La ricognizione nel cinema europeo
contemporaneo della 41a edizione di Bergamo Film
Meeting sarà incentrata sul lavoro di Ursula
Meier (Francia – Svizzera), le cui opere – che si
collocano sulla sottile linea di confine tra finzione e
documentario – analizzano abilmente la profonda ambivalenza dei
legami emotivi, e Jaco Van Dormael (Belgio),
autore dallo stile narrativo sperimentale, non-lineare, onirico e
visionario, che ha da sempre indirizzato il suo cinema verso
personaggi e temi dell’infanzia, soffermandosi con grande
sensibilità sulla raffigurazione della complessità della vita. Dei
due registi sarà presentata in anteprima nazionale la personale
completa.
La sezione sarà arricchita da una
selezione dei film di diploma delle scuole di cinema europee che
aderiscono al CILECT – realizzata in collaborazione con la Civica
Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano -, e da Europe,
Now! Film Industry Meetings (13 – 14 marzo) le due
giornate rivolte ai professionisti di settore che intendono essere
un’occasione di networking e una piattaforma di aggiornamento.
Ursula Meier (Besançon, Francia,
1971)
Ursula Meier è
regista e sceneggiatrice. Lavora spesso sulla sottile linea di
confine tra finzione e documentario, analizzando con grande abilità
la profonda ambivalenza dei legami emotivi. Cresciuta nella Francia
orientale, vicino al confine svizzero, studia produzione
cinematografica e televisiva in Belgio presso lo IAD – Institut des
Arts de Diffusion e inizia a lavorare come assistente di Alain
Tanner nella seconda metà degli anni ’90. Il suo film di diploma Le
Songe d’Isaac e il successivo Des Heures sans sommeil (1998), che
vince il premio speciale della giuria al Festival international du
court métrage de Clermont-Ferrand e il Gran Premio Internazionale
al Toronto Film Festival, le permettono di dedicarsi completamente
al cinema.
Nel 2001 dirige il cortometraggio
Tous à table, che racconta di un gruppo di amici che si ritrovano
ad una particolare cena di compleanno: il corto vince il premio del
pubblico a Clermont-Ferrand. Dopo due documentari, Autour de Pinget
(2000) – omaggio al lavoro dello scrittore Robert Pinget – e Pas
les flics, pas les noirs, pas les blancs (2002) – sulla
straordinaria storia di Alain Devegney, vice sergente della
gendarmeria di Ginevra -, dirige Des épaules solides (2003),
prodotto per la serie di ARTE “Masculin-Féminin/Petite Caméra”,
ottenendo un grande successo di pubblico e una candidatura allo
Swiss Film Prize. Il film racconta la storia di Sabine, una giovane
atleta di grande talento che vuole intraprendere una carriera
sportiva da professionista e per farlo spinge il suo corpo a limiti
estremi.
Il suo primo lungometraggio è Home,
con Isabelle Huppert, del 2008, in cui racconta le vicissitudini di
una famiglia che vive in un villino isolato situato nei pressi di
un’autostrada chiusa, che con loro grande sorpresa e preoccupazione
sta per essere riaperta, con tutte le spiacevoli conseguenze del
caso. Il film è stato presentato durante la Settimana
Internazionale della Critica al Festival
di Cannes 2008 e ha ricevuto la candidatura ai Premi César 2009
nella categoria migliore opera prima, ottenendo inoltre la
nomination per la migliore fotografia e migliore scenografia. Nel
2012 con L’Enfant d’en haut (Sister), storia dei fratelli Simon e
Louise, riceve una menzione speciale per l’Orso d’argento al
Festival di Berlino e rappresenta la Svizzera nell’ambito dei film
proposti per l’Oscar 2013 al miglior film straniero; riceve inoltre
una candidatura ai Premi Lumière 2013 per il miglior film
francofono e una agli Independent Spirit Awards 2013 come miglior
film straniero.
Nel 2014 fa parte dei 13 registi
che realizzano il film collettivo I ponti di Sarajevo, girato in
occasione del centenario della prima guerra mondiale e presentato
al Festival di Cannes; il suo segmento, Tišina Mujo, si svolge
durante un allenamento di calcio nello stadio Zetra, dove il
piccolo Mujo fallisce un calcio di rigore mandando il pallone oltre
la recinzione. Realizza poi Kacey Mottet Klein, Naissance d’un
acteur (2015), cortometraggio in cui la regista documenta la
crescita fisica e professionale del giovane attore protagonista dei
suoi due precedenti film, e Ondes de choc – journal de ma tête
(2018), lungometraggio con Fanny Ardant, in cui un giovane uccide i
genitori dopo aver inviato il proprio diario segreto alla sua
professoressa di francese.
La ligne (La ligne – La linea
invisibile, 2022), storia di tre sorelle, una madre e una distanza
forzata, è l’ultimo lavoro di Ursula Meier presentato in concorso
al Festival di Berlino 2022 con protagonista Valeria Bruni
Tedeschi. Il film racconta le dinamiche di una famiglia atipica, in
cui è soprattutto lo spazio a definire affetti e relazioni. La
regista sarà presente al Festival dal 13 al 15 marzo. Con il
patrocinio del Consolato Generale di Svizzera a Milano. In
collaborazione con SWISS FILMS.
Jaco Van Dormael (Ixelles, Belgio,
1957)
È regista, sceneggiatore e
drammaturgo. Cresciuto tra Germania e Belgio, Van Dormael sviluppa
in primis la passione per il teatro, che lo accompagna lungo tutta
la sua carriera artistica. A diciott’anni intraprende la
professione di clown e diventa regista di spettacoli per bambini.
Dopo aver studiato cinema alla Louis-Lumière di Parigi e all’INSAS
di Bruxelles, agli inizi degli anni ’80 scrive e dirige i suoi
primi cortometraggi documentari e di finzione. Il più conosciuto, È
pericoloso sporgersi (1984), è la storia di un bambino che vive due
possibili versioni del suo futuro. Il corto vince il Gran Prix al
festival di Clermont-Ferrand e già rivela il suo stile narrativo
sperimentale, non-lineare, onirico e visionario, la predilezione
per i personaggi e i temi dell’infanzia, e la quasi ossessione nel
raffigurare la complessità della vita, racchiusa tra scelte e
destino, tra limitazioni e possibilità.
Il successo di pubblico e critica
arriva nel 1991, con il primo lungo, Toto le héros – Un eroe di
fine millennio, dove il vecchio Totò è convinto di essere stato
scambiato ancora in fasce con il suo vicino di casa ed è deciso a
vendicarsi per essere stato derubato della sua vera vita. Al
debutto a Cannes, il film vince la Caméra d’Or, cui seguono un
César e 4 European Film Award. Nel 1996, presenta L’ottavo giorno,
Palma d’oro a Cannes per i due protagonisti, Daniel Auteuil e
Pascal Duquenne, che interpretano sullo schermo la speciale
amicizia tra un uomo qualunque e un ragazzo Down. Al centro, un
altro dei temi che percorrono la filmografia di Van Dormael, ossia
quello della disabilità fisica e mentale, sempre affrontata con
rispetto e sensibilità. Passano molti anni prima che il regista
belga realizzi Mr. Nobody (2009), con Jared Leto e Sarah Polley e
premio per la miglior sceneggiatura alla Mostra del Cinema di
Venezia. Riprendendo il soggetto delle vite “alternative” di È
pericoloso sporgersi (in realtà tutti i film di Van Dormael si
richiamano l’un l’altro), ci racconta di un ipotetico futuro dove
Nemo Nobody, l’ultimo dei mortali nonché uomo più vecchio al mondo,
ripercorre le possibili versioni del suo passato, in un intrico di
vite vissute o immaginate, condizionate da scelte individuali e
casualità.
Si arriva al 2015 per vedere Dio
esiste e vive a Bruxelles. Ancora una volta una storia fantastica e
surreale, dove un Dio dispotico e violento tormenta e controlla i
destini degli umani attraverso un vecchio computer. Presentato in
anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs, il film è stato un nuovo
successo di pubblico, di critica e di incassi, ha vinto quattro
Magritte Awards, tra cui Miglior Film, Miglior Regista e Miglior
Sceneggiatura. Jaco Van Dormael, non è un autore prolifico,
abituato a sviluppare le sue sceneggiature per anni, rielaborando
idee e suggestioni raccolte in appunti accumulati di giorno in
giorno. Tra un film e l’altro può passare oltre un decennio, anche
se intervallato da alcuni corti e lavori teatrali. In tal senso, il
suo ultimo lavoro rappresenta un’anomalia: Bovary (2021), nato da
un adattamento teatrale del romanzo di Flaubert, scritto da Michael
De Cock, direttore artistico del Royal Flemish Theatre di
Bruxelles. Lo spettacolo originale doveva essere rappresentato dal
vivo, ma viene cancellato a causa della pandemia. Pur di
consegnarlo a un pubblico, Van Dormael accetta di girare in
pochissimo tempo e di dargli vita sullo schermo: «In cinque giorni
ho provato a fare qualcosa che non è un film e che non è teatro»,
facendo largo uso di retroproiezioni e primi piani prolungati o
ricorrendo ad altri stratagemmi cinematografici. Un esperimento
figlio di una situazione emergenziale, che tuttavia gli consente di
unire, per una volta, la sua passione per il cinema e per il
palcoscenico.