Sceneggiatore e regista, attivo nel
campo del fumetto, del cinema e della televisione, Mauro
Uzzeo sbarcherà al cinema il 12 agosto con
Monolith, film per cui ha co-firmato la
sceneggiatura (insieme al regista Ivan Silvestrini, Elena
Buccaccio e Stefano Sardo) e che nasce da
un’idea di Roberto Recchioni.
Liquidare però la natura di questo
film, diretto da Ivan Silvestrini, è decisamente
impreciso, dal momento che Monolith è un progetto
a due teste: una fatta di celluloide e l’altra di… cellulosa.
Un’avventura che nasce contemporaneamente come graphic novel e
film.
Chiediamo a Uzzeo: come si è
sviluppato il lavoro parallelo di sceneggiatore al film a alla
graphic novel?
Quando Roberto ha avuto l’idea
di Monolith (madre che resta chiusa fuori dall’automobile più
sicura del mondo, figlio piccolo chiuso dentro e come si fa a
tirarlo fuori dalla prigione perfetta), da subito abbiamo pensato
di svilupparla in più ambiti, perché era un’idea talmente potente e
lineare che si prestava bene ad avere diverse declinazioni. Con
Roberto lavoravamo già insieme ad altri progetti, e siccome io
avevo esperienza in tv e con il cinema, abbiamo cominciato a
pensare a una storia che potesse essere produttivamente facile da
realizzare in forma di film. Noi che ci affacciamo ora nel mondo
del cinema sappiamo bene che le idee hanno un costo realizzativo.
Quindi dobbiamo ragionare su progetti che possano essere
realizzabili magari anche con i budget che si concedono alle opere
prime o dalle case di produzione indipendenti.
Come è nato Monolith
Qual è stato dunque il
primo passo?
Ragionare su come la storia
potesse diventare qualcosa di facilmente declinabile, poi abbiamo
cominciato a battere le scrivanie dei produttori italiani. Da quel
momento, vedendo la loro ritrosia a causa di una storia, a detta
loro, che poco aveva a che fare con il classico cinema italiano,
abbiamo cominciato a lavorare al fumetto. E abbiamo coinvolto
subito Lorenzo Ceccotti perché, come me, aveva già avuto esperienze
in campo cinematografico, oltre che in ambito fumettistico. Si
intende perfettamente di production design e così, con Roberto, ho
cominciato a scrivere la sceneggiatura per il fumetto, e abbiamo
puntato tanto sull’aspetto grafico e sulla potenza del disegno di
Lorenzo.
Quando è partito invece il
lavoro per il film?
Proprio quando eravamo già a
lavoro con il fumetto, si è sbloccata la situazione con il film,
Lock and Valentine è stata la prima casa di produzione a opzionare
il soggetto e a crederci. Poi sono entrati in campo la Sergio
Bonelli Editore, alla sua prima esperienza con un film, con tanto
di logo all’inizio, e poi Sky Cinema, soprattutto, che è entrata in
campo portando l’apporto più importante oltre che quella
grandissima esperienza nel produrre cinema che nessuna delle altre
due realtà aveva. Da lì è partito il progetto della sceneggiatura,
che ho scritto inizialmente insieme a Ivan Silvestrini che è anche
il regista.
Come si è sviluppata la
collaborazione tra Mauro Uzzeo e il regista, Ivan
Silvestrini?
Con Ivan ci conosciamo da anni.
Nel 2004 vincemmo insieme un concorso di cinema, lui per il miglior
cortometraggio e io per il miglior corto animato e da quel giorno
siamo diventati amici, sono stato anche il suo testimone di nozze.
Quando ci hanno chiamati per fare il film insieme, i produttori non
lo sapevano. È stato divertente perché dissero a Ivan ‘Avevamo
pensato di far scrivere la sceneggiatura a Mauro Uzzeo, lo
conosci?’ e lui si mise a ridere. Abbiamo cominciato a scrivere
insieme e Sky ci ha spronati a spingerci in una direzione diversa
rispetto a quella del fumetto, per cercare di aggiungere un
contenuto che fosse emotivamente coinvolgente. Da quel momento le
storie hanno preso una direzione un po’ diversa. Il film non è
l’adattamento del fumetto e il fumetto non è la riduzione
cinematografica. È come avere entrambi i lati della stessa
medaglia. Guardiamo la storia da due prospettive diverse e quindi
leggendo il fumetto e guardando il film si ha un interessante
doppio punto di vista.
Le differenze principali tra
il film e la graphic novel quali sono?
Il fumetto e un’amarissima
riflessione sull’ossessione per la tecnologia, sull’utilizzo della
tecnologia per sentirsi protetti e quanto sacrifichiamo delle
nostre libertà per questo concetto di protezione. Quanto la
tecnologia diventa una gabbia più che una porta aperta. Il film
invece è molto incentrato su che cosa è la maternità oggi e su cosa
vuol dire avere un figlio e su cosa questo comporta nelle nostre
vite. Le due trame sono presenti sia nel fumetto che nel film, però
a seconda del prodotto si sviluppa di più la prima o la
seconda.
Mauro Uzzeo ha
lavorato sia al film che al fumetto
Come è stato invece il
lavoro con Lorenzo Ceccotti?
Avere lui che disegna per te è
come essere un regista che ha a disposizione Marlon Brando, gli
puoi chiedere tutto. Mentre sul film, che ancora non esisteva,
sapevamo che avremmo dovuto accettare dei compromessi, il fumetto
poteva esplodere in tutta la sua potenza evocativa. Lorenzo ha
messo in scena della roba pazzesca.
Lui ha cominciato con il
fumetto, dopo una ventina di tavole ha interrotto per otto mesi il
lavoro perché si era sbloccato il progetto del film, a cui avrebbe
comunque lavorato lui. Poi è partito per gli Stati Uniti per
lavorare sul set per la direzione artistica. Una volta tornato si è
rimesso sul fumetto, portando un bagaglio esperienziale enorme
perché un conto è immaginare il deserto (location principale del
film), un conto e starci tutti i giorni. Ha deciso che voleva
mettere questa cosa sulla tavole. Io e Lorenzo abbiamo avuto il
grande privilegio di poter lavorare sia alla realizzazione del film
che a quella del fumetto: a un certo punto Roberto non sapeva che
direzione stesse prendendo il film, così come Ivan non conosceva
come si stesse sviluppando il fumetto. È stato un work in progress
reciproco perché partendo dallo stesso punto ci siamo divertiti a
esplorare due strade diverse.
Come è nato invece il
concept dell’automobile, protagonista del film? Sono innegabili
alcuni riferimenti alla cultura pop, ma sono voluti o
casuali?
Sicuramente ci sono dei
riferimenti, ma la prima regola che spiegammo a Lorenzo era quella
che la Monolith dovesse incutere da lontano un po’ di timore, una
macchina perfetta e inattaccabile, quasi aliena. Da vicino invece
doveva sembrare super user friendly, come i prodotti della Apple,
che immediatamente sai come usarli. Poi però se succede qualcosa
non puoi aprirli o aggiustarli e con loro non c’è dialogo. Basta
vedere un iPhone, spento è una mattonella perfetta, non capisci
subito come utilizzarlo, dov’è la batteria. L’idea quindi era di
una tecnologia inespugnabile ma apparentemente vicina
all’utente.
Si tratta quindi di una
tecnologia ostile?
Nel film non diamo mai un
connotato positivo o negativo alla tecnologia. L’unica etichetta
che mettiamo è quella di strumento. Gli errori commessi nel film
sono solo umani, perché il principio è: più è elevato il livello
tecnologico, più dovrebbe essere alto il livello di consapevolezza
di chi lo sta usando. Il problema è che tutti hanno in mano uno
strumento tecnologico (telefono, computer) ma non hanno
l’alfabetizzazione necessaria per utilizzarlo, per capire con
esattezza cosa farci. Abbiamo strumenti potentissimi a portata di
tutti, ma non c’è la preparazione necessaria per affrontarli.
Infatti a un certo punto nel film si torna all’età della
pietra…
Monolith all’estero
Il film uscirà negli USA con
il titolo di Trapped Child, cosa pensi di questa
scelta?
Noi non abbiamo avuto molta voce
in capitolo. Penso che siano scelte che riguardano il distributore
locale che deve cercare il modo migliore per veicolare un messaggio
e vendere un film. Ho letto diversi titoli di Monolith in giro per
il mondo, perché è stato venduto in quasi 20 Paesi. Da fruitore
preferisco sempre il titolo originale e leggere un sottotitolo che
spiega il film, magari Monolith – Trapped Child, ma qui entriamo
nel gusto personale. Sono contento che un film a cui ho collaborato
esca in tutti questi posti nel mondo.
Che ambizione ha questo
progetto?
Noi sappiamo benissimo che è un
film piccolo, fatto con una produzione indipendente, aiutato e
co-prodotto da un player importantissimo come Sky, che beneficia di
una casa di distribuzione, la Vision, che nasce proprio con
Monolith, il primo film che distribuiscono. Sappiamo che non
abbiamo in mano un film che può coinvolgere un pubblico molto
ampio. Ma nasce proprio per questo, con la volontà di raccontare
una storia diversa, che possa essere esportabile in tutto il mondo.
Il fatto che sia uscito prima in 17 Stati e poi in Italia è un
segno che quello che volevamo ottenere l’abbiamo
raggiunto.
Hai partecipato alle riprese
sul set?
Mai. Dopo che abbiamo finito la
pre-produzione con Ivan Silvestrini, e con noi si sono aggiunti
anche Elena Buccaccio e Stefano Sardo per rifinire la
sceneggiatura, io sono tornato a lavorare sul fumetto e mentre Ivan
e Lorenzo si sono spostati sul set, eravamo in contatto su Skype e
facevo il tifo per loro. Intanto però lavoravo con Roberto alle
tavole di sceneggiatura per il fumetto di Monolith che avrebbero
aspettato il ritorno di Lorenzo.
Mauro Uzzeo e il lavoro di
sceneggiatore: cinema, fumetti e il futuro della
Bonelli
Scrivendo sia per i fumetti
che per il cinema, l’approccio alla scrittura è uguale, racconti
‘solo’ una storia, o ti adatti al diverso mezzo
espressivo?
Nonostante possa sembrare
simile, l’approccio è in realtà molto diverso. La potenza del
fumetto mostra in modo evocativo, ti fa vedere dei disegni e lascia
spazio tra un quadro e l’altro e così il disegnatore e lo
sceneggiatore guidano il lettore verso un movimento che non esiste.
E non hai limiti, a parte la pagina ferma e la capacità tecnica del
disegnatore. Scrivere per il cinema vuol dire tener conto di tutta
una serie di istanze tecniche e produttive che poi serviranno per
rendere narrativo quello che scrivi. Se non tieni conto di qual è
il budget del film, non puoi sapere bene cosa stai scrivendo,
perché magari alcune cose verranno tolte dalla sceneggiatura perché
non realizzabili e creeranno un buco di trama. Il bravo
sceneggiatore deve tenere conto di che tipo di film si sta
realizzando e di qual è la fattibilità produttiva di quello che sta
inventando. Sono due mestieri che hanno parecchi paletti che
servono a modulare la creatività, però conoscendoli, possono essere
usati anche come stimolo per fare qualcosa di ancora più
bello.
Monolith è il primo film
della Bonelli. Qualche settimana fa c’è stato l’ormai ribattezzato
‘Homecoming’ di Dylan Dog,
ovvero i diritti di sfruttamento cinematografico del personaggio
sono tornati alla Bonelli Editore. Esiste già un progetto per
portare l’Investigatore dell’Incubo al cinema nel modo
migliore?
La Sergio Bonelli Editore è in
un momento di grossa transizione, sta affrontando il decennio con
un piglio più aggressivo rispetto al passato. Sta cercando di
battere tutta una serie di strade legate al fumetto e derivati che
negli anni passati non ha sfruttato a pieno. Si sta creando una
nuova Bonelli che nel rispetto della tradizione sta guardando, più
di ogni altra casa editrice italiana, al futuro. Sta lavorando sui
suoi personaggi, cercando di sfruttare tutte le direzioni
possibili. È chiaro che Dylan Dog, che è il secondo fumetto più
venduto in Europa e che ha un fortissimo appeal, è uno dei
personaggi con cui sarebbe più interessante fare produzione. Però
finora non aveva i diritti; ora che li ha ripresi, è evidente che
sono già a lavoro per vedere come trasporre al meglio in altri
ambiti il personaggio. È altrettanto evidente che adesso è troppo
presto per avere certezze, ma a naso credo che ci sarà un bel
periodo in cui la Bonelli cercherà di capire qual è la strada
migliore.