Cosa ci definisce come persone? La
casa in cui viviamo, gli amici che frequentiamo, la carriera che
scegliamo o l’amore che viviamo? Non c’è una risposta definitiva a
una domanda così, esistenziale, ma forse potremmo dire che dipende
da cosa si vuole essere nel presente e nel futuro, ma anche da
quello che si è stati nel passato. Parte da qui la storia di
Zeynep, da un quesito particolarmente
introspettivo, che la ragazza rivolge alla psicoterapeuta nella
sequenza iniziale di My Home My Destiny,
prima di riavvolgere il nastro della sua vita, come in un film, e
raccontarla partendo dalla casa d’infanzia in cui viveva e che ha
cominciato a plasmarla come individuo. Il prodotto turco, approdato
su Canale 5 nell’estate 2023, ha riscosso un
enorme successo, forte della presenza di
Demet Ozdemir nei panni della protagonista,
che torna in auge sul piccolo schermo dopo essere diventata famosa
nel Bel Paese grazie al ruolo di Sanem in
Daydreamer nel 2020.
Attenzione però: My Home
My Destiny, esattamente come tutte le opere
provenienti dalla Turchia (il cui debutto fu sancito con
Cherry Season – La stagione del cuore) dal 2016 in
poi, non è né una soap opera né può considerarsi una serie
televisiva dall’impianto classico, ma si posiziona in una terra di
mezzo fra l’una e l’altra, una dizi. Per chi non
conoscesse le differenze, diciamo in breve che fra le peculiarità
più evidenti delle dizi c’è prima di tutto la durata canonica
di circa due ore a episodio, minutaggio che va a incidere sul ritmo
del racconto e sull’approccio ai personaggi, molto più lento, in
cui di conseguenza la storia ha dei tempi di assorbimento diversi
per lo spettatore.
Sono narrazioni estremamente
dilatate, spesso costruite su personaggi femminili e sulle
rispettive famiglie, in cui a essere messa in risalto, oltre alla
crescita del singolo, è la tradizione e le usanze del Paese.
Inoltre, si fa molto affidamento al voice over del main
character, il quale diventa uno strumento narrativo che permette di
addentrarsi meglio nei chiaroscuri dei personaggi, accentuare il
pathos e far sentire lo spettatore più coinvolto in ogni scelta dei
protagonisti, mentre esperiscono la vita. Le dizi turche non si
incasellano in un unico genere, seppur quelle arrivate sulle nostre
reti siano principalmente di stampo romantico (ne fanno parte
Cherry Season e Daydreamer) e drammatico.
My Home My Destiny: una
dizi quanto più attuale
Ed è proprio il dramma – o meglio il
melò – su cui si cuce la storia di My Home My
Destiny, diretta da Çağrı Bayrak e adattata dal libro
Camdaki Kız della scrittrice Gülseren
Budaçioğlu. Come suggerisce lo stesso titolo, per
Zeynep la casa in cui vive è il suo destino, già scritto,
che si deve solo compiere. Cresciuta in una disfunzionale famiglia
povera di Balat, con un padre alcolizzato e violento e una madre
schiava del suo potere, Zeynep viene adottata da piccola da una
coppia facoltosa nella Istanbul “da bene”, consegnata dagli stessi
genitori per permettere alla figlia di istruirsi. In realtà, è la
madre Sakine a decidere di concederla a Nermin ed Ecrem, in primis
per garantirle un futuro migliore e in secondo luogo per evitare
che anche lei soccomba a un padre padrone per niente amorevole.
Diversi anni dopo, intrapresi gli
studi alla facoltà di legge e oramai coinvolta a pieno nella sua
vita elitaria, Zeynep reincontra la madre biologica al suo
compleanno, da cui affioreranno una serie di sensi di colpa,
scaturiti per non aver avuto il coraggio di dire a nessuno la
verità né sulla sua doppia famiglia (e vita) né su chi sia per
davvero. Tornata nel quartiere d’origine per recuperare il tempo
perso con la madre, si lascia covincere da quest’ultima a sposare
un uomo molto umile che neppure conosce, Mehdi,
con il quale intraprende una relazione tossica. Tracciate le
coordinate della storia, è chiaro che il nucleo centrale di
My Home My Destiny sono gli abusi
– psicologici e fisici –, il patriarcato, l’emancipazione femminile
e la percezione errata che si ha di sé se alle spalle si ha un
contesto familiare poco chiaro e problematico.
La dizi, come si è potuto intuire,
affronta tematiche molto care al giorno d’oggi e ne approfondisce
ogni aspetto senza mai tirarsi indietro, ma anzi guardandolo da
ogni prospettiva e angolazione proprio grazie a tempi estesi che
permettono un’accurata riflessione in merito. Essendo un prodotto
fruibile da chiunque, considerata anche la disponibilità sull’app
gratuita Mediaset Infinity, riesce ad abbracciare un pubblico molto
ampio ed eterogeneo, e la sua presenza in piattaforma è essenziale
e di estremo valore, poiché permette a tutti di dialogare con
alcuni argomenti per i quali, ancora adesso, si ha un atteggiamento
di negazione o rigetto. Ma esistono, diremmo anche purtroppo,
nonostante i cambiamenti messi in moto ma non ancora completati, e
un’opera del genere – proprio nella sua semplicità narrativa – è in
grado di essere decodificata senza per forza ricorrere all’arte
cinematografica più stratificata (come può esserlo magari il nuovo
Povere
Creature!, per intenderci).

La presa di potere, il desiderio di
riscatto
Una delle prime tematiche che
emergono in My Home My Destiny è la
violenza sulle donne. I complessi che Zeynep si
porta con sé derivano da un’infanzia infelice nella quale, come si
evince sin dai primi frame, è la sopraffazione a dominare. Il padre
ha sempre usato la forza bruta nei confronti della madre,
denigrandola e malmenandola. Anche nei riguardi della figlia,
Bayram non ha mai avuto la sensibilità per comprendere i suoi
bisogni, traumatizzandola (le bruciava i libri, per dirne una) e
impedendole di potersi formare attraverso un percorso scolastico.
Il tipico uomo meschino, limitato e dalla dubbia morale, in cui
vengono declinate la maggior parte delle bruttezze dell’animo
umano. Usa le mani per farsi ascoltare, per sentirsi superiore, e
la ferocia delle parole per mettere a tacere.
L’ignoranza, legata alla condizione
economica precaria in cui vive, in questo caso gravano ancor di più
sul suo temperamento e le sue idee misogine, che però al tempo
stesso innescano in Zeynep, gradualmente, il senso di riscatto sia
per lei che per la madre Sakine, da sempre succube e sottomessa. È
da qui che infatti parte un percorso atipico di formazione
e crescita della ragazza: Zeynep comincia a maturare
realmente e a interfacciarsi davvero con gli eventi duri della vita
solo in età adulta, quando il suo passato le bussa nuovamente alla
porta e lei deve gestirlo. Chiusa precedentemente nella bolla
dell’agio e del lusso in cui i genitori adottivi l’avevano
inserita, la giovane intraprende un arduo percorso di
consapevolezza di sé solo nel momento in cui la realtà che aveva
abbandonato fa irruzione nella dimensione quasi perfetta in cui si
cullava, obbligandola a fare i conti con la persona che è
davvero.
Non avendo un’immagine solida e
completa di se stessa, Zeynep non sa chi sia, è irrisolta, poiché
voltandosi indietro trova davanti a sé due mondi opposti in cui,
ancora, non sa precisamente dove collocarsi, e che hanno solo
contribuito a frammentarla quando era bambina non riuscendo nel
tempo a ricucirla. Trovare la forza di scavare nelle proprie paure
e turbamenti, avere il coraggio di affrontare i propri demoni e
guardare a testa alta le difficoltà quotidiane senza dissimulare,
diventa il primo e più importante passo verso l’auto affermazione.
Ma per farlo, dice lo show, bisogna intanto accettare il passato,
elaborarlo, poiché solo così si può capire fino in fondo la propria
personalità e migliorare il proprio futuro e quello delle persone
che si hanno accanto.
Vivere per far valere i propri
diritti
Se dunque è vero che per avere piena
dimensione di sé bisogni guardare in faccia ciò che è stato e
assimilarlo, c’è anche da considerare che all’inizio del processo,
per un animo fragile, può essere disastroso. Nonostante Zeynep sia
certa dei suoi ideali e dei suoi principi, alcune certezze crollano
quando realizza la sofferenza che ha patito la madre biologica, la
quale per tanto tempo ha dovuto sopportare (per il suo bene) di
vederla nelle braccia e nella casa di un’altra donna. È lì infatti
che arriva la rottura dentro Zeynep, quando diventa consapevole di
aver provocato – pur indirettamente – un dolore che deve tentare di
colmare in tutti i modi possibili, pur compiendo scelte sbagliate.
Non avendo una stabilità né in una famiglia né in un’altra, come
una nomade, Zeynep smarrisce la strada,
per poi ritrovarla solo dopo aver attraversato una grossa
tempesta.
Una tempesta furiosa che ha il nome
di Mehdi, vecchio amico del fratello, con il quale la madre decide
di farla convolare a nozze combinate per rendere lei stessa
finalmente felice. L’ingresso in questa terza e nuova famiglia
mette in risalto da una parte la mentalità antiquata che ancora
corrode alcuni tessuti sociali, in questo caso circoscritti a
Balat, uno dei quartieri più conservatori e arretrati di Istanbul,
dall’altra il desiderio di libertà ed emancipazione, che in Zeynep
arde come una fiamma viva e accecante. “Sii obbediente,
compiacilo, stai sempre un passo dietro di lui e andrà tutto
bene”, dice a un certo punto la madre di Mehdi a Zeynep quando
i due si sposano, sollevando un altro argomento che mai come in
questi nostri tempi difficili sta molto a cuore: il
patriarcato. Il Mehdi che inizialmente si presenta
al pubblico non è burbero o malvagio, e lo diventa con il tempo
solo a causa della sua stessa insicurezza, scaturita da un lato da
dubbi infondati ma alimentati in principal modo dalla sorella
retrograda Mujgan, che si sostituisce alla madre, dall’altro dal
suo non sentirsi all’altezza per un discorso di estrazione sociale,
a cui subentra anche un’inferiorità estetica.
Nella famiglia dell’uomo, prima
responsabile della messa in moto del suo cambiamento, vige poi
l’idea indiscussa per la quale la donna debba essere rilegata nel
ruolo di moglie e madre, a tal punto da doversi svegliare prima di
lui al mattino per fargli trovare la colazione pronta. Sono
convenzioni e rigide regole socio-culturali in cui Zeynep sin da
subito non vuole incatenarsi, lottando con le unghie e con
i denti per la sua indipendenza e la sua libertà di pensiero. Non
incline ad essere accondiscendente, ma desiderosa di sperimentare
la vita, la ragazza si scontra ben presto con un muro
insormontabile, che dipende – ancora una volta – dal contesto
familiare in cui si trova (Mehdi inizialmente non sposava lo stesso
pensiero della sua famiglia), e che usa la tradizione come appiglio
per confinare la figura femminile in soli due specifici ruoli e
forgiare menti potenzialmente pericolose. Vestirsi un po’ più
scollata, ritardare un po’ di più a lavoro con il capo (che è un
uomo), uscire e avere un proprio unico pensiero sono tutti fattori
che depotenziano e sgonfiano l’ego maschile, in tal caso quello di
Mehdi, imbruttendo nell’animo un personaggio che al suo debutto –
pur essendo fumantino – era fondamentalmente buono. Tanto da farla,
all’inizio, innamorare.

Non avere paura di lottare
La partita di My Home My
Destiny si gioca in sostanza tutta qui: sfruttando
l’ambito familiare, il quartiere povero e gli usi e i costumi di
una comunità non ancora à la page con i tempi, la dizi turca
evidenzia attraverso la battaglia di Zeynep per far valere
se stessa in quanto donna, quanto ancora oggi la strada
per sbrogliarsi dalle catene sociali e dalla mentalità patriarcale
sia ancora tutta da battere. Il personaggio di Mehdi rappresenta la
trasformazione in cui può incorrere un uomo qualora gli venga
toccata la sua virilità o, ancor peggio, quando è plagiato dalla
sua stessa famiglia, problematica che tutt’ora viene confermata
quando ad un atto violento si attribuisce anche la “colpa
genitoriale” di non aver educato al meglio i propri figli, avendo
la responsabilità di insegnar loro come stare al mondo. Ciò che
porta sul piccolo schermo My Home My
Destiny è in fondo lo specchio della nostra società,
di alcune radici marce non ancora estirpate, in cui c’è una
specifica forma mentis per la quale una donna non può essere allo
stesso livello di un uomo o avere le stesse concessioni, altrimenti
le graverà come una spada di Damocle sempre l’etichetta più
dispregiativa che ci sia.
Ponendo però Zeynep a contrasto di
una “deformità sociale di giudizio” ancora persistente, la dizi
dimostra con il lieto fine della protagonista che ogni sopruso,
aggressione o gesto irrispettoso possono comunque essere
combattuti, e che denunciare, o più in generale agire contro gli
abusi di qualsiasi tipo (e genere), non è mai sbagliato. Le
prospettive di salvezza non sono pari a zero, e se ci si affida
alle persone che ci amano e che noi amiamo, si può sempre
affrontare quel qualcosa che si presenta come una montagna troppo
difficile da scalare. La speranza per cambiare le cose
c’è. Basta solo non perderla, come fa Zeynep che abbatte
le sue paure e raccoglie tutte le sue energie per far valere i
propri diritti come donna, figlia, madre e sorella. Senza mai
essere sola, ma sostenuta sempre da altre figure femminili,
raccontando così una bellissima parabola di solidarietà. E allora,
se ancora non lo avete visto, il consiglio è di non farselo
scappare.