di alcuni dei momenti più importanti della storia degli Stati Uniti, in particolare quelli legati al movimento per i diritti civili. Tali eventi si ripercuotono ovviamente su Cecil sia come padre di famiglia che come maggiordomo.

The Butler cast

The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca: il cast del film

Il film presenta un ricchissimo cast di celebri attori, tra cui molti premi Oscar. Questi ricoprono ruoli che, seppur talvolta brevi, si affermano tutti a loro modo come memorabili. Il primo della lista è Forest Whitaker, che dà volto al protagonista Cecil Gaines. Per potersi calare meglio nella parte, questi studiò a lungo la vita del vero maggiordomo su cui il film è basato, cercando di comprenderne gli sviluppi emotivi e di pensiero. Nel ruolo di Gloria Gaines, sua moglie, vi è Oprah Winfrey, mentre David Oyelowo è il figlio Louis Gaines. Vi sono poi Cuba Gooding Jr. nei panni di Carter Wilson e Lenny Kravitz in quelli di James Holloway, entrambi dipendenti presso la Casa Bianca. Terrence Howard recita nel ruolo di Howard, vicino dei Gaines, mentre Vanessa Redgrave è Annabeth Westfall, proprietaria della piantagione dove lavora Cecil da bambino.

Per i ruoli dei presidenti degli Stati Uniti, come anche di altre personalità ad essi legati, sono stato poi chiamati a recitare noti attori come Robin Williams nei panni di Dwight D. Eisenhower e James Marsden in quelli di John F. Kennedy, con Minka Kelly ad interpretare la celebre Jackie Kennedy. Liev Schreiber ha interpretato Lyndon B. Johnson, mentre John Cusack è stato Richard Nixon. Infine, Alan Rickman interpreta Ronald Reagan, l’ultimo presidente servito da Cecil. Jane Fonda è invece presente nei panni della first lady Nancy Reagan. Vi sono poi anche diverse figure storiche di rilievo, come Martin Luther King interpretato da Nelsan Ellis, e l’attivista James Lawson, che ha qui il volto di Jesse Williams.

The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca: la vera storia dietro al film

Il film presenta alcune sostanziali differenze rispetto alla vera vita di Allen, il cui nome viene nel film cambiato in Cecil Gaines. Ciò ha permesso agli autori di raccontare alcuni storici eventi del paese visti attraverso gli occhi di un uomo solo parzialmente ispirato al vero maggiordomo. Le differenze iniziano sin dallo stabilire la provenienza di questi. Il vero Allen è infatti nato in una piantagione di cotone in Virginia, e non vi sono molte notizie circa i suoi primi anni di vita. Nel 1952, questi viene poi assunto a lavorare alla Casa Bianca dopo che una sua conoscenza gli suggerì la posizione aperta di maggiordomo. Qui egli inizia a lavorare come garzone di cucina, divenendo poi valletto e infine maggiordomo personale del presidente.

Egli inizia così una gloriosa carriera durata trentaquattro anni, durante la quale si è guadagnato la fiducia, la stima e l’affetto dei presidenti per i quali ha lavorato. In particolare, egli è stato invitato a prendere parte ad alcuni dei momenti più importanti della vita politica, come il funerale di Kennedy. Allen rifiutò però di partecipare, affermando che avrebbe reso più omaggio al presidente rimanendo nella Casa Bianca ad organizzare il servizio seguente la cerimonia. La sua storia si conclude poi sotto il presidente Reagan, con il quale possedeva a sua volta un buon rapporto, non minacciato dai conflitti sull’apartheid vigenti all’epoca. Nel 2008, Allen viene convocato nuovamente nel luogo dove ha lavorato per la maggior parte della sua vita. Qui incontra il neoeletto Barack Obama, il quale lo ringrazia per il suo servizio e il suo valore.

The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Per gli appassionati del film, o per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali piattaforme streaming oggi disponibili. The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca è infatti presente su Rakuten TV, Google Play e Apple iTunes. Per poter usufruire del film, sarà necessario sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film. In questo modo sarà poi possibile vedere il titolo in tutta comodità e al meglio della qualità video, senza limiti di tempo. Il film è inoltre in programma in televisione per lunedì 26 ottobre alle ore 21:00 sul canale Iris.

Fonte: IMDb, HistoryvsHollywood

The Words: trama, cast e finale del film con Bradley Cooper

The Words: trama, cast e finale del film con Bradley Cooper

Affascinante dramma sul mondo della scrittura, a cui non mancano anche toni da thriller, The Words è arrivato nei cinema nel 2012, segnando il debutto alla regia di Brian Klugman e Lee Sternthal. Nel film da loro ideato nel lontano 1999, si racconta l’atto della creazione artistica e del suo concepimento da parte di un autore, concentrandosi in particolare proprio sulla figura dell’uomo dietro l’opera. I due registi, qui anche sceneggiatori, decidono però di raccontare tale tematica attraverso una storia non propriamente lineare, e che riserva numerosi colpi di scena allo spettatore.

Presentato in anteprima al Sundance Film Festival, The Words non ricevette particolari lodi da parte della critica, la quale sottolineava la mancata appartenenza ad un genere ben preciso. Con il tempo, tuttavia, in molti si sono ricreduti sul film, affermando che esso necessita un’approfondita analisi per poter essere realmente compreso e apprezzato. Al momento dell’uscita in sala, invece, il film venne accolto da un buon successo di pubblico, il quale si dimostrò attratto dalla storia e dagli attori coinvolti. The Words arrivò infatti a guadagnare circa 16 milioni di dollari a livello globale, a fronte di un budget di soli 6.

La popolarità del film venne involontariamente favorita anche da un’inattesa accusa di plagio. Vennero infatti evidenziate diverse somiglianze tra la trama del film e quelle del romanzo Lila Lila, dell’autore svizzero Martin Suter. I due registi, tuttavia, affermarono di non essere a conoscenza di tale libro, e di aver comunque ideato il loro film ben prima della pubblicazione di questo. Un’accusa che ha ricordato molto quella che viene svolta anche all’interno dello stesso The Words, generando così un certo interesse per la vicenda e il film in sé.

The Words: la trama del film

Il film si apre con il noto scrittore Clayton Hammond, il quale è intento in una lettura pubblica di alcuni passi del suo ultimo romanzo di successo, intitolato The Words. Questo ha per protagonista Rory Jansen, giovane aspirante scrittore che tenta in tutti i modi di vendere ad un editore il suo primo romanzo, vedendosi però rifiutato da ogni parte. Per poter mantenere sé stesso e la propria compagna, egli decide allora di accettare un lavoro in un’agenzia letteraria, senza abbandonare però le proprie aspirazioni da scrittore. La sua vita cambia per sempre nel momento in cui, durante il viaggio di nozze a Parigi, Rory si imbatte in una valigetta contenente un vecchio manoscritto, privo di autore.

Spinto dalla bellezza della storia in esso raccontata, Rory decide di pubblicarlo a suo nome, appropriandosi così dell’idea altrui. Il libro si rivela da subito un grandissimo successo, e porta Rory ad ottenere una fama che va oltre le sue aspettative. Tale popolarità non può che portare però anche diversi guai. Ben presto, infatti, un anziano si presenta a Rory come il vero autore del romanzo. Da qui ha inizio un rapporto insolito tra i due, con il giovane scrittore che dovrà scoprire le reali intenzioni del vecchio. In gioco c’è la sua carriera, la sua bella vita e l’amore della sua compagna, convinta che egli sia il vero ed unico autore del romanzo. Per Rory, dunque, è questo un caso in cui la vera verità può soltanto far male.

The Words cast

The Words: il cast del film

Tra i principali motivi del successo del film vi è il suo grande cast di attori, il più dei quali particolarmente noti a livello mondiale. Il primo di questi è Bradley Cooper (Una notte da leoni, A Star is Born), che ricopre il ruolo di Rory Jansen. Questi è amico d’infanzia dei i due registi, per i quali era l’unica scelta per il personaggio. I due raccontarono a Cooper l’idea per il film già nel 1999, e lui accettò di interpretare il protagonista. Passarono poi più di dieci anni prima della realizzazione di The Words, ma l’attore mantenne la sua parola. Nel ruolo di Dora Jansen, invece, vi è l’attrice Zoe Saldana (Avatar, Guardiani della Galassia). Sul set l’attrice intrecciò una vera relazione sentimentale con Cooper, poi durata fino al 2013.

Nel ruolo de Il Vecchio, il vero autore del manoscritto, vi è invece il premio Oscar Jeremy Irons (La corrispondenza, Batman v Superman), mentre il personaggio di Clay Hammond è interpretato da Dennis Quaid (Midway, Qua la zampa!). Altri ruoli importanti sono ricoperti da Oliva Wilde (Her, Richard Jewell), nei panni di Daniella, giovane studentessa che intervista Hammond, e J. K. Simmons (Spider-Man, Whiplash), che dà invece vita a mr. Jansen, padre di Rory. Gli attori Ben Barnes (Dorian Gray, Le cronache di Narnia – Il principe Caspian) e Nora Arnezeder (Maniac, Zoo) sono invece Uomo Giovane e Celia, personaggi che troveranno spiegazione nel corso della storia.

The Words: la spiegazione del finale del film

Nel corso del film si intrecciano tre storie parallele apparentemente legate soltanto dal comune tema della scrittura. La prima, quella con cui si apre il film, è quella di Clay Hammond, apprezzato scrittore intento a leggere alcuni passi del suo nuovo libro. La storia di questo è quella fittizia di Rory Jansen e del manoscritto anonimo trovato e pubblicato a suo nome. La terza, invece, è un racconto nel racconto, ed è quella che vede Il Vecchio, il vero autore del romanzo, raccontare a Rory come abbia avuto l’ispirazione per quella scrittura. Le tre storie si svolgono lasciando presagire un intreccio più ardito di quanto si penserebbe, ma che viene svelato soltanto nel finale.

Si avvisa per tanto che seguiranno spoiler su questo, e si sconsiglia la lettura qualora non si sia ancora visto il film.

Come detto, nel finale le tre storie si svelano per essere in realtà una sola. Con il suo libro The Words, che sembrava essere un racconto di finzione, Hammond sta invece svelando la propria autobiografia. Rory non è altro che Clay da giovane. Egli si è realmente imbattuto in un manoscritto, con il quale ha ottenuto la fama, ma ha anche dovuto confrontarsi con il vero autore e con la storia di questi. Assalito dal senso di colpa, egli ammette così con il nuovo romanzo il suo plagio. Tale liberazione non è però sufficiente per lui, il quale a causa di quello scandalo taciuto perse l’amore di sua moglie Dora. È a lei che Hammond chiede perdono con questo smascheramento, sperando di poterla riabbracciare nuovamente.

The Words: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Per gli appassionati del film, o per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali piattaforme streaming oggi disponibili. The Words è infatti presente su Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes, e Netflix. Per poter usufruire del film, sarà necessario sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film. In questo modo sarà poi possibile vedere il titolo in tutta comodità e al meglio della qualità video, senza limiti di tempo. Il film è inoltre in programma in televisione per lunedì 26 ottobre alle ore 21:20 sul canale Cielo.

Fonte: IMDb

Wendy, recensione del film di Benh Zeitlin #RFF15

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Wendy, recensione del film di Benh Zeitlin #RFF15

A oltre otto anni di distanza dal suo esordio, Re della Terra Selvaggia, Benh Zeitlin torna a dirigere per il cinema, reinventando una storia che ha accompagnato la sua infanzia, quella di Peter Pan e dei bambini sperduti. Il film si intitola Wendy e, nel lavoro di riscrittura che il regista ha fatto insieme alla sorella Eliza, è il risultato di una trasposizione prima di tutto geografica e poi emotiva dell’avventura del bambino che non voleva crescere.

Come accaduto al nostro Matteo Garrone, che sin da piccolo voleva raccontare per immagini la storia di Pinocchio, Benh ed Eliza sono cresciuti nella magia di un altro grande classico per ragazzi, quello di J.M. Barrie, che racconta di bimbi, pirati, coccodrilli, sirene e magia. In questa storia, invece, seguiamo una ragazzina, Wendy, che vive con la madre e due fratelli gemelli su un diner, gestito dalla donna, e che da piccola è testimone della sparizione di un bimbo. Qualche anno dopo, di notte, lei e i suoi fratelli saltano su un treno in corsa e sui vagoni che sfrecciano nella natura selvaggia, incontrano un ragazzino afroamericano che li porterà su un’isola sperduta e incolta, dove altri bambini come lui comunicano con la Madre Terra, e non crescono mai.

Wendy è la protagonista della nuova lettura di Peter Pan

Il primo elemento di originalità nel racconto di Zeitlin è che si sceglie di spostare l’inizio della storia dalla Londra dell’inizio Novecento al caldo e brullo Southern americano, un paesaggio che ricorda più Mark Twain che Barrie. Lì, Wendy cresce in mezzo a persone amiche, uomini e donne che popolano il diner gestito dalla madre, che ha abbandonato i suoi sogni per portare avanti quell’attività e avere dei figli, diventando grande, donna e madre. La seconda operazione che compie il regista, a quattro mani con la sorella sceneggiatrice, è quello di eliminare la magia in senso stretto e pervadere la storia di una spiritualità legata alla natura, alla Madre Terra, appunto, con cui i bambini parlano, giocano e interagiscono in diversi momenti della storia, decisamente i più suggestivi.

L’isola selvaggia e senza nome in cui si ambienta gran parte dell’avventura di Wendy, con i suoi fratelli e con Peter è un territorio rigoglioso, misterioso, che offre loro infinite possibilità di gioco in una continua sensazione di sogno ad occhi aperti, un non-luogo (l’isola che non c’è, appunto) che è anche un non-tempo, o meglio in cui il tempo scorre in base alla volontà di chi abita lì.

Zeitlin fugge dalla concettualizzazione con una regia libera

Zeitlin è bravissimo a svicolare ogni possibile concettualizzazione della storia, ogni gabbia didattica che possa in qualche modo imbrigliare il selvaggio spirito che anima non solo i piccoli protagonisti, ma il film stesso. Lo fa con una regia libera, leggera, appassionata, accompagnando le immagini con una colonna sonora da lui composta che ricorda molto da vicino le partiture realizzate per Re della Terra Selvaggia e che restituiscono allo stesso modo sensazioni di libertà e giovinezza.

Wendy è la lente attraverso cui guardiamo tutto ciò che accade, è lei che guida i nostri passi e anche quelli degli altri protagonisti. È lei che decide quando l’avventura deve cominciare, ma anche quando la storia che ognuno di loro racconta deve diventare una storia che scende a patti con il tempo, con la realtà, lontano da quei luoghi mistici.

Un’avventura viscerale e scalmanata

Le idee, sia visive che narrative, di Benh Zeitlin sono fresche e affascinanti, come la rappresentazione dello spirito della Madre, o come la genesi di Capitan Uncino che non sveliamo per non rovinare la visione. Con un primo film arrivato direttamente agli Oscar, Zeitlin si è preso il suo tempo, rifiutando offerte allettanti, e impiegando otto anni a realizzare il suo secondo film, sicuramente più difficile del primo, ma con il quale condivide lo spirito selvaggio di un narratore che ama la storia che racconta.

Wendy è un’avventura viscerale, scalmanata e allo stesso tempo intima, in un luogo dell’infanzia dove si conosce il valore, potente e puro, delle storie, un luogo che si finisce per dimenticare, da grandi. E Benh Zeitlin, per fortuna, non lo ha dimenticato.

Oscar Isaac in trattative per Moon Knight per Disney+

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Oscar Isaac in trattative per Moon Knight per Disney+

Oscar Isaac è in trattative per interpretare il protagonista della serie Disney+ Moon Knight, basata sull’omonimo personaggio del fumetti Marvel. Moon Knight racconta la storia di Marc Spector, un soldato d’elite e mercenario che decide di combattere il crimine e decide di diventare il rappresentante umano di Khonshy, il dio egizio della luna.

Il ruolo segnerebbe il ritorno di Oscar Isaac ai personaggi Marvel. Ha infatti interpretato il villain Apocalisse in X-Men: Apocalypse, per la Fox. Inoltre, Isaac ha già lavorato con la Disney nel franchise di Star Wars, in cui ha interpretato, nella trilogia sequel, Poe Dameron. Pur avendo partecipato a prodotti blockbuster, Oscar Isaac è molto amato anche dal cinema e dalla tv d’autore e ha avuto il suo grande ruolo nel 2014 con il film dei Fratelli Coen A proposito di Davis, che gli è valso una candidatura ai Golden Globes. La Marvel invece non ha commentato la notizia, per il momento.

Fonte: Variety

Maledetta Primavera, recensione del film di Elisa Amoruso #RFF15

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Maledetta Primavera, recensione del film di Elisa Amoruso #RFF15

Documentarista dagli esiti altalenanti, che non vede corrispondenza tra qualità e successo del suo lavoro, Elisa Amoruso esordisce al lungometraggio di finzione con Maledetta Primavera, un evento speciale della Festa del Cinema di Roma 2020, in collaborazione tra la Selezione Ufficiale di Antonio Monda e la sezione autonoma e parallela Alice nella Città.

Dopo il bellissimo e acuto Strane Straniere, passato in sordina, e Chiara Ferragni Unposted, uno spot pubblicitario sulla fashion blogger e imprenditrice milanese che ha fatto il giro del mondo, avevamo visto Amoruso tornare a progetti più piccoli e interessanti con Bellissime, il film documentario presentato l’anno scorso sempre alla Festa di Roma, che in quest’anno strano ha deciso di ospitare l’opera prima di fiction della regista romana.

La trama di Maledetta Primavera

Maledetta primavera e un teen movie ambientato negli anni ’80 (1989) che racconta di tre donne. Nina (Emma Fasano) adolescente che si trapianta con la famiglia in un nuovo quartiere e in una nuova scuola, non conosce nessuno, non riesce a fare amicizia con nessuno se non con la bellissima vicina, dalla quale è irrimediabilmente attratta. Sirley (Manon Bresch), quella vicina consapevolmente conturbante, diversa, inquieta, troppo consapevole per la sua età, per la sua scuola, per chi la circonda, strana, diversa, che addirittura parla un’altra lingua e la parlerà soltanto con Nina, unica che sembra capirla. Laura (Micaela Ramazzotti), giovane moglie e madre che non riesce a capire la figlia adolescente, ma che per prima non riesce a comprendere se stessa, vivendo in un costante stato di agitazione e insoddisfazione. La storia racconta un pezzetto delle loro vite, dei loro desideri semplici eppure irrealizzabili.

Maledetta Primavera recensioneUn teen movie raccontato a distanza

Elisa Amoruso riesce con grazie a raccontare l’adolescenza, lo fa con attenzione, sia da un punto di vista della messa in scena, con oggetti e costumi, sia per quanto riguarda il tratteggiare caratteri e personaggi, in maniera precisa, realistica. Riesce un po’ meno a dare tridimensionalità agli adulti, ad un padre scapestrato e assente interpretato da Giampaolo Morelli, a Laura, che offre a Ramazzotti un ruolo che replica alla perfezione quanto portato al cinema dall’attrice fino a questo momento.

Tuttavia questo racconto delicato dell’adolescenza e dei suoi drammi insormontabili, proprio perché vissuti in quegli anni, Amoruso non riesce a cancellare il distacco che esiste tra macchina da presa e soggetto. Il suo incedere trai personaggi è quello di un occhio estraneo, indagatore, quasi giudicante, superiore su personaggi che invece hanno solo bisogno di essere mostrati ed accolti.

Truth Seekers, la recensione della serie di e con Nick Frost e Simon Pegg

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Scalda sempre il cuore vedere accostati i nomi di Nick Frost e Simon Pegg. Succede sia quando entrambi recitano insieme in film che sono quasi sempre dei gioielli preziosi (vedi la Trilogia del Cornetto di Edgar Wright), sia quando oltre a metterci la faccia, ci mettono anche le loro penne affilate. Così accade in Truth Seekers, la nuova serie originale Amazon Prime che i due firmano da autori e in cui recitano.

Protagonista della serie, in verità, è il personaggio di Frost, Gus Roberts, che insieme allo strambo Elton John (Samson Kayo), forma una specie di duo che investiga su fenomeni paranormali e che registra poi le proprie imprese per un canale youtube, dal quale prende il nome la serie: Truth Seekers, Cercatori di verità. La serie segue le sgangherate avventure dei due e si fregia, oltre che della presenza di Simon Pegg nel ruolo di Dave, anche di Malcom McDowell (Richard, il burbero papà di Gus) e della meno famosa ma bravissima Emma D’Arcy, che interpreta l’inquieta Astrid.

La trama di Truth Seekers

Mentre sorvegliano chiese infestate da fantasmi, bunker sotterranei e ospedali abbandonati con la loro gamma di aggeggi casalinghi che rilevano i fantasmi, le esperienze soprannaturali dei Truth Seekers diventano sempre più frequenti, più terrificanti e persino mortali, iniziando a scoprire una cospirazione che potrebbe causare l’Armageddon per l’intera razza umana.

Truth SeekersNaturalmente non sorprenderà scoprire che la serie, che è firmata, tra gli altri, da Frost e Pegg, mescola i toni dell’horror soprannaturale a quelli della comedy inglese, con risate garantite, per quanto composte. E infatti il prodotto si pone come un miscuglio di toni e situazioni, che fa incrociare Ghostbusters con Scooby Doo e X-Files.

E proprio in questa mescolanza di toni che risiede, dal punto di vista dell’invenzione in fase di scrittura, l’elemento interessante di Truth Seekers: la mescolanza di generi, l’accostamento tra horror, qualche volta anche gore, commedia dall’umorismo decisamente inglese e fantascienza, che irrompe soprattutto quando i protagonisti mettono in campo le loro conoscenze in fatto di tecnologia e mettono a punto la loro apparecchiatura fatta in casa.

Un punto d’incontro tra horror, commedia e sci-fi

Se c’è un difetto in Truth Seekers è che, pur mirando ad una orizzontalità che si prefigge di tenere lo spettatore con il fiato sospeso, la serie funziona meglio sulla verticalità degli episodi, con la trama orizzontale che lascia a desiderare mentre più brillanti sono le idee che si esauriscono nella circostanza del singolo episodio.

Truth Seeker è una serie per gli appassionati di cinema horror/sci-fi ma soprattutto per i fan della coppia comica Frost-Pegg, che comunque si conferma un duo vincente.

Punta Sacra, recensione del documentario di Francesca Mazzoleni #RFF15

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Si chiama Punta Sacra il documentario diretto da Francesca Mazzoleni che è stato presentato nella selezione ufficiale della diciottesima edizione di Alice nella Città. Racconta di un mondo quasi dimenticato, di un luogo che diventa sacro perché quasi mitico, eppure reale e vivo, pulsante di malinconia e di vita, teso verso il futuro.

Mazzoleni porta il suo occhio all’idroscalo di Ostia, quel lembo di terra tra fiume e mare, dove 10 anni fa sono state abbattute le abitazioni abusive e dove la foce del Tevere confonde le sue acque con il sale del Tirreno. La regista segue da vicino coloro che sono rimasti ad abitare lì, desiderosi di stare dove stanno, piantati, seppure precariamente, in un luogo che sentono profondamente loro, spazzato da vento, triste eppure vitale.

Punta Sacra si addentra nelle pieghe di questa piccola comunità matriarcale, dove i conflitti generazionali sono gli stessi che in qualsiasi altro posto, ma dove il senso di appartenenza, la vitalità, la propensione al futuro sembrano una ricerca affamata di felicità. Francesca Mazzoleni riesce a raccontare tutto con occhio imparziale, ma senza il distacco del documentario scientifico, piuttosto immedesimandosi senza giudicare ogni suo protagonista.

Punta Sacra, il racconto di chi spera nel futuro

Punta Sacra racconta storie di vita, di memoria, di ambizioni, di identità che si sentono appartenenti ad un luogo, definite dallo stesso, considerato lontano da ogni altro luogo, mentalmente più che geograficamente, dove ancora si racconta di Pasolini, del suo omicidio, del fatto che non fu ucciso all’idroscalo, ma che ci venne portato, della sua capacità di generare ancora lotte ideologiche.

Ma questa è solo una storia, perché il film ne mostra e ne racconta tante, tutte con la stessa attenzione e cura, tutte con protagonisti persone, individui che non possono fare a meno di sentirsi legati a quella comunità che li assiste e li nutre, che dà loro una identità di luogo.

Punta Sacra è un documentario insolito, che trova il perfetto equilibrio tra la narrazione intima del protagonisti e l’occhio scientifico di chi li inquadra. Ci pensano loro a raccontarsi, a mostrarsi, quello che Mazzoleni si concede, è solo qualche sguardo romantico al mare, al posto, eternamente ostile eppure visceralmente amato da tutti quelli che sono intenzionati continuare a costruire lì il loro futuro.

They Were Ten: la nuova serie sul capolavoro di Agatha Christie

They Were Ten: la nuova serie sul capolavoro di Agatha Christie

They Were Ten arriva su Fox (112, Sky) in anteprima mondiale ogni martedì alle 21 a partire dal 27 ottobre. La serie è un adattamento contemporaneo del capolavoro di Agatha Christie, il romanzo poliziesco più venduto di tutti i tempi. Un nuovo thriller psicologico diretto dall’acclamato regista francese Pascal Laugier, noto per i suoi thriller di successo tra i quali The Secret – Le verità nascoste con Jessica Biel.

They Were Ten: quando esce e dove vederlo in streaming

They Were Ten debutta su Fox (sky, 112) martedì 27 ottobre alle 21 ed è composta da 6 episodi da 60 minuti.

They Were Ten: la trama e il cast

Nel cast Matilda Lutz, attrice e modella italiana già nota al pubblico italiano per aver recitato nel film di Gabriele Muccino L’Estate Addosso, nella serie I Medici e nei film pulp Revenge e horror The Ring 3. Oltre all’attrice italiana nel cast anche gli attori francesi Samuel Le Bihan, Guillaume de Tonquedec, Marianne Denicourt, Romane Bohringer, Patrick Mille, Samy Seghir, Nassim Si Ahmed, Manon Azem, Isabelle Candelier.

Dieci persone, cinque donne e cinque uomini, sono invitate in un hotel di lusso su un’isola tropicale deserta. Ben presto si renderanno conto che sono completamente isolati, tagliati fuori dal mondo e da tutti i mezzi di comunicazione e l’isola diventerà rapidamente il loro peggior incubo. Perché sono stati attirati in questa trappola morbosa? La risposta è nascosta nel loro passato che ognuno ha cercato di seppellire e che oggi, sotto il sole caldo dell’isola, stanno incominciando a pagare. Uno dopo l’altro saranno uccisi ponendo l’ultima domanda: chi è l’assassino?

 

MCU: le 10 migliori scene post-credits

MCU: le 10 migliori scene post-credits

Il 2020 è stato il primo anno senza un film dei Marvel Studios. Sperando che per il 2021 la situazione mondiale tornerà alla normalità e i cinema potranno nuovamente godere del prestigio che meritano, ComicBookMovie ha deciso di viaggiare a ritroso nella memoria del MCU, stilando una classifica delle 10 migliori scene post-credits dell’universo condiviso che hanno anticipato l’incredibile futuro dell’Universo Cinematografico Marvel.

Il martello di Thor (Iron Man 2, 2010)

Una delle prime scene post-credits. Sapevamo tutti che Thor sarebbe arrivato quando Iron Man 2 è stato rilasciato al cinema, ma quest’anticipazione ci ha permesso di dare un primo sguardo al Mjolnir dopo che si era schiantato sulla Terra. Anche se ci ha lasciato con molte domande, era impossibile non sentirsi esaltati dopo aver assistito a quest’anticipazione sull’arrivo del Dio del tuono, sapendo che sarebbe stato un punto di svolta per il MCU, mentre ci muovevamo dalle avventure radicate di Iron Man alle sale aliene di Asgard.

A molti questa scena potrebbe apparire oggi 6come un sorta di smorto teaser trailer in relazione agli standard odierni, ma la verità è che nel 2010 si è trattato di qualcosa di davvero epico!

Adam (Guardiani della Galassia Vol. 2, 2017)

L’acclamato sequel di Guardiani della Galassia di James Gunn presenta più scene post-credits di qualsiasi altro film Marvel, ma questo è stato un momento clou innegabile. Per anni dilagavano speculazioni circa la possibilità che Adam Warlock arrivasse nel MCU, e il regista ha finalmente gettato le basi per ciò con questa sequenza davvero intrigante.

Il sequel vantava una serie memorabile di scene post-credits, ma questa si distingue davvero come qualcosa di speciale, anche se molti fan sono rimasti delusi dal fatto che non abbia dato i suoi frutti in Avengers: Infinity War. I non avvezzi ai fumetti sarebbero rimasti senza dubbio sconcertati dalla menzione di un certo Adam, ma sapevamo tutti cosa significava. Speriamo che Guardiani della Galassia Vol. 3 possa finalmente regalare ai fan ciò che aspettano ormai da tempo.

L’arrivo di Captain Marvel (Avengers: Infinity War, 2018)

I Marvel Studios hanno fatto un ottimo lavoro nel tenere nascoste le più grandi sorprese di Avengers: Infinity War e questo significava che non avevamo idea di cosa aspettarci dalla scena post-credits dell’enorme film dedicato al gruppo di supereroi.

Iniziando con l’indagine di Nick Fury e Maria Hill sull’attacco di Thanos a Wakanda, siamo rimasti sconvolti quando entrambi si sono ridotti in polvere e il misterioso dispositivo che il primo ha lasciato cadere a terra ha mostrato un logo che particolarmente familiare ai fan dei fumetti. Captain Marvel era finalmente arrivata (più o meno), e questo ha decisamente aumentato l’eccitazione per la sua avventura da solista.

Il ballo di Groot (Guardiani della Galassia, 2014)

Per alcuni potrebbe essere stata solo una scena post-credits “divertente”, ma i Marvel Studios non avrebbero mai potuto rendersi conto che tipo di impatto avrebbe avuto. Questa breve e tenerissima – anche se ridicola in modo ingenuo – sequenza con Baby Groot che balla, ha portato a un’enorme richiesta di merchandising che la Disney non aveva neanhce lontanamente pensato di produrre.

È servita anche come introduzione alla versione baby di Groot di cui ci saremmo tutti innamorati (più di quanto non lo eravamo già) pochi anni dopo con Guardiani della Galassia Vol. 2. Un curiosità che potreste non sapere: è stato James Gunn a fornire il motion capture per il ballo di Groot!

Scarlet Witch e Quicksilver (Captain America: The Winter Soldier, 2014)

In molti modi, il MCU era ancora agli inizi nel 2014 e quindi l’introduzione di personaggi come Quicksilver e Scarlet Witch è stato un affare considerevolmente più grande di quanto non lo sia ora. Servendo come anticipazione di ciò che sarebbe accaduto in Avengers: Age of Ultron, abbiamo intravisto i gemelli in azione, e anche se all’epoca non eravamo del tutto sicuri se sarebbero stati eroi o cattivi (o anche mutanti), questa anticipazione è stata una vera sorpresa che si è collegata direttamente agli eventi del film a cui era allegata, menzionando l’apparente rovina dell’HYDRA.

All’epoca, la prospettiva che personaggi come Quicksilver e Scarlet Witch arrivassero nell’universo condiviso era difficile da prevedere, quindi anche solo un breve assaggio dei due in azione sarebbe risultato eccitante.

Stan Lee e gli Osservatori (Guardiani della Galassia Vol. 2, 2017)

Come si fa a non amare questa scena? Il compianto Stan “The Man” Lee ha realizzato una serie di cameo memorabili nel MCU, ma l’apparente rivelazione di essere stato mandato sulla Terra dagli Osservatori per tenere d’occhio le cose – qualcosa che i fan stavano teorizzando da anni – ha cambiato le regole del gioco.

Certo, l’avevamo visto già prima nel film, ma il fatto che si allontanassero dal creatore mentre i suoi racconti continuavano è stato esilarante. Anche solo vedere Gli Osservatori in live-action è stato fantastico, e ora che i diritti dei Fantastici Quattro sono tornati alla Marvel, speriamo che finalmente vedremo Uatu apparire nei momenti chiave.

L’iniziativa Avengers (Iron Man, 2008)

È qui che è iniziato tutto. Anche se i dettagli erano trapelati online in anticipo, i social media erano agli inizi nel 2008. Di conseguenza, la manciata di fan che hanno deciso di aspettare fino alla fine dei titoli di coda hanno assistito all’introduzione di Samuel L. Jackson/Nick Fury e hanno sentito parlare dell’iniziativa Avengers per la prima volta.

Era chiaro che, in quel caso, i Marvel Studios stavano usando “The Ultimates” come ispirazione, ed è stato eccitante per molte ragioni. Tuttavia, l’idea di riunire al cinema tutti i Vendicatori, all’epoca, era difficile da credere e la maggior parte del pubblico non poteva avere idea di quello che Kevin Feige e soci stavano concependo nell’ombra…

L’arrivo di Thanos (The Avengers, 2002)

Mentre i fan aspettavano pazientemente una scena post-credits alla fine di The Avengers, sono stati spiazzati dal debutto sul grande schermo del Titano Pazzo e hanno appreso che era stato lui a tirare le fila di Loki dall’inizio. Realizzato con effetti pratici piuttosto che in CGI, all’epoca non aveva un bell’aspetto, ma era più che sufficiente per far perdere la testa ai fan.

È assurdo pensare quanto tempo ci sia voluto perché tutto questo fosse ripagato, ma ne è valsa la pena aspettare e questo ha dimostrato che i Marvel Studios avevano grandi progetti in merito alla loro epica squadra.

I Vendicatori (Captain America: Il Primo Vendicatore, 2011)

Captain America: Il primo vendicatore è arrivato nelle sale nel luglio 2011 e il primo trailer di The Avengers non è arrivato fino ad ottobre. Tuttavia, anche alla fine di quel film ci sono stati dei chiari segnali che il film di Joss Whedon stava per arrivare.

L’eccitazione che la scena finale de Il primo vendicatore ha creato all’epoca è probabilmente difficile da immaginare per i fan più giovani abituati a pubblicazioni su larga scala come Avengers: Endgame! Ripensandoci adesso, è piuttosto divertente vedere quanto di quel filmato fosse chiaramente incompiuto.

Il ritorno di J. Jonah Jameson  (Spider-Man: Far From Home, 2019)

Per fortuna, Spider-Man tornerà nel Marvel Cinematic Universe il prossimo anno, ma se Far From Home avesse segnato la sua apparizione finale, sarebbe comunque uscito di scena con stile! In questa scena a metà dei titoli di coda, l’attenzione dell’arrampicamuri viene catturata da un servizio giornalistico nella Grande Mela che non solo è stato caratterizzato dallo shock per il ritorno di J.K. Simmons nei panni di J. Jonah Jameson, ma anche dal fatto che la vera identità di Peter è stata rivelata al mondo!

Entrambi quei momenti sono stati davvero sbalorditivi e hanno preparato bene il terreno per questa versione di Spidey per essere etichettata come una “minaccia” dopo che è stato incastrato per l’omicidio di Mysterio. Questa è stata l’anticipazione più eccitante di sempre, e se vogliamo credere a quelle voci su Spider-Man 3, Peter Parker entrerà nello “Spider-Verse” per rendere di nuovo segreta la sua identità.

Ant-Man 3: la Marvel ha già anticipato i nuovi superpoteri di Wasp

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Ant-Man and the Wasp ha cercato di spiegare, senza però approfondire la questione, da dove provenissero i poteri del personaggio di Janes Van Dyne. Il Regno Quantico è diventato cruciale per la narrativa generale della Fase 3 del MCU dopo essere stato introdotto per la prima volta in Ant-Man del 2015. Hank Pym ha descritto il Regno Quantico come “una realtà in cui tutti i concetti di tempo e spazio diventano irrilevanti mentre ti rimpicciolisci per l’eternità.”

Decenni prima, Hank aveva perso la sua amata moglie Janet Van Dyne nel Regno Quantico. Credeva che fosse impossibile salvarla, ma venne smentito quando Scott Lang riuscì a fuggire dal Regno con successo. Ciò ha direttamente impostato la trama di Ant-Man and the Wasp, in cui Hank ha inventato con successo un Quantum Pod per entrare e uscire in sicurezza dal Regno Quantico. Si è trattato di un risultato straordinario, che in qualche modo ha suggerito che Hank Pym è in realtà il più grande genio del MCU.

La Marvel ha recentemente pubblicato un libro di riferimento per l’universo chiamato The Wakanda Files, in cui Shuri esprime un certo stupore per i progetti di Pym. Per la gioia di Hank, però, quei progetti hanno avuto successo e hanno salvato Janet. La stessa, però, è tornata leggermente cambiata e, proprio secondo The Wakanda Files, si tratta di un cambiamento permanente. Il libro include una nota scritta a mano di Janet che discute dei suoi nuovi poteri (via Screen Rant): 

“Ho un bel po’ di tempo da recuperare. Il mondo è un posto diverso. E lo sono anch’io. Parte è l’adattamento, parte è l’evoluzione. Sono improvvisamente capace di ciò che prima non potevo fare. Sono stata colpita da una forma di Entanglement Quantistico, come se ogni molecola del mio corpo continuasse a trovarsi in più posti contemporaneamente. Credo che sia così che sono stato in grado di sentire il dolore di Ghost. Non sono del tutto sicura del come, ma sono stata in grado per farla rientrare in modo completo nella nostra realtà. Forse ci sono qualità curative per le particelle nel Regno Quantico? Mi sembra di essere stata lì per tutta la vita, ma sembra che mi siamo ancora parecchi momenti degni di domande.”

Janet Van Dyne potrebbe essere un personaggio chiave nella fasi 4 e 5 del MCU

Il tempo non funziona normalmente nel Regno Quantico, quindi in realtà è impossibile stimare quanto tempo Janet sia effettivamente rimasta lì. Inoltre, è possibile che anche la più breve esposizione al Regno Quantico abbia il potenziale per garantire queste abilità: Scott Lang è stato in grado di evadere dal Regno Quantico perché ha percepito che sua figlia Cassie lo reclamava, e ciò sembra molto simile all’esperienza di Entanglement Quantistico descritta da Janet. Tuttavia, le abilità di Janet sono durate anche dopo che ha lasciato il Regno Quantico, mantenendo chiaramente anche altri poteri.

La dichiarazione più interessante è che Janet Van Dyne si sente come se “ogni molecola nel suo corpo continuasse a trovarsi in più posti contemporaneamente”. Questo potrebbe suggerire che, come Ghost, lei non sia veramente in contatto con questa dimensione, e che le sue molecole si stiano spostando tra questo piano dell’esistenza ed altre realtà. In tal caso, Janet Van Dyne potrebbe essere un personaggio chiave delle Fase 4 e 5 del MCU, che essenzialmente dovrebbero basarsi sul concetto di Multiverso. I primi due film di Ant-Man sono stati cruciali per stabilire la narrativa generale del MCU: lo stesso potrebbe essere vero anche per Ant-Man 3.

Punta Sacra: intervista alla regista Francesca Mazzoleni

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Punta Sacra: intervista alla regista Francesca Mazzoleni

Ecco la nostra intervista a Francesca Mazzoleni, regista di Punta Sacra, film presentato alla diciassettesima edizione di Alice nella città.

Punta sacra, Il film-documentario di Francesca Mazzoleni, si è aggiudicato due premi nell’ambito di Alice nella Città: il Premio Speciale della Giuria assegnato dalle due giurie di Alice – quella dei ragazzi e quella degli esperti composta da Eva Cools, Agostino Ferrente, Caterina Guzzanti, Claudio Noce e Roberta Torre – e la Menzione speciale alla colonna sonora nell’ambito del Premio Rolling Stone alla Miglior Colonna Sonora, assegnato da una giuria composta da Morgan (presidente), Alessandro Giberti (Direttore Rolling Stone), Louis Siciliano (musicista e compositore), Pino Farinotti (critico cinematografico) e Gianni Santoro (La Repubblica).

Romulus: recensione dei primi due episodi della serie Sky RFF#15

Romulus: recensione dei primi due episodi della serie Sky RFF#15

La sua presentazione – attesissima dopo il successo lo scorso anno del film Il primo re, diretto da Matteo Rovere, da cui è stata tratta – fa parte degli Eventi Speciali della Festa del Cinema di Roma.

La serie tv Romulus promette di raccontare la fondazione di Roma e soprattutto il mondo dei primi romani dell’VIII secolo a. C. come non era stato mai fatto. La dimensione della serialità consente di soffermarsi di più e meglio sui molteplici aspetti della vita del tempo, di ricreare con dovizia di particolari quel mondo intriso di violenza, paura, riti e credenze arcaiche, divenuto oggetto di miti e leggende. Un approfondimento che non poteva trovare spazio nel film. Si prevede anche una trilogia di romanzi scritti da Luca Azzolini e pubblicata da Harper Collins, i primi due dei quali usciranno in contemporanea con la serie.

Inevitabile chiedersi se Romulus, diretto da Matteo Rovere, Michele Alhaique e Enrico Maria Artale riuscirà a mantenere gli alti livelli non solo visivi del film, ma anche di scrittura e interpretativi, riuscendo a non svilirsi nel compromesso con i meccanismi della serialità televisiva e dell’indirizzo a un pubblico di massa. Della scrittura si sono occupati lo stesso Matteo Rovere, Filippo Gravino (Veloce come il vento, Alaska, Il Primo Re) e Guido Iuculano (Una vita tranquilla, Tutto può succedere, Questione di cuore, Alaska) con un lavoro meticoloso di documentazione e studio delle fonti storiche, durato quattro anni. La serie, come il film, è interamente girata in protolatino.

Romulus, la trama

Lazio, VIII secolo a. C.. Trenta popoli formano la Lega Latina. Ognuno ha il suo re, ma tutti vivono sotto la guida del re di Alba, Numitor. La preoccupazione cresce nella Lega a causa di una prolungata siccità. Si consulta l’aruspice e il verdetto è implacabile: per far tornare la pioggia, gli dei chiedono l’esilio di Numitor. Il trono dovrà passare ai nipoti Enitos, Giovanni Buselli, e Yemos, Andrea Arcangeli, figli di sua figlia Silvia, Vanessa Scalera. I due fratelli sono inseparabili, ma Enitos ama segretamente Ilia, Marianna Fontana, vestale figlia di Amulius, Sergio Romano, fratello di Numitor.  Ilia è rinchiusa nel tempio di  Vesta, dove veglia giorno e notte sul fuoco sacro affinché non si spenga. Nonostante Ilia profetizzi a Enitos che sarà ucciso da suo fratello e gli consigli di allontanarsi da Alba per fuggire il destino, Enitos decide di restare accanto al fratello e regnare insieme. Nel frattempo, a Velia, un gruppo di giovani, i Luperci, viene scelto per un rito di iniziazione: dovrà restare nel bosco per mesi e sopravvivere alla minaccia della dea Rumia, che abita la foresta. Tra questi c’è Wiros, Francesco Di Napoli.  Ad Alba Amulius, convinto dalla moglie Gala, Ivana Lotito, e dal re di Velia, Spurius, Massimo Rossi, prende il potere con la forza. Yemos dovrà fuggire verso il bosco, dove si unirà ai Luperci avvicinandosi a Wiros. Ilia perderà il suo amore e farà un gesto gravissimo, di cui pagherà le conseguenze. Tutto però può cambiare in un attimo in un mondo primitivo, dominato da violenza, paura e mistero.

Romulus mantiene le promesse nonostante qualche compromesso inevitabile

Torniamo dunque alla domanda dell’inizio. Romulus mantiene gli alti livelli del film da cui è tratto, nonostante la diluizione nella serialità? Stando ai primi due episodi, sembra di si. Il progetto è molto curato e riesce a sfruttare al meglio la possibilità di inventare un mondo che ancora non c’è, che non si era mai visto prima, partendo da una minuziosa ricostruzione storica. Il lavoro di scrittura in questo senso è notevole. D’altro canto, si inseriscono elementi che nel film erano assenti, come la sessualità, quindi la nudità, con scene anche molto esplicite, elemento che ne Il primo re mancava. Lo si fa per uniformare il prodotto a dei canoni e attrarre un pubblico di massa. Al posto di una visione problematica e complessa dei rapporti sembra farsi strada una visione semplificata in cui è più netta la distinzione tra bene e male. Questo almeno a giudicare dai primi due episodi. Si introducono figure da tragedia shakespeariana, su tutte Gala, moglie di Amulius, una Lady Macbeth ante litteram, e lo stesso Amulius, un po’ Macbeth un po’ il Claudius dell’Amleto. Non tutti i personaggi però sono curati allo stesso modo, anche se ciò si potrà valutare più compiutamente nello sviluppo della serie. Si pensi ad esempio proprio a Gala, che nei primi due episodi interviene sempre con lo stesso comportamento e la stessa finalità, con una certa prevedibilità. Ciò stona un po’ con l’estrema accuratezza di cui abbiamo parlato sopra.

La regia riesce a restituire sia la vastità di spazi allora sconosciuti e quindi spaventosi, la durezza delle condizioni materiali di vita, sia lo stato di perenne paura, di estrema precarietà in cui vivono i protagonisti. C’è molta attenzione alle emozioni. Lo sguardo del regista si posa sui volti e i corpi dei personaggi, che indaga da vicino per scorgerne gli stati d’animo e i cambiamenti. Si riesce così a creare – con l’aiuto della buona fotografia di Vladan Radovic, sebbene sia difficile raggiungere i livelli di Daniele Ciprì ne Il primo re, delle musiche dei Mokadelic, basate ancora una volta sui ritmi percussivi, adatti al contesto arcaico e creatori di atmosfere piene di attesa e suspense – un’esperienza coinvolgente e un universo credibile, che viaggia tra ricostruzione maniacalmente realistica e fantasia. Il tutto è introdotto dalla sigla di testa, spettacolare sia visivamente che musicalmente, con una bella cover di Shout dei Tears for Fears cantata da Elisa. C’è da augurarsi che i tre registi siano riusciti a trovare un equilibrio di stili e che il livello si mantenga alto durante tutta la serie come in questi primi due episodi diretti da Matteo Rovere.

Un cast di giovani attori da vita a Romulus

Il cast di Romulus punta soprattutto sui giovani. I tre personaggi principali su cui si concentra l’attenzione sono Yemos, interpretato da Andrea Arcangeli (Trust, The Startup), Wiros, Francesco Di Napoli (La paranza dei bambini) e Ilia, Marianna Fontana (Indivisibili, Capri – Revolution). Quest’ultima si distingue nel ruolo della giovane vestale. La sequenza dell’interramento che la vede protagonista è senza dubbio visivamente impressionante e difficile da dimenticare, ma l’attrice dimostra di sapersi esprimere al meglio in più momenti. Si capisce già dai primi episodi come la sua figura sia quella di una ribelle destinata a diventare un’eroina che riscatta il ruolo delle donne in una società fortemente maschile. Da questo si evince, poi, come la serie reinventi il passato per parlare al presente.

Accanto a loro Giovanni Buselli (Gomorra – La serie), Silvia Calderoni (Riccardo va all’inferno), Demetra Avincola (Fortunata, Loro 2), Ivana Lotito (Gomorra – La serie), Gabriel Montesi (Favolacce, Il primo re) sono solo alcuni dei componenti del nutrito cast della serie. Prodotto da Sky, Cattleya e Groenlandia, Romulus arriva su Sky dal 6 novembre.

MCU: come l’Hydra ha trasformato Bucky Barnes nel Soldato d’Inverno

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La Marvel ha rivelato come l’Hydra abbia trasformato Bucky Barnes, il migliore amico di Steve Rogers, nel Soldato d’Inverno. Quando Sebastian Stan ha fatto il suo debutto nel MCU nei panni di Bucky Barnes in Captain America: Il primo vendicatore, chiunque aveva familiarità con i fumetti sapeva che direzione avrebbe preso la sua storia. Non passò molto tempo prima che emergessero rapporti secondo cui Stan aveva firmato un contratto per più film, e da allora tutto sembrava alquanto inevitabile.

Potrebbe essere stato facile da prevedere, ma il ritorno di Bucky è stato gestito in modo eccezionale e ad oggi Captain America: The Winter Soldier del 2014 è ancora considerato uno dei migliori film dell’intero MCU. Nell’universo condiviso, Bucky è sopravvissuto ad una caduta da una grande altezza ed è stato catturato dall’Hydra. È stato gradualmente trasformato nel miglior assassino dell’Hydra, congelato criogenicamente tra le varie missioni e scongelato ogni volta che l’Hydra aveva bisogno di lui.

È stato responsabile di alcune delle morti più importanti nella storia del MCU, inclusi gli assassinii di Howard e Maria Stark e persino l’omicidio del presidente degli Stati Uniti, John F. Kennedy. Ma come ha fatto l’Hydra a trasformare il migliore amico di Captain America nel Soldato d’Inverno? La risposta è stata finalmente data da The Wakanda Files (via Screen Rant), una raccolta di record relativi all’universo condiviso messi insieme da Shuri mentre studiava il mondo in via di sviluppo oltre i confini di Wakanda, pubblicato nell’ottobre 2020.

Secondo i file di Shuri, il progetto del Soldato d’Inverno fu supervisionato personalmente dal dottor Arnim Zola mentre era sotto la custodia dell’SSR negli anni ’40. “Il mio lavoro continua in segreto”, riflette Zola in uno dei suoi appunti personali: “Nella fredda desolazione della Siberia sta nascendo il prossimo soldato dell’Hydra. Il complesso siberiano ha riferito che il sergente Barnes si sta riprendendo abbastanza bene dopo essere caduto dal ponte. Le sue ferite erano estese, richiedendo l’amputazione del braccio sinistro. Ma questo è facilmente risolvibile con protesi cibernetiche avanzate”. Shuri credeva inoltre che l’Hydra avesse esposto Barnes alle radiazioni gamma per migliorare il suo fisico, ispirato dall’energia del Tesseract.

Bucky Barnes ancora suscettibile al controllo esterno?

I diari di Zola indicano che Bucky Barnes era inaspettatamente resistente al lavaggio del cervello dell’Hydra, combattendolo con una ferocia inesplicabile. Tuttavia, l’Hydra persistette, sottoponendo Bucky ad un condizionamento intensivo e poi congelandolo criogenicamente prima della successiva sessione di lavaggio del cervello. “Il programma del Soldato d’Inverno dell’Hydra ha sottoposto Barnes ad una terapia elettroconvulsiva (ECT)”, osserva Shuri nei suoi appunti personali, “seguita da parole chiave e frasi suggestive per attivare un nodo cerebrale che potrebbe richiedere anni per sciogliersi. Se siamo in grado di invertirlo. L’ECT è estremamente doloroso e l’Hydra non ha somministrato agenti opacizzanti “. Shuri paragona l’esperienza di Bucky quando è sotto il controllo dell’Hydra a quella di una persona nella fase REM mentre è in realtà sveglia, quindi in uno stato di sogno in cui non ha la libera volontà di rifiutare gli ordini.

Il Soldato d’Inverno sarebbe stato l’agente più fedele dell’Hydra, se non fosse stato per un fattore che non avevano considerato: la sua lealtà a Steve Rogers, che fu scongelato dal ghiaccio decenni dopo e riprese la sua carriera come Captain America. “I ricordi condivisi di Barnes con il suo migliore amico, Steve Rogers, hanno attivato momentaneamente i centri della memoria”, osserva Shuri, “dando vita a piccoli frammenti della sua vita passata mentre si trovava in una trance simile al sonno”. Tuttavia, questo stimolo emotivo è l’unico modo sicuro per Bucky di rimanere libero dal suo condizionamento mentale,  nonostante ora Captain America non ci sia più. Shuri non sembra credere che il lavaggio del cervello sia stato invertito con successo, il che significa che il Soldato d’Inverno potrebbe essere ancora suscettibile al controllo esterno. Ciò potrebbe rivelarsi significativo ai fini della trama dell’attesa serie The Falcon and the Winter Soldier.

Shia LaBeouf e Margaret Qualley nudi nel nuovo video di Rainsford

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È arrivato on line il nuovo video di Rainsford, nome d’arte di Rainey Qualley, che per l’accompagnamento per immagini di Love me like you hate me si è avvalsa della collaborazione di Shia LaBeouf e della sorella Margaret Qualley. Il video, che potete vedere di seguito, è il racconto di una quotidianità di una storia d’amore, intima, passionale, fisica, difficile e delicata. Ecco il video di seguito:

https://vimeo.com/471151437

Shia LaBeouf non è nuovo alla realizzazione di videoclip musicali anche fisicamente impegnativi, come è accaduto con le collaborazioni con Sigur Ros e Sia. Margaret Qualley non è da meno, dal momento che proviene dalla danza e dal cinema indipendente – sperimentale, prima del debutto nel cinema d’autore con C’Era una volta a Hollywood, di Quentin Tarantino. La ricordiamo nel meraviglioso cortometraggio per Kenzo diretto da Spike Jonze.

Anche se non è ufficiale, in assenza di credits, sembra che il video sia stato diretto da Olivia Wilde, come spoilera un commento di Reed Morano su Instagram, sotto al post di Just Jared che annuncia l’uscita del video stesso.

The Suicide Squad: James Gunn sulle riprese aggiuntive e sulla libertà creativa

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Dopo le cover di Empire che ci hanno regalato un nuovissimo sguardo a tutto il cast del film, James Gunn è tornato a parlare via Twitter dell’attesissimo The Suicide Squad, rivelando nuovi dettagli sulla nuova iterazione cinematografica della Task Force X che dovrebbe arrivare al cinema il prossimo anno.

Il regista e sceneggiatore ha spiegato che il montaggio del film è stato completato e che adesso è impegnato con le fasi finali della post-produzione. Il regista ha inoltre confermato che non ci saranno riprese aggiuntive: “Avevamo inserito i reshoot nel nostro programma. Ma questa settimana abbiamo in programma di allacciare il film (che significa bloccare le immagini ad eccezione di alcuni elementi che andranno spostati per fare spazio ai VFX da inserire successivamente) e non abbiamo rigirato nulla.” 

Gun ha inoltro spiegato che nessun personaggio sarà “al sicuro” nel film e che nessun personaggio ha avuto le spalle coperte dalla DC Films, neanche la celebre Harley Quinn di Margot Robbie: “”Nessun personaggio è stato protetto dalla DC. Mi hanno dato carta bianca per fare tutto quello che volevo. Questa è stata una delle cose che avevamo concordato prima che accettassi di lavorare per loro. Il mio obiettivo non era quello di cercare lo shock gratuito, ma volevo che il pubblico capisse che nel film può succedere qualsiasi cosa.”

Il cast ufficiale di The Suicide Squad comprende i veterani Margot Robbie (Harley Quinn), Viola Davis (Amanda Waller), Joel Kinnaman (Rick Flag) e Jai Courtney (Captain Boomerang), insieme alle new entry Idris ElbaMichael RookerNathan FillionTaika WaititiJohn CenaPeter Capaldi, Sean Gunn, David Dastmalchian Storm Reid. Nel film reciteranno anche Pete Davidson, Juan Diego Botto, Joaquin Cosio, Flula Borg, Tinashe Kajese, Jennifer Holland, Julio Ruiz, Alice Braga, Steve Agee e Daniela Melchior.

No Time to Die: Apple e Netflix volevano acquistare il film

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No Time to Die: Apple e Netflix volevano acquistare il film

Bloomberg riporta che MGM avrebbe avuto una serie di discussioni con Apple e Netflix in merito alla possibilità di acquistare No Time to Die e di far debuttare il nuovo attesissimo capitolo della saga di James Bond direttamente in streaming. Tuttavia, lo studio sembra essere irremovibile e convinto di voler distribuire Bond 25 al cinema.

Il sito spiega che il prossimo film di James Bond potrebbe potenzialmente recuperare centinaia di milioni di dollari attraverso una potenziale uscita in streaming, anche se MGM sostiene che il blockbuster “non è in vendita”. Un rappresentante ha rilasciato una dichiarazione dicendo: “L’uscita del film è stata posticipata ad aprile 2021 al fine di preservare l’esperienza in sala per gli spettatori.”

Amazon non sembra essere in corsa per acquistare No Time to Die, anche se questa potrebbe rivelarsi una mossa innegabilmente sensata per MGM in questa fase così delicata. Tenet è stato un fallimento al botteghino, mentre la spesa relativa al marketing del prossimo film di 007 sembra essersi definitivamente esaurita (un trailer finale che reclamizzava l’uscita in sala a novembre ha debuttato poco prima della notizia dell’ennesimo rinvio).

No Time to Die e il futuro della sala cinematografica

No Time to Die è costato circa 250 milioni di dollari, quindi se MGM avesse la possibilità di vendere il film ad una cifra superiore, avrebbe certamente la possibilità di raggiungere almeno il pareggio. Se si scommette ancora su un’uscita in sala, il risultato finale potrebbe essere quello di una grave perdita, perché è chiaro che gli spettatori non saranno pronti a tornare al cinema fino a quando non sarà disponibile un vaccino COVID-19.

In No Time to Die, Bond si gode una vita tranquilla in Giamaica dopo essersi ritirato dal servizio attivo. Il suo quieto vivere viene però bruscamente interrotto quando Felix Leiter, un vecchio amico ed agente della CIA, ricompare chiedendogli aiuto. La missione per liberare uno scienziato dai suoi sequestratori si rivela essere più insidiosa del previsto, portando Bond sulle tracce di un misterioso villain armato di una nuova e pericolosa tecnologia.

Il film vedrà protagonisti un cast d’eccezione composto da Daniel CraigLéa SeydouxRalph FiennesRami MalekNaomie HarrisBen WhishawJeffrey WrightAna de Armas, Rory Kinnear, Dali Benssalah, Billy Magnussen, David Dencik e Lashana Lynch.

Mahershala Ali parla di Blade e dell’eredità di Wesley Snipes

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Mahershala Ali parla di Blade e dell’eredità di Wesley Snipes

Durante il Comic-Con di San Diego dello scorso anno, Kevin Feige annunciò ufficialmente che il premio Oscar Mahershala Ali avrebbe interpretato Blade in un nuovo cinecomic del MCU. Da allora, però, non ci sono mai stati aggiornamenti significativi sul progetto, se non un concept ufficiale – condiviso via Instagram dallo stesso Alì – che mostrava l’attore nei panni di Eric Brooks.

Adesso, in una recente intervista con The Tight Rope, Mahershala Ali ha finalmente parlato del film e di come sia riuscito ad ottenere la parte, rivelando di aver sempre voluto interpretare il personaggio fin da quando ha ottenuto la parte di Cornell “Cottonmouth” Stokes nella serie Marvel Luke Cage. 

“Quando Luke Cage è stato presentato per la prima volta, mi sono rivolto al mio agente e gli ho detto: ‘Cosa stanno facendo con Blade?’. Sapevo che stavano cercando un modo per riportare il personaggio al cinema. Per me è stato eccitante entrare a far parte dell’universo Marvel alla televisione, ma la verità è che il mio obiettivo è sempre stato il cinema.”

“Ci sono voluti un paio d’anni prima che tutto si concretizzasse”, ha continuato l’attore. “Volevo davvero interpretare quel personaggio e affrontare quella responsabilità. Mi piace che sia un personaggio oscuro, ovviamente in riferimento al tono. È decisamente più cupo rispetto a tutti gli altri personaggi. Questo è stato l’elemento di maggior interesse per me.”

Ali ha parlato anche dell’eredità di Wesley Snipes, che ha interpretato Eric Brooks/Blade in ben tre film, realizzati tra il 1998 e il 2004: “Nella mia mente c’era sicuramente un legame con Wesley Snipes. Quando ero al liceo le persone mi dicevano che ci somigliavamo. Il lavoro di Wesley mi ha sicuramente ispirato, tuttavia è stata la mia partecipazione a Luke Cage a permettermi di pensare alla parte e di capire cose stessero facendo al riguardo.”

Cosa sappiamo di Blade con Mahershala Ali?

Al momento su Blade vige il mistero più assoluto: non sappiamo infatti né chi si occuperà della regia, né chi della sceneggiatura e, soprattutto, quali attori affiancheranno Ali nel cast.

Mahershala Ali è uno dei nomi più “caldi” del momento, a Hollywood. Dopo il suo exploit nel 2016 con Moonlight, che gli ha regalato il primo Oscar da non protagonista, Ali ha fatto doppietta quest’anno con Green Book, nella stessa categoria. Intanto ha continuato a coltivare il cinema da blockbuster (è nel cast di Alita: l’Angelo della Battaglia) e la grande serialità televisiva (è stato protagonista della terza stagione di True Detective).

Ali non è estraneo al cinema di supereroi. Ha dato la voce a Prowler in Spider-Man: Un Nuovo Universo ed è stato Cottonmouth nella prima stagione di Luke Cage per Marvel/Netflix.

Big Sky: nuovo promo “Brace for Impact”

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Big Sky: nuovo promo “Brace for Impact”

Dopo il trailer ufficiale il network americano ABC ha diffuso l’inedito promo “Brace for Impact” di Big Sky, l’annunciata nuova serie tv in arrivo questo autunno.

Big Sky

Big Sky è la nuova serie tv creata da David E. Kelley per il network americano ABC. David E. Kelley sarà lo showrunner della prima stagione. Basato sulla serie di libri di CJ Box, “Big Sky” è prodotto da David E. Kelley, Ross Fineman, Matthew Gross, Paul McGuigan, CJ Box e Gwyneth Horder-Payton, ed è prodotto da 20th Television. 20th Television fa parte dei Disney Television Studios, insieme a ABC Signature e Touchstone Television.

La serie racconta degli investigatori privati ​​Cassie Dewell e Cody Hoyt uniscono le forze con la sua ex moglie ed ex poliziotta, Jenny Hoyt, per cercare due sorelle che sono state rapite da un camionista su una remota autostrada nel Montana. Ma quando scoprono che queste non sono le uniche ragazze scomparse nella zona, devono correre contro il tempo per fermare l’assassino prima che un’altra donna venga rapita. Big Sky vede protagonisti Katheryn Winnick nei panni di Jenny Hoyt, Kylie Bunbury nei panni di Cassie Dewell, Brian Geraghty nei panni di Ronald Pergman, Dedee Pfeiffer nei panni di Denise Brisbane, Natalie Alyn Lind nei panni di Danielle Sullivan, Jade Pettyjohn nei panni di Grace Sullivan, Jesse James Keitel nei panni di Jerrie Kennedy, Valerie Mahaffey come Helen Pergman con John Carroll Lynch come Rick Legarski e Ryan Phillippe come Cody Hoyt.

Creed 3: Michael B. Jordan debutterà alla regia?

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Creed 3: Michael B. Jordan debutterà alla regia?

Arriva da Deadline la notizia che Michael B. Jordan potrebbe debuttare alla regia di Creed 3, il terzo capitolo della serie di spin-off della saga di Rocky Balboa, i cui eventi si svolgono nove anni dopo i fatti narrati nel franchise con protagonista Sylvester Stallone.

Il terzo episodio è stato ufficializzato lo scorso febbraio. All’epoca venne soltanto confermato che ad occuparsi della sceneggiatura sarebbe stato Zach Baylin, noto per aver curato lo script di King Richard, un biopic incentrato sulla vita del padre delle campionesse di tennis Serena e Venus Williams, che avrà come protagonista Will Smith e che debutterà prossimamente su Netflix.

Adesso, stando al report di Deadline (via Collider), sembra proprio che Michael B. Jordan non solo tornerà nei panni di Adonis “Donnie” Johnson, ma firmerà anche il suo debutto dietro la macchina da presa proprio grazie a Creed 3. In realtà, non è la prima volta che si parla di tale possibilità, dal momento che le voci sulla possibilità che Jordan si occupi anche della regia del film circolavano da un bel po’. Ad ogni modo, la Warner Bros. non ha ancora confermato l’attore come regista ufficiale.

Un’altra importante novità in merito a Creed 3 riguarderebbe il coinvolgimento di Sylvester Stallone, che potrebbe non tornare nei panni dell’iconico personaggio in veste di mentore. In effetti, già in Creed 2 l’arco narrativo del personaggio sembrava essersi concluso. Lo scorso maggio l’attore aveva parlato del progetto su Instagram durante un Q&A – lo stesso in cui aveva confermato il sequel di Demolition Man -, anticipando che potrebbe non apparire nel terzo capitolo della saga spin-off.

Stallone ha spiegato di avere alcune idee per fare tornare il personaggio di Rocky al cinema, ma dubita che ciò possa avvenire nel terzo annunciato Creed. Sly ha quindi confermato di avere alcune idee per un sequel di Rocky, ma al tempo stesso pensa che il suo arco narrativo nel franchise con protagonista Michael B. Jordan si sia esaurito.

Shangi-Chi: le riprese sono ufficialmente terminate

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Shangi-Chi: le riprese sono ufficialmente terminate

Shang-Chi and the Legend of the Ten Rings sarebbe dovuto arrivare nei cinema a febbraio 2021, ma l’emergenze Covid-19 ha letteralmente stravolto il calendario delle uscite dei prossimi attesissimi film del MCU, facendo slittare il cinecomic di Destin Daniel Cretton prima a maggio e poi a luglio del prossimo anno.

Le riprese del film erano partite in Australia prima che il lockdown dello scorso marzo fermasse tutte le produzioni cinematografiche su scala mondiale. Successivamente, il cast e la troupe del film sono ritornati sul set per completare le riprese australiane e spostarsi così a San Francisco. Adesso, è stato proprio Cretton a confermare via Instagram che le riprese del cinecomic al Maestro delle Arti Marziali si sono ufficialmente concluse.

Vista l’attuale situazione legata al Coronavirus, è impossibile prevedere quale sarà il reale futuro di Shang-Chi and the Legend of the Ten Rings: per ora il film è atteso nelle sale per luglio del 2021, ma non è escluso che le cose possano cambiare ancora una volta. Sulla trama del film sappiamo ancora poco, se non che il vero Mandarino farà finalmente il suo debutto nell’Universo Cinematografico Marvel e che il protagonista sarà coinvolto in una sorta di torneo di combattimento per entrare in possesso dei Dieci Anelli a cui fa riferimento il titolo.

I primi dettagli sulla trama di Shang-Chi

Stando ai primi dettagli sulla trama emersi diverso tempo fa, Shang-Chi non sarà soltanto il Maestro delle Arti Marziali che i fan hanno imparato a conoscere grazie ai fumetti: sembra, infatti, che il protagonista avrà l’abilità di dare vita ad una serie di cloni di se stesso (un potere simile a ciò che è già in grado di fare nei fumetti), e sarà proprio quest’abilità a metterlo nel radar del Mandarino. Cresciuto in uno speciale orfanotrofio dov’è stato addestrato al combattimento, Shang-Chi decide di fuggire per poi finire, anni dopo, di nuovo nelle grinfie del villain. Il Mandarino promette a Shang-Chi soldi, potere e – cosa ancora più importante – la libertà, se accetterà di combattere in un torneo dove al vincitore verranno consegnati i Dieci Anelli a cui fa riferimento il titolo.

L’uscita nelle sale di Shang-Chi and the Legend of the Ten Rings è fissata al 7 maggio 2021. Destin Daniel Cretton, acclamato regista di Short Term 12 e The Glass Castle (di recente è uscito il suo ultimo lavoro Il Diritto di Opporsi, con Michael B. Jordan, Jamie Foxx e Brie Larson) è stato scelto per dirigere il film che vanta la sceneggiatura di Dave Callaham (The Expendables, Godzilla, Wonder Woman 1984).

Vi ricordiamo che nei panni del protagonista ci sarà l’attore canadese Simu Liu, visto di recente nella commedia di Netflix Kim’s Convenience. Insieme a lui, nel cast, figureranno anche Tony Leung Chiu-wai nei panni del Mandarino, e Awkwafina, che dovrebbe interpretare un “leale soldato” del Mandarino, e se è vero che il villain qui sarà il padre di Shang-Chi, in tal caso ci sono ottime possibilità che si tratti di Fah Lo Suee. Chi ha letto i fumetti saprà che è la sorella dell’eroe del titolo e che il suo superpotere è l’ipnosi.

Fuori era primavera: la recensione del documentario di Gabriele Salvatores #RFF15

È possibile raccontare al cinema il drammatico periodo che l’Italia ha vissuto, e sta ancora vivendo, a causa della pandemia di Covid-19? Tale quesito ha acceso nelle ultime settimane innumerevoli dibattiti, alimentato anche dall’uscita in sala del film Lockdown all’italiana di Enrico Vanzina. Se per molti una commedia ad equivoci non era il genere più idoneo per affrontare il tema, potrebbe invece esserlo il documentario Fuori era primavera – Viaggio nell’Italia del Lockdown, del regista premio Oscar Gabriele Salvatores. La differenza sta che in quest’ultimo ad avere voce in capitolo sono proprio gli italiani, popolo imperfetto ma straordinario, chiamato ad affrontare negli scorsi mesi una delle sfide più dure dal secondo dopoguerra ad oggi.

Presentato durante la Festa del Cinema di Roma, il film del regista di Il ragazzo invisibile ricalca l’esperimento già compiuto nel 2014 con Italy in a Day – Un giorno da italiani. La modalità è la stessa: nel corso delle settimane in cui gli italiani sono rimasti in casa per limitare i contagi, il regista ha chiesto a tutti loro di inviargli delle video testimonianze di quella loro insolita quotidianità. Ancora una volta, dunque, l’Italia si è riscoperta popolo di narratori. Nel giro di breve, si raccolgono oltre 16 mila video, e dalla loro unione nasce un ritratto divertente, commovente ma anche frustrante di quanto accaduto e del modo in cui le persone vi si sono relazionate.

Nel costruire il racconto, Salvatores ha seguito un chiaro ordine cronologico. Si parte con i primi timori dell’arrivo del virus, fino a quel fatidico 9 marzo in cui l’Italia viene dichiarata zona rossa nella sua totalità. Da lì hanno inizio tre mesi di piazze vuote, ospedali pieni e balconi in festa con il tentativo di sentirsi tutti meno soli. Si delineano diverse figure di eroi, dai medici e gli infermieri ai fattorini del cibo d’asporto, nonché l’attenzione verso le notizie globali e la rinascita della natura. Tutto questo e molto altro va a dar voce ad un paese che ha sofferto, soffre, ma fa comunque di tutto per resistere.

Fuori era primavera: tra documento ed emozione

Nella nostra società contemporanea la documentazione dell’evento è ormai per le persone un atto pressoché irrinunciabile. Che siano più o meno importanti, questi trovano sempre spazio nel nostro personale archivio mediale. Di fronte ad una pandemia globale, che ha radicalmente trasformato le abitudini mondiali, era dunque prevedibile che ognuno nel suo privato avrebbe intensificato tale attività. Sono così spuntati in rete tutorial di ogni tipo, video-diari, e simili. Le videochiamate di lavoro o tra amici si sono moltiplicate, così come anche la tanto nominata didattica a distanza.

Se tutte queste voci prese singolarmente possono essere un racconto parziale, smettono naturalmente di esserlo nel momento in cui vengono accostate a testimonianze più o meno simili. È quello che succede con Fuori era primavera, documentario che presenta in sé due grandi elementi di forza. Il primo è quello del valore testimoniale. È a progetti come questi che in futuro si guarderà per avere un’idea di quello che è ora il nostro mondo presente. Nel documentario di Salvatores si ritrova il racconto di un vero e proprio momento di passaggio, che ha nella video testimonianza del reale il suo marchio di qualità.

Di ciò che viene mostrato, infatti, non importa tanto il cosa quanto il come. Il film è un’ennesima prova del potere dei social network e dei moderni canali di comunicazione. Questi permettono infatti di colmare virtualmente le distanze che cause naturali obbligano a mantenere a livello fisico. L’altro grande valore del film è invece quello della sincerità. Sarebbe infatti fin troppo facile costruire un racconto ruffiano su ferite ancora così vive. Salvatores riesce ad evitare tale rischio omettendo i più comuni stereotipi a riguardo, privilegiando elementi che sappiano di novità. Così facendo, il suo film acquista un grande, e sincero, cuore.

Fuori era primavera Gabriele Salvatores

Fuori era primavera: la recensione

Dati questi due grandi pregi del film, dunque, Fuori era primavera – Viaggio nell’Italia del Lockdown si configura come un esperimento doppiamente interessante. Questo, come riporta anche il sottotitolo, è un vero e proprio viaggio dal Nord al Sud del Bel Paese. Grazie al potere del cinema, è possibile percorrere questo senza spostarsi di un metro, avvertendo ugualmente tutta la carica emotiva che gli italiani hanno da trasmettere. Si rimane infatti commossi dinanzi alla forza di questo popolo, che quando vuole sa dimostrare di essere davvero il più bello del mondo. L’attualità di quanto narrato certamente influisce sul giudizio emotivo, ma rimane ugualmente difficile non provare grande commozione davanti alle immagini proposte.

Salvatores vince dunque la sfida di voler raccontare tale periodo rinunciando alla finzione cinematografica. Nessuno più dei veri protagonisti del lockdown sembra in grado di poter raccontare cosa è stato questo momento storico. Le loro voci danno vita ad un paese ricco di somiglianze e differenze, che si scopre bello anche grazie a queste ultime. Tra l’Inno di Mameli cantato tutti insieme sul balcone, e la pizza fatta in casa del sabato sera, si manifesta la forza di un popolo costretto tra quattro mura mentre fuori ha luogo la primavera. Simbolo di rinascita e speranza, questa non poteva che diventare il titolo del film.

Seize printemps, recensione del film di e con Suzanne Lindon #RFF15

L’esordio registico e attoriale di Suzanne Lindon, ventenne figlia d’arte degli attori Vincent Lindon e Sandrine Kiberlaine, s’intitola Seize printemps, ovvero sedici primavere: l’età della protagonista, che guarda caso si chiama come la regista, Suzanne. Lindon si dà anche il compito di interpretarla, esplorandone dubbi e incertezze adolescenziali, ma anche i primi amori. Presentato al Festival di Toronto a settembre, avrebbe dovuto partecipare a quello di Cannes, annullato a causa della pandemia. Ora arriva alla Festa del Cinema di Roma.

Seize printemps, la trama

Suzanne, Suzanne Lindon, ha 16 anni. Frequenta il liceo, ma la scuola e i compagni da un po’ di tempo la annoiano. I compagni sono troppo superficiali e la scuola è sempre la stessa, una routine ormai priva di interesse. In tutt’altro ambito, succede la stessa cosa a Raphael, Arnaud Valois, trentacinquenne attore di teatro, stanco del suo mestiere, ogni sera uguale a sé stesso e dei suoi colleghi di lavoro. Così, un po’ per gioco, un po’ per curiosità, i due cominciano a vedersi ogni mattina, al bar vicino al teatro e alla scuola di Suzanne. S’innamorano, trovando uno nell’altra la propria fuga dalla monotonia della quotidianità, una boccata d’aria fresca in un orizzonte piatto.

Pur essendo acerba, come ci si aspetta che sia l’opera prima di una ventenne, che ne ha scritto la sceneggiatura a soli 15 anni, Seize printemps colpisce per il suo delicato romanticismo, in controtendenza rispetto ai tempi spavaldi ed esibizionisti che oggi viviamo. Lindon attrice si propone come una nuova Charlotte Gainsbourg, o  Sophie Marceau e questo suo esordio potrebbe essere visto come una sorta di Il tempo delle mele degli anni 2000.

Uno sguardo ancora immaturo, ma originale e in controtendenza sulle sedici primavere

Per quel che riguarda il racconto di una storia d’amore, questo semplicissimo e per certi versi ingenuo film riesce a comunicare con più efficacia il sentimento amoroso – in particolare la fragilità e l’impaccio di quei primi amori adolescenziali, platonici, che però non per questo sono meno profondi e meno intensi – rispetto ad esempio ad un film come l’atteso Ammonite di Francis Lee, in cui comunque non si riesce a venir fuori da una certa rigidità che raffredda il sentimento. Seize printemps è la dimostrazione di come, se si ha un’idea e una buona sensibilità per realizzarla, anche con poco si riesce ad arrivare agli spettatori, ad emozionare, complice anche la buona sintonia tra Lindon e il protagonista maschile Arnaud Valois (120 battiti al minuto).

I dialoghi sono quasi assenti, al loro posto gesti teatrali, balli e musica. Tuttavia, questo non è solo un modo per scegliere la strada più facile, ma è una precisa scelta che si apprezza da spettatori, e ancora una volta si mostra in controtendenza rispetto a tanta cinematografia, soprattutto francese, caratterizzata da una sovrabbondanza di parole, ultimo esempio Le discours, presentato proprio qui a Roma pochi giorni fa. Qui, al contrario, si lavora quasi solo con il corpo, i movimenti, gli sguardi. In questo i protagonisti sono bravi entrambi. Anche qui c’è del teatro, ma non è affabulazione, bensì sensazioni, rumori e gesti quasi da mimo. Come luogo poi, il teatro, il palcoscenico sono i luoghi simbolo dell’incontro tra i due, quelli a cui l’arrivo di Suzanne dà un nuovo senso per Raphael, che se ne stava allontanando.

Detto questo, non mancano le ingenuità ed è un peccato che la regista abbia fretta di portare a compimento la vicenda – il film dura 73 minuti – questa sì, figlia senz’altro dell’inesperienza e di una scrittura che deve ancora crescere molto. Sarebbero serviti 15-20 minuti in più e un epilogo più compiuto al lavoro. Invece, si ha la sensazione di correre verso il finale in maniera troppo sciatta.

Un talento da tenere d’occhio

Tuttavia, Suzanne Lindon si dimostra un talento da tenere d’occhio. Sa trattare con freschezza, non senza una vena di ironia, e con un rispetto insolito, ma efficacissimo e quasi commovente questa educazione sentimentale. Fotografa poi bene l’adolescenza: quella fase della vita in cui ancora non si sa chi si è e cosa si vuole, ma si ha chiaro che non si è più bambini e che molto di ciò che prima rendeva felici, non soddisfa più. Una fase in cui ci si sente potenti e vulnerabili al tempo stesso, fragili e forti. Quelle sedici primavere potrebbero essere della regista stessa, come di chiunque altro e sono importanti nella vita di ciascuno, motivo per cui, ne è convinta Suzanne Lindon, vanno trattate con estrema cura.

Under the Open Sky: la recensione del film di Miwa Nashikawa #RFF15

Ci è sempre stato insegnato che il nostro è un mondo dove chiunque ha diritto ad una seconda possibilità, ma è davvero così? La regista giapponese Miwa Nashikawa si pone questo importante quesito nel realizzare il suo nuovo film Under the Open Sky, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Allieva del grande Hirokazu Kore’eda (Un affare di famiglia), nel corso della sua filmografia ha sempre raccontato storie particolarmente personali. Per la prima volta qui si affida invece ad un romanzo dal titolo Mibuncho, opera del noto scrittore Saky Ryuzo.

Questo è basato sulla vera figura di un detenuto e sulla sua difficile vita una volta uscito di prigione. Grazie a tale storia, adattata al presente, la regista ha modo di esplorare nuove tematiche. Queste ruotano a loro volta intorno ad un ritratto dell’odierna società giapponese, con i suoi pregi e i suoli limiti. Il racconto che ne deriva è delicato come una carezza, pur raccontando una situazione drammatica, da cui si possono generare numerose riflessioni. Un’abilità, questa, che la regista dimostra di aver ereditato dalle sue numerose collaborazioni con i grandi maestri del cinema giapponese.

La storia qui raccontata ha per protagonista Mikami (Yakusho Koji), ex esponente dell’organizzazione criminale Yakuza. Dopo 13 anni di prigione per omicidio, egli è ora un uomo libero, pronto a riconquistare la sua vita. Per lui ha però inizio un difficile inserimento nella società, dove fatica a trovare un lavoro stabile. Causa di ciò è anche il suo codice di condotta, profondamente radicato nelle regole alle quali apparteneva. Queste risultano però ormai appartenenti ad un mondo in via di estinzione, e non si adattano all’ordinato sistema di assistenza sociale del Giappone. Catapultato in un mondo che non capisce, Mikami dovrà allora riuscire a controllare la sua natura impulsiva, fidandosi di quanto vogliono aiutarlo davvero.

Under the Open Sky: una prigione a cielo aperto

La società giapponese è cambiata in modo radicale negli ultimi decenni, e spesso ad una velocità quasi spaventosa. Chi non riesce a stare al passo, e rimane indietro, sembra così essere destinato ad una vita di fatiche e di stenti per cercare il proprio posto in tutto ciò. A tali cambiamenti si aggiunge la sempre più evidente indisposizione ad accettare coloro che necessitano di una seconda possibilità. Da qui parte la vicenda del protagonista di Under the Open Sky, il quale sembra uscire da una prigione per entrare in una realtà che la ricorda molto, pur non prevedendo confini spaziali. L’ironico titolo del film suggerisce infatti il senso di oppressione provato da Mikami pur trovandosi finalmente “libero”.

Nel corso del film egli si trova a doversi relazionare con una serie di personaggi e procedure che evidenziano la sua difficoltà a dialogare con il mondo contemporaneo. Dalle offerte di lavoro fallite ai pregiudizi nei suoi confronti, dalla stringente burocrazia ai deludenti sussidi statali, tutto sembra cospirare contro il suo reinserimento nella società. La sua situazione viene resa ancor più esplicita tramite una composizione delle inquadrature che lo pone spesso ai margini, ma anche da situazioni più concrete come la semplice difficoltà di guidare un automobile.

La verità è che Mikami appartiene ad un mondo che sempre più fa parte del passato. Più volte è infatti possibile imbattersi in dialoghi e personaggi che manifestano tale malinconica consapevolezza. Far parte della Yakuza è una responsabilità che pochi sono ancora disposti ad assumersi. Quel mondo di attività illecite lascia sempre più spazio ad una realtà di uffici, pratiche da compilare e svaghi di vario tipo. Nel dare la sua personale risposta al quesito alla base del film, la regista non manca di evidenziare come tale trasformazione della società non sia meno soffocante di quella a cui il protagonista apparteneva.

Under the open Sky Miwa Nashikawa

Under the Open Sky: la recensione

Ancora una volta i registi giapponesi dimostrano una grande capacità nel raccontare in modo semplice ma mai banale la realtà del loro paese. Allo stesso tempo, le loro storie si dimostrano sorprendentemente universali. Con Under the Open Sky, la Nashikawa aggiunge un nuovo tassello a tale racconto nazionale, dimostrando una delicatezza nei toni e nell’atmosfera capace di emozionare con poco. Vi sono infatti piccoli gesti e parole in grado di racchiudere il cuore più profondo del film. Nel corso delle due ore, la drammaticità di quanto accade al protagonista viene così dissimulata dall’interesse verso la sua fragilità umana.

All’interno di questo racconto non mancano possibilità e strade non prese, come quella relativa alla ex compagna del protagonista. Se da un lato queste sembrano caricare eccessivamente il film, dall’altra ribadiscono ulteriormente come certe cose perse, possono rimanerlo per sempre. Proprio come un film che tenta di rappresentare al meglio la semplicità della vita, Under the Open Sky commuove e diverte, ponendo anche importanti riflessioni. E se anche non tutti i suoi elementi sembrano essere al loro posto, pur nei suoi difetti questo riesce ad offrire un appassionante spaccato di vita, troppo spesso sottovalutato.

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